Lo Sguardo sui 5 Reali Siti - Marzo/Aprile 2014

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Credo proprio che ci sia qualcosa di nuovo oggi nell’aria, da quando, cioè, Matteo Renzi ha preso il timone della nave Italia, da anni ormai in balia non solo dei flutti di una drammatica congiuntura economico-finanziaria, ma anche di una profonda crisi sociale e soprattutto etica che continua a “devastare” il Paese intero. Matteo Renzi, infatti, sta procedendo come un treno nella sua delicata e complicata “operazione salvezza”, nonostante siano in molti (tra i seguaci della vecchia e nuova politica e non certo della gente della strada) ad auspicare il deragliamento. La gente qualunque, però - quella che soffre di più la crisi e che ha bisogno di vedere che c’è qualcuno che ha le idee chiare per uscire dal tunnel - apprezza il giovane premier, non certo perché affascinata dalle capacità affabulatorie del presidente del consiglio, ma perché ha capito che egli è l’uomo giusto per guidare la nave verso un approdo sicuro: questo è quello che conta e non c’è più tempo per le schermaglie politiche, per litigare sulle cause o sulle colpe, per prestare ascolto ai populismi da qualunque parte provenienti. Oggi è urgente uscire dall’uragano abbattutosi sul Paese, a far data almeno dal 2008 e la gente ha compreso che Matteo Renzi è il nocchiere più adeguato, perché rappresenta la speranza. Ignoranti quem portum petat nullus ventus est (Nessun vento è propizio per chi non sa verso quale porto dirigersi), scrive Seneca in una lettera a Lucilio (71,3), ma fortunatamente questo aforisma non va bene per il premier fiorentino che, al contrario, sa bene come muoversi non solo all’interno del Paese ma anche e soprattutto in Europa, come ha dimostrato nei recenti incontri con il presidente francese Francois Holland, con la cancelliera tedesca Angela Merkel e con il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, dai quali è stato accolto come alleato ed amico e non certo come un alunno che va a chiedere i compiti da svolgere a casa, tanto per usare un’espressione cara allo stesso premier. Tra-

lascio qui per il momento, rinviando il discorso ad altra occasione, le riforme alle quali ha messo mano in poco tempo il presidente del consiglio - da quella elettorale a quelle costituzionali - per soffermarmi sulla prima delle priorità che il premier ha definito improcrastinabili: alludo all’impegno assunto con il mondo della scuola. È la prima volta che la scuola viene a trovarsi al primo posto nell’agenda di un governo e questa è già di per sé una vera “rivoluzione”. Lo posso affermare sema tema di essere smentito, considerata la mia permanenza nell’universo scolastico per lunghi quattro decenni. Vista da

sempre come «cenerentola» e come la prima istituzione a dover fare i conti con tagli di ogni tipo (da quelli relativi agli organici degli insegnanti, del personale Ata e delle classi a quelli di ordine finanziario), oggi finalmente la scuola conquista, grazie a Matteo Renzi, la dignità che ad essa spetta in virtù del delicato compito di trasmettere alle nuove generazioni i fondamenti della cultura e del sapere e che anni di disattenzione e di indifferenza hanno a poco a poco distrutto. Non c’è chi non veda quale profondo disagio etico e sociale esista oggi nell’intero Paese, attraversato da Nord al Sud da sconcertanti tassi di inquinamento della legalità (dalle mutande verdi del governatore piemontese Roberto

Cota al vibratore acquistato dalla consigliera provinciale di Bolzano, Ulli Mair e agli altri giochini erotici), da scandali e ruberie di ogni genere, da una profonda crisi valoriale che non ha precedenti. Penso in questo momento allo scandalo delle baby prostitute del quartiere Parioli a Roma, due ragazzine di 14 e 15 anni che non hanno esitato a «vendersi» per un vestito griffato o per acquistare l’ultimo modello di i Phone: la cosa più sconcertante, poi, è sapere che nel caso di una delle due la madre era consenziente e che nell’illecito «traffico» sono coinvolti imprenditori, avvocati, funzionari della FAO e di Bankitalia e persone legate a personaggi con ruoli istituzionali. Un vero e proprio degrado del tessuto sociale, che richiama alla mente le parole ciceroniane Mala tempora currunt. Orbene, Matteo Renzi ha compreso che, per ricominciare, bisogna partire dalla scuola, che oggi ha nuove responsabilità non più limitate alla mera funzione istruttiva, ma orientate alla promozione della maturazione interiore, in virtù della quale gli apprendimenti possano tradursi in progetti di vita. La scuola, in altri termini, è chiamata a ricostruire il quadro di riferimenti valoriali all’interno dei quali i giovani possano trovare la possibilità di conquistare stili di vita equilibrati ed affrontare così le sfide della contemporaneità, sottraendosi alle tante sirene e ai miraggi illusori dei nostri tempi. Per fare questo, però, è urgente mettere in sicurezza le scuole, ma è altrettanto importante realizzare tutta una serie di altri interventi, dalle strategie per aumentare la scolarità alla formazione dei formatori, dall’introduzione del digitale alla valutazione degli insegnanti (che vanno, però, anche pagati meglio), convincendoci tutti una volta per sempre che la scuola è il vero motore dell’innovazione e della crescita di un paese. Matteo Renzi e il ministro Stefania Giannini sembrano essere sulla buona strada.


Le famiglie italiane oramai sono in stato di piena difficoltà, gli ultimi dati dell’Istat danno un quadro tragico: a livello nazionale si riscontra il 25%, il 41% nel mezzogiorno d’Italia e 49,3% in Puglia. Proprio nella nostra regione preoccupa la crescita si è passati dal 23,1% nel 2010 al 49,3% nel 2012. In due anni il numero delle famiglie in Puglia si è più che raddoppiato. e di quanto sia elevato lo stato di bisogno di tante famiglie foggiane, il campanello d’allarme viene dal servizio svolto dalla mensa del Conventino di Foggia. I pasti offerti nel 2012 sono stati 49661, pari a 138 pasti al giorno. Nel 2013 si è passati ad una media di 190 pasti al giorno, con un incremento del 50%. Prima la mensa, così come le altre strutture analoghe, erano frequentate in prevalenza da extracomunitari, con una percentuale residua di italiani. Ora quest’ultima rappresenta la maggioranza. Un quadro chiaro è emerso nel corso dell’Assemblea Ordinaria della Fondazione Buon Samaritano di Foggia. Il fondo di solidarietà antiusura ha tra i suoi fondatori l’Arcidiocesi di Foggia-Bovino, la Provincia di Foggia, i comuni di Foggia, Manfredonia, Cerignola, San Severo, Lucera, San Marco in Lamis, Orta Nova, Sant’Agata di Puglia; la Camera di Commercio, la Confesercenti, la Confcommerico, l’Assindustria; e gli istituti bancari: Banca della Campania, Banco di Napoli, Monte dei Paschi di Siena, Popolare di Novara; e privati. Lo scorso anno la Fondazione è divenuta maggiorenne avendo festeggiato il 18° compleanno, anni di impegno costante e assiduo con un alto livello di operatività in 3.260 ascolti e circa 8 milioni di euro concessi. “Altro dato rilevante è il bilancio consuntivo relativo all’anno 2013, da cui emerge un patrimonio netto di circa 6 milioni di euro, prevalentemente di origine pubblica, a testimonianza della grande credibilità di cui gode la Fondazione da parte dello Stato”, sottolinea l’ing. Giuseppe Cavaliere, Presidente del Consiglio Direttivo. Domanda: Presidente l’impegno della fondazione è rivolto anche al gioco d’azzardo? Risposta: Particolare l’impegno in questa branca, che sta costituendo una vera e propria piaga sociale. Nell’anno 2012 gli italiani hanno speso ben 90 miliardi di euro e tantissime sono le famiglie che si sono indebitate, diventando a rischio usura, intravedendo nel gioco una speranza, una via d’uscita, rivelatosi invece il colpo mortale per la loro sopravvivenza economica. Nel mese di settembre, in collaborazione con il servizio Sert della Asl di Foggia, abbiamo organizzato un convegno sul gioco d’azzardo e la straordinaria affluenza di pubblico, oltre ogni più rosea previsione, ha dimostrato quanto sia sentita la problematica. Tra le conseguenze più negative dell’indebitamento dovuto al gioco d’azzardo, è la disgregazione del nucleo famigliare. Infatti il coniuge, marito o moglie che sia, ed i figli non accettano di dover subire privazioni importanti conseguenti alla causa in oggetto. D.: Il vostro obiettivo è quello di indurre le vittime dell’usura a denunciare. R.: Inanzitutto a farle uscire dall’isolamento e dal circolo vizioso in cui precipitano: la paura

crea isolamento, l’isolamento crea paura. Non sempre è facile giungere alla denuncia, per una duplice motivazione: la paura di ritorsioni e un senso di vergogna, in quanto finire in mano agli usurai a volte può essere inteso come sinonimo di fallimento. D.: Primi in Italia a costituirvi parte civile: R.: Si, un procedimento penale per usura. Al momento abbiamo favorito la celebrazione di una ventina di processi, di cui una dozzina si sono già conclusi in primo grado e tutti con la condanna degli imputati alle pene di giustizia. Nel solo anno 2013 sono state emesse quattro sentenze di condanna (di cui una in appello) e

sono in corso sette processi, tra cui voglio ricordare il processo “Baccus”. In quest’ultima circostanza un noto quotidiano ha evidenziato come la Fondazione abbia deciso di costituirsi parte civile contro gli strozzini della mafia foggiana, i nomi storici e di spicco della cosiddetta Società foggiana e delle varie organizzazioni criminali, evidenziando altresì come la Fondazione sia “… andata oltre il sostegno economico, decidendo di presentarsi nell’aula del giudice per schierarsi accanto alla vittima e dire: non sei sola, siamo qui anche noi”. L’esperienza concreta ha dimostrato che quando le vittime denunciano ed intervengono nel procedimento penale, si possono avere risultati straordinari in termini di risposta di giustizia: il processo va spedito, non ci sono scarcerazioni per decorrenza di termini, la pena viene effettivamente espiata. Sono numerosi i casi in cui con un procedimento penale costruito in questo modo si realizza una compiuta tutela della vittima, perché la parte civile rappresenta il miglior contributo allo svolgimento del processo. D.: La città e l’intera provincia restano abuliche e sorde al pericolo della criminalità? R.: Solo pochi mesi fa, il prefetto di Foggia, persona di elevata competenza e grande conoscitrice di questo tipo di dinamiche, ha evidenziato come Foggia sia ad un bivio e sembra non accorgersi del pericolo rappresentato da

