Termodinamica e trasmissione del calore, 5e - Capitolo 2

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Capitolo 2 Introduzione e concetti fondamentali

A

ogni disciplina scientifica è associato un vocabolario peculiare, e la termodinamica non fa eccezione. La definizione precisa dei concetti fondamentali costituisce solide fondamenta per lo sviluppo di una disciplina scientifica e impedisce possibili fraintendimenti. Questo capitolo comincia con un esame di alcuni concetti fondamentali, quali sistema, stato, postulato di stato, equilibrio e trasformazione. Verranno esaminate anche la temperatura e le scale termometriche, dando particolare rilievo alla Scala Internazionale di Temperatura del 1990 (STI-90) [International Temperature Scale of 1990 (ITS-90)]. Poi verrà presentata la pressione, la forza esercitata in direzione normale da un fluido su una superficie di area unitaria, e verranno esaminate la pressione assoluta e la pressione relativa, la variazione di pressione al variare della profondità, e gli strumenti di misurazione della pressione, quali i manometri e i barometri. Lo studio accurato di questi concetti è essenziale per una buona comprensione degli argomenti che verranno presentati nei capitoli seguenti.

Obiettivi Gli obiettivi di questo capitolo sono: • individuare il vocabolario peculiare associato alla termodinamica attraverso la definizione precisa dei concetti fondamentali per costituire solide fondamenta per lo sviluppo dei principi della termodinamica; • spiegare i concetti fondamentali della termodinamica quali sistema, stato, postulato di stato, equilibrio, trasformazione e ciclo; • ripassare i concetti di temperatura, scale di temperatura, pressione, pressione assoluta e pressione relativa.


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Introduzione e concetti fondamentali

2.1

AMBIENTE

SISTEMA

CONTORNO

FIGURA 2.1 Sistema, ambiente e contorno.

SISTEMA CHIUSO

Massa NO

m = costante Energia SÌ

FIGURA 2.2 La massa, al contrario dell’energia, non può attraversare il contorno di un sistema chiuso. Contorno: parte mobile GAS 2 kg 3 m3

GAS 2 kg 1 m3

Contorno: parte fissa

FIGURA 2.3 Sistema chiuso con contorno mobile.

I sistemi e i volumi di controllo

Si definisce sistema termodinamico, o semplicemente sistema, la quantità di materia o la regione di spazio che si prende in considerazione. La massa o la regione al di fuori del sistema è detta ambiente, mentre la superficie reale o immaginaria che separa il sistema dall’ambiente è detta contorno del sistema. Questi termini sono illustrati nella Figura 2.1. Il contorno di un sistema può essere fisso o mobile. Si noti che il contorno è la superficie di contatto condivisa dal sistema e dall’ambiente. In termini matematici, il contorno ha spessore nullo e pertanto non può né contenere massa né occupare volume. I sistemi possono risultare chiusi o aperti a seconda che si scelga di considerare una fissata quantità di materia o un fissato volume. Un sistema chiuso, detto anche massa di controllo, è costituito da una determinata quantità di materia ed è caratterizzato dal fatto che il suo contorno non permette il passaggio di materia. Mentre la massa non può né entrare né uscire da un sistema chiuso, come mostrato nella Figura 2.2, l’energia può attraversare il suo contorno sotto forma di calore o di lavoro. Nel caso particolare in cui anche all’energia non sia consentito attraversare il contorno, il sistema è detto isolato. Si consideri il dispositivo cilindro-pistone mostrato nella Figura 2.3 e si ipotizzi di voler scoprire ciò che accade al gas contenuto nel cilindro quando viene riscaldato. In questo caso, poiché si sta focalizzando l’attenzione sul gas, esso costituisce il sistema. Le superfici interne del pistone e del cilindro costituiscono il contorno del sistema, che, poiché nessuna massa può attraversare il contorno, è un sistema chiuso. Si noti che l’energia, invece, può attraversare il contorno e che una parte di quest’ultimo (la superficie interna del pistone, in questo caso) può muoversi. Tutto ciò che è esterno al gas, pistone e cilindro inclusi, costituisce l’ambiente. Un sistema aperto o, come spesso viene chiamato, un volume di controllo è una regione dello spazio delimitata da un contorno, detto superficie di controllo, che almeno parzialmente permette il passaggio di materia. Tra i sistemi aperti vanno inclusi i dispositivi interessati da un flusso di massa come compressori, turbine o ugelli. Il flusso attraverso questi dispositivi viene analizzato meglio individuando come volume di controllo la regione interna al dispositivo. Massa ed energia possono entrambe attraversare il contorno di un volume di controllo. Numerosi problemi ingegneristici implicano un flusso di massa dall’esterno all’interno di un sistema e viceversa e, quindi, vengono modellizzati come volumi di controllo. Uno scaldacqua, un radiatore automobilistico, una turbina e un compressore implicano un flusso di massa e quindi dovrebbero essere analizzati come volumi di controllo (sistemi aperti) invece che come masse di controllo (sistemi chiusi). In generale, si può scegliere come volume di controllo qualsiasi regione arbitraria nello spazio. Non esistono regole pratiche per la scelta dei volumi di controllo, ma di certo la scelta appropriata facilita molto l’analisi. Per esempio, se si dovesse analizzare il flusso di aria attraverso un ugello, una scelta appropriata per il volume di controllo sarebbe la regione all’interno dell’ugello. Il contorno del volume di controllo è detto superficie di controllo, che può essere reale o immaginaria. Nel caso di un ugello, la superficie interna dell’ugello costituisce la parte reale del contorno e le regioni di entrata e di uscita costituiscono la parte immaginaria, poiché ivi non esistono superfici fisiche (Figura 2.4a). Un volume di controllo può avere estensione e forma fisse, come nel caso di un ugello, oppure può avere un contorno mobile, come è mostrato nella Figura 2.4b. Tuttavia, la maggior parte dei volumi di controllo ha un contorno fisso e quindi non implica un contorno mobile. Un volume di controllo (sistema aperto) può


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Capitolo 2

Contorno immaginario

Contorno reale

VC (un ugello)

Contorno mobile

FIGURA 2.4 Un volume di controllo (VC) (sistema aperto) può implicare un contorno fisso, un contorno mobile, un contorno reale e un contorno immaginario.

VC Contorno fisso

(a) Un volume di controllo (VC) con un contorno reale e un contorno immaginario

(b) Un volume di controllo (VC) con un contorno fisso e un contorno mobile

anche implicare interazioni di calore e di lavoro, come un sistema chiuso, oltre all’interazione di massa. Come esempio di sistema aperto si consideri lo scaldacqua, mostrato nella Figura 2.5, e si supponga di voler determinare la potenza termica da trasferire all’acqua contenuta nel serbatoio perché fornisca una portata costante di acqua calda. Poiché l’acqua calda lascia il serbatoio e viene sostituita da acqua fredda, non è opportuno assumere come sistema una fissata massa. Conviene, invece, porre l’attenzione sul volume racchiuso dalle superfici interne del serbatoio e considerare i flussi di acqua fredda e calda come flussi di massa rispettivamente entranti e uscenti dal volume di controllo. Le superfici interne del serbatoio costituiscono la superficie di controllo che è attraversata dai flussi di massa in due zone. In tutte le analisi termodinamiche, il sistema deve essere accuratamente definito. Molto spesso il sistema da studiare è talmente semplice e ovvio che la sua definizione può sembrare un lavoro tedioso e inutile. In altri casi, invece, il sistema da analizzare può essere piuttosto complesso e una sua idonea scelta può semplificare molto l’analisi.

2.2

Acqua calda uscente

Le proprietà di un sistema

Ogni caratteristica di un sistema termodinamico è chiamata proprietà; per esempio: la pressione p, la temperatura T, il volume V e la massa m. L’elenco può essere esteso a proprietà meno familiari come la viscosità, la conducibilità termica, il modulo di elasticità, il coefficiente di dilatazione termica, la resistività elettrica e anche la velocità e la quota. Le proprietà dei sistemi possono essere classificate in intensive ed estensive. Le proprietà intensive sono quelle che non dipendono dalle dimensioni del sistema: per esempio, la temperatura, la pressione e la densità (Figura 2.6). Le proprietà estensive, invece, sono quelle che dipendono dalle dimensioni  o estensione  del sistema: per esempio, la massa m, il volume V e l’energia totale E. Un metodo semplice per stabilire se una proprietà è intensiva o estensiva consiste nel dividere il sistema in due parti uguali con un divisorio, come mostrato in Figura 2.6. Le proprietà che, in ciascuna delle due parti, conservano gli stessi valori del sistema originario sono intensive, mentre quelle che assumono un valore ridotto alla metà sono estensive. Generalmente, per indicare le proprietà estensive si usano lettere maiuscole (tra le poche eccezioni vi è la massa m); mentre per le proprietà intensive si usano le lettere minuscole (la temperatura T fa eccezione). Le proprietà estensive riferite all’unità di massa vengono chiamate proprietà specifiche: per esempio, il volume specifico (v = V/m), l’energia totale specifica (e = E/m) e l’energia interna specifica (u = U/m).

Superficie di controllo SCALDACQUA (volume di controllo)

Acqua fredda entrante

FIGURA 2.5 Un sistema aperto (un volume di controllo) con un’entrata e un’uscita.

m V T p ρ

1 2 1 2

m V T p ρ

1 2 1 2

m V T p ρ

Proprietà estensive Proprietà intensive

FIGURA 2.6 Criterio per distinguere le proprietà intensive da quelle estensive.


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Introduzione e concetti fondamentali

©McGraw Hill Education

2.2.1

FIGURA 2.7 La scala di lunghezze associata alla maggior parte dei flussi fluidi (delle correnti fluide), come nel caso di questi gabbiani in volo, è di più ordini di grandezza maggiore del cammino libero medio delle molecole d’aria. Perciò, per questi flussi fluidi, e per tutti quelli considerati in questo libro, è appropriata l’idealizzazione del continuum.

