L’INFERMIERE NELLA SPERIMENTAZIONE CLINICA
Capitolo
7
INFERMIERI E SPERIMENTAZIONE: UN CONNUBIO POSSIBILE L’esigenza di dedicare un apposito capitolo al ruolo dell’infermiere in un settore, quello della sperimentazione, tradizionalmente appannaggio della professione medica, ha una sua legittimazione anche nel Codice deontologico delle professioni infermieristiche, che dedica a questo tema e alla ricerca scientifica gli articoli 9 e 10. •
Art. 9 – Ricerca scientifica e sperimentazione. L’Infermiere riconosce il valore della ricerca scientifica e della sperimentazione. Elabora, svolge e partecipa a percorsi di ricerca in ambito clinico assistenziale, organizzativo e formativo, rendendone disponibili i risultati.
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Art. 10 – Conoscenza, formazione e aggiornamento. L’Infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate dalla comunità scientifica e aggiorna le competenze attraverso lo studio e la ricerca, il pensiero critico, la riflessione fondata sull’esperienza e le buone pratiche, al fine di garantire la qualità e la sicurezza delle attività. (…)
Il Codice di deontologia del medico riserva alla ricerca e sperimentazione un intero titolo, e ben quattro articoli (compreso quello dedicato alla sperimentazione animale, qui non riportato). TITOLO VII - RICERCA E SPERIMENTAZIONE •
Art. 47 – Sperimentazione scientifica. Il medico nell’attività di sperimentazione persegue il progresso della medicina fondandolo sulla ricerca scientifica, il cui obiettivo primario è quello di migliorare le conoscenze e gli interventi preventivi, diagnostici e terapeutici al fine di tutelare la salute e la vita. La ricerca scientifica si avvale anche della sperimentazione umana e animale, programmata e attuata nel quadro dell’ordinamento. Il medico incentiva modelli alternativi a quelli umani e animali, purché siano fondatamente equivalenti nei profili di efficacia sperimentale. Il medico sperimentatore si attiene inoltre agli indirizzi applicativi allegati.
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Art. 48 – Sperimentazione umana. Il medico attua sull’uomo le sperimentazioni sostenute da protocolli scientificamente fondati e ispirati al principio di salvaguardia della vita e dell’integrità psicofisica e nel rispetto della dignità della persona. La sperimentazione sull’uomo è subordinata al consenso informato scritto del soggetto reclutato e alla contestuale e idonea informazione del medico curante indicato dallo stesso. Il medico informa il soggetto reclutato in merito agli scopi, ai metodi, ai benefici prevedibili e ai rischi, fermo restando il diritto dello stesso di interrompere la sperimentazione in qualsiasi momento, garantendo in ogni caso la continuità assistenziale. Nel caso di minore o di persona incapace, la sperimentazione è ammessa solo per finalità preventive o terapeutiche relative alla condizione patologica in essere o alla sua evoluzione. Il medico documenta la volontà del minore e ne tiene conto.
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Art. 49 – Sperimentazione clinica. Il medico propone e attua protocolli sperimentali clinici a fini preventivi o diagnostico-terapeutici su volontari sani e malati se sono scientificamente fondati la loro sicurezza e il razionale della loro efficacia. La redazione del rapporto finale di una sperimentazione è una competenza esclusiva e non delegabile del medico sperimentatore. Il medico garantisce che il soggetto reclutato non sia sottratto a consolidati trattamenti indispensabili al mantenimento o al ripristino dello stato di salute.