una criminalità che rischia di avere il sopravvento sull’economia e sul tessuto sociale. Doverosamente, facendo appello al dovere di cittadinanza attiva, invitava i cittadini tutti ad una maggiore attenzione e collaborazione per arginare il diffuso clima d'illegalità, auspicando un cambiamento a partire da un nuovo e diverso atteggiamento culturale nei confronti del problema. A tal proposito, infatti, non può sottacersi il bassissimo numero di denunce di estorsione e di usura a fronte di fenomeni così dilaganti e pertanto l'appello del prefetto è pienamente condiviso. A tal proposito ritengo emblematica la vicenda delle infiltrazioni della criminalità foggiana all’interno di un’azienda pubblica comunale, ed esemplare è stata la decisione del sindaco di costituirsi parte civile nel procedimento penale in corso. D.: Non è semplice costituirsi parte civile. R.: Devo confessare che la decisione di costituirsi parte civile è stata molto sofferta in considerazione di eventuali conseguenze, anche di natura ritorsiva, che ne potevano scaturire, ancora memori “dell’avvertimento” ricevuto dalla Fondazione Buon Samaritano nel Maggio 1997; ma alla fine la piena e totale consapevolezza che sostenere il prossimo che versa in stato di bisogno costituisce un obbligo ed un dovere da cui nessuno di noi può sottrarsi, ci ha indotto a procedere con convinzione e, soprattutto, con grande serenità. D.: Da 19 anni presenti sul nostro territorio quale esperienza maturata? R.: Ha radicato in noi la consapevolezza che il reato dell’usura è particolarmente diffuso nella Provincia di Foggia al punto da influenzare e da far precipitare situazioni economiche, che, grazie ad interventi di pianificazione, potrebbero pure essere risolte. Oltre a cause psicologiche e culturali, che influenzano le scelte soggettive, si rilevano alcune caratteristiche ambientali, come il ritardo nello sviluppo economico ed il degrado sociale che consentono all’usura di diffondersi. Contrastare in ogni modo e con ogni mezzo il dilagare di un fenomeno criminoso quale quello dell’usura ed altri, costituisce un obbligo ed un dovere morale a cui non possiamo sottrarci: la nostra coscienza ci impone di superare le paure di oggi e di dare segnali forti e credibili alle nuove generazioni. Anche in questo modo si costruisce il progresso. Le recenti e brillanti iniziative intraprese dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, che mai come in quest’ultimo periodo hanno inferto colpi durissimi alla criminalità, hanno dimostrato che si può e si deve avere fiducia nelle Istituzioni. D.: Per i cittadini l’ultima ancora resta ancora lo Stato? R.: La penetrante azione dello Stato deve costituire un monito ed un esempio per i cittadini, deve dare loro certezze ed infondere coraggio, soprattutto in coloro che credono che la partita con usurai ed estorsori sia una partita persa. Non è così, istituzioni e società civile, insieme, ce la possono fare. Chiediamo ai cittadini, e soprattutto agli operatori economici, commercianti ed imprenditori, uno scatto d’orgoglio, un risveglio delle coscienze, un atto di dignità che sia allo stesso tempo di ribellione, un insegnamento di civiltà ai giovani: denunciare senza timore, tutti insieme, il ricatto della criminalità.


Ordona sotto la cappa del cattivo odore Una forte puzza da qualche giorno ha invaso l’aria di Ordona, tanto da allertare i cittadini, che assieme al sindaco il Dott. Rocco Settimio Formoso, hanno incontrato negli scorsi giorni il prefetto di Foggia la Dott.ssa Luisa Latella, chiedendo all’ufficio di governo di accertare le cause del mal odore. Molti cittadini temono che dietro questo cattivo odore ci sia il traffico di rifiuti. Il prefetto ha confermato nel frattempo l’invio del Noe, il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri, per accertare le cause, invitando nel frattempo i cittadini a denunciare attraverso il sito della Prefettura la presenza di comportamenti illeciti. Ritorna la Passio Christi ad Orta Nova

Dopo un anno di sospensione, si è svolta Martedì Santo la Passio Christi ad Orta Nova, la rappresentazione della passione e morte di Gesù Cristo, giunta alla XVII Edizione. L’evento è stato organizzato dalla Parrocchia del SS. Crocifisso e dall’oratorio Anspi San Gerardo, sotto l’attenta regia di Don Ignazio Pedone. La sacra rappresentazione ha preso si è snodata per le vie della parrocchia, poi è proseguita sul piazzale antistante la chiesa, e si è conclusa per poi concludersi con la crocifissione presso il Campo Sportivo Comunale “Michele Fanelli”. L’evento ha aperto la Settimana Santa Ortese, preceduta dal sabato con l’esposizione delle statue della Processione dei Misteri presso la vecchia chiesa dell’Altomare, che svolgerà la mattina del Venerdì Santo, mentre in serata avrà luogo la Processione dell’Incontro, che vedrà protagoniste tutte le parrocchie ortesi. “Mi rifiuto di sporcare” è il progetto dell’istituto A. Moro di Stornarella “Mi rifiuto di sporcare” è il titolo della iniziativa di educazione al rispetto ambientale dell’Istituto Comprensivo “Aldo Moro” di Stornarella-Ordona, in collaborazione dell’Associazione di Volontariato “Capitanata Rifiuti Zero” e con il patrocinio del Comune di Ordona. Il progetto, infatti, ha preso il via nella scuola secondaria di primo grado di Ordona, con la proiezione del docufilm “Trashed. Verso rifiuti zero” di Candida Brady e proseguirà il 29 aprile con “Sporchi da morire. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” di Marco Carlucci per concludersi con “Meno 100 chili. Ricette per la dieta della nostra pattumiera” di Emanuele Caruso. Le proiezioni dei docufilm, destinate agli studenti e ai genitori, verranno introdotte dal Dirigente Scolastico, prof.ssa Milena Sabrina Mancini, e dal Presidente dell’Associazione, Francesco Caravella. Il progetto ha l’obiettivo di sensibilizzare non solo i giovani ma l’intera

comunità sulla necessità di ridurre la quantità di rifiuti prodotta nel pianeta, perché, anche a livello locale, si intraprenda un percorso in direzione di una maggiore ecosostenibilità. “L’iniziativa si pone in continuità con la Giornata Mondiale dell’Etica Globale, celebrata dalla nostra scuola lo scorso 11 marzo. Già in quella occasione, in quanto scuola associata UNESCO, avevamo fatto riferimento alla “Dichiarazione sulle responsabilità delle generazioni presenti verso le generazioni future”, documento fondamentale per capire quanto, in questo stadio della storia, l’esistenza stessa dell’umanità e il suo ambiente siano minacciati, e come sia necessario operare affinché le presenti generazioni prendano interamente coscienza delle responsabilità verso le generazioni future, anche in materia di protezione dell’ambiente”, conclude il Dirigente Scolastico. In ricordo di Gianni Cela Presso il servizio psichiatrico territoriale dell’Asl di Orta Nova è stato ricordato, nel corso di una cerimonia, il dott. Gianni Cela responsabile del C.S.M. dal 1987 al 2009. Il dott. Cela lasciò il servizio a causa della malattia che lo portò alla morte. Nel corso della manifestazione è stata scoperta una targa commemorativa, momenti pieni di commozione nel ricordo delle dott.sse Maria assunta Mancini e Diana Aprile. Il dott. Cela per 22 anni è stato un esempio di dedizione nei confronti degli utenti e dei collaboratori in un bacino di utenza vasto e difficile.

un carabiniere di provata esperienza, il 21 novembre 1968 con il grado di Appuntato entrò nel Nucleo Comando della Compagnia di Aosta, in questo incarico ebbe il modo di collaborare con vari ufficiali, tra cui il futuro generale di Corpo d’Armata Leonardo Gallitelli e il generale Luigi Finelli, oggi Comandante della prima Brigata Mobile. Quando il 30 gennaio 1984 venne messo in congedo, nel ruolo di sottufficiale e immediatamente assorbito nell’Associazione Nazionale Carabinieri dove subito ricoprì la carica di segretario di Sezione e, qualche anno dopo ne divenne Presidente. Al termine del mandato non accetto la sicura elezione e con molta umiltà e non comune spirito di dedizione, decise di continuare a servire la sua Associazione offrendosi di svolgere le mansioni di segretario della Sezione di Aosta. È doveroso ricordare la sua opera di volontariato nel corso dell’Alluvione che nel 2000 ha colpito la Valle d’Aosta. Fu, infatti, tra i più attivi animatori nell’azione di soccorso prestata dalla Anc a favore degli abitanti di Nus. Nozze

Il Comandante dei Vigili Urbani in pensione Umberto Santoro, il comandante dei vigili urbani ortesi, dopo 40 anni di servizio è andato in pensione Nei giorni scorsi presso il comune si è svolta la cerimonia ufficiale di saluto al comandante. Al comandante i più sinceri auguri della redazione tutta per questo importante traguardo. Michele Spicci in pensione Anche Michele Spicci, impiegato all’archivio e protocollo da 40 anni presso il Comune di Orta Nova, va in pensione. Al caro Michele, l’Editore Annito Di Pietro e l’intera redazione porgono felicitazioni. Aosta ricorda Eugenio D’Ambra Il 25 maggio dello scorso anno è venuto a mancare a 85 anni ad Aosta, Eugenio D’Ambra sottoufficiale dei Carabinieri. La sua storia è quella di un uomo di altri tempi, nato ad Orta Nova, si arruolò il 14 febbraio 1948 quale allievo carabinieri nel Battaglione di Bari. Dopo pochi mesi di formazione, vissuti in un ambiente dove la carenza di mezzi e di strutture si sopperiva con tanto entusiasmo basato su una rigida disciplina, fu promosso carabiniere. Destinato alla Legione Territoriale di Alessandria, prestò servizio nelle Stazioni di Asti, Cuneo Principale e Bra. Ottenuto, nel 1954, il trasferimento alla Legione di Torino, Eugenio D’Ambra, dopo due anni di servizio nell’aliquota carabinieri del Tribunale del capoluogo piemontese, giunse nel settembre del 1957, in Valle d’Aosta, dove fu assegnato alla Stazione di Morgex. Ritenuto

Il 27 febbraio del 1954 Domenico Francione e Francesca Mongelli coronarono il loro sogno d’amore. Sono trascorsi 60 anni dal quel fatidico si, i figli e i nipoti porgono auguri fervidi a Domenico e Francesca. Lutto È tornata alla casa del Padre all’età di 95 anni Giuseppina Mauriello L’Editore Annito Di Pietro, il Direttore e la redazione tutta sono vicini ai figli, ai nipoti e ai parenti tutti. *** È venuto a mancare all’affetto dei suoi cari Vincenzo Abbruscio. L’Editore, il Direttore e l’intera redazione sono vicini al dolore dell’amico Antonio e della famiglia tutta. *** Il Presidente e il Comitato Direttivo dell’Unitre dei 5 Reali Siti sono vicini alla Prof.ssa Antonietta Cursio per la perdita del caro Padre. *** L’editore Annito Di Pietro, il Direttore Michele Campanaro e la redazione si stringono alla famiglia Torredimare per la dipartita del caro Pasquale.


È partito il conto alla rovescia che si concluderà il prossimo 26 maggio, data in cui dovrebbe spuntare il nome del neo Sindaco della cittadina ortese o, più plausibilmente stringersi il cerchio intorno ai due candidati che si sfideranno nel successivo turno di ballottaggio, a metà giugno. Intanto fatta eccezione per eventuali sorprese dell’ultima ora, pare abbastanza certo il panorama elettorale delineatosi con la discesa in campo di ben sei candidati. La cosa, visti i precedenti trascorsi elettorali, non pare meravigliare poi molto gli abitanti del posto. Per il Centro Destra a contendersi l’ambito scranno Dino Tarantino e Peppino Moscarella, già in passato rispettivamente Vice Sindaco e Sindaco della stessa coalizione. La decisione è giunta dopo il fallimento della trattativa in corso, arenatasi intorno alla Lista Forza Italia, con le rispettive aree “Giannatempo” e “Moscarella”, ciascuna a reclamare per sé il simbolo del Partito di Berlusconi. Per superare l’impasse è inter-

venuta la pronuncia di Lucio Tarquinio, che subentrerà a Franco Landella Candidato Sindaco al Comune di Foggia, nella guida della Segreteria Provinciale di Forza Italia: il senatore forzista ha infatti assegnato il simbolo berlusconiano a Peppino Moscarella, che così scenderà in campo forte di questo partito, più due liste civiche di suoi storici alleati. Intanto Dino Tarantino può “dormire

sogni tranquilli” grazie al sostegno dell’Area Giannatempo, di Fratelli d’Italia del Movimento Noi di Destra di Alfredo Ballatore e per ultimo dell'Udc, che ha ufficializzato per voce del suo segretario Cera l'appoggio al leader del movimento politico “Orta Nova Futura”. Per il Centro Sinistra, invece ci sarà l’ex Sindaco sfiduciato Iaia Calvio sostenuta da PD, PSI, dal movimento “l'Orta Nova che Vorrei” e forse da due liste civiche: superate le incertezze per Gianluca Di Giovine su alcuni nomi quota Pd non graditi Saranno poi tre, le liste che sosterranno l’ex Sindaco Pasquale Ruscitto, figura storica del socialismo ortese; all’interno figurano tanti volti nuovi insieme ad attivisti del Comitato 9 Dicembre. Due invece le liste a supporto dell’imprenditore Costantino Mastrogiacomo, che incassa anche il sostegno dell’ex Consigliere della Margherita, Francesco Novelli. Infine sarà il giovane professionista Maurizio Ardito, a correre per il Movimento Cinque Stelle di Orta Nova.