O2

1 atm, 20 °C

2.5 × 1016 molecole/mm3

Continuum

La materia è costituita da atomi che, nella fase gassosa, sono situati a grandi distanze reciproche. Conviene tuttavia trascurare la natura atomica di una sostanza e considerarla come materia omogenea continua, senza discontinuità, cioè come un continuum. L’idealizzazione del continuum permette di trattare le proprietà come funzioni di punto e di supporre che le proprietà varino con continuità nello spazio senza discontinuità. Questa idealizzazione è valida purché le dimensioni del sistema di interesse siano grandi rispetto alle distanze intermolecolari (Figura 2.7). È quanto avviene in quasi tutti i problemi, tranne che in alcuni problemi particolari. L’idealizzazione del continuum è implicita in molti enunciati, come “la densità dell’acqua in un bicchiere è la stessa in ogni punto”. Per farsi un’idea delle distanze implicate a livello molecolare, si consideri un recipiente pieno di ossigeno in condizioni atmosferiche. Il diametro della molecola di ossigeno è circa 3  1010 m e la sua massa è 5.3  1026 kg. Inoltre, il cammino libero medio delle molecole di ossigeno alla pressione di 1 atm e alla temperatura di 20 °C è 6.3  108 m. Cioè, una molecola di ossigeno percorre, in media, una distanza di 6.3  108 m (circa 200 volte il suo diametro) prima di urtare contro un’altra molecola. Inoltre, sono presenti circa 2.5  1016 molecole di ossigeno nel minuscolo volume di 1 mm3 alla pressione di 1 atm (101 325 Pa) e alla temperatura di 20 °C (Figura 2.8). Il modello del continuum è valido purché la lunghezza caratteristica del sistema (quale il suo diametro) sia molto maggiore del cammino libero medio delle molecole. In condizioni di vuoto molto spinto o a quote molto elevate, il cammino libero medio diventa grande (per esempio, è circa 0.1 m per l’aria atmosferica a una quota di 100 km). In questi casi si dovrebbe impiegare la teoria dei flussi di gas rarefatti e si dovrebbero prendere in considerazione gli urti delle singole molecole. In questo libro ci si limiterà a considerare sostanze che siamo modellizzabili come un continuum.

VUOTO

2.3 FIGURA 2.8 Nonostante i grandi spazi vuoti tra le molecole, una sostanza può essere assimilata a un continuum in virtù del grandissimo numero di molecole presenti anche in un volume estremamente piccolo.

La densità e la densità relativa

La densità è, per definizione, la massa riferita all’unità di volume (Figura 2.9), cioè: Densità:

ρ=

m V

ρ = 0.25 kg/m3 1 V = = 4 m3/kg ρ

FIGURA 2.9 La densità è la massa per unità di volume; il volume specifico è il volume per unità di massa.

(2.1)

Il reciproco della densità è il volume specifico, per definizione il volume riferito all’unità di massa: v=

V = 12 m3 m = 3 kg

(kg/m3 )

V 1 = m ρ

(2.2)

Per un elemento di volume molto piccolo di massa d m e volume d V, la densità può essere espressa come r = dm / d V. La densità di una sostanza dipende in generale dalla temperatura e dalla pressione. La densità della maggior parte dei gas è direttamente proporzionale alla pressione e inversamente proporzionale alla temperatura. I liquidi e i solidi, d’altra parte, sono sostanze praticamente incomprimibili e la variazione della loro densità al variare della pressione è generalmente trascurabile. A 20 °C, per esempio, la densità dell’acqua varia da 998 kg/m3 con 1 atm (101 325 Pa) a 1003 kg/m3 con 100 atm (10 132 500 Pa), con una variazione di soltanto lo 0.5%. La densità dei liquidi e dei solidi dipende dalla temperatura molto più di quanto dipenda dalla pressione. A 1 atm, per esempio, la densità dell’acqua varia da 998 kg/m3 con 20 °C a 975 kg/m3 con 75 °C, con una variazione


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Capitolo 2

del 2.3%, che può ancora essere trascurata in molte analisi ingegneristiche. La densità di una sostanza, riferita talvolta alla densità di una sostanza ben nota, è detta densità relativa ed è, per definizione, il rapporto tra la densità di una sostanza e la densità di una sostanza di riferimento a una temperatura specificata (generalmente acqua a 4 °C, per la quale racqua = 1000 kg/m3). Cioè: d=

ρ ρacqua

(2.3)

È importante notare che la densità relativa di una sostanza è una grandezza adimensionata, cioè priva di unità di misura. Però, nel SI il valore numerico della densità relativa di una sostanza è esattamente uguale alla densità espressa in grammi al centimetro cubo (g/cm3) oppure in kilogrammi al litro (kg/L) (ossia 0.001 volte la densità espressa in kilogrammi al metro cubo) perché la densità dell’acqua a 4 °C è 1 g/cm3 = 1 kg/L = 1000 kg/m3. Per esempio, la densità relativa del mercurio a 20 °C è 13.6. Perciò, la sua densità a 20 °C è 13.6 g/cm3 = 13.6 kg/L = 13 600 kg/m3. Le densità relative di alcune sostanze a 20 °C sono indicate nella Tabella 2.1. È importante notare che le sostanze con densità relative minori di 1 sono “più leggere” dell’acqua e quindi galleggiano sull’acqua (se immiscibili con l’acqua). Il peso di un volume unitario di una sostanza è detto peso specifico: Peso specifico:

g = rg

(N/m3)

Sostanza

Densità relativa

Acqua Sangue (a 37 °C) Acqua di mare Benzina Etanolo (alcol etilico) Mercurio Legno di balsa Legno di quercia denso Ossa Oro Ghiaccio (a 0 °C) Aria

1.0 1.06 1.025 0.68 0.790 13.6 0.17 0.93 1.7  2.0 19.3 0.916 0.001204

(2.4)

dove g è l’accelerazione di gravità. Le densità dei liquidi sono praticamente costanti e quindi i liquidi possono essere approssimati come sostanze incomprimibili durante la maggior parte delle trasformazioni senza sacrificare molto l’accuratezza.

2.4

TABELLA 2.1 Densità relativa di alcune sostanze a 20 °C e a 1 atm se non specificato altrimenti

Lo stato e l’equilibrio

Se un sistema non è soggetto ad alcun cambiamento, tutte le proprietà possono essere misurate o calcolate ovunque al suo interno, per cui si può ottenere un insieme di proprietà per descrivere completamente la condizione, o lo stato, del sistema stesso. In uno stato ben preciso, tutte le proprietà di un sistema assumono valori ben determinati. Se il valore anche di una sola proprietà cambia, varia lo stato del sistema. Nella Figura 2.10 è mostrato un sistema in due stati differenti. La termodinamica tratta dei sistemi in stato di equilibrio. Il termine equilibrio indica uno stato di bilanciamento. In uno stato di equilibrio non ci sono potenziali non bilanciati (o forze motrici) all’interno del sistema. Un sistema in uno stato di equilibrio non è soggetto ad alcun cambiamento quando è isolato dal suo ambiente. Esistono diversi tipi di equilibrio. Un sistema è in equilibrio termodinamico se sono soddisfatte le condizioni di tutti i tipi di equilibrio (Figura 2.11), tra cui quelle di equilibrio termico, meccanico, di fase e chimico. Un sistema è in equilibrio termico se la temperatura è la stessa in ogni punto del sistema, come mostra la Figura 2.12; in altri termini, se il sistema non presenta gradienti di temperatura che sono la causa del flusso di calore. Un sistema è in equilibrio meccanico se in nessun punto vi sono variazioni di pressione nel tempo. Tuttavia, la pressione può variare all’interno del sistema con la quota, per effetto della gravità, poiché la pressione più elevata in uno strato

m = 2 kg T1 = 20 °C V1 = 1.5 m3

(a) Stato 1

m = 2 kg T2 = 20 °C V2 = 2.5 m3

(b) Stato 2

FIGURA 2.10 Sistema in due differenti stati di equilibrio.

©Marco Di Barbora

Densità relativa:

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FIGURA 2.11 Un sistema che si modifica nel tempo non è in equilibrio.


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Introduzione e concetti fondamentali

20 °C

32 °C

23 °C

32 °C

30 °C

32 °C

35 °C 40 °C 42 °C

32 °C 32 °C 32 °C

(a) Prima

(b) Dopo

FIGURA 2.12 Sistema chiuso che tende all’equilibrio termico.

inferiore è bilanciata dal maggiore peso che questo deve sopportare, per cui non c’è squilibrio di forze. Va osservato, però, che la variazione della pressione conseguente alla gravità nella maggior parte dei sistemi termodinamici è relativamente piccola e perciò viene generalmente trascurata. Un sistema che comprende più fasi è in equilibrio di fase quando la massa di ciascuna fase raggiunge uno stato di equilibrio e vi permane. Infine, un sistema è in equilibrio chimico se la sua composizione chimica non varia nel tempo, cioè se non si verificano reazioni chimiche.

2.4.1

Il postulato di stato

Come si è detto precedentemente, lo stato termodinamico di un sistema è descritto dalle sue proprietà. Dall’esperienza è noto che per individuare uno stato non è necessario specificare tutte le proprietà, poiché, determinato un numero sufficiente di esse, le restanti proprietà assumono automaticamente certi valori. In altri termini è sufficiente specificare un certo numero di proprietà per fissare uno stato. Il numero di proprietà richiesto per individuare lo stato di un sistema è dato dal postulato di stato: Lo stato di un sistema semplice comprimibile è completamente determinato da due proprietà intensive indipendenti.

Azoto T = 25 °C v = 0.9 m3/kg

FIGURA 2.13 Lo stato dell’azoto è individuato da due proprietà intensive indipendenti.

