PROGRAMMA
CreativeCityLab
Laboratori Coordinari di Urbanistica 2 Prof. Maurizio Carta Prof. Alessandra Badami Prof. Daniele Ronsivalle Mentor Barbara Lino Tutor Annalisa Contato Carmelo Galati Tardanico Luca Torrisi Cosimo Camarda Dalila Sicomo
Maurizio Carta professore ordinario di Urbanistica
Alessandra Badami professore associato di Urbanistica
Daniele Ronsivalle professore associato di Urbanistica
Barbara Lono ricercatore di Urbanistica
Annalisa Contato PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale
Carmelo Galati Tardanico PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale
Luca Torrisi PhDstudent in Architettura, Arti e Pianificazione
Cosimo Camarda PhDstudent in Architettura, Arti e Pianificazione
Dalila Sicomo Dottore Magistrale in Architettura
CREATIVE CITYlab
PALERMO TRA LUOGO E MONDO, COMUNITÀ E FLUSSI P
Lo scenario attuale su scala mondiale è contraddistinto da una situazione economica, sociale e culturale in cui all’intensificazione dei flussi di beni immateriali e di interazioni si contrappone la materializzazione di frontiere e barriere. Una situazione dovuta alla presenza, alla scala sia locale sia globale, di società multietniche e multiculturali che hanno una influenza sulle tradizioni e sull’identità locale.
Lo scenario attuale su scala mondiale è contraddistinto da una situazione economica, sociale e culturale in cui all’intensificazione dei flussi di beni immateriali e di interazioni si contrappone la materializzazione di frontiere e barriere (Guarrasi, 2011). Una situazione dovuta alla presenza, alla scala sia locale sia globale, di società multietniche e multiculturali che hanno una influenza sulle tradizioni e sull’identità locale. A questo va aggiunto che il proliferare di disuguaglianze, conflitti sociali e situazioni di disagio personale rende ancora attuale il tema dell’inclusione sociale tramite la richiesta di una dimensione spaziale accessibile delle politiche di welfare urbano (Bellaviti, 2011). In seguito alla crisi economica che ha caratterizzato gli ultimi decenni, si sono diffuse pratiche collaborative che hanno permesso di ripensare le relazioni tra cittadini, enti pubblici e soggetti privati. I processi di auto-collaborazione comportano un cambio di paradigma per quanto riguarda sia l’organizzazione sociale che l’economia collaborativa, in quanto bisogna intercettare nuovi bisogni diffusi. In questa prospettiva va considerata anche la sharing economy (Rifkin, 2014). Il concetto di cosmopolis non è univoco ma al suo interno presenta alcune sfaccettature estremamente varie, a volte contrastanti, che fanno di questa parola un contenitore che solo il progetto di città può riuscire a riempire di significati univoci.
cittadini, come il latino civitas) troveremo che in essi è presente un doppio significato: 1. Il primo significato probabilmente più comune e più adoperato di cosmopoli è quasi sinonimo di città globale che è capace di aprirsi al Cosmo, ovvero all’universo, attraverso relazioni, funzioni, significati, valori aggiunti che solo una grande “città globale” è capace di offrire. Questo significato ha bisogno di essere articolato e declinato nella città contemporanea. La Cosmopoli, quindi, non è una città assoluta, ma si alimenta della “liquidità” (alla maniera di Baumann), e genera la forma non predeterminata della città contemporanea. 2. La Cosmopoli, però, è anche una città in cui si racchiude il significato del tutto in un sistema ordinato di relazioni tra i cittadini e gli spazi che essi vivono e costruiscono. La cosmopoli è una città dalla forma ideale in cui le singole parti hanno senso rispetto ai cittadini che vi abitano, garantendone i diritti fondamentali alla felicità (citando la Costituzione degli Stati Uniti d’America): nella Cosmopoli ideale troviamo la perfetta corrispondenza tra città e cittadini; in essa si manifesta la forma perfetta del patto di associazione tra gli uomini. La città esiste in virtù del suo sistema sociale, del governo, delle economie, delle funzioni che la comunità mette in campo. L’ordine formale della città ideale è un riflesso della felicità dei cittadini che vi abitano. La Repubblica di Platone, la Gerusalemme Celeste di Agostino, la Città del Sole di Giordano Bruno, la Città ideale dipinta dall’anonimo Pittore e tutti gli altri esempi di città ideale prodotti nella storia, via via fino alle città ideali dei socialisti utopisti e dei più recenti sperimentatori delle relazioni tra città e comunità come Le Corbusier e Olivetti, animano il significato di cosmopoli come sistema ordinato di città e società.
Cosmopoli come città ideale: origini e riflessioni sul termine Se infatti proviamo a leggere la composizione dei due termini, Cosmos ovvero “ordine delle cose” e Polis cioè città (ma anche cittadinanza come insieme dei
L’habitat urbano può essere cosmopolita? I più recenti paradigmi urbani dicono che la città non è un meccanismo puramente artificiale, ma vive della relazione tra naturale e antropico, artificio e natura,
V Vision
1
CreativeCity Lab - LabUrba_20
V con le stesse caratteristiche tipiche dell’habitat in natura, come ad esempio nella visione contemporanea dell’urbanistica delle relazioni metaboliche. L’habitat cosmopolita è vivo ‒ di una vitalità “biologica” ‒ e si anima di elementi che contribuiscono dall’esterno a determinare la sua natura di città aperta al mondo e dall’interno ad offrire esperienze urbane di tipo cosmopolita. Abitare una città cosmopolita significa, quindi, vivere una identità in divenire, in cui l’obiettivo è perseguire la felicità dei suoi abitanti. Una città cosmopolita è una città compenetrata da una complessa schiera di forze globali e locali che creano nuove visioni (e divisioni), gerarchie e opportunità, tensioni. La ricaduta più evidente della forza dirompente delle tensioni generate dall’habitat cosmopolita (interno ed esterno, apertura e identità, spazi progettati e spazi informali) è nella sfida posta dagli impatti che le migrazioni su scala planetaria comportano alla scala locale, nell’accogliere e generare punti di vista molteplici e plurali. L’abitare cosmopolita viene alimentato sempre più da flussi migratori che si sommano a dinamiche migratorie: i flussi di attraversamento e le nuove condizioni di stanzialità insieme generano nuove forme di territorializzazione. Tuttavia, mentre i flussi migratori procedono spesso per attraversamenti di territori, generando forme di occupazione temporanea degli spazi della città, i fenomeni di immigrazione producono trasformazioni di più lunga durata che si radicano con effetti di varia natura all’interno dei tessuti urbani. Entrambe le dinamiche richiedono di affrontare il tema della mescolanza, introducendo negli aspetti del governo del territorio le questioni che variano dall’integrazione multietnica e multirazziale tra popoli alla gestione dei fenomeni di enclave, dalla mediazione dei conflitti alla ricerca di nuove possibili sinergie, dalla necessità di dotare l’armatura urbana di funzioni e servizi diversificati all’introduzione di nuove forme di uso dello spazio pubblico, dalla pratica di nuove forme di partecipazione e di sussidiarietà fino ad affrontare anche gli aspetti delle integrazioni impossibili. Nell’oscillazione tra luogo e mondo, si aprono nuovi scenari di azione e campi di sperimentazione per l’urbanistica. Le principali sfide a cui la città cosmopolita rimanda si raccolgono attorno a due ordini di questioni: • la risoluzione del conflitto e delle tensioni spaziali effetto delle migrazioni e l’individuazione di pratiche e dispositivi che fungano da acceleratori di “convivenza plurale” e integrazione: luoghi dell’accoglienza, della condivisione e dello scambio, urbanistica informale e movimenti sociali, 2
Cosmopolitan Habitat
V associazionismo a supporto della convivenza e dell’integrazione, etc. (#comunità, contaminazione, accoglienza, apertura, mediterraneo, migrazioni, flussi, condivisione, scambio, responsabilità, mobilità, diritti, cittadinanza, clima); • la generazione o “alimentazione” di “luoghi mondo” che fungano da nodi locali di reti globali a supporto di una cultura cosmopolita: luoghi della internazionalizzazione, delle culture, della creatività e dell’innovazione (#giovani, università, innovazione, rango, mondo, internazionalizzazione, immagine, cibo, Unesco).
e inoltre i luoghi per lo svago, i centri direzionali, i centri di ricerca. La città cosmopolita si abita perché ha un’identità cosmopolita. A partire da questo stato di cose, il Laboratorio di Urbanistica indagherà l’habitat cosmopolita.
L’habitat cosmopolita è caratterizzato: • da una comunità spesso di provenienza globale, con forti connotazioni multiculturali, aperture alle comunità migranti, riconoscimento della propria identità originaria come frutto di un habitat cosmopolita che si è sviluppato nella storia; • da una offerta di città in termini di servizi, luoghi e occasioni che possono creare un rango urbano di altissimo livello contribuendo ad accrescere e moltiplicare tensioni positive. La città cosmopolita e la cittadinanza cosmopolita insieme danno vita all’habitat cosmopolita. Una delle condizioni chiave nella descrizione dell’habitat cosmopolita è il sincretismo (non solo religioso, anche se ne è la forma più evidente). Il sincretismo (inteso come incontro fra culture diverse che genera mescolanze, interazioni e fusioni fra elementi culturali eterogenei che connette e metabolizza culture differenti e lontanissime tra loro) segue una doppia logica: aggregante e ibridante La nuova struttura sociale “contaminata” della città e la definizione dell’habitat urbano (spazi dell’abitare, spazi urbani, spazi del lavoro ecc) può trovare occasioni di sviluppo sincretico del cosmopolitan habitat, e si contrappone agli specialismi di comparti del tessuto urbano e ai processi di gentrificazione. Quadri funzionali per l’habitat cosmopolita? Come si abita una città cosmopolita? Una città cosmopolita è abitata da una comunità multiculturale aperta alla possibilità di incontro dell’altro e disponibile a affrontare la socialità dello spazio pubblico e dei nuovi luoghi deputati all’incontro. La città cosmopolita si abita in tutti quei luoghi che sono frutto di questa nuova socialità. Alcuni di essi sono quelli della città contemporanea, ma spesso animati da nuovi significati: la piazza, i luoghi generatori di flussi e le porte della città (stazioni, porti, aeroporti), i luoghi della cultura sempre più integrati nel tessuto urbano anche attraverso attività “itineranti” che alla fine rafforzano il ruolo della “casa nobile” della cultura riconducendo in essa i cittadini, 3
CreativeCity Lab - LabUrba_20
sono fatte cosmopolite, aprendo la città a un turbine di segni che esalta la sua pluridentità. Non vi è luogo che non sia palinsesto di identità, ipertesto narrativo di vite, grembo materno di storie. Si tratta di una sfida urbanistica, che impone di reimmaginare e rimodellare lo spazio dell’abitare e del produrre, i luoghi dei servizi e delle relazioni e soprattutto le loro interfacce perché siano porose e capaci di una costante traduzione tra i segni e i linguaggi che vi si incontrano. Con l’obiettivo di reimmaginare la città di Palermo in un’ottica cosmopolita, i Laboratori Coordinati sperimenteranno analisi e soluzioni progettuali applicando i paradigmi della Augmented City. I Laboratori focalizzeranno all’inizio la loro attenzione sull’intera città attraverso dei filtri tematici che serviranno a redigere un Atlante di Palermo che non guarda solo alla stacitità delle sue componenti, ma alla dinamicità e all’interazione, e alla potenzialità dei flussi, interni ed esterni. L’Atlante avrà, pertanto, l’obiettivo di individuare quelle componenti che presentano già caratteristiche cosmopolite e quelle problematicità che devono essere risolte nell’ottica dell’inclusione e dell’integrazione. Un successivo cambio di scala condurrà alla sperimentazione, ibridando punti di vista diversi, metodologie e soluzioni progettuali, politiche urbane, processi partecipativi, progetti architettonici e urbanistici e azioni concrete sullo spazio urbano, facendo riferimento ai valori condivisi del milieu creativo, dell’energia, dell’innovazione, del valore della resilienza e del diritto alla partecipazione, che si configurano come risorse locali e potenti forze per progettare e restituire città fondate sulla cultura, sulle tradizioni, sulle multietnie, sulla coesione, sulla comunicazione, sulla cooperazione, sulla nuova manifattura e sulla mobilità sostenibile, capaci di produrre immagini innovative del progetto di rigenerazione, sostenibilità, sviluppo e attrattività. Palermo sarà analizzata come città di città, come palinsesto di spazi e comunità multiple e plurali che richiedono un approccio transcalare alle sue risorse.