La Giunta dell’Unione dei Comuni dei Cinque Reali Siti, ha deliberato il ripristino della quota di 2 euro per abitante, da conferire al bilancio dell’Unione, dopo che il dimezzamento della quota, precedentemente adottato, è stato vanificato dal drastico taglio di trasferimenti statali nel 2013 (di oltre il 60% rispetto all’anno precedente) che in assenza della nuova determinazione avrebbe avuto effetti paralizzanti per l’attività dell’Ente, pur contrassegnata da una oculata gestione finanziaria. Contestualmente, l’esecutivo ha provveduto a formalizzare le decisioni già adottate lo scorso 16 dicembre 2013 in materia di dotazione del personale presso gli uffici dell’Unione, con il rinnovo degli incarichi per il responsabile economico finanziario e l’esecutore amministrativo. Un passaggio, avvenuto all’esito di un fitto scambio epistolare, in materia di provvedimenti già deliberati e da un passaggio delle consegne, mai avvenuto, tra il nuovo Segretario Generale dell’Unione, dott. Paolo De Bonis e la dott.ssa Maria Di Meo, funzionario del Co-

mune di Orta Nova, di cui ha preso il posto dopo che l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Maria Rosaria Calvio aveva revocato, in uno dei suoi ultimissimi atti, l’autorizzazione a svolgere le funzioni di segretario, precedentemente rivestite, presso l’Unione. Il presidente dell’Unione, il dr. Remo Capuozzo, in virtù delle sue prerogative, ha inoltre conferito le deleghe ai componenti della Giunta. Restano di pertinenza del Presidente Capuozzo, l’Urbanistica e i Lavori Pubblici; al Sindaco di Stornarella, il Dr. Vito Monaco, sono state riconfermate le deleghe al Bilancio e Patrimonio, Attività Produttive, Personale e Sport, oltre alle funzioni di vice Presidente, fino alla imminente scadenza del suo mandato di Sindaco. Riconfermate anche le deleghe per il sindaco di Ordona, Dr. Rocco Settimio Formoso ai Servizi Sociali, Sanità, Beni Culturali, Turismo e Spettacolo; e per il sindaco di Stornara, Rocco Calamita all’Ambiente, Sicurezza e Immigrazione. Passano al Commissario prefettizio al Comune di Ortanova, Dr. Sergio Mazzia le

deleghe che erano in capo all’ex Sindaco Avv. Maria Rosaria Calvio: Cultura, Pubblica istruzione, Associazionismo e Volontariato. Nell’occasione, i componenti della Giunta dell’Unione hanno unanimemente convenuto sulla impellente necessità di procedere alla modifica dello Statuto dell’Unione, “Al fine - ha sottolineato il Presidente Capuozzo - di renderlo più snello e funzionale all’esecuzione delle funzioni ed al raggiungimento degli obiettivi dell’Ente territoriale, anche in considerazione della diversa scadenza dei mandati dei Sindaci e dei consiglieri dei Cinque comuni dei Reali Siti. Il cui periodico e graduale innesto negli organismi dell’Ente, provoca rallentamenti nell’attività dell’Unione”.


Hanno tirato un sospiro di sollievo i fedeli accorsi in massa lo scorso 14 marzo, dopo la diffusione incontrollata della notizia relativa all’imminente realizzazione di un “4° Quadro” dedicato alla Vergine dell’Altomare, presso la Nuova Chiesa a Lei dedicata in Orta Nova. La notizia si è subito rivelata priva di qualunque fondamento, giacche ad essere oggetto della serata è stata la presentazione del libro: “In mille immagini ti contemplo“, i simboli di Maria SS. dell’Altomare, scritto dal Parroco don Donato Allegretti. Ad introdurre l’opera, un libro di 125 pagine, alla gremita platea di fedeli che hanno partecipato alla celebrazione religiosa officiata da S.E. Mons. Felice di Molfetta, lo stesso Vescovo della Diocesi di Cerignola - Ascoli Satriano: “Di fronte all’Immagine della Vergine dell’Altomare, siamo chiamati tutti a lasciarci suggestionare dalle forti emozioni che scaturiscono da una figura, in apparenza così lontana eppure così vicina, che ci afferra. Quella della Madonna, è senz’altro, un’Immagine popolare che parla alla gente e rimanda ad una presenza viva, attraverso tutto il suo corredo iconografico. In particolare, occorre soffermarsi circa il fine ultimo di quei sentimenti finalizzati alla devozione di Maria, che è quello di farci amare imitandoli, i suoi esempi di vita. “Gli fa eco Mons. Luigi Renna, Rettore del Pontificio Seminario di Molfetta, sottolineando come: “Ciascun Parroco è chiamato a fornire gli strumenti, come fece Mons. Merra che nel 700 riscrisse i Libri di Devozione, includendo note storiche per contestualizzarli. Appare perciò chiaro l’intento catechistico, che ha mosso lo stesso don Donato nella realizzazione dell’opera. Maria è Madre e non ci abbandona mai, neppure quando abbiamo preso il largo e non riusciamo più ad orientarci; dall’immagine della Vergine giungiamo, quindi, alla parola di Dio che ci riporta alla vita, nell’identità della nostra fede”. Mons. Renna ha ripercorso poi le tappe fondamentali, inerenti la diffusione del culto legato alla Madonna dell’Altomare nella città di Andria. Nel 1300 con l’invasione degli Ungari, i casali si spopolarono e la Chiesa di Santa Sofia distante cento passi dall’abitato cittadino, custode dell’antichissimo affresco della Madonna, fu trasformata in cisterna. Da questo momento se ne perse la memoria, fino al rinvenimento nel 1598 a seguito del salvataggio di una fanciulla caduta al suo interno e, soccorsa solo dopo alcuni giorni. La stessa fanciulla, miracolosamente illesa, dichiarò ai suoi soccorritori che era stata la Madonna a sostenerla, impedendo che affogasse tra le acque. A seguito del prodigioso evento, Mons. Vincenzo Basso la indicò come “Madonna dell’Altomare”, trasformando la cisterna in cappella ed affidandola alle cure dei Padri Carmelitani. Con la diffusione della peste, ancora una volta cadde l’oblio sul culto della Vergine. Ed è solo verso la fine del 1600 che questo si riaccese con vigore, accompagnato da una devozione sempre più dilagante. L’affresco originario fu perciò staccato e ricollocato dopo l’allargamento della Chiesa. La presenza “viva“ della Madonna dell’Altomare ha continuato ad attraversare poi i secoli, catturando l’affetto degli andriesi, nonostante si siano conservate poche descrizioni della Sua Immagine. Ancor oggi a ricordare, in particolare, la vicinanza della Vergine nei vari momenti di difficoltà della vita degli andriesi, la presenza nelle case degli anziani delle così dette “carabattole”: sorta di ex voto tramandati

negli anni, costituiti da fili in oro con appesi preziosi di vario genere a memoria dell’aiuto ricevuto. Altro rito molto sentito, è la benedizione dei bambini che viene impartita oggi come in passato alle donne in attesa, nel mese che precede la nascita. Purtroppo nel corso dei secoli, l’Immagine della Madonna dell’Altomare fu irrimediabilmente compromessa dall’usura inarrestabile del tempo. Caduta in completo disfacimento, fu perciò ricoperta da una tela. Fu solo nel 1955, che ci si adoperò per un restauro integrale dell’Immagine. In realtà parlare di restauro risulta quanto meno improprio, in quanto, ad eccezione di occhi e volto originali, partendo da sporadiche chiazze di colore si procedette ad una ricostruzione totale dell’opera incentrata più sulla devozione sincera che, sul recupero degli elementi pittorici realmente esistenti. Nell’occasione furono anche aggiunti particolari iconografici del tutto nuovi, come la parola sofia (sapienza), sulla croce. Ancora una volta ciò ha contribuito a riaccendere la fiamma di una devozione popolare mai realmente

spenta, che si manifesta ancor oggi nel dedicare il giorno del martedì al culto ininterrotto della Vergine. Si tratta di un ulteriore ed inusuale elemento, in aggiunta a quelli già citati, se si pensa che normalmente il sabato o il mercoledì erano i giorni destinati a tale forma di devozione. Infine, è stata la volta dell’autore del libretto. Don Donato, ha dapprima sottolineato come Orta Nova vanti il primato della Madonna dell’Altomare, suscitando una “scherzosa” polemica con il Vescovo che ha subito riequilibrato le parti, ricordando come a Terlizzi per evitare dispute di sorta, si ritenga che le Madonne siano tutte sorelle tra loro. In ogni modo tralasciando la scherzosa parentesi, don Donato ha voluto anche sottolineare un importante progetto di valorizzazione della sua Chiesa, attraverso la realizzazione di nuove vetrate recanti quegli stessi simboli iconografici, legati alla Madonna dell’Altomare. “È un progetto di certo ambizioso”, ha concluso, “al quale rivolgo il mio impegno; destinando il ricavato di questo libro che, spero, rappresenti un valido strumento di aiuto nella fede di quanti, vorranno leggerlo e meditarlo”. Questo in sintesi il contenuto della serata di presentazione, cui ha fatto seguito nell’immediato il riaccendersi della nota polemica legata alla “scomparsa” negli anni, (quantomeno celata alla vista dei fedeli), dell’Antica Immagine donata da Marietta Balsamo alla comunità ortese. Si tratta di una polemica assai risalente nel tempo che, già non mancava di suscitare vivaci contrasti tra i pellegrini andriesi ed il defunto Parroco don Ugo Gentile, proprio in coincidenza con la Festività della Madonna. Per ripercorrerne i tratti salienti