La sperimentazione clinica è “qualsiasi studio sull’uomo finalizzato a scoprire o verificare gli effetti clinici, farmacologici e/o altri effetti farmacodinamici di uno o più medicinali sperimentali, e/o a individuare qualsiasi reazione avversa a uno a più medicinali sperimentali, e/o a studiarne l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’eliminazione, con l’obiettivo di accertarne la sicurezza e/o l’efficacia” (DLgs 24 giugno 2003, n. 2111). La ricerca clinica è un processo sistematico che ha l’obiettivo di generare nuove conoscenze e nuovi saperi da rendere disponibili e utilizzare per migliorare la pratica clinica di tutti i professionisti coinvolti: i farmaci, le tecniche diagnostiche e chirurgiche, i materiali utilizzati oggi come standard sono stati oggetto di studi clinici nel passato più o meno recente. La ricerca clinica, per essere di qualità, richiede personale esperto e dedicato che possa essere in grado di pianificare, organizzare, condurre e gestire progetti e promuovere la divulgazione dei risultati ottenuti in un contesto di elevata professionalità. Gli infermieri possono essere coinvolti in vari modi e a diversi livelli nel processo di ricerca (Ness e Royce, 2017): direttamente come infermieri di ricerca, nella gestione e conduzione degli studi all’interno di un team multidisciplinare, o come infermieri di staff nei reparti e/o servizi dove le persone inserite in un trial possano essere assistite, oppure svolgere la propria attività sul territorio e seguire quegli stessi pazienti al domicilio. È importante che tutto il personale sanitario che segue un paziente arruolato in uno studio clinico conosca l’iter terapeutico e gli obiettivi dello studio per comprendere le scelte effettuate e il percorso intrapreso: questo perché la pratica clinica consiste in prestazioni che vengono erogate per rispondere a una serie di bisogni della singola persona, mentre la ricerca clinica prevede una serie di attività portate avanti per rispondere a quesiti che generano conoscenze utili per i futuri pazienti e per la società (Grady e Edgerly, 2009). Solo conoscendo lo studio l’infermiere può essere di supporto e aiutare la persona a scegliere consapevolmente cosa sia meglio per se stessa (Ness e Royce, 2017): non esistono scelte che in assoluto possano rispondere alle esigenze di tutti i pazienti, ma l’infermiere per il ruolo che riveste può aiutare quel paziente specifico, in un contesto e momento storico definiti. L’infermiere è il professionista con cui i pazienti si rapportano maggiormente anche in ambito di ricerca, e l’infermiere di ricerca è il professionista responsabile del coordinamento, della gestione e dello sviluppo – per quanto concerne le attività di competenza – di tutti gli studi di ricerca clinica: è la figura che permette di creare e mantenere il legame tra la persona arruolata negli studi, il medico, la famiglia, i servizi e tutte le figure coinvolte nell’ambito degli studi clinici. 1 DLgs 24 giugno 2003, n. 211. Attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico. Gazzetta Ufficiale 9 agosto 2003, n. 184.
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L’infermiere di ricerca è coinvolto in tutte le fasi di svolgimento dello studio, dall’attivazione alla sua chiusura. Le attività comprendono la gestione clinico-assistenziale dei pazienti arruolati negli studi clinici e la gestione organizzativa e di pianificazione delle attività e prestazioni previste. Nella fase di attivazione dello studio l’infermiere, in collaborazione con le altre figure professionali coinvolte (medico, data manager o study coordinator) prende parte attivamente al processo di valutazione relativamente agli aspetti assistenziali e di fattibilità, gestisce eventuali problematiche cliniche e logistiche e prepara la documentazione infermieristica specifica richiesta. Dopo l’approvazione da parte del comitato etico si occupa della pianificazione e programmazione delle attività previste dallo studio, dallo screening al follow-up. L’infermiere di ricerca è coinvolto nel reclutamento dei pazienti partecipando ai colloqui di proposta e per l’acquisizione del consenso informato: chiarisce i possibili dubbi e spiega alle persone tutti gli aspetti pratici dello studio; successivamente pianifica le attività quotidiane previste dal protocollo quali visite, esami ematici, esami strumentali. Inoltre si occupa della formazione dei colleghi che possono essere coinvolti nella gestione dei pazienti arruolati (Milani et al., 2017). L’Oncology Nursing Society ha aggiornato nel 2016 il documento Oncology Clinical Trials Nurse Competencies in cui ha elencato nove aree di competenza che un infermiere di ricerca in oncologia dovrebbe acquisire: 1. Aderenza agli standard etici (Adherence to Ethical Standards). 2. Compliance al protocollo (Protocol Compliance). 3. Informazione e consenso (Informed Consent). 4. Reclutamento e fidelizzazione dei pazienti (Patient Recruitment and Retention). 5. Gestione dei pazienti (Management of Clinical Trial Patients). 6. Gestione della documentazione (Documentation and Document Management). 7. Gestione dei dati (Data Management and Information Technology). 8. Gestione finanziaria (Financial Stewardship). 9. Leadership e sviluppo professionale (Leadership and Professional Development).