Un sistema è detto sistema semplice comprimibile se possono essere trascurati, come accade per la maggior parte dei problemi ingegneristici, gli effetti dei fenomeni elettrici, magnetici, gravitazionali, di moto e di tensione superficiale. Nel caso in cui tali effetti non siano trascurabili è necessario specificare un’ulteriore proprietà per ognuno di essi: per esempio, se si deve tenere conto degli effetti gravitazionali occorre specificare la quota z, in aggiunta alle due proprietà richieste dal postulato di stato. Il postulato di stato richiede che le due proprietà necessarie a determinare lo stato di un sistema, oltre a essere intensive, siano indipendenti. Due proprietà sono indipendenti se una di esse può essere variata mantenendo costante l’altra: per esempio, temperatura e volume specifico sono sempre proprietà indipendenti e, poiché sono anche intensive, insieme possono individuare lo stato di un sistema semplice comprimibile (Figura 2.13). Temperatura e pressione, invece, sono proprietà indipendenti per sistemi a una sola fase, ma sono proprietà dipendenti nel caso di sistemi a più fasi. A livello del mare (patm = 101 325 Pa), l’acqua bolle a 100 °C, ma in cima a una montagna, dove la pressione atmosferica è minore, l’acqua bolle a una temperatura inferiore. In altri termini, T = ƒ (p) durante una trasformazione di cambiamento di fase; perciò temperatura e pressione sono insufficienti per individuare lo stato di un sistema bifase. Le trasformazioni di cambiamento di fase saranno discusse in dettaglio nel prossimo capitolo.

Stato 2

2.5 Linea della trasformazione Stato 1

FIGURA 2.14 Una trasformazione tra gli stati 1 e 2 e la linea che la rappresenta.

Le trasformazioni e i cicli termodinamici

Ogni cambiamento che un sistema subisce passando da uno stato di equilibrio a un altro si chiama trasformazione e la serie di stati attraverso cui il sistema passa durante una trasformazione è detta linea della trasformazione (Figura 2.14). Per descrivere completamente una trasformazione, se ne devono specificare gli stati iniziale e finale, come pure la linea seguita e le interazioni con l’ambiente. Quando una trasformazione avviene in modo che, in ogni istante, il sistema rimanga infinitesimamente vicino al precedente stato di equilibrio, essa è detta


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Capitolo 2

trasformazione quasi-statica o di quasi-equilibrio. Una trasformazione quasi-statica può essere vista come una trasformazione sufficientemente lenta, tale da permettere al sistema di modificarsi internamente in modo che le proprietà in una parte del sistema non varino più velocemente di quelle nelle altre parti. Questo concetto è illustrato nella Figura 2.15. Quando un gas, all’interno di un sistema cilindro-pistone, viene compresso rapidamente, le molecole vicine alla faccia del pistone non hanno sufficiente tempo per allontanarsi e finiscono per addensarsi in una piccola zona in vicinanza del pistone, dove determinano una zona di maggiore pressione. A causa di questa differenza di pressione, il sistema non può più dirsi in equilibrio e ciò rende l’intera trasformazione non quasi-statica. Invece, se il pistone viene mosso lentamente, le molecole del gas hanno tempo sufficiente per ridistribuirsi senza determinare un addensamento davanti al pistone. Ne consegue che la pressione all’interno del cilindro si mantiene sempre uniforme e aumenta con la stessa velocità in ogni punto. Poiché in ogni istante lo stato del sistema è uno stato di equilibrio, la trasformazione è quasi-statica. Si deve precisare che una trasformazione quasi-statica è una trasformazione ideale e non trova corrispondenza in alcun processo reale; tuttavia molti processi reali si avvicinano a essa e perciò possono essere considerati trasformazioni quasi-statiche con un errore trascurabile. Gli ingegneri sono interessati alle trasformazioni quasi-statiche per due ragioni: la prima è la semplicità con cui possono essere analizzate; la seconda è che le macchine producono il massimo lavoro quando operano secondo trasformazioni quasi-statiche (Figura 2.16). Pertanto le trasformazioni quasi-statiche sono il riferimento con cui confrontare le trasformazioni reali. I diagrammi delle trasformazioni, costruiti impiegando come coordinate le proprietà termodinamiche, sono molto utili nella visualizzazione delle trasformazioni stesse. Alcune proprietà comunemente utilizzate come coordinate sono la temperatura T, la pressione p e il volume V (o il volume specifico v). Nella Figura 2.17 è riportato il diagramma p-V di una trasformazione di compressione di un gas. Si noti che la linea della trasformazione indica una serie di stati di equilibrio attraverso i quali il sistema passa durante la trasformazione e ha significato soltanto per trasformazioni quasi-statiche. Nel caso di trasformazioni non quasi-statiche non si può parlare di linea della trasformazione, poiché non è possibile individuare gli stati attraverso cui il sistema passa durante la trasformazione. Le trasformazioni non quasi-statiche vengono pertanto rappresentate mediante una linea tratteggiata anziché una linea continua. Il prefisso iso è usato di solito per designare una trasformazione nella quale una particolare proprietà rimane costante: per esempio, una trasformazione isoterma è una trasformazione in cui rimane costante la temperatura; una trasformazione isobara è una trasformazione in cui rimane costante la pressione; una trasformazione isocora (o isometrica) è una trasformazione in cui rimane costante il volume specifico. Si dice che un sistema segue un ciclo se alla fine del processo ritorna nel suo stato iniziale, vale a dire se gli stati iniziale e finale coincidono.

2.5.1

Le trasformazioni termodinamiche in condizioni di flusso stazionario

(a) Compressione lenta (quasi-statica)

(b) Compressione molto rapida (non quasi-statica)

FIGURA 2.15 Trasformazioni di compressione: a) quasi-statica; b) non quasi-statica.

FIGURA 2.16 Le macchine motrici producono il massimo lavoro quando operano secondo trasformazioni quasistatiche.

P Stato finale 2 Linea della trasformazione Stato iniziale 1

V2

V

Sistema (2)

I termini stazionario e uniforme sono usati frequentemente in ingegneria, quindi è importante comprendere chiaramente il loro significato. Il termine stazionario significa costante nel tempo, ossia che non varia con il trascorrere del tempo. Il contrario di stazionario è non stazionario. Il termine uniforme significa costante nello

V1

(1)

FIGURA 2.17 Trasformazione di compressione rappresentata sul piano p -V.


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Introduzione e concetti fondamentali

Massa entrante

300 °C

250 °C

Volume di controllo 225 °C 200 °C

150 °C

Massa uscente

Ore: 12 Massa entrante

300 °C

250 °C

Volume di controllo 225 °C 200 °C

150 °C

Massa uscente

Ore: 16

FIGURA 2.18 Durante una trasformazione in condizioni di flusso stazionario, le proprietà del fluido entro il volume di controllo possono variare al variare della posizione, ma non nel corso del tempo.

Massa entrante

Volume di controllo

spazio, ossia che non varia al variare della posizione in una regione specificata. Questi significati sono coerenti con l’uso di questi termini nel linguaggio corrente (per esempio, condizioni stazionarie, proprietà uniformi ecc.). Numerosi dispositivi ingegneristici operano per lunghi intervalli di tempo nelle stesse condizioni e vengono classificati come dispositivi a flusso stazionario. Le trasformazioni in cui intervengono tali dispositivi possono essere rappresentate ragionevolmente bene con una trasformazione alquanto idealizzata, detta trasformazione a flusso stazionario, definita come una trasformazione durante la quale un fluido fluisce in regime stazionario attraverso un volume di controllo (Figura 2.18). Cioè, le proprietà del fluido possono variare da punto a punto entro il volume di controllo, ma in un punto fisso rimangono costanti durante l’intera trasformazione. Perciò, il volume V, la massa m e l’energia totale E del volume di controllo rimangono costanti durante una trasformazione a flusso stazionario (Figura 2.19). Le condizioni di flusso stazionario possono essere approssimate strettamente da dispositivi destinati al funzionamento continuo, quali turbine, pompe, generatori di vapore, condensatori, scambiatori di calore, centrali elettriche e sistemi di refrigerazione. Alcuni dispositivi ciclici, quali i motori o i compressori alternativi, non soddisfano alcuna delle condizioni enunciate sopra perché il flusso all’entrata e il flusso all’uscita sono pulsanti, non stazionari. Però, le proprietà del fluido variano nel tempo in modo periodico e il flusso attraverso questi dispositivi può ancora essere analizzato come una trasformazione in condizioni di flusso stazionario usando valori delle proprietà mediati nel tempo.

2.6

mVC = costante EVC = costante

Massa uscente

FIGURA 2.19 In condizioni di flusso stazionario, il contenuto di massa e di energia di un volume di controllo rimane costante.

FERRO 150 °C

FERRO 60 °C

RAME 20 °C

RAME 60 °C

FIGURA 2.20 Due corpi, inizialmente a temperature differenti, raggiungono l’equilibrio termico una volta in contatto in un contenitore termicamente isolato.

La temperatura e il principio zero della termodinamica

Sebbene la temperatura, quale misura della sensazione di freddo o di caldo, sia familiare a tutti, non è facile darne una precisa definizione. Sulla base della sensazione fisiologica personale, un corpo, a seconda della sua temperatura, viene detto gelido, freddo, tiepido, caldo e rovente. Basandosi soltanto sulla sensazione personale non è possibile assegnare alla temperatura dei valori numerici. Inoltre, i sensi possono essere ingannati: per esempio, una sedia metallica viene giudicata molto più fredda di una in legno anche se tutte e due sono alla stessa temperatura. Fortunatamente, numerose proprietà dei materiali variano con la temperatura in maniera ripetibile e prevedibile, fenomeno questo che costituisce la base per una misura accurata della temperatura: per esempio, il comune termometro a mercurio si basa sulla dilatazione del mercurio con l’aumentare della temperatura. È esperienza comune che una tazza di caffè caldo lasciata su un tavolo finisce per raffreddarsi e che, invece, una bevanda fredda finisce per riscaldarsi. Quando, cioè, un corpo è messo in contatto con un altro corpo a differente temperatura, si ha un trasferimento di calore dal corpo a temperatura maggiore a quello a temperatura minore fino a che i due corpi non raggiungono la stessa temperatura (Figura 2.20). Raggiunta tale condizione, il trasferimento di calore termina e si dice che i due corpi hanno raggiunto l’equilibrio termico. L’uguaglianza delle temperature è l’unico requisito per l’equilibrio termico. Il principio zero della termodinamica afferma che due corpi, ognuno in equilibrio termico con un terzo corpo, sono anche in equilibrio termico tra loro. Può sembrare sorprendente che un fatto così ovvio costituisca uno dei principi fondamentali della termodinamica, tuttavia esso non può essere dedotto dagli altri


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Capitolo 2

principi della termodinamica e costituisce la base di validità per la misura di temperatura. Sostituendo il terzo corpo con un termometro, il principio zero può essere riformulato affermando che due corpi, anche non in contatto tra loro, sono in equilibrio termico se hanno la stessa temperatura letta (su un termometro). Il principio zero fu così chiamato dal fisico e astronomo britannico Ralph H. Fowler (1889-1944), che per primo lo formulò nel 1931. Questo principio, la cui importanza come principio fisico fondamentale fu riconosciuta più di mezzo secolo dopo la formulazione del primo e del secondo principio della termodinamica, fu chiamato principio zero in quanto avrebbe dovuto precedere gli altri due.

