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Augmented CityLab Territorial Planning 2 Studio 2020 - 2021 Docente: Prof. Maurizio Carta Tutors: Carmelo Galati Tardanico Cosimo Camarda MODULE I “Management engineering for the territory” arch. Emanuele Messina educational objectives are also integreted with the courses of “Urban planning design” - Prof. Daniele Ronsivalle and “Urban and territorial policies “ - Prof. Barbara Lino
Maurizio Carta Professore Ordinario di Urbanistica
Carmelo Galati Tardanico Ph.D in Pianificazione Urbana e Territoriale
Cosimo Camarda Ph.D Candidate
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Summary | Sommario #Vision
Cities and territories in the New Anthropocene | Città e territori nel Neoantropocene The challenges of the plan and the urban planning project | Le sfide del piano e del progetto urbanistico Resilient communities | Comunità resilienti Resilience and urban planning | Resilienza e pianificazione urbanistica Practices | Pratiche
The territorial archipelago as a field of investigation | L’arcipelago territoriale come campo di indagine
#Mission #Action #Lectures and seminars | #Lezioni frontali e seminari integrativi Paradigms | Paradigmi Tools | Strumenti Development scenarios | Scenari di sviluppo
#Teaching and evaluation methodology | #Metodologia didattica e di valutazione #Experimentation | #Sperimentazione Workshop
W1_Analysis and diagnosis | W1_Analisi e diagnosi W2_Project | W2_Progetto
#Supplementary Module “Territorial marketing” | #Modulo integrativo “Ingegneria Gestionale per il Territorio” (arch. Emanuele Messina) #Approfondimenti scientifici Comunità resilienti del Neoantropocene
Maurizio Carta La Carta di Peccioli ovvero la nuova Costituzione della Nazione delle Comunità Resilienti Italiane Steering Committe: Maurizio Carta (coordinatore), Alessandro Melis, Katia Accossato, Marilena Baggio, Paola Boarin, Luisa Bravo, Carla Brisotto, Luca D’Acci, Ingrid Paoletti, Daniela Perrotti, Luigi Trentin
#Bibliography | Bibliografia
Main general references | Libri di testo generali Main specific references | Libri di testo di approfondimento Supplementary references | Letture di approfondimento Bibliographic supports | Supporti bibliografici
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Favara Resilient Community Favara Comunità Resiliente #Vision
Cities and territories in the New Anthropocene We are at the apical phase of a pandemic crisis that has spread since the sixties of the twentieth century, when the contradictions of predatory capitalism produced by the industrial revolution exploded and the awareness that the western development model guided exclusively from the euphoria of consumption produced social inequalities, cultural impoverishment and consumption of physical resources beyond the planet’s limits (Meadows et. al., 1972). Having reached the apex, the now evident ecological crisis requires us to radically review the development model, starting from the western one but necessarily involving the whole planet with different intensities and responsibilities. To describe this phase of our evolution, Eugene Stoermer, in the eighties of the last century, and then Paul J. Crutzen, in the early 2000s, introduced the term “Anthropocene” (Crutzen et. Al., 2000), an era began with the industrial revolution and accelerated in the second half of the twentieth century through massive manmade territorial, social, economic and climatic changes, bending the planet to its supposed “intelligence”. In the last twenty years, an even more pervasive “anthropodevelopment” has produced an immense and devastating human footprint on the planet, far beyond any other dominant effect. This awareness requires us to face a
Città e territori nel Neoantropocene Siamo alla fase apicale di una crisi pandemica che si diffonde dagli anni Sessanta del XX secolo, quando esplosero le contraddizioni del capitalismo predatorio prodotto dalla rivoluzione industriale e iniziò a diffondersi – lentamente e con numerosi oppositori – la consapevolezza che il modello di sviluppo occidentale guidato esclusivamente dall’euforia dei consumi producesse diseguaglianze sociali, impoverimento culturale e consumo di risorse fisiche oltre i limiti del pianeta (Meadows et. al., 1972). Giunti all’apice, la ormai evidente crisi ecologica ci impone di rivedere in maniera radicale il modello di sviluppo, partendo da quello occidentale ma coinvolgendo necessariamente tutto il pianeta con diverse intensità e responsabilità. Per descrivere questa fase della nostra evoluzione, Eugene Stoermer, negli anni Ottanta del secolo scorso, e poi Paul J. Crutzen, agli inizi del Duemila, hanno introdotto il termine “Antropocene” (Crutzen et. al., 2000), un’era iniziata con la rivoluzione industriale e accelerata nella seconda metà del XX secolo attraverso imponenti modifiche territoriali, sociali, economiche e climatiche prodotte dall’uomo, piegando il pianeta alla sua presunta “intelligenza”. Negli ultimi venti anni, un ancor più pervasivo “antroposviluppo” ha prodotto una immensa e devastante impronta umana sul pianeta, ben oltre qualsiasi altro effetto dominante.
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cultural and political challenge, rather than an environmental and ecological one. We are an infinitesimal, but today overbearing, part of a wonderful genesis of the Earth within a universe with a sublime genealogy, as described by Guido Tonelli (2019), with a rare sensitivity between miracle and science. We must, therefore, abandon the erosive, extractive, pervasive, uneven and conflictual Paleoanthropocene in which we live to enter with decision and responsibility in the “Neoanthropocene”, a new anthropocene in which humanity, instead of being the problem, projects and puts into action the transition towards sustainable development, reactivating the ancient alliance between human and natural components as coagent forces: a sensitive, respectful and temperate anthropocentrism aimed at repositioning humanity in an integrated, hybrid, with nature.
Questa consapevolezza ci impone di affrontare una sfida culturale e politica, prima che ambientale ed ecologica. Siamo parte infinitesimale, ma oggi prepotente, di una genesi mirabile della Terra entro un universo con una sublime genealogia, come ce la descrive Guido Tonelli (2019), con rara sensibilità tra miracolo e scienza. Dobbiamo, quindi, abbandonare il Paleoantropocene erosivo, estrattivo, pervasivo, ineguale e conflittuale in cui viviamo per entrare con decisione e responsabilità nel “Neoantropocene”, un nuovo antropocene in cui l’umanità, invece di essere il problema, progetti e metta in atto la transizione verso lo sviluppo sostenibile, riattivando l’antica alleanza tra componenti umane e naturali come forze coagenti: un antropocentrismo sensibile, rispettoso e temperato volto a riposizionare l’umanità in uno schema integrato, ibrido, con la natura.
The challenges of the plan and the urban planning project The challenge for a generative and nondissipative local development of cities and territories in the New Anthropocene calls us to the commitment of a new responsibility and a new hermeneutic of the territorial plan and of the urban project as the outcome of a generating creativity made of care, recovery and reactivation of urban centers that return to feed life cycles, cultivate the talents of the inhabitants, attract ideas, generate innovation, produce new economies and strengthen solidarity networks. The commitment of administrators, urban planners, architects, citizens and businesses is to work on settlements characterized by the ability to give new answers to the surplus and overproduction generated by the development model that has produced settlement systems in disposal and contraction, services disused health or sports facilities, infrastructural networks in transformation. The reactivation of latent potentials requires actions of functional modification, inter-municipal aggregation or social reinvention thanks to which the components currently unused are recreated, without destroying them but changing their
Le sfide del piano e del progetto urbanistico La sfida per uno sviluppo locale generativo e non dissipativo di città e territori nel Neoantropocene ci chiama all’impegno di una nuova responsabilità e una nuova ermeneutica del piano territoriale e del progetto urbanistico come esito di una creatività generatrice fatta di cure, di recuperi e di riattivazioni di centri urbani che tornino ad alimentare cicli di vita, a coltivare i talenti degli abitanti, ad attrarre idee, a generare innovazione, a produrre nuove economie e a rafforzare reti di solidarietà. L’impegno degli amministratori, degli urbanisti, degli architetti, dei cittadini e delle imprese è quello di lavorare su insediamenti caratterizzati dalla capacità di dare nuove risposte alla eccedenza e sovrapproduzione generata dal modello di sviluppo che ha prodotto sistemi insediativi in dismissione e contrazione, servizi sanitari o sportivi in disuso, reti infrastrutturali in trasformazione. La riattivazione dei potenziali latenti richiede azioni di modifica funzionale, di aggregazione intercomunale o di reinvenzione sociale grazie a cui le componenti oggi inutilizzate vengano ricreate, senza distruggerle ma mutandone le funzioni perseguendo
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functions by pursuing a generative perspective and increasing their creative resilience. We must, therefore, experiment with policies and actions for communities that overcome their condition of fragility, recovering their internal resilience. Resilient communities A new environmental policy can only start from active citizenship, from a social engagement in which citizens become aware of the need to preserve and strengthen the alliance between man and nature and demand from the institutions integral ecological actions that allow us to transit rapidly in the Neo-anthropocene . Starting from these premises, the “Planning Studio 2” (AA 2019/2020) will deal with “Resilient Communities” to experiment with policies and projects that are capable of starting a regeneration not only physical, linked to urban and natural components, but also human, expression of multiple and plural communities: - Resilient Communities act in the relationships between the environment, living and the new economies (soft, sustainable and digital), adapting flexibly to the metamorphoses of the productive system of the territories and redesigning the way of life to reduce the impact on the environment, but also to recover more adaptive life cycles that intercept the new demand for sustainable and wider lifestyles. - Resilient Communities are creative because they are the synthesis of the relationships between the places of living (the space of people’s lives), the environment (natural systems) and society (human relationships and activities) and which act mainly on the creative and innovative dimension of development, seeking new ways to return to being generative of ideas, but above all of concrete actions that convince people to stay in places and others to arrive, especially young people. - Resilient Communities are ecological as interaction between the environment, society and the green economy, based on a new circular metabolism that changes lifestyles to make them more
un’ottica generativa e aumentando la loro resilienza creativa. Dobbiamo, dunque, sperimentare politiche e azioni per comunità che superino la loro condizione di fragilità, recuperando la loro resilienza interna. Comunità resilienti Una nuova politica ambientale non può che partire dalla cittadinanza attiva, da un ingaggio sociale in cui i cittadini prendano coscienza della necessità di conservare e rafforzare l’alleanza tra uomo e natura e pretendano dalle istituzioni azioni ecologiche integrali che ci permettano di transitare rapidamente nel Neoantropocene. A partire da queste premesse, il “Laboratorio di Pianificazione 2” (A.A. 2020/2021) si occuperà di “Comunità resilienti” per sperimentare politiche e progetti che siano capaci di avviare una rigenerazione non solo fisica, legata alle componenti urbane a naturali, ma anche umana, espressione di comunità multiple e plurali: - Le Comunità Resilienti agiscono nelle relazioni tra l’ambiente, l’abitare e le nuove economie (soft, sostenibili e digitali), adattandosi in maniera flessibile alle metamorfosi del sistema produttivo dei territori e ridisegnando il modo di vivere per ridurne l’impatto sull’ambiente, ma anche per recuperare cicli di vita più adattivi che intercettino la nuova domanda di stili di vita sostenibili sempre più ampia. - Le Comunità Resilienti sono creative poiché sono la sintesi delle relazioni tra i luoghi dell’abitare (lo spazio della vita delle persone), l’ambiente (i sistemi naturali) e la società (le relazioni e le attività umane) e che agiscono prevalentemente sulla dimensione creativa e innovativa dello sviluppo, cercando nuovi modi per tornare ad essere generative di idee, ma soprattutto di azioni concrete che convincano le persone a restare nei luoghi e altre ad arrivare, soprattutto i giovani. - Le Comunità Resilienti sono ecologiche come interazione tra l’ambiente, la società e la green economy, basate su un nuovo metabolismo circolare che modifichi gli stili di vita per renderle più sostenibili, ma anche attrattive per
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sustainable, but also attractive for the increasingly widespread communities of responsible consumption and with reduced ecological footprint fleeing the dystopian city in search of new urban utopias. - Resilient Communities are intelligent because they connect society, living and the digital economy, using technology intelligently to rethink the way of life in small towns and villages that want to be protagonists even in the digital age, indeed taking advantage of spatial remodulation and reduction of the proximity value that the digital connection produces. - Resilient Communities act through active participation in decisionmaking processes and community life, for example through the collective management of public space, of common goods, which favors the system of relationships, security, strengthening of identity, mechanisms of mutualism and solidarity. - Resilient Communities contrast speed with slowness understood as greater attention to place and people, as a greater perception of the sense of community and conviviality and to the standardization of the specificity of its territory, putting the value back on those resources that over time have been abandoned or neglected.
