RESILIENT COMMUNITIES - Programma Laboratorio di Pianificazione 2 a.a. 19/20 - Prof. Maurizio Carta

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PROGRAMMA


CreativeCityLab

Urban and Territorial Planning Studio 2 Prof. Maurizio Carta Mentor Barbara Lino Tutor Marilena Orlando Luca Torrisi Cosimo Camarda

Maurizio Carta professore ordinario di Urbanistica

Barbara Lino ricercatore di Urbanistica

Marilena Orlando PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale

Carmelo Galati Tardanico PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale

Luca Torrisi PhDstudent in Architettura, Arti e Pianificazione

Cosimo Camarda PhDstudent in Architettura, Arti e Pianificazione

CREATIVE CITYlab


L’arcipelago delle città medie europee si reticola spesso attorno a città della cultura, nel senso di città non solo detentrici di risorse culturali profonde lasciate dal palinsesto della storia, ma anche produttrici di nuova cultura, in grado di competere nel panorama internazionale attraverso la valorizzazione e la promozione della propria identità e diversità culturale, della creatività e della gastronomia, delle trame del paesaggio e della riscoperta di stili di vita più sostenibili in una intensa competizione con l’attrattività in declino delle metropoli.

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Vision

Vision

Cities and territories in the New Anthropocene We are at the apical phase of a pandemic crisis that Cities and territories in the New Anthropocene We are at the apical phase of a pandemic crisis that has spread since the sixties of the twentieth century, when the contradictions of predatory capitalism produced by the industrial revolution exploded and the awareness that the western development model guided exclusively from the euphoria of consumption produced social inequalities, cultural impoverishment and consumption of physical resources beyond the planet’s limits (Meadows et. al., 1972). Having reached the apex, the now evident ecological crisis requires us to radically review the development model, starting from the western one but necessarily involving the whole planet with different intensities and responsibilities. To describe this phase of our evolution, Eugene Stoermer, in the eighties of the last century, and then Paul J. Crutzen, in the early 2000s, introduced the term “Anthropocene” (Crutzen et. Al., 2000), an era began with the industrial revolution and accelerated in the second half of the twentieth century through massive man-made territorial, social, economic and climatic changes, bending the planet to its supposed “intelligence”. In the last twenty years, an even more pervasive “anthropodevelopment” has produced an immense and devastating human footprint on the planet, far beyond any other dominant effect. This awareness requires us to face a cultural and political challenge, rather than an environmental and ecological one. We are an infinitesimal, but today overbearing, part of a wonderful genesis of the Earth within a universe with a sublime genealogy, as described by Guido Tonelli (2019), with a rare sensitivity between miracle and science. We must, therefore, abandon the erosive, extractive, pervasive, uneven and conflictual Paleoanthropocene in which we live to enter with deci-

Città e territori nel Neoantropocene Siamo alla fase apicale di una crisi pandemica che si diffonde dagli anni Sessanta del XX secolo, quando esplosero le contraddizioni del capitalismo predatorio prodotto dalla rivoluzione industriale e iniziò a diffondersi – lentamente e con numerosi oppositori – la consapevolezza che il modello di sviluppo occidentale guidato esclusivamente dall’euforia dei consumi producesse diseguaglianze sociali, impoverimento culturale e consumo di risorse fisiche oltre i limiti del pianeta (Meadows et. al., 1972). Giunti all’apice, la ormai evidente crisi ecologica ci impone di rivedere in maniera radicale il modello di sviluppo, partendo da quello occidentale ma coinvolgendo necessariamente tutto il pianeta con diverse intensità e responsabilità. Per descrivere questa fase della nostra evoluzione, Eugene Stoermer, negli anni Ottanta del secolo scorso, e poi Paul J. Crutzen, agli inizi del Duemila, hanno introdotto il termine “Antropocene” (Crutzen et. al., 2000), un’era iniziata con la rivoluzione industriale e accelerata nella seconda metà del XX secolo attraverso imponenti modifiche territoriali, sociali, economiche e climatiche prodotte dall’uomo, piegando il pianeta alla sua presunta “intelligenza”. Negli ultimi venti anni, un ancor più pervasivo “antroposviluppo” ha prodotto una immensa e devastante impronta umana sul pianeta, ben oltre qualsiasi altro effetto dominante. Questa consapevolezza ci impone di affrontare una sfida culturale e politica, prima che ambientale ed ecologica. Siamo parte infinitesimale, ma oggi prepotente, di una genesi mirabile della Terra entro un universo con una sublime genealogia, come ce la descrive Guido Tonelli (2019), con rara sensibilità tra miracolo e scienza. Dobbiamo, quindi, abbandonare il Paleoantropocene erosivo, estrattivo, pervasivo, ineguale e conflittuale in cui viviamo per entrare con decisione e responsabilità nel “Neoantropocene”, un 1


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V sion and responsibility in the “Neoanthropocene”, a new anthropocene in which humanity, instead of being the problem, projects and puts into action the transition towards sustainable development, reactivating the ancient alliance between human and natural components as coagent forces: a sensitive, respectful and temperate anthropocentrism aimed at repositioning humanity in an integrated, hybrid, with nature. The challenges of the plan and the urban planning project The challenge for a generative and non-dissipative local development of cities and territories in the New Anthropocene calls us to the commitment of a new responsibility and a new hermeneutic of the territorial plan and of the urban project as the outcome of a generating creativity made of care, recovery and reactivation of urban centers that return to feed life cycles, cultivate the talents of the inhabitants, attract ideas, generate innovation, produce new economies and strengthen solidarity networks. The commitment of administrators, urban planners, architects, citizens and businesses is to work on settlements characterized by the ability to give new answers to the surplus and overproduction generated by the development model that has produced settlement systems in disposal and contraction, services disused health or sports facilities, infrastructural networks in transformation. The reactivation of latent potentials requires actions of functional modification, inter-municipal aggregation or social reinvention thanks to which the components currently unused are recreated, without destroying them but changing their functions by pursuing a generative perspective and increasing their creative resilience. We must, therefore, experiment with policies and actions for communities that overcome their condition of fragility, recovering their internal resilience. Resilient communities A new environmental policy can only start from active citizenship, from a social engagement in which citizens become aware of the need to preserve and strengthen the alliance between man and nature and demand from the institutions integral ecological actions that allow us to transit rapidly in the Neo-anthropocene . Starting from these premises, the “Planning Studio 2” (AA 2019/2020) will deal with “Resilient Communities” to experiment with policies and projects that are capable of starting a regeneration not only physical, linked to urban and natural components, but also human, expression of multiple and plural communities: • Resilient Communities act in the relationships between the environment, living and the new economies (soft, sustainable and digital), adapting flexibly to the metamorphoses of the productive system of the territories and redesigning the way of life to reduce the impact on the environment, but also to recover 2


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V nuovo antropocene in cui l’umanità, invece di essere il problema, progetti e metta in atto la transizione verso lo sviluppo sostenibile, riattivando l’antica alleanza tra componenti umane e naturali come forze coagenti: un antropocentrismo sensibile, rispettoso e temperato volto a riposizionare l’umanità in uno schema integrato, ibrido, con la natura. Le sfide del piano e del progetto urbanistico La sfida per uno sviluppo locale generativo e non dissipativo di città e territori nel Neoantropocene ci chiama all’impegno di una nuova responsabilità e una nuova ermeneutica del piano territoriale e del progetto urbanistico come esito di una creatività generatrice fatta di cure, di recuperi e di riattivazioni di centri urbani che tornino ad alimentare cicli di vita, a coltivare i talenti degli abitanti, ad attrarre idee, a generare innovazione, a produrre nuove economie e a rafforzare reti di solidarietà. L’impegno degli amministratori, degli urbanisti, degli architetti, dei cittadini e delle imprese è quello di lavorare su insediamenti caratterizzati dalla capacità di dare nuove risposte alla eccedenza e sovrapproduzione generata dal modello di sviluppo che ha prodotto sistemi insediativi in dismissione e contrazione, servizi sanitari o sportivi in disuso, reti infrastrutturali in trasformazione. La riattivazione dei potenziali latenti richiede azioni di modifica funzionale, di aggregazione intercomunale o di reinvenzione sociale grazie a cui le componenti oggi inutilizzate vengano ricreate, senza distruggerle ma mutandone le funzioni perseguendo un’ottica generativa e aumentando la loro resilienza creativa. Dobbiamo, dunque, sperimentare politiche e azioni per comunità che superino la loro condizione di fragilità, recuperando la loro resilienza interna. Comunità resilienti Una nuova politica ambientale non può che partire dalla cittadinanza attiva, da un ingaggio sociale in cui i cittadini prendano coscienza della necessità di conservare e rafforzare l’alleanza tra uomo e natura e pretendano dalle istituzioni azioni ecologiche integrali che ci permettano di transitare rapidamente nel Neoantropocene. A partire da queste premesse, il “Laboratorio di Pianificazione 2” (A.A. 2019/2020) si occuperà di “Comunità resilienti” per sperimentare politiche e progetti che siano capaci di avviare una rigenerazione non solo fisica, legata alle componenti urbane a naturali, ma anche umana, espressione di comunità multiple e plurali: • Le Comunità Resilienti agiscono nelle relazioni tra l’ambiente, l’abitare e le nuove economie (soft, sostenibili e digitali), adattandosi in maniera flessibile alle metamorfosi del sistema produttivo dei territori e ridisegnando il modo di vivere per ridurne l’impatto sull’ambiente, ma anche per recuperare cicli di vita più adattivi che intercettino la nuova domanda di stili di vita sostenibili sempre più ampia. 3


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V Resilience and urban planning The etymological meaning of the word resilience, which derives from the Latin resilire - jumping backwards, bouncing back - recalls the idea of a process that returns to a previous condition after a disturbing event. Resilience in the field of urban and territorial planning is based on an ecological approach that looks at settlements as organisms in continuous transformation, which organize themselves as a result of natural or socio-economic stressful events to reach levels of efficiency. From its origins in the thinking of ecological systems in the 1960s and early 1970s, resilience has progressively gained in importance and has gradually changed and been adapted to a wide range of disciplines including engineering, ecology, physics, geography and even business management and psychology. In the late 1970s, urban sociologists began to recognize that social systems - in particular human settlements - were not isolated systems, but inextricably linked to each other and to the ecosystems on which they depend, thus strengthening the strength of the social component and bringing to the development of socio-ecological systems. Faced with environmental, economic and social changes affecting the living environments of local communities, resilient communities are able to develop strategies of adaptation, recovery and mitigation, through collective or individual actions that transform critical factors into opportunities such as reduce vulnerability, facilitate inclusive growth and ensure sustainability prospects. Looking at the practices of resilience, one can distinguish initiatives that address the situation starting from the functional deficit (disused spaces), from the relational deficit (the lack of integration between the available competences), or from the environmental deficit (the risks linked to the natural environment) . With respect to these three aspects, the process of social resilience leads to the promotion of initiatives to reactivate spaces and / or disused

more adaptive life cycles that intercept the new demand for sustainable and wider lifestyles. • Resilient Communities are creative because they are the synthesis of the relationships between the places of living (the space of people’s lives), the environment (natural systems) and society (human relationships and activities) and which act mainly on the creative and innovative dimension of development, seeking new ways to return to being generative of ideas, but above all of concrete actions that convince people to stay in places and others to arrive, especially young people. • Resilient Communities are ecological as interaction between the environment, society and the green economy, based on a new circular metabolism that changes lifestyles to make them more sustainable, but also attractive for the increasingly widespread communities of responsible consumption and with reduced ecological footprint fleeing the dystopian city in search of new urban utopias. • Resilient Communities are intelligent because they connect society, living and the digital economy, using technology intelligently to rethink the way of life in small towns and villages that want to be protagonists even in the digital age, indeed taking advantage of spatial remodulation and reduction of the proximity value that the digital connection produces. • Resilient Communities act through active participation in decision-making processes and community life, for example through the collective management of public space, of common goods, which favors the system of relationships, security, strengthening of identity, mechanisms of mutualism and solidarity. • Resilient Communities contrast speed with slowness understood as greater attention to place and people, as a greater perception of the sense of community and conviviality and to the standardization of the specificity of its territory, putting the value back on those resources that over time have been abandoned or neglected. 4


Resilient Communities

V • Le Comunità Resilienti sono creative poiché sono la sintesi delle relazioni tra i luoghi dell’abitare (lo spazio della vita delle persone), l’ambiente (i sistemi naturali) e la società (le relazioni e le attività umane) e che agiscono prevalentemente sulla dimensione creativa e innovativa dello sviluppo, cercando nuovi modi per tornare ad essere generative di idee, ma soprattutto di azioni concrete che convincano le persone a restare nei luoghi e altre ad arrivare, soprattutto i giovani. • Le Comunità Resilienti sono ecologiche come interazione tra l’ambiente, la società e la green economy, basate su un nuovo metabolismo circolare che modifichi gli stili di vita per renderle più sostenibili, ma anche attrattive per le sempre più diffuse comunità del consumo responsabile ed a ridotta impronta ecologica che fuggono dalla città distopica in cerca di nuove utopie urbane. • Le Comunità Resilienti sono intelligenti poiché mettono in connessione la società, l’abitare e l’economia digitale, usando con intelligenza la tecnologia per ripensare il modo di vivere nelle piccole città e nei borghi che vogliono tornare protagonisti anche nell’era digitale, anzi approfittando della rimodulazione spaziale e della riduzione del valore di prossimità che la connessione digitale produce. • Le Comunità Resilienti agiscono attraverso la partecipazione attiva ai processi decisionali e alla vita di comunità ad esempio attraverso la gestione collettiva dello spazio pubblico, dei beni comuni, che favorisce il sistema delle relazioni, della sicurezza, del rafforzamento dell’identità, dei meccanismi di mutualismo e solidarietà. • Le Comunità Resilienti contrappongono alla velocità la lentezza intesa come maggiore attenzione al luogo e alle persone, come maggiore percezione del senso di comunità e convivialità e alla standardizzazione la specificità del suo territorio, rimettendo il valore

quelle risorse che nel tempo sono state abbandonate o trascurate. Resilienza e pianificazione urbanistica Il significato etimologico della parola resilienza, che deriva dal latino resilire - saltare indietro, rimbalzare - richiama l’idea di un processo che riporta in una condizione precedente dopo un evento perturbatore. La resilienza nel campo della pianificazione urbanistica e territoriale si basa su un approccio ecologico che guarda agli insediamenti come organismi in continua trasformazione, che si organizzano in conseguenza di eventi stressanti naturali o socioeconomici per raggiungere livelli di efficienza. Dalle sue origini nel pensiero dei sistemi ecologici negli anni ‘60 e nei primi anni ‘70, la resilienza ha progressivamente acquisito importanza e ha cambiato via via definizione ed è stata adattata a una vasta gamma di discipline tra cui ingegneria, ecologia, fisica, geografia e persino gestione aziendale e psicologia. Alla fine degli anni ‘70, i sociologi urbani iniziarono a riconoscere che i sistemi sociali - in particolare gli insediamenti umani - non erano sistemi isolati, ma indissolubilmente legati tra loro e agli ecosistemi da cui dipendono, rafforzando così la forza della componente sociale e portando allo sviluppo di sistemi socio-ecologici. A fronte dei cambiamenti ambientali, economici e sociali che investono gli ambienti di vita delle comunità locali, le comunità resilienti sono in grado di sviluppare strategie di adattamento, di recupero e mitigazione, attraverso azioni collettive o individuali che trasformano i fattori critici in opportunità tali da ridurre la vulnerabilità, facilitare la crescita inclusiva e garantire prospettive di sostenibilità. Guardando alle pratiche di resilienza, si possono distinguere iniziative che affrontano la situazione partendo dal deficit funzionale (spazi dismessi), dal deficit relazionale (la mancanza di 5


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V structures through actions that require collaboration between local actors and external actors, the use of multiple resources, with a consequent impact on the system of local social relations and on the enhancement of the natural environment. These premises induce us to identify different dimensions in which resilience can be declined: • The social dimension. It is linked to the increasingly difficult re-composition of the public interest, where the “multiplicity” of the communities increases the difficulty of recomposing the local public interest. It is necessary to move from a public interest held by

institutional subjects to an interaction between all the interested parties, the bearers of a “power” of action and the subjects belonging to networks of shared interests (netholder). • The spatial dimension. It is necessary to define a space to which the collective interest can be exercised: social resilience needs a strong catalyst to be able to define how the community is ready to face some conditions of “shock”, for example post-seismic repopulation or the arrival of new communities, for the functional transformation of an urban space or for the intrusion into the urban and social fabric of alien groups. To understand why space is relevant in the development of collective interest, just think of some dramatic events such as earthquakes, in historical times such as Val-di-Noto in 1693, or strong central planning policies, such as the repopulation of internal Sicily through the status of jus populandi in the XVI, XVII and XVIII centuries, which in some cases in practice led to the forced displacement of entire human groups. These events give strength to the spatial vision of the collective interest, which allows to materialize processes of growth of local communities in the direction of a resilience consistent with the new anthropocene. • The environmental dimension. A resilient community is a community committed to the protection, management and care of the environment, which activates regeneration and territorial and urban development projects from a sustainability perspective, seeking the right combination of innovation and tradition. It is a community that reacts to the challenges and dynamics of globalization by contrasting standardization with the specificity of its territory, putting the value back on those resources that have been abandoned or neglected over time, rereading them in an innovative and sustainable key. To these components is also added a delicate economic question. The resilient community manages any “crisis” by promoting forms of circular economy whose goal is the self-sufficiency of the community in the production and management of goods and services. The national context is providing itself with specific regulations that favor the creation of community businesses, which through community involvement and general interest can revitalize areas at risk of depopulation or urban areas degraded or affected by social marginalization; the Sicilian Region has adopted regulations that favor the creation of community cooperatives aimed at improving the quality of life, through the conduct of economic activities for sustainable development, aimed at the production of goods and services, the recovery of environmental and monumental assets and creating job opportunities for the community itself.

Climate change, water scarcity and rising resource prices show at an increasing rate that nature’s abilities are not inexhaustible. A resilience oriented city, therefore, must have insight into its own metabolism. When we look at plan and manage cities as organisms with their own metabolisms it becomes clear that they are not separate entities.

Practices There are already signs of the Neo-anthropocene in some communities that courageously resist the crisis and try to manage the transition, adapting to the change that has engulfed them. Once they were flou6


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V integrazione tra le competenze disponibili), oppure dal deficit ambientale (i rischi legati all’ambiente naturale). Rispetto a questi tre aspetti, il processo di resilienza sociale porta alla promozione di iniziative di riattivazione di spazi e/o di strutture dismesse tramite azioni che richiedono la collaborazione tra attori locali e attori esterni, l’impiego di risorse molteplici, con un conseguente impatto sul sistema delle relazioni sociali locali e sulla valorizzazione dell’ambiente naturale. Queste premesse inducono a individuare differenti dimensioni in cui è possibile declinabile la resilienza: • La dimensione sociale. Essa è legata alla sempre più difficile ricomposizione dell’interesse pubblico, dove la “molteplicità” delle comunità aumenta la difficoltà di ricomporre l’interesse pubblico locale. Occorre passare da un interesse pubblico detenuto da soggetti istituzionali, a una interazione tra tutte le parti interessate, i portatori di un “potere” di azione e i soggetti appartenenti a reti di interessi condivisi (netholder). • La dimensione spaziale. È necessario definire uno spazio un cui si possa esercitare l’interesse collettivo: la resilienza sociale hanno bisogno di un forte catalizzatore per essere in grado di definire come la comunità è pronta ad affrontare alcune condizioni di “shock”, per esempio del ripopolamento post sismico o l’arrivo di nuove comunità, per la trasformazione funzionale di uno spazio urbano o per l’intrusione nei tessuti - urbano e sociale - di gruppi alieni. Per capire perché lo spazio è rilevante nello sviluppo dell’interesse collettivo, basti pensare ad alcuni eventi drammatici come i terremoti, in tempi storici come Val-di-Noto nel 1693, o politiche forti di pianificazione centralizzata, come il ripopolamento della Sicilia interna attraverso lo status di jus populandi nel XVI, XVII e XVIII secolo, che in alcuni casi in pratica ha portato allo sfollamento forzato di interi gruppi umani. Questi eventi danno forza alla visione spaziale dell’interesse collettivo, che consente di materializzare processi di crescita delle comunità locali in direzione di una resilienza coerente con il neoantropocene. • La dimensione ambientale. Una comunità resiliente è una comunità che si impegna nella tutela, gestione e cura dell’ambiente, che attiva progetti di rigenerazione e sviluppo territoriale e urbano in un’ottica di sostenibilità, cercando la giusta combinazione tra innovazione e tradizione. È una comunità che reagisce alle sfide e alle dinamiche della globalizzazione contrapponendo alla standardizzazione la specificità del suo territorio, rimettendo il valore quelle risorse che nel tempo sono state abbandonate o trascurate, rileggendole in chiave innovativa e sostenibile. A queste componenti si aggiunge anche una delicata questione economica. La comunità resiliente gestisce qualsiasi “crisi” promuovendo forme di economia circolare che hanno come obiettivo l’autosufficienza della comunità nella produzione e nella gestione di beni e servizi. Il contesto nazionale si sta dotando di specifiche norme che favoriscono la nascita di imprese

di comunità, che attraverso il coinvolgimento della comunità e l’interesse generale, possono rivitalizzare aree a rischio di spopolamento o aree urbane degradate o interessate da fenomeni di marginalità sociale; la Regione Siciliana si è dotata di norme che favoriscono la nascita di cooperative di comunità volte migliorare la qualità di vita, attraverso lo svolgimento di attività economiche per lo sviluppo sostenibile, finalizzate alla produzione di beni e servizi, al recupero di beni ambientali e monumentali ed alla creazione di opportunità di lavoro per la comunità stessa. Pratiche Esistono già indizi del Neoantropocene in alcune comunità che con coraggio resistono alla crisi e cercano di gestire la transizione, adattandosi al cambiamento che le ha travolte. Una volta erano fiorenti comunità montane, rurali o costiere, o quartieri urbani vibranti di vita comunitaria o centri storici densi di attività produttive e commerciali, oggi combattono contro un declino che rischia di travolgerli del tutto. Comunità

«Ma se l’essere umano non riscopre il suo vero posto, non comprende in maniera adeguata sé stesso e finisce per contraddire la propria realtà».