2.6.1

Le scale termometriche

Nel corso degli anni sono state introdotte molte scale termometriche e tutte si basano sulla scelta di alcuni stati facilmente riproducibili, come i punti di fusione e di ebollizione dell’acqua. Alla pressione di 101 325 Pa, una miscela di acqua e ghiaccio in equilibrio con aria satura di vapore è detta essere al punto di fusione normale, mentre una miscela di acqua e di vapore (in assenza di aria) in equilibrio alla pressione di 101 325 Pa si dice essere al punto di ebollizione normale. La scala termometrica attualmente utilizzata nel sistema SI è la scala Celsius (precedentemente chiamata scala centigrada e rinominata nel 1948 in onore dell’astronomo svedese Anders Celsius, 1701-1744, che la inventò). Sulla scala Celsius, ai punti di fusione del ghiaccio e di ebollizione dell’acqua, sono assegnati i valori di 0 e 100 °C rispettivamente, il che giustifica il nome di scala a due punti fissi. In termodinamica è auspicabile disporre di una scala termometrica che sia indipendente dalle proprietà delle sostanze impiegate. Tale scala è detta scala della temperatura termodinamica e sarà trattata nel Capitolo 5 insieme al secondo principio della termodinamica. Nel sistema SI la scala della temperatura termodinamica è la scala Kelvin, così chiamata in onore di Lord Kelvin (1824-1907). L’unità di misura della temperatura su questa scala è il kelvin che è indicato con K. La più bassa temperatura sulla scala Kelvin è 0 K. Utilizzando tecniche di refrigerazione non convenzionali è stato possibile avvicinarsi allo 0 K raggiungendo nel 1989 la temperatura di 0.000000002 K. Una scala termometrica può essere costruita utilizzando un termometro a gas a volume costante, costituito essenzialmente da un bulbo rigido contenente un gas, usualmente idrogeno o elio, a bassa pressione. Questo termometro si basa sul principio che a basse pressioni e a volume costante la temperatura di un gas è proporzionale alla sua pressione. In altri termini, a pressioni sufficientemente basse, la temperatura di un prefissato volume di gas varia secondo la relazione: T = a + bp

(2.5)

dove i valori delle costanti a e b vanno determinati sperimentalmente. Note le costanti, la temperatura di un sistema può essere calcolata con la precedente relazione, mettendo a contatto il bulbo del termometro a gas con il sistema e misurando la pressione del gas quando si sia stabilito l’equilibrio termico tra il sistema e il gas nel bulbo, a volume costante. Per ottenere la scala termometrica del gas ideale si può procedere misurando le pressioni del gas nel bulbo in corrispondenza di due stati riproducibili (come i punti di fusione normale e di ebollizione normale), ai quali si assegnano idonei valori di temperatura. Considerando poi che in un piano esiste una sola retta che passa per due punti assegnati, queste due misure sono sufficienti per determinare

23


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24

Introduzione e concetti fondamentali

Punti sperimentali

p

Gas A

Gas B Estrapolazione

Gas C Gas D

−273.15

0

T (°C)

FIGURA 2.21 Diagrammi p -T ottenuti sperimentalmente da un termometro a gas a volume costante usando quattro gas diversi a differenti (ma sempre basse) pressioni.

T (°C) 200 225 250 275 −273.15

T (K) 75 50 25 0

0

p (kPa) 120 80 40 0

0

Vuoto assoluto V = costante

FIGURA 2.22 Un termometro a gas ideale fornirebbe la lettura −273.15 °C o 0 K per pressione assoluta nulla.

le costanti a e b dell’Equazione 2.4 e quindi per calcolare la temperatura T corrispondente alla pressione letta p. I valori delle costanti a e b sono differenti per ogni termometro, poiché dipendono dal tipo e dalla quantità di gas nel bulbo, nonché dai valori di temperatura assegnati ai due stati di riferimento. Se ai punti di fusione normale e di ebollizione normale dell’acqua vengono assegnati i valori di 0 e 100 rispettivamente, allora la scala termometrica dei gas ideali coincide con la scala Celsius. In tal caso il valore della costante a (che rappresenta la temperatura corrispondente a una pressione assoluta nulla) vale  273.15 °C indipendentemente dal tipo e dalla quantità di gas contenuto nel bulbo del termometro a gas. Pertanto su un diagramma p -T tutte le linee passanti per i punti sperimentali, una volta estrapolate, intersecano l’asse delle temperature a  273.15 °C (Figura 2.21). Questa è la più bassa temperatura che può essere ottenuta con un termometro a gas ideale. Si può definire, allora, la scala assoluta di temperatura del termometro a gas ideale assegnando il valore 0 alla costante a nell’Equazione 2.5. In questo caso, l’Equazione 2.5 si riduce a T = bp, per cui, per definire la scala, basta specificare il valore della temperatura in un solo punto, il quale in origine corrispondeva a 273.15 K (ossia 0 °C), la temperatura a cui l’acqua congela (o il ghiaccio fonde) e l’acqua esiste come miscela solido-liquida in equilibrio a pressione atmosferica standard. Si deve osservare che la scala assoluta di temperatura del termometro a gas non è una scala termodinamica poiché non può essere utilizzata né a temperature molto basse, a causa della condensazione dei gas, né a temperature molto elevate, perché i gas si dissociano e si ionizzano. Tuttavia, nell’intervallo di temperature in cui il termometro a gas può essere utilizzato, la temperatura assoluta fornita è identica a quella termodinamica. Pertanto la scala termodinamica della temperatura può essere vista come una scala assoluta di temperatura del termometro a gas che utilizza un gas “ideale” o “immaginario” che si comporta sempre come un gas ideale. Se esistesse un termometro a gas ideale, esso, alla pressione nulla, segnerebbe 0 kelvin, che corrisponde a  273.15 °C sulla scala Celsius (Figura 2.22). La scala Kelvin è legata alla scala Celsius dalla relazione: T (K) = T (°C) + 273.15

(2.6)

Durante la X CGPM (Conférence Générale des Poids et Mesures) del 1954, la temperatura di riferimento è stata cambiata in una temperatura riproducibile in modo molto più preciso, la temperatura del punto triplo dell’acqua (lo stato in cui tutte e tre le fasi dell’acqua coesistono in equilibrio), a cui è stato assegnato il valore di 273.16 K. Nella X CGPM è stata ridefinita anche la scala Celsius con riferimento alla scala di temperatura del gas ideale e a un singolo punto fisso, che è di nuovo la temperatura del punto triplo dell’acqua a cui è stato assegnato il valore di 0.01 °C. La temperatura di ebollizione dell’acqua (il punto fisso del vapore acqueo), determinata sperimentalmente, è di nuovo 100.00 °C, quindi la nuova scala Celsius e la vecchia scala Celsius sono in buon accordo.

2.6.2

La Scala Internazionale di Temperatura del 1990 (STI-90) [International Temperature Scale of 1990 (ITS-90)]

La Scala Internazionale di Temperatura del 1990 (STI-90) [International Temperature Scale of 1990 (ITS-90)], che sostituisce la Scala Pratica Internazionale di Temperatura del 1968 [International Practical Temperature Scale of 1968 (IPTS-68)], la Scala Pratica Internazionale di Temperatura del 1948 [International Practical Temperature Scale of 1948 (IPTS-48)] e la Scala Pratica Internazionale di Temperatura del 1927 [In-


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Capitolo 2

ternational Practical Temperature Scale of 1927 (IPTS-27)], è stata adottata dal CIPM (Comité International des Poids et Mesures) nella sua riunione del 1989 su richiesta della XVIII CGPM. La STI-90 è simile alle scale che l’hanno preceduta, ma è stata perfezionata aggiornando i valori delle temperature fisse, ha un campo di misurazione più esteso ed è più strettamente conforme alla scala di temperatura termodinamica. Su questa scala l’unità di temperatura termodinamica T è di nuovo il kelvin (K), definito come la frazione 1/273.16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua, che è l’unica temperatura fissa di definizione sia della scala STI-90 sia della scala Kelvin ed è il più importante punto fisso termometrico impiegato nella taratura dei termometri rispetto alla STI-90. L’unità di temperatura Celsius è il grado celsius (°C), la cui ampiezza, per definizione, è uguale a quella del kelvin (K). Una differenza di temperatura può essere espressa in kelvin oppure in gradi celsius. Il punto fisso del ghiaccio rimane lo stesso, a 0 °C (273.15 K) sia sulla STI-90 sia sulla IPTS-68, ma il punto fisso del vapore acqueo è 99.975 °C sulla STI-90 (con un’incertezza di ± 0.005 °C) mentre era 100.000 °C sulla IPTS-68. La variazione è dovuta a misurazioni precise effettuate con la termometria a gas prestando particolare attenzione all’effetto dell’adsorbimento (le impurità presenti in un gas adsorbite dalle pareti del bulbo alla temperatura di riferimento vengono desorbite a temperature più elevate, facendo aumentare la pressione del gas misurata). La STI-90 si estende da 0.65 K alla temperatura più alta che sia misurabile praticamente mediante la legge di Planck della radiazione, usando radiazione monocromatica. Si basa sulla definizione di valori della temperatura in un certo numero di punti fissi facilmente riproducibili che servano da temperature di riferimento e sull’espressione in forma funzionale della variazione di temperatura in un certo numero di intervalli e sottointervalli. Nella STI-90 la scala di temperatura è suddivisa in quattro intervalli. Nell’intervallo 0.65 ÷ 5 K, la scala di temperatura è definita mediante le relazioni pressione di vapore-temperatura per 3He e 4He. Fra 3 e 24.5561 K (la temperatura del punto triplo del neon), è definita mediante un termometro a gas elio appropriatamente tarato. Da 13.8033 K (la temperatura del punto triplo dell’idrogeno) a 1234.93 K (la temperatura di solidificazione dell’argento), è definita mediante termometri a resistenza di platino tarati in insiemi specificati di punti fissi di riferimento. Al di sopra di 1234.93 K, è definita mediante la legge della radiazione di Planck e un appropriato punto fisso di riferimento come la temperatura di solidificazione dell’oro (1337.33 K). Si deve porre in rilievo che l’ampiezza di ogni divisione di 1 K e l’ampiezza di ogni divisione di 1 °C sono uguali (Figura 2.23). Perciò, quando si ha a che fare con differenze di temperatura DT, l’intervallo di temperatura su entrambe le scale è lo stesso. Innalzare di 10 °C la temperatura di una sostanza equivale a innalzarla di 10 K. Cioè: DT (K) = DT (°C)