STORIA N° 29
UNA DECISIONE SOFFERTA
Arianna è un’infermiera di 35 anni che lavora da 12 anni in un Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS). Dopo 8 anni nel reparto di oncologia medica accetta la proposta di dedicarsi a tempo pieno alla ricerca: segue i pazienti a cui viene proposta la partecipazione a un trial clinico, dallo screening al follow-up; si occupa anche di valutazione, preparazione e gestione degli studi clinici che devono essere attivati in collaborazione con i medici e i data manager. Arianna viene coinvolta nell’attivazione di uno studio che prevede un trattamento particolarmente debilitante. In breve tempo si rende conto che tale studio causa alcuni effetti collaterali alle persone arruolate: frequenza degli appuntamenti in Istituto (2 trattamenti alla settimana per 3 settimane consecutive, con una di pausa e poi ripetuti nuovamente) e progressivo deterioramento della qualità di vita a causa di frequenti episodi di diarrea dopo la somministrazione del nuovo farmaco che conduce ad astenia e forte debilitazione. Oltre a segnalare ai ricercatori queste
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continua osservazioni suggerisce agli stessi di fornire informazioni più dettagliate, prima dell’arruolamento, proprio sugli effetti collaterali che, sulla base dei riscontri sui primi pazienti, non vengono esposti in termini di frequenza e intensità. Questa situazione, in mancanza di presa in carico delle segnalazioni, conduce l’infermiera a una serie di riflessioni su come affrontare i colloqui con i pazienti candidati a questo studio e le attività previste dallo stesso. A seguito di un confronto con il dirigente infermieristico della struttura Arianna assume una decisione, che comunica formalmente al principal investigator, ai componenti del team multidisciplinare e al direttore scientifico: sarà presente ai colloqui in quanto garante delle informazioni fornite ai nuovi pazienti, ma non prenderà parte attiva a essi; inoltre assisterà i pazienti dopo il trattamento con la nuova molecola, ma non la somministrerà.
Analisi I problemi etici che scaturiscono da questa storia sono molteplici e sono riconducibili al conflitto causato dal fatto che gli infermieri di ricerca si fanno garanti della tutela dei diritti delle persone arruolate nei trial e allo stesso tempo assicurano la corretta conduzione degli studi. L’infermiere è punto di riferimento per pazienti e familiari; è responsabile dell’educazione sanitaria, e quindi risponde alle domande specifiche che la persona pone sullo studio, sugli effetti collaterali e sui possibili benefici. In un caso come questo il conflitto tra ciò che Arianna ha potuto osservare e le ipotesi di ricerca correlate all’efficacia definite dallo studio e alla comparsa di eventi avversi è evidente. L’art. 2 del Codice – “L’Infermiere orienta il suo agire al bene della persona, della famiglia e della collettività. Le sue azioni si realizzano e si sviluppano nell’ambito della pratica clinica, dell’organizzazione, dell’educazione e della ricerca” – è una chiara indicazione ad agire nel rispetto del principio di beneficità “fare il bene della persona”. La decisione di Arianna e la sua presenza “muta” possono stimolare il personale coinvolto a prendere in considerazione la rivalutazione scientifica ed etica dello studio, per decidere se emendarlo, modificando la posologia o la schedula di trattamento, o addirittura optando per la sua chiusura. “Quando i rischi si presentano superiori ai potenziali benefici o quando vi è la prova degli esiti definitivi, i medici devono valutare se continuare, modificare o interrompere immediatamente lo studio” recita la Dichiarazione di Helsinki2. Altro aspetto a forte impatto etico è la necessità di garantire che le persone ricevano tutte le informazioni per poter scegliere consapevolmente di partecipare o meno allo studio proposto. L’infermiere di ricerca deve essere presente durante i colloqui di arruolamento in quanto la sua presenza è essenziale per fornire alla persona che accetta di entrare nello studio tutte le informazioni pratiche di cui necessita, in modo che sia chiaro, per esempio, l’impegno in termini di tempo da trascorrere in ospedale e le scadenze che dovranno essere rispettate per la programmazione di tutte le procedure previste dallo studio clinico. Sono queste informazioni fondamentali per garantire al paziente una scelta consapevole, nel rispetto del principio di autonomia e autodeterminazione. 2
www.wma.net/e/policy/b3.htm