le sempre più diffuse comunità del consumo responsabile ed a ridotta impronta ecologica che fuggono dalla città distopica in cerca di nuove utopie urbane. - Le Comunità Resilienti sono intelligenti poiché mettono in connessione la società, l’abitare e l’economia digitale, usando con intelligenza la tecnologia per ripensare il modo di vivere nelle piccole città e nei borghi che vogliono tornare protagonisti anche nell’era digitale, anzi approfittando della rimodulazione spaziale e della riduzione del valore di prossimità che la connessione digitale produce. - Le Comunità Resilienti agiscono attraverso la partecipazione attiva ai processi decisionali e alla vita di comunità ad esempio attraverso la gestione collettiva dello spazio pubblico, dei beni comuni, che favorisce il sistema delle relazioni, della sicurezza, del rafforzamento dell’identità, dei meccanismi di mutualismo e solidarietà. - Le Comunità Resilienti contrappongono alla velocità la lentezza intesa come maggiore attenzione al luogo e alle persone, come maggiore percezione del senso di comunità e convivialità e alla standardizzazione la specificità del suo territorio, rimettendo il valore quelle risorse che nel tempo sono state abbandonate o trascurate.
Resilience and urban planning The etymological meaning of the word resilience, which derives from the Latin resilire - jumping backwards, bouncing back - recalls the idea of a process that returns to a previous condition after a disturbing event. Resilience in the field of urban and territorial planning is based on an ecological approach that looks at settlements as organisms in continuous transformation, which organize themselves as a result of natural or socio-economic stressful events to reach levels of efficiency. From its origins in the thinking of ecological systems in the 1960s and early 1970s, resilience has progressively gained in importance and has gradually changed and been adapted to a wide range of disciplines including engineering, ecology, physics, geography and even business
Resilienza e pianificazione urbanistica Il significato etimologico della parola resilienza, che deriva dal latino resilire - saltare indietro, rimbalzare - richiama l’idea di un processo che riporta in una condizione precedente dopo un evento perturbatore. La resilienza nel campo della pianificazione urbanistica e territoriale si basa su un approccio ecologico che guarda agli insediamenti come organismi in continua trasformazione, che si organizzano in conseguenza di eventi stressanti naturali o socio-economici per raggiungere livelli di efficienza. Dalle sue origini nel pensiero dei sistemi ecologici negli anni ‘60 e nei primi anni ‘70, la resilienza ha progressivamente acquisito importanza e ha cambiato via via definizione ed è stata adattata
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management and psychology. In the late 1970s, urban sociologists began to recognize that social systems - in particular human settlements - were not isolated systems, but inextricably linked to each other and to the ecosystems on which they depend, thus strengthening the strength of the social component and bringing to the development of socio-ecological systems. Faced with environmental, economic and social changes affecting the living environments of local communities, resilient communities are able to develop strategies of adaptation, recovery and mitigation, through collective or individual actions that transform critical factors into opportunities such as reduce vulnerability, facilitate inclusive growth and ensure sustainability prospects. Looking at the practices of resilience, one can distinguish initiatives that address the situation starting from the functional deficit (disused spaces), from the relational deficit (the lack of integration between the available competences), or from the environmental deficit (the risks linked to the natural environment) . With respect to these three aspects, the process of social resilience leads to the promotion of initiatives to reactivate spaces and / or disused structures through actions that require collaboration between local actors and external actors, the use of multiple resources, with a consequent impact on the system of local social relations and on the enhancement of the natural environment. These premises induce us to identify different dimensions in which resilience can be declined: - The social dimension. It is linked to the increasingly difficult re-composition of the public interest, where the “multiplicity” of the communities increases the difficulty of recomposing the local public interest. It is necessary to move from a public interest held by institutional subjects to an interaction between all the interested parties, the bearers of a “power” of action and the subjects belonging to networks of shared interests (netholder). - The spatial dimension. It is necessary
a una vasta gamma di discipline tra cui ingegneria, ecologia, fisica, geografia e persino gestione aziendale e psicologia. Alla fine degli anni ‘70, i sociologi urbani iniziarono a riconoscere che i sistemi sociali - in particolare gli insediamenti umani - non erano sistemi isolati, ma indissolubilmente legati tra loro e agli ecosistemi da cui dipendono, rafforzando così la forza della componente sociale e portando allo sviluppo di sistemi socio-ecologici. A fronte dei cambiamenti ambientali, economici e sociali che investono gli ambienti di vita delle comunità locali, le comunità resilienti sono in grado di sviluppare strategie di adattamento, di recupero e mitigazione, attraverso azioni collettive o individuali che trasformano i fattori critici in opportunità tali da ridurre la vulnerabilità, facilitare la crescita inclusiva e garantire prospettive di sostenibilità. Guardando alle pratiche di resilienza, si possono distinguere iniziative che affrontano la situazione partendo dal deficit funzionale (spazi dismessi), dal deficit relazionale (la mancanza di integrazione tra le competenze disponibili), oppure dal deficit ambientale (i rischi legati all’ambiente naturale). Rispetto a questi tre aspetti, il processo di resilienza sociale porta alla promozione di iniziative di riattivazione di spazi e/o di strutture dismesse tramite azioni che richiedono la collaborazione tra attori locali e attori esterni, l’impiego di risorse molteplici, con un conseguente impatto sul sistema delle relazioni sociali locali e sulla valorizzazione dell’ambiente naturale. Queste premesse inducono a individuare differenti dimensioni in cui è possibile declinabile la resilienza: - La dimensione sociale. Essa è legata alla sempre più difficile ricomposizione dell’interesse pubblico, dove la “molteplicità” delle comunità aumenta la difficoltà di ricomporre l’interesse pubblico locale. Occorre passare da un interesse pubblico detenuto da soggetti istituzionali, a una interazione tra tutte le parti interessate, i portatori di un “potere” di azione e i soggetti appartenenti a reti di interessi condivisi (netholder).
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to define a space to which the collective interest can be exercised: social resilience needs a strong catalyst to be able to define how the community is ready to face some conditions of “shock”, for example post-seismic repopulation or the arrival of new communities, for the functional transformation of an urban space or for the intrusion into the urban and social fabric of alien groups. To understand why space is relevant in the development of collective interest, just think of some dramatic events such as earthquakes, in historical times
- La dimensione spaziale. È necessario definire uno spazio un cui si possa esercitare l’interesse collettivo: la resilienza sociale hanno bisogno di un forte catalizzatore per essere in grado di definire come la comunità è pronta ad affrontare alcune condizioni di “shock”, per esempio del ripopolamento post sismico o l’arrivo di nuove comunità, per la trasformazione funzionale di uno spazio urbano o per l’intrusione nei tessuti - urbano e sociale - di gruppi alieni. Per capire perché lo spazio è rilevante nello sviluppo dell’interesse
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such as Val-di-Noto in 1693, or strong central planning policies, such as the repopulation of internal Sicily through the status of jus populandi in the XVI, XVII and XVIII centuries, which in some cases in practice led to the forced displacement of entire human groups. These events give strength to the spatial vision of the collective interest, which allows to materialize processes of growth of local communities in the direction of a resilience consistent with the new anthropocene. - The environmental dimension. A resilient community is a community committed to the protection, management and care of the environment, which activates regeneration and territorial and urban development projects from a sustainability perspective, seeking the right combination of innovation and tradition. It is a community that reacts to the challenges and dynamics of globalization by contrasting standardization with the specificity of its territory, putting the value back on those resources that have been abandoned or neglected over time, rereading them in an innovative and sustainable key. To these components is also added a delicate economic question. The resilient community manages any “crisis” by promoting forms of circular economy whose goal is the self-sufficiency of the community in the production and
collettivo, basti pensare ad alcuni eventi drammatici come i terremoti, in tempi storici come Val-di-Noto nel 1693, o politiche forti di pianificazione centralizzata, come il ripopolamento della Sicilia interna attraverso lo status di jus populandi nel XVI, XVII e XVIII secolo, che in alcuni casi in pratica ha portato allo sfollamento forzato di interi gruppi umani. Questi eventi danno forza alla visione spaziale dell’interesse collettivo, che consente di materializzare processi di crescita delle comunità locali in direzione di una resilienza coerente con il neoantropocene. - La dimensione ambientale. Una comunità resiliente è una comunità che si impegna nella tutela, gestione e cura dell’ambiente, che attiva progetti di rigenerazione e sviluppo territoriale e urbano in un’ottica di sostenibilità, cercando la giusta combinazione tra innovazione e tradizione. È una comunità che reagisce alle sfide e alle dinamiche della globalizzazione contrapponendo alla standardizzazione la specificità del suo territorio, rimettendo il valore quelle risorse che nel tempo sono state abbandonate o trascurate, rileggendole in chiave innovativa e sostenibile. A queste componenti si aggiunge anche una delicata questione economica. La comunità resiliente gestisce qualsiasi “crisi” promuovendo forme di economia circolare che hanno come obiettivo l’autosufficienza della
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management of goods and services. The national context is providing itself with specific regulations that favor the creation of community businesses, which through community involvement and general interest can revitalize areas at risk of depopulation or urban areas degraded or affected by social marginalization; the Sicilian Region has adopted regulations that favor the creation of community cooperatives aimed at improving the quality of life, through the conduct of economic activities for sustainable development, aimed at the production of goods and services, the recovery of environmental and monumental assets and creating job opportunities for the community itself. Practices There are already signs of the Neoanthropocene in some communities that courageously resist the crisis and try to manage the transition, adapting to the change that has engulfed them. Once they were flourishing mountain, rural or coastal communities, or vibrant urban neighborhoods of community life or historic centers full of productive and commercial activities, today they are fighting against a decline that risks overwhelming them completely. Communities of people take care of the nature and culture of their schedules, which experience a new circular urban metabolism, the recovery of craftsmanship and innovative manufactures, the local rooting of sustainable mobility infrastructures and the global connectivity of digital infostructures, the interconnection between green networks, cultural armor and slow life cycles, the diffusion of technological skills and innovation within local administrations. In observing the transformation practices of spaces and communities we can glimpse new organizational forms that are declining resilience in its human dimension, giving an adaptive and positive response to the exacerbation of the marginality of peripheral areas and internal areas, pointing the way to a local resilience that is rooted in the territorial context, regenerating fragile contexts and assuming the key features
comunità nella produzione e nella gestione di beni e servizi. Il contesto nazionale si sta dotando di specifiche norme che favoriscono la nascita di imprese di comunità, che attraverso il coinvolgimento della comunità e l’interesse generale, possono rivitalizzare aree a rischio di spopolamento o aree urbane degradate o interessate da fenomeni di marginalità sociale; la Regione Siciliana si è dotata di norme che favoriscono la nascita di cooperative di comunità volte migliorare la qualità di vita, attraverso lo svolgimento di attività economiche per lo sviluppo sostenibile, finalizzate alla produzione di beni e servizi, al recupero di beni ambientali e monumentali ed alla creazione di opportunità di lavoro per la comunità stessa. Pratiche Esistono già indizi del Neoantropocene in alcune comunità che con coraggio resistono alla crisi e cercano di gestire la transizione, adattandosi al cambiamento che le ha travolte. Una volta erano fiorenti comunità montane, rurali o costiere, o quartieri urbani vibranti di vita comunitaria o centri storici densi di attività produttive e commerciali, oggi combattono contro un declino che rischia di travolgerli del tutto. Comunità di persone si prendono cura della natura e della cultura dei loro palinsesti, che sperimentano un nuovo metabolismo urbano circolare, il recupero di sapienza artigianali e di manifatture innovative, il radicamento locale di infrastrutture sostenibili di mobilità e la connettività globale delle infrastrutture digitali, la interconnessione tra reti verdi, armature culturali e cicli di vita lenti, la diffusione di competenze tecnologiche e dell’innovazione all’interno delle amministrazioni locali. Nell’osservazione delle pratiche di trasformazione di spazi e comunità possiamo intravedere nuove forme organizzative che stanno declinando la resilienza nella sua dimensione umana, dando una risposta adattiva e positiva all’acuirsi della marginalità di aree periferiche e di aree interne, indicando la via a una resilienza locale che si radica nel contesto territoriale,
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[ ] L’arcipelago delle città medie
europee si reticola spesso attorno a città della cultura, nel senso di città non solo detentrici di risorse culturali profonde lasciate dal palinsesto della storia, ma anche produttrici di nuova cultura, in grado di competere nel panorama internazionale attraverso la valorizzazione e la promozione della propria identità e diversità culturale, della creatività e della gastronomia, delle trame del paesaggio e della riscoperta di stili di vita più sostenibili in una intensa competizione con l’attrattività in declino delle metropoli.