M Mission Nell’era della metamorfosi in cui ci troviamo, servono nuove visioni, diversi paradigmi e rinnovati protocolli dello sviluppo, un nuovo modo di affrontare e guidare i sistemi ecologici, culturali, politici, economici e sociali prodotti dalla condivisione globale dei problemi. La sfida che abbiamo di fronte è quella di reimmaginare il “capitalismo ibrido” (Castronovo 2011), più responsabile e reticolare, del Mediterraneo: epicentro europeo, africano e medioorientale come grande progetto politico, economico, culturale e sociale. Un Mediterraneo produttore di cosmopolitismo, radice positiva e feconda della globalizzazione, in cui le differenze non sono solo valori da difendere, ma risorse da mettere in gioco, nuovi apporti per fortificare il patrimonio genetico e politico delle comunità. In questo scenario le città europee devono ritrovare la loro radice cosmopolita per rispondere alla metamorfosi del mondo che ci richiama ad essere sia cittadini del cosmos ‒ un mondo sempre più transnazionale ‒ sia cittadini della polis, abitanti fluttuanti di città-mondo. Soprattutto le città mediterranee dovranno rinnovare la loro identità cosmopolita che le ha forgiate. Palermo è sempre stata cosmopolita, fenicia e romana nelle forme primigenie e nel linguaggio, araba e normanna nelle strade e nelle architetture, aragonese e angioina nei fasti, ibridando culture, accogliendo stili, arricchendo tradizioni e forgiando con esse lo spazio urbano (Cabianca, Carta, 2008). Nulla di quello che dal mondo è transitato per Palermo è rimasto immutato nel suo incontro con la città: le culture, le tradizioni, le architetture, le piante, la cucina, le parole e le arti si
4
Cosmopolitan Habitat
A Action Con l’obiettivo di progettare la città di Palermo in un’ottica cosmopolita, i Laboratori coordinati affronteranno il tema/progetto della Augmented City come sfida per re-immaginare la città, gli spazi pubblici, le comunità, le relazioni, le infrastrutture, i servizi e i paesaggi per i tempi che cambiano. La sperimentazione progettuale, su aree di studio predefinite, produrrà soluzioni innovative per la città, creando un nuovo equilibrio tra urbano e urbanizzabile, riattivando
luoghi e spazi dismessi, in disuso o in declino, e ri-ciclando infrastrutture, paesaggi ed edifici che possano accogliere nuovi cicli di vita urbana. Con l’obiettivo specifico di trasformare gli spazi della città in luoghi “cosmopoliti”, i laboratori applicheranno specifiche metodologie di analisi e un approccio processuale, incrementale e adattivo per la fase di progettazione della rigenerazione urbana. I talenti e la creatività urbana, l’innovazione tecnologica e la cittadinanza attiva fungeranno da straordinari strumenti per la riconfigurazione dei cicli urbani, come attivatori di reti, catalizzatori dei flussi e come risposta collaborativa alle necessità della città. La definizione degli obiettivi strategici necessari per mettere a punto i processi di rigenerazione urbana saranno guidati dai paradigmi della Augmented
City, attraverso l’applicazione del Cityforming© Protocol per la simulazione di un progetto complesso e incrementale di nuovi metabolismi urbani. Le sinergie tra pianificazione strategica, progettazione urbanistica e politiche urbane stimolate dall’uso del Cityforming© Protocol contribuiranno a rigenerare la città. Il Cityforming© Protocol è un metodo incrementale di tattiche colonizzatrici, di conseguenti radicamenti consolidativi e di scenari di sviluppo che predilige un approccio da masterprogram strategico, animato dall’adozione di un programma di interventi mirato alla nascita di un ecosistema urbano complesso e instabile come un sistema vivente, piuttosto che immutabile nelle regole del masterplan, ma sostanzialmente morto.
AREE DI STUDIO 1. Foce dell’Oreto | giardino planetario 2. Kalsa | arte contemporanea e nuove manifatture 3. Cala | porto liquido e città porosa 4. Via Maqueda | il cammino delle culture 5. Albergheria | migranti e mercanti 6. Martorana | Itinerario Unesco della cultura Arabo Normanno 7. Museo Riso | attraversamenti e spazio pubblico 8. Capo | mercato e servizi di quartiere 9. Città Universitaria | educazione, ricerca e internazionalizzazione 10. Danisinni | integrazione ed educazione di comunità 11. Zisa e Cantieri Culturali | creatività e innovazione sociale 12. Borgo Vecchio | street art e produzione 13. Villa Deliella | Museo e itinerario del Liberty 14. Stazione Notarbartolo | centro direzionale e rammendo urbano 15. Fiera del Mediterraneo | centro congressi e scambi 16. Villa Igiea | turismo e la città dei Florio 17. Via Ugo La Malfa | dorsale dei servizi 18. Borgo Nuovo e CEP | nuovi abitanti della città plurale 19. Mondello | città giardino e balneare 20. Sferracavallo | eco-borgata, porta nord
20
19
17 15 18
5
16
14 12 13 8 3 4 2 7 11 5 10 6 1 9
CreativeCity Lab - LabUrba_20
L Lezioni La didattica dei Laboratori Coordinati prevede lezioni frontali che forniranno conoscenze teoriche, metodologiche ed esempi di buone pratiche nazionali ed internazionali utili a fornire le competenze necessarie per affrontare i temi proposti sia nella fase analitica che per la sperimentazione progettuale. Agli approcci teorici e metodologici proposti sarà associata una lettura delle trasformazioni attuate nell’ambito di processi di rigenerazione urbana di alcune città internazionali. Le pratiche presentate saranno selezionate tra quelle che stanno realizzando sperimentazioni progettuali innovative che possono essere ricondotte alle componenti/sfide del paradigma della Augmented City. Le lezioni previste riguarderanno: • The Augmented City. A paradigm shift; • Reimagining Urbanism; • Re-cycling Urbanism: le nuove sfide per la rigenerazione urbana; • Il lato oscuro dell’utopia. Può l’urbanistica progettare la città? • Cityforming© Protocol; • La pianificazione urbana strategica e la progettazione urbanistica; • Buone pratiche: processi di rigenerazione urbana e umana; • Le domande di trasformazione e l’agenda in atto a Palermo.
Open lectures Giulia Argiroffi Giuseppe Barbera Andrea Bartoli Ignazio Buttitta Roland Carta Alessandro Cacciato Michele Cometa Adham Darawsha Giulia De Spuches Nicola Di Bartolomeo Gianni Di Matteo Paolo Di Nardo Enzo Fiammetta Fabio Giambrone Marco Giammona Vincenzo Guarrasi Claudio Gulli Paolo Inglese Fakher Kharrat Davide Leone Francesco Lipari Giuseppe Lo Bocchiaro Danilo Maniscalco Gianfranco Marrone Nicola Martinelli Alessandro Melis Gianluca Peluffo Ippolito Pestellini Luparelli Lucia Pierro Mosè Ricci Igor Scalisi Palminteri Marco Scarpinato Jörg Schröder Simone Sfriso MassimoValsecchi 6
S Seminari Seminari integrativi, condotti da giovani ricercatori, amplieranno l’apparato teorico dei Laboratori Coordinati e forniranno ulteriori spunti di riflessione grazie alla molteplicità dei temi che verranno trattati e alle letture di alcune città internazionali che verranno proposte. Attraverso diversi punti di vista con cui è possibile leggere, interpretare e ripensare il futuro di un territorio, saranno forniti indirizzi metodologici e progettuali per affrontare sia la fase diagnostica che progettuale. I seminari integrativi previsti riguarderanno le seguenti tematiche: • Periferie e piattaforme di abilitazione dell’innovazione sociale; • Policentrismo urbano; • Sincretismo urbano; • Il metabolismo urbano; • Le nuove pratiche per la produzione e per l’integrazione sociale; • Il turismo nei centri storici: opportunità e minacce.
Cosmopolitan Habitat
Md Metodologia didattica
Le attività dei Laboratori Coordinati si svolgeranno principalmente in aula attraverso lezioni frontali e attività laboratoriali, che saranno oggetto di continue discussioni e confronti seminariali e che permetteranno la costante integrazione delle intuizioni, delle interpretazioni e delle scelte progettuali. Tutti gli elaborati del workshop, alla fine del percorso, saranno oggetto di una mostra finale. La valutazione del lavoro di ogni singolo studente avverrà attraverso: • valutazione durante le discussioni seminariali del prodotto dell’esercitazione, che sarà articolata in step sulla base della metodologia applicata; • esame finale, che consisterà nella discussione del prodotto dell’esercitazione progettuale, con riferimento agli argomenti teorici che sono stati affrontati durante l’intero Corso, e nella quale sarà previsto un contributo progettuale complessivo e un contributo progettuale di approfondimento. La valutazione sarà, comunque, continua durante tutto l’anno, attraverso la progressiva elaborazione/ correzione del progetto in aula, la frequenza al Corso e la partecipazione alle varie attività proposte durante l’anno.
7
CreativeCity Lab - LabUrba_20
W
alcune aree della città di Palermo. Il workshop sarà articolato in due fasi: analisi e interpretazione; progetto.
Workshop
W1_Analisi e interpretazione
I Laboratori Coordinati di Urbanistica 2 saranno una vera e propria “agenzia di progettazione” e agiranno nella filiera didattica-ricerca-sviluppo per produrre soluzioni progettuali innovative per la città di Palermo, creando un nuovo equilibrio tra città e comunità, tra urbano e urbanizzabile, tra spazio pubblico e spazio costruito, tra spazio e usi, riattivando il dismesso e riciclando infrastrutture, paesaggi o edifici che possano accogliere nuovi cicli di vita urbana. Nelle fasi del workshop saranno applicati paradigmi, metodi e strumenti attraverso sperimentazioni progettuali di rigenerazione urbana applicate in
La prima fase del workshop prevede l’applicazione di tecniche di analisi, valutazione e interpretazione della struttura della città di Palermo, individuando le componenti che definiscono il livello di dinamismo cosmopolitano della città, le interazione e i flussi, le diverse comunità esistenti e i diversi usi degli spazi pubblici, guardando alla storia ma anche all’evoluzione/trasformazione in atto in funzione delle nuove componenti culturali e delle nuove tradizioni che si integrano e si fondono con quelle esistenti, generando sia conflitti sia processi inclusivi.
8
Ciò consentirà allo studente di mettere in pratica quegli esercizi metodologici che rappresentano le prime fasi di un processo di progettazione urbana. La fase di analisi, suddivisa in due momenti, consisterà nella redazione di due elaborati. • In un primo momento saranno prodotti degli elaborati analitico-interpretativi per un Atlante composto da circa 20 mappe tematiche, ognuna delle quali sarà assegnata ad ogni singolo gruppo. • In un secondo momento sarà effettuata un’analisi alla scala dell’area di studio che verrà assegnata. La metodologia di analisi proposta tenderà a rilevare le componenti materiali e immateriali delle aree, proponendone un’implementazione che tenga conto della storia del quartiere, delle riserve di resilienza esistenti e della qualità dell’ambiente urbano andando oltre la sola analisi
Cosmopolitan Habitat
delle funzioni presenti. Sarà porposta, quindi, un’analisi del tessuto urbano attraverso specifici tematismi che restituiranno una lettura statica e dinamica, dell’esistente e del vissuto, degli usi formali e non formali. Per i lavori di analisi saranno coinvolti gli studenti degli istituti scolastici superiori impegnati in “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” attivati con il Dipartimento di Architettura.
W2_Progetto La seconda fase del workshop prevede la simulazione di un progetto complesso che reimmagina un nuovo scenario di sviluppo per Palermo, al fine di riattivare la città attraverso le sinergie tra pianificazione strategica, progettazione urbanistica e politiche urbane.
Utilizzando il paradigma della Augmented City e le dieci sfide con cui è declinato, attraverso un approccio progettuale ecosistemico e circolare, il progetto di rigenerazione urbana e umana nelle aree di studio assegnate dovrà essere elaborato attraverso le modalità del Cityforming© Protocol, definendo: obiettivi incrementali e strategie (a breve, medio e lungo termine), politiche urbane, cicli di vita urbana da riattivare, nuovi cicli di vita urbana da innescare, pianificazione degli usi, norme, attori, progettazione degli spazi pubblici e dei complessi edilizi. L’obiettivo da perseguire sarà quello di proporre una città e una comunità cosmopolite, creative e innovative. I progetti dei Laboratori affronteranno numerosi temi, come la città ecologica e resiliente; la multifunzionalità degli spazi; il rilancio dell’interesse dei privati e la promozione di partnership
9
pubblico-privato; la creazione di nuove centralità a elevata specializzazione; l’intervento sullo spazio pubblico, sul sistema del verde urbano e della mobilità; la rigenerazione economica e della coesione sociale; la dotazione di servizi; la ricucitura dei paesaggi di margine; le conflittualità negli usi dello spazio pubblico; la convivenza/integrazione di tradizioni diverse che necessitano di spazi e servizi diversi.
CreativeCity Lab - LabUrba_20
Vs Viaggio di studio Poiché l’obiettivo dei Laboratori Coordinati di Urbanistica 2 è di fornire agli studenti le capacità di analizzare e interpretare la struttura dei sistemi urbani, i processi di trasformazione e innovazione, da diversi anni viene organizzato un viaggio di studio in una città europea. Il viaggio è dedicato alla visita critica di luoghi e di esperienze e allo scambio di riflessioni con studiosi che concorrono alla declinazione dei paradigmi e degli strumenti di un nascente Recycling Urbanism. Anche per quest’anno sarà portata avanti l’iniziativa “CreativeCity Lab on the road”: è prevista la visita della città di Barcellona in cui è possibile riconoscere processi di trasformazione e rigenerazione urbana incrementali e adattivi, che si presentano come casi esemplari di Cityforming.