(2.7)

Alcune relazioni termodinamiche implicano la temperatura T e ci si chiede spesso se essa debba essere espressa in kelvin (K) oppure in gradi celsius (°C). Se la relazione implica differenze di temperatura (come, per esempio a = bDT), non fa differenza quale delle due unità di temperatura venga usata e può essere usata l’una o l’altra. Però, se la relazione implica soltanto temperature invece che differenze di temperatura (come, per esempio, a = bT) allora si deve usare il kelvin (K). In caso di dubbio, è sempre opportuno usare il kelvin perché non esistono situazioni in cui l’impiego del kelvin non sia corretto; al contrario, si incontrano molte relazioni termodinamiche che daranno un risultato errato se si usa il grado celsius.

1K

1 °C

FIGURA 2.23 Confronto delle ampiezze di differenti unità di temperatura.

25


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26

Introduzione e concetti fondamentali

ESEMPIO 2.1

La conversione in kelvin di una temperatura espressa in gradi celsius

Durante un processo di riscaldamento, la temperatura di un sistema aumenta di 10 °C. Si esprima l’aumento di temperatura in K.

SOLUZIONE Si deve esprimere in kelvin l’aumento di temperatura di un sistema espresso in gradi celsius. Analisi Questo problema tratta variazioni di temperatura, che sono identiche nelle scale Kelvin e Celsius, quindi: DT (K) = DT (°C) = 10 K Considerazioni È importante notare che l’unità grado celsius (°C) e l’unità kelvin (K) sono intercambiabili quando si ha a che fare con differenze di temperatura.

2.7

La pressione

La pressione è la forza esercitata in direzione normale da un fluido su una superficie di area unitaria. Si parla di pressione soltanto quando si ha a che fare con un fluido (un gas o un liquido). Nel caso dei solidi, l’equivalente della pressione è la tensione. Poiché la pressione è, per definizione, una forza riferita a un’unità di area, la sua unità di misura nel Sistema Internazionale è il newton al metro quadrato (N/m2), detto pascal (Pa). Cioè: 1 Pa = 1 N/m2 L’unità di pressione pascal è troppo piccola per esprimere le pressioni che si incontrano in pratica. Perciò si usano comunemente i multipli kilopascal (1 kPa = 103 Pa) e megapascal (1 MPa = 106 Pa). Altre tre unità di pressione (non appartenenti al Sistema Internazionale) usate in pratica (specialmente in Europa) sono il bar (bar; unità di misura della pressione ammessa legalmente tra le unità fuori del Sistema Internazionale; è molto usata in meteorologia, specialmente il suo sottomultiplo millibar, mbar), l’atmosfera (atm; unità di misura della pressione il cui uso è vietato dal primo gennaio 1980 dalla Direttiva Cee del 20 dicembre 1979) e il kilogrammo-forza al centimetro quadrato (kgf/cm2; unità di misura della pressione del sistema tecnico; il suo uso è vietato dal primo gennaio 1978 dalla Direttiva del Consiglio della Comunità Europea del 27 luglio 1976). Valgono le relazioni: 1 bar = 105 Pa = 0.1 MPa = 100 kPa 1 atm = 101 325 Pa = 101.325 kPa = 1.01325 bar 1 kgf/cm2 = 9.807 N/cm2 = 9.807  104 N/m2 = 9.807  104 Pa = 0.9087 bar = 0.9679 atm È importante notare che le unità di pressione bar (bar), atmosfera (atm) e kilogrammo-forza al centimetro quadrato (kgf/cm2) sono quasi equivalenti l’una all’altra. Quando è usato con riferimento ai solidi, il termine pressione, come


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Capitolo 2

pr = pa  patm

(2.8)

pv = patm  pa

(2.9)

Ciò è illustrato nella Figura 2.26. Come gli altri manometri, il manometro usato per misurare la pressione dell’aria in uno pneumatico di automobile indica la pressione relativa. Perciò, la comune indicazione di 2 atm (= 202 650 Pa) indica una pressione di 2 atm (202 650 Pa) superiore alla pressione atmosferica. In una località in cui la pressione atmosferica è, per esempio, 1 atm (101 325 Pa), la pressione assoluta nello pneumatico è (2 + 1) atm = 3 atm (= 303 975 Pa). Nelle relazioni e nelle tabelle termodinamiche si usa quasi sempre la pressione assoluta. In tutto questo libro, con il simbolo p si denoterà la pressione assoluta, salvo che non sia specificato altrimenti.

70 kg

140 kg

Apiedi = 0.030 m2

p = 2.3 × 104 N/m2 p= =

n

=

P Apiedi

p = 4.6 × 104 N/m2

=

(70 kg) (9.8 m/s2 )

2.3 10 4 N/m2

(0.030 m2 ) FIGURA 2.24 Lo sforzo normale (ossia la “pressione”) che si esercita sui piedi di una persona grassa è molto maggiore di quella che si esercita sui piedi di una persona magra.

©Xmentoys/Shutterstock

si è detto, è sinonimo di tensione, che è la forza esercitata in direzione normale su una superficie di area unitaria. Per esempio, una persona che abbia una massa corporea di 70 kg, con un’area totale delle piante dei piedi di 300 cm2 = 0.030 m2, esercita sul pavimento, quando è in piedi, una pressione di (70 kg  9.81 m/s2)/(0.030 m2) = (686.7 N)/(0.030 m2)  22 890 N/m2  2.3  104 N/m2 (Figura 2.24). Se la persona stesse in piedi su un solo piede, la pressione raddoppierebbe. Se la persona subisce un eccessivo aumento della massa corporea, è probabile che provi fastidio ai piedi a causa dell’aumento della pressione esercitata sui piedi (l’area delle piante dei piedi rimane invariata quando aumenta la massa corporea). Ciò spiega anche come una persona riesca a camminare sulla neve fresca senza sprofondare indossando racchette da neve che ampliano la superficie di appoggio dei piedi e come una persona riesca a effettuare tagli con poco sforzo usando un coltello affilato. La pressione effettiva in una data posizione è detta pressione assoluta e viene misurata rispetto al vuoto assoluto (cioè, alla pressione assoluta zero). Per la maggior parte gli strumenti di misurazione della pressione sono tarati in modo da indicare 0 nell’atmosfera (Figura 2.25) e quindi indicano la differenza tra la pressione assoluta e la pressione atmosferica locale. Questa differenza di pressione è detta pressione relativa o pressione al manometro (pr). La pressione relativa può essere positiva o negativa, ma una pressione inferiore alla pressione atmosferica è detta pressione al vacuometro e viene misurata con un vacuometro che indica la differenza tra la pressione atmosferica e la pressione assoluta. Fra la pressione assoluta (pa), la pressione relativa (pr) e la pressione al vacuometro (pv) intercorrono le seguenti relazioni:

27

FIGURA 2.25 Un manometro.

pr patm pv

pa patm

patm pa Vuoto assoluto

pa = 0

Vuoto assoluto

FIGURA 2.26 Pressioni assoluta, al manometro e al vacuometro.


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28

Introduzione e concetti fondamentali

ESEMPIO 2.2

La pressione assoluta di una camera a vuoto

Un vacuometro collegato a una camera a vuoto indica 40 kPa, mentre la pressione atmosferica è 100 kPa. Si determini la pressione assoluta nella camera a vuoto. p

SOLUZIONE

p

È data la pressione relativa di una camera a vuoto. Si deve determinare la pressione assoluta nella camera. p

p

Analisi La pressione assoluta si determina facilmente con l’Equazione 2.9:

pa = patm  pv = 100  40 = 60 kPa Considerazioni È importante notare che, quando si determina la temperatura assoluta, si usa il valore locale della pressione atmosferica.

p

FIGURA 2.27 La pressione è una grandezza scalare, non una grandezza vettoriale: la pressione in un punto in un fluido è la stessa in tutte le direzioni.

pr

FIGURA 2.28 La pressione di un fluido in quiete aumenta all’aumentare della profondità (per effetto del peso addizionale).

Δx Δz P

p2

FIGURA 2.29 Diagramma di corpo libero di un elemento parallelepipedo di fluido in equilibrio.