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V rishing mountain, rural or coastal communities, or vibrant urban neighborhoods of community life or historic centers full of productive and commercial activities, today they are fighting against a decline that risks overwhelming them completely. Communities of people take care of the nature and culture of their schedules, which experience a new circular urban metabolism, the recovery of craftsmanship and innovative manufactures, the local rooting of sustainable mobility infrastructures and the global connectivity of digital infostructures, the interconnection between green networks, cultural armor and slow life cycles, the diffusion of technological skills and innovation within local administrations. In observing the transformation practices of spaces and communities we can glimpse new organizational forms that are declining resilience in its human dimension, giving an adaptive and positive response to the exacerbation of the marginality of peripheral areas and internal areas, pointing the way to a local resilience that is rooted in the territorial context, regenerating fragile contexts and assuming the key features of social innovation: innovativeness of the relations between the actors involved and high focus

on the solution of collective needs. Urban and territorial suburbs often find themselves having to react to changes, those territories of the margins that need communities that cooperate and that activate processes of innovation to build new urban and territorial, social and economic models that are not necessarily able to return to the initial state but to activate processes that act on functionality through change and adaptation. The internal areas are witnesses of communities that respond to the processes of globalization by protecting their territory from a cultural and environmental point of view, preserving their identifying characteristics; in them the slow character is not a negative factor, but an added value for the quality of life. The character of social innovation is present in multiple experiences in the national context that are examples of industrious communities and expression of democratic participation, testimony of places that give space to innovation and creativity of local communities. In resilient communities, strategies are designed that are based on the ideas and practices of creatives, agricultural entrepreneurs, young people, teachers, social workers, artisans and foreign citizens. The resilience

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paradigm offers itself as a powerful enabling innovation bringing an elastic, dialogic and metamorphic attitude, in which the flexibility of the functions, the permeability of the spaces and the adaptability of the settlements are no longer dealt with as purely conceptual and spatial problems, but must to be related to the social, economic and technological development of regeneration, becoming the themes / tools / norms of the resilience project. It produces urban practices, generates neighborhoods or entire cities with a new metabolism, capable of better managing climate changes or hydrogeological changes, capable of absorbing the increasingly frequent storms producing new porous urban forms especially in public spaces. The territorial archipelago as a field of investigation Field of action of the “Planning Studio 2� (AA 2019/2020) are those non-metropolitan territories recognizable as territorial archipelagos (Carta, 2016) and understood as precious reserves of resilience that base the community, the resilient communities, their own energies of transformation. The territorial archipelago is a system of urban / rural settlements


Resilient Communities

V di persone si prendono cura della natura e della cultura dei loro palinsesti, che sperimentano un nuovo metabolismo urbano circolare, il recupero di sapienza artigianali e di manifatture innovative, il radicamento locale di infrastrutture sostenibili di mobilità e la connettività globale delle infostrutture digitali, la interconnessione tra reti verdi, armature culturali e cicli di vita lenti, la diffusione di competenze tecnologiche e dell’innovazione all’interno delle amministrazioni locali. Nell’osservazione delle pratiche di trasformazione di spazi e comunità possiamo intravedere nuove forme organizzative che stanno declinando la resilienza nella sua dimensione umana, dando una risposta adattiva e positiva all’acuirsi della marginalità di aree periferiche e di aree interne, indicando la via a una resilienza locale che si radica nel contesto territoriale, rigenerando contesti fragili e assumendo i caratteri chiave dell’innovazione sociale: innovatività delle relazioni tra gli attori coinvolti e alta focalizzazione sulla soluzione di bisogni collettivi. Le periferie urbane e territoriali spesso si trovano a dover reagire ai cambiamenti, quei territori

dei margini che necessitano di comunità che cooperino e che attivino processi di innovazione per costruire nuovi modelli urbani e territoriali, sociali ed economici capaci non necessariamente di tornare allo stato iniziale ma di attivare processi che agiscano sulla funzionalità attraverso il mutamento e l’adattamento. Le aree interne sono testimoni di comunità che rispondono ai processi di globalizzazione mediante la tutela del proprio territorio sotto il punto di vista culturale ed ambientale, preservandone i caratteri identitari; in esse il carattere slow non è un fattore negativo, bensì un valore aggiunto per la qualità della vita. Il carattere dell’innovazione sociale è presente in molteplici esperienze nel contesto nazionale che sono esempio di comunità operose ed espressione di partecipazione democratica, testimonianza di luoghi che danno spazio all’innovazione e alla creatività delle comunità locali. Nelle comunità resilienti si disegnano strategie che si fondano sulle idee e sulle pratiche di creativi, imprenditori agricoli, giovani, insegnanti, operatori sociali, artigiani, cittadini stranieri. Il paradigma della resilienza si offre come potente innovazione abilitante portatrice di un atteggiamento

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elastico, dialogico e metamorfico, in cui la flessibilità delle funzioni, la permeabilità degli spazi e l’adattabilità degli insediamenti non vengano più affrontati come problemi puramente concettuali e spaziali, ma debbano essere messe in relazione con il portato sociale, economico e tecnologico della rigenerazione, diventando temi/ strumenti/norme del progetto della resilienza. Esso produce pratiche urbane, genera quartieri o intere città con un nuovo metabolismo, capaci di gestire meglio i cambiamenti climatici o i mutamenti idrogeologici, capaci di assorbire i sempre più frequenti nubifragi producendo nuove forme urbane porose soprattutto negli spazi pubblici. L’arcipelago territoriale come campo di indagine Campo di azione del “Laboratorio di Pianificazione 2” (A.A. 2019/2020) sono quei territori non metropolitani riconoscibili come arcipelaghi territoriali (Carta, 2016) e intesi come preziose riserve di resilienza che fondano sulla collettività, le comunità resilienti, le proprie energie di trasformazione. L’arcipelago territoriale è un sistema di insediamenti urbano/ rurali collegati da un’infrastruttura


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V connected by a landscape infrastructure, whose connective system is often composed of the ecological networks of forests, embankments, parks, cultural mosaics, lines of the coasts, rivers and of the canals, from the plots of resistant or innovative manufactures, but also of the ancient roads and paths that united the communities. We can imagine it as a system of small urban cells thickened by plant and river infrastructures, with a perimeter strip of woods and crops around urban areas with different functions: productive agricultural park, river corridor, renaturalization areas, sports activities, etc., and a network of rivers and lakes that reactivate the ancient primary routes of the mobility of people and products. The territorial archipelago does not act as a single body defined once and for all - an isotopy - but uses the strength of its porous and reticular relations to share identities, roles and hierarchies with diversified articulations of space and society.

«Un grande laboratorio dinamico che concentra le sue azioni lungo lo spazio urbano costituito dalle aree interne del Paese, che per estensione e stratificazione storico-culturale sono esemplificazione dell’identità italiana»


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V di paesaggio, il cui sistema connettivo è spesso composto dai reticoli ecologici delle foreste, degli argini, dei parchi, dei mosaici colturali, dalle linee delle coste, dei fiumi e dei canali, dalle trame delle manifatture resistenti o innovative, ma anche delle antiche strade e dei cammini che aggregavano le comunità. Possiamo immaginarlo come un sistema di piccole cellule urbane addensate da infrastrutture vegetali e fluviali, con una fascia perimetrale di boschi e coltivazioni intorno alle aree urbane con funzioni diverse: parco agricolo produttivo, corridoio fluviale, aree di rinaturalizzazione, attività sportive, etc., e un reticolo di fiumi e laghi che riattivino le antiche vie primarie della mobilità delle persone e dei prodotti. L’arcipelago territoriale non agisce come un unico organismo definito una volta

per tutte – una isotopia – ma utilizza la forza delle sue relazioni porose e reticolari per condividere identità, ruoli e gerarchie con articolazioni diversificate dello spazio e della società.

«l’Italia non è solo metropolitana, ma è un arcipelago di diverse specie di spazi tenuti insieme da storie, tradizioni, memorie, cammini, percorsi, trattenuti da montagne, valli, mari e fiumi.»

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M Mission The experimental activities of the “Planning Studio 2” refer directly to the design potential of the small and medium centers located in the archipelago territories with the aim of building a new territorial armor in which resilient community paths can be activated in the following actions: 1. actions in the policy domain to make the public administration an enabling platform easily accessible, physically and virtually, for anyone at any time and from any place to increase performance and the ability to provide timely responses to the insurgent questions of a community that back to the inner territories. 2. actions aimed at increasing collaboration to disseminate formal and informal sensors and actuators, able to understand problems in real time and allow specific and non-generic solutions. 3. actions for social innovation capable of channeling the participatory energy of citizens towards the shared management of services, theaters, museums, libraries, laboratories and public spaces, as well as towards a distributed and proximity welfare. As well as sharing facilitation actions to offer public spaces and services for different uses and users over time to extend uses, to minimize management costs, to maximize efficiency and to ensure maintenance. 4. actions to stimulate entrepreneurship to facilitate public-private partnerships and credit for the realization of urban regeneration interventions, energy efficiency, sustainable mobility, building safety and environmental quality. 5. actions for the development of manufacturing indispensable since a new model of local development requires facilitating, through incentives and facilitations, the birth, the return and the development in the medium cities and in the rural villages of the new manufacturing, of the micro-production, of the digital manufacturing, agriculture, repair and recycling as new job opportunities. 6. actions that stimulate the use of real renewable energies on the front of the fight against climate change - that is, those that are not just a new opportunity for profit for those who dominate the flows - are a fruitful opportunity to give new life to local pre-distribution economies of the internal areas, allowing it to regain sovereignty over its resources, placing itself in a logic of exchange with the city also as regards the supply of energy. 7. actions to support creativity to stimulate a creative ecosystem starting from the fabric of schools, local laboratories, museums and cultural centers that become living labs and incubators of ideas, projects

and innovative companies, education-work relationship.

strengthening

the

The challenges for the generation of “resilient communities”, understood as local innovation models centered and guided by the communities that inhabit the territories and become protagonists of the vision of transformation, find their field of action in the “territorial archipelago” (Carta, 2016). The territorial archipelago will be the guide for the construction of a complex reticular system able to rebalance the territorial functional relationships favoring forms of specialization with variable geometry: polycentric and reticular strategies that hybridize in fluid way the different vocations and potentialities, identifying epicenters and systems complementary. The activities of the Studio will be oriented to identify resources and strategies to strengthen local innovation networks and projects in progress and to activate new ones, to trigger sustainable development, ecological and social resilience and territorial cohesion.


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M Mission Le attività sperimentali del “Laboratorio di Pianificazione 2” fanno diretto riferimento al potenziale progettuale dei centri medi e piccoli che si trovano nei territori arcipelago con l’obiettivo di costruire una nuova armatura territoriale in cui si possono attivare percorsi di resilienza di comunità declinabile nelle seguenti azioni: 1. azioni nel dominio delle politiche per rendere l’amministrazione pubblica una piattaforma abilitante facilmente accessibile, fisicamente e virtualmente, per chiunque in ogni momento e da ogni luogo per incrementare le prestazioni e la capacità di fornire risposte tempestive alle domande insorgenti di una comunità che torna a vivere i territori interni. 2. azioni volte ad incrementare la collaborazione per diffondere sensori e attuatori, formali e informali, in grado di comprendere in tempo reale i problemi e consentire soluzioni specifiche e non generiche. 3. azioni per l’innovazione sociale capaci di convogliare l’energia partecipativa dei cittadini

verso la gestione condivisa di servizi, teatri, musei, biblioteche, laboratori e spazi pubblici, nonché verso un welfare distribuito e di prossimità. Nonché azioni di agevolazione della condivisione per offrire spazi e servizi pubblici per usi e utilizzatori differenti nel tempo per estendere gli usi, per minimizzare i costi di gestione, per massimizzare l’efficienza e per garantire la manutenzione. 4. azioni di stimolo all’imprenditorialità per agevolare i partenariati pubblico-privato e il credito per la realizzazione di interventi di rigenerazione urbana, di efficienza energetica, di mobilità sostenibile, di sicurezza degli edifici e di qualità dell’ambiente. 5. azioni per lo sviluppo della manifattura indispensabili poiché un nuovo modello di sviluppo locale richiede di agevolare, attraverso incentivazioni e facilitazioni, la nascita, il ritorno e lo sviluppo nelle città medie e nei borghi rurali della nuova manifattura, della micro-produzione, della fabbricazione digitale, dell’agricoltura, della riparazione e del riciclo come nuove opportunità di lavoro. 6. azioni che stimolino sul fronte della lotta al cambiamento climatico l’uso di energie rinnovabili reali – cioè quelle che non sono solo una nuova occasione di profitto per chi domina i flussi – sono una feconda occasione per ridare fiato alle economie locali pre-distributive delle aree interne, permettendole di riacquisire sovranità sulle proprie risorse, ponendosi in una logica di scambio con la città anche per quanto riguarda la fornitura di energia. 7. azioni a supporto della creatività per incentivare un ecosistema creativo a partire dal tessuto di scuole, di laboratori locali, di musei e di centri culturali che diventino living lab e incubatori di idee, progetti e imprese innovative rafforzando il rapporto educazionelavoro. Le sfide per la generazione di “comunità resilienti”, intese quali modelli di innovazione locale centrati e guidati dalle comunità che abitano i territori e ne diventano protagoniste della visione di trasformazione, trovano il loro campo di azione nell’“arcipelago territoriale” (Carta, 2016). L’arcipelago territoriale rappresenterà la guida per la costruzione di un sistema reticolare complesso in grado di riequilibrare le relazioni funzionali territoriali favorendo forme di specializzazione a geometria variabile: strategie policentriche e reticolari che ibridino in maniera fluida le diverse vocazioni e potenzialità, individuando epicentri e sistemi complementari. Le attività del Laboratorio saranno orientate a identificare le risorse e le strategie per rafforzare le reti e i progetti di innovazione locale in corso e per attivarne di nuove, per innescare uno sviluppo sostenibile, la resilienza ecologica e sociale e la coesione territoriale.


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A Action The Planning Studio, therefore, will deal with the theme-project of middle and small urban archipelagos settlements as places in which to bring to light implicit relationships that must be strengthened to enhance territorial relations. Starting from a strategic project of a large area related to nonmetropolitan territories, the objective is to propose territorial projects aiming at forms of regeneration able to integrate the dimension of economic sustainability and public / private partnership with the challenges of more creative, ecological and intelligent rural and urban areas. Through the principles of the Smart Land, the paradigms of the re-cyclical urbanism and the design methodology of the cityforming protocol, the studio will experiment two paradigmatic territorial conditions, three territorial areas of Western Sicily, with the aim of developing cognitive and interpretative activities aimed at to the definition of local development strategies that look at the overlocal dimension of policies, based on the recognition and sharing of identity and vocations of the territory. The two areas of study are the settlement systems of the resilient communities recognizable in the archipelagos of Alcamo and Favara. The identified aggregations have been articulated starting from the recognition of a system of relations with the settlement system and resources or already in place due to the effect of programs, projects and production systems or to be strengthened through the project.

- Arcipelago Alcamo. The territorial system of the recognizable resilient community in the Alcamo archipelago is composed of the municipalities of: 1. Alcamo; 2. Balestrate; 3. Borgetto; 4. Castellammare; 5. Calatafimi Segesta; 6. Gibellina; 7. Partanna; 8. Partinico; 9. Scopello; 10. Trappeto; 11. Vita. Alcamo constitutes a crucial node of existing and potential relationships in which to propose adequate territorial devices, both spatial and in terms of policies, which act on the territorial metabolism stimulating above all the social, economic, educational, tourist and landscape connective functions, for a more powerful hyper -metabolism. Alcamo, located within the Western Sicily Platform, yet squeezed by the infrastructural policies on the junction territories and on the gate city, has not yet managed to launch policies of territorialisation and integration with the territories of the Territorial Platform.

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The infrastructure project (infrastructure development projects, upgrading of integrated logistics platforms, strategic investments in road and rail infrastructures, strengthening of port nodes, remodeling of the airport network, upgrading of intermodality) and connection between cities (interdependence due to relevance of the interconnected cities and territories) has only touched on the intermediate territories of the Platform. However, some new conditions such as the birth of the Sea Port Authority of Western Sicily make possible new hypotheses of territorial repositioning. The supra-local policies on the infrastructural theme (Port System Authorities, single management hypotheses for the airports of Trapani and Palermo, extension of shared mobility services and reconfiguration of the railway network) add up to the current


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A Action Il Laboratorio, quindi, si occuperà dell’elaborazione di un progetto strategico di area vasta relativo ai territori arcipelago non metropolitani e giungerà alla formulazione di progetti di rigenerazione urbana capaci di integrare la dimensione della sostenibilità economica e del partenariato pubblico/privato con le sfide di ambiti rurali ed urbani più resilienti, creativi, ecologici e intelligenti. Attraverso i principi della Smart Land, i paradigmi del re-cyclical urbanism e la metodologia progettuale del cityforming protocol, il laboratorio sperimenterà due condizioni territoriali paradigmatiche, due ambiti territoriali della Sicilia Occidentale, con l’obiettivo di sviluppare attività conoscitive ed interpretative finalizzate alla definizione di strategie di sviluppo locale che guardino alla dimensione sovra locale delle politiche, sulla base del riconoscimento e della condivisione di identità e vocazioni del territorio. I due territori di approfondimento sono i sistemi insediativi delle comunità resilienti riconoscibili negli arcipelaghi di Alcamo e Favara. Le aggregazioni individuate sono state articolate a partire dal riconoscimento di un sistema di relazioni con il sistema insediativo e delle risorse o già in atto per effetto di programmi, progetti e sistemi di produzione o da rafforzare attraverso il progetto. - Arcipelago Alcamo. Il sistema territoriale della comunità resiliente riconoscibile nell’arcipelago di Alcamo è composto dai comuni di: 1. Alcamo; 2. Balestrate; 3. Borgetto; 4. Castellammare; 5. Calatafimi Segesta; 6. Gibellina; 7. Partanna; 8. Partinico; 9. Scopello; 10. 15

Trappeto; 11. Vita. Alcamo costituisce un nodo cruciale di relazioni esistenti e potenziali in cui proporre adeguati dispositivi territoriali, sia spaziali che in termini di politiche, che agiscano sul metabolismo territoriale stimolandone soprattutto le funzioni connettive sociali, economiche, educative, turistiche e paesaggistiche, per un più potente iper-metabolismo. Alcamo, posta all’interno della Piattaforma della Sicilia Occidentale, eppure schiacciata dalle politiche infrastrutturali sui territori snodo e sulle città-porta, non è ancora riuscita ad avviare politiche di territorializzazione e di integrazione con i territori di riferimento della Piattaforma Territoriale. Il progetto infrastrutturale (progetti di sviluppo delle reti infrastrutturali, potenziamento delle piattaforme logistiche integrate, investimenti strategici nelle infrastrutture stradali e ferroviarie, potenziamento dei nodi portuali, rimodulazione della rete aeroportuale, potenziamento dell’intermodalità) e di connessione tra le città (interdipendenza dovuta alla rilevanza delle città e dei territori interconnessi) ha solo sfiorato i territori intermedi della Piattaforma. Tuttavia, alcune nuove condizioni come la nascita dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare della Sicilia Occidentale rendono possibili nuove ipotesi di riposizionamento territoriale. Le politiche sovralocali sul tema infrastrutturale (Autorità di Sistema Portuale, ipotesi di gestione unica per gli aeroporti di Trapani e Palermo, estensione dei servizi di mobilità condivisa e riconfigurazione della rete ferroviaria) si sommano alla attuale dinamicità del Comune di Alcamo che attraverso l’integrazione della pianificazione regolativa e strategica mira al riposizionamento della città nel contesto di Piattaforma. Su Alcamo sarà necessario attivare azioni capaci di interagire con i territori esterni alla Piattaforma Territoriale della Sicilia Occidentale, in particolare con “Arcipelago Belice”.


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A dynamism of the Municipality of Alcamo that through integration of strategic and strategic planning aims at repositioning the city in the context of the Platform. On Alcamo it will be necessary to interact with the territories outside the Territorial Platform of Western Sicily, in particular with “Belice Archipelago”.

of the patron of the arts Andrea Bartoli (“cultural agitator”, as he calls himself) and his wife Florinda, who recycled an abandoned district turning it into a worldwide cultural centre devoted to contemporary art, architecture, design and social innovation. The creative district, called “Sette Cortili” (seven courtyards), includes a breakthrough contemporary art museum, a residence for artists from around the world, an innovation-oriented co-working space, a space dedicated to a School of Architecture for Children, a leisure garden — called “riad” as tribute to the Moroccan tradition — with a high stars hotel suite for art travellers, a bookshop, a concept store and several ethnic food spaces that mix Sicilian and African culinary tradition. Exteriors of buildings are used as canvases for huge paintings and sculptures by young artists such as Fabio Melosu, Frabianco, Sara Fratini and Make. Courtyards feature permanent or temporary installations. The initiative, at its seventh year, has contributed to regenerate the entire old town of Favara with numerous shared urban design initiatives to return it to citizens and connect it with European counterparts through international cultural and tourism networks. FARM is one of the best experiment of Cityforming Protocol, because it has refused a masterplan approach, impossible to realise in that context, preferring a projectbased incremental approach timed by colonisation, consolidation and development phases.

- Arcipelago Favara. The territorial system of the recognizable resilient community in the Favara archipelago is composed of the municipalities of: 1. Favara 2. Casteltermini; 3. Santa Elisabetta; 4. Sant’Angelo Muxaro; 5. Cianciana; 6. Santa Elisabetta; 7. Aragona; 8. Comitini; 9. Grotte; 10. Racalmuto; 11. Castrofilippo; 12. Canicattì; 13. Joppolo Giancaxio; 14. Raffadali; 15. Realmonte; 16. Porto Empedocle; 17. Naro. A crucial node of the system of existing and potential territorial relations is Favara, where FARM Cultural Park is today one of the most significant national experiences of social and creative regeneration. Favara, just 8 km from the UNESCO Archaeological and Landscape Park of Agrigento “Valley of the Temples” was almost unknown until a few years ago. Today FARM has an international reputation that acts powerfully as a tornado in the current debate about how to make small communities survive global changes and economic crisis, and how to identify unused resources to make them an empowering instrument of sustainable growth and social innovation. The project was born in 2010 from the desire, passion and ability

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Resilient Communities

A - Arcipelago Favara. Il sistema territoriale della comunità resiliente riconoscibile nell’arcipelago di Favara è composto dai comuni di: 1. Favara 2. Casteltermini; 3. Santa Elisabetta; 4. Sant’Angelo Muxaro; 5. Cianciana; 6. Santa Elisabetta; 7. Aragona; 8. Comitini; 9. Grotte; 10. Racalmuto; 11. Castrofilippo; 12. Canicattì; 13. Joppolo Giancaxio; 14. Raffadali; 15. Realmonte; 16. Porto Empedocle; 17. Naro. Nodo cruciale del sistema di relazioni esistenti e potenziali del territorio è Favara, dove FARM Cultural Park è oggi una delle più significative esperienze nazionali di rigenerazione sociale e creativa. Favara, a soli 8 km dal Parco Archeologico e Paesaggistico UNESCO di Agrigento “Valle dei Templi” fino a pochi anni fa era quasi sconosciuta. Oggi FARM è un caso con una rilevante reputazione internazionale nel dibattito in corso su come far sopravvivere le piccole comunità ai cambiamenti globali e alla crisi economica e come identificare le risorse inutilizzate per renderle uno strumento di crescita sostenibile e di innovazione sociale. Il progetto è nato nel 2010 dalla passione e dalle capacità di Andrea Bartoli (“agitatore culturale”, come si chiama lui stesso) e di sua moglie Florinda, che hanno rigenerato un quartiere abbandonato trasformandolo in un centro culturale mondiale dedicato all’arte contemporanea, all’architettura, al design e all’innovazione sociale.