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of social innovation: innovativeness of the relations between the actors involved and high focus on the solution of collective needs. Urban and territorial suburbs often find themselves having to react to changes, those territories of the margins that need communities that cooperate and that activate processes of innovation to build new urban and territorial, social and economic models that are not necessarily able to return to the initial state but to activate processes that act on functionality through change and adaptation. The internal areas are witnesses of communities that respond to the processes of globalization by protecting their territory from a cultural and environmental point of view, preserving their identifying characteristics; in them the slow character is not a negative factor, but an added value for the quality of life. The character of social innovation is present in multiple experiences in the national context that are examples of industrious communities and expression of democratic participation, testimony of places that give space to innovation and creativity of local communities. In resilient communities, strategies are designed that are based on the ideas and practices of creatives, agricultural entrepreneurs, young people, teachers, social workers, artisans and foreign citizens. The resilience paradigm offers itself as a powerful enabling innovation bringing an elastic, dialogic and metamorphic attitude, in which the flexibility of the functions, the permeability of the spaces and the adaptability of the settlements are no longer dealt with as purely conceptual and spatial problems, but must to be related to the social, economic and technological development of regeneration, becoming the themes / tools / norms of the resilience project. It produces urban practices, generates neighborhoods or entire cities with a new metabolism, capable of better managing climate changes or hydrogeological changes, capable of absorbing the increasingly frequent storms producing new porous urban forms especially in public spaces.
rigenerando contesti fragili e assumendo i caratteri chiave dell’innovazione sociale: innovatività delle relazioni tra gli attori coinvolti e alta focalizzazione sulla soluzione di bisogni collettivi. Le periferie urbane e territoriali spesso si trovano a dover reagire ai cambiamenti, quei territori dei margini che necessitano di comunità che cooperino e che attivino processi di innovazione per costruire nuovi modelli urbani e territoriali, sociali ed economici capaci non necessariamente di tornare allo stato iniziale ma di attivare processi che agiscano sulla funzionalità attraverso il mutamento e l’adattamento. Le aree interne sono testimoni di comunità che rispondono ai processi di globalizzazione mediante la tutela del proprio territorio sotto il punto di vista culturale ed ambientale, preservandone i caratteri identitari; in esse il carattere slow non è un fattore negativo, bensì un valore aggiunto per la qualità della vita. Il carattere dell’innovazione sociale è presente in molteplici esperienze nel contesto nazionale che sono esempio di comunità operose ed espressione di partecipazione democratica, testimonianza di luoghi che danno spazio all’innovazione e alla creatività delle comunità locali. Nelle comunità resilienti si disegnano strategie che si fondano sulle idee e sulle pratiche di creativi, imprenditori agricoli, giovani, insegnanti, operatori sociali, artigiani, cittadini stranieri. Il paradigma della resilienza si offre come potente innovazione abilitante portatrice di un atteggiamento elastico, dialogico e metamorfico, in cui la flessibilità delle funzioni, la permeabilità degli spazi e l’adattabilità degli insediamenti non vengano più affrontati come problemi puramente concettuali e spaziali, ma debbano essere messe in relazione con il portato sociale, economico e tecnologico della rigenerazione, diventando temi/strumenti/norme del progetto della resilienza. Esso produce pratiche urbane, genera quartieri o intere città con un nuovo metabolismo, capaci di gestire meglio i cambiamenti climatici o i mutamenti idrogeologici, capaci di assorbire i sempre più frequenti nubifragi producendo nuove forme urbane porose soprattutto negli spazi pubblici.
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The territorial archipelago as a field of investigation Field of action of the “Planning Studio 2” (AA 2019/2020) are those nonmetropolitan territories recognizable as territorial archipelagos (Carta, 2016) and understood as precious reserves of resilience that base the community, the resilient communities, their own energies of transformation. The territorial archipelago is a system of urban / rural settlements connected by a landscape infrastructure, whose connective system is often composed of the ecological networks of forests, embankments, parks, cultural mosaics, lines of the coasts, rivers and of the canals, from the plots of resistant or innovative manufactures, but also of the ancient roads and paths that united the communities. We can imagine it as a system of small urban cells thickened by plant and river infrastructures, with a perimeter strip of woods and crops around urban areas with different functions: productive agricultural park,
L’arcipelago territoriale come campo di indagine Campo di azione del “Laboratorio di Pianificazione 2” (A.A. 2020/2021) sono quei territori non metropolitani riconoscibili come arcipelaghi territoriali (Carta, 2016) e intesi come preziose riserve di resilienza che fondano sulla collettività, le comunità resilienti, le proprie energie di trasformazione. L’arcipelago territoriale è un sistema di insediamenti urbano/rurali collegati da un’infrastruttura di paesaggio, il cui sistema connettivo è spesso composto dai reticoli ecologici delle foreste, degli argini, dei parchi, dei mosaici colturali, dalle linee delle coste, dei fiumi e dei canali, dalle trame delle manifatture resistenti o innovative, ma anche delle antiche strade e dei cammini che aggregavano le comunità. Possiamo immaginarlo come un sistema di piccole cellule urbane addensate da infrastrutture vegetali e fluviali, con una fascia perimetrale di boschi e coltivazioni intorno alle aree urbane con funzioni diverse:
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river corridor, renaturalization areas, sports activities, etc., and a network of rivers and lakes that reactivate the ancient primary routes of the mobility of people and products. The territorial archipelago does not act as a single body defined once and for all - an isotopy - but uses the strength of its porous and reticular relations to share identities, roles and hierarchies with diversified articulations of space and society.
parco agricolo produttivo, corridoio fluviale, aree di rinaturalizzazione, attività sportive, etc., e un reticolo di fiumi e laghi che riattivino le antiche vie primarie della mobilità delle persone e dei prodotti. L’arcipelago territoriale non agisce come un unico organismo definito una volta per tutte – una isotopia – ma utilizza la forza delle sue relazioni porose e reticolari per condividere identità, ruoli e gerarchie con articolazioni diversificate dello spazio e della società.
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#Mission
The experimental activities of the “Territorial Planning Studio 2” refer directly to the design potential of the small and medium centers located in the archipelago territories with the aim of building a new territorial armor in which resilient community paths can be activated in the following actions: 1. actions in the policy domain to make the public administration an enabling platform easily accessible, physically and virtually, for anyone at any time and from any place to increase performance and the ability to provide timely responses to the insurgent questions of a community that back to the inner territories. 2. actions aimed at increasing collaboration to disseminate formal and informal sensors and actuators, able to understand problems in real time and allow specific and non-generic solutions. 3. actions for social innovation capable of channeling the participatory energy of citizens towards the shared management of services, theaters, museums, libraries, laboratories and public spaces, as well as towards a distributed and proximity welfare. As well as sharing facilitation actions to offer public spaces and services for different uses and users over time to extend uses, to minimize management costs, to maximize efficiency and to ensure maintenance. 4. actions to stimulate entrepreneurship to facilitate public-private partnerships and credit for the realization of urban regeneration interventions, energy
Le attività sperimentali del “Laboratorio di Pianificazione 2” fanno diretto riferimento al potenziale progettuale dei centri medi e piccoli che si trovano nei territori arcipelago con l’obiettivo di costruire una nuova armatura territoriale in cui si possono attivare percorsi di resilienza di comunità declinabile nelle seguenti azioni: 1. azioni nel dominio delle politiche per rendere l’amministrazione pubblica una piattaforma abilitante facilmente accessibile, fisicamente e virtualmente, per chiunque in ogni momento e da ogni luogo per incrementare le prestazioni e la capacità di fornire risposte tempestive alle domande insorgenti di una comunità che torna a vivere i territori interni. 2. azioni volte ad incrementare la collaborazione per diffondere sensori e attuatori, formali e informali, in grado di comprendere in tempo reale i problemi e consentire soluzioni specifiche e non generiche. 3. azioni per l’innovazione sociale capaci di convogliare l’energia partecipativa dei cittadini verso la gestione condivisa di servizi, teatri, musei, biblioteche, laboratori e spazi pubblici, nonché verso un welfare distribuito e di prossimità. Nonché azioni di agevolazione della condivisione per offrire spazi e servizi pubblici per usi e utilizzatori differenti nel tempo per estendere gli usi, per minimizzare i costi di gestione, per massimizzare l’efficienza e per garantire la manutenzione.
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efficiency, sustainable mobility, building safety and environmental quality. 5. actions for the development of manufacturing indispensable since a new model of local development requires facilitating, through incentives and facilitations, the birth, the return and the development in the medium cities and in the rural villages of the new manufacturing, of the micro-production, of the digital manufacturing, agriculture, repair and recycling as new job opportunities. 6. actions that stimulate the use of real renewable energies on the front of the fight against climate change - that is, those that are not just a new opportunity for profit for those who dominate the flows - are a fruitful opportunity to give new life to local pre-distribution economies of the internal areas, allowing it to regain sovereignty over its resources, placing itself in a logic of exchange with the city also as regards the supply of energy. 7. actions to support creativity to stimulate a creative ecosystem starting from the fabric of schools, local laboratories, museums and cultural centers that become living labs and incubators of ideas, projects and innovative companies, strengthening the education-work relationship. The challenges for the generation of “resilient communities”, understood as local innovation models centered and guided by the communities that inhabit the territories and become protagonists of the vision of transformation, find their field of action in the “territorial archipelago” (Carta, 2016). The territorial archipelago will be the guide for the construction of a complex reticular system able to rebalance the territorial functional relationships favoring forms of specialization with variable geometry: polycentric and reticular strategies that hybridize in fluid way the different vocations and potentialities, identifying epicenters and systems complementary. The activities of the Studio will be oriented to identify resources and strategies to strengthen local innovation networks and projects in progress and to activate new ones, to trigger sustainable development, ecological and social resilience and territorial cohesion.