La variazione della pressione con la profondità

Non desterà sorpresa che la pressione in un fluido in quiete non vari nella direzione orizzontale. Lo si può mostrare facilmente considerando uno strato orizzontale sottile di fluido ed effettuando un bilancio delle forze in qualsiasi direzione orizzontale. Ma ciò non avviene nella direzione verticale in un campo gravitazionale. La pressione in un fluido aumenta all’aumentare della profondità perché sugli strati più profondi grava più fluido, e l’effetto di questo “peso addizionale” su uno strato più profondo è bilanciato da un aumento della pressione (Figura 2.28). Per ottenere una relazione per la variazione della pressione al variare della profondità, si consideri un elemento parallelepipedo di altezza D z, lunghezza D x e profondità unitaria (Dy = 1 unità di lunghezza nella direzione normale entrante nella pagina) in equilibrio, come è mostrato nella Figura 2.29. Supponendo che la densità r del fluido sia costante, un bilancio delle forze nella direzione z verticale dà:

g

0

La pressione in un punto

La pressione è una forza di compressione riferita all’unità di area, quindi potrebbe dare l’idea di essere una grandezza vettoriale. Però, la pressione in un punto qualsiasi in un fluido è la stessa in tutte le direzioni (Figura 2.27). Questo significa che ha un valore numerico, ma non ha una particolare direzione e un particolare verso, quindi è una grandezza scalare. In altre parole, la pressione in un punto in un fluido ha lo stesso valore numerico in tutte le direzioni. Si può dimostrare che, in assenza di forze di taglio, questo risultato è valido per i fluidi in moto oltre che per i fluidi in quiete.

2.7.2

z

p1

2.7.1

x

∑ Fz = maz = 0:

p2 Δ xΔ y − p1Δ xΔ y − ρ gΔ xΔ zΔ y = 0

(2.10)

Dove P = mg = rgD xD zDy è il peso dell’elemento di fluido. Dividendo entrambi i membri per D xDy e riordinando, si ottiene: D p = mg = p2  p1 = rgD z = gD z

(2.11)


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Capitolo 2

dove g è il peso specifico del fluido. Perciò, si conclude che la differenza di pressione tra due punti in un fluido di densità costante è direttamente proporzionale alla distanza verticale D z tra i punti e alla densità r del fluido. In altre parole, la pressione in un fluido non in movimento aumenta linearmente all’aumentare della profondità. È quanto sperimenta un subacqueo quando si immerge a profondità crescenti in un lago. Per un dato fluido, la distanza verticale D z viene usata talvolta come misura di pressione ed è detta altezza piezometrica. Dall’Equazione 2.11 si può anche trarre la conclusione che, per quote da piccole a moderate, la variazione della pressione al variare della quota è trascurabile nel caso dei gas in virtù della loro bassa densità. Per esempio, la pressione in un recipiente contenente un gas può essere considerata uniforme perché il peso del gas è troppo piccolo per introdurre una differenza rilevante. Inoltre, la pressione in una stanza piena d’aria può essere supposta costante (Figura 2.30). Se si suppone che il punto 1 giaccia sulla superficie libera di un liquido in comunicazione con l’atmosfera (Figura 2.31), in cui la pressione è la pressione atmosferica patm, allora la pressione a una profondità h dalla superficie libera diventa: p = patm + rgh

pr = rgh

ossia

dp = −ρg dz

(2.13)

Il segno negativo è dovuto al fatto che si sia considerata orientata verso l’alto la direzione z positiva, cosicché dp è negativa quando dz è positiva perché la pressione decresce in una direzione orientata verso l’alto. Quando si conosce la variazione della densità al variare della quota, si può determinare la differenza di pressione tra i punti 1 e 2 per integrazione: 2

Δp = p2 − p1 = −∫ ρ g dz 1

psuperiore = 1 atm ARIA (stanza alta 5 m)

pinferiore = 1.006 atm

FIGURA 2.30 In una stanza piena di gas la variazione della pressione con l’altezza è trascurabile.

(2.12)

I liquidi sono sostanze praticamente incomprimibili e, quindi, la variazione della densità al variare della profondità è trascurabile. Ciò vale anche per i gas quando la variazione di quota non è molto grande. La variazione di densità dei liquidi o dei gas al variare della temperatura può essere rilevante e può dover essere presa in considerazione quando si desideri un’elevata accuratezza. Inoltre, a grandi profondità, come quelle che si incontrano negli oceani e nei mari, la variazione della densità di un liquido può essere rilevante a causa della compressione esercitata dal peso dell’enorme quantità di liquido sovrastante. L’accelerazione di gravità g varia da 9.807 m/s2 a livello del mare a 9.764 m/s2 a una quota di 14 000 m a cui volano in crociera i grandi aeroplani di linea. In questo caso estremo la variazione di g è pari a soltanto lo 0.4%. Perciò, si può considerare che g sia costante commettendo un errore trascurabile. Nel caso dei fluidi, la cui densità varia notevolmente al variare della quota, si può ottenere una relazione per la variazione della pressione al variare della quota dividendo l’Equazione 2.10 per D xDyD z e passando al limite per D z  0. In tal caso risulta:

(2.14)

Quando la densità è costante e l’accelerazione di gravità è costante, questa relazione si riduce all’Equazione 2.11, come ci si poteva attendere. La pressione in un fluido in quiete è indipendente dalla forma o dalla sezione trasversale del recipiente. Varia con la distanza verticale, ma rimane costante nelle

29

1

p1 = patm

h 2 p2 = patm + ρgh

FIGURA 2.31 La pressione in un liquido in quiete aumenta linearmente all’aumentare della distanza dalla superficie libera.


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30

Introduzione e concetti fondamentali

patm

Acqua h

A

B

C

D

pA = pB = pC = pD = pE = pF = pG = patm + ρgh pH ≠ pI

FIGURA 2.32 La pressione è la stessa in tutti i punti su un piano orizzontale in un dato fluido in quiete indipendentemente dalla geometria, purché tutti i punti siano interconnessi dallo stesso fluido.

F2 = p2A2 F1 = p1A1

1

A1 p1

A2 p2

2

FIGURA 2.33 Il sollevamento di un grande peso per mezzo di una piccola forza in base alla legge di Pascal.

E

F

G

Mercurio H

I

altre direzioni. Perciò, la pressione è la stessa in tutti i punti su un piano orizzontale in un dato fluido. Il matematico e ingegnere fiammingo Simone Stevino (1548-1620) pubblicò nel 1586 il principio illustrato nella Figura 2.32. È importante notare che le pressioni nei punti A, B, C, D, E, F e G sono identiche perché questi punti sono alla stessa profondità e sono interconnessi dallo stesso fluido in quiete. Tuttavia, le pressioni nei punti H e I non sono identiche perché questi due punti non possono essere interconnessi dallo stesso fluido (cioè, non si può tracciare una curva dal punto I al punto H rimanendo sempre nello stesso fluido), anche se questi due punti sono alla stessa profondità (in quali punti la pressione è più alta?). Inoltre, la forza di pressione esercitata dal fluido è sempre normale (perpendicolare) alla superficie nei punti specificati. Una conseguenza della costanza della pressione in un fluido in una direzione orizzontale è il fatto che la pressione applicata a un fluido confinato aumenta della stessa quantità la pressione in tutto il fluido. Questo fenomeno costituisce la legge di Pascal, così chiamata dal nome del matematico, fisico e filosofo francese Blaise Pascal (1623-1662). Pascal sapeva anche che la forza applicata da un fluido è direttamente proporzionale all’area della superficie. Si rese conto che si potevano collegare due cilindri idraulici di aree diverse e si poteva usare quello più grande per esercitare una forza proporzionalmente maggiore di quella applicata al cilindro più piccolo. Il “torchio idraulico”, la macchina basata sulla legge di Pascal, ha ispirato molte invenzioni che fanno parte della vita quotidiana quali i freni idraulici e i vari tipi di elevatori, sollevatori e ascensori idraulici. Questa macchina permette di sollevare facilmente un’automobile con un solo braccio, come è illustrato nella Figura 2.33. Notando che p1 = p2 poiché entrambi i pistoni sono allo stesso livello (l’effetto della piccola differenza di quota è trascurabile, specialmente a pressioni elevate), si può determinare il rapporto tra la forza sviluppata e la forza applicata: p1 = p2 →

F1 F = 2 A1 A2

F2 A = 2 F1 A1

(2.15)

Il rapporto delle aree A2/A1 è detto vantaggio meccanico ideale del torchio idraulico. Per esempio, una persona, usando un martinetto idraulico (crick), con un rapporto delle aree dei pistoni A2/A1 = 100, è in grado di sollevare un’automobile avente una massa di 1000 kg, applicando una forza di soltanto 10 kgf (= 90.8 N).


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31

Capitolo 2

2.8

Gli strumenti di misurazione della pressione C

2.8.1

Il barometro A

La pressione atmosferica si misura con uno strumento chiamato barometro e, pertanto, prende anche il nome di pressione barometrica. Il matematico e fisico italiano Evangelista Torricelli (1608-1647) fu il primo a dimostrare con certezza che la pressione atmosferica si può misurare capovolgendo un tubo pieno di mercurio in una vaschetta di mercurio in comunicazione con l’atmosfera, come è illustrato nella Figura 2.34. La pressione nel punto B è uguale alla pressione atmosferica, mentre la pressione in C può essere assunta nulla poiché, superiormente, vi è soltanto vapore di mercurio che, in equilibrio con la fase liquida, esercita una pressione trascurabile. Scrivendo il bilancio delle forze nella direzione verticale si ottiene: patm = rgh(Pa)

h

h P = ρghA

B Mercurio

Patm

FIGURA 2.34 Barometro di Torricelli.