I “Sette Cortili” comprendono un museo di arte contemporanea, una residenza per artisti di tutto il mondo, uno spazio di collaborazione orientato all’innovazione, uno spazio dedicato a una scuola di architettura per bambini, un giardino per il tempo libero - chiamato “riad” come omaggio alla tradizione marocchina - con una suite d’albergo per viaggiatori d’arte, una libreria, un concept store e diversi spazi etnici che mescolano la tradizione culinaria siciliana e africana. Gli esterni degli edifici sono usati come tele per enormi dipinti e sculture di giovani artisti come Fabio Melosu, Frabianco, Sara Fratini e Make. I cortili dispongono di installazioni permanenti o temporanee. L’iniziativa ha contribuito a rigenerare l’intero centro storico di Favara con numerose iniziative di progettazione urbana condivise e connesse a reti culturali e turistiche internazionali. FARM è anche uno dei migliori esperimenti del Cityforming Protocol perché ha rifiutato un approccio statico, impossibile da realizzare in quel contesto, preferendo un approccio incrementale basato su progetto in cui è possibile riconoscere le fasi di colonizzazione, consolidamento e sviluppo.

La Sicilia al Vinitaly tra racconto, biodiversità, solidarietà e innovazione

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L Lectures and seminars The Planning Lab 2 is characterized by frontal lesson, open lectures, visiting professors supported by supplementary seminars, which will train the students with theoretical and methodological lessons, showing some examples of European best practices that will provide the skills to follow to follow the Studioissues and to develop the planning/design experimentations in the territory of Madonie of Valle del Belìce and of Western Sicily Platform. The expected frontal lessons will cover the following general themes: Paradigms • Reimagining Urbanism in the NeoAnthropocene. • The Augmented City: a paradigm shift. • Resilience as Urbanism. • Hyper-Metropolitan Metamorphosis. • Recyclical Urbanism. • Rur-Urban Strategies. Tools Cityforming Protocol. Connectors, interface, osmosis design devices. Contractual tools for the implementation of strategic choices: the Framework Agreements for Territorial Development, the Integrated Local Development Programs. Development scenarios SNAI strategy; territorial archipelago; augmented communitie: rur/urban development, social innovation and creativity.

Open lectures Giulia Argiroffi Giuseppe Barbera Andrea Bartoli Ignazio Buttitta Alessandro Cacciato Roland Carta Michele Cometa Adham Darawsha Giulia De Spuches Nicola Di Bartolomeo Gianni Di Matteo Paolo Di Nardo Enzo Fiammetta Fabio Giambrone Marco Giammona Vincenzo Guarrasi Claudio Gulli Paolo Inglese Fakher Kharrat Davide Leone Francesco Lipari Giuseppe Lo Bocchiaro Danilo Maniscalco Gianfranco Marrone Nicola Martinelli Alessandro Melis Gianluca Peluffo Ippolito Pestellini Luparelli Lucia Pierro Mosè Ricci Igor Scalisi Palmeri Marco Scarpinato Jörg Schröder Simone Sfriso MassimoValsecchi 18

L Lezioni frontali e seminari integrativi La didattica del Laboratorio di Pianificazione 2 prevede lezioni frontali, open lecture, visiting professor, coadiuvate da seminari integrativi, che forniranno agli studenti conoscenze teoriche e metodologiche ed esempi di buone pratiche europee utili a fornire le competenze necessarie per affrontare i temi del Laboratorio e per la sperimentazione di pianificazione/ progettazione nei territori di Alcamo e Favara. Le lezioni frontali previste riguarderanno le seguenti tematiche generali: Paradigmi • Reimagining Urbanism in the NeoAnthropocene. • The Augmented City: a paradigm shift. • Resilience as Urbanism. • Hyper-Metropolitan Metamorphosis. • Recyclical Urbanism. • Rur-Urban Strategies. Strumenti Cityforming Protocol. I dispositivi progettuali di connettore, interfaccia, osmosi. Strumenti di tipo contrattuale per l’attuazione delle scelte strategiche: gli Accordi quadro di sviluppo territoriale, i Programmi Integrati di Sviluppo Locale. Scenari di sviluppo La strategia SNAI; le piattaforme territoriali; le comunità aumentate: sviluppo rur/urbano, innovazione sociale e creatività.


Resilient Communities

L’Università degli Studi di Palermo come agenzia di sviluppo del territorio.

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T

Md

Teaching and evaluation, methodology & open lecture series

Metodologia didattica e di valutazione & open lecture series

The studio activities will mainly developed by open lectures, frontal lessons and laboratory activities, in which there will be several moments of confrontations that will allow the constant integration of insights, interpretations and design choices. At the end of the course all workshops materials and graphic elaborations will be shown to a final exhibition. The student’s work assessment will be done through: 1. evaluation of the graphic elaborations of the laboratory during the seminar discussions, which will be articulated in steps by following the related methodology; 2. final exam, which will consist of discussing the contents of the elaborations, referring to the topics treated during the whole course, and which will provide an overall design contribution and a project planning contribution. The evaluation will be fulfilled during the year, through the progressive elaboration/correction of the project, the attendance to the course and the participation to the several activities proposed during the year.

Le attività del Laboratorio si svolgeranno principalmente in aula attraverso open lectures, lezioni frontali e attività laboratoriali, che saranno oggetto di continue discussioni e confronti seminariali e che permetteranno la costante integrazione delle intuizioni, delle interpretazioni e delle scelte progettuali. Tutti gli elaborati del workshop, alla fine del percorso, saranno oggetto di una mostra finale. La valutazione del lavoro di ogni singolo studente avverrà attraverso: 1. valutazione durante le discussioni seminariali del prodotto dell’esercitazione, che sarà articolata in step sulla base della metodologia applicata; 2. esame finale, che consisterà nella discussione dei contenuti dell’esercitazione, con riferimento agli argomenti affrontati durante l’intero corso, e nella quale sarà previsto un contributo progettuale complessivo ed un contributo progettuale di approfondimento. La valutazione sarà, comunque, continua durante tutto l’anno, attraverso la progressiva elaborazione/ correzione del progetto in aula, la frequenza al corso e la partecipazione alle varie attività proposte durante l’anno.

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Sm

Mi

Supplementary Module Territorial marketing

Modulo integrativo Ingegneria Gestionale per il Territorio

I The supplementary module seminars will provide some theoretical and methodological reflections on microeconomics, pricing, territorial marketing, international marketing and territorial applications, to support the experimentations conducted within the course. The student will acquire knowledge and methodologies to treat and solve in an original way issues of territorial management through economic instruments, marketing and business organization. The student will be able to formulate territorial strategies by drawing on territorial marketing tools with regard to territory through marketing mix levers (even in globalized contexts) with reference to the actions of competitor territories and to the structure of the markets. For this aim, the seminars will address the following topics: • knowledge of the markets structure; • economic tools for assessing consumer behavior; • marketing strategies, pricing, and territorial development strategies and territorial marketing.

I seminari del modulo integrativo forniranno, a completamento e a supporto delle sperimentazioni condotte nell’ambito del Laboratorio, alcune riflessioni teoriche e metodologiche su elementi di microeconomia, pricing, e marketing territoriale, International marketing e applicazioni in campo territoriale. Lo studente acquisirà conoscenze e metodologie per affrontare e risolvere in maniera originale problematiche di gestione del territorio attraverso strumenti economici, di marketing e di organizzazione aziendale. Lo studente sarà in grado infatti di formulare strategie territoriali attingendo agli strumenti del marketing territoriale per quel che riguarda l’offerta di territorio con le leve del marketing mix (anche in contesti globalizzati) in riferimento alle azioni dei territori concorrenti e della struttura dei mercati. A tale scopo, i seminari tratteranno i seguenti argomenti: • conoscenze propedeutiche sulla struttura dei mercati; • strumenti economici per la valutazione del comportamento del consumatore; • strategie di marketing, pricing, e strategie di sviluppo territoriale e marketing territoriale.

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W Workshop The workshop of Planning Studio 2 will be divided into two phases: analysis and project, with the aim of teaching a methodology of analysis and interpretation of settlements aimed at urbanregeneration. The workshop phases will be as follows:

W1_Analysis diagnosis (Book)

and

The first part of the workshop is structured into two phases:

the knowledge of the cognitive framework of the archipelago resilient community and the construction of the cognitive framework on the scale of the urban center object of study. Part 1 Structural analysis and atlas interpretation The first part of the W1 provides for the interpretation of the structural components of the archipelagos through the “Structural analysis for cycles� provided.

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Subsequently the course will focus its attention on the archipelago’s resilient community through thematic filters that will serve to draw up an Atlas. The Atlas provides a territorial image that not only looks at the static nature of the components, but to their dynamism and interaction and to the potential of internal and external flows.


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W Workshop Il workshop del Laboratorio di Pianificazione 2 sarà articolato in due fasi: analisi e progetto, nell’obiettivo di insegnare una metodologia di analisi e interpretazione degli insediamenti finalizzata alla rigenerazione rur-urbana. Le fasi del workshop saranno così articolate:

quadro conoscitivo della comunità resiliente dell’arcipelago e la costruzione del quadro conoscitivo alla scala del centro urbano oggetto della sperimentazione progettuale.

W1_Analisi e diagnosi (Book)

La prima parte del W1 prevede l’interpretazione delle componenti strutturali degli arcipelaghi oggetto di sperimentazione attraverso la

La prima parte del workshop si articola in due fasi: la conoscenza del

Parte 1 Interpretazione analisi strutturale e atlante

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lettura della “Carta strutturale per cicli” fornita dalla docenza. Una volta studiato e interpretato il quadro conoscitivo di area vasta fornito dalla docenza, il corso focalizzerà la sua attenzione sulla comunità resiliente dell’arcipelago attraverso dei filtri tematici che serviranno a redigere un Atlante che restituisca un’immagine territoriale che non guarda solo alla staticità delle componenti, ma alla loro dinamicità e interazione e alla potenzialità dei flussi, interni ed esterni.


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Part 2 Cognitive framework an the urban scale

Parte 2 Quadro conoscitivo alla scala urbana

The second phase of the W1 is aimed at the construction of the cognitive framework on the urban scale in the municipal area subject of the project experimentation. The analysis involves the application of the analysis and interpretation techniques of the structural components of the urban centres studied.

La seconda fase del W1 è rivolta alla costruzione del quadro conoscitivo alla scala urbana nel territorio comunale oggetto della sperimentazione progettuale. L’analisi prevede l’applicazione delle tecniche di analisi e interpretazione delle componenti strutturali relative ai centri assegnati dalla docenza.

W2_Project (Panels)

W2_Progetto (Tavole)

The workshop goes on with the simulation of a complex project of new urban metabolisms in the areas of rur/urban realities analyzed. Cultural/creative city themes will be developed, applied to the Re-cycle paradigms and the new Cityforming© protocol will be used. Specific policies and actions should be developed to improve the quality of life, to make urban contexts more environmentally sustainable and to enhance cultural heritage. The project will lead to the identification of areas, resources and activities that will become “regeneration fields” of areas in crisis to develop the themes of the cultural and creative city, apply the Re-cycle paradigms and use the new Cityforming© protocol.

Il workshop prosegue con la simulazione di un progetto complesso di nuovi metabolismi urbani nelle aree delle realtà rur/ urbane analizzate. Dovranno essere sviluppati i temi della città culturale/creativa, applicati i paradigmi Re-cycle e utilizzato il nuovo protocollo progettuale Cityforming©. Dovranno essere formulate politiche e azioni specifiche in grado di migliorare la qualità della vita, di rendere i contesti urbani più sostenibili dal punto di vista ambientale, di supportare comunità resilienti e di valorizzare il patrimonio culturale. La sperimentazione progettuale condurrà all’individuazione di aree, risorse e attività che diventeranno progettazione di “ambiti di rigenerazione” capaci di intervenire su aree in crisi e su cui sviluppare i temi della città culturale e creativa, applicare i paradigmi Re-cycle e utilizzare il nuovo protocollo progettuale Cityforming©.

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Farm Cultural Park

MUSEO DELLE PERSONE

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“Non immaginare il diverso futuro possibile, ignorare il futuro che vogliamo, ci mutila e ottunde nel presente� Danilo Dolci


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approfondimenti scientifici

Eterotopie dell’Italia mediana Governare l’innovazione locale dei territori interni di Maurizio Carta

zione più compatibile con le identità e le vocazioni e più sostenibile rispetto alle risorse e alle sensibilità dei territori e delle comunità. L’arcipelago delle città medie europee si reticola spesso attorno a città della cultura, nel senso di città non solo detentrici di risorse culturali profonde lasciate dal palinsesto della storia, ma anche produttrici di nuova cultura, in grado di competere nel panorama internazionale attraverso la valorizzazione e la promozione della propria identità e diversità culturale, della creatività e della gastronomia, delle trame del paesaggio e della riscoperta di stili di vita più sostenibili in una intensa competizione con l’attrattività in declino delle metropoli. Nell’ambito dell’armatura urbana europea è l’Italia che può e deve proporre un nuovo paradigma di sviluppo sostenibile fondato sul suo tradizionale arcipelago di città medie e di aree interne, di paesaggi agrari plasmati dalla mano sapiente dell’uomo e di montagne urbanizzate da piccoli ma ancora vitali centri abitati2. Un’armatura di città medie e piccoli paesi intessuta di itinerari degli uomini e delle arti, rafforzata dalle trame degli artigiani e degli agricoltori. Un’Italia fatta di tasselli preziosi di un mosaico paesaggistico, culturale e artistico, che si inerpicano lungo le pendici dei “monti naviganti”, le Alpi e gli Appennini narrati da Paolo Rumiz3 nei suoi pellegrinaggi alla ricerca del palinsesto sepolto dalla modernità imperfetta, di quel “filo infinito” intessuto dai monasteri, dalle loro biblioteche, dalle regole che si fanno cura della natura. La sfida per

[estratto da Maurizio Carta, Futuro. Politiche per un diverso presente, Rubbettino, 2019]

«Dobbiamo ritrovare il batticuore dei luoghi», così Franco Arminio concludeva una serata magica di tarda estate tra i Sassi di una Matera epicentro della cultura europea. Un “batticuore” fatto di un tempo ritmato e non sincopato, di dimensioni contenute e non sgraziate, di materiali sensibili e non infallibili. Un batticuore che è fatto anche di extrasistole, di rallentamenti repentini del tempo, persino di qualche temporaneo arresto per ascoltare il silenzio. Come avviene ad Aliano dove Arminio organizza il Festival di poesia e paesaggio La luna e i Calanchi, una “sagra del futuro” dedicata alla paesologia, alle comunità provvisorie, come le chiama lui, all’Italia fragile ma struggente, all’Italia isolata ma ammaliante, all’Italia della gioia invece che a quella del rancore. È un arcipelago di diverse specie di spazi tenuti insieme, aggregati e interconnessi da storie, tradizioni, memorie, similitudini, analogie, cammini, percorsi, trattenuto da montagne, valli, mari e fiumi: un arcipelago fluido di connessioni implicite piuttosto che la struttura rigida di un progetto consapevole. E non è solo l’Italia a riscoprire il valore dei luoghi mediani. Perché, se è vero che nel secolo urbano in cui viviamo, la città è lo scenario della competizione delle energie, delle risorse umane, delle intelligenze collettive e della creatività (ma anche la maggiore responsabile dell’impronta ecologica e del consumo di risorse, come abbiamo già detto), il mondo si sta sviluppando non solo attorno alle grandi megalopoli da decine di milioni di abitanti (le cosiddette 25 “città alfa”, spesso arroganti come i loro omonimi umani), ma sempre 2 In Italia le aree interne occupano una porzione del territorio che supera il più spesso attorno alle circa 600 città intermedie e alle 60% della superficie nazionale, contengono più della metà dei Comuni italiani migliaia di conurbazioni diffuse, armature di micro- (4.261) e vivono 13,54 milioni di abitanti (il 23 % della popolazione italiana). poli e sistemi rur-urbani. Soprattutto in Europa stan- Su questo territorio dal 2013 il Governo Letta, per iniziativa dell’allora Ministro no riemergendo i valori delle città medie e delle aree della Coesione territoriale Fabrizio Barca, ha avviato la Strategia nazionale per Aree interne (SNAI), coordinata dalla Agenzia per la Coesione territoriale, per interne urbanizzate1, produttrici di visioni alternative lecomprenderne le fragilità, selezionarne le opportunità e, soprattutto, stimolarne rispetto alla congestione delle metropoli, un arcipelago la rinascita attraverso strategie integrate e azioni congiunte. La SNAI, come è di città – spesso ancora paesi – generatore di un’evolu- comprensibile, ha prodotto risultati molto diversificati in funzione dei contesti

territoriali su cui ha agito, della capacità istituzionale con cui si è confrontata, delle reti relazionali con cui è entrata in contatto. Per comprenderne l’approccio e gli esiti si vedano G. Carrosio, I margini al centro. L’Italia delle aree interne tra fragilità e innovazione, Roma, Donzelli, 2019; A. De Rossi, Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Roma, Donzelli, 2018; E. Borghi, Piccole Italie. Le aree interne e la questione territoriale, Roma, Donzelli, 2017. 3 Cfr. P. Rumiz, La leggenda dei monti naviganti, Milano, Feltrinelli, 2008 e P. Rumiz, Il filo infinito, Milano, Feltrinelli, 2019.

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E’ significativo che sul prossimo ciclo di programmazione 2021-27 del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale per la prima volta sia stata introdotta una riserva del 5% per le aree interne 1,5 miliardi ai piccoli Comuni ed alle zone con difficoltà di accesso ai servizi di base e, soprattutto, abbandonando la retorica prevalente nei precedenti cicli di programmazione che solo le grandi aree urbane e le città metropolitane fossero i motori dello sviluppo europeo.

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le città medie italiane, per emergere dall’oblio e dal conseguente declino, è quella di generare nuova visione di futuro valorizzando alcune delle loro intrinseche identità e specifiche opportunità: la profondità del palinsesto storico e la resistenza delle identità locali, l’interazione locale-globale, il commercio come fattore relazionale, il tempo libero come componente della vita urbana e fattore di benessere, la produzione culturale come domanda in espansione dell’era dell’accesso, gli effetti quotidiani di un metabolismo circolare che recupera antiche sapienze di sovranità energetica e alimentare, la produzione agroalimentare e manifatturiera come eccellenza mondiale. Dobbiamo ritrovare senso e ruolo di quell’Italia mediana, ancora decorosa, rispettosa e fiduciosa raccontata nel 1959 da Pier Paolo Pasolini nel suo viaggio a bordo di una Fiat 1100 per comprendere l’alba del successivo sviluppo duro e travolgente, che per Pasolini non era affatto sinonimo di progresso, poiché lo sviluppo è soprattutto umano, ed ha a che fare con la cultura e con la civiltà4. Alcune città medie italiane – anche durante gli anni drammatici della crisi globale – si ripropongono come emergenti attrattrici di popolazione, nuove aggregatrici di comunità provenienti non solo dalle zone rurali, ma anche da altre città e da altri contesti urbani meno dinamici e innovativi: si pensi a Fabriano, Parma, Pesaro, Alba e Carrara, città creative dell’Unesco5, o Mantova, Pistoia, Perugia, Lecce, Siena, Cagliari, Ravenna, capitali italiane della cultura, o a Verbania, Vercelli, Cuneo, Altamura, Barletta, Favara, Salemi, Gangi, Castelbuono, per citarne solo alcune che conosco bene6. Città medie e aree interne, sempre fondate sul palinsesto storico, spesso creative e talvolta innovative agiscono – più spesso si propongono di agire – come luoghi attrattivi e sostenibili in grado di intercettare i flussi materiali e immateriali in cerca di nuove emozioni territoriali – non solo classe creativa ma anche classe emotiva – per renderle più vivibili, attrattive e dinamiche con la forza di una ritrovata – difficile da mantenere – demografia attiva. Tuttavia, per non rimanere una retorica, o una speranza, ma per disegnare visioni, definire politiche e guidare progetti, le città intermedie dovranno dimostrare di saper essere motore ecologico di sviluppo creativo sostenibile, motore altrettanto potente da poter agire in coppia con quello metropolitano. Dovranno saper agire in maniera proattiva sui nuovi metabolismi urbani (acqua, rifiuti ed energia, ma anche cultura, socialità e innovazione), capaci di produrre effetti sia nel campo dei beni collettivi che in quello dei capitali privati, sia nel dominio delle nuove configurazioni spaziali che in quello delle nuove correlazioni sociali. La sfida delle città medie italiane, dei paesi alpini e appenninici, delle comunità rur-urbane è rivolta alla creazione di nuovi metabolismi più resilienti, più creativi, più intelligenti e più collaborativi, assumendo un ruolo di propulsore anti-ciclico rispetto al declino

e quindi un acceleratore della metamorfosi che invoco fin dall’inizio di questo libro. Le città medie italiane, pur non sottraendosi agli obiettivi di attrattività di talenti e di generazione d’impresa, sono soprattutto orientate a ripensare la città e il territorio attraverso la sua matrice culturale, agendo sugli stili dell’abitare, sulla mobilità, sull’accesso ai servizi e su uno sviluppo in forme più distribuite e reticolari, meno erosive e più auto-sufficienti. Nell’Italia del diverso presente dobbiamo riattivare la potenza degli arcipelaghi territoriali perché sprigionino tutto il loro valore attinto dalla sinergia tra resilienza e innovazione, tra sapienza e creatività. È significativo, infatti, che il Padiglione Italiano della Biennale Internazionale di Architettura di Venezia del 2018, curato da Mario Cucinella, sia stato dedicato proprio all’Arcipelago Italia, perché lo abbiamo pensato (anche io ho fatto parte del team curatoriale e con Mario abbiamo discusso fin dalla genesi dei contenuti e del titolo) come un padiglione-manifesto di una diversa Italia. «Un grande laboratorio dinamico che concentra le sue azioni lungo lo spazio urbano costituito dalle aree interne del Paese, che per estensione e stratificazione storico-culturale sono esemplificazione dell’identità italiana», spiega Cucinella,. L’Italia mediana ci racconta di un vero e proprio “altro spazio”7 la cui alterità non è solo geografica e culturale, ma è soprattutto politica, nel senso che reclama di «ridare centralità alle espressioni della qualità in architettura, che non può prescindere dall’empatia con i luoghi, preferendo la giusta misura ai gesti grandiosi e tenendo conto della fattibilità del progetto», scrive ancora Mario Cucinella. Come ho già detto, mi piace definire l’arcipelago territoriale come un sistema di insediamenti urbano/rurali collegati da un’infrastruttura di paesaggio, il cui sistema connettivo è spesso composto dai reticoli ecologici delle foreste, degli argini, dei parchi, dei mosaici colturali, dalle linee delle coste, dei fiumi e dei canali, dalle trame delle manifatture resistenti o innovative, ma anche delle antiche strade e dei cammini che aggregavano le comunità. Possiamo immaginarlo come un sistema di piccole cellule urbane addensate da infrastrutture vegetali e fluviali, con una fascia perimetrale di boschi e coltivazioni intorno alle aree urbane con funzioni diverse: parco agricolo produttivo, corridoio fluviale, aree di rinaturalizzazione, attività sportive, etc., e un reticolo di fiumi e laghi che riattivino le antiche vie primarie della mobilità delle persone e dei prodotti. L’arcipelago territoriale non agisce come un unico organismo definito una volta per tutte – una isotopia – ma utilizza la forza delle sue relazioni porose e reticolari per condividere identità, ruoli e gerarchie con articolazioni diversificate dello spazio e della società. È spazio eterotopico, direbbe Foucault, generato dalla pluridimensionalità dello spazio vissuto da comunità differenti che lo intersecano con flussi multidimensionali ed a intensità variabili. È un arcipelago di inquietudini e apprensioni, perché «le eterotopie inquietano,

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Cfr. P. P. Pasolini, La lunga strada di sabbia, Parma, Guanda, 2017. Dell’Unesco Creative Cities Network fanno parte anche Roma, Milano, Torino e Bologna. 6 Moltissime storie delle aree interne italiane possono essere ascoltate dalla voce dei protagonisti nel podcast “Belli dentro” di Radio24.