4. azioni di stimolo all’imprenditorialità per agevolare i partenariati pubblicoprivato e il credito per la realizzazione di interventi di rigenerazione urbana, di efficienza energetica, di mobilità sostenibile, di sicurezza degli edifici e di qualità dell’ambiente. 5. azioni per lo sviluppo della manifattura indispensabili poiché un nuovo modello di sviluppo locale richiede di agevolare, attraverso incentivazioni e facilitazioni, la nascita, il ritorno e lo sviluppo nelle città medie e nei borghi rurali della nuova manifattura, della microproduzione, della fabbricazione digitale, dell’agricoltura, della riparazione e del riciclo come nuove opportunità di lavoro. 6. azioni che stimolino sul fronte della lotta al cambiamento climatico l’uso di energie rinnovabili reali – cioè quelle che non sono solo una nuova occasione di profitto per chi domina i flussi – sono una feconda occasione per ridare fiato alle economie locali pre-distributive delle aree interne, permettendole di riacquisire sovranità sulle proprie risorse, ponendosi in una logica di scambio con la città anche per quanto riguarda la fornitura di energia. 7. azioni a supporto della creatività per incentivare un ecosistema creativo a partire dal tessuto di scuole, di laboratori locali, di musei e di centri culturali che diventino living lab e incubatori di idee, progetti e imprese innovative rafforzando il rapporto educazionelavoro. Le sfide per la generazione di “comunità resilienti”, intese quali modelli di innovazione locale centrati e guidati dalle comunità che abitano i territori e ne diventano protagoniste della visione di trasformazione, trovano il loro campo di azione nell’“arcipelago territoriale” (Carta, 2016). L’arcipelago territoriale rappresenterà la guida per la costruzione di un sistema reticolare complesso in grado di riequilibrare le relazioni funzionali territoriali favorendo forme di specializzazione a geometria variabile: strategie policentriche e reticolari che ibridino in maniera fluida le diverse vocazioni e potenzialità, individuando epicentri e sistemi complementari. Le attività del Laboratorio saranno
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orientate a identificare le risorse e le strategie per rafforzare le reti e i progetti di innovazione locale in corso e per attivarne di nuove, per innescare uno sviluppo sostenibile, la resilienza ecologica e sociale e la coesione territoriale.
“Non immaginare il diverso futuro possibile, ignorare il futuro che vogliamo, ci mutila e ottunde nel presente� Danilo Dolci
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il mondo si sta sviluppando non solo attorno alle grandi megalopoli da decine di milioni di abitanti (le cosiddette 25 “città alfa”, spesso arroganti come i loro omonimi umani), ma sempre più spesso attorno alle circa
600 città intermedie
e alle migliaia di conurbazioni diffuse, armature di
micropoli e sistemi rur-urbani.
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#Action
The Studio, therefore, will develop a territorial strategic project for the Favara rur-urban archipelago, and will develop urban regeneration projects capable of integrating the economic sustainability and public/private partnership dimensions with the challenges of more resilient, creative, ecological and intelligent rural and urban environments. Through the principles of the Augmented City, the paradigms of re-cyclical urbanism, and the design methodology of the Cityforming Protocol, the Studio will experience a paradigmatic territorial condition with the aim of developing cognitive and interpretive activities aimed at defining local development strategies that look at the supra-local policies dimension, on the basis of the recognition and sharing of identity and vocations of the territory.
Il Laboratorio, quindi, si occuperà dell’elaborazione di un progetto strategico di area vasta relativo al territorio arcipelago rur-urbano di Favara e giungerà alla formulazione di progetti di rigenerazione urbana capaci di integrare la dimensione della sostenibilità economica e del partenariato pubblico/privato con le sfide di ambiti rurali ed urbani più resilienti, creativi, ecologici e intelligenti. Attraverso i principi della Augmented City, i paradigmi del re-cyclical urbanism e la metodologia progettuale del Cityforming Protocol, il laboratorio sperimenterà una condizione territoriale paradigmatica con l’obiettivo di sviluppare attività conoscitive ed interpretative finalizzate alla definizione di strategie di sviluppo locale che guardino alla dimensione sovra locale delle politiche, sulla base del riconoscimento e della condivisione di identità e vocazioni del territorio.
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#Lectures and seminars
#Lezioni frontali e seminari integrativi
The Territorial Planning Lab 2 is characterized by frontal lesson, open lectures, visiting professors supported by supplementary seminars, which will train the students with theoretical and methodological lessons, showing some examples of European best practices that will provide the skills to follow to follow the Studioissues and to develop the planning/design experimentations in the territory of Favara. The expected frontal lessons will cover the following general themes: Paradigms Reimagining Urbanism in the Neoanthropocene; The new Augmented City paradigm; Urbanism for resilience: La Carta di Peccioli delle comunità Resilienti; Hyper-Metropolitan Metamorphosis and the multi-urban Italy; Rur-Urban Strategies for territorial archipelagos. Tools Cityforming Protocol for urban regeneration; Connectors, interface, osmosis design devices; Contractual tools for the implementation of strategic choices: the Framework Agreements for Territorial Development, the Integrated Local Development Programs. Development scenarios La strategia nazionale per le aree interne; piattaforme territoriali and territori snodo; Green New Deal; climate adaptation plans; cultural and creative development.
La didattica del Laboratorio di Pianificazione 2 prevede lezioni frontali, open lecture, visiting professor, coadiuvate da seminari integrativi, che forniranno agli studenti conoscenze teoriche e metodologiche ed esempi di buone pratiche europee utili a fornire le competenze necessarie per affrontare i temi del Laboratorio e per la sperimentazione di pianificazione/ progettazione nel territorio Favara. Le lezioni frontali previste riguarderanno le seguenti tematiche generali: Paradigmi Reimmaginare l’urbanistica del Neoantropocene; Il nuovo paradigma della città aumentata; L’urbanistica per la resilienza: La Carta di Peccioli delle comunità Resilienti; La metamorfosi iper-metropolitana e l’Italia multiurbana; Strategie rur-urbane per gli arcipelaghi territoriali. Strumenti Cityforming Protocol per la rigenerazione urbana; I dispositivi progettuali di connettore, interfaccia, osmosi; Strumenti di tipo contrattuale per l’attuazione delle scelte strategiche: gli Accordi quadro di sviluppo territoriale, i Programmi Integrati di Sviluppo Locale. Scenari di sviluppo La strategia nazionale per le aree interne; le piattaforme territoriali e i territori snodo; il Green New Deal; i Piani di adattamento climatico; lo sviluppo a base culturale e creativa.
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#Teaching and evaluation methodology
#Metodologia didattica e di valutazione
The studio activities will mainly developed by open lectures, frontal lessons and laboratory activities, in which there will be several moments of confrontations that will allow the constant integration of insights, interpretations and design choices. At the end of the course all workshops materials and graphic elaborations will be shown to a final exhibition. The student’s work assessment will be done through: 1. evaluation of the graphic elaborations of the laboratory during the seminar discussions, which will be articulated in steps by following the related methodology; 2. final exam, which will consist of discussing the contents of the elaborations, referring to the topics treated during the whole course, and which will provide an overall design contribution and a project planning contribution. The evaluation will be fulfilled during the year, through the progressive elaboration/ correction of the project, the attendance to the course and the participation to the several activities proposed during the year.
Le attività del Laboratorio si svolgeranno principalmente in aula attraverso open lectures, lezioni frontali e attività laboratoriali, che saranno oggetto di continue discussioni e confronti seminariali e che permetteranno la costante integrazione delle intuizioni, delle interpretazioni e delle scelte progettuali. Tutti gli elaborati del workshop, alla fine del percorso, saranno oggetto di una mostra finale. La valutazione del lavoro di ogni singolo studente avverrà attraverso: 1. valutazione durante le discussioni seminariali del prodotto dell’esercitazione, che sarà articolata in step sulla base della metodologia applicata; 2. esame finale, che consisterà nella discussione dei contenuti dell’esercitazione, con riferimento agli argomenti affrontati durante l’intero corso, e nella quale sarà previsto un contributo progettuale complessivo ed un contributo progettuale di approfondimento. La valutazione sarà, comunque, continua durante tutto l’anno, attraverso la progressiva elaborazione/correzione del progetto in aula, la frequenza al corso e la partecipazione alle varie attività proposte durante l’anno.
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#Experimentation #Sperimentazione
#WORKSHOP
#WORKSHOP
The workshop of the Territorial Planning e Studio will be divided into two phases: during the first one will be elaborated the structural analysis, the identification of the Territorial Archipelago and will define the territorial strategies; during the second phase will be elaborated the knowledge framework at the urban scale, the strategic objectives, and the project. The phases of the workshop will be as follows:
Il workshop del Laboratorio di Pianificazione 2 sarà articolato in due fasi: la prima si occuperà delle analisi strutturale, dell’identificazione dell’arcipelago territoriale e delle strategie territoriali; la seconda si occuperà del quadro conoscitivo alla scala urbana, degli obiettivi strategici e del progetto. Le fasi del workshop saranno così articolate:
W1_Analysis and diagnosis STRUCTURAL ANALYSIS, IDENTIFICATION OF THE TERRITORIAL ARCHIPELAGO AND OF TERRITORIAL STRATEGIES During the first phase of W1, analyses will be carried out by applying specific thematic filters in order to draw up a structural map of the territory, which looks not only at the static nature of the components but also at their dynamism and interaction, the potential of flows, both internal and external. These analyses will aim to identify the Territorial Archipelago. During the second part of W1, territorial strategies will be defined at the level of the Archipelago in order to strengthen, express and optimize territorial identities.
W1_Analisi e diagnosi ANALISI STRUTTURALE, IDENTIFICAZIONE DELL’ARCIPELAGO TERRITORIALE E DELLE STRATEGIE Durante la prima fase del W1 saranno effettuate delle analisi applicando specifici filtri tematici al fine di redigere una carta strutturale del territorio in esame, che non guarda solo alla staticità delle componenti ma anche alla loro dinamicità e interazione, alla potenzialità dei flussi, sia interni che esterni. Queste analisi avranno lo scopo di individuare l’Arcipelago Territoriale. Durante la seconda parte del W1 saranno definite le strategie territoriali a livello di Arcipelago al fine di potenziare, esprimere, ottimizzare le identità territoriali.
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W2_Project URBAN SCALE, STRATEGIC OBJECTIVES AND PROJECT. The first part of W2 is aimed at elaborate the knowledge framework at the urban scale of the city of Favara and the specific context identified for the urban design experimentation. At this stage, a survey of the planned territorial transformations will also be carried out in order to draw up the SWOT matrix. The second phase of W2 is dedicated to the definition of strategic objectives and to the simulation of a complex project of new urban metabolisms. Specific policies and actions should be formulated to improve the quality of life, to make urban settlements more environmentally sustainable, to support resilient communities and to enhance cultural heritage. The identification of spaces, resources and functions will lead to the design experimentation of “areas of regeneration” able to develop the themes of the cultural and creative city, apply the paradigms Re-cycle and use the Cityforming protocol to draw up a “Piano Particolareggiato Esecutivo”.
W2_Progetto QUADRO CONOSCITIVO ALLA SCALA URBANA, OBIETTIVI STRATEGICI E PROGETTO. La prima parte del W2 è volta alla costruzione del quadro conoscitivo alla scala urbana del territorio comunale di Favara e dello specifico contesto individuato per la sperimentazione progettuale. In questa fase sarà anche effettuata una ricognizione delle trasformazioni territoriali previste al fine di redigere la matrice SWOT. La seconda fase del W2 è dedicata alla definizione degli obbiettivi strategici e alla simulazione di un progetto complesso di nuovi metabolismi urbani. Dovranno essere formulate politiche e azioni specifiche in grado di migliorare la qualità della vita, di rendere i contesti urbani più sostenibili dal punto di vista ambientale, di supportare comunità resilienti e di valorizzare il patrimonio culturale. L’individuazione di spazi, risorse e funzioni condurrà alla sperimentazione progettuale di “ambiti di rigenerazione” capaci di sviluppare i temi della città culturale e creativa, applicare i paradigmi Re-cycle e utilizzare il protocollo progettuale Cityforming© per la redazione di un Piano Particolareggiato Esecutivo.