(2.16)

dove r è la densità del mercurio, g l’accelerazione locale di gravità e h l’altezza della colonna di mercurio al di sopra del pelo libero della vaschetta. Si osservi che la lunghezza del tubo e l’area della sua sezione trasversale non hanno alcun effetto sull’altezza della colonna fluida del barometro (Figura 2.35). Un’unità di misura frequentemente utilizzata per la pressione, ma non facente parte del sistema SI, è l’atmosfera standard, definita come la pressione prodotta da una colonna di mercurio di 760 mm di altezza a 0 °C (rHg = 13 595 kg/m3) per effetto dell’accelerazione di gravità standard (g = 9.807 m/s2). Se al posto del mercurio si utilizza l’acqua, l’atmosfera standard corrisponde, invece, alla pressione prodotta da una colonna d’acqua dell’altezza di circa 10.3 m. La pressione è espressa, a volte (specialmente in meteorologia), in termini di altezza di colonna di mercurio: in questo caso la pressione atmosferica standard risulta essere di 760 mmHg a 0 °C. Il millimetro di mercurio era indicato anche con il simbolo torr in onore di Torricelli. Valgono le relazioni 1 atm = 760 torr e 1 torr = 13.3 Pa. Il simbolo torr è stato abrogato dal primo gennaio 1978 e sostituito con il simbolo mmHg. La pressione atmosferica media patm varia da 101.325 kPa a livello del mare a 89.88, 79.50, 54.05, 26.5 e 5.53 kPa ad altitudini di 1000, 2000, 5000, 10 000 e 207 000 m rispettivamente. Poiché la pressione atmosferica in un luogo dipende dal peso dell’aria soprastante la superficie di area unitaria, si osservi che essa varia non solo con l’altitudine, ma anche con le condizioni meteorologiche locali. La diminuzione della pressione atmosferica all’aumentare della quota ha conseguenze di vasta portata nella vita quotidiana. Per esempio, la cottura dei cibi richiede più tempo ad altitudini più elevate perché l’acqua bolle a una temperatura più bassa a una pressione atmosferica più bassa. L’epistassi (emorragia nasale) è un evento più frequente alle altitudini più elevate perché in queste condizioni la differenza tra la pressione sanguigna e la pressione atmosferica è maggiore e le delicate pareti delle vene che irrorano il naso sono spesso incapaci di resistere a questo sforzo addizionale. Per una data temperatura, la densità dell’aria è più bassa ad altitudini più elevate e quindi un dato volume contiene meno aria e meno ossigeno. Non desta sorpresa che ci si stanchi e si incorra in problemi respiratori a elevate altitudini. Per compensare questo effetto, le persone che vivono a elevate altitudini sviluppano polmoni più efficienti. Similmente, un motore automobilistico di 2.0 L di cilindrata funzionerà come un motore automobilistico di 1.7 L a un’altitudine di 1500 m (salvo che non sia sovralimentato o turbocompresso) a

A1

A2

A3

FIGURA 2.35 La lunghezza del tubo e l’area della sua sezione trasversale non hanno alcun effetto sull’altezza della colonna fluida del barometro.


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Introduzione e concetti fondamentali

causa delle diminuzione del 15% della pressione e quindi della diminuzione del 15% della densità dell’aria (Figura 2.36). Un ventilatore o un compressore sposterà il 15% in meno di aria a quella altitudine per la stessa portata in volume. Perciò, può essere necessario scegliere ventilatori di raffreddamento più grandi per il funzionamento a elevate altitudini allo scopo di assicurare la portata in massa specificata. La pressione più bassa, e quindi la densità minore, influenzano anche la portanza e la resistenza aerodinamica: a quote elevate gli aeroplani richiedono una corsa di decollo più lunga per sviluppare la portanza richiesta e salgono a quote molto elevate per il volo di crociera per ottenere una resistenza aerodinamica ridotta e una migliore efficienza del carburante.

FIGURA 2.36 Ad altitudini elevate, un motore automobilistico genera meno potenza e una persona ottiene meno ossigeno a causa della più bassa densità dell’aria.

ESEMPIO 2.3

La misurazione della pressione atmosferica con un barometro

Si determini la pressione atmosferica in una località dove la lettura barometrica è 740 mmHg e l’accelerazione di gravità è g = 9.81 m/s2. Si assuma che la temperatura del mercurio sia 10 °C, cui corrisponde la densità di 13 570 kg/m3.

SOLUZIONE È data la lettura barometrica in una località espressa come altezza di colonna di mercurio. Si deve determinare la pressione atmosferica. Ipotesi Si suppone che la temperatura del mercurio sia 10 °C. Proprietà Il valore dato della densità del mercurio è 13 570 kg/m3. Analisi Dall’Equazione 2.16, la pressione atmosferica risulta essere:

patm = rgh

= (13 570  9.81  0.74) (1/1000) = 98.5 kPa

Considerazioni È importante notare che la densità varia con la temperatura e quindi questo effetto dovrebbe essere tenuto in conto nei calcoli.

2.8.2

Gas

h

1

FIGURA 2.37 Manometro differenziale.

2

Il manometro

L’Equazione 2.11 ha indicato che una variazione di quota D z in un fluido in quiete corrisponde a D p/rg, la qual cosa indica che si può usare una colonna di liquido per mostrare differenze di pressione. Uno strumento di misurazione basato su questo principio è detto manometro ed è usato comunemente per misurare differenze di pressione da piccole a moderate. Un manometro è costituito da un tubo a U di vetro o di plastica, contenente uno o più liquidi, quali mercurio, acqua, alcol od olio. Per mantenere di impiego pratico le dimensioni del manometro, si impiegano liquidi manometrici di elevata densità come il mercurio se si prevede di misurare grandi differenze di pressione. Si consideri il manometro schematizzato nella Figura 2.37, che è usato per misurare la pressione in un serbatoio. Dato che gli effetti gravitazionali dei gas sono trascurabili, la pressione in qualsiasi punto nel serbatoio e nella posizione 1 ha pressoché lo stesso valore. Inoltre, poiché la pressione in un fluido non varia nella direzione orizzontale entro un fluido, la


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Capitolo 2

pressione nel punto 2 è uguale alla pressione nel punto 1, p1 = p2. La colonna differenziale di liquido di altezza h è in equilibrio statico ed è in comunicazione con l’atmosfera. Quindi la pressione nel punto 2 è determinata direttamente dall’Equazione 2.12: p2 = patm + rgh

(2.17)

patm = 96 kPa

ESEMPIO 2.4

La misurazione della pressione con un manometro

Per misurare la pressione in un serbatoio è utilizzato un manometro differenziale. Il fluido adoperato ha una densità relativa all’acqua d = 0.85 e l’altezza della colonna del manometro è h = 55 cm, come mostrato nella Figura 2.38. Se la pressione atmosferica locale è di 96 kPa, determinare la pressione assoluta all’interno del serbatoio.

p=?

h = 55 cm

d = 0.85

SOLUZIONE Sono date l’indicazione di un manometro collegato a un serbatoio e la pressione atmosferica. Si deve determinare la pressione assoluta nel serbatoio.

FIGURA 2.38 Schema per l’Esempio 2.4.

Ipotesi Il fluido nel serbatoio è un gas la cui densità è molto minore della densità del liquido manometrico. Proprietà La densità relativa del liquido manometrico è data ed è pari a 0.85. Si suppone che l’acqua abbia la densità standard. Analisi La densità del fluido si ottiene moltiplicando la densità relativa per la densità dell’acqua che si ipotizza sia 1000 kg/m3:

r = dracqua = 0.85  1000 = 850 kg/m3 Dall’Equazione 2.17:

p = patm + rgh = 96 + (850  9.807  0.55  1/1000) = 100.6 kPa Considerazioni È importante notare che la pressione relativa nel serbatoio è 4.6 kPa.

Olio

ESEMPIO 2.5

La misurazione della pressione con un manometro multifluido

L’acqua contenuta in un serbatoio è pressurizzata da aria e la pressione è misurata con un manometro multifluido come è illustrato nella Figura 2.39. Il serbatoio è situato su un monte a un’altitudine di 1400 m a cui la pressione atmosferica è 85.6 kPa. Si determini la pressione dell’aria nel serbatoio se h1 = 0.1 m, h2 = 0.2 m e h3 = 0.35 m. Si assumano come densità dell’acqua, dell’olio e del mercurio 1000 kg/m3, 850 kg/m3 e 13 600 kg/m3, rispettivamente.

ARIA 1 ACQUA

h1 2 h2

Mercurio

SOLUZIONE La pressione in un serbatoio di acqua in pressione viene misurata con un manometro multifluido. Si deve determinare la pressione dell’aria nel serbatoio.

FIGURA 2.39 Schema per l’Esempio 2.5; non in scala.

h3


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Introduzione e concetti fondamentali

Ipotesi La pressione dell’aria nel serbatoio è uniforme (cioè, la sua variazione al variare della quota è trascurabile in virtù della sua bassa densità) e quindi si può determinare la pressione all’interfaccia aria-acqua. Proprietà Sono date le densità dell’acqua, dell’olio e del mercurio. Sono pari a 1000 kg/m3, 850 kg/m3 e 13 600 kg/m3, rispettivamente. Analisi Partendo dalla pressione nel punto 1 all’interfaccia aria-acqua, muovendosi lungo il tubo, addizionando o sottraendo i termini rgh finché non si raggiunge il punto 2 ed uguagliando il risultato a patm poiché il tubo è in comunicazione con l’atmosfera, si ottiene: p1 + racqua gh1+ rolio gh2  rmercurio gh3 = p2 = patm Risolvendo rispetto a p1 e sostituendo, si ottiene: p1 = patm  racqua gh1  rolio gh2 + rmercurio gh3 = patm + g (rmercurio h3  racqua h1  rolio h2) = 85.6 + 9.81  (13 600  0.35  1000  0.1  850  0.2) (1/1000) = 130 kPa Considerazioni Si noti che, saltando orizzontalmente da un tubo a quello successivo e rendendosi conto che la pressione rimane invariata nello stesso fluido, si semplifica notevolmente l’analisi. Si noti anche che il mercurio è un liquido tossico e che i manometri e i termometri a mercurio vengono sostituiti con strumenti che impiegano liquidi più sicuri a causa del rischio di esposizione ai vapori di mercurio in caso di incidente.

patm Fluido 1 h1 Fluido 2 h2 Fluido 3 1

h3

FIGURA 2.40 In strati di fluidi sovrapposti, la variazione di pressione attraverso uno strato di fluido di densità r e altezza h è rgh.