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Per vedere questo viaggio politico e architettonico lungo l’arcipelago Italia potete vedere L’Altro Spazio. Viaggio nelle aree interne d’Italia, il documentario scritto da Mario Cucinella, con la regia di Marcello Pastonesi, e prodotto da Rai Cinema.

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senz’altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i luoghi comuni, perché devastano anzi tempo la sintassi e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma quella meno manifesta che fa tenere insieme le parole e le cose»8. In Italia, lontano dai riflettori della cronaca e dalle tabelle delle statistiche, ma sotto l’occhio affettuoso di storici, narratori, camminatori, poeti, paesaggisti, architetti, urbanisti, sociologi ed economisti sensibili, da alcuni anni diversi sistemi policentrici e reticoli territoriali stanno sperimentando il radicamento locale di infrastrutture sostenibili di mobilità e di infostrutture digitali, la interconnessione tra reti verdi, armature culturali e cicli di vita lenti, la diffusione di competenze tecnologiche e dell’innovazione all’interno delle amministrazioni locali. Le aree interne sono luoghi straordinari, di intensa vita, di emozioni di comunità, che solo una «clamorosa miopia geografica porta a renderle invisibili pur essendo il cuore della nazione» scrive Arminio, che aggiunge «bisogna aprire emotivamente i paesi, dilatare la loro anima e invece la modernità incivile degli ultimi decenni li ha aperti solo dal punto di vista urbanistico: si sono sparpagliati nel paesaggio, a imitazione della città, ma è rimasta la contrazione emotiva. Bisogna agitare le acque, ci vuole una comunità ruscello e non una comunità pozzanghera»9. Nella nostra visione innovativa e sensibile all’identità e ai valori delle città medie e dei territori interni è necessario superare la visione conflittuale basata sulla dialettica tra le opposizioni binarie tradizionalmente utilizzate: naturale/antropico, urbano/rurale, culturale/ ecologico, conservazione/innovazione, identità/creatività. Voglio invece adottare un approccio “trialettico” – come definito da Henri Levebvre prima e da Edward Soja dopo10 – basato su una cooperazione ternaria tra dimensioni e componenti che determini nuovi rapporti più fluidi perché basati sulla costante ricerca di un accordo – anche nel senso musicale del termine – cioè la simultaneità di componenti della giusta tonalità. Un territorio trialettico non si configura più per spazi isotopici omogenei e identitari, e quindi separati e conflittuali, ma per spazi eterotopici più ricchi e plurali fatti di diversità invece che di differenze, composti

da connettori invece che da settori11. Scriveva Henri Lefebvre, nel suo fondamentale La révolution urbaine del 1970, che «la differenza “isotopia-eterotopia” non può concepirsi correttamente che in una maniera dinamica. Nello spazio urbano, succede sempre qualcosa. I rapporti cambiano; le differenze e i contrasti giungono fino al conflitto; oppure si attenuano, si erodono o si corrodono»12. È quello che il geografo Edward Soja chiama “terzo spazio”, cioè lo spazio vissuto dalle persone, interpretato e ricreato quotidianamente13. Se lo spazio vissuto diventa una nuova componente delle relazioni di vita improntate alla ricerca di una sintesi trialettica piuttosto che di una opposizione dialettica, allora i territori mediani e interni dell’Italia arcipelago possono offrire il campo perfetto per comprenderne il ruolo. È nell’Italia mediana, tra le Alpi e gli Appennini, nei reticoli di paesaggio e nei centri storici abbarbicati sulle rocce, tra le piane fertili disegnate dai contadini e le manifatture che resistono che possiamo individuare nuove “comunità relazionali e interagenti” che oggi appaiono la migliore soluzione alla riattivazione e rilancio dell’arcipelago delle aree interne. Individuo quattro tipi di comunità che sottopongo alla vostra riflessione critica e alla verifica sperimentale che conduciamo con Mario Cucinella, Antonella Agnoli, Roberto Corbia, Fabio Renzi, Vittorio Salmoni, Giuseppe De Luca, Roberto Mascarucci, Alessandro Melis e altri amici. Chiamo le prime Comunità Creative poiché sono la sintesi delle relazioni tra i luoghi dell’abitare (lo spazio della vita delle persone), l’ambiente (i sistemi naturali) e la società (le relazioni e le attività umane) e che agiscono prevalentemente sulla dimensione creativa e innovativa dello sviluppo, cercando nuovi modi per tornare ad essere generative di idee, ma soprattutto di azioni concrete che convincano le persone a restare nei luoghi e altre ad arrivare, soprattutto i giovani. Le seconde agiscono come Comunità Resilienti agendo nelle relazioni tra l’ambiente, l’abitare e le nuove economie (soft, sostenibili e digitali), adattandosi in maniera flessibile alle metamorfosi del sistema produttivo delle aree interne e ridisegnando il modo di vivere per ridurne l’impatto sull’ambiente, ma anche per recuperare cicli di vita più adattivi che intercettino la nuova domanda di stili di vita sostenibili sempre più ampia14. Le terze sono le Comunità Ecologiche come interazione tra l’ambiente, la società e la green economy, basate su un nuovo metabolismo circolare che modifichi gli stili di vita per renderle più sostenibili, ma anche attrattive per le sempre più diffuse comunità del consumo responsabile ed a ridotta impronta ecologica che fuggono dalla città distopica in cerca di nuove utopie urbane. Infine, le quarte sono le Comunità Intelligenti che mettono

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Cfr. M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Milano, Rizzoli, 1967. 9 Cfr. Comunità provvisorie, il blog di Franco Arminio e dei paesologi (comunitaprovvisorie.wordpress.com). 10 Henri Lefebvre nel 1974 propone la sua “dialettica triplice dello spazio”, quella tra spazi percepiti, spazi concepiti e spazi vissuti, sostenendo che «le relazioni frontali, spesso brutali, non impediscono completamente l’esistenza di aspetti clandestini e sotterranei; non esiste potere senza complici, e senza polizia. In questo modo prende corpo una triplicità» (La produzione dello spazio, Milano, Moizzi, 1976), sulla quale tornerà a più riprese definendola e perfezionandola come soluzione per uscire dai recinti binari. Ma sarà Edward Soja che darà all’intuizione lefebvriana la sua solidità come vera e propria “trialettica della spazialità”, che oppone al novecentesco sistema binario “socialità-storicità”, il terzo termine “spazialità”, riaprendo radicalmente i giochi. Con la trialettica “socialità-storicità-spazialità” Soja reinterpreta la tripartizione spaziale di Lefebvre, definendo gli spazi percepiti come un primo spazio, quelli concepiti come un secondo spazio e quelli vissuti come un “terzo spazio” (cfr. E. W. Soja, Thirdspace, London, Blackwell, 1996).

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Michel Foucault nel 1966 definiva le “eterotopie” come contro-spazi, non spazi neutri e bianchi, ma spazi «quadrettati, ritagliati, variegati, con zone luminose e zone buie, dislivelli, scalini, avvallamenti e gibbosità, con alcune regioni dure e altre friabili, penetrabili, porose», invocando la nascita di una vera e propria scienza dei contro-spazi, la etero-topologia. Cfr. M. Foucault, Utopie Eterotopie, Napoli, Cronopio, 2006. 12 Cfr. H. Lefebvre, La rivoluzione urbana, Roma, Armando, 1973. 13 Cfr. W. Soja, Thirdspace, London, Blackwell, 1996. 14 Alle Comunità Resilienti sarà dedicato il Padiglione Italia curato da Alessandro Melis per la 17ma Mostra Internazionale di Architettura di Venezia del 2020.

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in connessione la società, l’abitare e l’economia digitale, usando con intelligenza la tecnologia per ripensare il modo di vivere nelle piccole città e nei borghi che vogliono tornare protagonisti anche nell’era digitale, anzi approfittando della rimodulazione spaziale e della riduzione del valore di prossimità che la connessione digitale produce. Ognuna di queste comunità esiste e rende visibile a chi sappia vederla la ricchezza dell’arcipelago Italia15 perché esprime diverse modalità di azione sui differenti tipi di territorio che caratterizzano le relazioni più feconde tra spazio e società, tra cultura ed economia. Ognuna delle comunità, infatti, produce una molteplicità di spazi in cui agiscono in diverso modo gli attori istituzioni e sociali. Per spiegare meglio le implicazioni spaziali di queste relazioni voglio usare la famosa triade concettuale dello spazio proposta da Lefebvre. Da un lato, le comunità agiscono nello spazio percepito, frutto degli usi e delle pratiche spaziali che abbracciano «produzione e riproduzione, e i luoghi specifici e gli insiemi spaziali caratteristici di ogni formazione sociale, assicurando la continuità e un certo livello di coesione e implicando un livello garantito di competenza e un livello specifico di performance»16. La pratica spaziale, come processo della produzione di una forma materiale della spazialità sociale, è dunque presentata sia come medium sia come risultato dell’attività umana, del comportamento e delle esperienze. Nello spazio percepito le comunità agiscono per riconoscimento di relazioni, spesso a livello implicito. Poi, ogni comunità produce uno spazio concepito, prodotto dalle istituzioni e regolato dai piani, in cui le rappresentazioni dello spazio sono connesse alle «relazioni della produzione e all’ordine che queste relazioni impongono»17, e dunque a saperi, segni, codici, e relazioni frontali, istituzionali, generando uno spazio concettualizzato prodotto dagli esperti, dai pianificatori, dagli urbanisti, dagli ingegneri sociali. È lo spazio dominante di ogni società (o del modo di produzione), lo spazio della rappresentazione del potere e dell’ideologia, del controllo e della sorveglianza. E, sebbene sia lo spazio più frequente entro cui agiscono le comunità, è anche quello con la forza coesiva più debole, sempre più spesso messo in discussione nel tentativo di superarlo attraverso nuove forme di aggregazione più fluide e cooperative. Infine, ogni comunità genera lo spazio vissuto, il terzo spazio, quello su cui agiscono i luoghi di rappresentazione delle comunità, lo spazio su cui si esercita il diverso presente, coniugando i segni molto complessi della contemporaneità, «legati al lato clandestino e sotterraneo della vita sociale, ma pure all’arte, che potrebbe definirsi non come un codice dello spazio, ma come un codice degli spazi di rappresentazione»18. Questo è lo spazio degli abitanti e dei diversi utenti, è uno spazio che l’immaginazione e la creatività cercano di

cambiare per riappropriarsene. È lo spazio della dura montagna italiana e delle troppo morbide coste, dei borghi più belli e delle periferie tristi. Lo spazio vissuto dei terrazzamenti e dei vitigni che geometrizzano il paesaggio, o quello degli ulivi che si torcono danzando con il vento. È lo spazio delle comunità di artisti che ridanno colore e gioia a paesi in catalessi, o quello dei migranti che portano braccia e idee non sfruttate ma accolte. È lo spazio degli innovatori che cavano bellezza dalla pietra, che coltivano talenti nelle gravine o che teatralizzano rovine o discariche. Ma è anche lo spazio delle mille biblioteche come piazze del sapere o dei contadini che mettono Arduino sull’aratro. È lo spazio delle città termali senza più appeal, o delle centrali idroelettriche vibranti di energia, delle ciclovie sempre più vie per nuovi cicli di vita o dei cammini di narratori camminanti. In questi spazi cooperative diserbano le mafie e coltivano speranza, e donne e uomini dissotterrano amianto e seminano frumento. Il risultato è una geografia eterotopica dell’arcipelago di spazi e società che intende interpretare l’Italia non metropolitana delle città medie e delle aree interne attraverso le diverse componenti che identificano l’habitat, l’ambiente, la società e l’economia sostenibile e le comunità che già oggi le intersecano in modi differenti, sfuggendo a qualsiasi narrazione precedente e generando la ricchezza dell’arcipelago con le loro nuove connessioni spaziali, sociali, economiche e culturali. Non è casuale che in Italia le imprese che meglio hanno reagito alla fase recessiva siano quelle che hanno saputo rafforzare l’interlocuzione con il territorio, valorizzandone le risorse umane e interagendo con le altre imprese e con le strutture educative e di ricerca19. Nei territori interni in metamorfosi di sviluppo, infatti, si sperimentano già nuovi insediamenti ecologici e creativi, più resilienti e intelligenti, dialogici e sensibili. È qui che viene verificata con maggiore responsabilità la dimensione e la portata degli effetti di una ecologia integrale di cui abbiamo bisogno, figlia di una rinnovata ecosofia e madre di una nuova economia. Una ecologia integrale che, applicata ai sistemi insediativi delle aree interne, nella feconda relazione tra urbano e rurale, agevola la nuova alleanza tra cicli ecologici agricoli e cicli metabolici urbani, sperimentando soluzioni non convenzionali. Un rinnovato approccio olistico dimostra la necessità multiscalare di una urbanistica ecologica e circolare che sappia agire sia sui territori metropolitani che su quelli rur-urbani e rurali. Tale approccio richiede che il metabolismo del territorio – non solo funzionale, ma anche sociale e culturale – debba essere principio cardine della pianificazione e dei conseguenti strumenti progettuali, aiutando a riconnettere i sistemi agricoli, residenziali, industriali, naturali, culturali e ricreativi perché inizino a collaborare e interagire entro una nuova negoziazione di interessi tra diverse situazioni reciprocamente vantaggiose o tra nuove relazioni produttive in grado di determina-

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Numerosi esempi di comunità-arcipelago le abbiamo raccontate – e progettate – al Padiglione Italia della Biennale e possono essere approfondite nel catalogo curato da Mario Cucinella, Arcipelago Italia. Progetti per il futuro dei territori interni del Paese, Macerata, Quodlibet, 2018. 16 Cfr. H. Lefebvre, La produzione dello spazio, Milano, Moizzi, 1976 17 Cfr. H. Lefebvre, op. cit. 18 Cfr. H. Lefebvre, op. cit.

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Sulla qualità del territorio come elemento fondamentale per il successo delle reti di imprese che possono intessere gli arcipelaghi italiani ha recentemente elaborato indicazioni importanti per ridurre le diseguaglianze perseguendo un diverso sviluppo Romano Prodi nel suo libro Il piano inclinato, Bologna, Il Mulino, 2017.

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re una nuova organizzazione dello spazio insediativo. «Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza», scrive ancora Arminio20, e io aggiungo riciclare più che consumare, dare valore al lavoro manuale, alla cura dei luoghi, ai ritmi della terra, alla creatività nascosta nelle imperfezioni. I territori interni dovranno mettere i loro capitali culturali, naturali e sociali sul banco di un nuovo “capitalismo lento” frutto della metamorfosi ecologica e della transizione prodotta dalla rivoluzione manifatturiera, dell’azione capillare delle nuove manifatture molecolari e dalla potenza dei cicli della natura: un modello di sviluppo ancora capitalistico, è vero, ma più responsabile, più attento al contesto e capace di rimodellare obiettivi e tempi della produzione dei beni materiali e immateriali, cesellandone la qualità invece che accumulandone quantità, ma soprattutto capace di ripensare il modello insediativo a supporto delle nuove relazioni con il paesaggio. A partire da questo fruttuoso rallentamento, un nuovo pensiero olistico e strategico sta generando usi temporalmente differenziati, riusi pervasivi, ricicli programmati, innovazioni dirompenti ed evoluzioni creative. L’impegno degli amministratori, degli urbanisti, degli architetti, dei cittadini e delle imprese è quello di lavorare su insediamenti rur-urbani caratterizzati dalla capacità di dare nuove risposte alla eccedenza e sovrapproduzione generata dal modello di sviluppo che ha prodotto lo spopolamento dei territori interni, prima, e ne stimola l’attrattività, adesso. I sistemi insediativi in dismissione e contrazione, i servizi sanitari o sportivi in disuso, le reti infrastrutturali in trasformazione, dovranno essere riattivati attraverso azioni di modifica funzionale, di aggregazione intercomunale o di reinvenzione sociale grazie a cui le componenti oggi inutilizzate vengono ricreate, senza distruggerle ma mutandone le funzioni perseguendo un’ottica generativa e aumentando la loro resilienza creativa. Non basta, però, immettere le nuove sensibilità circolari dell’economia e dell’urbanistica nei tradizionali processi di progettazione urbana e territoriale, ma serve una innovazione dirompente dei processi di governo del territorio e degli strumenti urbanistici: serve un approccio progettuale ecosistemico basato su un salto di paradigma, poiché deve agire contemporaneamente sia sui materiali produttivi in disuso e in dismissione (le aree in deindustrializzazione, le manifatture erose dalla crisi o le aree agricole in transizione), sia su quelli logistici (le aree ferroviarie e industriali in contrazione o in ristrutturazione funzionale), sia sugli spazi abitativi lasciati vuoti nei piccoli centri in spopolamento. Serve un nuovo modello di sviluppo multi-dimensionale che agisca attraverso l’azione congiunta delle diverse dimensioni (politica, sociale, economica, ecologica e territoriale) della sostenibilità e del governo del territorio, non solo accostandole o integrandole, ma interconnettendole in una relazione strutturale. Serve quindi una nuova – sebbene antica per l’Italia – visione politica improntata a una ecologia integrale e proattiva

nella pianificazione del territorio circolare che passi da una sostenibilità puramente conformativa a principi e norme a un nuovo metabolismo performativo che misuri i risultati sul benessere delle persone e sulla salvaguardia del territorio. E nei tempi che viviamo queste parole suonano come il proclama di una rivoluzione! L’ecologia proattiva richiede la sintesi della costante interazione tra tre componenti: la governance che produce le regole, l’urbanistica che attiva i progetti, e la valutazione che controlla i processi e gli impatti. L’interazione di queste tre componenti, quindi, crea il collegamento tra la componente economica circolare, quella ecosofica generatrice di un nuovo metabolismo e quella ecologica che guida la resilienza. La dimensione ecosofica sollecita un nuovo metabolismo urbano composto da un sistema di attori pubblici e privati, formali e informali, che negozino gli obiettivi di sviluppo verso una maggiore omnicomprensività al fine di garantire che vengano affrontati anche i problemi dei settori sociali più deboli, agendo nella dimensione collettiva e migliorando la loro auto-identificazione, gestione e responsabilizzazione. Le azioni che attengono a questa dimensione riguardano la riduzione dei rischi, l’aumento della capacità istituzionale nel dare risposte ai bisogni sociali, la chiusura dei cicli urbano-rurali ritrovando una fertile alleanza tra uomo e natura, e l’autosufficienza energetica e alimentare. La dimensione economica chiede di superare una visione esclusivamente econometrica legata ad un modello di sviluppo basato solo su indicatori integrati, reclamando il passaggio da una concezione mono-settoriale a economie socio-territoriali più complesse, circolari e condivise che garantiscano la valorizzazione dell’identità, attuando forme di transazione economica che siano coerenti con la produzione di nuovo valore derivante dalla dimensione ecologica. Economie locali specializzate sempre più immateriali, basate sull’accessibilità piuttosto che sulla proprietà, che favoriscano l’inclusione sociale piuttosto che la segregazione, il benessere piuttosto che la ricchezza e l’efficienza piuttosto che i consumi sono le nuove linee generatrici di futuro. Le azioni operative riguardano la gestione dei rifiuti zero, il riciclo e il riuso delle risorse e le pratiche di condivisione come strategie circolari. Infine, la dimensione ecologica alimenta l’urbanistica e la pianificazione delle infrastrutture e del paesaggio con modelli, regole e progetti più resilienti che promuovano la verifica delle multi-sostenibilità, individuando non solo soglie di uso del suolo, ma soprattutto dispositivi qualitativi, tattiche progettuali e interventi per il riutilizzo e il riciclo degli insediamenti e dei materiali dismessi dalle città in contrazione o in declino. Serve un approccio ecosistemico che integri la gestione dei rischi ambientali con il ridisegno delle infrastrutture verdi e blu, anche attraverso la riprogettazione delle modalità insediative nel territorio rurale. Le tre dimensioni precedenti trovano nella dimensione territoriale il campo di verifica, imponendo alla pianificazione dei sistemi infrastrutturali, al progetto di paesaggio, alla gestione dei sistemi agricoli e all’urbanistica rur-urbana l’elaborazione/sperimentazione di modelli insediativi integrati, capaci di promuovere il radicamento delle altre quattro sostenibilità non

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Cfr. F. Arminio, Cedi la strada agli alberi. Poesie d’amore e di terra, Milano, Chiarelettere, 2017.