LabUrba 10
Amsterdam
LabUrba 11
London LabUrba 12
Berlin
LabUrba 13
Marseille Montpellier 10
Cosmopolitan Habitat
Berlin Hamburg
LabUrba 17
Paris
LabUrba 18
LabUrba 19
Marseille Aix-en-Provence Lione LabUrba 16
LabUrba 14
Stockholm LabUrba 15
Barcelona 11
CreativeCity Lab - LabUrba_20
“Non immaginare il diverso futuro possibile, ignorare il futuro che vogliamo, ci mutila e ottunde nel presente� Danilo Dolci
Cosmopolitan Habitat
approfondimenti scientifici
Mediterraneo Cosmopolita. Abitare il nuovo regime climatico di Maurizio Carta
Davanti al fallimento delle soluzioni per uscire dalla crisi ‒ vetero-keynesiane da un lato, e iper-liberali dall’altro ‒ esiste un ulteriore scenario, che coinvolge soprattutto il futuro del Mediterraneo. Riguarda la consapevolezza che nel corso della storia, fin dalla nascita del capitalismo, ogni crisi s’innesca nel cuore economico e politico del mondo e al superamento della crisi corrisponde la nascita di un altro cuore che sposta i baricentri e ridisegna le relazioni. La sfida che abbiamo davanti è quella di reimmaginare il “capitalismo ibrido” (Castronovo 2011), più responsabile e reticolare, del Mediterraneo: epicentro europeo, africano e medio-orientale come grande progetto politico, economico, culturale e sociale. Un nuovo centro con quasi 500 milioni di abitanti (di cui quasi due terzi nella sponda sud-est), con radici profonde nella storia, con gambe migranti nel presente e con lo sguardo proteso verso il futuro, non più guidato solo dall’idolatria del mercato e dalla produzione di valore immateriale, conteso tra protezione e apertura, è la sfida più importante per riattivare il futuro di un paese come l’Italia che del Mediterraneo è l’innesco, per la sua posizione, per la sua storia, per la sua migliore tradizione politica. Quando si affronta il tema del Mediterraneo, e soprattutto dei rapporti tra Europa e paesi della sponda Sud, il dibattito e le proposte oscillano tra due visioni contrapposte. Da un lato il Mediterraneo come “mercato”, nuova area di espansione per la produzione bulimica dell’Asia e i consumi asfittici dell’Europa, grande bacino di materie prime e di manodopera: una visione funzionale tutta interna ad un modello di sviluppo che vede l’Europa mitteleuropea guidare il processo in un’ottica centripeta verso l’agglomerato industriale-logistico tedesco. Con una conseguente politica di mobilità che ha disegnato i Corridoi Trans-Europei, a cui si oppone il Corridoio Meridiano3 di attraversamento liquido est-ovest e che può fungere da vero e proprio
Siamo entrati in un “Nuovo Regime Climatico” (Latour 2015), un regime della nostra esistenza che tiene insieme la questione ambientale, l’esplosione delle diseguaglianze, l’impatto della deregulation, la devastazione della mondializzazione e, soprattutto, il desiderio di tornare alle vecchie protezioni dello Stato nazionale e, quindi, l’esplosione del populismo1. Poiché non siamo di fronte ad una semplice crisi di attraversamento ma a una vera e propria metamorfosi, servono nuove visioni, diversi paradigmi e rinnovati protocolli dello sviluppo, ed anche un nuovo modo di affrontare e guidare i sistemi ecologici, culturali, politici, economici e sociali prodotti proprio dalla condivisione globale dei problemi (Beck 2017). Siamo alla fase apicale di una crisi pandemica che si diffonde dagli anni Sessanta, quando è iniziata a diffondersi la consapevolezza che il modello di sviluppo occidentale stava producendo diseguaglianze sociali, un impoverimento culturale e un consumo di risorse fisiche oltre i limiti del pianeta2. L’etica della responsabilità a cui siamo chiamati come urbanisti ‒ ma anche come educatori, dirigenti, studiosi e genitori ‒ ci impone che, una volta assicurata la sostenibilità ecologica degli insediamenti, dovranno essere attivate azioni concrete per il recupero creativo delle risorse aggredite o degradate dalle attività umane, attraverso un loro pieno coinvolgimento nel progetto di futuro che le comunità locali intendono perseguire in un rinnovato patto con la città e il territorio, con l’ambiente e il paesaggio, entro uno scenario di cooperazione e sussidiarietà che è alla base di una vera e fattuale intelligenza collettiva in politica e in economia. Sulle conseguenze della perdita di orientamento politico derivati dal Nuovo Regime Climatico Bruno Latour ha scritto recentemente pagine chiare, prescrivendo la necessità di «toccare terra da qualche parte», di ancorarsi a terra, ma soprattutto di sapere come orientarsi attraverso una nuova mappa che ci permetta di ridefinire non solo gli effetti della vita pubblica, ma anche la posta in gioco (Latour 2018). 2 E numerose sono stati gli allarmi a partire da quello straordinario libro che fu Silent Spring di Rachel Carson, che nel 1962 diventa il manifesto del nascente movimento ambientalista che si fonde con le avanguardie artistiche che perturbavano i compassati salotti artistici, producendo importanti spinte di emancipazione sociale. 1
Sul Corridoio Meridiano come armatura territoriale materiale e immateriale di ricentralizzazione dei flussi ho già scritto dei suoi effetti sulla rimodellazione delle relazioni, con particolare riferimento al ruolo della Sicilia nella ricomposizione dei flussi mediterranei (Carta 2007; Carta, Gagliano, Ronsivalle 2007).
3
13
CreativeCity Lab - LabUrba_20
dispositivo territoriale ‒ non solo trasportistico o commerciale ‒ in grado di alimentare la creazione di una armatura euro-mediterranea di riqualificazione delle risorse, di sviluppo delle accessibilità e delle economie e di promozione delle eccellenze. Ancora oggi il Corridoio Meridiano è una grande sfida infrastrutturale, economica e politica, a patto che agisca nella rinnovata centralità del Mediterraneo in un diverso rapporto con il progetto euroasiatico della “Nuova Via della Seta” promossa nel 2013 dal governo cinese come infrastruttura strategica mista (terrestre e marittima), la cui parte navale costeggia tutta l’Asia Orientale e Meridionale, arrivando fino al Mar Mediterraneo attraverso il canale di Suez. La sinergia culturale, prima che commerciale o politica, tra Corridoio Meridiano e Nuova Via della Seta concorrerebbe, così, a ridefinire le relazioni ‒ soprattutto quelle culturali, scientifiche e umanitarie ‒ attraverso l’individuazione di percorsi alternativi all’allineamento dominante dei traffici in direzione nord-sud. Dall’altro lato il Mediterraneo viene visto come “tempio”, luogo sacrale delle radici della cultura occidentale, culla dei valori perduti capace di alimentare la memoria e la retorica piuttosto che l’operatività. Tale visione immagina un Mediterraneo solcato dalle reti della conoscenza, della formazione, della ricerca in cui però ogni componente rimane se stessa senza contaminazione, pena la perdita della fanciullezza mediterranea: una visione simbolica che si contrappone al modello di sviluppo mercatista a cui non contrappone una soluzione ma solo una nostalgia. Un Mediterraneo arcadico che mitizza le sue pluriculture e anestetizza i conflitti, camuffa le dittature e occulta le diseguaglianze. Un luogo della memoria invece che un’arena dell’azione culturale, prima, politica, dopo, sociale, infine. Esiste una terza visione, meno funzionalista della prima e più operativa della seconda. È quella di un Mediterraneo produttore di cosmopolitismo, radice positiva e feconda della globalizzazione, in cui le differenze non sono solo valori da difendere, ma risorse da mettere in gioco, nuovi apporti per fortificare il patrimonio genetico ‒ e politico ‒ delle comunità. Una via fondata su una concezione dell’identità culturale mediterranea che contrasti qualsiasi “comunitarismo integralista”, ma anche i nascenti “relativismi pigri”, inerti e indifferenti” (Jullien 2018). Una cultura cosmopolita del Mediterraneo che voglia porre le basi di un dialogo fertile fra le civiltà deve affrontare la loro varietà in termini di “scarto”: una figura avventurosa, che disturba e ridà slancio al pensiero esploratore di squarci su possibilità inattese, alimentando il dinamismo, lo scambio e la permeabilità. Il Mediterraneo affrontato attraverso lo scarto culturale si oppone con vigore al «narcisismo delle piccole differenze che si rinchiude gelosamente su identità immaginate» (Jullien 2018), aprendo la strada a nuovi possibili e svelando nuove risorse.
Il Mediterraneo Cosmopolita del diverso presente deve tornare “fabbrica di civilizzazione” (Valéry 1945), un mare su cui si sono confrontati, fecondati e ibridati diversi modelli di società, generando esperimenti ricorsivi di democrazia. Oggi sembra che la catena di montaggio della fabbrica di civilizzazione si sia inceppata, perché sta generando prodotti imperfetti della democrazia, che vanno dalla crisi di visione dell’Europa all’apertura e tumultuosa attrazione di investimenti dei Balcani, dalle oligarchie tribali in ebollizione della Libia e dell’Algeria alla teocrazia laica dell’Egitto, dalla forte monarchia marocchina alla fragile democrazia tunisina, ma vi sono anche la repubblica israeliana dell’innovazione e l’Italia democratica, seppur con rigurgiti di razzismo e tentazioni populiste. In una visione proattiva del futuro abbiamo l’obbligo di riattivare la fabbrica di civiltà perché torni a generare buoni prodotti. È questa visione del Mediterraneo come fucina di modelli sociali e connettore di pluralismi che mi interessa discutere ed approfondire, perché è quella che ci fa interrogare sul futuro, costringendoci a lasciare le strade già battute per tracciare possibili accessi all’impensato. Una visione che ci coinvolge come comunità pensante, guidata da un pensiero politico fondato su una conoscenza senza pregiudizi, su una interpretazione senza filtri obsoleti, su una cooperazione intelligente, ma soprattutto che impegni in maniera attiva l’Italia e il nostro Sud nella fabbrica civile del Mediterraneo. Un Mediterraneo che non sia più tomba liquida di chi cerca speranza e trova trafficanti di esseri umani, di chi cerca nuova vita e trova mortali razzismi, pavidi egoismi e muscolari populismi. Il Mediterraneo si propone, quindi, come un potente produttore di domande: di eguaglianza, di diritti, di democrazia, di ambizioni e progetti a cui dare risposte. Il Mediterraneo ha, dunque, bisogno di un nuovo e più corretto approccio che, al di là del globalismo livellatore, o di un paternalismo di maniera, tenga conto delle differenze come risorse, che adotti nuovi statuti di mobilità umana, scelta necessaria di fronte al livello esodiale dei grandi processi migratori, che attivi partenariati produttivi equi e non rapine di materie prime, che soprattutto favorisca l’incontro delle culture attraverso la comprensione, lo scambio per realizzare integrazione e soprattutto modelli di interculturalità. I flussi migratori inter-mediterranei possono essere una preziosa opportunità demografica, produttiva, culturale solo se regolati, solo se componenti di una politica dell’accoglienza e dell’integrazione che sfugga al duplice rischio della paura da un lato, e della benevolenza dall’altro. Un movimento di centinaia di migliaia di persone, di rifugiati, di giovani, di laureati, insieme a clandestini, criminali e disperati non può essere affrontato in maniera aggregata, lasciato solo alle forze di polizia, ma deve essere sottoposto alla politica. Dovrà entrare, soprattutto per l’Italia, nell’agenda della coesione sociale e del nuovo welfare, ma 14
Cosmopolitan Habitat
anche della competitività e della formazione, diventando una questione strutturale dell’intera Europa e non meramente emergenziale o volontaria. La società cosmopolita, multietnica e interculturale, va vissuta con la maturità di prevederne i rischi di aggravio in un paese che sta rialimentando i razzismi interni, ma anche di coglierne rapidamente le opportunità per la coesione sociale, per il mercato del lavoro, per la costruzione di scambi, per l’internazionalizzazione della formazione. È il modello che ha portato avanti Riace in Calabria, con fatica, lungimiranza e buoni risultati, e non senza il conseguente carico di polemiche, conflitti, indagini e persino il controverso arresto del Sindaco Mimmo Lucano con conseguenti dimissioni. Perché la questione non è solo salvarli in mare e farli scendere dalle navi (e oggi anche questo è messo in discussione), per poi dimenticarli, o, peggio, detenerli all’infinito. La sfida è costruire con loro la società del futuro, coltivare la coesistenza, coinvolgerli nel nostro progetto di vita, visto che ci hanno scelto come nuova patria del loro. Non è facile, bisogna dismettere occhiali ormai appannati e indossarne di nuovi che ci permettano di capire meglio la metamorfosi del mondo. Se non impariamo al più presto a capire l’Africa, il Mediterraneo e l’Europa del XXI secolo, la loro ignoranza si trasformerà in paura, la paura in chiusura e la chiusura in decadenza. Le migrazioni di massa che stanno riattraversando il Mediterraneo ‒ epicentro migratorio fin dal Neolitico ‒ vivificando e rinnovando comunità e culture, oltre al carico di tragedie umane e all’angoscia davanti alla morte di innocenti martoriati prima dalle guerre, dalle miserie e dalle desertificazioni da cui scappano, poi dai trafficanti di uomini che li sequestrano e poi dai razzismi che li circondano nei falsi Eden in cui spesso sbarcano, ci pongono davanti ad un nuovo modo di pensare le nostre città. Perché le città europee ‒ presidi di cultura ‒ devono ritrovare la loro radice cosmopolita per rispondere alla metamorfosi del mondo che ci richiama ad essere sia cittadini del cosmos ‒ un mondo sempre più transnazionale ‒ sia cittadini della polis, abitanti fluttuanti di città-mondo. Soprattutto quelle mediterranee dovranno rinnovare la loro identità cosmopolita che le ha forgiate e rese medine, kalse, riad, vuccirie. Migriamo da almeno due milioni di anni, e ogni fuga, ondata e convivenza ci ha fatto evolvere rendendoci più intelligenti ed adattabili4. A partire dal Neolitico le transizioni umane hanno forgiato il nostro corpo e il nostro intelletto. Le nostre città mediterranee nascono cosmopolite, si evolvono e crescono come fulcro di relazioni, di flussi territoriali che attraversano un mondo che oggi è ancora più aperto e collegato. Ed è Diogene che ci ricorda che il cosmopolitismo è dirit-
to ad una mobilità che travalichi e mescoli i confini, che rivoluzioni la logica della distinzione ed annulli il terrore dell’alterità navigando verso l’orizzonte dell’uguaglianza, della diversità come appartenenza plurima che estende le radici e dispiega le ali. Affrontare le migrazioni che hanno ripreso la rotta mediterranea, accogliere migranti e profughi non è solo una questione di accoglienza e di compassione, è anche una questione etica e politica, ma, vorrei aggiungere, è anche una questione urbana. Ci riguarda come abitanti e progettisti di città fertilmente cosmopolite, in cui lo spazio pubblico torni ad essere luogo di integrazione, in cui le strade pedonali siamo suture di culture e non più fratture di spazi, in cui i mercati tornino multicolori scambi di merci dai sapori variegati, e gli stessi edifici siano palinsesti di linguaggi e usi. Nella battaglia tra sterili sovranismi e feconde aperture, tra porti chiusi e confini porosi sono le città che stanno combattendo sul fronte, rivendicando il diritto di essere contemporaneamente mondo e luogo. Città che si fanno manifesto di resistenza ad una cultura della paura rivendicando la loro fertile pluralità, la loro creativa ibridazione di culture. Tra queste cento città aperte e inclusive, una catena che attraversa l’Italia da Merano a Scicli, Palermo ha elevato il diritto alla mobilità umana a visione di futuro, ne ha fatto una ulteriore declinazione del diritto alla città. Lo ha fatto non solo scolpendolo nella Carta di Palermo sulla mobilità umana internazionale5, grande battaglia di civiltà promossa dal Sindaco Leoluca Orlando che rinnova il patto tra culture già inciso sulla lapide quadrilingue (ebraico, latino, greco bizantino e arabo) conservata al Castello della Zisa, ma facendolo quotidianità attraverso numerose interfacce tra luoghi e culture, come i percorsi multiculturali delle Vie dei Tesori, le parole e i suoni del Festival delle Letterature Migranti, i luoghi delle arti di Manifesta 12. Ne ha fatto alimento per la modellazione dello spazio urbano, soprattutto dello spazio pubblico nel centro storico che da spazio interstiziale diventa catalizzatore di una nuova urbanità del movimento. Palermo è sempre stata cosmopolita, fenicia e romana nelle forme primigenie e nel linguaggio, araba e normanna nelle strade e nelle architetture, aragonese e angioina nei fasti, ibridando culture, accogliendo stili, arricchendo tradizioni e forgiando con esse lo spazio urbano (Cabianca, Carta, 2008). Nulla di quello che dal mondo è transitato per Palermo è rimasto immutato nel suo incontro con la città: le culture, le tradizioni, le architetture, le piante, la cucina, le parole e le arti si La Carta di Palermo, promossa nel 2015 dal Comune insieme alla Consulta delle Culture, è una dichiarazione di intenti molto dirompente riguardo ai temi dell’integrazione e della cittadinanza. Il suo concetto principale è quello del diritto alla mobilità internazionale, fornendo indicazioni per affrontare in modo completamente nuovo la regolazione del flusso migratorio, proponendo l’abolizione dei permessi di soggiorno in favore di una radicale adozione della cittadinanza come strumento di inclusione e di partecipazione alla vita pubblica.