riportiamo “integralmente” di seguito, la nota datata 15 marzo ed inviata presso la Redazione dello Sguardo, da un gruppo di fedeli di Andria. “Ancora una volta, si è persa un’importante occasione di confronto con i fedeli, (in particolare quelli andriesi), che si aspettavano in occasione della presentazione del libro di don Donato, di vedere finalmente sciolta la polemica nata molti anni fa, e che ha raggiunto il suo apice con il precedente Parroco don Giuseppe Russo, in merito alla reale collocazione dell’Antica Immagine della Vergine dell’Altomare. Come molti ignorano, ad oggi esistono ben “Tre Immagini Sacre” raffiguranti la Madonna dell’Altomare ad Orta Nova; due delle quali definite “impropriamente” quadri. La Prima cartacea, è quella Antica acquistata da Marietta in un mercatino di Andria e donata alla comunità ortese. Danneggiata dall’usura del tempo, di tale Immagine venne realizzato un ingrandimento fotografico, per volere del defunto Parroco don Ugo Gentile. Tale copia fu poi incorniciata, preservando sul retro l’Immagine Antica. Da questo momento si parla erroneamente di Secondo Quadro e contestualmente, dell’Immagine Antica (l’unica ad essere riconosciuta dai fedeli e nota come Primo Quadro), si perdono definitivamente le tracce nei lunghi silenzi della Chiesa locale, che hanno attraversato all’incirca gli ultimi venti anni. Se è infatti vero l’intento scrupoloso che mosse don Ugo nel compiere tale operazione, che mirava a preservare in un arco di tempo limitato l’Immagine Antica evitando ulteriori danneggiamenti dovuti all’usura del tempo, in attesa di reperire i finanziamenti necessari al suo restauro; non ci si spiega come mai, tale restauro non abbia mai avuto luogo negli anni avvenire. Si procedette invece per volere di don Giuseppe Russo, (divenuto famoso a Cerignola per aver tenuto nella Chiesa di Sant’Antonio una celebre omelia antiGrillo), alla realizzazione di una Terza Immagine Sacra della Madonna dell’Altomare, ossia il prezioso quadro collocato attualmente sull’Altare Centrale della Nuova Chiesa. Ed è proprio per capire cosa sia accaduto realmente in questi anni, che siamo pronti a far ripartire la massiccia raccolta di firme già cominciata in passato. Tale campagna di raccolta, muoverà nuovamente da Andria per raggiungere poi, il comprensorio dei Cinque Reali Siti. L’intento legittimo, è quello di poter finalmente avere notizie certe inerenti l’Antica Immagine della Madonna dell’Altomare, sulla scorta di quanto espressamente contemplato nel Diritto Canonico dove, si fa divieto di sottrarre ingiustificatamente nel tempo alla vista dei fedeli, qualsivoglia opera destinata al culto. Dell’iniziativa, finalizzata ad accertare se esista ancora o meno tale Immagine, informeremo perciò anche Papa Francesco, perché si faccia portavoce di una nostra richiesta di dialogo sereno, con la Chiesa di Cerignola - Ascoli Satriano!”. Questa - per concludere - cari lettori, la posizione inequivocabile assunta dai fedeli andriesi. Ed è proprio sulla scorta delle parole pronunciate da Papa Francesco: “Richiamare la connessione della fede con la verità è oggi più che mai necessario, proprio per la crisi di verità in cui viviamo…” che, cari lettori, vorremmo concludere. Lo facciamo, quindi, attraverso le pagine dello Sguardo, provando a farci mediatori rispetto alle divergenti posizioni assunte, suggerendo la creazione di un museo sulla storia della nascita del culto legato alla Madonna dell’Altomare ad Orta Nova nonché, l’avvio di una sottoscrizione popolare finalizzata al restauro dell’Antica Immagine.


Pace fatta tra la Direzione Scolastica dell’I.P.S.S.C.T. Adriano Olivetti di Orta Nova ed il comprensorio dei Cinque Reali Siti, mobilitatosi in massa dallo scorso novembre, dopo la diffusione della notizia di un imminente cambio di nome, all’Istituto Scolastico Comprensivo di via Due Giugno. La notizia, come ricorderanno i nostri lettori, fece immediatamente il giro di tutti i Comuni limitrofi sollevando un unanime coro di dissensi. Della bizzarra vicenda si occupò anche il nostro giornale, che evidenziò più di una perplessità di fronte ad una siffatta operazione di restyling promuovendo contestualmente una massiccia campagna informativa; di recente conclusasi con la raccolta di ben 10.800 firme, a difesa dello storico nome dell’Istituto. Nell’occasione, “Lo Sguardo“ non mancò inoltre di sottolineare anche la tempistica quanto meno “infelice” di tale operazione, coincidente con la messa in onda della seguitissima fiction Rai “La forza di un sogno” incentrata sulla figura di Adriano Olivetti, interpretato da Luca Zingaretti a distanza di 52 anni dalla sua morte. In ogni modo tali considerazioni appartengono ormai al passato, superate da un’inversione di marcia da parte della stessa Direzione Scolastica. In particolare la notizia della rinuncia al cambio di nome, è emersa nel corso di un incontro informale tenutosi presso gli Uffici di Palazzo Dogana a Foggia con il Preside Cendamo, nelle scorse settimane. Piena ed unanime soddisfazione per la decisione di rinuncia, è emersa dai rappresentanti della società politica, civile, nonché, da parte degli organi di informazione locale. Tra i vari commenti, registriamo quello del candidato

Sindaco di Centro Destra dott. Dino Tarantino: “Al Preside Cendamo vanno la stima e la gratitudine di tutto il mio schieramento, per aver saputo farsi interprete degli orientamenti popolari di questo territorio su un tema non certamente trascurabile, che è quello della salvaguardia della memoria storica locale. Tuttavia il nostro impegno non viene assolutamente meno col conseguimento di questo importante successo! Al contrario è da qui che vogliamo ripartire in collaborazione con la stessa Scuola per recuperare quanto prima la piena funzionalità “dell’Indirizzo per i Servizi Turistici”, soppresso all’inizio di questo anno scolastico. È un impegno, questo, che assumiamo per ridare nuova speranza ai nostri giovani perché, possano intraprendere un valido percorso di formazione strizzando l’occhio alle possibilità occupazionali offerte dalle importanti strutture ricettive ed organizzazioni turistiche, con le quali poter entrare in contatto attraverso la mediazione di questo importante indirizzo”. Gli fa eco il prof. Pasquale Ruscitto: “Il mio impegno al fianco di questa straordinaria realtà scolastica comincia nel 1987, quando in qualità di Primo Cittadino mi sono adoperato per ottenerne l’autonomia funzionale dall’Istituto Einaudi di Foggia. Nei mesi scorsi, poi, con il mio gruppo, ci siamo impegnati nella raccolta delle 10.800 firme. Lo abbiamo fatto con spirito di dedizione, senza pretendere di fare crociate di sorta ma, nella consapevolezza di trovarci dinanzi ad una Scuola di tutto rispetto con la quale interagire non per demonizzarla bensì, per migliorarla e renderla maggiormente competitiva. L’Olivetti possiede infatti, tutte le carte in regola per proporsi

come Scuola all’avanguardia nel vasto mercato formativo; ed è partendo da queste valutazioni che dobbiamo lavorare insieme per conseguire risultati sempre più importanti”. Dello stesso sapore, seppur di contenuto diverso, le dichiarazioni di Michele Sinisi, ex studente dell’I.P.S.S.C.T. Adriano Olivetti ed oggi titolare di una tra le più note agenzie turistiche del comprensorio, l’Agenzia Essemmeturismo: “Davvero una Scuola, l’Olivetti, al passo coi tempi che viviamo ed un’opportunità di crescita e di formazione irripetibile per gli studenti di questo comprensorio. Aver deciso di preservarne il nome, rappresenta senz’altro la scelta più giusta sia sul piano della continuità storica, che su quello contenutistico”. Concludiamo infine con le parole del nostro Editore, Annito Di Pietro: “L’Olivetti è una risorsa per tutto il territorio e come tale va considerata e difesa! Siamo, per questo, da sempre vicini ai nostri giovani e alla nostra Scuola. Non dimentichiamo i notevoli passi avanti compiuti dall’Olivetti in questi anni, raggiunti anche grazie all’apporto di figure dinamiche come il Preside Cendamo; si pensi ad esempio alla nascita del nuovo Polo di Istruzione Secondaria dei Cinque Reali Siti con l’accorpamento del Liceo Classico ed alla nascita dei due nuovi indirizzi formativi, il Liceo delle Scienze Umane ad Orta Nova e, l’Istituto Professionale per i Servizi Socio Sanitari - Ottico a Stornara. Pur tuttavia continueremo a vigilare con il nostro giornale sull’attività scolastica del territorio, per supportarne gli elementi di crescita e se necessario per evidenziarne anche, le eventuali criticità che dovessero in futuro emergere”.

“Dobbiamo imparare a valorizzare i nostri prodotti e a credere nella nostra terra”. Così lo chef di fama internazionale, il maestro Gianfranco Vissani, ha commentato lo strepitoso successo di pubblico e partecipazione alla prima edizione del Premio Oscar della Qualità 2014 svoltosi nelle splendide sale dell'Hotel “Corona” di San Giovanni Rotondo. Un'importante manifestazione che ha voluto premiare le eccellenze gastronomiche e agroalimentari di Capitanata. Mission promossa dall'Assessore Regionale Elena Gentile “Il nostro Gargano deve fare sistema perchè solo così possiamo sperare in una valorizzazione, profonda, del nostro territorio. Viviamo”, ha poi inciso l'Assessore, “in una delle Regioni più belle d'Italia.” L'iniziativa, fortemente voluta dall'editore Massimo Pitti, è stata organizzata dall’Accademia Italiana del Gusto di cui Pitti è uno dei fondatori e, insieme alla Associazione “Amici della Buona Tavola” e all’Ente per la Promozione dei Prodotti Tipici Italiani, con la collaborazione delle Pro Loco del Gargano, della Banca di Credito Cooperativo di San Giovanni Rotondo che ha sponsorizzato in buona parte l'Evento e con i patrocini della Regione Puglia, del Gal Gargano, del Comune di San Giovanni Rotondo, del Comune di Rignano Garganico, dell’Accademia Italiana Gastronomia Storica e della rivista Italia a Tavola. Alla manifestazione presente le firme del giornalismo enogastronomico italiano: Sandro Romano, uno dei massimi esperti di enogastronomia in Italia, la Direttrice di “Apulia Magazine” Rosalia Chiarappa, il Direttore di “Vinoway” Davide Gangi, il Direttore di “LSD Magazine”

Michele Traversa e Mariella Morosi corrispondente del Lazio della rivista “Italia a Tavola”, e poi giornalisti e accreditati venuti da diverse regioni italiane. La serata, presentata dalla giornalista de “Il Mattino di Foggia” Tatiana Bellizzi, è stata animata dai balli e dai canti de “I Cantori di Carpino”. Oltre 60 i produttori dauni che hanno contribuito a far grande il “made in Capitanata” superando, talvolta, anche i confini regionali. Gli stessi hanno ricevuto un riconoscimento consegnato dal maestro Gianfranco Vissani. Tre, inoltre i produttori “ospiti” che si sono distinti in ambito nazionale: il Consorzio “Focaccia Barese”, il “Panificio D'Ambrosio” di Altamura e il “Salumificio Santoro” con il capocollo di Martina Franca. Successivamente sono stati assegnati riconoscimenti a chef e maitre che, con il duro lavoro quotidiano, rappresentano oramai un punto di riferimento nel mondo enogastronimico del Tavoliere. La serata si è conclusa con la premiazione dei dieci migliori ristoranti di Capitanata, i “Top Ten”; ovvero coloro i quali sono stati definiti da Sandro Romano, console dell'Accademia Italiana del Gusto Storico e giornalista di Italia a Tavola, le: “vere eccellenze di casa nostra”. Tra i premiati gli chef Peppe Zullo del Ristorante “Peppe Zullo “di Orsara di Puglia, Gegè Mangano de “Li Jualantumene” di Monte Sant'Angelo, il ristorante “Ballarò” di Deliceto e Rosario Di Donna dell'Hosteria “U'Vulesc” di Cerignola. Un riconoscimento speciale anche per Giuseppe Di Cosmo di 85 anni il “cuoco dei Santi”, che non ha voluto mancare alla serata organizzata da Mas-

simo Pitti: proprio lui che, per anni, ha cucinato per Padre Pio. “Il suo piatto preferito era l'agnello con le verdure” - confida l'arzillo pensionato di San Giovanni Rotondo, le cui pietanze sono giunte anche sulla tavola di Madre Teresa di Calcutta e Papa Giovanni Paolo II. La cerimonia di premiazione si è poi conclusa splendidamente con il “Dinner Live Show”, un ricco buffet, durante il quale gli chef premiati hanno proposto sfiziosi assaggi utilizzando i prodotti delle Aziende partners (prosciutto di maiale nero, tartufo, caciocavallo podolico, bufaline, burrate, vari tipi di focacce, dolci di ogni genere, cassata artigianale, ecc.). L'editore e organizzatore dell'evento Massimo Pitti rispondendo alle domande dei vari giornalisti presenti, ha detto: “Siamo riusciti a fare un grande evento nella nostra città, che ha riunito le eccellenze dell'intera provincia, ma è solo l'inizio, da domani, insieme ai miei preziosi collaboratori, sarò già al lavoro per la seconda edizione del premio Oscar della Qualità che sarà ancora più bella. La nostra terra deve essere valorizzata di più e con l'aiuto delle Istituzioni e della Banca BCC di San Giovanni Rotondo e di quanti crederanno nei miei progetti, riusciremo senza ombra di dubbio a far diventare la nostra provincia un esempio di cultura, enogastronomia e fede, seconda a nessuno in Italia. I presupposti e la materia prima ce li abbiamo e siamo già a metà dell'opera”.