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solo attraverso l’individuazione di soglie al consumo di suolo, ma con progetti per il recupero, il riciclo e il riavvio degli insediamenti. Serve un vero e proprio re-boot delle città medio-piccole e dei territori interni generato dall’azione congiunta del ridisegno dei tessuti urbani, della localizzazione delle nuove manifatture micro e nano, della capacità innovativa delle start up fondate sulle eccellenze locali. Ma soprattutto la dimensione territoriale della sostenibilità richiama gli urbanisti all’esercizio della creatività per progettare nuovi territori: da quelli materiali dello sviluppo locale, a quelli reticolari degli arcipelaghi territoriali a quelli virtuali delle augmented cities in cui numerose intelligenze collettive, sempre più pluriculturali e multietniche, interagiscono producendo nuova comunità.

getti di sviluppo locale. Nella reputation economy21 i territori dell’innovazione fondata sulla cultura locale, attraverso la loro rinomanza e credibilità ricostruita da premi e riconoscimenti nazionali e internazionali, tornano a essere fattore educativo della comunità e occasione di conoscenza e formazione, e impegna urbanisti e architetti a elaborare nuove forme, luoghi e relazioni che contengano e connettano i flussi di informazione e comunicazione generati con sempre maggiore frequenza, portata e velocità. Sulla riattivazione dei capitali identitari possono essere generate energie low footprint che alimentino la rigenerazione urbana basata sulla infrastrutturazione culturale, sulla localizzazione di attrattori creativi nei centri storici, in antiche masserie o nei mulini che punteggiano le linee fluviali, o su iniziative di formazione residenziale finalizzati a ridefinire l’attrattività dei luoghi attraverso la connessione tra educazione, benessere e qualità ambientale. L’innovazione prodotta dalla conoscenza incoraggia l’apprendimento, poiché i sistemi ecologico-sociali delle aree interne per evolvere devono saper affrontare il cambiamento permanente e imparare a gestirlo costruendo nuovi equilibri, apprendendo dalla conoscenza e dall’esperienza. Per questo occorre agire sulla comunicazione, progettando occasioni e luoghi in cui la conoscenza esca dalle torri degli specialisti per diffondere competenze collettive e generare nuovo pensiero di comunità, diventando materiale concreto per rinnovare il patto di convivenza delle popolazioni dei territori interni e per alimentare il conseguente patto di sviluppo. Sono sempre più numerosi nei territori interni siciliani gli esempi di imprese innovative realizzate riattivando cicli produttivi tradizionali o legati alle nuove eccellenze turistiche e agroalimentari o connessi alle energie rinnovabili e che fungono anche da punto di incontro e creatività, da veri e propri living lab per comunità sempre più fondate sulla conoscenza e orientate alla partecipazione attiva. Il metabolismo della conoscenza concorre a promuovere l’innovazione nella creazione di attività, imprese e luoghi e ad alimentare l’emergere di idee, la sperimentazione e la diffusione di progetti più adeguati ai nuovi stili di vita e di consumo, la nascita di nuove imprese nel punto di intersezione tra identità, creatività e innovazione. L’innovazione della condivisione produce un’elevata sinergia tra la nuova poli-centralità dei servizi, la struttura edilizia dei centri storici in rigenerazione e l’offerta di servizi digitali. Nei territori interni che vogliono essere protagonisti di una nuova Italia, gli abitanti attraverso le nuove forme di cooperazione e condivisione di spazi tornano ad essere produttori, diventano agricoltori per rianimare parti di città dismessa attraverso l’agricoltura urbana, diventano lavoratori della conoscenza attraverso atelier o incubatori creativi, producono eventi culturali attraverso il crowdfunding, gestiscono in forme temporanee spazi comuni sottratti all’incuria e al degrado. Vecchie stazioni, caselli ferroviari, castelli medievali, macelli, tonnare, conventi, fari e torri di avvistamento compongono in Italia, soprattutto al Sud, una armatura di co-attività creative che

Il territorio interno come piattaforma abilitante dell’innovazione locale Sono ormai numerose le tracce che ci fanno riconoscere la necessità di uno sviluppo locale di nuova generazione, più creativo e collaborativo che, a partire dalle riflessioni teoriche e dalle numerose pratiche in contesti che lo sperimentano non solo come reazione alla crisi, richiede un approccio adattivo all’innovazione come fattore abilitante di indirizzi meta-progettuali per un nuovo metabolismo del territorio locale. Uno sviluppo locale che riconosca al territorio il ruolo di piattaforma abilitante dell’innovazione locale. Individuo, quindi, cinque innovazioni abilitanti che richiedono una dimensione spaziale. La prima e più potente innovazione abilitante è quella prodotta dalla resilienza, poiché i cicli del metabolismo rur-urbano dei territori interni richiedono di superare l’inefficace azione di resistenza alla metamorfosi, per adottare un atteggiamento elastico, dialogico e, appunto, metamorfico, in cui la flessibilità delle funzioni, la permeabilità degli spazi e l’adattabilità degli insediamenti non vengano più affrontati come problemi puramente concettuali e spaziali, ma debbano essere messe in relazione con il portato sociale, economico e tecnologico della rigenerazione, diventando temi/ strumenti/norme del progetto della resilienza. Il paradigma della resilienza produce pratiche urbane, genera quartieri o intere città con un nuovo metabolismo, capaci di gestire meglio i cambiamenti climatici o i mutamenti idrogeologici, capaci di assorbire i sempre più frequenti nubifragi producendo nuove forme urbane porose soprattutto negli spazi pubblici. L’acqua nei territori collinari o nelle valli fluviali, anche quando alluvionale o inondante, diventa materia viva di progetto per essere assorbita da parchi, strade e piazze permeabili, sia per alleviare il sistema fognario sia per creare nuovi spazi collettivi legati all’acqua e che respirano con essa. Ma resiliente è anche il recupero di antiche sementi, di lavorazioni artigianali di cibi ed oggetti, di pratiche preindustriali in cui l’intera comunità si fa filiera produttiva. L’innovazione culturale è un secondo fattore abilitante poiché agisce non solo sulla memoria dei luoghi ma anche sulla loro reputazione, sia attraverso una maggiore identificazione degli abitanti e dei fruitori, sia attraverso la legittimazione delle opportunità offerte 21 Cfr. M. Fertik, D. C. Thompson, The Reputation Economy, New York, Crown dalla vasta comunità globale che interagisce con i pro- Business, 2015. 32


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sta offrendo ai giovani talenti locali occasioni per sperimentare nuove forme di gestione condivisa. Infine serve una innovazione reticolare che abiliti il ciclo delle nuove geografie policentriche del territorio mediano, in opposizione a modelli vetero-gravitazionali che facevano un’ancella del capoluogo, protese verso l’inserimento nell’armatura territoriale di nuovi nodi di aggregazione sociale che la estendano e la fluidifichino, utilizzando luoghi dell’architettura tradizionale intercettati durante il loro mutamento e riutilizzati prima della loro completa dismissione (e conseguente degrado) per occasioni di socialità come nuovi attivatori urbani. I territori delle nuove economie arcipelago e dei rizomi sociali accelerano l’affermazione di nuovi valori che permettano di produrre nuovi cicli semantici sulle aree in trasformazione e in dismissione capaci di indirizzare il mutamento dei territori interni e contenere le nuove funzioni (produttive, culturali, residenziali, logistiche, sanitarie, etc.). Perché le innovazioni sopra descritte siano fattori abilitanti dello sviluppo richiedono non solo un cambio di paradigma in cui il territorio venga inteso quale risorsa da preservare, sia in termini di riduzione del suo consumo, sia considerandolo un detentore di cellule di sviluppo spesso dimenticate, sottoutilizzate o mistificate dall’illusione di onnipotenza del progressismo. Serve anche una profonda innovazione dei protocolli e soprattutto degli strumenti dell’urbanistica – il futuredesign appunto – perché sappiano intercettare i mutamenti e guidare il futuro. Nella più ampia cassetta degli attrezzi del pianificatore dello sviluppo locale di nuova generazione dovranno trovare posto programmi di rigenerazione urbana e territoriale basati su distretti di riciclo, all’interno dei quali integrare e valorizzare la domanda pubblica, la riduzione del consumo, gli incentivi energetici e fiscali e le istanze private di interventi di riqualificazione. La loro fattibilità dovrà essere sostanziata dalla stipula di patti a sostegno di forme distrettuali di gestione dei cicli del metabolismo territoriale, da progetti efficaci di sostenibilità ambientale e sociale, valutati sulla base di parametri di riciclo riguardanti gli edifici, gli spazi pubblici, la mobilità, il ciclo dei rifiuti e l’infrastrutturazione digitale. Indispensabile è l’attivazione di laboratori territoriali di sviluppo e di agenzie di corresponsabilità progettuale, economica, urbanistica e gestionale tra pubblico e privato, connessi ad una semplificazione responsabile ed a una maggiore efficacia dell’azione amministrativa. Infine dovrà essere stimolata l’innovazione degli strumenti di partenariato pubblico-privato attraverso l’estensione degli strumenti di compensazione e perequazione urbanistica, della leva fiscale e degli incentivi. Serve una rigorosa rivoluzione fiscale che agevoli la rinascita dei territori interni attraverso la facilitazione del ritorno di attività produttive e non solo residenziali, di servizi culturali e non solo di welfare, di attrattori dell’educazione e il tempo libero e non solo del turismo.

di centri storici collinari e montani, testimoni di una terra che era pascolo e nutrice di comunità. E i borghi della riforma agraria affiorano come scogli da un fertile passato produttivo, interrotto, e dialogano ancora silenti con i reticoli degli straordinari mosaici colturali dell’entroterra, connotati dai paesaggi produttivi e dalle nuove manifatture delle eccellenze agroalimentari. Questo ricco palinsesto di territori e paesaggi, culture e comunità, non va guardato con nostalgia, né governato come se fosse una marginalità o, peggio, come una versione ridotta del modello urbano, considerandoli destinati inesorabilmente a perdere popolazione nel conflitto con le città maggiori. I territori interni, invece, si offrono come componenti significative nell’ambito della metamorfosi dello sviluppo locale che dobbiamo attraversare come antidoto al declino e desertificazione dei territori rurali. Da luoghi da abbandonare o da consegnare alla stanca memoria degli anziani sempre più spesso si trasformano in soggettualità attive di proposte, in nuove centralità locali nell’identità e globali nell’attrattività, si propongono sulla scena della creatività come luoghi identitari nelle forme e innovativi nelle funzioni. Nella Sicilia che stenta a diventare metropolitana (con una maldestra applicazione della Legge Delrio), nuovi arcipelaghi territoriali si stanno formando, reticolando e vivificando il suo “lago interno” come lo chiamavano con felice metafora Carlo Doglio e Leonardo Urbani22, tra il Belice, i Sicani, le Madonie, i Nebrodi e il Val di Noto si intessono attività resilienti, comunità resistenti e luoghi reminiscenti. I pluripremiati borghi rurali di Gangi, Montalbano Elicona, Sambuca di Sicilia e Petralia Soprana, da eresie resistenti al paradigma modernista della città iper-competitiva, diventano le nuove avanguardie della qualità insediativa, della diversità culturale, della sostenibilità ambientale e dell’innovazione sociale. Tra Poggioreale, Gibellina, Salemi, Menfi, Favara, Chiusa Sclafani, Bivona, Cianciana, Riesi e Paternò si estende una ghirlanda territoriale fatta di iniziative dal basso che attraverso la potenza della creatività, dell’arte e della cultura stanno riattivando le comunità, prima, e i luoghi, dopo. Centinaia di germogli di innovazione che vi racconterò meglio più avanti, quando parlerò della Sicilia terra di innovazione in cerca di autore collettivo. Nella metamorfosi circolare che stiamo attraversando sospinti dagli effetti drammatici della crisi strutturale, questi luoghi attraversati da rughe di saggezza e illuminati da scintille di creatività generano imitazioni, stimolano emulazioni, spingono verso innovazioni normative e gestionali, accendono l’interesse di investitori e intercettano le risorse finanziarie di un nuovo capitalismo più equo in cerca della “prossima economia” di cui abbiamo già parlato nelle pagine precedenti. I territori interni, in una tenzone quotidiana con le città metropolitane per il primato dell’insediamento sostenibile del futuro, hanno l’obbligo di strutturarsi a partire da prospettive molteplici di sviluppo, intrinsecamente abituati come sono a prevedere la fluttuazione La metamorfosi circolare dei territori interni siciliani delle condizioni ambientali e storicamente preparati La Sicilia è isola liquida per eccellenza, poiché non è ad affrontare gli imprevisti e le incertezze che ne punsolo circondata dall’acqua, ma racchiude al suo interno un mare fatto di arcipelaghi di comunità, punteggiati 22 Cfr. C. Doglio, L. Urbani, La fionda sicula, Bologna, il Mulino, 1972. 33


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teggiano la storia: sono resilienti per natura, detentori di preziose capacità adattive. E la loro rilevante riserva di resilienza è oggi indispensabile per una Sicilia – sineddoche dell’Italia – che voglia intraprendere la strada della rigenerazione circolare della qualità e della cura locale dei beni comuni. Nell’arcipelago Sicilia è proprio la distanza delle aree interne dai centri propulsori costieri, consumatori di suolo ed eroditori di risorse umane, che in molti casi ne ha preservato alcuni valori insediativi, comunitari, paesaggistici e identitari, i quali possono oggi costituire una preziosa riserva identitaria per riattivare le piccole e medie città che, a partire dalla necessità di assorbire la crisi e di adattarsi ai cambiamenti climatici ed energetici, vogliano rimodellare la loro forma, ripensare i rapporti con la dimensione rurale, proporre nuova creatività. L’impegno nell’immaginare un diverso futuro possibile che ci sottragga dall’ottundimento dell’eterno presente reclama la questione della cura e rigenerazione delle aree interne non limitandosi ad un loro recupero fisico, al risanamento ambientale o all’indispensabile miglioramento dell’accessibilità viaria, ma chiede anche di agire sulla più complessiva capacità rigenerativa dei tessuti sociali, economici e produttivi23. Serve una nuova visione di piccole città e borghi che smettano di consumare suolo tornando a dialogare con rispetto con la natura, che riciclino tutto quello che producono e che combattano il degrado edilizio attraverso un recupero delle antiche sapienze costruttive e manutentive. Servono azioni che siano capaci di intervenire anche sul capitale sociale, coinvolgendo le donne e gli uomini che vi abitano, ricostruendo il patto di comunità su cui si sviluppa la città come sistema vivente in omeostasi con il territorio. Occorre attivare processi di rivitalizzazione delle attività produttive, riposizionando questi centri come nodi di nuove comunità agroalimentari o come luoghi delle manifatture artigianali o di quelle innovative legate al digitale. Occorre utilizzare le basse densità edilizie e la qualità dei palinsesti identitari per offrire un’alternativa abitativa alla congestione delle città costiere alle sempre più numerose comunità di persone responsabili e attive in cerca di luoghi dell’abitare più in sintonia con i loro cicli di vita ecosofici. Soprattutto, occorre muoversi entro l’arcipelago utilizzando la capacità connettiva della mobilità e facilitando la connessione dei territori interni alle porte aeroportuali e portuali per consentire la connessione alle reti globali.

Impossibile! Serve innanzitutto un moderno – e sicuro – sistema di infrastrutture di trasporto che sia di supporto all’economia e alla crescita, alla qualità della vita nelle città, e che permetta accessibilità ai territori e connessioni semplici all’interno dell’isola e tra questa e l’Europa e il Mediterraneo. In una moderna concezione dello sviluppo le infrastrutture di trasporto, infatti, non sono fini a se stesse ma concorrono non solo a soddisfare i reali fabbisogni di mobilità, ma sono indispensabili attivatrici di nuovi obiettivi, di nuove opportunità per generare attorno ad esse delle iniziative che potranno essere accessibili a tutti. E inoltre, oggi le infrastrutture hanno perso in parte la loro accezione negativa di impatto sul paesaggio e l’ambiente per diventare esse stesse parti del territorio e dell’architettura, elementi qualificanti del paesaggio e protagoniste del paradigma della bellezza. Spesso premiate come opere d’arte che reinterpretano con la qualità una indispensabile funzione: ponti, porti, strade, metropolitane, stazioni ferroviarie, aeroporti in varie parti del mondo si contendono i più prestigiosi premi di architettura. E noi? Noi no! Noi ci dibattiamo in un grave deficit infrastrutturale – sia in termini di dotazione che di sicurezza come dimostrano le recenti vicende – e in un drammatico gap di qualità per quanto riguarda la mobilità. Per rimediare non dobbiamo solo metterci a correre, ma soprattutto farlo nella direzione giusta. E per la Sicilia la direzione giusta non può essere che una: una robusta cura dell’acqua (e dell’aria), del ferro e del fosforo. Cioè un investimento politico, economico e culturale sulla connettività delle sue città: sulle infrastrutture ferroviarie, compresi tram e metropolitane, sui porti crocieristici, commerciali e turistici e sulle tecnologie digitali per i trasporti intelligenti. Solo così l’Isola sarà meno isolata dai flussi della contemporaneità e sarà meno composta di isole sconnesse al suo interno, luoghi meravigliosi ma irraggiungibili. Servono innanzitutto azioni di sistema! Nel settore portuale, a fianco delle necessarie Autorità portuali nazionali di sistema, serve la costituzione di una autorità portuale regionale che gestisca in maniera integrata attraverso cluster i porti di competenza regionale, pianificando e attuando, con logiche di sistema e di filiera, nuove specializzazioni da affiancare alle tradizionali (pesca e commercio di piccolo cabotaggio) tra cui quella crocieristica, turistica e da diporto, sicuramente le risorse più competitive del nostro territorio. Insieme al miglioramento dei porti per ospitare le sempre più grandi navi da crociera, occorre migliorare la funzionalità nautica e agevolare l’offerta di servizi dei porti turistici, includendo le più attuali tendenze di infrastrutturazione per le flotte charter, migliorandone anche l’accessibilità da terra e la relazione fluida con le città. Indispensabile azione di sistema, inoltre, è la gestione integrata dei sistemi aeroportuali per la Sicilia Occidentale e Orientale in modo da potenziarne l’attrattività senza inutili cannibalismi e la corretta integrazione passeggeri-cargo, soprattutto ai fini della mobilità del sistema produttivo regionale. Ed è dalle città che deve iniziare la cura del ferro, integrando i diversi modi di trasporto collettivo (ferro-

La sfida della connettività dell’arcipelago Sicilia La Sicilia deve puntare sul turismo e sulla produzione agroalimentare, la Sicilia deve puntare sulle città metropolitane e sulla formazione e ricerca, sulle energie rinnovabili e sui beni culturali. E potremmo continuare ad elencare gli obiettivi che ritmano il dibattito pubblico sul futuro della Sicilia. Ma come può la Sicilia puntare sul benché minimo obiettivo senza l’indispensabile accessibilità e mobilità sostenibile a sostegno? 23

Sull’architettura come cura dei territori e delle comunità scrive pagine straordinarie Nicola Emery, professore di filosofia ed estetica all’ Accademia di Architettura dell’Università della Svizzera italiana, nel suo libro Progettare, costruire, curare. Per una deontologia dell’architettura, Bellinzona, Casagrande, 2010.

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vie regionali, metropolitane, tram, bus) in un sistema metropolitano di offerta, garantendo elevata qualità delle interconnessioni tra città metropolitane e città intermedie, e sostenendo l’integrazione attraverso un’urbanistica e una politica per la mobilità coerenti: accessibilità ai nodi delle stazioni, regolazione della motorizzazione mediante misure di road pricing, sviluppo di infrastrutture per la pedonalizzazione e la mobilità dolce sono tutte componenti determinanti per accompagnare il necessario mutamento nelle preferenze di mobilità dal trasporto individuale ad una mobilità collettiva che coinvolga anche i territori interni. Per le città medie e i territori interni alla cura del ferro, non sempre applicabile, si deve affiancare la “vitamina” della mobilità condivisa e dolce. Car e bike sharing sono realtà ormai solide e sempre più comprensoriali e la Sicilia sta riscoprendo la mobilità ciclabile non solo come mezzo più efficiente, ma anche per godere meglio l’esperienza culturale e naturale. Ciclovie che recuperano le ferrovie dismesse, che si arrampicano lungo i “tratturi” interni, che corrono placide lungo valli fluviali. Oggi la tecnologia – la cura del fosforo – aiuta la mobilità ad essere sempre più interconnessa, digitale e sostenibile. Anche la nostra multimodalità sarà agevolata dalla tecnologia: parto da casa in bicicletta, in monopattino o con una piccola auto elettrica condivisa, lascio il mezzo in una stazione del tram o della metropolitana se la mia destinazione è la città (e riprendo un mezzo ecologico da “ultimo miglio”), o raggiungo una stazione per prendere un treno o un aeroporto o un porto per imbarcarmi e alla nuova destinazione c’è già un’auto condivisa – presto a guida autonoma – che mi aspetta per portarmi alla mia destinazione finale, per poi “andarsi a cercare” un altro passeggero, tutto sulla punta delle dita possedendo uno smartphone invece che un’auto. E’ questa la rivoluzione culturale della mobilità che stiamo attraversando, perché la rivoluzione della mobilità intelligente è già il nostro diverso presente. Una mobilità multimodale efficace consentirà alla Sicilia di rendere più raggiungibili quegli straordinari tesori culturali racchiusi nelle Madonie, sui Sicani e sui Nebrodi, consentirà di godere del Bosco della Ficuzza e delle Gole dell’Alcantara, permetterà di dormire nei centri storici interni o di rianimare il vasto sistema dei borghi della riforma agraria. L’efficienza del sistema multimodale sarà completata da una necessaria attenzione alla qualità e sicurezza delle infrastrutture stradali che permettano la mobilità capillare di ultimo miglio. E concordo con il mio amico e collega Tullio Giuffrè nel ritenere necessaria in Sicilia la costituzione di una agenzia regionale per le infrastrutture stradali primarie e secondarie che ne gestisca sicurezza ed efficienza. Ma non dimentichiamo che in Sicilia non devono muoversi solo le persone, ma anche le merci. E qui la cura del ferro, dell’acqua e del fosforo diventano strategiche per far ripartire la parte più produttiva e dinamica dell’agricoltura di qualità e della produzione vinicola e olearia che generano un indotto straordinario per l’economia e l’immagine della Sicilia nel mondo. Una Sicilia che cresce deve far muovere in maniera efficien-

te, sostenibile e intelligente il suo vino e la sua frutta, deve far viaggiare pomodorini e tonni, ma anche le ceramiche di Caltagirone e i torroni di Caltanissetta. Significa realizzare l’alta velocità est-ovest tra i poli metropolitani di Palermo e Catania, cioè tra i principali porti ed aeroporti, con una necessaria connessione con il porto di Augusta. Ma serve anche potenziare – anzi ridisegnare da zero – la connettività trasversale con i principali luoghi di generazione della domanda di trasporto merci (abbiamo quasi dimenticato il significato della parola interporto, finanziati e a approvati e messi in freezer come tanti altri progetti). L’attrattività dei poli produttivi e manifatturieri e la loro competitività sul mercato dipendono non solo dai livelli di accessibilità, ma anche dall’efficienza della catena logistica, che sempre di più deve trovare nei porti di Palermo, Termini Imerese, Porto Empedocle, Augusta, Catania, Messina e Milazzo non solo spazi adeguati, ma soprattutto tecnologie efficienti. È venuto il momento di riattivare, rinnovato, il progetto delle Autostrade del Mare, alla luce delle nuove previsioni della strategia infrastrutturale europea, per attuare efficacemente il Corridoio Prioritario Scandinavo-Mediterraneo e per intercettare la Nuova Via della Seta, valorizzando la rendita di posizione della Sicilia nei confronti del Canale di Suez e dell’importantissimo traffico commerciale che esso genera nel Canale di Sicilia. La Sicilia avrebbe una occasione in più fornita dall’enorme mercato della logistica a valore aggiunto, come naturale piattaforma logistica integrata. Occorrerà, prioritariamente, individuare e potenziare la funzione di transhipment di alcuni porti siciliani, facilitando le necessarie trasformazioni delle aree retroportuali e potenziando alcune filiere produttive strategiche come quelle dell’ortofrutta con sistemi di garanzia della catena del freddo. In tema di mobilità, infine, la sostenibilità deve intendersi nella sua accezione più ampia: dal punto di vista ambientale e territoriale è necessario raggiungere gli obiettivi di compatibilità ambientale della Conferenza di Parigi, in tema di riduzione dell’inquinamento e di tutela della biodiversità e del paesaggio (e proprio Parigi con l’occasione delle Olimpiadi del 2024 si candida ad essere la città capitale della rivoluzione della mobilità, la prima “metropoli post-automobile”). Ma anche dal punto di vista energetico, dobbiamo orientare le scelte verso modalità di trasporto che prediligano fonti energetiche rinnovabili o poco inquinanti, o che promuovano l’efficienza energetica, o che addirittura siano in grado di generare energia per illuminare un quartiere, un lungomare o un parco archeologico. Dobbiamo tornare ad avere amore e cura per la nostra terra, e per la Sicilia di un differente presente il ferro, l’acqua e il fosforo sono sicuramente le cure preliminari più efficaci per riattivare lo sviluppo locale delle aree interne. Dai Sicani un manifesto per lo sviluppo locale A Bivona, sui Sicani dell’entroterra siciliano, abbiamo voluto sperimentare la nuova strada per lo sviluppo locale, descritta nelle pagine precedenti, istituendo il Sicani Lab24 dell’Università di Palermo, per usare la 24 A Bivona l’Università degli Studi di Palermo, i Comuni di Bivona e Santo 35