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Dopo aver osservato gli eventi avversi comparsi in tutti i pazienti trattati a tutti i cicli, per Arianna non poteva essere accettabile continuare a fornire indicazioni sottostimate e troppo ottimistiche: la valutazione negativa che esprime verso la sperimentazione rischia di influenzare la decisione dei pazienti, spingendoli a decidere di non partecipare alla sperimentazione. Questa situazione non è accettabile per Arianna, perché consapevole che la partecipazione a uno studio clinico è una possibilità terapeutica per i pazienti e, non avendo ancora dati validati che supportino la sua percezione rispetto all’inadeguatezza dello studio, non ritiene corretto influenzare tali decisioni. L’art. 10 del Codice richiamato nell’incipit dispone che l’infermiere fondi il proprio operato su conoscenze validate dalla comunità scientifica, ma la decisione di non partecipare attivamente al colloquio di proposta dello studio lascia, comunque, Arianna “giustamente insoddisfatta” perché non sente di assolvere del tutto al suo ruolo di advocator (termine definito più avanti). Analizzando il caso si può constatare come un coinvolgimento dell’infermiere di ricerca già durante la progettazione e la stesura di uno studio clinico potrebbe portare vantaggi nella strutturazione degli schemi terapeutici e nella definizione di tempi e modalità organizzative e logistiche.
REGOLAMENTAZIONE DELLA SPERIMENTAZIONE CLINICA Tutti i professionisti sanitari coinvolti nel complesso processo della sperimentazione clinica devono essere adeguatamente formati e aggiornati periodicamente per garantire la sicurezza ai malati, la qualità dei risultati ottenuti e per assumere la responsabilità di gestire eticamente la conduzione del trial. Essere parte attiva nel processo di ricerca deve necessariamente prevedere un’adeguata formazione sui principi etici per conciliare la necessità di rigore metodologico, che garantisce il successo della ricerca in termini scientifici, e il rispetto della persona, soggetto e oggetto della ricerca. “La ricerca medica che coinvolge soggetti umani deve essere condotta da persone con un’appropriata etica, istruzione scientifica, formazione e qualifiche” (WMA, World Medical Association). In Italia da alcuni anni sono organizzati master interdisciplinari di 1° e 2° livello per la formazione dei professionisti di ricerca clinica. Nel riquadro che segue viene presentata una sintesi della proposta formativa per l’anno accademico 2019/20 presso l’Università Statale di Milano.
PROPOSTA
FORMATIVA
MASTER DI 1° LIVELLO IN RICERCA CLINICA* Il Master in Ricerca clinica è organizzato in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri IRCCS” (sede di Milano). Il corso è concepito e organizzato per medici, biologi, biotecnologici, farmacisti, infermieri, informatici e bioinformatici che siano interessati ad acquisire le conoscenze e competenze necessarie alla conduzione di studi clinici, a partire dalle norme legislative ed etiche che li regolamentano, dal disegno ed esecuzione secondo la good clinical practice, dalla corretta raccolta e conservazione dei dati alla loro analisi statistica.
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continua Alla fine del corso Master i professionisti saranno in grado di pianificare e seguire tutte le fasi degli studi epidemiologici e delle sperimentazioni cliniche, analizzare criticamente i risultati ottenuti e presentare i risultati alla comunità scientifica. Il percorso formativo comprende attività didattica frontale e altre forme di addestramento, quali esercitazioni pratiche nei laboratori, per un totale di 500 ore. La didattica frontale si articola nei seguenti moduli: • • • • • • • • • •
Metodologia della ricerca clinica Normativa e bioetica Pianificazione e organizzazione di una sperimentazione Statistica applicata alla ricerca clinica Valutazione del profilo di sicurezza dei farmaci impiegati nelle sperimentazioni e metodi di farmacovigilanza Farmacogenetica e farmagenomica Terapia genica - normativa AIFA - sicurezza Studi di equivalenza terapeutica Sperimentazione clinica e normativa dei dispositivi medici Altri aspetti della ricerca clinica
Seguirà un periodo di tirocinio della durata di 300 ore. La prova finale per il conseguimento del Master consiste nella presentazione e discussione di un protocollo di ricerca clinica. * presso Univeristà degli Studi di Milano
Nel percorso di formazione deve essere inserita la documentazione prodotta e la regolamentazione approvata a livello internazionale e nazionale, che prescrivono come condurre eticamente la ricerca. I principali documenti sono il Codice di Norimberga, emesso nel 1947 a seguito delle atrocità perpetrate dai medici nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, la Dichiarazione di Helsinki, emanata nel 1964 dalla World Medical Association e revisionata più volte nel corso degli anni e l’Ethical principles and guidelines for the protection of Human Subjects of research, più noto come Rapporto Belmont del 1979 in cui vengono riassunti i tre principi etici fondamentali da osservare e rispettare nella conduzione degli studi: rispetto per la persona, beneficità e giustizia.