5
Gli esseri umani si sono evoluti anche grazie alle migrazioni dell’Homo Sapiens, il cui cervello è cresciuto e con esso la flessibilità di pari passo con la capacità migratoria (Calzolaio e Pievani 2016).
4
15
CreativeCity Lab - LabUrba_20
Riferimenti bibliografici
sono fatte cosmopolite esse stesse, aprendo la città ad un turbine di segni che esalta la sua pluridentità. Non vi è luogo che non sia palinsesto di identità, ipertesto narrativo di vite, grembo materno di storie. Da Palermo proviene l’energia culturale e sociale che potrà riattivare la “fabbrica di civilizzazione” attraverso l’uso sublime del contrappunto, proponendo una pratica ‒ non un modello ma un protocollo ‒ di città polifonica che sovrapponga nota contro nota (punctum contra punctum) in una idea di città poliglotta e poliforme generata dall’abile uso di contrappunti spaziali e culturali, sociali ed economici, tangibili e intangibili, estetici ed etici. Per me è soprattutto una sfida urbanistica, che impone di reimmaginare e rimodellare lo spazio dell’abitare e del produrre, i luoghi dei servizi e delle relazioni e soprattutto le loro interfacce perché siano porose e capaci di una costante traduzione tra i segni e i linguaggi che vi si incontrano (Carta 2013). Le città mediterranee devono riacquistare la ricchezza del loro contrappunto, ma devono anche saper trovare nuovi “accordi” per generare una nuova armonia della città. Perché, come nella musica l’accordo fra due suoni produce l’intervallo che è a sua volta un suono, anche nella città dobbiamo trovare nuovi accordi tra spazi dell’abitare che producano a loro volta nuovi tipi di spazio, intervalli di funzioni, intervalli vegetali, culturali o sociali che arricchiscono la polifonia urbana, tra accordi e contrappunti. Progettare la città cosmopolita è quindi occasione per discutere e progettare un modello di futuro che includa la storia e la memoria degli attraversamenti, delle ibridazioni, delle commistioni, delle metamorfosi in un progetto complessivo che coinvolga l’abitare e l’incontrarsi, il produrre e il creare, i centri storici e le periferie. Città minerali ma fatte anche di paesaggi che tornano agrari ‒ ancora accordi. Città policentriche in cui le periferie ‒ poliferie come propongo di chiamarle ‒ non siano più uno squallido deposito di popolazioni stipate nell’edilizia massiva dei primi Settanta, né parti parassitarie dell’organismo urbano dove il mantenimento di soglie minime di qualità della convivenza civica venga delegato al coraggio o capacità di risposta di attori privati e del terzo settore. Le periferie della città cosmopolita, invece, sono preziose riserve di resilienza, avanguardie di autorganizzazione e innovazione che reclamano un’urbanistica incrementale e adattiva dei luoghi dell’abitare e dei servizi di welfare attraverso una pluralità di soggetti, nella nuova dimensione iper-metropolitana. Oggi nel tempo delle migrazioni forzate, sospinte dal dramma dei cambiamenti climatici, da emergenze politiche, economiche e sociali, all’umanità dolente che ci attraversa dobbiamo offrire non solo compassione, ma luoghi di relazione e contaminazione, spazi della convivenza, nuovi diritti alla città, figli della lungimiranza, perché cosmopolis è il nostro passato che si fa futuro.
Beck U. (2017), La metamorfosi del mondo, Laterza, Roma-Bari. Cabianca V., Carta M. (2008), Le vicende urbanistiche, in Palermo. Specchio di civiltà, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma. Calzolaio V., Pievani T. (2016), Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così, Einaudi, Torino. Carta M. (2007), “Il Corridoio Meridiano come scenario di cooperazione e competitività», in Città e azione pubblica. Riformismo al plurale, in Lanzani A., Moroni S., a cura di, Carocci, Roma. Carta M. (2013), Reimagining Urbanism. Città creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano, LIStLab, Trento. Carta M., Gagliano D., Ronsivalle D. (2007), “Piattaforma Meridiana”, in MIITT – Dicoter – Ministero delle Infrastrutture – Dipartimento per la programmazione ed il coordinamento dello sviluppo del territorio, per il personale ed i servizi generali, Reti e territori al futuro. Materiali per una visione, Ministero delle Infrastrutture, Roma. Castronovo V. (2011), Il capitalismo ibrido. Saggio sul mondo multipolare, Laterza, Roma-Bari. Jullien F. (2018), L’identità culturale non esiste, Einaudi, Torino. Latour B. (2015), Face à Gaïa. Huit conférences sur le Nouveau Régime Climatique, La Decouverte, Paris. Latour B. (2018), Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica, Raffaello Cortina Editore, Milano. Valéry P. (1945), “La méditerranée est une fabrique de civilisation (1931)”, in Valéry P., Regards sur le monde actuel et autres essais, Gallimard, Paris.
16
Cosmopolitan Habitat
approfondimenti scientifici
Palermo, Aziz.
La città arcipelago di diversità e creatività di Maurizio Carta
[estratto da: Carta M. (2019), Futuro. Politiche per un diverso presente, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ)]
Conosco bene Palermo, la amo per quanto è bella e la odio quando spreca le sue risorse. L’ho studiata a lungo, progettata molte volte ‒ spesso con i miei studenti ‒ e persino amministrata (come vi racconterò più avanti). Ne conosco la storia e le aspettative, gli spazi monumentali e gli anfratti carnali, le comunità e le tribù. Per questo in un libro sul futuro ho deciso di usarla come sineddoche delle argomentazioni, come parte per il tutto. Una pratica emergente, se non forse già un laboratorio, della direzione che possono prendere le città del Sud globale per cambiare la traiettoria del presente ed ambire ad un diverso futuro basato sul valore generativo della diversità e della creatività. Ho già ricordato che Platone nella Repubblica (Politéia) descriveva la città come “pascolo e nutrice della società”, sottolineando che essa debba essere buona, nutriente, salubre e protesa alla cura del bene comune. E molti secoli dopo Lewis Mumford, nel suo violento ‒ e lungimirante ‒ attacco alle città americane vittime dell’automobile e del sacrificio dello spazio offerto alle autostrade scriveva che «la prima lezione che dobbiamo imparare è che una città esiste non per il costante passaggio delle auto ma per la cura e la cultura degli uomini»1. L’urbanistica, l’ho già detto, è per me anche neurourbanistica, una psicologia dello spazio che concorre a modellare i nostri comportamenti attraverso una relazione emotiva oltre che razionale, psicocognitiva oltre che normativa, narrativa oltre che tecnica. La città, quindi, concretizza il patto tra lo spazio e la società, e quando il patto si infrange non c’è più la città, ma si genera l’anti-città con le sue metastasi, come la città composta di un assemblaggio di oggetti di scarto, un prolasso di forme, rappresentata da Thomas Hirschhorn nella sua installazione Plan B. La cura è una: lo spazio urbano deve tornare bene comune, e la città stessa deve essere un macro bene comune. Nelle città che vogliano tornare a nutrire chi le abita, l’organizzazione dello spazio fisico si riconnette neurologicamente alla organizzazione dello spazio sociale e ambientale. E questo avviene quando la città torna
a dare risposte alle esigenze dei cittadini nello spazio pubblico, nelle strade e nei giardini, nelle piazze e nei cortili, e soprattutto alle domande di assistenza e di sicurezza, di bellezza e di qualità, di felicità e di innovazione, di partecipazione e di democrazia. «Le strade sono le abitazioni del collettivo», scriveva Walter Benjamin commentando la poetica di Baudelaire. E aggiungeva: «il collettivo è un essere sempre inquieto, sempre in movimento, che tra i muri dei palazzi vive, sperimenta, conosce e inventa tanto quanto gli individui al riparo delle quattro mura di casa loro. Per tale collettivo le scintillanti insegne smaltate delle ditte sono un ornamento pari e anche superiore al dipinto a olio in un salotto borghese e i muri con défense d’afficher sono il suo scrittoio, le edicole la biblioteca, le cassette delle lettere i bronzi, le panchine i mobili della camera da letto e le terrazze dei caffè il bow-window, da cui osserva la propria casa. Il passage è il loro salotto. In esso più che altrove, la strada si dà a conoscere come l’intérieur ammobiliato e vissuto dalle masse»2. L’urbanistica è oggi sottoposta ad una profonda metamorfosi per rispondere alle istanze della società aperta e cosmopolita e alla azione proattiva dei numerosi changemakers. Sono sempre più numerose le pratiche urbane spontanee e autonome e le tattiche urbanistiche che trasformano la città in un luogo composto non soltanto da cittadini che domandano, ma da cittadini che rispondono. Nelle città contemporanee che stanno rinascendo, i cittadini tornano ad essere produttori di nuovi stili di vita comunitaria, sperimentano nuove forme di integrazione tra etnie, generano e alimentano mobilità sostenibile ridisegnando lo spazio urbano per il nuovo protagonismo civico dei ciclisti, riscoprono spazi per la mobilità lenta e creano nuove connessioni tra i quartieri, diventano lavoratori della conoscenza attraverso gli atelier e gli incubatori creativi, sono nuovi artigiani della rivoluzione digitale, oppure auto-producono eventi culturali attraverso il crowdfunding. I cittadini diventano gli amplificatori delle nuove sensibilità nei confronti della qualità del
Cfr. L. Mumford, The Highway and the City, New York, Harcourt, Brace & World, 1963.
2
Cfr. W. Benjamin, Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, Vicenza, Neri Pozza, 2012.
1
17
CreativeCity Lab - LabUrba_20
“Palermo, museo del Mediterraneo: se volete sapere quel ch’è passato su questi flutti azzurri venite a Palermo” Gabriel Hanotaux
Cosmopolitan Habitat
paesaggio e dell’ambiente, di una mobilità non inquinante e del risparmio energetico, rinnovando il ruolo tradizionale dell’associazionismo, non limitandosi più a indicare il problema ma diventando parte della soluzione, e facendosene carico in maniera attiva e responsabile.
siamo suture di culture e non più fratture di spazi, in cui i mercati tornino multicolori scambi di merci dai sapori variegati, e gli stessi edifici siano palinsesti di linguaggi e usi. Palermo è sempre stata cosmopolita, fenicia e romana nelle forme primigenie e nel linguaggio, araba e normanna nelle strade e nelle architetture, aragonese e angioina nei fasti, liberty nei sogni, ibridando culture, accogliendo stili, arricchendo tradizioni. Nulla di quello che dal mondo è transitato per Palermo è rimasto immutato nel suo incontro con la città: le culture, le tradizioni, le architetture, le piante, la cucina, le parole e le arti si sono fatte cosmopolite esse stesse, aprendo la città ad un turbine di segni che esalta la sua pluridentità. Non vi è luogo che non sia palinsesto di identità, ipertesto narrativo di vite, grembo materno di storie. Palermo «che tutti accoglie e tutti assiste; la mamma che tiene aperte le porte anche nella notte, perché non si sa mai se qualcuno arriva; che tiene il fuoco acceso e una pentola a bollire, perché non si sa mai se qualcuno ha fame; che ha sempre lenzuola pulite, perché non si sa mai se qualcuno ha sonno; la mamma che capi la casa quantu voli u patruni. Palermo: la grande madre», come la descrive Giuseppina Torregrossa nel suo recente Cortile Nostalgia. E questo essere contemporaneamente mondo e luogo, Palermo lo ha elevato a visione di futuro. Non solo scolpendolo nella Carta di Palermo sulla mobilità umana internazionale4, grande battaglia di civiltà promossa dal Sindaco Leoluca Orlando che rinnova il patto tra culture già inciso sulla lapide quadrilingue (ebraico, latino, greco bizantino e arabo) conservata al Castello della Zisa, ma facendolo quotidianità attraverso i percorsi multiculturali delle Vie dei Tesori, sempre più interfaccia tra luoghi e culture, o attraverso le parole e i suoni del Festival delle Letterature Migranti. Lo stesso Festino di Santa Rosalia è da sempre sincretismo di linguaggi e di persone, così come Santa Rosalia è patrona duale con Vishnu della numerosa comunità Tamil. A Palermo il cosmopolitismo si fa spazio vissuto nel centro storico. A Ballarò, l’antico mercato del centro storico che oggi è diventato sineddoche della rinascita del quartiere dell’Alberghiera, si fronteggiano da giganteschi murales dipinti da Igor Scalisi Palminteri le immagini di Santa Rosalia e Benedetto il Moro, patroni multietnici di una città da sempre porto aperto. Il primo seme della rinascita di Ballarò è stato Moltivolti, un’impresa sociale no profit che, dal 2014, trova il suo equilibrio economico nell’offrire spazi condivisi di lavoro e nell’annesso ristorante siculo-etnico, dove
Palermo, cosmopolis di contrappunti Le migrazioni di massa che stanno riattraversando il Mediterraneo ‒ epicentro migratorio fin dal Neolitico ‒ vivificando e rinnovando comunità e culture, oltre al carico di tragedie umane e all’angoscia davanti alla morte di innocenti martoriati prima dalle guerre, dalle miserie e dalle desertificazioni da cui scappano, poi dai trafficanti di uomini che li sequestrano ‒ quando non li sequestra il nostro governo ‒ e poi dai razzismi che li circondano nei falsi Eden in cui spesso sbarcano, ci pongono davanti ad un nuovo modo di pensare le nostre città. Perché le città europee ‒ presidi di cultura ‒ devono ritrovare la loro radice cosmopolita per rispondere alla metamorfosi del mondo che ci richiama ad essere sia cittadini del cosmos ‒ un mondo sempre più transnazionale ‒ sia cittadini della polis, abitanti fluttuanti di città-mondo. Soprattutto quelle meridionali dovranno rinnovare la loro identità cosmopolita che le ha forgiate e rese medine, kalse, riad, vuccirie. Migriamo da almeno due milioni di anni, e ogni fuga, ondata e convivenza ci ha fatto evolvere rendendoci più intelligenti ed adattabili3. A partire dal Neolitico le transizioni umane hanno forgiato il nostro corpo e il nostro intelletto, tanto che nella filosofia greca, madre fertile del nostro pensiero mediterraneo, tutti gli esseri umani sono cittadini del mondo e cittadini della polis. Le nostre città nascono cosmopolite, si evolvono e crescono come fulcro di relazioni, di flussi territoriali che attraversano un mondo che oggi è ancora più aperto e collegato. Ed è Diogene che ci ricorda che il cosmopolitismo è diritto ad una mobilità che travalica e mescola i confini, che rivoluziona la logica della distinzione ed annulla il terrore dell’alterità navigando verso l’orizzonte dell’uguaglianza, della diversità come appartenenza plurima che estende le radici e dispiega le ali. Affrontare le migrazioni che hanno ripreso la rotta mediterranea, accogliere migranti e profughi non è solo una questione di accoglienza e di compassione, è anche una questione etica e politica, ma, vorrei aggiungere, è anche una questione urbana. Ci riguarda come abitanti e progettisti di città fertilmente cosmopolite, in cui lo spazio pubblico torni ad essere luogo di integrazione, in cui le strade pedonali
La Carta di Palermo, promossa nel 2015 dal Comune insieme alla Consulta delle Culture, è una dichiarazione di intenti molto dirompente riguardo ai temi dell’integrazione e della cittadinanza. Il suo concetto principale è quello del diritto alla mobilità internazionale, fornendo indicazioni per affrontare in modo completamente nuovo la regolazione del flusso migratorio, proponendo l’abolizione dei permessi di soggiorno in favore di una radicale adozione della cittadinanza come strumento di inclusione e di partecipazione alla vita pubblica.