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creatività e l’intraprendenza come fattori propulsivi di qualità, sostenibilità e innovazione, come nuove energie per un migliore rapporto con l’ambiente e con le comunità. Il laboratorio, nei sei anni della sua attività, non si è limitato all’attività di ricerca, ma ha agito come agenzia di sviluppo locale. Le esperienze del Sicani Lab dimostrano in maniera evidente che è finito il tempo dello sviluppo locale assistito, dei progetti che durano il tempo del finanziamento. Il territorio locale del futuro è esso stesso il propulsore dell’innovazione, è un potente motore di nuove economie circolari e condivise, è un efficace promotore culturale della nostra identità cosmopolita. La Sicilia che vuole essere terra di innovazione e circolarità per lo sviluppo locale, tuttavia, non può limitarsi alle pur numerose sperimentazioni, ma deve attivare alcune azioni di sistema che ne aumentino la portata. Dalle esperienze condotte a Bivona è emersa un’agenda per lo sviluppo locale – che abbiamo chiamato Manifesto di Bivona – declinata in sette azioni operative per le istituzioni, le comunità e le professionalità capaci di modificare modi e strumenti per la riattivazione dei territori interni e in grado di agire nella composizione degli interessi della comunità, dell’economia, dell’innovazione e della governance. Innanzitutto, servono azioni nel dominio delle politiche per rendere l’amministrazione pubblica una piattaforma abilitante facilmente accessibile, fisicamente e virtualmente, per chiunque in ogni momento e da ogni luogo per incrementare le prestazioni e la capacità di fornire risposte tempestive alle domande insorgenti di una comunità che torna a vivere i territori interni. Occorre anche incrementare la collaborazione, nell’ottica della smart land di cui hanno scritto Aldo Bonomi e Roberto Masiero25, per incrementare e diffondere sensori e attuatori, formali e informali, in grado di comprendere in tempo reale i problemi e consentire soluzioni specifiche e non generiche. Servono azioni per l’innovazione sociale capaci di convogliare l’energia partecipativa dei cittadini verso la gestione condivisa di servizi, teatri, musei, biblioteche, laboratori e spazi pubblici, nonché verso un welfare distribuito e di prossimità. Nonché azioni di agevolazione della condivisione per offrire spazi e servizi pubblici per usi e utilizzatori differenti nel tempo per estendere gli usi, per minimizzare i costi di gestione,

per massimizzare l’efficienza e per garantire la manutenzione. È necessario lo stimolo all’imprenditorialità per agevolare i partenariati pubblico-privato e il credito per la realizzazione di interventi di rigenerazione urbana, di efficienza energetica, di mobilità sostenibile, di sicurezza degli edifici e di qualità dell’ambiente. Anche lo sviluppo della manifattura è indispensabile poiché nuovo modello di sviluppo locale richiede di agevolare, attraverso incentivazioni e facilitazioni, la nascita, il ritorno e lo sviluppo nelle città medie e nei borghi rurali della nuova manifattura, della micro-produzione, della fabbricazione digitale, dell’agricoltura, della riparazione e del riciclo come nuove opportunità di lavoro. Sul fronte della lotta al cambiamento climatico, le energie rinnovabili reali – cioè quelle che non sono solo una nuova occasione di profitto per chi domina i flussi – sono una feconda occasione per ridare fiato alle economie locali pre-distributive delle aree interne, permettendole di riacquisire sovranità sulle proprie risorse, ponendosi in una logica di scambio con la città anche per quanto riguarda la fornitura di energia. Accade già nelle Madonie in Sicilia, nella Valle Maira in Piemonte, con il fotovoltaico a partecipazione popolare di Peccioli in Toscana, e nelle sempre più numerose cooperative energetiche che forniscono energia etica e sostenibile ai propri soci-consumatori. Infine, servono azioni a supporto della creatività per incentivare un ecosistema creativo a partire dal tessuto di scuole, di laboratori locali, di musei e di centri culturali che diventino living lab e incubatori di idee, progetti e imprese innovative rafforzando il rapporto educazione-lavoro. È la direzione del progetto per un rural-hub a Gibellina progettato dallo studio AM3 con il supporto strategico del mio gruppo dell’Università di Palermo ed esposto al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2018: un laboratorio territoriale che ibridi le funzioni didattiche e di ricerca nel campo dell’agricoltura con l’arte, l’innovazione sociale e i servizi urbani. La condizione primaria delle politiche e delle azioni necessarie a rafforzare le relazioni rur-urbane risiede nella capacità della pianificazione territoriale e del progetto urbanistico di trasformare le numerose isole di eccellenza dell’armatura territoriale in un arcipelago culturale e creativo, in cui le connessioni contino quanto i nodi, in cui i paesaggi relazionali e di contesto siano i luoghi di commutazione tra identità e innovazione, tra patrimonio e creatività, tra residenza e produzione. La geografia dell’arcipelago ci impone di definire non solo le funzioni delle isole (i luoghi con la più elevata qualità e resilienza), ma anche i ruoli degli spazi connettivi detentori di risorse latenti che possono completare l’interpretazione dei nuovi valori territoriali. Rimanendo entro la metafora, dobbiamo definire le influenze degli atolli (i potenziali distretti rur-urbani) che segnalano la presenza di relazioni funzionali. Ancora, dobbiamo utilizzare la ricchezza della biodiversità dei territori – vere e proprie “barriere coralline” ricche di vita – che strutturano i territori rurali che circondano le città, non dimenticando il tessuto di persone che si muovono per fruire delle risorse culturali e paesaggistiche e della creatività, il reticolo

Stefano Quisquina, la Provincia di Agrigento e la Regione Siciliana hanno istituito dal 2013 il Sicani Lab per lo sviluppo locale e le energie rinnovabili, la cui missione e programma operativo sono descritti in M. Carta, D. Ronsivalle (a cura di), Territori Interni, Roma, Aracne, 2015. Il Laboratorio si pone nel solco della strategia europea verso uno sviluppo sostenibile e una economia carbon free, sperimentando le sue opzioni operative nell’area interna dei Sicani. Nel 2014 insieme a Daniele Ronsivalle ho coordinato un Master universitario in “Pianificazione integrata per lo sviluppo sostenibile” dedicato ad uno sviluppo locale fondato sui principi dello smart planning. Al Master si è poi affiancata nel 2015 la prima edizione della “Scuola di Alta Formazione su Creatività e Innovazione territoriale - Bivona School” in cui cinquanta giovani innovatori e altrettante persone e imprese con esperienze già mature hanno proposto progetti e studi di fattibilità per creare nuova impresa, benessere e sviluppo per il territorio sicano. Cfr. M. Carta, A. Contato, M. Orlando (a cura di), Pianificare l’innovazione locale. Strategie e progetti per lo sviluppo locale creativo: l’esperienza del SicaniLab, Milano, FrancoAngeli, 2017. 25 Cfr. A. Bonomi, R. Masiero, Dalla smart city alla smart land, Venezia, Marsilio, 2014.

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umano che dà senso all’arcipelago. Il progetto di territorio che voglia agire sulla dimensione dell’arcipelago rur-urbano, che ne voglia essere l’attivatore e il generatore, quindi, deve essere in grado di proporre adeguati dispositivi territoriali, sia spaziali che in termini di politiche, che agiscano sul metabolismo territoriale stimolandone soprattutto le funzioni connettive sociali, economiche, educative, turistiche e paesaggistiche, per un più potente iper-metabolismo. La sfida per uno sviluppo locale generativo e non dissipativo, quindi, ci chiama all’impegno di una nuova responsabilità e una nuova ermeneutica del piano territoriale e del progetto urbanistico come esito di una creatività generatrice fatta di cure, di recuperi e di riattivazioni di centri urbani che tornino ad alimentare cicli di vita, a coltivare i talenti degli abitanti, ad attrarre idee, a generare innovazione, a produrre nuove economie e a rafforzare reti di solidarietà. Ci impone che vengano attivate azioni orientate ai cicli di vita delle aree interne, attraverso la riattivazione dei potenziali latenti o esclusi dalle scelte di un modello di sviluppo drogato da politiche urbane inefficienti, omologanti, insensibili ai capitali culturali e costruite in deficit, non solo finanziario, ma soprattutto qualitativo. Dobbiamo sperimentare politiche e azioni per comunità che superino la loro condizione di fragilità, recuperando la loro resilienza interna.

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“Usare, migliorare e ritrasmettere la casa comune! Le città non sono cose nostre di cui si possa disporre a nostro piacimento: sono cose altrui, delle generazioni venture, di cui nessuno può violare il diritto e l’attesa” Giorgio La Pira


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approfondimenti scientifici

La città del Neoantropocene. Cambiamenti climatici, urbanistica delle emozioni e civismo politico di Maurizio Carta

Siamo alla fase apicale di una crisi pandemica che si diffonde dagli anni Sessanta del XX secolo, quando esplosero le contraddizioni del capitalismo predatorio prodotto dalla rivoluzione industriale e iniziò a diffondersi – lentamente e con numerosi oppositori – la consapevolezza che il modello di sviluppo occidentale guidato esclusivamente dall’euforia dei consumi producesse diseguaglianze sociali, impoverimento culturale e consumo di risorse fisiche oltre i limiti del pianeta1. Giunti all’apice, la ormai evidente crisi ecologica ci impone di rivedere in maniera radicale il modello di sviluppo, partendo da quello occidentale ma coinvolgendo necessariamente tutto il pianeta con diverse intensità e responsabilità, attuando nuove politiche per un futuro più sostenibile a partire dal diverso presente, cioè dalle azioni che possiamo mettere in campo fin da subito perché non sia troppo tardi2. Per descrivere questa fase della nostra evoluzione, Eugene Stoermer, negli anni Ottanta del secolo scorso, e poi Paul J. Crutzen, agli inizi del Duemila, hanno introdotto il termine “Antropocene”3, un’era iniziata con la rivoluzione industriale e accelerata nella seconda metà del XX secolo attraverso imponenti modifiche territoriali, sociali, economiche e climatiche prodotte dall’uomo, piegando il pianeta alla sua presunta “intelligenza”. Negli ultimi venti anni, un ancor più pervasivo “antroposviluppo” ha prodotto una immensa e devastante impronta umana sul pianeta, ben oltre qualsiasi altro effetto dominante. Un “sogno prometeico di dominio sul mondo”, lo definisce con potente chiarezza Papa Francesco nell’Enciclica Laudato Sì del 2015, che ha provocato la convinzione che la cura della natura e la conservazione dell’ambiente fossero un fragile impegno secondario rispetto al vigoroso perseguimento dello sviluppo. Insieme alla vorace erosione di suolo naturale sono state consumate le strutture

identitarie dei palinsesti culturali e le trame vegetali delle città, sono stati anestetizzati i metabolismi vitali, interrotti i cicli delle acque e dei rifiuti e sclerotizzati quelli della mobilità, rendendoli inefficaci. È stata erosa la capacità degli insediamenti urbani di intrattenere le necessarie relazioni con la componente rurale, è stata sedata la capacità produttiva e generativa delle manifatture locali indebolendo i fattori endogeni di sviluppo, è stato dimenticato il valore rigenerativo della manutenzione edilizia e della cura dei luoghi, così come sono stati interrotti o deviati i naturali processi circolari territoriali. «L’antropocentrismo moderno – scrive Papa Francesco nell’Enciclica – paradossalmente, ha finito per collocare la ragione tecnica al di sopra della realtà (…). In tal modo, si sminuisce il valore intrinseco del mondo. Ma se l’essere umano non riscopre il suo vero posto, non comprende in maniera adeguata sé stesso e finisce per contraddire la propria realtà». Guidati dal potente messaggio universale che anima il pontificato di Francesco, la sua visione di una umanità che si prenda cura della sacralità del pianeta, dobbiamo affrontare una sfida culturale e politica, prima che ambientale ed ecologica. Siamo parte infinitesimale, ma oggi prepotente, di una genesi mirabile della Terra entro un universo con una sublime genealogia, come ce la descrive Guido Tonelli, con rara sensibilità tra miracolo e scienza4. Dobbiamo, quindi, abbandonare il Paleoantropocene erosivo, estrattivo, pervasivo, ineguale e conflittuale in cui viviamo per entrare con decisione e responsabilità nel “Neoantropocene”, un nuovo antropocene in cui l’umanità, invece di essere il problema, progetti e metta in atto la transizione verso lo sviluppo sostenibile, riattivando l’antica alleanza tra componenti umane e naturali come forze coagenti: un antropocentrismo sensibile, rispettoso e temperato volto a riposizionare l’umanità in uno schema integrato, ibrido, con la natura. È giunto il momento, ci ricorda ancora Papa Francesco, «di prestare nuovamente attenzione alla realtà con i limiti che essa impone, i quali a loro volta costituiscono la possibilità di uno sviluppo umano e sociale più sano e fecondo». Una nuova politica ambientale non può che partire dalla cittadinanza attiva, da un ingaggio sociale in cui

1 Cfr. D. H. Meadows, D. L. Meadows, J. Randers, W. W. Behrens III, I

limiti dello sviluppo, Milano, Mondadori, 1972. 2 Alle politiche per il diverso presente e alla sostenibilità del futuro ho dedicato il mio libro Futuro, Reggio Calabria, Rubbettino, 2019. 3 Cfr. P. J. Crutzen, E. F. Stoermer, ”The Anthropocene”, Global Change Newsletter, 41, 2000; P. J. Crutzen, E. F. Stoermer, Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era, Milano, Mondadori, 2005. Per un’accurata analisi critica e multidisciplinare dell’Antropocene e dei suoi riflessi e impatti sulla politica planetaria di veda l’ottimo libro di G. Pellegrino e M. Di Paola, Nell’antropocene. Etica e politica alla fine di un mondo, Roma, Derive Approdi, 2018.

4 Cfr. G. Tonelli, Genesi. Il grande racconto delle origini, Milano, Feltrinelli, 2019.

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i cittadini prendano coscienza della necessità di conservare e rafforzare l’alleanza tra uomo e natura e pretendano dalle istituzioni azioni ecologiche integrali che ci permettano di transitare rapidamente nel Neoantropocene. A partire da una rinnovata ecologia integrale dobbiamo coltivare una “ecosofia” del mondo che si traduca in paradigmi urbanistici, in protocolli progettuali e in dispositivi urbani per ricomporre l’armonia dei cicli di vita. Serve, quindi, una nuova “democrazia dello spazio urbano” fondata su una consapevole attenzione alla transizione ecologica, alla città dell’uomo, alla cura dei suoi spazi emozionali – e non solo di quelli funzionali – e alla rinascita del civismo politico come ingaggio della cittadinanza attiva. In un mondo sempre più urbano, in cui più della popolazione mondiale vive nelle città, con livelli che sfiorano l’80% in Europa, culla della rivoluzione urbana, le città sono i corpi vivi da cui soffia il respiro del cambiamento, soprattutto del cambiamento delle relazioni, delle visioni e delle responsabilità che serve per riattivare il futuro che vogliamo. Le città contemporanee, tuttavia, sono anche i luoghi dove le diseguaglianze e le marginalità stanno emergendo con sempre maggiore virulenza, scatenando vere e proprie epidemie che nascono dalle aree periferiche più carenti di qualità ed equità, per estendersi verso l’intero organismo urbano, minandone lo stesso statuto cooperativo che è alla base della nascita della città. La risposta deve essere il governo di una più consapevole e responsabile urbanizzazione planetaria che garantisca il rispetto del diritto alla città come parte dei diritti umani, che non è solo garanzia di servizi essenziali, ma è diritto al lavoro, alla partecipazione, alla sicurezza, all’accoglienza, alla felicità, alla coesione, al benessere e alla bellezza. È diritto al futuro. Sono convinto che la cura più potente contro l’epidemia di anti-città sia riaffermare la città dei diritti connaturati all’urbano: la cooperazione tra i cittadini, l’accesso alle risorse della città e la possibilità di sperimentare una vita urbana alternativa alle logiche e ai processi ineguali di industrializzazione e di accumulazione del capitale, ma anche la qualità della vita relazionale e l’opportunità di accrescere il proprio benessere in forme non egoiste. «Il diritto alla città – scriveva Henri Lefebvre nel 1968 – si presenta come una forma superiore dei diritti»5, un diritto che agisce nel cuore stesso della democrazia urbana, affonda le sue radici nella polis, madre della politica come responsabilità e arte di guidare la vita collettiva. Il diritto alla città nel Neoantropocene è quindi il diritto a costruire ogni giorno la “città dell’uomo” – come già invocava Adriano Olivetti nel 1960 – che infranga i dispositivi di controllo e di omologazione della vita quotidiana delle nostre metropoli impazzite, e che restituisca ai cittadini, sempre più plurali e nomadi, fluidi e cosmopoliti, ma anche fragili e impauriti, i tempi e gli spazi del vivere urbano, riconfigurando le relazioni sociali, politiche ed economiche, ma anche quelle biologiche e comportamentali, a partire da un allargamento dell’agorà decisionale e da un rafforzamento della compartecipazione emotiva. Adriano Olivetti credeva nell’idea di comunità come unica via

da seguire per superare la divisione tra produzione e cultura. La sua idea, infatti, era quella di creare una comunità di “azionisti” che condividessero visione e responsabilità: enti pubblici, università, imprenditori, rappresentanze dei lavoratori, società civile. È la sua “città dell’uomo”, un sogno definito con chiarezza nell’omonimo libro che ne traccia una mappa chiara e ancora oggi utile per discutere di democrazia urbana6 e del diritto alla città come sintesi del benessere economico, sociale e culturale degli abitanti, considerato parte integrante del miglioramento del processo produttivo e del benessere degli abitanti. Nella nuova rivoluzione urbana del Neoantropocene torna attuale il magistero militante di Giorgio La Pira, il “sindaco santo” di Firenze, che nel 1955 affermava con l’esempio quotidiano che «il diritto alle città delle generazioni presenti è il diritto di usare, migliorandolo e non distruggendolo o dilapidandolo, un patrimonio visibile e invisibile, reale e ideale, ad esse consegnato dalle generazioni passate e destinato ad essere trasmesso, accresciuto e migliorato, alle generazioni future. Usare, migliorare e ritrasmettere la casa comune! Le città non sono cose nostre di cui si possa disporre a nostro piacimento: sono cose altrui, delle generazioni venture, di cui nessuno può violare il diritto e l’attesa»7. Nella visione ecosofica che voglio qui proporre, la città deve superare la sua visione puramente funzionale (attrattore, aggregatore, motore, portale, piattaforma, etc.) per farsi “comunità di comunità”, una interfaccia intelligente tra spazio e società che abiliti e incentivi comportamenti virtuosi dal basso dando visibilità ai vantaggi individuali e collettivi. Una città non solo come spazio concepito (istituzionale) ma anche come spazio percepito (fatto di sensazioni e identità) e soprattutto come spazio vissuto, abitato da comunità multiple, radicate o migranti, e animato da quel pluralismo civico oggi composto da attivisti, makers, contadini urbani, artigiani digitali, creativi, smart citizens, co-workers, prosumers, etc., protagonisti della città contemporanea, ma soprattutto nuovi attori della politica come impegno verso il bene comune, verso una realizzata democrazia sussidiaria. Dobbiamo ripartire dalle comunità territoriali per far emergere nuovi corpi intermedi che siano in grado di svolgere di nuovo la loro funzione civica e pedagogica sostenendo il confronto dei singoli individui e delle reti con la realtà in turbolento cambiamento, rifiutando la deriva corporativa e riattivando il ruolo sussidiario. Le metropoli contemporanee, ma anche e soprattutto le città intermedie, sono sempre più protese a forni6 La città dell’uomo è il libro-manifesto che raccoglie i discorsi e gli inter-

venti di Adriano Olivetti degli anni Cinquanta, e venne pubblicato nel 1960 quando ormai la sua morte era imminente a suggello teorico della sua visione unitaria di impresa, comunità, politica e urbanistica. Cfr. A. Olivetti, Città dell’uomo, Torino, Edizioni di Comunità, 2001. Sul concetto di comunità come mattoni per costruire il grande edificio di una democrazia integrata che partendo dalle cento piccole patrie ricostruisse lo Stato ponendo al centro i valori scientifici, sociali, estetici, si veda A. Olivetti, Il cammino della Comunità, Roma, Comunità, 2013. 7 Cfr. G. La Pira, Per la salvezza delle città di tutto il mondo, discorso tenuto al Convegno dei Sindaci delle capitali di tutto il mondo, Firenze, 2 ottobre 1955.