LA
DICHIARAZIONE DI
HELSINKI
E LA
“GOOD
CLINICAL PRACTICE”
La Dichiarazione di Helsinki è considerata la linea guida principale per chi si occupa di sperimentazione e ricerca scientifica, in cui sono stati definiti i principi etici che devono orientare e promuovere la ricerca medica sull’uomo, con l’obiettivo fondamentale di tutelare e difendere i diritti della persona. La Dichiarazione di Helsinki è stata elaborata dall’Associazione Medica Mondiale, ma “incoraggia le altre figure coinvolte nella ricerca medica sui soggetti umani ad
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adottare questi principi” (art. 2). L’ultima versione del 2013 è strutturata nelle sezioni: principi generali; rischi, oneri e vantaggi; gruppi e individui vulnerabili; requisiti scientifici e protocolli di ricerca; comitati etici di ricerca; privacy e riservatezza; consenso informato; uso del placebo; disposizioni post-studio; registrazione dello studio, pubblicazione e diffusione dei dati; interventi non provati nella pratica clinica. L’aggiornamento del 2013 ha apportato miglioramenti rispetto alla precedente versione del 2008, organizzando e ordinando gli argomenti, ma alcuni punti rimangono ancora non chiari e presentano alcuni limiti. Nell’articolo 33 viene preso in considerazione l’utilizzo del placebo, definendo che è accettabile “quando non esiste un intervento valido”, ma aggiunge una deroga “quando per convincenti e scientificamente solide ragioni metodologiche l’utilizzo di un intervento meno efficace come l’uso del placebo o di nessun intervento è necessario a determinare l’efficacia o la sicurezza di un trattamento. I pazienti che ricevono qualsiasi intervento medico meno efficace rispetto a quello dimostrato come tale, ricevono il placebo o nessun intervento, non dovranno essere esposti a rischi aggiuntivi irreversibili o a seri danni come conseguenza del non aver ricevuto il miglior trattamento disponibile…”. L’eccezione alla regola può comportare il rischio di abusi, esponendo le persone a rischi inutili. La “Good Clinical Practice” (GCP) è un altro documento essenziale per la conduzione di qualsiasi sperimentazione clinica. Queste linee-guida di buona pratica clinica costituiscono “uno standard internazionale di etica e qualità scientifica per progettare, condurre, registrare e relazionare gli studi clinici che coinvolgano soggetti umani. L’aderenza agli standard GCP garantisce pubblicamente non solo la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti che partecipano allo studio, in conformità con i princìpi stabiliti dalla Dichiarazione di Helsinki, ma anche l’attendibilità dei dati relativi allo studio clinico” (ICH, 1996). Le linee-guida GCP sono state definite nel 1996 dalla “Conferenza internazionale per l’armonizzazione dei requisiti tecnici per la registrazione dei farmaci a uso umano” (ICH) – un organismo internazionale cui aderiscono i Paesi dell’Unione europea, gli Stati Uniti d’America e il Giappone – e sono entrate in vigore a livello internazionale l’anno successivo. Sono composte da una prima parte in cui è riportato il glossario dei termini specifici dell’ambito della ricerca clinica; nel Capitolo 2 sono riportati i principi di GCP a cui tutti gli studi clinici devono essere condotti. Inoltre vengono definiti i ruoli e le responsabilità dello sperimentatore e dello sponsor e la documentazione necessaria per la conduzione di uno studio clinico.