Durante questo anno accademico, nell’ambito della programmazione, sono stati organizzati alcuni corsi che hanno portato docenti e studenti a contatto con la natura, implicando il rispetto dell’ambiente, il gusto dell’osservazione e del piacere del cibo, unitamente alla conoscenza del territorio. Il corso di Agronomia, svoltosi nella sezione di Stornara da dicembre 2013 ad aprile 2014, su tematiche connesse all’economia agraria, all’anatomia vegetale, all’ecosistema agrario, alla fitopatologia ha fatto il punto sui fattori ambientali che determinano e condizionano le produzioni agricole. Un processo produttivo agricolo, per sua natura, utilizza una serie di risorse che vanno osservate. La terra su cui viviamo è il risultato di numerose modificazioni avvenute in svariati millenni; eppure l’uomo tende a giudicare anche il suo passato con le sue dimensioni storiche. Gli obiettivi formativi hanno evidenziato come nel mondo globalizzato la concorrenza, in ogni settore produttivo, sia ineliminabile. In particolare gli agricoltori del nostro territorio non riescono più a ottenere un compenso sufficientemente remunerativo per i propri prodotti e auspicano una regolamentazione degli scambi commerciali, al fine di ottenere un livello di prezzi dei prodotti agricoli accettabile. I docenti Armando Moscarella, Giulio Ciccone, Giacinto Selano e Giuseppe Andreano, tramite un percorso di conoscenze specifiche, hanno ritenuto opportuno che tale iniziativa potesse aiutare l’agricoltore ad organizzare la propria attività in maniera più razionale ed economicamente concorrenziale, avvalendosi delle esperienze trasmesse dalla tradizione agricola con l’aggiornamento delle conoscenze. Il dott. Giulio Ciccone ha dato un contributo

alla conoscenza e alla diffusione dello stile di vita mediterraneo e alla valorizzazione della nostra tradizione agroalimentare, relazionando sulla “Dieta Mediterranea” dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo e che hanno avuto nei secoli un modo di vivere ed un’alimentazione simili. Ancel Keys, medico al seguito dell’esercito statunitense, durane la Seconda Guerra Mondiale, ha notato la minore incidenza delle malattie cerebro e cardiovascolari nelle popolazioni del Mediterraneo. Egli ha intuito che ciò potesse essere collegato al diverso stile di vita ed alla peculiare alimentazione. Pertanto ha condotto uno studio internazionale “The Seven Countries Study”, durato diversi anni e pubblicato nel 1969, con il quale ha dimostrato le proprietà della Dieta Mediterranea nel prevenire le malattie cerebrovascolari e cardiovascolari. L’UNESCO nel 2010 ha riconosciuto la Dieta Mediterranea quale Patrimonio immateriale dell’Umanità.

Il corso si è avvalso del pregevole apporto di due docenti dell’Università di Foggia - Dipartimento di Scienze Agrarie. Il giorno 11 dicembre 2013 ha relazionato il prof. Antonio Elia sul tema “Nutrizione minerale nelle colture orticole” e il giorno 10 aprile il prof. Giuseppe Lopriore sul tema “L’importanza della vite e del vino nella tradizione pugliese”. Il corso si concluderà il 30 aprile con l’intervento dello stesso prof. Lopriore che parlerà dell’olio nella tradizione pugliese. Le trattazioni, integrate con rappresentazioni grafiche, hanno fatto riferimento a esperienze effettuate e studi aggiornati nel settore: le relazioni e condizioni che avvengono tra i vari sistemi (socioeconomico-ambientale) esistenti sul territorio e le aziende agricole (schemi, tabelle, diagrammi); i mutamenti tecnici e tecnologici avvenuti nel settore, causa ed effetto nell’evoluzione dell’agricoltura (territorio, lavoro, usi e costumi).

“Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi”. Diceva de Saint-Exupéry e aveva ragione. Lo sguardo nuovo del bambino ha uno spazio di percezione che difficilmente riesce a mantenere l’adulto. Come le gerbere a primavera che irrimediabilmente fioriscono coi loro petali nuovi alla vita, alla sua essenza. La purezza. Certo, la modernità ha conferito al bambino una saggezza nuova, che però non può nulla contro quella luce così chiara, quanto acerba di luce pura. Le loro domande acute e dirette, senza gli abbellimenti che madame dialettica esige, alle volte sono come punte di spillo veloci e pungenti manifestano argutezza. “Che cosa significa Il colore delle nuvole?” mi ha domandato un bambino, e io “Sai le nuvole che passano nel cielo, che corrono e in certo senso rappresentano il tempo che passa no? Le persone che hanno popolato le nostre vite e quindi la cosa più importante che resta sempre la memoria, e il bello della memoria è che ognuno se la vive a modo

suo… perché in fondo è giusto così” e scatta l’applauso. Mi sento un po’ piccola, come quando ti fanno un complimento e uno arrossisce d’istinto. Poi abbiamo letto insieme alcune lettere le mio libro e quelle parole a me tanto note risuonavano di una nuova consapevolezza recitate dalle loro voci. La Preside Catacchio mi ha accolto nella sua scuola da persona di grande senso di cultura e intelligenza, qualità che apprezzo sempre personalmente. Insieme abbiamo poi concluso la giornata riflettendo in concertazione con quei giovani fuochi che sentivo accesi insieme ad un meraviglioso entusiasmo sfociato negli autografi, non ne avevo mai fatti prima in vita mia, davvero divertente. In ricordo della giornata un bellissimo mazzo di lilium. L’amore. È da qui che un giorno, siccome a me piace tanto scrivere e inventare storie, ho deciso di riportare l’amore in una storia che era solo triste. Io credo che ogni persona nella sua infinita diversità

sia capace di tramutare tanta tristezza in così tanto amore che contagia tutti con le parole, una storia che riporta tutto a quel concetto base. Questa è magia, trasformare un’emozione. Voltaire una volta disse “Anche se la tua idea è diversa dalla mia mi batterò sempre, anche con la vita se necessario, affinché tu abbia la libertà di poterla esprimere” ecco questa è una cosa a cui tengo tanto, perché è troppo importante: ogni persona è libera in quanto eguale a tutte le altre. Quale splendida meraviglia è questa? Questa è ancora magia. Volevo solo ringraziare tutti coloro che hanno permesso che questo accadesse, per questi momenti trascorsi insieme a trasmetterci così tanto sapere… bah, da esser gonfi di orgoglio. Grazie ragazzi.


A dispetto di tutte le cassandre che da diversi anni ne celebrano ad ogni piè sospinto la scomparsa, i dialetti continuano a esprimere non soltanto una coriacea resistenza, ma anche una forte vitalità. Ne fa fede tutto quel che succede nella produzione cartacea, nel cinema, nella letteratura, nella musica, ed ora anche nella rete. Ciò è dovuto a diversi fattori di tipo sociale, culturale e linguistico. Il dialetto ha dimostrato, intanto, di non autocondannarsi all’estinzione, di sapersi adeguare alla realtà che muta, di saper interpretare quell’ansia diffusa di sottrarsi ad una sorta di livellamento linguistico e di concorrere ogni giorno ad alimentare la lingua italiana. Basta pensare, per rimanere nell’ambito della Puglia settentrionale, a termini che sono entrati a pieno titolo nella lingua italiana come cartellate, lampascione, grava, murgia, trabucco, traìno. Per questi motivi è opera assolutamente encomiabile lo sforzo e il lavoro di tanti cultori, soprattutto locali (e quasi mai degli accademici), che nel corso di questi ultimi venti-trenta anni hanno speso i loro migliori anni alla compilazione di dizionari dialettali, che non è un’opera-zione di nostalgia, ma un atto di vivificazione e di rivitalizzazione di uno straordinario patrimonio che è nella storia delle nostre comunità, oltre che nella vita di tutti i giorni. Un patrimonio, frutto della creatività degli uomini, che è stato ed è in grado di unire masse di persone diverse, di dare testimonianza della vita di una comunità, di esprimere uno dei tratti identitari più marcati. In una stazione ferroviaria, in un aeroporto, in un grande centro commerciale, in uno stadio le parlate locali, più del vestire, del colore della pelle, e di altri segni, sono il tratto di immediata riconoscibilità e di distinzione. In questo filone si inserisce il Dizionario dialettale ortese (Orta Nova, Associazione culturale “L’ortese”, 2013), uscito da pochi mesi ad opera di Potito Di Pietro, un indomito vegliardo che da tempo opera nel comune di Orta Nova nel foggiano e che ha una antica dimestichezza col dialetto del suo paese. Un volume che è prima di tutto una manifestazione d’amore e un atto di generosità di Di Pietro verso la sua comunità di appartenenza e poi una messa in sicurezza del proprio dialetto operata attraverso la riscoperta e il recupero di parole e termini che vanno scomparendo e il conferimento di un senso e di un ordine a una massa informe e a un accumulo di parole. Quello di Orta Nova è un dialetto che appartiene alla famiglia apulo-foggiana e che si caratterizza soprattutto per la velarizzazione della a tonica quando non è seguita da doppia consonante (come in bbåse, cåpe, cåre, falegnåme, ecc., ma non in carne, carte, fatte, matte,ecc.), rispetto ai dialetti contermini. Un dialetto che funge da ultimo avamposto del Tavoliere in cui si usa l’ausiliare essere invece di avere, come accade nel Basso Tavoliere e nel Barese. Il volume di cui qui si parla ha più motivi di interesse perché contiene una quantità significativa di lemmi (circa 13.000) e una parte italiana-ortese abbastanza corposa e ricca di spunti, che non è un semplice repertorio-guida, ma contiene anche espressioni e modi dire con l’equivalente corrispondenza dialettale. Questo Dizionario è ricco di indicazioni morfologiche (singolare/plurale, maschile/femminile, aggettivo, sostantivo, avverbio, verbo), di toponimi