4
Al valore evolutivo delle migrazioni umane è dedicato il prezioso libro di Valerio Calzolaio e Telmo Pievani, Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così (Torino, Einaudi, 2016), in cui viene spiegato con chiarezza e grande argomentazione deduttiva perché e come gli esseri umani si siano evoluti anche grazie alle migrazioni dell’Homo Sapiens, il cui cervello è cresciuto e con esso la flessibilità di pari passo con la capacità migratoria.
3
19
CreativeCity Lab - LabUrba_20
la cucina diventa metafora della convivenza e dello sviluppo sostenibile. E poi è arrivato Arci Porco Rosso, uno spazio conviviale ma anche un laboratorio aperto di analisi sulle condizioni della città. Da quei semi e da altri germoglia SOS Ballarò (Storia Orgoglio Sostenibilità), un network informale di associazioni, residenti e commercianti che attraverso iniziative di rigenerazione urbana e organizzazione di eventi, sta portando avanti il cammino della rinascita del quartiere. E lo spazio vissuto di Ballarò ha generato altri spazi concepiti sottraendoli al degrado, ed oggi Piazzetta Mediterraneo, grazie al volontariato di artisti e residenti, è l’epicentro della nuova città plurale, esempio di una metamorfosi possibile, di un processo incrementale che nasce dalla capacità delle persone di riconoscersi come l’anima del quartiere. Ed esperienze analoghe stanno sorgendo alla Vucciria grazie ad un comitato di imprenditori, attivisti, professionisti, commercianti e residenti, e al Cassaro Alto, allo Zen e all’Uditore, a Sant’Erasmo e a Borgo Vecchio, testimonianze di un diverso presente capace di reindirizzare la traiettoria del futuro. Anche Manifesta 12, biennale migrante fertilizzatrice di contesti, ha colto il valore di “giardino planetario” della città ‒ ancora una volta luogo e mondo ‒ luogo di feconde contaminazioni umane, vegetali, culturali e artistiche: paradigma del mondo in metamorfosi e piattaforma di mutamento per proporre nuove letture plurali della città, delle comunità e dei flussi e per coltivare il cosmopolitismo con i semi creativi delle arti contemporanee5. E nel 2018 Palermo è stata la Capitale Italiana della Cultura mostrando proprio la sua pluralità, in un palinsesto umano prima che di eventi, capitale del cosmopolitismo che rinnova il patto di migrazione che ha sempre caratterizzato il nostro pianeta. Palermo è sublime contrappunto, città polifonica che sovrappone nota contro nota (punctum contra punctum) in una idea di città poliglotta e poliforme generata dall’abile uso di contrappunti spaziali e culturali, sociali ed economici, tangibili e intangibili, estetici ed etici (non senza contrappunti fatti di criminalità e sfruttamento, ormai anch’essi cosmopoliti6). E gli anni bui della città, quando il rapace saccheggio delle sue qualità e identità ha prevalso, quando lo spazio è stato solo nutrimento di una vorace alleanza tra mafia
e cittadinanza, sono stati proprio quelli in cui la città aveva perso il suo cosmopolitismo, la sua polifonia ridotta a spartito monotono suonato dal cemento e dall’asfalto, dal traffico e dai traffici. Non dobbiamo disperdere la ricchezza del contrappunto, ma dobbiamo anche saper trovare nuovi “accordi” per generare una nuova armonia della città. Perché, come nella musica l’accordo fra due suoni produce l’intervallo che è a sua volta un suono, anche nella città dobbiamo trovare nuovi accordi tra spazi dell’abitare che producano a loro volta nuovi tipi di spazio, intervalli di funzioni, intervalli vegetali, culturali o sociali che arricchiscono la polifonia urbana, tra accordi e contrappunti. Progettare una città cosmopolita ‒ Palermo o le altre che le somigliano ‒ è quindi un’occasione per discutere e progettare un modello di futuro che includa la storia e la memoria degli attraversamenti, delle ibridazioni, delle commistioni, delle metamorfosi in un progetto complessivo che coinvolga l’abitare e l’incontrarsi, il produrre e il creare, i centri storici e le periferie (radici ed ali, di nuovo). Città minerali ma fatte anche di paesaggi che tornano agrari ‒ ancora accordi ‒ sconfiggendo il caporalato e lo schiavismo che ne hanno accompagnato gli anni recenti. Oggi nel tempo delle migrazioni forzate, sospinte dal dramma dei cambiamenti climatici, da emergenze politiche, economiche e sociali, all’umanità dolente che ci attraversa dobbiamo offrire non solo compassione, ma relazione e contaminazione, figlie della lungimiranza, perché cosmopolis è il nostro passato che si fa futuro. Palermo giardino paradisiaco Si moltiplicano nelle città, e Palermo tra queste insieme a numerose altre esperienze, gli spazi inutilizzati che le amministrazioni non riescono a ripensare e riutilizzare, e che vengono presi in cura dai cittadini, che li restaurano, ne riciclano edifici e materiali, li riusano aprendoli alle comunità urbane creative. Sono i cittadini-artigiani di una città che alle strategie di sviluppo accompagna sempre più spesso le tattiche di manutenzione, di riparazioni e di riciclo. E c’è un fenomeno che sta assumendo i caratteri di una vera e propria rivoluzione: insieme ai nuovi spazi urbani gestiti dalle associazioni e alle pratiche di mobilità sostenibile dal basso, nelle città stanno germogliando numerosi orti, sempre meno solo diletto di chi ama il giardinaggio e sempre più agricoltura multifunzionale in grado di reggere il mercato biologico del prodotto a Km zero, della certificazione del produttore e della qualità del prodotto contro il junk food. Detroit, San Diego, Londra, Monaco e Parigi ne hanno fatto la base delle loro strategie urbane, New York è la città con il più alto tasso di orti urbani per abitante, solo per citare alcune esperienze. Anche a Palermo, con grande fertilità e capacità emulativa, si moltiplicano le esperienze legate al ritorno potente dell’agricoltura nella estetica e produttività della
Il tema di Manifesta 12 “Giardino planetario. Coltivare la coesistenza” sviluppa l’idea di giardino teorizzata da Gilles Clement nel 1997, esplorandone la capacità di aggregare le differenze e generare vita da tutti i movimenti e flussi migratori. Palermo-giardino è un luogo in cui forme di vita diverse si mescolano e si adattano per convivere, spazio fisico, culturale e sociale in cui l’impollinazione incrociata avviene attraverso l’incontro. Cfr. G. Clement, Il giardiniere planetario, Milano 22publishing, 2008. 6 Per comprendere il lato oscuro della presenza dei migranti nel centro storico di Palermo, il patto scellerato tra la mafia siciliana e quella nigeriana, le crudeltà, ma anche le forme urbane, dello sfruttamento della prostituzione e del mercato della droga si vedano le straordinarie fotografie di Francesco Bellina e si leggano le cronache di Lorenzo Tondo su Ballarò. 5
20
Cosmopolitan Habitat
città, tanto che una mia giovane collega architetto, Angelica Agnello, una delle pioniere dell’agricoltura urbana, la chiama “tutta orto”, parafrasando il suo epiteto greco di Panormos “tutta porto”. «Trecento generazioni di agricoltori ‒ mi ricorda sempre il mio amico e collega Giuseppe Barbera, uno dei massimi esperti del paesaggio agrario palermitano ‒ hanno adattato i frutteti a giardini, protetti da una corona di montagne che preservano il clima e che inducono Fernand Braudel a usare l’aggettivo “paradisiaco” per descrivere il paesaggio palermitano»7. A Palermo il paesaggio agrario ha una potente dimensione culturale, modulando le risorse disponibili per dare alla natura una forma in cui l’ulivo cresce in mezzo ai pascoli e la vite punteggia i frutteti: «laboratorio perenne di diversità biologica, archetipo di un modo di civilizzazione». Come ho già detto, Palermo è la perfetta sineddoche di quello che Gilles Clément chiama “giardino planetario” in cui la diversità vegetale è alimento della diversità culturale, «garanzia di futuro per l’umanità»8. Nei secoli l’arrivo delle palme nane, dei datteri e dei melograni trova accoglienza in una città che riprogetta lo spazio attraverso alberi e piantagioni. La Conca d’oro ‒ ci ricorda sempre Barbera ‒ non è solo un paesaggio agricolo, ma è il più potente manifesto dell’arcipelago di piante ed edifici che è stata Palermo, in un fertile confronto fra diversità vegetali e architettoniche, generando nuovi paesaggi urbani, sapienze manifatturiere, cibi e stili di vita, in una continua metamorfosi cosmopolita delle persone e delle piante. Poi arrivò lo scempio della Conca d’oro durante gli anni Sessanta, il furto della bellezza durante gli anni del “sacco di Palermo” generato dal patto scellerato tra mafia, amministrazione, imprenditoria e professionisti. Un furto di bellezza che travolge anche la Natività di Caravaggio dell’Oratorio di San Lorenzo, rubata nel 1969 e non ancora ritrovata (forse è stata venduta a pezzi), simbolo della depredazione del patrimonio culturale che non si fermerà per molti anni. Un patto di connivenza come quello raccontato con violenta crudeltà da Francesco Rosi nel film Le mani sulla città del 1963, che descriveva una patologia che non era solo di quegli anni crudeli, ma, come un eterno presente, l’infezione della cattiva urbanistica contaminata dalla mafia e dagli affari generati dalla rendita e dal profitto non è stata debellata. Come racconta ancora oggi Dan Franck nella serie tv Marseille con uno straordinario Gérard Depardieu nel ruolo del sindaco-padre-padrone durante gli anni del lancio della rigenerazione dell’area portuale.
Dopo la bestemmia cementizia degli anni Settanta e Ottanta, lanciata contro il paradiso vegetale che circondava Palermo e abbelliva i suoi interstizi, oggi è attraverso i paesaggisti e gli orticoltori urbani che la natura torna ad essere materiale del progetto di città, componente del futuredesign. A partire dai primi orti urbani condivisi curati dal Codifas (Consorzio di difesa dell’agricoltura siciliana), a Ciaculli e allo Zen, si sono ogni giorno moltiplicate le aree agricole urbane e periurbane, le quali organizzano eco-mercati e corsi sull’agricoltura urbana e sul consumo responsabile e condiviso per estendere la platea dei cittadini coinvolti. A Ciaculli l’Oasi degli Orti mette insieme approccio etico e interessi produttivi, e altri due orti condivisi pionieristici, uno al Giardino Daniele e un altro a Villa Spina, promossi dall’Associazione culturale Orti delle Fate, sono dedicati alla promozione della cultura e della pratica e della agricoltura biologica. All’interno del Vivaio Ibervillea nell’ex Ospedale Psichiatrico è stato attivato dall’associazione Orto Storto uno spazio dedicato alla progettazione e realizzazione di un piccolo giardino le cui produzioni sono destinate all’autoconsumo e alla condivisione in momenti conviviali, con l’obiettivo di creare un giardino terapeutico nel quale si ritrovi la fiducia nel far vivere, crescere e curare un organismo vivente. A Bonagia, in un’area agricola lungo il fiume Oreto, una coltivazione di banani riporta sapori esotici e riattiva antiche modalità di coltivazione, generando profitti. Ancora, la Cooperativa sociale Orto Capovolto di Angelica Agnello nasce con lo scopo di contribuire alla creazione di un sistema diffuso di orti non solo attraverso la sensibilizzazione ma anche attraverso la progettazione e realizzazione di orti urbani a diverse scale con diversi orientamenti: orti comunitari, orti scolastici e aziendali, orti terapeutici. Fra i vari progetti, “Orto(in)Colto” è quello più fertile, dedicato ad orti scolastici e attività didattiche negli istituti della provincia di Palermo, coinvolgendo centinaia di bambini e ragazzi. O, ancora, il progetto “GalloGarden” dedicato all’agricoltura di strada: un processo di cittadinanza attiva per realizzare un nuovo spazio verde a Ballarò e che vede coinvolti, oltre Orto Capovolto, il Circolo Rotaract Palermo Est, Cooperazione Senza Frontiere, la rete SOS Ballarò, la Cooperativa Terradamare, l’istituto Arrupe e il liceo Catalano. A questi esempi se ne aggiungono ogni giorno di nuovi, talvolta generati dai primi, altre volte indipendenti, in uno straordinario fiorire di migliaia di semi di una rinnovata civiltà urbana che torna alla cura e alla creatività, piuttosto che al degrado e al consumo. Anche il collettivo di Manifesta 12, grazie al lavoro di Gilles Clément con Mariangela Di Gangi di Zen Insieme, Miguel Georgieff del Collettivo Coloco, Angelica Agnello di Orto Capovolto e i bambini dello Zen con i loro genitori, ha creato allo Zen un nuovo giardino in un’area degradata trasformata in uno spazio pubblico vegetale che demineralizza le “insule” abitative per proporsi come spazio di comunità.