INFORMAZIONE E CONSENSO NELLA SPERIMENTAZIONE STORIA N° 30
AUTODETERMINAZIONE
All’età di sessant’anni a Francesca viene diagnosticato un melanoma. La biopsia del linfonodo sentinella risulta positiva a livello inguinale sinistro. Nell’agosto del 2008 viene eseguito lo svuotamento linfonodale sinistro. Alla visita di controllo di dicembre dello stesso anno si presenta con una PET (tomografia a emissione di positroni) che mostra un interessamento a livello inguinale sinistro, epatico, surrenale destro, ovarico sinistro e osseo.
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continua A gennaio Francesca inizia ad avere dolore: viene trattata con oppiacei transdermici, cortisonici e analgesici per os, con difficoltà nella deambulazione; inoltre l’arto inferiore sinistro si presenta edematoso e per sospetta tromboembolia venosa profonda (TVP) si inizia la somministrazione di eparina a basso peso molecolare. Le viene proposto di iniziare un trattamento chemioterapico sistemico settimanale, ma la donna non è convinta, nonostante i familiari insistano con i medici curanti perché si inizi al più presto. Francesca, per accondiscendere alle richieste del marito e dei due figli, dà il consenso. Il 20 gennaio 2009 si presenta in reparto per la prima somministrazione di terapia, palesemente provata dalle pressioni ricevute in famiglia per prendere questa decisione. Rientrata al domicilio i parenti telefonano più volte ai medici e alle infermiere del reparto con la richiesta di contattare la loro paziente per convincerla a proseguire il trattamento. Francesca, infatti, ha deciso di interrompere la terapia e di non tornare più in ospedale. I familiari e l’équipe operano un ultimo tentativo di convincimento: Francesca si reca in reparto il giorno stabilito per il secondo trattamento ma lo rifiuta. I medici non possono che prendere atto della volontà della donna e le propongono di essere seguita a casa dal servizio di cure palliative della città di residenza. Viene anche consigliato un supporto psicologico, che dovrebbe potenziare la terapia antidepressiva prescritta. Francesca muore due mesi dopo, a casa propria, senza più essere tornata per controlli in ospedale.
Analisi In questa storia si evidenzia che il primo approccio dell’équipe con Francesca, una volta avuta notizia della presenza di metastasi, è stato quello di proporre una terapia, a tutti i costi, senza prima acquisire informazioni sulle aspettative, il sistema di valori, le scelte condivise o meno con curanti e familiari della persona in carico. È l’atteggiamento paternalistico del medico che permane ancora in molti setting, spesso dove arrivano pazienti con diagnosi infauste, che si scontra però con il principio che legittima l’azione dei sanitari, l’autodeterminazione del destinatario delle cure. Francesca ha diritto ad avere tutte le informazioni prima di decidere, anche quelle relative agli effetti collaterali e alle probabilità di sopravvivenza se decide di accettare la chemioterapia. È oggetto di discussione nella comunità scientifica se sia corretto fornire dati prognostici di letteratura sulla sopravvivenza essendo la variabilità molto ampia, e quindi nessuno può garantire che questi tempi vengano rispettati. All’art. 33 del Codice di deontologia medica (2014) sono elencate le caratteristiche della ‘buona informazione’: “comprensibile ed esaustiva sulla prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, sui prevedibili rischi e complicanze, nonché sui comportamenti che il paziente dovrà osservare nel processo di cura (…) tenendo conto della sensibilità e reattività emotiva (…), in particolare in caso di prognosi gravi o infauste, senza escludere elementi di speranza. Nel quadrilatero della soddisfazione Francesca è “ingiustamente insoddisfatta”, i familiari e l’équipe sono “giustamente insoddisfatti”. Il consenso informato è parte integrante di qualsiasi tipologia di intervento ed è molto importante nell’ambito della ricerca. Mentre si ottiene il consenso attraverso un