riguardanti l’intero agro ortese, di antroponimi con relativa etimologia, di numerosi proverbi, che sarebbe stato opportuno tradurre, mentre sono assenti le forme della coniugazione verbale. In questo Dizionario ortese vi è una ricchezza di termini che riguardano l’intero ciclo dell’agricoltura che da sempre costituisce l’ossatura economica di questo centro. Molti sono i riferimenti al settore vitivinicolo con numerosi lemmi che indicano i diversi tipi di vino sulla base del loro colore, della loro gradazione e della loro qualità (vine, mirre, trjusche, gnostre, vinecrude, vinecutte, muscatille, sottachiåre, muste, acqua ténde, sciacquature de vutte), i diversi attrezzi ad esso utili (carraffe, catille, mallecande varile, votte), e i mestieri collegati (candenire, carresciatore), le espressioni gergali e i modi dire (vine vécchie, uglie nuve; A Sammartine gogn’e muste addevende vine; la mamme l’acite; a la vigne de zì’ fattille). Per rimanere ancora nell’ambito agricolo numerosi e preziosi sono i riferimenti al ciclo della produzione cerealicola con l’indicazione degli attrezzi, i diversi modi di indicare gli appezzamenti di terreno in base all’utilizzo, le diverse unità di misura di superficie agraria o le diverse specie di olive, di mandorle, di fichi, ecc., a conferma che il dialetto, come la lingua, rispecchia sempre le condizioni di vita e la storia di una comunità. Ciò detto, va sottolineato anche che il dialetto di Ortanova, al pari degli altri, risente degli influssi di altre lingue per effetto dell’insediamento e per il passaggio di altri popoli o per il fenomeno dell’emigrazione. Da un’attenta lettura del Dizionario emergono anglicismi e americanismi (bbòsse, ‘capo’, principale, ‘padre’ (ingl. boss); bbrècche, ‘vettura trainata da cavalli’ (ingl. break); fàjete, ‘pugno’ (ingl. fight); ghénghe, ‘ganga’, ‘banda di ragazzacci’ (ingl. gang); francesismi (bbuatte, barattolo di latta (fr. boîte); ciuffenire, ‘cassettiera’ (fr. chiffonière); ’gattò, ‘torta a base di patate’ (fr. gateau); sparatrappe, ‘cerotto’ (fr. sparadrap); sagnà, salassare (fr. saigner, salassare); ssceffèrre, autista (fr. chauffeur); ssciassì, telaio (fr. chassis); sscicche, elegante (fr. chic); spagnolismi (arrecone, ‘luogo riparato’ (sp. rincón); attrass?, ‘essere in ritardo’ (sp. atrasar); cafurchie, ‘piccola stamberga’, ‘buco’ (sp. cabuerco); colascione, ‘uomo tardo e scemo’ (sp. colachon); lota, ‘fango’ (sp. lodo); ra?c?, ‘grattare’, ‘pomiciare’ (sp. rascar); tèmbe, ‘zolla’, sp. tepa); arabismi (arrass?, ‘allontanare’ (ar. arrada); tavute, ‘bara’ (ar. tabut); zanzåne, ‘sensale’ (ar. simsar); grecismi (pòseme, ‘amido’, ‘bozzima’ (gr. apozema); àsceme, ‘azimo’ (gr. azymos); germanismi (nocche, ‘coccarda’ germ. knokha); zanne, ‘zanna’ (long. zan); zénne, ‘piccola parte’ (long. zinna). Non potendo per ragioni di spazio esaminare il complesso dei fenomeni grammaticali e linguistici che caratterizzano questo dialetto ci limitiamo ad evidenziarne alcuni che ci paiono tra i più significativi. In primo luogo il raddoppiamento della consonante -b sia in posizione iniziale (bbabbje, babbeo, sciocco; bbeneditte, benedetto; bbjatézze, beatitudine, stato di grazia; bbotte, botta; bbulle, timbro) che interna (sàbbete, ‘sabato’; tabbacche, ‘tabacco’); il raddoppiamento della g quando è seguita dalle vocali e ed i (ggelà, gelare; ggelusije, gelosia; ggénie, genio; ggiùdece, giudice). Sono altresì da segnalare fenomeni

linguistici come la metatesi (crapicce, capriccio; préte, pietra; crapjole, capriolo; frève, febbre; padulétte, paludetta; l’apocope degli infiniti verbali (parl?, parlare; vedé, vedere; dòrme, dormire, lègge, leggere, venì, venire). E ancora la metafonesi nel passaggio dal singolare al plurale e dal maschile al femminile: carrevone (carbone), pl. carrevune; calabbrése (calabrese), pl. calabbrise; mèse (mese), pl. mise; dénde (dente), pl. dinde; fasole (fagiolo), pl. fasule; ggiovene (giovane), pl. ggiùvene; bbune (buono), f. bbòna; cammarire (cameriere), f. cammaréra); ciacisse (pettegolo), f. ciacèsse; stuppagliuse (sciocco, vanesio), f. stuppagliosa. Un’ultima annotazione riteniamo opportuno fare. Orta Nova è uno dei pochissimi centri della Capitanata che negli ultimi trenta anni ha fatto registrare un significativo incremento demografico con l’arrivo di immigrati interni e di altri provenienti dall’Est europeo e dall’Africa. Sarebbe interessante studiare questo fenomeno, oltre che sotto il profilo sociale ed economico, anche sul piano linguistico, la qualcosa costituisce una bella sfida per i giovani amanti del dialetto. Concludendo possiamo dire che anche da questo Dizionario ortese arriva la conferma dell’importanza storica del dialetto, che è una straordinaria testimonianza della nostra storia, un vero e proprio tesoro da custodire gelosamente e da tramandare ai posteri. Ed anche per questo bisogna essere grati a Potito Di Pietro.


Minguccio (Domenico) era giunto alla settantina mantenendo inalterato lo spirito burlone e lo spiccato senso dell’umorismo che lo avevano reso popolare nel paese. Alcune sue battute fulminanti erano diventate celebri, erano passate di bocca in bocca ed erano divenute modi di dire, utilizzati da tutti in situazioni simili a quelle nelle quali egli le aveva pronunziate per la prima volta. Minguccio aveva un asino, che curava come e meglio di un figlio. In realtà egli non era il solo ad avere una cura attenta dell’asino. In un paese di montagna, basato sull’economia agricola, anzi su una economia di sopravvivenza, l’asino era un animale prezioso. Era il mezzo di trasporto indispensabile ed economico, indispensabile perché capace di inerpicarsi sugli stretti sentieri di montagna, trasportando fasci di legna da ardere o sacchi di carbone; sacchi di grano dalla casa rurale al mulino e sacchi di farina e pagnotte di pane appena sfornate durante il viaggio di ritorno; barili di legno pieni di acqua potabile; ceste piene di castagne o di noci, sacchetti pieni di fave e lenticchie; formaggi e ricotte, ecc. Nel viaggio dal paese alla casa rurale, il proprietario stava a cavalcioni dell’asino, mentre in quello di ritorno procedeva a piedi tirandolo per la cavezza. Un asino, spesso, era l’unica proprietà della gente, tanto preziosa da giustificare certe espressioni che oggi ci scandalizzerebbero. Si racconta di un certo Nazario che aveva dato il permesso a suo figlio, un bambino di dieci anni, di salire in groppa all’asino e fare una cavalcata sulla mezzana circostante la masseria. L’asino, però, era inciampato ed era caduto trascinando con sé anche il bambino. Era accorso un giovane pastore, il quale aveva chiamato ad alta voce Nazario: “Corri Nazario. Tuo figlio è caduto insieme all’asino!”. Nazario aveva gridato: “Oh Madonna mia! Come sta ‘u ciucce?”. L’asino era così prezioso che veniva tenuto in casa, nella camera da letto, dietro un paravento di tavole o di stoffa (vecchie lenzuola cucite insieme, appese ad un filo di ferro). È un animale adattabile, poco esigente dal punto di vista ali-

mentare, rispetto per esempio ad un cavallo, dal momento che non si nutre solo di paglia e biada ma mangia anche altre erbe, foglie, e non disdegna i cardi spinosi (come ricorda il Carducci nella sua celebre poesia Traversando la Maremma toscana. Per questa ragione ancora oggi gli asini sono presenti nelle nostre campagne, mentre i cavalli sono quasi del tutto scomparsi. È un animale paziente, resistente alla fatica e, contrariamente a quanto si dice, anche molto intelligente. Però è cocciuto e, quando è preso da moti istintivi, ad esempio la vicinanza o il richiamo di un altro asino, la presenza invitante di cardi o di altre fonti di cibo prossimi

“Svegliarsi nei Borghi” è un progetto per promuovere, valorizzare e commercializzare la risorsa del nostro territorio più affascinante: i borghi. Il tour operator “Svegliarsi nei Borghi” si sviluppa in varie strutture situate a Troia, a due passi da Foggia alle porte dei Monti Dauni e a Celle di San Vito, il paese più piccolo della Puglia. Tutte le camere sono dotate di angolo cottura, tv, riscaldamento e servizi privati. Ogni ambiente è stato progettato e arredato per essere confortevole e funzionale. “Svegliarsi nei Borghi” è l’occasione per soggiornare in pieno centro storico, se ami vivere la città senza il pensiero dell'automobile o, se ami la tranquillità e il contatto con la natura, potrai scegliere di soggiornare a pochi chilo-

metri dal paese, in bellissime residenze di campagna. Le strutture di Troia sono situate a pochi passi dalla famosa Cattedrale in stile romanico, dispongono di diverse camere doppie e camere singole con angolo cottura e

al ciglio del sentiero, diventa sordo ai comandi del padrone. È ciò che avvenne in un caldo e assolato pomeriggio d’estate di tanti anni fa. Minguccio aveva fretta di tornare in paese perché voleva avere la possibilità di distribuire le “fuscedde” (contenitori conici fatti di giunchi intrecciati, pieni di ricotta appena preparata) ai suoi clienti prima che facesse buio. Ne aveva sistemato un bel numero in due grosse ceste legate ai due lati del basto e procedeva spedito sul sentiero in discesa. All’incrocio col viottolo che portava ad una masseria lontana una trentina di metri, l’asino, invece di proseguire dritto,

aveva imboccato la diramazione richiamato dal raglio di una asinella. Minguccio aveva tirato con forza le redini, ma l’asino opponeva resistenza e non voleva girarsi per tornare sulla via giusta. A quel punto Minguccio aveva perso la pazienza, aveva levato in alto il lungo e nodoso bastone (tutti i contadini e pastori ne hanno uno, perché serve loro da appoggio e da frusta) e aveva cominciato a menare colpi sul groppone. L’asino ragliava, scalciava, ma non procedeva di un passo nella direzione voluta da Minguccio, il quale gridava esasperato: “Maledetta bestiaccia! Che ti prende? Ah, hai sentito il richiamo della ciuccia? Beh, per stasera devi fartelo passare il pensiero, perché devo consegnare la ricotta!”. E giù botte. Minguccio era così preso da ciò che stava facendo che non si era accorto dell’arrivo di due carabinieri che erano usciti, insieme al massaro, dalla masseria e correvano verso di lui. A quel tempo pattuglie di carabinieri giravano per le campagne per svolgere opere di prevenzione e di contrasto ai reati piccoli e grandi( fra questi ultimi soprattutto l’abigeato, ancora oggi molto diffuso). Uno dei due carabinieri aveva gridato a Minguccio: “Fermati, che fai? Tu non puoi maltrattare così questo povero asino. Lo sai che stai commettendo un grave reato per il quale ti dobbiamo denunciare e fare la multa? Gli animali per la legge sono come i cristiani, come se fossero nostri parenti e, come tali devono essere trattati!”. Minguccio si fermò al pensiero della denuncia e della multa da pagare, che prevedeva molto salata ma non perse, neppure in quella circostanza, il suo senso dell’umorismo. Gettò a terra il bastone e si inginocchiò davanti all’asino con le braccia allargate e la testa china. Quando vide, con la coda dell’occhio, che i due carabinieri erano giunti a pochi passi da lui e che avrebbero potuto ascoltare distintamente le sue parole, esclamò ad alta voce: “Perdonami, asino mio, amico mio, non lo farò più! Perdonami se ho perso il lume della ragione e ti ho bastonato; perdonami soprattutto perché ho dimenticato che hai parenti carabinieri!”. Il massaro aveva riso e i due carabinieri, che non avevano capito, avevano riso anche loro e non avevano fatto né la multa né il verbale, anzi non so dire per quale ragione, l’asino si era messo a seguirli docilmente ed era tornato sul sentiero principale che conduceva al paese.