Per Giuseppe Barbera la Conca d’oro è un fertile concetto: aura concha, che della conca, della conchiglia e del grembo ha la fecondità e la sensualità. Non solo un luogo ma un’idea unitaria, durata centinaia di generazioni, capace di produrre molte altre idee nelle mani e nelle menti. Cfr. G. Barbera, Conca d’oro, Palermo, Sellerio, 2012. 8 Cfr. G. Clément, Il giardiniere planetario, Milano, 22publishing, 2008. 7
21
CreativeCity Lab - LabUrba_20
reticolo di luoghi lapidei e vegetali, porosi e liquidi, che sono stati per secoli il sistema linfatico della città, rendendola fertile, felice e operosa. Un orto appaga lo spirito, dieci orti urbani migliorano un quartiere, mille orti urbani trasformano una città che vuole tornare ad essere “Aziz”, la splendida ‒ come la chiamavano gli Arabi ‒ ma questa volta per l’azione collettiva dei suoi abitanti/agricoltori in un verde arcipelago urbano e umano. Una città che rinnova l’alleanza tra naturale e artificiale, tra minerale e vegetale, dotandosi anche di un regolamento sull’agricoltura urbana che assegna statuto normativo alle pratiche. Una città che, come la descriveva Ibn Gubayr nel 1184 «insuperbisce tra piazze e pianure che son tutte un giardino […] i palazzi del re ne circondano il collo come i monili cingono i colli delle ragazze dal seno ricolmo». Nella città del futuro la natura non sarà più antagonista dell’architettura, ma tornerà ad essere materiale vegetale del progetto urbano, prima che l’Antropocene la scacciasse. Nel Neoantropocene, invece, anche la natura sarà «aumentata e pienamente funzionale all’espressione dell’urbano, creata per rendere le nostre città vivibili: corridoi ecologici, vegetazione, specie animali, clima, fonti energetiche rinnovabili, daranno corpo a una nuova infrastruttura urbana: una infrastruttura naturans», come sostiene con vigore Zeila Tesoriere, mia collega e componente del Palermo Lab. Al rinnovato rapporto tra città e natura, tra uomo e ambiente, è dedicata la XXII Triennale di Milano dal titolo Broken Nature, curata da Paola Antonelli, attraverso esempi di architettura e design come riparazione e costruzione di connessioni tra i cicli naturali, in una fruttuosa collaborazione tra progetto, scienze della vita e scienze sociali. Non è un caso che Madrid per celebrare i 400 anni di Plaza Mayor abbia creato un giardino temporaneo di 3500 mq., su progetto dell’artista SpY: per quattro giorni madrileni e turisti hanno usato in maniera diversa, vegetale e circolare, una delle piazze più belle del mondo, quanto di più minerale e rettangolare per i precedenti quattro secoli. Il nuovo rapporto tra città e natura, però, non deve essere circoscritto e parcellizzato, quasi che la natura fosse un oggetto da esporre in una teca di cristallo mentre intorno la vita minerale si svolge indifferente, ma dobbiamo incentivare un mosaico continuo integrato, in cui quasi non distinguiamo le tessere lapidee da quelle vegetali. Non dobbiamo ricadere in quel conflitto mirabilmente sintetizzato nel 1988 dai Talking Heads in (Nothing but) Flowers, in cui cantano con ironia e spaesamento di un mondo sovrappopolato dove i confini tra città e natura sono crollati con un’espansione di una umanità ipertrofica che per essere sfamata ha trasformato autostrade e parcheggi in campi agricoli e supermercati e fabbriche in montagne e fiumi. Lo spazio antropico, per permettere la sopravvivenza dell’uomo, è stato riconquistato da piante e animali, dissolvendo i segni del progresso umano. In un tripudio di bestie e verdure, di alberi da
E poi c’è Danisinni, antico quartiere incastonato tra centro storico e agro, ancora città ma già non più città, dove Fra Mauro ha ricostruito la comunità attraverso i giardini e gli orti che circondano la parrocchia, alimentati dalle acque dei qanat che provengono dalle sorgenti del Gabriele. Una enclave verde sull’alveo del fiume Papireto generata dalla prima espansione fuori le mura, atollo nascosto dalla nebbia dell’indifferenza che i flussi tempestosi della metastasi edilizia non hanno attraversato, lasciandola un po’ fuori dal tempo. E quindi salvandola. Oggi, riemerso timidamente dalle pieghe della storia, il quartiere vuole essere anch’esso protagonista della rinascita culturale e sociale di Palermo, isola dell’arcipelago vegetale e culturale, attraverso un esperimento di rivoluzione artistica e sociale chiamato “Rambla Papireto”, ideato dall’Accademia di Belle Arti, sotto le sapienti mani di Valentina Console ed Enzo Patti, e realizzato con il sostegno del Comune insieme alle associazioni CaravanSerai, Circ’All e NEU, a cui è stata affidata la conduzione di laboratori di street art e del circo sociale destinati ai giovani del quartiere. L’obiettivo non è solo portare bellezza nel quartiere ma è soprattutto risvegliare il senso del bene comune e dell’appartenenza attraverso l’arte, l’agricoltura, la cura dei luoghi. Il progetto ha portato nel quartiere l’arte, il circo, persino l’opera lirica grazie alla sensibilità visionaria del Sovrintendente Francesco Giambrone che ha aperto il Teatro Massimo alla città, portandolo nelle diverse comunità come catalizzatore di rigenerazione urbana. E poi sono arrivati addirittura i turisti e AirBnB. È stata trasformata in orti sociali e fattoria di comunità la naturale depressione della piazza Danisinni: diecimila ettari di terreno donati in comodato d’uso alla Parrocchia di Sant’Agnese, grazie alle amorevoli cure e alla forza aggregativa di Fra Mauro sono un incubatore di comunità culturale e artistica, ma anche un’opportunità lavorativa per i giovani del quartiere. In occasione di Manifesta 12, poi, con il gruppo diretto da Sara Kamalvand di HydroCity, insieme a Renzo Lecardane del PalermoLab di Unipa e con la straordinaria competenza e passione di Pietro Todaro, il più grande conoscitore del sottosuolo palermitano, abbiamo dato vita al workshop “Ingruttati”, dedicato al sottosuolo di Danisinni, coinvolgendo studenti e professionisti da tutto il mondo insieme alla comunità per progettare un ulteriore passo del percorso di futuro per il quartiere, ma anche come prototipo per altre parti di città. Abbiamo aggiunto al già straordinario progetto per Danisinni la sua dimensione ctonia (vi ricordate il Chthulucene di Donna Haraway?), restituendo importanza, dignità e opportunità al sottosuolo, ai qanat arabi, straordinarie opere di ingegneria idraulica, ai canali, alle grotte e all’acqua che dalle sorgenti limpide del fiume Gabriele passando per l’antico alveo del Papireto scorre sotto i campi donandogli la fertilità che oggi riutilizziamo. Perché Palermo deve tornare a far dialogare aereo e sotterraneo, deve progettare quel 22
Cosmopolitan Habitat
frutto e animali da cacciare, però, il protagonista della canzone non riesce a nascondere la sua malinconia per il tempo felice in cui i segni del progresso erano i negozi, le auto e le ciminiere, perché la bellezza della natura stava nel suo essere confinata all’esterno e di poter essere godibile a comando. «Where, where is the town?», invoca con malinconia rimpiangendo un Pizza Hut, un 7-Eleven e il junk food. Con sublime sintesi la canzone ci mette di fronte al dilemma attuale del giardino planetario, alla scelta tra parco recintato e natura interconnessa, tra isole naturali e arcipelaghi rur-urbani. Senza arrivare al parossismo cantato dai Talking Heads, serve una maggiore biodiversità urbana in forme strutturali, in cui parchi, giardini e orti formino un mosaico vegetale in grado di contaminare il reticolo urbano innestandosi tra gli edifici, creando corridoi ecologici comunicanti, per permettere al flusso genico di scambiarsi tra le diverse popolazioni (umane, animali e vegetali) e rendendo le città permeabili alla natura esterna, portandola all’interno nella sua forma più vera e vitale, permettendo agli impollinatori di muoversi e ai semi di viaggiare. Non dimentichiamo che è stata la natura vegetale una delle più potenti forze che hanno plasmato il pianeta. Le piante, come scrive mirabilmente Emanuele Coccia, «attraverso la fotosintesi, hanno permesso di cambiare lo statuto della materia che ricopre la crosta terrestre, trasformandola in centro di accumulazione dell’energia solare. E soprattutto hanno trasformato irreversibilmente la nostra atmosfera. Non illudiamoci: lungi dall’essere un elemento qualunque del paesaggio terrestre, le piante cesellano e scolpiscono incessantemente il volto del nostro mondo»9. Una nuova metafisica vegetale non solo richiede una efficace biopolitica, ma pretende una rinnovata biourbanistica capace di ricomporre l’alleanza tra vegetale, animale e antropico, rimodellando la geografia della loro coesistenza. Ho già ricordato che Italo Calvino sottolineava l’importanza della capacità di una città di fornire risposte alle domande dei suoi abitanti. E la risposta a queste domande è sempre più spesso collettiva attraverso il coinvolgimento attivo di cittadini artigiani, di abitanti orticoltori, di artigiani e riparatori, di produttori sostenibili di città, ma anche di piante e animali che tornino a nutrire l’ecosistema urbano.
testimonial importanti, Moni Ovadia tra questi. La candidatura non passò nemmeno la prima selezione, con grande delusione di tutti noi che vi partecipammo e della cittadinanza che ci credeva. Le ragioni della bocciatura sono consegnate alla piccola storiografia dell’evento: si racconta che il verdetto cambiò l’ultima notte con un colpo di mano, ma non è dato sapere la verità. Alcuni pensarono, e dissero, che quel seme era di cattiva qualità, infertile, selezionato male e ancor peggio seminato. Non era così, come capita anche in agricoltura quel seme aveva trovato un terreno duro (le criticità della città non ancora risolte) che ne aveva compresso la capacità di germogliare. Ma il seme era buono, forte, rigoglioso e, lentamente, ha spaccato il terreno, frantumando la sua resistenza, producendo le necessarie crepe da cui potessero filtrare l’acqua e la luce necessarie alla sua germogliazione. Quel seme conteneva un Dna forte e generoso, il germe della partecipazione, il nucleo della visione a lungo termine e l’energia delle politiche culturali come alimento della rigenerazione urbana. Quel seme parlava dei giovani e del mare di Palermo, utilizzava i diritti umani come molecola di sviluppo e ridisegnava una città senza recinti e separazioni. Quel seme, testardo, è germogliato e ha dato frutti in seguito. Da quel seme, dal quel metodo e da quella visione di città sono nati altri progetti riconosciuti come validi e che hanno consentito a Palermo di essere inserita nel 2015 nella World Heritage List dell’Unesco per il suo patrimonio arabo-normanno (insieme a Monreale e Cefalù)10, di diventare la Capitale Italiana dei Giovani nel 2017, Capitale Italiana della Cultura nel 2018 e, contemporaneamente, di ospitare la dodicesima edizione di Manifesta, la Biennale internazionale nomade di arte contemporanea, diventando così un epicentro mondiale della cultura contemporanea, un luogo attrattore di arte e generatore di creatività, un magnete culturale per la comunità mondiale dei creativi. Il palinsesto della capitale italiana della cultura si intreccia in un potente tessuto culturale con la seconda edizione di BIAS (Biennale internazionale di arte contemporanea sacra delle religioni dell’umanità), una esposizione transnazionale inventata da quella straordinaria e versatile donna che è Chiara Donà delle Rose, aperta a tutti gli artisti visuali e performativi, architetti e designer, nel mondo ed organizzata nel centro storico di Palermo, ma anche in altri luoghi della Sicilia, come un percorso urbano di luoghi e comunità che abbiano uno stretto legame con il tema della sacralità, che si manifesta attraverso il tema universale della “porta”. Sono convinto che tutto questo sia anche il frutto di quel seme, apparentemente sterile, ma invece solo prematuro, che ha avuto bisogno di cambiare il terreno
Palermo arcipelago di diversità culturali Rimanendo nell’orto, nel 2013 un seme fu piantato a Palermo: la candidatura della città a Capitale Europea della Cultura 2019. Il dossier fu preparato con cura attraverso un lungo lavoro di coinvolgimento della cittadinanza e di esperti interni ‒ tra cui anche io per la visione urbanistica, insieme a Giuseppe Marsala e Roberto Albergoni ‒ ed esterni, di numerose istituzioni, di imprenditori, di associazioni, di studenti e con
10 Il dossier di candidatura fu anch’esso un lavoro collettivo di analisi, interpretazione e visione coordinato da Aurelio Angelini, con la mia collaborazione insieme a Barbara Lino per la parte urbanistica di inquadramento e la definizione delle buffer zones.
Cfr. E. Coccia, La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, Bologna, Il Mulino, 2018.