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dialogo adeguato con la persona emerge il ruolo di advocator del personale infermieristico, che ha l’obbligo etico di agire come difensore dell’autonomia della persona all’interno del processo. In un clima che promuove un’assistenza basata su prove di efficacia come gold standard, è fondamentale che il ruolo dell’advocacy sia supportato da dati e contestualizzato dalla teoria. La mancata o carente informazione e/o mancata acquisizione del consenso prima di procedere all’arruolamento all’interno di un protocollo di ricerca è una violazione del dovere verso la persona, così come ampiamente illustrato nel Capitolo 2. Il Codice Etico dell’American Nurses Association del 2011 sottolinea che gli infermieri devono valutare qualità e adeguatezza del processo di informazione e consenso, capacità e comprensione della persona: “L’infermiera conserva, protegge, e sostiene [l’autonomia del paziente] valutando la comprensione da parte del paziente di entrambe le informazioni presentate e le implicazioni delle decisioni”. Il Codice dichiara esplicitamente che gli infermieri sono eticamente vincolati a garantire che i pazienti abbiano accesso a un’informazione completa e comprensibile, in un ambiente libero da strutture di potere che potrebbero inibire una decisione autonoma, e le risorse necessarie per porre rimedio a qualsiasi conoscenza. Quando gli infermieri partecipano attivamente al processo di informazione e consenso forniscono anche un valore sistemico: essi proteggono da forme di paternalismo sistemico e dalla coercizione, garantendo che le persone arruolate non si sentano intimidite dall’ambiente circostante, sotto pressione da vincoli di tempo, o messi a tacere dai sottostanti usi e costumi sociali. Concludono il capitolo altre due storie che vedono impegnati infermieri di ricerca, accompagnate da alcune domande per la riflessione e l’analisi delle problematiche etiche sottese.
STORIA N° 31
LA VIGNA DI CARLO
Carlo è un uomo di 77 anni, lavora da sempre in un’azienda agricola. È affetto da un melanoma metastatico e dopo varie linee di trattamento gli viene proposta la partecipazione a uno studio clinico. Carlo si presenta al colloquio con Stefano, il figlio di 38 anni, molto motivato e interessato allo studio proposto al padre, perché ha sentito parlare del farmaco sperimentale che sembra essere piuttosto efficace. Durante il colloquio di proposta Stefano pone domande sui dati disponibili in merito all’efficacia del farmaco, alla sopravvivenza a 5 anni, e il dottor Piero risponde con accuratezza. Nel frattempo Cristiana, l’infermiera di ricerca che gestisce lo studio, osserva Carlo che non sembra particolarmente interessato a tutta la conversazione. Chiede a Carlo cosa ne pensa e se ritiene che la partecipazione allo studio possa essere la scelta giusta per lui. Carlo risponde che sì, sembra tutto molto interessante, ma che la cosa più importante per lui è curare la sua vigna. Il medico cerca di spiegare a Carlo che quella potrebbe essere la terapia giusta, perché il farmaco sembra davvero molto promettente e ben tollerato, ma Carlo continua a parlare della passione per le sue piante. Dopo qualche giorno Piero e Cristiana ricontattano Carlo per conoscere la sua decisione in merito alla partecipazione allo studio. Contro ogni previsione Carlo ha deciso: parteciperà. Viene organizzata la visita per la firma del consenso e l’inizio delle procedure di screening. Cristiana accompagna Carlo al punto prelievi per effettuare gli esami
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continua ematici e, chiacchierando con Carlo, scopre che l’uomo ha deciso di accettare per non deludere le aspettative del figlio. Cristiana, terminate tutte le attività previste per quel giorno, decide di portare in discussione nell’équipe multidisciplinare del pomeriggio la segnalazione ricevuta per valutare se proseguire il percorso terapeutico intrapreso da Carlo. All’unanimità l’équipe decide di continuare.
Alcune domande per l’analisi e la discussione 1. È eticamente accettabile che Carlo continui nel suo percorso di studio? 2. Quali possono essere le motivazioni che hanno portato l’équipe multidisciplinare ad accettare la scelta di Carlo? 3. Potrebbe essere lecito, dal punto di vista etico, decidere di non includere Carlo nello studio? Perché?