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#Supplementary Module “Territorial marketing” #Modulo integrativo “Ingegneria Gestionale per il Territorio” Arch. Emanuele Messina The Course aims to provide students with the analysis and interpretation methodologies of metropolitan city and wide area, and urban and territorial planning tools in order to strengthen their knowledge and understanding to guide the evolution of physical, environmental, cultural and social space. This will be made possible by applying the tools for urban and territorial project as part of an overall strategic approach for requalification, development and competitiveness. The Course aims to provide students with: - Ability to analyze and interpret the elements and attractive resources able to generate transformations and development dynamics in a sustainable and integrated way. - Ability to apply tools, techniques, approaches, marketing applications for the management of territorial development, socio-economic dynamics, and transformation and urban innovation processes; - Ability to design and develop strategies, integrated projects, and management processes for territorial marketing and urban regeneration; - Ability to identify interventions and actions integrated for development of the competitive offer of territories, definition of development vocations, improvement of the external perception of the territory, strengthening of the involvement of local actors.
Il corso mira a fornire allo studente metodologie di analisi ed interpretazione della città metropolitana e dell’area vasta e strumenti di pianificazione urbana e territoriale al fine rafforzare le sue conoscenze e la comprensione delle modalità con cui guidare l’evoluzione dello spazio fisico, ambientale, culturale e sociale grazie all’applicazione degli strumenti a disposizione del progetto urbanistico e territoriale nell’ambito di un complessivo approccio strategico per la riqualificazione, lo sviluppo e la competitività. Il modulo si pone l’obiettivo di fornire agli studenti: - Capacità di analisi e interpretazione degli elementi e delle risorse attrattive in grado di generare trasformazioni e dinamiche di sviluppo del territorio in chiave sostenibile e integrata. - Capacità di applicazione di strumenti, tecniche, approcci e applicazioni di marketing e management per la gestione dello sviluppo territoriale, delle dinamiche socio-economiche e dei processi di trasformazione e innovazione urbana. - Capacità di ideazione ed elaborazione di strategie, progetti integrati e processi di gestione per il marketing territoriale e la rigenerazione urbana - Capacità di individuazione di interventi e azioni integrate per lo sviluppo dell’offerta competitiva dei territori, la definizione di vocazioni di sviluppo, il miglioramento della percezione esterna del territorio, il potenziamento del coinvolgimento di attori locali.
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Comunità resilienti del Neoantropocene.
Cambiamento climatico, società circolare e Futuredesign Maurizio Carta Siamo entrati in un nuovo regime della nostra esistenza sul pianeta, viviamo in quello che Bruno Latour (2015) chiama il “Nuovo Regime Climatico”, una modalità della nostra esistenza che tiene insieme la crisi ambientale, l’esplosione e la diffusione delle diseguaglianze, l’impatto della deregulation, la devastazione della mondializzazione omologante, le drammatiche rotte dei migranti e, persino, la pandemia di nuovi virus scalzati dalle loro nicchie ecologiche dall’espansione urbana. Un nuovo regime che richiede una innovazione radicale del nostro stare nel mondo, delle relazioni umane e dell’omeostasi tra l’umanità e le altre specie. Serve un rinnovato impegno per la cura della casa comune, serve un nuovo paradigma ecologico di sviluppo. Non è una sorpresa per chi sapeva leggere i numerosi segnali della metamorfosi del mondo che stiamo attraversando con sempre maggiore, dolorosa, consapevolezza (Beck, 2017). Siamo, infatti, alla fase apicale di una crisi pandemica (non solo sanitaria) che si diffonde dagli anni Sessanta del XX secolo, quando esplosero tutte le contraddizioni del capitalismo egoista (James, 2009) prodotto dalla Rivoluzione Industriale e iniziò a diffondersi la consapevolezza che il modello di sviluppo occidentale producesse diseguaglianze sociali, un impoverimento culturale e un consumo di risorse fisiche molto oltre i limiti del pianeta. Già in un rapporto del 2007 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci metteva in guardia sulle infezioni virali come una delle minacce
più consistenti in un pianeta sottoposto al grave cambiamento climatico (World Health Organisation, 2007). I virus, infatti, essendo patogeni che non vivono senza le cellule animali, cercano sempre nuovi ospiti. E noi gli abbiamo aperto le porte: le variazioni di pioggia e umidità, il riscaldamento, la vorace espansione urbana cambiano le interazioni tra le diverse componenti biologiche e quando le nicchie ecologiche si spalancano i virus colonizzano un nuovo essere (noi) comportandosi inizialmente in modo molto aggressivo (Quammen, 2014). Oggi, nell’era della Pandemia Climatica come esito della degenerazione del nostro rapporto con il pianeta, nulla può rimanere immutato e abbiamo l’obbligo di ripensare carattere e ruolo di tutte le componenti della società e le loro rifluenze sulla vita delle persone, sui luoghi che abitiamo, sulle attività che svolgiamo e sul modo con cui perseguiamo le nostre aspirazioni: in sintesi abbiamo l’obbligo di ripensare radicalmente il modello di sviluppo assecondandone la sua metamorfosi verso una “ecologia strutturale”. Naturalmente la metamorfosi non è un processo lineare, esclusivamente razionale e monodirezionale, ma si alimenta di traiettorie circolari, di improvvisazioni, di innovazioni apparentemente inutili ma che ne generano altre molto efficaci, di avanzamenti e di retroazioni, di logica e di empatia, agisce sull’etica e sull’estetica. La “metamorfosi circolare” dello sviluppo, quindi, sollecita pretende il ritorno a politiche di sviluppo rifondate sui capitali territoriali,
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primi fra tutti la città: forma, funzione, comunità prevalente nel pianeta. Al ripensamento del modello di sviluppo generatore di un futuro sostenibile deve corrispondere una rivoluzione radicale delle città, degli spazi che le compongono e delle relazioni umane e naturali che le intessono, un ripensamento dei paradigmi insediativi, un rinnovamento dei protocolli progettuali e una regolazione degli strumenti di governo, perché la città torni ad essere propulsore del progresso umano collettivo, piuttosto che substrato ancillare rispetto all’economia egoista o luogo del conflitto e della infelicità, o luogo del distanziamento sanitario. Serve quello che chiamo Futuredesign (Carta, 2019), una sola parola (formata da un inscindibile dittongo: futuro e progetto) che rappresenta la necessità di tornare a progettare il futuro sostenibile del nostro pianeta con audacia – senza temere un nefasto fato, o aspettarne uno benevolo – a partire dalla modifica di comportamenti, azioni, relazioni capaci di arrivare il diverso presente, che del futuro possibile è la matrice necessaria. La città, tuttavia, è un artefatto complicato – nella sua potente seduzione che resiste da seimila anni – perché essa non è mai il prodotto di una unica volontà deterministica che produce azioni singole, ma è il risultato dell’emergere di innovazioni improvvise, di dinamiche indipendenti all’inizio ma poi interrelate dalla creatività degli abitanti, di azioni messe in moto da un numero molto grande di attori individuali e collettivi, ciascuno dei quali
nel perseguire i propri fini si ritrova ad adattarli entro un sistema di interrelazioni reciproche, il cui esito supera sempre le intenzioni e al controllo degli attori più potenti. Perché il vero attore potente è la capacità exaptiva1 che la città ha appreso dalla natura, cioè la sua capacità di evolversi per variazioni improvvise, casuali, ridondanti talvolta generate dal basso, che vengono utilizzate attraverso una “cooptazione funzionale” dalle comunità per assegnarvi nuove funzioni che poi si consolideranno per adattamento creativo dando forma a nuovi modi di abitare la città, a diverse modalità di produzione, a cambiamenti nella mobilità, a innovazioni culturali. La città, infatti, è un organismo spaziale pluridentitario, prodotto da comunità umane differenti nel tempo e nelle culture che producono attraverso un potente e permanente bricolage una mirabile soluzione di intenzionalità, spontaneità, causalità e progettualità (Melis, Lara-Hernandez, Thompson, 2020). La domanda a cui dobbiamo rispondere come urbanisti e architetti, ma anche come decisori e cittadini, è: come riattivare la capacità creativa, generativa, innovativa della città in piena era dell’Antropocene?2 Durante la folle corsa bicentenaria dell’Antropocene l’umanità sbaraglia tutte le altre specie viventi e diventa la più potente forza che plasma l’ambiente. Dopo la Seconda Guerra Mondiale un ancor più pervasivo e accelerato “antroposviluppo” (McNeill, Engelke, 2018) ha prodotto effetti anabolizzanti tali da rendere immensa l’impronta umana sul
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1. Il concetto di exaptation è stato consolidato nel 1982 da Stephen J. Gould ed Elisabeth S. Vrba (2008) per definire il “termine mancante” nella teoria dell’evoluzione di Charles Darwin in grado di descrivere il processo con cui la natura si evolve per innovazioni casuali e potenzialmente ridondanti in modo da permettere che un organismo possa cooptare funzionalmente un tratto sviluppatesi per altre ragioni adattive, in uno straordinario bricolage creativo. 2. Negli anni Ottanta del secolo scorso Eugene Stoermer ha introdotto il termine “Antropocene” per indicare le conseguenze sul pianeta della Rivoluzione Industriale attraverso l’accelerazione delle modifiche territoriali, sociali, economiche e climatiche prodotte dall’uomo fin dall’inizio della lunga marcia dell’homo sapiens cinquantamila anni fa dal continente africano, attraversando continenti, soggiogando o annientando altri ominidi, erodendo risorse naturali, piegando il pianeta alla sua “intelligenza”. All’inizio del XXI secolo il termine si è consolidato grazie agli studi di Stoermer insieme al Premio Nobel Paul J. Crutzen (2005).
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pianeta, ben oltre qualsiasi altro effetto dominante. Insieme al suolo sono state consumate con voracità le strutture identitarie dei palinsesti culturali e le trame vegetali delle città, sono stati anestetizzati metabolismi vitali, interrotti i cicli delle acque e dei rifiuti e sclerotizzati quelli della mobilità, rendendoli inefficaci. Gli habitat umani hanno invaso gli ecosistemi naturali, risvegliando ed espandendo malattie prima confinate e separate. Sono esplose le diseguaglianze confinando enormi parti di umanità nella trappola del sottosviluppo. È stata erosa la capacità degli insediamenti urbani di intrattenere le necessarie relazioni con la componente rurale, è stata sedata la capacità produttiva e generativa delle manifatture locali indebolendo i fattori endogeni di sviluppo, è stato dimenticato il valore rigenerativo della manutenzione edilizia e della cura dei luoghi, così come sono stati interrotti o deviati i naturali processi circolari territoriali. «L’antropocentrismo moderno ha finito per collocare la ragione tecnica al di sopra della realtà. (...) In tal modo, si sminuisce il valore intrinseco del mondo. Ma se l’essere umano non riscopre il suo vero posto, non comprende in maniera adeguata sé stesso, finisce per contraddire la propria realtà», proclama con il vigore del suo magistero Papa Francesco nell’Enciclica Laudato Si’, il suo potente manifesto per un futuro ecologico. Dopo aver superato molte volte i limiti dello sviluppo, spesso con conseguenze drammatiche, la crisi economica dell’ultimo decennio – con la sua virulenza che ha contagiato anche le strutture produttive, sociali e culturali, e persino politiche – ha svelato l’inganno anche all’ultimo dei credenti nelle magnifiche sorti e progressive. E ha prodotto, da un lato, gli evangelisti della decrescita felice e i vegani dello sviluppo, i profeti del downsizing, i cantori della acritica riduzione del consumo di suolo. Dall’altro lato ha generato gli urbanisti militanti di uno sviluppo ecologico efficace – visionari e pragmatici al contempo – convinti che si debba accettare la sfida di superare l’Antropocene, e, invece di estinguerci per salvare il pianeta, di usare la nostra sensibilità, la nostra intelligenza, la nostra immaginazione per tornare a prenderci cura degli ecosistemi, per ripensare il nostro essere nel mondo.