9
23
CreativeCity Lab - LabUrba_20
12 ha preteso un approccio triplice: da un lato le opere d’arte hanno stimolato una riflessione critica e militante sui problemi del cambiamento climatico, delle migrazioni, del controllo e dei diritti, dall’altro lato i luoghi prescelti, alcuni aperti al pubblico per la prima volta, hanno reclamato attenzione e acceso lo stupore per la loro bellezza dolente ma ancora vitale, infine la città si è fatta coprotagonista della nostra meraviglia mostrandosi dalle finestre, dai cortili e dalle terrazze, completando spesso il senso delle opere con l’evidenza di una città che vive sulla pelle della comunità e sulle pietre degli edifici i temi della Biennale. Così Manifesta si è fatta un po’ meno aerea e più tettonica, ha generato bradisismi delle comunità con cui è entrata in contatto, ha agito come catalizzatore evidente nel suo manifestarsi, disposto a sparire una volta che la catalisi abbia generato una nuova sostanza urbana, culturale, sociale, economica e, perché no, politica. Si perché politica è questa nuova vita di Manifesta che nasce dai lombi materni di Palermo, tra Santa Rosalia e San Benedetto il Moro, e che è salpata verso Marsiglia dove nel 2020 farà germogliare i frutti seminati a Palermo, probabilmente risolvendo le criticità scoperte nel nuovo e complesso rapporto tra curatela, messaggio artistico e luogo. E che una nuova etica abbia animato Hedwig Fijen e il Board, e poi la Fondazione Manifesta 12, è evidente nel primo atto della Biennale: iniziare, fin dall’anno precedente, il percorso di costruzione dell’evento con uno studio urbano affidato alle sapienti mani di OMA e in particolare alla sensibilità, rispetto e creatività di Ippolito Pestellini Laparelli e del suo team. Il primo esito di quasi sei mesi di intenso percorso della città, di archeologia delle sue comunità e di interpretazione delle diversità è stato il Palermo Atlas11. Un atlante che racconta, senza pretese di esaustività ma con stimoli di complessità, le molte Palermo che oggi convivono in un profondo palinsesto di valori e visioni e in un intricato reticolo di spazi percepiti, di spazi concepiti e di spazi vissuti, tutti insieme costituenti quella eterotopia di spazio e società che è sempre stata Palermo. Uno «strumento di sviluppo sostenibile per guidare e radicare l’eredità di Manifesta 12 per i prossimi anni», lo definisce Hedwig Fijen. Insieme ad altri documenti/strumenti elaborati negli anni dall’Università di Palermo, dalle associazioni culturali, dagli studiosi e dai professionisti ‒ aggiungo io. Un iper-atlante mi piace definirlo, un atlante di atlanti, un racconto di racconti, una mappa di mappe, un ritratto di persone e di spazi, una quadreria di architetture e paesaggi. Ippolito Pestellini, che è anche uno dei Creative Mediators di Manifesta 12, lo dichiara espressamente nella sua introduzione: «non c’è un solo modo per avvicinarsi a Palermo, perché la città non può essere ridotta ad una singola identità o a
prima di germogliare, che ha richiesto cura e nutrimento, condivisione e partecipazione per diventare prima arbusto, poi frondoso albero e dare succosi frutti. In un libro sul futuredesign delle città e delle comunità, la micro-storia delle relazioni tra Palermo e Manifesta può dare indicazioni preziose per altre città che scelgano la strada di un diverso presente fondato sull’arte, sulla cultura e sulla creatività, sulla partecipazione e sul welfare culturale, sulla rigenerazione urbana e umana. Voglio qui usare Manifesta 12 per parlare del complesso rapporto tra le città e i grandi eventi culturali, del rapporto con l’identità urbana e con l’eredità sociale ed economica. Perché Manifesta Palermo è stato un utile laboratorio per sperimentare la territorializzazione delle politiche culturali [...]. Un laboratorio che ha svelato preziose opportunità ma che ha anche rivelato inevitabili criticità di un esperimento innovativo. L’incontro con Palermo, infatti, ha cambiato Manifesta facendole compiere una metamorfosi di cui le persone e la cultura sono i catalizzatori. La relazione di Manifesta con Palermo, con il Comune e l’Università, con gli studiosi e i giovani talenti, con gli artisti e gli attivisti, con le associazioni e i cittadini, è stata dirompente per una Biennale innovativa come quella inventata da Hedwig Fijen ventiquattro anni fa e che ha fatto del nomadismo e della fluidità la sua cifra politica e sociale prima che artistica. Approdando nella fluidità plurale, creativa, conflittuale, policroma di Palermo ne è rimasta sedotta e ne ha tratto l’occasione per rivedere sia la visione che la modalità di relazione con la città ospite: utile indirizzo per altri eventi culturali nomadi. Non è stato ridotto il nomadismo ma ne è cambiato carattere, si è fatta urbana. Non è più la leggerezza del passaggio temporaneo alla ricerca di nuova energia la spinta che ne guida il cammino, ma vi è la disponibilità di arare il terreno e seminare per far germogliare frutti che rendano rigogliosa la città. Manifesta ‒ sineddoche di altre iniziative artistiche urbane ‒ non ha più la neutralità dell’innesto di arte contemporanea ma ha la responsabilità dell’innesco di processi evolutivi generati dall’arte contemporanea. Manifesta non ha proposto un programma precompilato, ma ha stimolato i visitatori ad essere i coder che generano, in un tripudio open-source, una personale geografia di luoghi che ricompone in innumerevoli modi le tre sezioni principali: Garden of Flows, che esplora la tossicità ambientale, Out of Control Room, che investiga il potere di controllo globale, e City on Stage, dedicato alla rigenerazione urbana, lungo i 21 luoghi e 60 installazioni del programma generale e i 90 eventi collaterali, intessuti di ulteriori iniziative che sono scaturite in emulazione, in contrasto, in sintonia, in uno spartito corale dove tutta Palermo risuona ‒ con esiti diversificati ‒ delle coesistenze che l’arte contemporanea genera. Con le sue numerose installazioni e performance articolate lungo una ampia geografia urbana Manifesta
11 Cfr. OMA, Manifesta 12. Palermo Atlas, Milano, Humboldt Books, 2018.
24
Cosmopolitan Habitat
definizioni precise: essa ‒ e noi lo sappiamo bene ‒ è un vitale e dinamico mosaico di frammenti e identità che emergono dal palinsesto di incontri e scambi di culture differenti che hanno reso intrinsecamente cosmopolita e sincretica la città. Più che una città, Palermo è lo snodo di una geografia allargata di flussi […], un laboratorio di impollinazione incrociata e un incubatore di condizioni globali. Palermo è paradigma del mondo nuovo». Iniziare il progetto curatoriale di una Biennale di arte contemporanea con uno studio urbano è un importante contributo al futuredesign, perché non vuol dire solo che è mutata la visione e la missione dell’evento, ma vuol dire anche accettare la sfida di compromettersi con la transizione di una città verso la contemporaneità, accettare la battaglia di contribuire a realizzare un diverso presente possibile. Manifesta, con la forza della sua comunicazione, ha rivelato a tutti Palermo come un «arcipelago del globale, non una città globalizzata, quanto piuttosto un incubatore di differenti condizioni globali che fanno della città l’affresco più seducente e potente dell’Europa e del Mediterraneo di un diverso presente», una città ‒ a tanti di noi ben nota ‒ di incompiute e mai realizzate, ma anche di culti e culture, una epifania quotidiana di bellezza archeologica, architettonica e artistica ma anche uno scrigno dell’immaginario visivo e cinematografico mondiale. L’Atlante è già un’eredità concreta, un lascito fertile, perché è una fonte preziosa per la città, di conoscenza e di ispirazione, di analisi e denuncia. Ma lo è soprattutto per me urbanista impegnato da anni a capire, progettare e trasformare la città. E non perché vi trovi informazioni che non conoscevo ‒ si, ci sono anche quelle ‒ ma perché Palermo Atlas è una potente macchina della verità, ci rivela Palermo attraverso le sue ricchezze e contraddizioni, ci mostra luoghi in ripresa ma anche comunità in attesa, ci mostra come eravamo nel passato e come saremmo in un differente presente capace di attivare un diverso futuro possibile. Dobbiamo vedere con occhi nuovi la bellezza e la ricchezza quotidiana che ci circondano e che abbiamo la responsabilità di arricchire e tramandare: talenti all’opera, scuole di resistenza, paesaggi resilienti, dismissioni creative punteggiano la città offrendo a noi urbanisti potenti punti appoggio per una ascensione senza inutili orpelli, usando mente e mano, verso il nuovo livello di una Palermo che si manifesta. L’Atlante è ricco di mappe e dati, di immagini e diagrammi, e ogni volta che lo sfogliate vi svela nuove indicazioni, come se ogni volta che lo chiudete il Genio di Palermo si divertisse a spostare le pagine e ad aggiungerne di nuove. Ma c’è una mappa per me emblematica di quello che si deve fare per riattivare il futuro, ed è la carta di Palermo composta da tanti tasselli di altre mappe, con linguaggi differenti, di epoche diverse, un palinsesto di immagini cartografiche, di analisi e progetti, che ci svela la profonda
archeologia del sapere di cui è fatta questa città mille volte disegnata e mille volte immaginata: una città di isole urbane che vogliono tornare ad essere arcipelago. È una mappa preziosa perché ci impone una sfida: riconnettere senza omologare, ricomporre senza ridurne la ricchezza, raccontare senza semplificare. Noi futuredesigner progettiamo Palermo lavorando sull’identità senza annullare le differenze, trovando nuovi equilibri ma anche più solide equità, immaginando armonie senza cadere nell’omologazione, riconnettendo le parti diversificandole. Progetti che indaghino Palermo come centro di produzione culturale, e la sua relazione con gli eventi culturali, che modellino la natura urbana come modello per lo sviluppo di nuove forme di coesistenza, che governino il ruolo dell’innovazione digitale e sociale nella progettazione delle città resilienti12. Come progettare il futuro di una città contemporanea che ha fatto della coesistenza, dell’ibridazione e della molteplicità il suo carattere distintivo? È questa domanda uno dei lasciti di Manifesta, perché ci obbliga ad una risposta non consuetudinaria. Palermo deve tornare ad essere una città che guarda al Mediterraneo e al Mondo, ai flussi e alle reti che ci attraversano, essere metropoli generosa con le città che la circondano, usare un approccio olistico ma sapere attuare pratiche, agire per agopunture che sappiano diramare i loro effetti. Palermo ‒ l’ho sostenuto molte altre volte ‒ non può più avere un solo centro, perché si sono moltiplicati i centri differenti, i nuovi epicentri di socialità della città metropolitana e progressivamente policentrica. E dalle periferie oggi vengono potenti segnali di innovazione sociale, di ribellione civica, di nuovi modi di abitare e di lavorare. Riserve preziose per la resilienza della città. Questa per me è la sfida più seducente: reimmaginare Palermo dopo che Palermo ha reinterpretato il ruolo di Capitale della cultura, ha ripensato i luoghi con Bias e ha ricodificato il ruolo di una Biennale nomade di arte contemporanea dedicata alla “coltivazione della coesistenza”. Dobbiamo, a mio parere, stimolare la germogliazione della consistenza, nel mirabile senso con cui la proponeva, purtroppo senza completarne l’argomentazione, Italo Calvino nelle sue Lezioni 12 Per esplorare il progetto di futuro fondato sul diverso presente è stato lanciato nell’ottobre 2017 il Manifesta 12 Research Studios, un progetto curato da Ippolito Pestellini Laparelli e me che mette insieme in un’unica piattaforma quattro centri di ricerca di architettura (Palermo Lab dell’Università degli Studi di Palermo, AA Museum Lab dell’Architectural Association School of Architecture di Londra, Complex Project della Delft University of Technology e ADS8 del Royal College of Art di Londra). Nell’arco di due semestri, i quattro studi universitari internazionali hanno lavorato con gli studenti per proporre nuovi futuri della città partire dalle tracce interpretative contenute nel Palermo Atlas di OMA e nel dossier Palermo Portraits of the Future elaborato dal PalermoLab del Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo (Maurizio Carta, Alessandra Badami, Renzo Lecardane, Marco Picone, Filippo Schilleci e Zeila Tesoriere). Gli esiti del progetto hanno generato la mostra omonima allestita all’ex mulino del Complesso di Sant’Antonino.