bagno. Queste strutture godono di una posizione strategica che permettono di visitare i più importanti punti di interesse turistico del borgo e di poter effettuare percorsi enogastronomici Anche quella di Celle di San Vito è situata nel centro storico. Svegliarsi nei Borghi via Pasqualicchio, 30 - 71029 Troia (Fg) cell. 349 8305477


Si partì dalla compagnia che ci allontanammo da loro per imboscarci veramente si varcò la ferrovia, ed ecco un bosco davanti, tutti allegri che ci allontanavamo da quelle canaglie; come c’internammo più in mezzo al bosco il compagno volle che riposammo a mangiare un po’ di quel pane che la mattina avevamo avuto; si fece la sosta e mangiando disse a me il calabrese: “Senti Nicola noi d’oggi innanzi dobbiamo fare un giuramento, che non dobbiamo mai prendere paesi per cercare da mangiare, ma quando ci capita sottocchio all’improvviso facciamo sosta finché fa notte oscuro e così possiamo passare per il paese, tutto d’accordo su questo, poi tutti quelli che ci vedono e ci conoscono come prigionieri li dobbiamo ammazzare perché non portano notizie al paese oppure ai Gentarmi.” Risposi: “Senti Agostino, al primo punto di evitare il passaggio dentro i paesi si siamo d’accordo, ma su questo secondo punto è una cosa che non va, perché se Iddio ci ha dato questa fortuna di scappare e vivere per conto nostro, non può darci niente meno questa carezza lunga di farci fare gli assassini e di macchiarci le mani di sangue. Ma questo no sarà mai.” Quando si finì di fare questo piccolo riposo e un po’ di colazione, riprendemmo il nostro cammino nell’interno di detto bosco, ci venne davanti una bambina sui dodici o tredici anni che alla vista di quella noi in un batter d’occhio mentre camminavamo nel bosco si sparì subito dietro a un tronco di abete, noi accovacciati dietro quel nascondiglio e lei passò davanti. La potevamo prendere coi piedi e gettarla in terra, se andò e forse ci vide e, come passò, ci alzammo e via per i fatti nostri; ma non fu così: quella tornò indietro di botto e ci seguì appresso con gridi forti da far eco nel bosco che sicuro da poter sentire chiunque anche in un paese lontano o masserie più vicino. La fermammo domandando cosa desiderasse, ci rispose tabacco; noi, come sapete avevamo avuto al mattino al concentramento prendemmo un po’ e ce lo volevamo dare in mano, disse: no, mettetelo a terra. Così fu, ora credendo di andarsene no fu così secondo noi; si prese il tabacco e incominciò a gridare più forte di prima, sempre davanti a noi, impedendo il nostro cammino; domandandola di nuovo: cosa vuoi? Un’altra volta tabacco, ed ecco l’altro perché se ne andasse; non era così ed ecco a me mi scappò la pazienza: presi un sasso e ce lo scaraventò, non la colse, poi un’altra e poi un’altra finché diventò un combattimento continuo fino alla sera inoltrata, le dieci e forse più, da non farci fare un passo avanti, quando tutto fu oscuro, sparì davanti ai nostri occhi, stanchi da non poterci reggere più in piedi, tutti sfiniti di forze e di rabbia come un cane idrofobo, che se avessi avuto la forza di prenderla i mezzo alle mani la sua fine sarebbe stata atrocissima; ma quel demonio non si fece più vedere, il compagno era anziano, mi aiutò finché poteva, ma alla fine si prese il cappotto suo e mio e il sacco vuoto e se ne andò a nascondersi dietro a una macchia per la stanchezza e lascia a me quella tentazione di combattere tutta la giornata; ebbi tempo solo a gridare all’amico di non perderci di vista; allora mi venne in mente il sacrilegio che voleva il calabrese, ma... davvero che se ci riusciva a prenderla... di quella ragazza aveva

una sveltezza tale come se un’anguilla in un pantano d’acqua, se la svignava da tutte le false puntate che io le faceva, a menarla con le sassate, a correre appresso, si metteva davanti a una certa distanza e non si arrendeva mai; Io, avevo anche i miei vent’anni, eppure mi sfinirono tutte le mie forze, mandiamola alla malora. Il giorno 2 maggio passò così malissimo. Quella notte stessa allo scuro ci mettemmo in marcia fuori di quel bosco maledetto, si vide una casa con lumi a petrolio, non volemmo andare ancora si trovava altri ostacoli, si camminò dritti in una vallata: arso di sete, si andava in cerca di un po’ d’acqua, alla fine si trovò un luogo dove gocciolava un po’ d’acqua e si aggiustò alla meglio e si mise una gavetta sotto per poter almeno bere, ci dissetammo un poco e si voleva riposare; si accese un po’ di fuoco e ci addormentammo, ma prima di fare giorno, all’alba, si prese di nuovo il cammino, dove si andava non si sapeva. Quel giorno si camminò a pancia vuota, ma prima che arrivò la sera si andò ad una casa in campagna per chiedere qualcosa da mangiare, e si presentò una vecchiaccia arrabbiata, ci fece entrare, ci guardò da capo a piede se ci avevamo qualche oggetto di valore; a me capitò di vedere un anello al dito e lo volle per forza, era un cerchietto d’oro, se lo prese e ci diede un pezzo di pizza, cioè la focaccia come si vuol chiamare; ci presentò un pezzo per uno, che con tutta la fame che ci avevamo quella non si poteva mangiare di nessuna maniera tanto erta dura, nera come un pezzo di legna, che non voleva e non si poteva ingoiare; come eravamo rimasti noi? Afflitti e sconsolati dalla collera ma, pazienza ci voleva, eravamo ormai nemici e non si poteva avventarsi, ma notte faceva; ci internammo nel bosco, si accese il fuoco, e passò la notte come Dio volle; il mattino ci svegliammo più presto, fu il 4 maggio 1918, si camminava allegramente quando si fece avanti una donna anche essa vecchia ma più buona, si vedeva, e ci chiamò - “Mascagni..venite qui” - in lingua russa; noi, ormai abituati a sentire parlare quell’accento, ci avvicinammo e così ci fece capire sempre a segnali e disse: Oggi Domini pughite, qui un lagno, prendetelo e mangiate. Quel giorno forse era venerdì ed essa era cattolica, non volle mangiare carne, prese un agnellino forse ammalato e ce lo diede a noi poi ci regalò una diecina di chili di patate e disse ancora: la montura (cioè la pelle) me la date a me e questo mangiate tutto”; figuratevi l’allegria che si godé quel giorno, ci diede anche un mezzo chilo di sale per condire il pranzo, i fiammiferi che si chiamano “zappalchi”. Subito il compagno mio tira fuori il coltello e messo a posto l’agnello li consegnammo la pelle, così noi si ringraziò tanto tanto e c’internammo nel bosco sempre vicino dove scorreva acqua limpida, si accese il fuoco, le gavette piene di patate e carne e cominciò la nostra cucina, un fuoco ben ardente con legna secca abbondante, tutto bello fatto, si messe la tavola per terra a mangiare… mangiare fino a che la sera la carne e una buona porzione di patate fu tutto liquidato. E così si passò una notte di sonno più tranquilli; così si passavano i giorni in mezzo alle campagne, la strada si faceva, i chilometri non si contavano, i giorni cattivi di pioggia ci avvicinavamo a

quelle case disabitate e si aprivano per mezzo di chiavi false. (Dato che) l’Italiano [è] sempre astuto e intelligente c’eravamo imparato anche a fare le chiavi e ne portavamo tre quattro sempre insieme che se non funzionava una, doveva essere buona l’altra e si passò così fino alla metà di giugno, masi camminava sempre a uno scopo, quando usciva il sole quella era la nostra bussola, viaggiare sempre verso il levante allo scopo di poter raggiungere il fronte russo per poter scappare da quella parte, invece non si camminò a lungo che fummo presi dai gent’armi bene armati. La nostra resa fu così: Si trovò davanti una bella Signorina che dalla campagna rincasava in un villaggio a casa sua, ci vide, e ci riconobbe che eravamo prigionieri, noi facemmo il possibile di non farci vedere, ma quella ci squadrò e fece finta di non vederci; noi ci nascondemmo alla meglio, ma dopo tutto dovemmo riprendere il cammino. Noi non sapevamo gli ostacoli che c’erano davanti a noi in quella zona paludosa, si andava sempre alla cieca, invece quella Signorina pratica del terreno non ci mo1estò per niente che camin facendo incontro i gent’armi e li raccontò il tutto della nostra vista e li informò della strada che noi facemmo. Davanti a noi c’era un fiumiciattolo piccolo ma profondo che non era possibile potersi passare; da quella parte ponti non ce n’era per passare all’altra parte, non ne esistono, e per passare ci sono le barche o i barconi da poter mettere sopra sino a cinque carretti e passare oltre. Ma tutto questo non sapevamo e c’infilammo lungo il sentiero tortuoso del torrente; intanto i vigili furono avvisati dalla suddetta Signorina e s’incamminarono dietro alle nostre calcagne fin quando in un zig-zag del torrente ci presero per un braccio e ci tirarono fuori perché alla loro vista all’improvviso noi ci gettammo nell’acqua; ci perquisirono da capo a piede e non ci trovarono niente, solo pochi chili di patate che quella notte ce l’avevamo guadagnato, anche un po’ di tabacco che le lo prendemmo in un campo che ci capitò davanti, il tabacco se lo presero loro e le patate ce li lasciarono, dippiù ci diedero come anticipo due schiaffi per uno e poi ci fecero tornare indietro sullo stesso sentiero di corsa e a pedate fin che arrivammo alla direzione dove fummo visti da quella signorina; arrivati là stava la barca pronta e ci passò dall’altra parte e ci misero davanti a loro di corsa fin che si arrivò alla caserma dei carabinieri, uscì il maresciallo, ci guardò, ci vide scalzi, i pantaloni tutti strappati da fare compassione di come stavamo conciati: Questo era ungherese, una lingua bastarda da non credersi, e mi chiamò a me per primo perché ero più giovane del calabrese, mi domandò di certe cose sempre in lingua loro, delle domande che (come) se noi fossimo paesani, come vide che alle prime inderrogazione non seppi rispondere si scaraventò come una belva feroce sopra di me con schiaffi, ma, di quelli fuori ordinanza, e ne contai, tutti di quel genere, una trentina ed io sempre zitto senza piangere, dopo aversi stancato, mi lasciò per un po’ di tempo e andò dal compagno e lo domandò lo stesso, ma quello ignorante che non sapeva neanche l’italiano, non lo rispose proprio niente, e consegnò anche lui una diecina di schiaffi, più poco di me perché lui era più anziano; dopo che la furia era passata, io per la collera di non potermi vendicare scoppio in un pianto dirotto che io stesso non mi poteva frenare che in quel momento avessi avuto un’arma nelle mie mani, ad uno ad uno l’avrei scannato tutti come capretti perchè in quella caserma forza assai non c’era, ma intanto passò così.