Dobbiamo, quindi, come sfida culturale e politica, prima che ecologica ed economica, abbandonare quello che in effetti è un Paleoantropocene erosivo, estrattivo, pervasivo, ineguale e conflittuale in cui viviamo per entrare con decisione, e responsabilità, nel Neoantropocene (Carta, 2019), una nuova era di un “antropocentrismo ecologico” in cui l’umanità, invece di essere il problema, progetta e mette in atto con resilienza la transizione verso lo sviluppo ecologico, riattivando l’antica alleanza tra componenti umane e naturali come forze coagenti: un antropocentrismo sensibile, rispettoso e temperato volto a riposizionare l’umanità in uno schema integrato con la natura, ibrido tra umani e non-umani. Il Neoantropocene in cui vogliamo entrare, come sfida del nostro impegno di studiosi, di educatori e di progettisti, ci chiede un approccio responsabile e militante e il coraggio di una metamorfosi che non solo riduca l’impronta ecologica delle attività umane sul pianeta, ma che utilizzi l’intelligenza collettiva concentrata nelle città – la noosfera urbana – che deriva dalle nuove idee e sensibilità nei confronti dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale. Una metamorfosi che ricollochi la natura nella sua dimensione genetica del mondo, soprattutto le piante, perché esse sono «la forma più intensa, radicale e paradigmatica di essere-nel-mondo» (Coccia, 2018). All’architettura e all’urbanistica più avanzate, vocate all’ecologia, sensibili alla resilienza, orientate all’innovazione e centrate sul Futuredesign, viene chiesta l’assunzione di responsabilità di rigenerare le proprie condizioni di esistenza, ruolo e coinvolgimento. Nonché di innovare le modalità educative (il Neoantropocene pretende un grande sforzo di riorientamento dell’educazione in tutte le discipline del progetto, e non solo) e di revisionare la cassetta degli attrezzi, sostituendo alcuni strumenti regolativi ormai logori con più efficaci strumenti progettuali e meta-progettuali, in grado di agire in concorso con le sempre più numerose pratiche urbanistiche non istituzionali in un fertile bricolage adattivo. Soprattutto, per agire nella nuova ecologia del Neoantropocene dobbiamo pensare con una mente del XXI secolo e
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non più secondo i canoni del Novecento, come ci indica con chiarezza Kate Raworth (2017), proponendo di cambiare l’obiettivo dalla crescita del Pil al rispetto dei diritti degli uomini e del pianeta e di inserire l’economia nel contesto più ampio della vita naturale, fuori della quale non c’è altra ricchezza possibile. Serve quindi comprendere la complessità dei sistemi, ben più interconnessi e articolati di quando furono tracciate secondo un equilibrio meccanico le curve del mercato e soprattutto progettare per generare e redistribuire, superando l’aporia per cui la disuguaglianza sarebbe stata curata dalla crescita. Dobbiamo tornare a progettare per rigenerare, poiché il degrado ecologico prodotto dal Paleoantropocene si è rivelato non curabile con la crescita, che anzi è stata un oltraggioso predatore di risorse vitali del pianeta. La visione di futuro reclamata dal Neoantropocene dovrà essere capace di generare valore locale, piuttosto che un’economia estrattiva che produca dipendenza dalle strategie esogene delle grandi imprese. In fondo si tratta di ricomporre e adattare il modello delle città anseatiche tardomedievali nord-europee con quello delle città ideali italiane del Rinascimento, passando per l’urbanistica comunitaria
del socialismo utopistico ottocentesco, tornando a una economia urbana che sia sostenibile in termini di tutela del capitale territoriale e umano, che sia dinamica e propulsiva per il mercato del lavoro e che contrasti la crescita delle diseguaglianze. Insomma, a sessanta anni dalla morte di Adriano Olivetti, si tratta di recuperare la lucida radicalità del suo pensiero di una economia guidata da un’agenda sociale che generi una nuova dimensione urbana che combini l’impresa con la cittadinanza, che agevoli l’interazione tra la formazione e il lavoro, tra la residenza e lo spazio pubblico, tra servizi e produzione, all’interno di una città che recuperi coesione, solidarietà ed equità tra le classi e le comunità, accomunate dalla gestione collettiva del territorio. L’impegno di decisori e gestori, di urbanisti e architetti, di cittadini e imprese – le “comunità resilienti” del Neoantropocene – sarà quello di lavorare su insediamenti urbani caratterizzati dal riavvio del metabolismo di diversi cicli di vita, alcuni ancora attivi ma in rallentamento, altri prodotti dall’eccedenza e dalla sovrapproduzione dei complessi urbani in mutamento. Significa lavorare sui ritmi dei tessuti insediativi in dismissione e delle reti infrastrutturali in trasformazione, i
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3. La “Carta di delle comunità resilienti” (Carta di Peccioli) è un documento scientifico in 10 punti elaborato da uno Steering Committee nell’ambito delle attività di ricerca a premessa della curatela di Alessandro Melis del Padiglione Italia della 17ma Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. Il documento, curato da me e Alessandro Melis insieme a Katia Accossato, Marilena Baggio, Paola Boarin, Luisa Bravo, Carla Brisotto, Luca D’Acci, Ingrid Paoletti, Daniela Perrotti, Luigi Trentin, si configura come una piattaforma costitutiva per dare riconoscibilità alle numerose pratiche di comunità resilienti italiane e per guidare le azioni di tutte le comunità locali che riconoscano nella resilienza il necessario paradigma dello sviluppo ecologico. 4. La “Carta di delle comunità resilienti” (Carta di Peccioli) è un documento scientifico in 10 punti elaborato da uno Steering Committee nell’ambito delle attività di ricerca a premessa della curatela di Alessandro Melis del Padiglione Italia della 17ma Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. Il documento, curato da me e Alessandro Melis insieme a Katia Accossato, Marilena Baggio, Paola Boarin, Luisa Bravo, Carla Brisotto, Luca D’Acci, Ingrid Paoletti, Daniela Perrotti, Luigi Trentin, si configura come una piattaforma costitutiva per dare riconoscibilità alle numerose pratiche di comunità resilienti italiane e per guidare le azioni di tutte le comunità locali che riconoscano nella resilienza il necessario paradigma dello sviluppo ecologico.
quali dovranno essere affrontati attraverso azioni di modifica, di rimozione o di reinvenzione grazie a cui le componenti vengono ricreate, senza distruggerle ma mutandone le funzioni perseguendo un’ottica generativa e aumentando la loro resilienza creativa, cioè la capacità di adattarsi al mutamento reinventandosi. Il ritmo del riciclo e del mutamento sarà lo spartito che guiderà città sempre più in costante fluttuazione tra conservazione e trasformazione, tra identità e innovazione, in un metabolismo accelerato dei cicli di vita. Progettare città nell’era del Neoantropocene e del metabolismo circolare – quelle che definisco “città aumentate” (Carta, 2017) – significa rifiutare la consolazione di un approccio molecolare e accettare la sfida dell’approccio ecosistemico, organico, e farsi guidare da una nuova visione che sia lungimirante per guardare lontano nell’orizzonte dell’innovazione, ma anche capace di riguardare indietro recuperando sapienze, rituali e pratiche strutturalmente auto-sufficienti e circolari perché non ancora sedotte dal demone dello sviluppo antropico. Servono anche paradigmi efficaci e progetti concreti per influire sul metabolismo urbano, ricombinando il codice genetico contenuto nelle aree e nei flussi da rimettere in circolo, spesso frammentati o indeboliti, ma ancora in grado di generare nuovo tessuto se riattivato dall’energia vitale prodotta dai cicli dell’acqua, del cibo, dell’energia, della natura, dei rifiuti, delle persone e delle merci. Servono nuove sensibilità capaci di stimolare la dimensione emozionale e percettiva delle città. Infine, servono nuovi tipi di piani e progetti urbanistici che agiscano per strategie localizzative piuttosto che per piani comprensivi, servono piani che lavorino con regole semplici e adattive piuttosto che masterplan iper-regolativi, servono azioni generatrici di insediamento sostenibile accanto a piani regolativi che in maniera creativa coopteranno funzionalmente le innovazioni urbane. Voglio proporre qui una nuova strada per la rigenerazione urbana resiliente, composta dalla polifonia di azioni esposta nella “Carta delle Comunità Resilienti”, una sorta di nuova costituzione che rifondi l’Italia sulla resilienza, sulla creatività e sull’ecologia3 , per tornare ad agire sui
cicli di vita identitari, a lavorare sulle componenti del metabolismo urbano ancora vive o a trovare quali siano i fattori ancora vitali da riattivare, insomma usare tutti i materiali di un bricolage fertile che, come in una barriera corallina, generi nuova vita da materie prime dismesse da altri cicli vitali in una circolarità creativa che produca i salti di livello necessari per produrre energia vitale. La rigenerazione degli habitat umani del Neoantropocene, quindi, pretende il progetto di luoghi che possano accogliere funzioni temporanee entro un ciclo programmatico che guardi all’arco della giornata o dell’anno nella distribuzione delle funzioni, nell’attrazione di usi ad elevata carica di innovazione, nel rifugio di cittadinanze, come stiamo vedendo durante la pandemia Torniamo a parlare di tempi e cicli della città, che avevamo troppo presto abbandonato ritenendo che fosse solo una questione che riguardasse la conciliazione dei tempi di vita, le pari opportunità o le differenze di genere. Oggi è anche un problema di ergonomia, di visione metabolica della città che ci indica che nell’arco della giornata inevitabilmente ci siano cicli diversi in cui giocano attori differenti in funzione degli usi più adatti al tempo o necessari in fase di crisi. La nostra vita è liquida, relazionale e multiscalare, e se la quarantena ci ha protetto, essa ha mostrato anche il bisogno di pluralità e di relazioni (anche conflittuali) che richiedono, quindi, metabolismi multipli e diversificati, un vero e proprio iper-metabolismo che domanda una maggiore circolarità, porosità, autosufficienza della città. Metamorfosi circolare è quindi una potente parola chiave del Futuredesign, benché numerosi segni ce la facevano intravedere e molteplici indizi ci indicavano la sua strada durante gli anni propulsivi della globalizzazione, ma li abbiamo ignorati in modo anestetico. Oggi invece siamo costretti a praticarla durante il tempo infetto della pandemia e quello altrettanto drammatico della recessione economica, e le numerose comunità resilienti – esplicite e implicite – dovranno agire entro uno stato di perturbazione che non sparirà presto, e che ci lascerà profondamente modificati. In Italia, infatti, esistono numerose “comunità del coraggio” che da tempo stanno affrontando le sfide della metamor-
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fosi attraverso pratiche di adattamento e sperimentazione che si estendono, si confrontano tra di loro, si emulano. Sono le comunità montane, rurali o costiere, sono i quartieri urbani periferici ma ancora vibranti di vita comunitaria, sono i centri storici densi di attività produttive e commerciali che resistono alla crisi e combattono contro un declino che rischia di travolgerli del tutto. Sono le centinaia di “comunità resilienti”4 – raccontate nel Padiglione Italia di Alessandro Melis – che sperimentano, ancora senza protocolli consolidati, il nuovo metabolismo urbano circolare attraverso l’integrazione dei cicli delle acque, dei rifiuti e dell’energia, che recuperano il valore della salubrità dell’ambiente e la mutualità della sanità, che riattivano sapienze artigianali e introducono manifatture innovative, che radicano nel locale le infrastrutture sostenibili di mobilità e connettono col globale le infostrutture digitali, che praticano la interconnessione tra reti verdi, armature culturali e cicli di vita lenti, e diffondono competenze tecnologiche e innovazione di processo all’interno delle amministrazioni locali. Queste comunità avanguardie del Neoantropocene accettano ogni giorno la sfida di emergere dal declino generato sia dalle pratiche dello sviluppo metropolitano che ne hanno fatto marginalità sia dalle retoriche postpandemiche che ne vogliono fare rifugio. Poiché entrambe le retoriche non le salvano dal declino, esse, invece, generano una visione di futuro valorizzando alcune delle loro intrinseche identità e specifiche opportunità: sono comunità di Futuredesigner. Sono comunità che valorizzano la profondità del palinsesto storico e la resistenza delle identità locali, che sperimentano l’interazione locale-globale, che usano la fertile relazione con l’architettura contemporanea che ne esalti il paesaggio, che facilitano il commercio come fattore relazionale e promuovono il tempo libero come componente della vita urbana e fattore di benessere. Comunità che proteggono la produzione culturale come domanda in espansione dell’era dell’accesso, che si prendono cura degli effetti quotidiani di un metabolismo circolare che recupera antiche sapienze di sovranità energetica e alimentare, che portano avanti la produzione agroali-