25
CreativeCity Lab - LabUrba_20
Americane, in una oscillazione epistemologica tra solidità e coerenza, tra identità e apertura. E il frutto più prezioso della consistenza è la dimensione etica della nostra azione. Per fare germogliare la consistenza di Palermo dobbiamo partire dagli epicentri dell’arte contemporanea (Palazzo Butera, la GAM, il Museo Riso, i Cantieri Culturali alla Zisa, il Teatro Garibaldi), dalle istituzioni culturali che si stanno aprendo al contemporaneo (lo Steri, l’Orto Botanico, il Museo Diocesano, la Fondazione Federico II, la Fondazione Sant’Elia, Palazzo Branciforte e Villa Zito, il Museo Salinas, Palazzo Abatellis), dai luoghi del riscatto (lo Zen, la Favara di Maredolce, la Costa Sud), dalla riapertura della città al mare (il parco archeologico del Castello a Mare, la Cala, Sant’Erasmo e la nuova area crociere) e poi dai palazzi, gallerie, studi d’artista, centri culturali, piazze e giardini, per ridisegnare complessivamente la città. Per non fermarci alle intenzioni servono sperimentazioni! Come il “Progetto Kalsa” che abbiamo redatto io, Massimo Valsecchi e Marco Giammona con il contributo di molte persone e nato dalla collaborazione tra Unipa e la Fondazione Valsecchi. Figlio di una visione lungimirante e multidisciplinare, il progetto di rigenerazione urbana e umana della Kalsa ha una poderosa carica innovativa poiché agisce contemporaneamente sull’innovazione urbana, sociale, culturale ed economica, riattivando i cicli latenti ma ancora vitali di uno dei quartieri a più alta intensità culturale del centro storico di Palermo, alimentata dalla presenza dell’Università di Palermo e il suo complesso Monumentale e Museale dello Steri e l’Orto Botanico, di Palazzo Butera come motore culturale e creativo tra memoria e contemporaneità aperto alla città e dell’Ufficio del Centro Storico come laboratorio istituzionale di politiche urbane. Il progetto agisce su tutte le eccellenze culturali già presenti nell’area, mettendole a sistema con la vivace vita sociale, artistica e comunitaria che negli ultimi anni ha reso il quartiere vibrante di creatività. Il risultato è un “arcipelago culturale” di spazi pubblici, di luoghi porosi e attraversabili, di musei e laboratori, di manifatture e teatri, di residenze e atelier, di istituzioni e associazioni che in sinergia agiscono per sperimentare in questo brano importante di città un nuovo modello urbano fondato sulla generazione di valore a partire dalla cultura e dai nuovi stili di vita ad essa legati. Palermo arcipelago reclama di ricomporre conflitti senza abolire le diversità, ricucendo la relazione tra centro e periferie, tra città e mare, tra minerale e vegetale, persino tra sotterraneo ed aereo, perché Palermo è percorribile nei qanat, nei cunicoli dei Beati Paoli, nei rifugi anti-aerei e nelle cisterne sotterranee di Pier Luigi Nervi, come Parigi, ma anche dalle terrazze, dai tetti e delle torri, come Istanbul e Marrakech. Coltivare la coesistenza per far germogliare la consistenza è l’occasione per generare effetti creativi di rigenerazione urbana e umana attorno ai luoghi interessati dagli
eventi, riattivandone la vitalità attraverso usi ibridi e condivisi. È il momento di completare la restituzione dello spazio urbano ai cittadini e non alle macchine: «lasciate perdere la maledetta auto e costruite le città per gli innamorati e per gli amici», scriveva Lewis Mumford nel 1979. È il momento per trovare nuove funzioni culturali e produttive agli spazi dismessi attraverso forme innovative e profittevoli di partenariato pubblico-privato. È lo spunto per ripensare il ruolo delle biblioteche, dei musei e dei teatri come piazze del sapere. È il momento per coltivare l’azione collettiva del tessuto culturale e creativo che è il terreno fertile su cui devono germogliare i frutti duraturi delle Vie dei Tesori, della Settimana delle Culture, del Festival delle Letterature Migranti, di Ballarò Buskers Festival, e altre iniziative, in una feconda contaminazione che alimenti e renda stabile l’ecosistema culturale. Palermo è stata fondata come “tutta porto” e il mare le ha dato per secoli la sua vitalità, poi è diventata “tutta orto”, giardino paradisiaco di diversità botanica e la natura le ha donato la vitalità della sua bellezza vegetale, ed è stata anche “tutta arte”, da sempre luogo di artisti sublimi, di correnti artistiche e di avanguardie, spesso autorevole nel panorama internazionale, anche dell’arte contemporanea. Oggi può rinascere dall’essere contemporaneamente tutta porto, tutta orto e tutta arte. Non si tratta solo di un gioco linguistico, ma è la sintesi delle tre identità ‒ anzi re-identità ‒ che possono definire, accelerare e focalizzare la grande metamorfosi della città del diverso presente che rigenera il futuro a partire dal suo migliore passato. Ripartendo dal rapporto d’amore con il mare, dalla simbiosi con la natura e dalla energia creativa dell’arte. Significa riaprire la Porta del Sole che attraverso il nuovo porto crociere, il parco lineare costiero e la Cala illumini la città dei suoi flussi globali che vi penetrano da est. Significa far rivivere la Conca d’Oro che attraverso orti e giardini torni a rinverdire ferrovie dismesse, cortili ed aree agricole periurbane. Significa attivare la dimensione urbana degli spazi dell’arte contemporanea, a partire dalla storica galleria Arte al Borgo [...] (ancora esistente e in cerca di nuove battaglie), e dalle altre gallerie, centri culturali indipendenti e studi d’artista nati negli ultimi anni, come la galleria di Francesco Pantaleone, la Rizzuto Gallery di Giovanni Rizzuto e Eva Oliveri, il Caffè internazionale di Stefania Galegati Shines, o l’Ascensore di Albertò Laganà e Gianluca Concialdi, o gli studi d’artista di Andrea Kantos, Ignazio Mortellaro, Michele Tiberio, Linda Randazzo, Francesco Cuttitta, Gabriele Massaro, Dimitri Agnello, Luca Cutrufelli, solo per citarne alcuni. Dobbiamo ripartire da quello spirito leggero e impegnato allo stesso tempo, contaminando musei, spazi espositivi, teatri, librerie, studi, residenze e gallerie per far tornare Palermo ad essere avanguardia di sperimentazione, di vitalità e di inventiva. Possiamo ripartire dalle nostre eccellenze delle arti visive e performative spesso dimenticate o ignorate, ma mai 26
Cosmopolitan Habitat
cancellate o sopite, ancora vibranti sotto le macerie della falsa modernità del cieco presente, pronte ad essere la spinta della nuova città. Per far rifiorire Palermo, per farla tornare la splendente Aziz, città dell’acqua, della natura e dell’arte, non è di un grande evento che abbiamo bisogno, ma di numerosi avvenimenti ‒ cioè un futuro emergente ‒ da costruire insieme attingendo alla proteiformità di Palermo che si disvela sempre differente a seconda di chi la guardi. E Palermo porto, orto e arte pretende un’idea di città e invoca un’urbanistica che mutino in funzione delle domande dei suoi abitanti piuttosto che fornire una risposta predefinita, spesso solo utopica, nel senso di incapace di farsi luogo. Dalla Whl Unesco, da Manifesta, dalla Capitale Italiana della Cultura, o da altre occasioni simili, non mi aspetto che nasca la città del futuro, ma pretendo che si attivi la città di un differente presente, disvelata dal potere ermeneutico delle arti visive e performative, progettata dall’architettura e pianificata dall’urbanistica, rigenerata dalla loro capacità di indagare a fondo nei tessuti spaziali e umani della vita contemporanea per ricombinarne il codice genetico. Le città del diverso presente, tuttavia, non sono fatte solo di centri vibranti di creatività, di luoghi che reagiscono e di comunità effervescenti, non sono solo utopie possibili, ma sono composte di pluralità, sono fatte di fertili eterotopie, di margini che si fanno centri, di periferie che tornano città.
27
CreativeCity Lab - LabUrba_20
B Bibliografia di riferimento Libri di testo Carta M. (2019), Futuro, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ). Carta M. (2017), Agumented City. A paradigm shift, LIStLab, Trento. Carta M. (2013), Reimagining Urbanism. Città creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano, LIStLab, Trento. Carta M., Lino B., Ronsivalle D. (a cura di, 2016), Re-Cyclical Urbanism. Visioni, paradigmi e progetti per la metamorfosi circolare, LIStLab, Trento. Badami A. (2012), Metamorfosi urbane. Politiche culturali in Francia e mutamenti nel paradigma urbanistico, Alinea, Firenze. Ronsivalle D. (2018), Luoghi, territori, paesaggi. Intelligenze collettive per la pianificazione nel Neoantropocene, FrancoAngeli, Milano. Libri teorici e metodologici Aime M. (2004), Eccessi di culture, Einaudi, Torino. Aime M. (2019), Comunità, Il Mulino, Bologna. Baumann Z. (2002), Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari. Beck U. (2017), La metamorfosi del mondo, Roma-Bari, Laterza. Bellaviti P. (2011), “Disagio e benessere nella città contemporanea, agio e benessere nella città contemporanea”, in Atti della XIV Conferenza SIU, Abitare l’Italia. Territori, Economie, diseguaglianze, 24-26 marzo. Brugmans G., van Dinteren J., Hajer M. (eds., 2016), The Next Economy, IABR, Rotterdam. Cabianca, V., Carta M. (2008), Le vicende urbanistiche, in Palermo. Specchio di civiltà, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma. Calzolaio V., Pievani T. (2016), Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così, Einaudi, Torino. Carta M., Lino B. (a cura di, 2015), Urban Hyper-Metabolism, Aracne Int.le, Roma. Castronovo V. (2011), Il capitalismo ibrido. Saggio sul mondo multipolare, Laterza, Roma-Bari. Cavevacci M. (2019), Syncretisms, Fetishisms, Ubiquities, Postmedia books, Milano. De Spuches G. (2013), La città cosmopolita: altre narrazioni, Palumbo, Palermo. Gasparrini C. (2015), In the city, on the cities, LIStLab, Trento. Gehl J. (2017), Città per le persone, Maggioli, Santarcangelo di Romagna. Governa F. (2001), “Il territorio come soggetto collettivo? Comunità, attori, territorialità”, in Bonora P. (a cura di), SLoT, quaderno 1, Baskerville, Bologna. Guarrasi V. (a cura di, 2011), La città cosmopolita. Geografie dell’ascolto, Palumbo, Palermo. Hall P. (2014), Cities of Tomorrow: An Intellectual History of Urban Planning and Design Since 1880, Blackwell Publishing Ltd, Oxford. Inti I., Cantaluppi G., Persichino M. (2014), Temporiuso. Manuale per il riuso temporaneo di spazi in abbandono in Italia, Altraeconomia, Milano. Landry C. (2006), City making. L’arte di fare la città, Codice, Torino. Magnaghi A. (2006), “Dalla partecipazione all’autogoverno della comunità locale: verso il federalismo municipale solidale”, in Democrazia e Diritto, n.3, pp.134-150. Mostafavi M., Doherty G. (2016), Ecological Urbanism, Lars Muller, Zurich. Mumford L. (1997), Storia dell’utopia, Donzelli Editore, Roma. OMA (a cura di, 2018), Palermo Atlas, Humboldt Books, Milano. Picone M., Schilleci F. (2012), QUartiere e IDentità. Per una rilettura del decentramento a Palermo, Alinea, Firenze. 28
Cosmopolitan Habitat
B Pluchino P. (2019), La città vivente. Introduzione al metabolismo urbano circolare, Malcor D’Edizioni, Catania. Ratti C. (2017), La città di domani. Come le reti stanno cambiando il futuro urbano, Einaudi, Torino. Ratti C. (2014), Architettura Open Source. Verso una progettazione aperta, Einaudi, Torino. Ricci M. (2012), Nuovi paradigmi, LIStLab, Trento. Rifkin J. (2014), The zero marginal cost society: The internet of things, the collaborative commons, and the eclipse of capitalism, St. Martin’s Press, New York. Sandercock L. (1998), Towards Cosmopolis: Planning for Multicultural Cities, John Wiley, Hoboken (NJ-USA). Schröder J., Carta M., Ferretti M., Lino, B. (eds., 2018), Dynamics of Periphery. Atlas for Emerging Creative Resilient Habitats, Jovis Verlag GmbH, Berlin. Schröder J., Carta M., Hartmann S. (eds., 2018), Creative heritage, Jovis Verlag GmbH, Berlin. Schröder J., Carta M., Ferretti M., Lino, B. (eds., 2016), Territories. Rural-Urban strategies, Jovis Verlag GmbH, Berlin. Secchi B. (2013), La città dei ricchi e dei poveri, Laterza, Roma-Bari. Semi G. (2015), Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, Il Mulino, Bologna. TeamAssociati (a cura di, 2016), Taking Care. Progettare per il bene comune, Becco Giallo, Trento. Terrin J.J. (a cura di, 2012), La ville des créateurs, Parenthèses, Marseille. Letture di approfondimento Bergevoet T., Tuijl van M. (2016), The Flexible City. Sustainable Solutions for a Europe in Transition, Nai010 Publishers, Rotterdam. Binnie J. (2006), Cosmopolitan Urbanism, Routledge, London. Briata P. (2014), Spazio urbano e immigrazione in Italia. Esperienze di pianificazione in una prospettiva europea, FrancoAngeli, Milano. Burdett R., Sudjic D. (2011), Living in the Endless City, Phaidon Press, New York. Burdett R., Ichioka S. (2006), Città. Architettura e società. Catalogo della Biennale di Architettura di Venezia, Marsilio, Venezia. Cannavò P., De Angelis C., De Blasio E., De Medici E., Morlino L., De Nictolis E., Iaione C., Prevete C., Santoro P., Sorice M., Susanna E., Zupi M. (2016), Protocollo metodologico per la costruzione di quartieri e comunità collaborative urbane (il protocollo CO-Città), Report RdS/PAR2015/023, Enea, Roma. Casanova H., Hernandez J. (2014), Public Space Acupuncture: Strategies and Interventions for Activating City Life, Actar, Barcelona. Cao U., Catucci S. (a cura di, 2001), Spazi e maschere dell’architettura e della metropoli, Meltemi, Roma. Ellen MacArthur Foundation (2012), Towards the Circular Economy: Economic and business rationale for an accelerated transition, EMF, Chicago. Fabian S., Munarin L. (a cura di, 2017), RE-CYCLE ITALY Atlante, LetteraVentidue Edizioni, Siracusa. Gasparrini C., Terraciano A. (a cura di), Dross City. Metabolismo urbano, resilienza e progetto di riciclo dei drosscape, LIStLab, Rovereto. Hackett S., Kunard A., Stahel U. (eds., 2018), Anthropocene: Burtynsky, Baichwal, de Pencier, Toronto, AGO. Hall P.(2013), Good Cities, Better Lives: How Europe Discovered the Lost Art of Urbanism, Routledge, London. Lerner J. (2003), Acupuntura Urbana, Editora Record, Rio De Janeiro. Lima A.I. (1997), Palermo. Strutture dinamiche, Testo&Immagine, Torino. McNeill J.R., Engelke P. (2018), La Grande accelerazione. Una storia ambientale dell’Antropocene dopo il 1945, Einaudi, Torino. Sennett R. (2018), Costruire e abitare. Etica per la città, Feltrinelli, Milano. Sommariva E. (2014), Cr(eat)ing City. Strategies for the resilient city, LIStLab, Trento. Smets M, Shannon K (2016), The landscape of Contemporary Infrastructure, Nai Publishers, Rotterdam. Terrin J.J. (a cura di, 2012), La ville des créateurs, Parenthèses, Marseille. Vicari Haddock S., Moulaert F. (a cura di, 2009), Rigenerare la città. Pratiche di innovazione sociale nelle città europee, Il Mulino, Bologna. 29
CREATIVE CITYlab