Con la vittoria sul Poggibonsi per il Foggia è stato la conclusione di un biennio esaltante e sofferto. Oramai sono archiviati gli inizi difficoltosi nella serie D, il ripescaggio e gli abulici e sordi imprenditori foggiani poco sensibili ai colori rossoneri. Il merito va in principalmodo a Davide Pelusi, colui il quale con il suo intervento, salvò di fatto il calcio foggiano, dando l’avvio alla splendida avventura che ha riportato il calcio foggiano

in Lega Pro Unica. Un’avventura che ha visto coinvolte le famiglie Lo Campo e Amodeo. il direttore Bellisario Masi e la splendida squadra di mister Padalino. L’allenatore, doppiamente foggiano, in questa stagione, piena di ostacoli e difficoltà, ha sempre reagito con grande carattere, basta ricordare la gara di Battipaglia dello scorso anno, quando si parlava addirittura di un suo esonero, un aspetto normale per un allenatore. Da lì poi è partita

la risalita della squadra. Ma in questa pagina della storia calcistica rossonero c’è qualcosa di fiabesco: era il 6 aprile 2004. Dieci anni fa. Il Foggia militava in serie C1. Il titolo sportivo si salvò in extremis, arrivò Coccimiglio, poi una serie di vicissitudini, la serie B svanita all’ultimo minuto ad Avellino, i maledetti playoff, i drammatici playout, l’illusione targata Zeman, il nuovo fallimento, i Dilettanti, il ripescaggio. E finalmente il 6 aprile 2014, dieci anni dopo la storia, che si diverte a giocare con le date.

Successo organizzativo e di contenuti tecnici sui campi del Tennis Club Foggia, che hanno ospitato il “4° Circuito Nazionale Giovanile Fit -Babolat 2014” meglio noto come MacroArea, affidato al sodalizio dauno dalla Federazione Italiana Tennis. Quasi 300 talenti provenienti da cinque Regioni (MarcheAbruzzo-Molise-Puglia-Basilicata) appartenenti alle categorie Under 10-12-14-16 M/F hanno dato vita a incontri entusiasmanti per tutta la settimana, sino alle finali svoltesi domenica 9 marzo. Le finali della MacroArea (e della Pia Cup) si svolgeranno a cavallo tra gli ultimi giorni di maggio e i primi di giugno a Pugnochiuso sul Gargano. “È stata una bella rassegna di tennis”, dice il maestro e istruttore nazionale Luigi Fiordelisi,“caratterizzata da un buon livello di gioco e da ragazzi, in diversi casi,

capaci di conquistare le attenzioni degli organi tecnici federali nazionali. Prossimi appuntamenti? Ai primi di maggio ospiteremo una tappa della Pia Cup e della Coppa delle Province”. In evidenza anche alcuni elementi del Tennis Club Foggia che hanno raggiunto i quarti di finale come Anita Di Pietro (U12F)

e Gabriele Dellisanti (U10M), oltre a Valerio Espedito (U14M) che ha disputato gli ottavi. “Esiste un’ottima base di ragazzi, che stanno crescendo e ci daranno soddisfazioni”, prosegue Fiordelisi, “Il campione non si può inventare, mentre i talenti vanno seguiti con serenità e impegno affinché possano sbocciare”.


Pasqua a Tavola In cucina i protagonisti della Pasqua sono l'uovo e l'agnello accompagnati da insalate, verdure e primizie di stagione in omaggio a una natura che rinasce dopo una morte apparente. Mangiare le uova, sinonimo di fecondità, nelle tradizioni più antiche celebrava la primavera: nel loro guscio si nascondeva il mistero della vita e il mangiarle simboleggiava la resurrezione della natura. Appoggiandosi a queste antiche credenze, i primi cristiani fecero dell'uovo il simbolo di Cristo, apportatore di vita e incominciarono a distribuire tra i fedeli un cestino di uova benedette. Il mangiare l'agnello invece ricorda il sacrificio di Cristo “agnello di Dio”. Le ricette di Pasqua sono, dunque a base, di questi alimenti. Uova e primizie di stagione in antipasti, in torte salate, in insalate e in tantissimi dolci. Agnelli cotti in mille modi. La cucina tradizionale di Capitanata è ricca di piatti prelibati pasquali, ve ne propongo quattro per farvi trascorrere una Pasqua molto “golosa”. Pane di Pasqua (Lu Piccilariedde) Era il pane tradizionale che si mangiava nel pranzo pasquale a Deliceto. Le massaie si sbizzarrivano a crearlo in varie forme con un foro al centro. Ingredienti: Farina, lievito di birra, sale, uova ed acqua. Su di una spianatoia versare la farina aperta a fontana, aggiungere il lievito precedentemente sciolto in acqua tiepida, il sale e l'acqua ed impastare. Dopo aver lavorato l'impasto avvolgerlo in un panno spolverato di farina e farlo lievitare. Dopo un paio di ore tagliare la pasta a pagnottine, quindi realizzare delle forme rotonde con al centro un buco. Disporle in teglia e ungerle con un pennello imbevuto di uova sbattute, (dopo la cottura assumeranno un colore dorato), infornare a 220°. Benedetto di Pasqua È l'antipasto tradizionale foggiano del giorno di Pasqua. C'è un piccolo rito prima della degustazione: il capo famiglia benedice, con un ramo d'ulivo imbevuto di acqua santa, tutti i conviviali. Ingredienti: 200 gr. di soppressata, scamorza secca, 4 uova, 2 arance, 2 limoni, olio di oliva extravergine, sale q.b. Fare bollire le uova. Tagliare a fette la soppressata, le uova sode, i limoni, le arance e la scamorza secca. Disporre in piatti piani condire con olio e sale. Cardoncelli di Pasqua Ingredienti: un kg. e mezzo di cardoncelli 1/2 kg. di carne d'agnello, cinque uova, 200 gr. formaggio pecorino, aglio, olio di oliva. I cardoncelli sono un'altra verdura selvatica tipica della Puglia. Ricordano in un certo senso i cardi, ma sono molto più teneri. Il brodo di cardoncelli con l'agnello è la ricetta tipica delle feste pasquali. Per prima cosa i cardoncelli vanno nettati, eliminando la parte dura esterna e le radici. Quindi vanno lessati in acqua abbondante e leggermente salata. Da parte preparare uno spez-

zatino d'agnello (per questo è importante farsi dare dal macellaio carne adatta allo scopo, quando la si acquista): mettere la carne a soffriggere in un tegame con olio. Quando la carne comincia a schiarirsi, aggiungere un po' alla volta l'acqua di cottura dei cardoncelli. A cottura ultimata il fondo dovrà restare abbastanza brodoso. Siamo arrivati all'ultima parte della ricetta: sbattere le uova, con una parte del pecorino. Mettere i cardoncelli nella pentola dell'agnello, assieme alle uova sbattute, portando ancora ad ebollizione e lasciando cuocere fino a quando le uova non si rassodano. Condire con il pecorino rimanente e servire in tavola. Una variante del piatto viene dalla tradizione di Deliceto nel sostituire i cardoncelli con i finocchi. Agnello a Cutturiello Ingredienti: 1 kg. di agnello, 300 gr. di pomodorini, 1 cipolla, 300 gr. di cicorielle selvatiche, prezzemolo, sale, pepe, olio di oliva, pecorino grattugiato. Se dovessimo scegliere un piatto-ensemble della cucina dauna, l'indecisione sarebbe tra l'inimitabile “pancotto”, e questo agnello al cutturiello. E' un piatto, come molti altri, del resto, tipico della “masseria”: luogo-tempio di gastronomia, dove si aguzzava l'ingegno per trarre le pietanze più sapide e gustose da quando la terra, l'allevamento, insomma le attività agro zootecniche potevano offrire. In provincia di Foggia, “allevamento” erano sopratutto pecore, agnelli, capre: che all'occorrenza venivano cucinati in modo semplici, ma sempre molto gustoso. All'agnello al “cutturiello”, Rignano Garganico, suggestivo paesino inerpicato sui costoni più occidentali del Gargano, dedica annualmente una sagra. Ma passiamo alla preparazione di questo piatto. Ne diamo la versione ricca, con l'avvertenza che il condimento potrà essere utilizzato anche quale condimento per la pasta o per un pancotto. L'agnello va tagliato in pezzi, molto piccoli e va quindi messo in una grande pentola in cui in precedenza si saranno posti i pomodorini (bisogna sceglierli del tipo che d'inverno si conserva sui balconi, nelle tipiche “serte”) strizzati tra le dita, la cipolla finemente tagliata, prezzemolo, sale, pepe. Una volta messa la carne, coprire a filo con acqua ed aggiungervi un mezzo bicchiere di olio di oliva. Si pone il tutto sul fuoco, fuoco lento in modo che la cottura non disperda i sapori, e che dopo circa un ora si aggiungono le cicoriette e si cosparge il tutto di abbondante pecorino grattugiato. Si prosegue la cottura - a pentola coperta per un'altra ora circa, allungando il fondo di cottura qualora tenda a restringersi. La quantità di cicoriette può essere ancora aumentata, portandola anche ad un chilo: in questo caso, il fondo di cottura può essere utilizzato come piatto a sestante e questo inimitabile agnello al cutturiello diventa un eccezionale piatto unico. Un’avvertenza riguarda il modo di “acconciare” la pietanza nei piatti di portata. Tutti gli ingredienti, la carne, le cicoriette, i pomodori, vanno suddivisi equamente nei diversi piatti, in modo che ogni commensale ne abbia una quantità sufficiente e possa gustare fino in fondo questo piatto tanto frugale quanto originale.


RAFFALE COLUCCI IL VENTO TRA LE SPIGHE GLI AVVENIMENTI STORICI DAL 1860 AL 1974

Il terzo volume del “Vento tra le spighe” porta la firma di Raffaele Colucci, l’autore racconta 114 anni di storia italiana ed ortese che va dall’Unità d’Italia, alla prima e seconda guerra mondiale sino alla metà degli anni ’70. Un narrare la storia supportata da letture e testimonianze locali, con ampio spazio ad approfondire il vissuto degli ortesi nel vivere gli eventi. La grande documentazione utilizzata è stato un sussidio per cogliere il divenire della storia e le sue mille implicazioni politiche, economiche, sociali, civiche e morali. Colucci, da buon ricercatore storico, ha saputo ben utilizzare le immagini, le delibere e gli avvenimenti per dare una identità e una veritiera caratterizzazione dei personaggi, dei gruppi sociali e delle classi, elementi essenziali nella vita politica, sociale ed economica di Orta Nova.

DORA DONOFRIO DEL VECCHIO CROCIATI SANTI BRIGANTI GLOBALPRINT L’idea di realizzare a Sant’Agata di Puglia una rivista che non fosse semplicemente un contenitore di singoli fatti o notizie, ma custode e garante di sentimenti

culturali importanti, cominciò a trasformarsi in un progetto concreto sul finire del 2006. Teso alla valorizzazione del territorio e di tutta la sua ricchezza culturale carica di storia e tradizioni, nella primavera del 2007 nasceva così la rivista “Il Santagatese”. Promuovere e valorizzare la storia di un territorio, che nel corso dei secoli ha fatto un cammino importante riscontrabile oggi in tracce di grande valore richiedeva, però, necessariamente il sostegno e l’impegno di chi quelle orme le aveva sempre inseguite con grande passione e professionalità. E chi se non la professoressa Dora Donofrio Del Vecchio poteva impreziosire una rivista nata dalle pulsioni di alcuni cuori sensibili? Proprio i suoi interventi, infatti, hanno reso ogni singola uscita del “Santagatese” un incontro prezioso con il patrimonio storico, archeologico, turistico, paesaggistico, sociale e religioso di Sant’Agata di Puglia. I temi trattati dalla Donofrio nelle varie uscite della rivista hanno disegnato nel tempo un quadro di Sant’Agata di Puglia da cui emergono uomini che con le loro opere l’hanno illustrata, come Crociati e Santi, vicende che l’hanno inserita a pieno titolo nella storia del Regno di Napoli, come la partecipazione a fianco del re Ferdinando I nella guerra di successione tra Aragonesi e Angioini del 1462, o il brigantaggio postunitario, fenomeno in cui si distinse il capobrigante santagatese Giuseppe Schiavone.




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