mentare e manifatturiera come eccellenza mondiale, che offrono una salute pubblica come parte del welfare di prossimità. Nelle comunità della creatività e della resilienza si stipula una nuova alleanza tra abitanti e territorio, producendo uno spazio vissuto plurale su cui agiscono i luoghi di rappresentazione delle comunità, coniugando i segni molto complessi della contemporaneità, legati alla componente militante della vita sociale, come pure all’arte e alla creatività, legati all’innovazione digitale e sociale, a una nuova equità sociale ed economica. È lo spazio vissuto della dura montagna italiana e delle troppo morbide coste, dei borghi più belli e delle periferie tristi, dei terrazzamenti e dei vitigni che geometrizzano il paesaggio, degli ulivi che si torcono danzando con il vento, delle materie prime di qualità e di una cucina rispettosa che è sinestesia di gusto e di vista. È lo spazio delle comunità di artisti che ridanno colore e gioia a paesi in catalessi, o quello dei migranti che portano braccia e idee non sfruttate ma accolte. È lo spazio degli innovatori che cavano bellezza dalla pietra, che coltivano talenti nelle gravine o che teatralizzano rovine o discariche. È lo spazio dei makers che alleano la tecnologia con l’agricoltura, con l’artigianato, con la rigenerazione dello spazio pubblico, che rinaturalizzano luoghi usando l’innovazione tecnologica o che creano nuovi ecosistemi ibridi per produrre nuovi materiali da costruzione ecosostenibili. Ma è anche lo spazio delle mille biblioteche come piazze del sapere o quello delle città termali senza più appeal ma ancora pregne di eleganza, o delle centrali idroelettriche vibranti di energia, delle ciclovie sempre più itinerari per nuovi cicli di vita, o dei cammini di narratori camminanti. Sono le città e i borghi della vita sociale diffusa, della cooperazione e dello scambio di servizi, della risposta immediata ai bisogni attraverso forme di mutualismo. Nelle comunità resilienti, infatti, si sperimentano già nuovi insediamenti ecologici e creativi, più resilienti e intelligenti, dialogici e sensibili. È qui che viene verificata con maggiore responsabilità la dimensione e la portata degli effetti della resilienza radicale di cui abbiamo bisogno, figlia di una rinnovata ecosofia, madre di una nuova economia. Le comunità del coraggio e dell’innova-
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zione, mentre combattono sul campo, reclamano a gran voce un rinnovato approccio olistico, una necessaria multiscalarità e una potente urbanistica ecologica e circolare, che sappiano agire sia sul ripensamento del modello metropolitano denso che sulla rigenerazione dei territori rur-urbani e rurali. Sono comunità che pretendono nuove politiche urbane in grado di incentivare il ruolo delle città come ambienti più creativi, capaci di creare una piattaforma per l’innovazione in cui possano agire i talenti delle persone e le capacità generative delle imprese. Le comunità resilienti agiscono per facilitare la creazione di nuove forme insediative territoriali che mettano in rete e in interconnessione l’arcipelago di città creative e intelligenti che diffondono conoscenza, città più sapienti, più eque e più giuste che innovano profondamente le loro fonti di conoscenza, le loro capacità dialogiche, le loro dinamiche di sviluppo e che rivedono il loro modello insediativo. Per ripensare il futuro dell’Italia è indispensabile rifondarla su nuove basi, ridando senso e ruolo a questa armatura di comunità che attraversa il paese, cellule di resilienza che si manifestano alle diverse scale e condizioni geografiche. Immagino un’Italia come una nazione di comunità ecologiche, una nazione formata da migliaia di pratiche di innovazione urbana, sociale e digitale che escono dal loro isolamento e si fanno sistema, che combattono la rivoluzione urbana del passaggio al Neoantropocene generativo e responsabile, in cui l’umanità si faccia carico di adottare nuovi comportamenti generativi dopo essere stata la causa che ha generato una insostenibile impronta ecologica con i suoi consumi. Una umanità responsabile che si fa carico di utilizzare nuovi approcci e strumenti tecnici, si fa carico di una nuova agenda di sviluppo sostenibile dopo essere stata l’attore principale della crisi ambientale, entro una rinnovata alleanza circolare tra pratiche, discipline, tecnologie, istituzioni, persone e natura.
Bibliografia Beck U. (2017), La metamorfosi del mondo, Roma-Bari, Laterza. Carta M. (2017), Augmented City. A Paradigm Shift, Trento-Barcelona, ListLab. Carta M. (2019), Futuro. Politiche per un diverso presente, Soveria Mannelli, Rubbettino. Carta M., Schroeder J., Ferretti M. Lino B., eds. (2017), Territories. Rural-urban Strategies, Berlin Jovis. Coccia E. (2018), La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, Bologna, Il Mulino. Crutzen P. J., Stoermer E. F. (2005), Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era, Milano, Mondadori. Gould S. J., Vrba E. S. (2008), Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, Torino, Bollati Boringhieri. James O. (2009), Il capitalista egoista, Torino, Codice edizioni. Latour B. (2015), Face à Gaïa. Huit conférences sur le Nouveau Régime Climatique, Paris, La Decouverte. McNeill J. R., Engelke P. (2018), La Grande accelerazione. Una storia ambientale dell’Antropocene dopo il 1945, Torino, Einaudi. Melis A., Lara-Hernandez J. A., Thompson J. R., eds.(2020), Temporary Appropriation of Cities: Human Spatialisation on Public Space and Community Resilience, Berlin, Springer. Quammen D. (2014), Spillover. L’evoluzione delle pandemie, Milano, Adelphi. Raworth K. (2017), L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo, Milano, Edizioni Ambiente. World Health Organisation (2007), A Safer Future. Global Public Health Security in the 21st century, The World Health Report 2007, WHO.
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La Carta di Peccioli ovvero la nuova Costituzione della Nazione delle Comunità Resilienti Italiane Steering Committe: Maurizio Carta (coordinatore), Alessandro Melis, Katia Accossato, Marilena Baggio, Paola Boarin, Luisa Bravo, Carla Brisotto, Luca D’Acci, Ingrid Paoletti, Daniela Perrotti, Luigi Trentin PREAMBOLO Il Padiglione Italia della Biennale di Venezia intende proporre una visione dell’Italia come una “nazione di Comunità Resilienti”, un paese formato da migliaia di pratiche di innovazione urbana, sociale e digitale che escono dal loro isolamento e si fanno sistema, che combattono la rivoluzione urbana del passaggio dall’Antropocene erosivo e predatorio ad un Neoantropocene generativo e responsabile, in cui l’umanità, dopo aver preso atto di aver prodotto una insostenibile impronta ecologica con l’attuale modello di sviluppo, si fa carico di adottare nuovi comportamenti responsabili, di utilizzare nuovi approcci e strumenti tecnici, di redigere una nuova agenda di sviluppo sostenibile dopo essere stata l’attore principale della crisi ambientale, entro una rinnovata alleanza circolare tra pratiche, discipline, istituzioni e persone. Questa nazione di Comunità Resilienti Italiane, già fondata su un patto implicito per la rinegoziazione degli interessi, degli impatti e delle azioni, dell’alleanza tra uomo e ambiente, si vuole dotare di una “Costituzione” che rafforzi e aggiorni il patto sociale tra umanità, territorio ed economia alla luce delle crisi ecologiche. Una Costituzione che usi la resilienza come forza coesiva, come capacità di adattamento, come spinta propulsiva all’evoluzione permanente delle specie che coabitano il paese – talvolta con drammatici conflitti – superando la modernità imperfetta attraverso una nuova ecologia politica, capace di prendere in conside-
razione non solo i diritti degli uomini ma anche dei non-umani, delle piante e degli animali, della Terra come casa comune. Una Costituzione che si fondi su un Manifesto per tutte quelle Comunità Resilienti latenti o solitarie che vogliano riconoscersi come sistema, come futuro possibile di un’Italia che voglia essere laboratorio vivente di una strada italiana alla resilienza attraverso azioni concrete che saranno declinate da apposite Linee Guida, e attraverso una cooperazione che faccia combattere insieme i giovani che lottano per l’ambiente e gli anziani che sapevano averne cura, i movimenti che segnalano i problemi e le comunità che si fanno carico di risolverli, i professionisti che innovano le pratiche e le istituzioni che agevolano i processi. Le Comunità Resilienti Italiane, pertanto, credono che lo sviluppo sostenibile non sia un’opzione o un concetto desueto, ma un impegno collettivo che deve fondarsi su solidi pilastri di un nuovo paradigma di sviluppo che definisca una nuova alleanza tra le specie viventi, tra spazio e società, tra individui e comunità, tra spazio concepito e spazio vissuto, tra bisogni e aspirazioni di coloro che vogliano tornare ad abitare il nostro Paese con rispetto e sensibilità e che vogliano prendersene cura per le nuove generazioni, che reclamano a gran voce di agire, adesso, per la salute del pianeta e dell’umanità. La drammatica pandemia di COVID-19 ha confermato la relazione tra crisi ambientale e malattie, tra invasione degli ecosistemi naturali e impatti sulle
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nostre vite quotidiane. Pandemie virali derivate dalla promiscuità ambientale, insieme alla riduzione dell’acqua dolce, la tropicalizzazione del clima e l’aumento dell’inquinamento saranno solo alcune delle conseguenze sulla salute dovute ai cambiamenti ambientali. Pertanto, le Comunità Resilienti si impegnano a: Art. 1 PROMUOVERE L’INNOVAZIONE. Per le Comunità Resilienti mantenere lo status quo non è un’opzione, poiché la metamorfosi che stiamo attraversando ci impone di rivedere tutti i protocolli di sviluppo e le conseguenti azioni operative. Nel nuovo regime climatico in cui siamo entrati, nulla può rimanere immutato per consentire di uscire dallo stato stazionario della crisi ecologica e pertanto, attraverso la forza propulsiva e la capacità di adattamento proprie della resilienza, occorre imprimere un nuovo impulso all’evoluzione degli insediamenti umani verso una nuova alleanza con il pianeta. Le Comunità Resilienti vogliono promuovere l’innovazione, sempre e ovunque, condividendo le loro esperienze, le loro azioni di resistenza, le loro pratiche di resilienza, imparando le une dalle altre e proponendosi come nuove piattaforme di conoscenza. Nelle Comunità Resilienti la formazione e le pratiche professionali degli architetti e degli urbanisti dovranno essere profondamente innovate e rifondate sulla
consapevolezza dell’inscindibile legame tra ecologia e salute. Art. 2 REIMMAGINARE LA CITTÀ E GLI SPAZI DI VITA. Nelle Comunità Resilienti ogni attore deve promuovere un radicale ripensamento del tessuto urbano, a partire dalle periferie e dalle aree fragili, e del suo ambiente per trasformare le città in sistemi virtuosi non erosivi e dissipativi che reagiscano attivamente ai cambiamenti climatici, economici, sociali, culturali, generando le mitigazioni, gli adattamenti e la resilienza necessari per contrastarne gli effetti negativi e per gestirne la riduzione degli impatti. Non è più il tempo di manutenzioni e piccoli adattamenti, ma dobbiamo essere radicali e reimmaginare la città, ripensando le discipline che ne configurano lo spazio, per accelerare la transizione dalle forme insediative del Novecento a quelle dei tempi che cambiano, rimodellando lo spazio e i cicli della vita delle persone e le relazioni tra uomo e ambiente a partire dagli habitat urbani, la forma prevalente di insediamento sul nostro pianeta, incrementando le politiche attive per la garanzia della salute pubblica come uno dei principi costitutivi della nostra socialità urbana. Art. 3 ESSERE SENSIBILI ED EFFICACI. La capacità di reazione e trasformazione del tessuto urbano deve caratterizzare le Comunità Resilienti del futuro, at-