5 Cfr. H. Lefebvre, Il diritto alla città, Verona, Ombre corte, 2014. 40


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re risposte collettive a nuove e diversificate domande: non solo di residenza, lavoro e servizi, ma anche domande di assistenza, di sicurezza, di integrazione, di innovazione, di democrazia e di qualità. E nella città dell’uomo la risposta a queste domande viene sempre meno solo dai soggetti istituzionali e formali – i sindaci o gli amministratori, i tecnici o i gestori di servizi, le istituzioni o le imprese – per diventare una risposta collettiva che vede il coinvolgimento proattivo dei cittadini e delle loro reti civiche nella città per l’uomo. Questo nuovo “umanesimo politico” che scala la democrazia dal basso verso un civismo politico ma anche dall’alto verso una politica di prossimità è il lascito più attuale del pensiero e dell’azione politica di Aldo Moro, Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti e, in Sicilia, Piersanti Mattarella ed Ennio Pintacuda, che hanno teorizzato e realizzato una relazione concreta – che trova nella città il terreno di azione – tra spiritualità e politica, tra responsabilità e prassi. È ancora nelle parole di Giorgio La Pira che troviamo una mappa preziosa per orientarci nella concezione politica della città che si stava sviluppando in quegli anni: le città sono «come libri vivi della storia umana e della civiltà umana: destinati alla formazione spirituale e materiale delle generazioni venture. Sono come riserve mai esaurite di quei beni umani essenziali – da quelli di vertice, religiosi e culturali, a quelli di base, tecnici ed economici – di cui tutte le generazioni hanno imprescindibile bisogno». Ed è proprio per questa relazione così vitale e permanente tra le città e l’uomo, che la città è lo strumento più appropriato «per superare tutte le possibili crisi cui la storia umana e la civiltà umana vanno sottoposte nel corso dei secoli»8.

dell’abitare – sia frutto di un conflitto neuronale tra razionalità ed emotività, tra automatismo e consapevolezza9. È venuto il momento di codificare, elaborare e sperimentare una neurourbanistica, una vera e propria neuroscienza dello spazio, in grado di essere contemporaneamente razionale ed emotiva, dotata di tecnica e di sentimento, per agire sia sullo spazio urbano che su quello umano, tornando a far svolgere alla città quella straordinaria funzione di dispositivo pedagogico, ludico, esperienziale, semiotico ed etico, in grado di agire proprio in quello spazio fecondo tra consapevolezza e reazione istintiva. La neurourbanistica ci induce a pensare e progettare città che interpretino il sentimento delle persone che vi abitano, che ne stimolino il senso civico, che ne consolidino la responsabilità. Città in cui torniamo a «curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso di appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro “sentirci a casa” all’interno della città che ci contiene e ci unisce. È importante che le diverse parti di una città siano ben integrate e che gli abitanti possano avere una visione d’insieme invece di rinchiudersi in un quartiere, rinunciando a vivere la città intera come uno spazio proprio condiviso con gli altri. Ogni intervento nel paesaggio urbano o rurale dovrebbe considerare come i diversi elementi del luogo formino un tutto che è percepito dagli abitanti come un quadro coerente con la sua ricchezza di significati. In tal modo gli altri cessano di essere estranei e li si può percepire come parte di un “noi” che costruiamo insieme. Per questa stessa ragione, sia nell’ambiente urbano sia in quello rurale, è opportuno preservare alcuni spazi nei quali si evitino interventi umani che li modifichino continuamente», come scrive Papa Francesco. Nella città dell’uomo, la neurourbanistica può recuperare la capacità di rimodellare lo spazio di vita soprattutto in quei luoghi che la modernità imperfetta ha oltraggiato: centri storici degradati o in abbandono, periferie sconnesse dai flussi vitali della città, aree in transizione industriale. Luoghi che, prima di una riattivazione del ciclo edilizio o economico, devono riattivare il ciclo umano e psicosociale, tornando ad essere luoghi della scoperta emotiva, del riconoscimento e dell’identificazione, luoghi piacevoli che stimolino i nostri sentimenti prima che la nostra razionalità insediativa. Tornino ad essere luoghi dell’abitare perché adatti ai molteplici stili di vita, capaci di nutrire l’io che si fa noi urbano.

Neurourbanistica dello spazio emozionale delle città L’architettura per me è una vera e propria terapia dello spazio e l’ambiente urbano determina chi lo abita, viene trasformato e trasforma, educa e protegge. L’urbanistica è il primo dispositivo politico, e quindi sociale, della comunità e l’architettura degli edifici e la qualità degli spazi pubblici diventano specchio attivo e retroattivo che non solo riflettono, ma formano identità sociali e culturali solide. L’interrelazione tra gli spazi urbani e il comportamento umano è ben presente nell’Enciclica, frutto anche dell’esperienza apostolica del Cardinale Bergoglio nelle marginalità di Buenos Aires, richiamando con decisione «coloro che progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e città, [ad avvalersi ] del contributo di diverse discipline che permettano di comprendere i processi, il simbolismo e i comportamenti delle persone. Non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco». Dobbiamo, pertanto, recuperare la capacità dell’urbanistica di fornire una lettura “psicologica” del tessuto urbano, accompagnandola con una interpretazione emozionale dello spazio percepito che rimodelli lo spazio vissuto e che indirizzi lo spazio concepito. Le neuroscienze hanno ampiamente dimostrato che il comportamento umano – quindi anche le scelte

Le comunità avanguardie del Neoantropocene In Italia esistono già indizi del Neoantropocene in alcune comunità che con coraggio resistono alla crisi e cercano di gestire la transizione, adattandosi al cambiamento che le ha travolte. Una volta erano fiorenti comunità montane, rurali o costiere, o quartieri urbani vibranti di vita comunitaria o centri storici densi di attività produttive e commerciali, oggi combattono contro un declino che rischia di travolgerli del tutto. Comunità di persone si prendono cura della natura e 9 Cfr. H. F. Mallgrave, L’empatia degli spazi. Architettura e neuroscienze, Mila-

8 Cfr. G. La Pira, op. cit.

no, Raffaello Cortina, 2015.

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della cultura dei loro palinsesti, che sperimentano un nuovo metabolismo urbano circolare, il recupero di sapienza artigianali e di manifatture innovative, il radicamento locale di infrastrutture sostenibili di mobilità e la connettività globale delle infostrutture digitali, la interconnessione tra reti verdi, armature culturali e cicli di vita lenti, la diffusione di competenze tecnologiche e dell’innovazione all’interno delle amministrazioni locali. Sono le comunità arcipelago10 che si formano entro le aree marginali delle città in cui combatte la resistenza all’attuale modello di sviluppo, persone che abitano ancora con coraggio nelle città medie e nelle aree interne resistendo allo spopolamento, che plasmano ancora con mano sapiente i paesaggi agrari tornati produttivi, che si prendono cura delle montagne urbanizzate da piccoli, ma ancora vitali, centri abitati. Un’armatura di comunità connesse dagli itinerari degli uomini e delle arti, rafforzata dalle trame degli artigiani e degli agricoltori. Un’Italia fatta di tasselli preziosi di un mosaico paesaggistico, culturale e artistico, che si inerpicano lungo le pendici delle Alpi e degli Appennini, che vivono tra le pieghe del palinsesto rurale sepolto dalla modernità imperfetta, che si evolvono lungo quel filo infinito intessuto dai monasteri, dalle loro biblioteche, dalle regole che si fanno cura della natura. Queste comunità avanguardie del Neoantropocene sono il frutto di una nuova alleanza tra abitanti e territorio, producendo uno spazio vissuto su cui agiscono i luoghi di rappresentazione delle comunità, lo spazio su cui si esercita il diverso presente, coniugando i segni molto complessi della contemporaneità, legati all’arte e alla creatività, all’innovazione digitale e sociale, ad una nuova equità sociale ed economica. È lo spazio degli abitanti e dei diversi utenti, è lo spazio che l’immaginazione e la creatività cercano di cambiare per riappropriarsene. È lo spazio della dura montagna italiana e delle troppo morbide coste, dei borghi più belli e delle periferie tristi. Lo spazio vissuto dei terrazzamenti e dei vitigni che geometrizzano il paesaggio, o quello degli ulivi che si torcono danzando con il vento. E’ lo spazio delle materie prime di qualità e di una cucina rispettosa che è sinestesia di gusto e di vista. È lo spazio delle comunità di artisti che ridanno colore e gioia a paesi in catalessi, o quello dei migranti che portano braccia e idee non sfruttate ma accolte. È lo spazio degli innovatori che cavano bellezza dalla pietra, che coltivano talenti nelle gravine o che teatralizzano rovine o discariche. Ma è anche lo spazio delle mille biblioteche come piazze del sapere o dei contadini che mettono Arduino sull’aratro. È lo spazio delle città termali senza più eleganza, o delle centrali idroelettriche vibranti di energia, delle ciclovie sempre più vie per nuovi cicli di vita o dei cammini di narratori camminanti. In questi spazi cooperative diserbano le mafie e coltivano speranza, e donne e uomini dissotterrano amianto e seminano frumento. Le comunità avanguardie reclamano a gran voce un

rinnovato approccio olistico, una necessaria multiscalarità, una potente urbanistica ecologica e circolare, che sappiano agire sia sui territori metropolitani che su quelli rur-urbani e rurali. Di fronte al conflitto tra centri e periferie prodotto dal demone della diseguaglianza del possesso, di fronte ad una città troppo minerale affamata di spazio che ha prodotto un insostenibile consumo di suolo che sta erodendo i nostri palinsesti vegetali e culturali, dobbiamo avere il coraggio di entrare definitivamente nel Neoantropocene. E in questa era di un nuovo umanesimo rispettoso, di una società circolare e creativa le città possono di nuovo essere le più potenti piattaforme di innovazione sociale, tornando ad essere considerate organismi vibranti di spazio e comunità plurali, di azioni e di reazioni che le consolidano, in un nuovo metabolismo generato dall’interazione tra persone e ambiente, tra centri e margini, tra attivismo e responsabilità, tra legalità e riscatto. In Italia il Neoantropocene potrebbe mostrare le sue prime forme compiute, rimediando ai centri storici in abbandono e alle grandi periferie figlie del modello urbanistico del Novecento che ne ha fortemente limitato lo sviluppo relegandole ai margini – spaziali e concettuali – dell’azione urbanistica. Oggi, finito l’effetto dell’assenzio che è stata la crescita illimitata in debito e il vorace consumo di suolo, le periferie, sia esterne che interne, si ritrovano a poter essere le protagoniste di un modello di città alimentato dall’interazione della resilienza, del riciclo e della riattivazione del capitale umano, e si offrono come prezioso laboratorio di una potente rigenerazione dei luoghi e delle comunità, degli spazi e delle relazioni. Sono i luoghi da cui può rinascere un’architettura della città, una nuova etica dell’abitare. I grandi quartieri periferici degli anni Cinquanta e Sessanta nei capoluoghi, i centri storici in abbandono o i quartieri centrifugati dalla dispersione urbana delle città medie, i micro tessuti abitativi peri-urbani di derivazione rurale delle aree interne devono essere ripensati evitando ricuciture a freddo dei tessuti o desertificazione di abitanti, rifiutando un approccio chirurgico fatto di azioni estremamente invasive, erosive, consumatrici di risorse materiali e immateriali e soprattutto dagli esiti non definitivi e a rischio di rigetto. Non sono più i tempi dello sventramento cosmetico, dell’innesto estetico, della demolizione e ricostruzione puramente volumetrica, ma non è più percorribile nemmeno l’urbanistica radioterapica prodotta dal bombardamento di risorse attraverso trasformazioni immobiliari di aree periferiche o innesti forzati di servizi di centralità e grandi centri commerciali. Serve un’urbanistica della cura rigenerativa, introducendo alcune cellule urbane di qualità che ricostruiscano i tessuti feriti o indeboliti: agricoltura multifunzionale, scuole come servizi collettivi e presidi di cittadinanza, biblioteche come nuove piazze del sapere e spazi aggregativi dell’associazionismo, co-working, manifatture digitali e atelier creativi, ma anche edifici intelligenti ed energeticamente efficienti e mobilità sostenibile. Nella transizione urbana che dobbiamo attraversare con decisione deve mutare anche la rilevanza sociale ed economica delle numerose risorse culturali (cultu-

10 Numerosi esempi di comunità-arcipelago le abbiamo raccontate – e

progettate – al Padiglione Italia della Biennale e possono essere approfondite nel catalogo curato da Mario Cucinella, Arcipelago Italia. Progetti per il futuro dei territori interni del Paese, Macerata, Quodlibet, 2018.

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ra e creatività sono la base della quasi totalità delle pratiche di rigenerazione urbana) presenti, o riattivate, nelle periferie, connettendo le nuove politiche culturali con le politiche di sviluppo umano. Serve quindi che il capitale culturale, composto dal capitale fisso patrimoniale ma sempre di più da quello sociale (come ormai dimostrano le numerose pratiche), entri in maniera strutturale nella borsa della rigenerazione e dello sviluppo, distribuendo in maniera estesa ed equa il dividendo che esso è in grado di generare e concorrendo a distribuire nella quotidianità della vita delle comunità gli effetti della rinnovata dimensione culturale dello sviluppo. Se crediamo nelle periferie come nuove centralità di un arcipelago urbano che rimodelli spazi ed economie, dobbiamo generare e distribuire un vero e proprio dividendo creativo e culturale delle politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, di recupero e riqualificazione edilizia, di stimolo all’imprenditorialità, di garanzia della sicurezza. Reimmaginare le periferie come città, e non più come margini di urbanità debole, significa non solo guardarle con occhi nuovi e progettarle con rinnovati strumenti, ma vuol dire anche ridefinirle epistemologicamente fin dal lessico. Io le chiamo “poliferie”, luoghi generatori di molteplicità, luoghi da esplorare per trovarvi un diverso presente, mettendone in valore le opportunità inespresse, per generare l’inatteso. Le poliferie, riformando innanzitutto il nostro lessico, rimodellano il nostro pensiero: ci spingono ad agire sulla città nel suo complesso, nella sua socio-diversità e nella sua multi-spazialità. Ci chiedono azioni cognitive, educative e sperimentali che coinvolgano le comunità a ripensare i loro spazi di vita e che riportino cicli di vita nelle aree che avevamo pensato come marginali e che oggi ci impongono di ripensarle come nuovi centri delle città che ritornano policentriche e interconnesse da flussi molteplici.

una visione/processo/progetto in grado di rispondere alle quattro grandi sfide del XXI secolo: la città reattiva come luogo in grado di soddisfare le esigenze della comunità in modo efficace e tempestivo, lo sviluppo sostenibile come orizzonte per la qualità della vita, il territorio intelligente come uso responsabile dell’innovazione e della tecnologia e i nuovi modelli urbanistici essenziali per rimodellare forme non erosive degli insediamenti umani. E le risposte possono essere sintetizzate in 10 caratteristiche delle città aumentate capaci di guidare la rivoluzione urbana del Neoantropocene. Innanzitutto una città aumentata deve essere senziente, in grado di percepire in tempo reale i bisogni dei cittadini e le fragilità dell’ambiente utilizzando tutta la vasta gamma di fonti cognitive per rispondere tempestivamente e offrire soluzioni efficaci ai decisori. Pertanto, ha bisogno di nuove abilità e strumenti per rinnovare un’urbanistica basata sulla conoscenza diffusa e orientata alla risoluzione dei problemi in uno scenario collaborativo che sia, soprattutto, capillare. Deve, anche, essere basata su un approccio open source, perché, nella società della condivisione in cui viviamo, la città non è più un “codice precompilato” di spazi e funzioni (il piano regolativo tradizionale), ma è un processo collaborativo e incrementale di luoghi di incontro e abitazioni, di infrastrutture sociali e luoghi di lavoro. Solo attraverso una urbanistica collaborativa e dialogica possiamo innescare una rinnovata alleanza comunitaria che riattivi l’alleanza tra spazi di vita e umanità. La città aumentata deve essere più intelligente, basata su una piattaforma composta dalla qualità degli spazi urbani (l’hardware) e dalla cooperazione della cittadinanza attiva (il software), ma anche in grado di rinnovare interamente il “sistema operativo urbano” che gestisca una pianificazione e progettazione avanzate e più reattive ai mutamenti a cui sono sottoposte le città. La città aumentata deve tornare a essere produttiva, riattivando la sua dimensione economica e cogliendo le opportunità della nuova economia delle manifatture innovative per ricostituire la base economica essenziale della città, dopo gli anni dell’euforia per la città considerata solo come fornitrice di servizi invece che come motore economico della società. La città dovrà, anche, essere sempre più creativa migliorando la sua dimensione culturale attraverso l’uso integrato e diffuso della cultura, della comunicazione e della cooperazione come risorse per una città generativa in grado di creare nuove forme e relazioni in grado di stimolare la potente creatività umana e in grado di alimentare una diversa crescita basata su identità, qualità e reputazione. Una città aumentata deve essere riciclica, cioè basata su processi di riciclo e rigenerazione invece che di rottamazione o obsolescenza, guidata dai principi dell’economia circolare. Le città della transizione ecologica saranno quelle che non solo ridurranno, riutilizzeranno e ricicleranno le loro risorse materiali e immateriali, ma quelle che progetteranno un nuovo metabolismo circolare, includendo il riciclo pianificato tra le componenti del progetto urbano. Nella transizione del Neoantropocene la città dovrà essere resiliente, accettando di sperimentare forme e funzioni più adattive, circolari e autosufficienti per vincere la sfida del cambiamento climatico, producendo

Il nuovo paradigma della città aumentata Appare chiaro dalle riflessioni fin qui svolte, che la città dell’uomo non può ridursi alle sue componenti ecologiche, nemmeno quelle migliorate dalle emozioni, o a quelle sociali, né tanto meno a quelle economiche, ma richiede la sintesi politica di tutte, e, soprattutto, richiede un rinnovato umanesimo politico, una maggiore partecipazione civica alla responsabilità politica. Non bastano più manutenzioni o rammendi, serve un salto di paradigma urbano, alimentato da una umanità generativa e non predatoria, giusta e non squilibrata, aperta e non segregata. È quella che io chiamo la Città Aumentata11: una piattaforma spaziale, culturale, sociale ed economica per migliorare la nostra vita, individuale e collettiva, informale e istituzionale, ampliando lo spazio urbano generato dagli effetti dell’innovazione. La nostra “umanità aumentata” dalla sensibilità e responsabilità per la casa comune pretende di costruire un ambiente urbano più efficiente, in grado di percepire, comprendere e agire quotidianamente e per le comunità sempre più plurali che abitano le città. La città aumentata è, per me, 11 Cfr. M. Carta, Augmented City. A Paradigm Shift, Trento-Barcelona, Listlab, 2017.

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e distribuendo efficacemente il “dividendo” della resilienza come strumento efficace di perequazione ecologica urbana12, nuovo capitale dello sviluppo sostenibile. La città aumentata, inoltre, sarà fluida, in grado di ripensare la porosità e la fluidità come paradigmi per i progetti di rigenerazione urbana che derivano dall’acqua la loro carica di identità, producendo nuove configurazioni spaziali a partire dall’interfaccia città-porto come luogo di apertura e interfaccia dei flussi che sempre più attraversano il ritrovato cosmopolitismo. La città aumentata dovrà ripensare la sua dimensione metropolitana in forme reticolari, adottando un sistema insediativo che abbandoni l’ormai obsoleto modello gravitazionale (un centro e numerosi satelliti) per un nuovo e più efficace modello policentrico, basato su aggregazioni più complesse, su una pluralità di centri specializzati, capaci di cogliere le nuove relazioni tra luoghi e funzioni, tra flussi e nodi. Infine, e soprattutto, una città aumentata ha bisogno di un nuovo approccio per la pianificazione e implementazione del suo sviluppo. Pretende una nuova alleanza tra il pubblico, il privato e la società civile e richiede percorsi innovativi per l’implementazione dei piani e dei progetti. Quindi la città aumentata deve essere strategica, percorrendo una dimensione incrementale, un approccio adattivo e un’azione chiaramente temporizzata tra breve e lungo termine, in grado di attivare diversi cicli del suo metabolismo per rigenerare le aree in declino o in sovrautilizzo. Basta con i grandi masterplan onnicomprensivi e onerosi (basati sulle diseguaglianze del mercato immobiliare), ma dobbiamo percorrere la strada di una rigenerazione endogena che riattivi gli organismi urbani a partire dai capitali locali, soprattutto dal capitale umano. Il Neoantropocene, quindi, reclama un cambio di paradigma e una vera innovazione di sistema. Non è solo l’invocazione di una buona urbanistica per sconfiggere le conseguenze urbane della cattiva politica che sta deformando il patto sociale delle nostre città, alimentando i conflitti invece che facilitare le alleanze, ma dobbiamo pretendere la discussione di un modello di sviluppo guidato da una nuova alleanza – solida perché fondata sull’interesse comune – tra comunità, cultura e politica. Per uscire dalla crisi ecologica, a cui sono seguite quella politica, quella economica e quella sociale, serve una spinta etica che, a partire dalle città, faccia emergere le nostre virtù superando la coltre di vizi e di errori che le ha soffocate negli anni. Per non accontentarci di piccole manutenzioni e riparazioni parziali dei meccanismi di sviluppo urbano, dobbiamo perseguire una innovazione radicale, recuperando le radici umane dell’urbanistica, vera palingenesi di una città che voglia tornare ad essere matrice di diversità umana nell’epoca del cambiamento climatico, del ritorno delle migrazioni, della riscoperta delle culture locali. Per riconnettere l’impegno politico della comunità, il ritrovato civismo politico, con la forma che sapremo dare alla sua proiezione spaziale dobbiamo rimetterci in cammino, dobbiamo tornare al livello del suolo, dobbiamo parlare il linguaggio delle persone. E oggi questo cammino fatto insieme – il “sinodo” invocato

da Papa Francesco13 – dentro le città deve attraversare, capire, vivere nei luoghi della transizione, nei troppi margini e nelle tante fratture, perché è lì che si gioca la sfida dell’integrazione, della giustizia, della coesione sociale. Sia quelle dei rifugiati e degli immigrati, ma anche quelle dell’umanità dolente, ma vitale, che le abita. Per questo, nell’era della grande transizione dobbiamo far rinascere una grande passione civile per le città, per abitarle con rinnovata sensibilità e cura e per riattivare le loro comunità sociali, culturali ed economiche come tessuto per rigenerare lo spazio, ma soprattutto per rigenerare la nostra umanità che torni a prendersi cura della casa comune. Un’agenda urbana per l’Italia del Neoantropocene In una Italia del diverso presente che voglia agire con coraggio nel cambiamento istituzionale verso una metropolizzazione matura ed una valorizzazione dei territori intermedi, è indispensabile definire un’agenda urbana. Una efficace agenda urbana per l’Italia 2030 dovrà puntare su alcune Città Metropolitane (Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, Palermo) come super-organismi propulsori per rafforzare la competitività della regione attraverso la loro funzione di gateways materiali e immateriali dell’armatura delle città medie e dei clusters urbani, come generatori delle necessarie piattaforme territoriali. Contemporaneamente è necessario considerare le città del contesto peri-metropolitano come territori snodo ed aree funzionali con particolare attenzione alla alimentazione dei sistemi reticolari e come preziose riserve di creatività e resilienza, generatrici di sviluppo sostenibile fondato sulle identità culturali. Infine è necessario individuare gli arcipelaghi territoriali maturi che possano offrire un nuovo e più sostenibile sistema insediativo e produttivo reticolare, sia quelli più metropolitani (Bari, Genova, Firenze, Venezia, Catania, Messina e Reggio Calabria insieme e Cagliari), che quelli rur-urbani lungo la dorsale adriatica, nelle aree produttive padane o quelli del policentrismo pugliese o siciliano. La strategia attuativa per le città metropolitane deve prevedere quattro opzioni incrementali: a) ridisegnare e modernizzare i servizi di rango metropolitano per i nuovi abitanti e frequentatori, spesso temporanei entrambi, che ridefiniscono continuamente le relazioni umane e spaziali; b) sviluppare pratiche per l’inclusione sociale e per il ridisegno del nuovo welfare metropolitano, soprattutto in riferimento ai quartieri ex-periferici che in prospettiva policentrica saranno le nuove aree cerniera di raccordo dei territori metropolitani, i luoghi di localizzazione delle nuove centralità dei servizi metropolitani; c) rafforzare la capacità delle città metropolitane di potenziare i segmenti più pregiati delle filiere produttive rafforzando il ruolo di commutatore territoriale dei flussi delle reti lunghe in risorse per lo sviluppo locale e regionale e quello di trasmettitore dei valori e delle qualità entro l’arcipelago; 13 «Sinodo significa “camminare insieme” e la democrazia è un “cammino” fatto insieme», così padre Antonio Spadaro, SJ, sulle pagine de L’Espresso (1 agosto 2019) descrive l’importanza di ripartire da un sinodo, da un cammino comune, anche conflittuale, che rinnovi il patto di comunità.