STORIA N° 32
IL LAVORO PRIMA DI TUTTO
Miriam è una manager di 39 anni, a cui è stato diagnosticato un tumore mammario. Si presenta in ambulatorio per la prima visita dicendo al medico che vuole assolutamente partecipare a uno studio neoadiuvante che si conclude con l’intervento chirurgico. Navigando su internet è venuta a conoscenza di questo trial e ritiene di avere tutte le caratteristiche per poter partecipare. Il medico affida Miriam a Maria, l’infermiera di ricerca responsabile dello studio, che le spiega tutte le procedure e fissa con lei una serie di appuntamenti. “Io posso essere qui il martedì e il mercoledì perché per motivi lavorativi gli altri giorni non ce la faccio e poi ho alcuni week end impegnati per corsi già programmati che mi è impossibile disdire…” Maria spiega con pazienza che la partecipazione a uno studio richiede impegno da entrambe le parti e che, se desidera partecipare, dovrà adattarsi ai tempi del protocollo. Maria pone al medico il dubbio che Miriam non sia la paziente ideale per quello studio, ma la forte motivazione della donna spinge a proseguire nel percorso scelto. Durante i trattamenti Miriam più volte non si presenta agli appuntamenti o arriva con ore di ritardo rispetto all’orario fissato. Maria segnala le problematiche organizzative e ritiene necessario rivalutare la sua prosecuzione nell’ambito dello studio. Mancano pochi appuntamenti e Miriam si ritira dallo studio: ha deciso di rivolgersi a un’altra struttura per effettuare l’intervento chirurgico.
Alcune domande per l’analisi e la discussione 1. È sempre corretto assecondare le richieste del paziente? 2. Maria avrebbe potuto agire in maniera differente? 3. In una situazione analoga, può essere lecito decidere di interrompere il percorso di studio o addirittura decidere di non arruolare la paziente nello studio?
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI Le persone che gli infermieri assistono quotidianamente chiedono risposte appropriate ai loro bisogni di salute, che sono sempre più complessi. L’attività degli infermieri è finalizzata a prendersi cura delle persone attraverso interventi orientati e basati su evidenze scientifiche, sicuri e validati che garantiscono il dovere e salvaguardano il diritto a offrire e ricevere trattamenti sicuri e appropriati; prendersi cura significa quindi porsi in un atteggiamento costante di ricerca/sperimentazione, perché ogni strategia assistenziale implementata deve essere suffragata da solide evidenze scientifiche (Tognoni, 2014). La presa di posizione, nel 2014, dell’Ordine degli infermieri di Brescia in merito al coinvolgimento di propri iscritti nei trattamenti con il metodo Stamina ne è una dimostrazione. Si rimanda al Capitolo 11 per un approfondimento su questa vicenda. Anche se i documenti analizzati che regolamentano la ricerca e le sperimentazioni tengono conto soprattutto dell’attività medica, in quanto scritti da medici e orientati principalmente a definire il loro ruolo e responsabilità all’interno di questi processi, i principi declinati devono appartenere a pieno titolo alla cultura, alla pratica e al ruolo delle competenze infermieristiche (Tognoni, 2014). Gli ambiti in cui l’infermiere può dare un deciso contributo sono molti: su tutti il tema dell’informazione e dell’ottenimento del consenso, perché la persona arruolata, specie se fragile – e la malattia già di per sé determina questa condizione – sia veramente consapevole di cosa significhi partecipare a un trial clinico e quali siano le opportunità che far parte di un trial può garantire, ma anche quali possano essere i rischi e le difficoltà in cui si può incorrere nel percorso di ricerca. Gli infermieri possono contribuire a evidenziare i campi in cui vi è la necessità di investire in termini di ricerca: settori oggi poco studiati, quali l’area della psichiatria e delle malattie croniche, o fasce della popolazione poco considerate come quella dei grandi anziani o dei disabili psichici. In questi ambiti si concentrano molte delle risorse economiche, e nel futuro sarà sempre di più così: è importante che gli infermieri prestino sempre più attenzione e verifichino i risultati dei modelli e gli interventi che vanno a finanziare. Il lavoro deve essere pensato e organizzato multidisciplinariamente e nello specifico multiprofessionalmente, per garantire che il quesito alla base della sperimentazione riceva una risposta esaustiva e completa. Vi è, quindi, una responsabilità crescente di formare reti di alleanze tra competenze e saperi medici e infermieristici e delle altre professioni sanitarie coinvolte, anche e soprattutto nel campo della ricerca clinica.
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