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traverso azioni tempestive che passino dalla reazione tardiva alla prevenzione efficace. Occorre avvalersi di tutte le fonti di conoscenza, tecnologiche, biologiche, sociali, grazie anche agli open data, per comprendere in tempo reale i problemi e consentire soluzioni adeguate, tempestive e semplificate, anche facilitando il coinvolgimento della comunità nella segnalazione e risoluzione dei problemi e, soprattutto, attuando una democrazia cognitiva che metta tutti in condizioni di usare i dati prodotti da una comunità senza insostenibili monopoli. E’ necessario trovare nuove forme di collaborazione tra la cultura progettuale e le istituzioni, sburocratizzando i processi decisionali e utilizzando nuovi sistemi di dialogo con le comunità che recuperino l’efficacia delle relazioni invece che avvilupparsi in procedure complesse e paralizzanti. Art. 4 STIMOLARE IL METABOLISMO CIRCOLARE. Le Comunità Resilienti promuovono un metabolismo circolare non dissipativo, di uso, riuso e riciclo, impegnandosi ad aumentare la consapevolezza della mitigazione e/o adattamento alle emergenze climatiche e del ruolo della biodiversità e di altri servizi ecosistemici nel mantenimento degli equilibri biofisici e socio-economici, accanto all’urgente necessità di migliorare la collaborazione tra i fruitori e le catene di approvvigionamento, agendo per un riciclo programmato invece che in una insostenibile obsolescenza. Bisogna progettare e gestire gli edifici della città contemporanea e quelli del patrimonio storico per un uso prolungato, agevolando il cambiamento di funzioni dove necessario, come alternativa più efficiente in termini di emissioni di carbonio alla demolizione e alla nuova costruzione. Occorre un impegno perché l’estensione del ciclo di vita degli edifici esistenti diventi una nuova o rinnovata opportunità per riattivare o rafforzare la relazione tra comunità e territorio attraverso processi ed azioni sostenibili e resilienti. Nella selezione dei materiali occorre tenere conto delle esigenze costruttive come della cultura materiale di ogni comunità resiliente che ha l’obiettivo di avere il minimo
impatto sull’ambiente, non depredando gli ecosistemi naturali, e anzi stimolare nuovi equilibri con la natura, con particolare riguardo ai cicli vitali dei materiali, alla reversibilità dei processi e alla rigenerabilità delle risorse naturali. Una radicale riconfigurazione spaziale dell’ambiente costruito delle comunità è una occasione di sviluppo/trasformazione positiva dell’attuale metabolismo urbano ad alta intensità energetica, in un metabolismo circolare, non solo attraverso il riciclo e la rigenerazione delle risorse, ma anche con progetti rivoluzionari che mettano radicalmente in discussione i modelli e comportamenti di produzione e consumo estrattivi e predatori. Art. 5 ESSERE INTELLIGENTI E ANTIFRAGILI. Le Comunità Resilienti promuovono un approccio multi- e inter-disciplinare all’architettura, attraverso nuove tecniche di rappresentazione dei fenomeni urbani, e attraverso tecnologie avanzate ed intelligenti essenziali per lo sviluppo di una disciplina architettonica ed urbanistica incentrata sull’analisi degli scenari futuri e sull’individuazione delle azioni per il presente. L’intelligenza delle Comunità Resilienti sarà aumentata, in un processo dialogico, dalla loro capacità di convogliare l’energia partecipativa dei cittadini verso un welfare di prossimità che redistribuisca competenze e azioni avvicinando i servizi alla domanda più marginale e adattando in maniera efficace le risposte ai contesti sociali. L’intelligenza degli habitat delle Comunità Resilienti, attraverso un processo di apprendimento continuo e attraverso la potenza generativa del crowdsourcing, dovrà essere in grado di rispondere ai cambiamenti climatici attraverso una nuova alleanza tra pratiche spontanee e progetto consapevole capace di generare nuove forme dello spazio più adattive, flessibili e antifragili, in grado di limitare i disastri e di resistere agli eventi, ma anche in grado di gestire gli effetti imprevisti e trarne beneficio per migliorare il futuro. Le Comunità Resilienti intendono reagire con tempestività alle diverse crisi utilizzando in maniera intelligente i processi di
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gestione del rischio, rendendoli strutturali nei processi di governance. Art. 6 ESTENDERE LA CONOSCENZA. Le Comunità Resilienti intendono ridurre le diseguaglianze agevolando centri di aggregazione multiculturale come componenti attive di una rinnovata pedagogia integrale delle città. Esse intendono realizzare un ecosistema creativo a partire dal tessuto di scuole, di università, di musei e di centri culturali che diventino incubatori di idee, aggregatori di progetti e acceleratori di imprese creative e innovative rafforzando il rapporto scuola-lavoro-ricerca. Le Comunità Resilienti si basano sulla condivisione di conoscenze e ricerche con un approccio open source che ne amplifica la capacità di rispondere a domande sempre più diversificate e per reagire collettivamente alle crisi ricorsive e alle emergenze ambientali e sanitarie da cui siamo e saremo sempre più attraversati.
paesaggio ibrido generato da variazioni del continuum urbano, che implicherà azioni quotidiane in ambito urbano e anche processi finalizzati all’adattamento a condizioni ambientali sempre più estreme. Le Comunità Resilienti perseguono un’architettura come dispositivo abilitante che agevoli usi plurali, intergenerazionali, differenziati nel tempo e per diversi abitanti, adattandosi ed evolvendo insieme ad essi. Un’architettura resiliente capace di creare sempre una fertile relazione tra i diversi fruitori che ne completano l’opera in una co-generazione permanente. Gli impatti ecologici sono mitigabili attraverso la progettazione, se l’architettura sarà capace di interpretare il proprio ruolo in modo strategico e sistemico, come azione di sintesi in grado di trasformare le conoscenze transdisciplinari, tacite e locali, in visioni che possano generare nuovi sistemi d’interfaccia per i differenti comportamenti delle comunità.
Art. 7 GENERARE VALORE. Le Comunità Resilienti devono tornare ad essere comunità generative di valore a partire dal moltiplicatore di sviluppo insito nella città, agevolando i partenariati pubblico-privato-società civile per la realizzazione di interventi integrati di efficienza energetica, di mobilità sostenibile, di sicurezza degli edifici, di riqualificazione del patrimonio storico, di qualità dell’ambiente, di bellezza dello spazio. Le Comunità Resilienti investono nel capitale umano, sostengono le agevolazioni fiscali, la nascita e la crescita a livello di quartiere della micro-produzione e della fabbricazione digitale come nuove opportunità di lavoro e come ricucitura del tessuto connettivo dell’insediamento attraverso la responsabilità sociale dell’impresa. Le Comunità Resilienti si alimentano dell’energia generatrice della cultura, dell’arte e della creatività come potenti catalizzatori dei talenti e delle aspirazioni di chi le abita.
Art. 9 CONDIVIDERE LO SPAZIO. Le Comunità Resilienti non dimenticano di essere delle potenti piattaforme di condivisione, in grado di offrire spazi e servizi pubblici per usi differenti e per utilizzatori differenziati nell’arco della giornata per minimizzare i costi di gestione e massimizzare l’efficienza, offrendo occasioni di incubazione, positiva contaminazione e accelerazione all’ecosistema dei talenti e dell’innovazione. La condivisione di spazi e servizi riduce il consumo di suolo, energie e tempi, massimizza l’uso delle funzioni urbane e distribuisce i costi di gestione dei servizi e delle utilities. Anche nelle situazioni di distanziamento fisico, la condivisione in sicurezza dello spazio pubblico nelle diverse forme adattive, inoltre, facilita la cooperazione e promuove la interrelazione tra persone indispensabile per la vita di relazione, incrementando la resilienza dei sistemi urbani e delle comunità umane, indispensabile per la mitigazione del rischio di eventi catastrofici.
Art. 8 PROGETTARE INTERFACCE. L’architettura delle Comunità Resilienti sarà sempre più una parte integrante di un
Art. 10 ESSERE POLICENTRICI. Le Comunità Resilienti riconoscono il valore dei sistemi insediativi policentrici
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e reticolari in un’ottica transcalare. Esse intendono tessere nuove relazioni con i poli metropolitani come porte per l’internazionalizzazione, come aggregazioni attive di funzioni elevate e come snodi di sistemi produttivi di sviluppo in grado di competere sullo scenario internazionale. Le Comunità Resilienti agevolano anche relazioni tra sistemi insediativi basate sulla comune identità territoriale, sulla vocazione e specializzazione e sulla distribuzione di funzioni urbano-rurali in un un’ottica policentrica e reticolare in cui trovino rilevanza anche le componenti connettive del paesaggio rurale, delle trame agricole urbane e peri-urbane, dei sistemi infrastrutturali tradizionali, delle reti ecologiche come sostegno alla conservazione degli habitat di tutte le specie animali e vegetali. CONCLUSIONE Le Comunità Resilienti Italiane, quindi, sono comunità del coraggio, della rivoluzione permanente, della capacità di adattarsi ai cambiamenti, in grado di offrire opportunità illimitate per la metamorfosi perseguendo il raggiungimento integrato dei diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite secondo i dieci impegni sopraindicati. Le Comunità Resilienti, attraverso un’azione congiunta e una corresponsabilità, vogliono mettere in campo azioni che riducano le diseguaglianze, attuando soluzioni integrate per ridurre la povertà e la fame, per estendere salute e benessere, per rendere accessibile a tutti un’istruzione di qualità, per promuovere ovunque e in ogni occasione l’eguaglianza di genere e la diversità. Azioni che garantiscano acqua pulita e igiene alle popolazioni, e una energia da fonti rinnovabili facilmente accessibile. Azioni che stimolino la crescita economica attraverso la dignità del lavoro, agevolando lo sviluppo integrato e l’innovazione dell’industria e delle infrastrutture. Azioni che rendano le città e le comunità più sostenibili, riducendo il consumo delle risorse e garantendo una produzione più responsabile. Azioni quotidiane e incisive per contrastare il cambiamento climatico e per adattare meglio gli insediamenti umani alle mutazioni già avvenute e accogliere quelle a venire, salvaguardando
gli equilibri della vita sulla terra, quella marina e sottomarina e i loro complementi abiotici. Infine, azioni che promuovano la pace e la giustizia attraverso il rafforzamento delle istituzioni democratiche a tutti i livelli di governo. Per accelerare la transizione culturale dello sviluppo delle Comunità Resilienti Italiane è necessario individuare per ognuno degli impegni della Carta le necessarie azioni operative in grado di mutare il destino di stasi o declino, attivando il capitale territoriale e umano, valorizzando la propensione dei cittadini alla mobilitazione e alla cooperazione per vincere la sfida contro la marginalità, le diseguaglianze e le conseguenze del cambiamento climatico. La Carta è rivolta a tutti coloro che ne condividono i dieci principi fondamentali, professionisti, decisori, cittadini, studiosi, esperti, imprenditori, attivisti, e richiede un utilizzo aperto e collaborativo affinché ognuno, adottandone i principi e gli impegni, ne sperimenti l’applicazione nei diversi contesti locali, per desumerne le opzioni operative, per arricchirla di processi decisionali e protocolli attuativi che ne facciano la “costituzione materiale” dell’Italia fondata sulla resilienza e sulla capacità e ruolo dell’architettura di dargli forma.
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#Bibliography | Bibliografia
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