12 Cfr. J. Rodin, The Resilience Dividend, New York, Public Affairs, 2014. 44


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d) infine, ridefinire la governance in termini di interdipendenze selettive e non secondo un mero principio di aggregazione di competenze e interessi, o secondo confini istituzionali a cui non corrisponda una efficace sussidiarietà abilitante. Come ho già detto, l’Italia non è solo metropolitana, ma è un arcipelago di diverse specie di spazi tenuti insieme da storie, tradizioni, memorie, cammini, percorsi, trattenuti da montagne, valli, mari e fiumi. La sfida delle città medie italiane, dei paesi alpini e appenninici, delle comunità rur-urbane è rivolta alla creazione di nuovi metabolismi più resilienti, più creativi, più intelligenti e più collaborativi, assumendo un ruolo di propulsore anti-ciclico rispetto al declino e quindi un acceleratore della metamorfosi del Neoantropocene. Nell’agenda italiana per lo sviluppo rur-urbano sostenibile voglio qui proporre sette azioni operative per le istituzioni, le comunità e le professionalità capaci di modificare modi e strumenti per la riattivazione dei territori interni. Innanzitutto, servono azioni nel dominio delle politiche per rendere l’amministrazione pubblica una piattaforma abilitante facilmente accessibile, fisicamente e virtualmente, per chiunque in ogni momento e da ogni luogo per incrementare le prestazioni e la capacità di fornire risposte tempestive alle domande insorgenti di una comunità che torni a vivere i territori interni. Servono azioni per l’innovazione sociale capaci di convogliare l’energia partecipativa dei cittadini verso la gestione condivisa di servizi, teatri, musei, biblioteche, laboratori e spazi pubblici, nonché verso un welfare distribuito e di prossimità. Nonché azioni di agevolazione della condivisione per offrire spazi e servizi pubblici per usi e utilizzatori differenti nel tempo per estendere gli usi, per minimizzare i costi di gestione, per massimizzare l’efficienza e per garantire la manutenzione. È necessario lo stimolo all’imprenditorialità per agevolare i partenariati pubblico-privato e il credito per la realizzazione di interventi di rigenerazione urbana, di efficienza energetica, di mobilità sostenibile, di sicurezza degli edifici e di qualità dell’ambiente. Anche lo sviluppo della manifattura è indispensabile poiché nuovo modello di sviluppo locale richiede di agevolare, attraverso incentivazioni e facilitazioni, la nascita, il ritorno e lo sviluppo nelle città medie e nei borghi rurali della nuova manifattura, della micro-produzione, della fabbricazione digitale, dell’agricoltura, della riparazione e del riciclo come nuove opportunità di lavoro. Sul fronte della lotta al cambiamento climatico, le energie rinnovabili reali – cioè quelle che non sono solo una nuova occasione di profitto per chi domina i flussi – sono una feconda occasione per ridare fiato alle economie locali pre-distributive delle aree interne, permettendole di riacquisire sovranità sulle proprie risorse, ponendosi in una logica di scambio con la città anche per quanto riguarda la fornitura di energia. Infine, servono azioni a supporto della creatività per incentivare un ecosistema creativo a partire dal tessuto di scuole, di laboratori locali, di musei e di centri culturali che diventino living lab e incubatori di idee, progetti e imprese innovative rafforzando il rapporto educazione-lavoro e offrendo nuove occasioni di vita, soprattutto per i giovani.

La nuova dimensione insediativa, sia metropolitana che intermedia, deve risolvere i problemi di accessibilità ai centri urbani e coesione interna del sistema territoriale, con l’obiettivo di potenziare la mobilità attraverso l’identificazione di nuove direttrici di mobilità e con modalità di trasporto differenti e concorrendo al miglioramento della qualità della vita sia attraverso il potenziamento della mobilità urbana sostenibile, rilanciando il trasporto pubblico locale con l’obiettivo di combattere i fenomeni di congestionamento urbano nelle aree urbane, sia attraverso l’uso strutturale della innovazione tecnologica per alleggerire il footprint ambientale e sociale. L’obiettivo generale per una Italia che voglia tornare a contare nella casa comune europea, concorrendo alla ripresa e alla riattivazione dei fattori produttivi di crescita e di quelli sociali di progresso, è quello di procedere con coraggio alla transizione dai grandi nodi urbani accentratori a un territorio policentrico e reticolare formato dall’armatura sapiente e intelligente di metropoli e arcipelaghi, per rinnovare, attraverso la responsabilità dell’urbanistica (per me la continuazione della politica con altri mezzi), il patto costitutivo di una Europa fondata sulle qualità territoriali, sulle sensibilità paesaggistiche, sulle eccellenze culturali, sulle creatività manifatturiere e sulle innovazioni sociali. Un’Italia che rinnovi il patto tra metropoli e territori interni, tra spazi di vita e comunità.

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01-a Manuale

W1_Analisi e diagnosi Parte 1 Interpretazione analisi strutturale


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Interpretazione analisi strutturale La prima parte del W1 prevede l’interpretazione delle componenti strutturali degli arcipelaghi oggetto di sperimentazione attraverso la lettura delle “Carte strutturali per cicli” fornite dalla docenza.

Isr Ideogrammatic sub-regional analysys La prima parte dell’elaborazione corrisponde alla definizione degli elementi che consentono di individuare le risorse dell’ambito sub-regionale dei Liberi Consorzi di Agrigento e Trapani e la Città Metropolitana di Palermo, attraverso una rappresentazione per CICLI VITALI TERRITORIALI. La struttura territoriale è restituita attraverso una rappresentazione per schemi e declinata secondo i seguenti cicli: - BLUE/GREEN CYCLE, che descrive i caratteri fisico-naturali del territorio e il paesaggio; - RED/BROWN CYCLE, che descrive l’assetto fisico e funzionale degli insediamenti urbani e rurali, in relazione ai nuclei urbani storici e gli insediamenti residenziali e l’assetto fisico e funzionale degli insediamenti produttivi; - GREY CYCLE, che descrive l’infrastrutturazione viaria, ferroviaria, aeroportuale, portuale.

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accezione di organismo complesso, frutto di interazione nell’ambito rur/urbano, dei centri medi e delle infrastrutture di contesto, non segue un percorso immodificabile, ma ha la capacità di rigenerarsi/ri-ciclarsi al suo interno, ovvero di rigenerare un ciclo di vita in declino o di superarlo reinterpretando sé stesso secondo le nuove dinamiche e le nuove esigenze, come farebbe un organismo vivente all’interno di un ecosistema. Le componenti strutturali, riconosciute e selezionate, fungono da invarianti e costituiscono i vincoli e le condizioni base del progetto di trasformazione. Per ogni componente appartenente ad ogni singolo ciclo dovrà essere impiegato un filtro fortemente selettivo applicato in base al livello identitario e al carattere di “invariante” dell’elemento selezionato. Per facilitare la lettura delle componenti strutturali viene fornita una legenda che costituirà le linee guida per l’indagine e la selezione degli elementi strutturali.

Sa Structural Analysis Lo studio prosegue con le interpretazioni delle carte strutturali dei due arcipelaghi oggetto di studio: l’Arcipelago Alcamo e l’arcipelago Favara. Tale studio permette di individuare gli elementi che definiscono l’identità del territorio oggetto di studio attraverso la rappresentazione delle sue componenti strutturali. La rappresentazione della struttura territoriale è declinata per tipologia e/o per funzione in riferimento ai cicli vitali del territorio sopra descritti (green cycle, blue cycle, grey cycle, brown cycle, red cycle) e in riferimento ad un sistema di attrattori/generatori di flussi e consente di definire le relazioni reticolari che i diversi nodi del sistema territoriale instaurano al loro interno. La struttura del territorio che emerge dall’analisi territoriale articolata per cicli è finalizzata all’estrazione delle componenti che saranno ritenute identificative e rappresentative del territorio. Il territorio che è oggetto di sperimentazione nella sua

ANALISI DEI CICLI ATTIVI L’analisi e la relativa legenda sono così articolate: - GREEN CYCLE. Appartengono a questo ciclo quegli elementi che compongono l’ecosistema vegetazionale e che nel loro insieme danno vita alle diverse “linee verdi” che strutturano il territorio: la rete dei parchi urbani, delle riserve e delle zone Sic, Zps, i corridoi ecologici. - BLUE CYCLE. Appartengono a questo ciclo gli elementi del sistema idrico, dell’ecosistema fluviale e costiero, che nel loro insieme compongono la struttura del ciclo delle acque del territorio. La localizzazione di questi elementi e il loro stato attuale (ad esempio alcuni elementi hanno subito azioni artificiali che ne

Arcipelago di Favara

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hanno alterato la struttura originaria) influenzano le scelte progettuali che riguardano le azioni per preservare il funzionamento del blue cycle.1

- RED CYCLE. Appartengono a questo ciclo quegli elementi del patrimonio storico, culturale e delle risorse creative che compongono il ciclo del sapere, della conoscenza e della trasmissione della cultura e della storia del territorio, riconoscendo nella continuità della localizzazione e/o della fruizione una componente del riconoscimento del ciclo di vita.

- GREY CYCLE. Appartengono a questo ciclo quegli elementi del sistema della mobilità e della logistica che svolgono specifici ruoli nel funzionamento delle connessioni. Appartengono a questo ciclo, pertanto, i grandi assi di collegamento tra i diversi centri urbani, i nodi di interscambio e, in generale, tutti questi elementi che svolgono la funzione di smistamento dei grandi flussi. L’appartenenza di questi elementi al grey cycle è contestuale al complessivo funzionamento del sistema territoriale, che definisce modi di uso, accesso e fruibilità, determinando scelte localizzative e condizionando le velocità di movimemto nella città e nei sistemi territoriali di riferimento.

ANALISI DEI CICLI INTERROTTI Alla analisi di questi cicli si aggiunge la individuazione e la selezione di elementi che risultano disattivati, ablati e sottoutilizzati, che vanno differenziati da quelli attivi, perché serve valutare se riattivare il funzionamento del ciclo originale e in che modo, o che tipo di trasformazione attivare per trasformarlo in una componente di un altro ciclo da potenziare, riconoscendone una maggiore adeguatezza alle mutate realtà:

- BROWN CYCLE. Appartengono a questo ciclo gli elementi del sistema produttivo. Le aree produttive appartengono a questo ciclo se sono connessi fra loro per prossimità spaziale e/o per riconoscibili relazioni di sequenzialità funzionale. Anche grandi aree commerciali o insediamenti produttivi fanno parte del brown cycle ed hanno particolare importanza anche in relazione alle trasformazioni che si rendono necessarie nel territorio in merito alla razionalizzazione del sistema infrastrutturale e sulla localizzazione dei servizi.

- CICLI “INTERROTTI”. In questa categoria sono stati inseriti quegli elementi che appartengono a cicli di vita urbani interrotti da ablazioni e cesure o che non sono più attivi in quanto dismessi o sotto-utilizzati. Per approfondimenti consultare: Carta M., Lino B., Ronsivalle D. eds. (2017), Re-Cyclical Urbanism. Visions, paradigms and projects for the circular metamorphosis, Trento, LIStLab Laboratorio internazionale editoriale

1 Il blue cycle è analizzato secondo l’impostazione metodologica elaborata nell’ambito del progetto di ricerca PO Italia-Malta 2007-2013, WATERFRONT (responsabile Scientifico prof. Maurizio Carta), che integra in un’unica metodologia le elaborazioni di tipo teorico metodologico precedentemente sviluppate sui temi della rigenerazione urbana e la metodologia BARE (vedi Allegato1).

Arcipelago di Alcamo

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Analisi Strutturale Arcipelago di Alcamo

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Analisi Strutturale Arcipelago di Favara

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ATTRATTORI/GENERATORI E TALENTI

Le schematizzazioni del sistema relazionale dei territori oggetto di analisi descrivono, sotto forma di ideogramma il funzionamento delle relazioni territoriali, mettendo in evidenza i nodi rur/urbani, le connessioni tra i nodi le funzioni prevalenti che le caratterizzano.

Accanto ad un’articolazione delle componenti strutturali per cicli e per relazioni spaziali, sono individuati anche quegli elementi che, per dimensione e rango elevati, appartengono anche ad altre due categorie di elementi puntuali. - ATTRATTORI/GENERATORI. In questa categoria sono inseriti tutti quegli elementi puntuali che, sebbene appartengano ad uno dei cicli individuati, per l’importanza che possiedono assumono un ruolo ad alta intensità strutturale nel sistema territoriale (ad esempio i grandi servizi generali, i servizi culturali di alto rango o i grandi attrattori turistici), predominando rispetto al ciclo di vita a cui l’elemento appartiene, in quanto generano spostamenti e flussi. - TALENTI DEL TERRITORIO (cultura, comunicazione, cooperazione, energia, mobilità, produzione). In questa categoria sono inseriti i Talenti della Creatività e dell’Innovazione, individuando tutti i luoghi dedicati alla creatività e all’innovazione, al fine di comprendere la logica degli insediamenti – oggi spontanei – dei nuovi urban makers, ma soprattutto per orientare le future decisioni di pianificazione verso la creazione di un ecosistema creativo che faciliti la nascita, lo sviluppo e la redditività della città della produzione innovativa. I talenti relativi alla creatività riguardano i luoghi della cultura (musei, teatri, etc.), della comunicazione (editoria, servizi digitali, etc.), spazi di cooperazione (social streets, co-working, etc.). I talenti dell’innovazione riguarderano luoghi dell’energia, della mobilità e della produzione (legati alla produzione digitale, alla mobilità sostenibile e alle energie rinnovabili). L’indagine sui talenti restituisce una interessante clusterizzazione del territorio e fa intravedere forme di aggregazione spontanea che andrebbero agevolate, facilitate o ri-orientate per una maggior efficacia. Vuole essere, quindi, un primo contributo per costruire la rete della Fab Land, in grado di agire sulla politica territoriale seguendo i principi dell’economia circolare, che alimentano non solo la Terza Rivoluzione Industriale dei produttori, ma anche la rivoluzione sociale – e quindi urbana – basata sul riciclo. La nuova filosofia del re-ciclo, infatti, mostra come le economie marginali stiano producendo nuovi progetti collettivi e nuove forme di socialità contrastando il declino locale e globale. Per approfondimenti consultare: Carta M., Lino B., Ronsivalle D. eds. (2017), Re-Cyclical Urbanism. Visions, paradigms and projects for the circular metamorphosis, Trento, LIStLab Laboratorio internazionale editoriale Arcipelago e comunità resilienti L’ideogramma dell’arcipelago descrive come il territorio sia leggibile come sistema in cui le relazioni che si determinano tra i nodi (come se fossero le isole dell’arcipelago) si rifanno ad un sistema connettivo dalle differenti funzioni possibili: produttive, paesaggistiche, culturali, ecc. 58


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stiere BARE differisce dagli altri sistemi di valutazione della spiaggia perché fornisce degli schemi su un ampio numero di problemi in cui: - valuta non solo la spiaggia in sé stessa, ma tutta l’area di balneazione (la spiaggia con l’area distante circa 200 m e raggiungibile a piedi, comunque visibile dalla spiaggia, con alcune strutture al di là di questa distanza ma chiaramente a servizio della stessa); - considera una grande varietà di tipi di spiaggia; - classifica le aree di balneazione secondo un sistema di valutazione che si focalizza su cinque principali problemi relativi alla spiaggia i quali sono stati portati alla luce per valutare le preferenze e le priorità dei bagnanti; - fornisce una classificazione finale delle aree di balneazione non solo come incentivo per garantire maggiore pubblicità ma principalmente come strumento per identificare le necessità primarie della gestione. Il sistema BARE individua cinque tipi di spiagge/aree di balneazione: Resort, Urban, Village, Rural, Remote. Le definizioni riconosciute per le cinque tipologie sono le seguenti:

Mb Allegato

Metodologia BARE1 Ai fini della redazione dell’inquadramento strutturale e, in particolare, del BLUE CYCLE, si esplicita di seguito la metodologia utilizzata. L’impostazione metodologica proposta per l’analisi del waterfront è stata elaborata nell’ambito del progetto di ricerca PO Italia-Malta 2007-2013, WATERFRONT (responsabile Scientifico prof. Maurizio Carta). Il Progetto WATERFRONT ha integrato due metodologie: le elaborazioni di tipo teorico metodologico per i contesti portuali, condotte dal prof. Maurizio Carta, sviluppate sui temi della rigenerazione urbana nell’ambito di precedenti esperienze di ricerca e ricerca applicata; per i contesti non portuali, la metodologia BARE (The Bathing Area Registration & Evaluation System) per la valutazione delle aree dedicate alla balneazione e per la loro classificazione. Nel caso di waterfront a carattere portuale sono state classificate tre tipologie di porti: - il “porto liquido”, totalmente aperto ed osmotico, immerso e ramificato entro il tessuto urbano, identificato dalla nautica da diporto e dai servizi culturali e per il tempo libero, interconnesso alla città; - la seconda tipologia è il “porto spugnoso”, permeabile e interagente con la città, cioè l’area per la crocieristica e per il traffico passeggeri con una stretta relazione di interscambio con la città; - infine, la terza tipologia è quella del “porto rigido”, separato e protetto, cioè della “macchina portuale” impermeabile alle contaminazioni urbane (se non quelle funzionali) e protetta nel suo perimetro per consentirne l’efficienza e la sicurezza.

RESORT È una entità chiusa che assolve a tutte le necessità ricreative dei fruitori della spiaggia a gradi diversi, la maggior parte dei quali si trova presso i resort hotel che sono collegati integralmente alla spiaggia. Un resort si può trovare entro un qualsiasi tipo di ambiente costiero e, per regola, non deve sorgere nelle vicinanze di industrie attive. Per regola è privato, proprio o direttamente gestito da associati hotel/complessi di appartamenti. La spiaggia resort è privata ma può, dietro pagamento, essere frequentata da visitatori giornalieri. La spiaggia resort appartenente alla Classe A e presenta diverse misure di sicurezza (ambienti sicuri di balneazione, bagnini, aree di balneazione/canottaggio delimitate dalle boe, equipaggiamento stabile di sicurezza, centri di pronto soccorso, avvisi sulla sicurezza della spiaggia, strutture per telefonate di emergenza, monitoraggio continuo e regolare effettuato dalle autorità competenti, varie strutture (hotels, ristoranti, aree di campeggio, docce, bagni, regolare svuotamento dei cassonetti, adeguati parcheggi e buoni accessi); varie attività ricreative a noleggio o libere (sport da spiaggia, windsurf, sci nautico, para-sailing, pedalò, acqua-park, attività di rimorchio con imbarcazioni veloci). URBAN Le aree urban servono una popolazione numerosa con servizi pubblici come le scuole primarie, i centri religiosi, le banche, le poste, gli internet café, i centri commerciali. In prossimità delle aree urban, chiunque può trovare attività commerciali, porti pescherecci, porti turistici e marinas. Le spiagge urban si trovano entro l’area urban o a questa adiacente e sono aperte liberamente ai bagnanti. Le aree appartenenti alla Classe A presentano diverse strutture di sicurezza e monitoraggio della qualità dell’acqua, hotels/complessi di appartamenti (non integralmente collegati alla spiaggia come nel caso delle resorts), ristoranti, rego

Negli ambiti di waterfront a carattere “non portuale” sono stati applicati i parametri provenienti dalla metodologia BARE (The Bathing Area Registration & Evaluation System ) dedicata alle aree destinate alla fruizione balneare, turistica e ricreativa. Il Sistema di monitoraggio e valutazione delle aree co1 Il testo esplicativo della metodologia BARE è un estratto del “Manuale metodologico-operativo per la costruzione dell’Atlante” relativo al progetto PO Italia-Malta 2007/2013 WATERFRONT. Water And Territorial policiEs for integRation oF multisectoRal develOpmeNT. 59


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lare pulitura dei bagni pubblici e delle docce, regolare svuotamento dei cassonetti, adeguati parcheggi e buoni accessi.

avvisi sulla sicurezza della spiaggia, strutture per telefonate di emergenza e rigoroso monitoraggio per la qualità dell’acqua. Le strutture previste si limitano alle docce ed ai baVILLAGE gni pubblici regolarmente puliti e Un’area village è ubicata fuori dal Bed & Breakfast. principale ambiente urbano e serve una popolazione piccola e per- RURAL manente. I servizi della comunità L’area rurale si trova al di fuori presenti (scuola primaria, centri dell’ambiente urban/village. Non è religiosi, negozi), sono organizzati accessibile ai mezzi pubblici e non a scala ridotta. L’ambiente villa- ha strutture. Comunque nel contege includerebbe i villaggi turistici, sto Mediterraneo, durante i mesi principalmente utilizzati durante estivi si possono trovare strutture la stagione estiva e possono essere ricreative per i bagnanti (banana boconsiderati come lo sviluppo line- ats, sci nautico etc. tipiche dei resorare tra ambiente urban e rural. È ts). Alloggiare, temporaneamente discutibilmente la più difficile defi- durante i mesi estivi o permanentenizione da fornire tra i cinque tipi mente tutto l’anno, in un’area rural di aree di balneazione. Le spiagge è limitato (0-10) e non esistono cenvillage possono essere raggiunte tri comunitari permanenti (centri con mezzi pubblici e privati. Nel- religiosi, scuola primaria, negozi, le spiagge village appartenenti alla cafè, bar). Nelle spiagge non sono Classe A sono presenti le strutture previsti né strutture né parametri di base di sicurezza come un ambiente sicurezza. La stima dei parametri è sicuro di balneazione, aree di balne- limitata al monitoraggio della quaazione/canottaggio delimitate dalle lità dell’acqua attraverso osservazioboe, equipaggiamento stabile di si- ni visive, paesaggi interni e rifiuti. curezza, centri di pronto soccorso,

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REMOTE Le aree remote sono caratterizzate da difficoltà di accesso (raggiungibili solo con barche o a piedi). Non sono accessibili ai mezzi pubblici e gli alloggi sono limitati (0-5) ai mesi estivi. Nel Mediterraneo, ristoranti/ case di villeggiatura sono occupate durante la stagione estiva da poche famiglie che possono vivere lì anche permanentemente. Nelle spiagge non sono previsti né strutture né parametri di sicurezza. I parametri valutati sono la qualità dell’acqua attraverso osservazioni visive, paesaggio interno e rifiuti.


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