Alcuni manometri impiegano un tubo inclinato per aumentare la precisione quando si legge l’altezza del liquido manometrico. Questi strumenti sono noti come manometri inclinati. Molti problemi ingegneristici e alcuni manometri implicano più liquidi immiscibili di differenti densità sovrapposti l’uno all’altro. Tali sistemi si possono analizzare facilmente tenendo presente che (1) la variazione di pressione attraverso una colonna di liquido di altezza h è D p = rgh, (2) la pressione aumenta verso il basso in un dato liquido e diminuisce verso l’alto (cioè, pbasso > palto) e (3) due punti alla stessa quota in un fluido continuo in quiete sono alla stessa pressione. L’ultimo principio, una conseguenza della legge di Pascal, permette di saltare da una colonna di liquido a quella successiva nei manometri senza preoccuparsi della variazione di pressione purché si rimanga nello stesso liquido continuo e il liquido sia in quiete. Quindi, si può determinare la pressione in qualsiasi punto partendo da un punto di pressione nota e addizionando o sottraendo termini rgh mentre si avanza verso il punto di interesse. Per esempio, si può determinare la pressione sul fondo del serbatoio nella Figura 2.40 partendo dalla superficie libera su cui la pressione è patm, muovendosi verso il basso finché non si raggiunge il punto 1 sul fondo e uguagliando il risultato a p1; si ottiene: patm + r1gh1 + r2gh2 + r3gh3 = p1 Nel caso particolare in cui tutti i fluidi hanno la stessa densità, questa relazione si riduce all’Equazione 2.17, come ci si attende. I manometri sono particolarmente adatti per misurare le cadute di pressione attraverso un tratto orizzontale di flusso tra due punti specificati dovuta alla pre-


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35

Capitolo 2

senza di un dispositivo quale una valvola o uno scambiatore di calore o qualsiasi resistenza opposta alla corrente fluida. A questo scopo, si collegano i due rami (o bracci) del manometro a questi due punti, come è illustrato nella Figura 2.41. Il fluido di lavoro può essere un gas o un liquido la cui densità è r1. La densità del liquido manometrico è r2 e l’altezza differenziale del liquido manometrico è h. I due liquidi manometrici devono essere immiscibili e r2 deve essere maggiore di r1. Si può ottenere una relazione per la differenza di pressione p1  p2 partendo dal punto 1 in cui la pressione è p1, muovendosi lungo il tubo, addizionando o sottraendo i termini rgh finché non si raggiunge il punto 2, e uguagliando il risultato a p2; si ottiene p1 + r1g (a + h)  r2gh  r1ga = p2

(2.18)

Si noti che si è saltati dal punto A in direzione orizzontale al punto B e si è trascurata la parte sottostante perché nei due punti la pressione è la stessa. Semplificando: p1  p2 = (r2  r1) gh

Un tratto di flusso o un dispositivo a flusso Fluido

2

1 a ρ1

h A

B

ρ2

FIGURA 2.41 Misurazione della caduta di pressione ai capi di un tratto di flusso o di un dispositivo a flusso per mezzo di un manometro differenziale.

(2.19)

Si noti che nell’analisi è stata inclusa la distanza a anche se essa non ha alcun effetto sul risultato. Inoltre, quando il fluido che fluisce nel tubo è un gas, allora r1 << r2 e la relazione nell’Equazione 2.19 si semplifica diventando p1  p2  r2gh.

2.8.3

Altri strumenti di misurazione della pressione

Un altro strumento meccanico di misurazione della pressione è il tubo di Bourdon, così chiamato dal nome dell’ingegnere e orologiaio francese Eugène Bourdon (18081884), costituito da un tubo metallico cavo, piegato, avvolto a spirale o torto, la cui estremità è chiusa e collegata a un indice mobile su un quadrante (Figura 2.42). Quando è in comunicazione con l’atmosfera, il tubo è indeformato e in questo stato l’indice sul quadrante viene tarato in modo che indichi 0 (pressione relativa). Quando sul fluido all’interno del tubo si esercita una pressione, il tubo si allunga e fa compiere all’indice una deviazione direttamente proporzionale alla pressione applicata. L’elettronica è entrata in ogni aspetto della vita, compresi gli strumenti di misurazione della pressione. I moderni sensori di pressione, detti trasduttori di pressione, utilizzano varie tecniche per convertire l’effetto pressorio in un effetto elettrico quale una variazione di potenziale elettrico (tensione elettrica), resistenza elettrica o capacità elettrica. I trasduttori di pressione sono più piccoli e più rapidi e possono essere più sensibili, più affidabili e più precisi dei loro equivalenti meccanici. Sono capaci di misurare pressioni da meno di 1/1 000 000 di 1 atm (meno di 0.1 Pa) a parecchie migliaia di atmosfere (a parecchie centinaia di milioni di pascal). È disponibile un’ampia varietà di trasduttori di pressione per misurare pressioni relative, pressioni assolute e pressioni differenziali in un’ampia gamma di applicazioni. I trasduttori di pressione relativa usano la pressione atmosferica come pressione di riferimento esponendo all’atmosfera la faccia posteriore di un diaframma sensibile alla pressione e forniscono un segnale di uscita zero a pressione atmosferica indipendentemente dall’altitudine. I trasduttori di pressione assoluta sono tarati in modo da fornire un segnale di uscita zero nel vuoto assoluto. I trasduttori di pressione differenziale misurano direttamente la differenza di pressione

Tubo a C

Tubo a spirale

Tubo torto Tubo a elica

Sezione trasversale del tubo

FIGURA 2.42 Vari tipi di tubi di Bourdon impiegati per misurare la pressione.


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Introduzione e concetti fondamentali

tra due punti usando due trasduttori di pressione e misurando la differenza tra le loro indicazioni. I trasduttori di pressione a strain gage (estensimetro) si basano sulla deflessione di un diaframma tra due camere in comunicazione con gli input di pressione. Quando il diaframma si tende in risposta a una variazione della differenza di pressione tra le sue facce, lo strain gage si tende e un circuito a ponte di Wheatstone amplifica il segnale di uscita. Un trasduttore capacitivo funziona analogamente, ma viene misurata la variazione di capacità elettrica, invece della variazione di resistenza elettrica quando il diaframma si tende. I trasduttori piezoelettrici (detti anche trasduttori di pressione a stato solido) funzionano in base al principio che si genera un potenziale elettrico in una sostanza cristallina quando essa è soggetta a una pressione meccanica. Questo fenomeno, scoperto nel 1880 dai fisici francesi Pierre Curie (19591906) e Jacques Curie (1856-1941), fratelli, è detto effetto piezoelettrico. I trasduttori di pressione piezoelettrici hanno una risposta in frequenza molto più rapida rispetto ai trasduttori a diaframma e sono altamente idonei per le applicazioni ad alte pressioni, ma generalmente non sono tanto sensibili quanto i trasduttori a diaframma, specialmente alle basse pressioni. patm = 0.97 bar m = 60 kg

patm

ESEMPIO 2.6

L’effetto del peso del pistone sulla pressione in un cilindro

A = 0.04 m2 p=?

p P = mg

FIGURA 2.43 Schema per l’Esempio 2.7 e diagramma di corpo libero del pistone.

Il pistone in un sistema pistone-cilindro verticale contenente un gas ha una massa di 60 kg e un’area della sezione trasversale di 0.04 m2, come è mostrato nella Figura 2.43. La pressione atmosferica locale è 0.97 bar e l’accelerazione di gravità è 9.81 m/s2. (a) Si determini la pressione all’interno del cilindro. (b) Se si trasferisce al gas una certa quantità di calore e il volume del gas raddoppia, ci si attende che la pressione all’interno del cilindro vari?

SOLUZIONE Un gas è contenuto in un cilindro verticale munito di un pistone pesante. Si devono determinare la pressione all’interno del cilindro e l’effetto della variazione del volume sulla pressione. Ipotesi L’attrito fra il pistone e il cilindro è trascurabile. Analisi (a) La pressione del gas nel sistema pistone-cilindro dipende dalla pressione atmosferica e dal peso del pistone. Costruendo il diagramma di corpo libero del pistone come è mostrato nella Figura 2.44 ed equilibrando le forze verticali, si ottiene:

pA = patm A + P

FIGURA 2.44 Schema per l’Esempio 2.8.

Sole

Salinità e densità crescenti ρ0 = 1040 kg/m3

Zona di superficie z H=4m

1

Zona di gradiente Zona di accumulo

2


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Capitolo 2

Risolvendo rispetto a p e sostituendo, si ottiene:

mg A ⎛ 60 × 9.81 ⎞⎟⎛ 1 ⎞⎟ = 0.97 + ⎜⎜⎜ ⎟ = 1.12 bar ⎟⎜ ⎝ 0.041 ⎟⎠⎜⎜⎝ 105 ⎟⎠

p = patm +

(b) La variazione di volume non avrà alcun effetto sul diagramma di corpo libero costruito nella parte (a) e quindi la pressione all’interno del cilindro rimarrà invariata. Considerazioni Se il gas si comporta come un gas ideale, la temperatura assoluta raddoppia quando il volume raddoppia a temperatura costante.

ESEMPIO 2.7

La pressione idrostatica in uno stagno solare

Gli stagni solari (o solar pond) sono piccoli laghi artificiali profondi qualche metro utilizzati per accumulare energia solare. La risalita dell’acqua riscaldata (e quindi meno densa) verso la superficie è impedita con l’aggiunta di sale sul fondo dello stagno. In uno stagno solare a gradiente salino, la densità dell’acqua aumenta nella zona di gradiente, come è mostrato nella Figura 2.44, e la densità può essere espressa come:

⎛π z ⎞⎟ ρ = ρ0 1 + tan2 ⎜⎜⎜ ⎟ ⎝ 4 H ⎟⎠ dove r0 è la densità sulla superficie dell’acqua, z è la distanza verticale misurata verso il basso a partire dalla sommità della zona di gradiente e H è lo spessore della zona di gradiente. Per H = 4 m, r0 = 1040 kg/m3 e uno spessore di 0.8 m della zona di superficie, si calcoli la pressione relativa sul fondo della zona di gradiente.

SOLUZIONE È data la variazione di densità dell’acqua salina nella zona di gradiente di uno stagno solare al variare della profondità. Si deve determinare la pressione relativa sul fondo della zona di gradiente. Ipotesi La densità nella zona di superficie dello stagno solare è costante. Proprietà È data la densità dell’acqua salina (salamoia) sulla superficie, pari a 1040 kg/m3. Analisi Si denotino con 1 e 2 la sommità e il fondo della zona di gradiente, rispettivamente. Notando che la densità della zona di superficie è costante, la pressione relativa sul fondo della zona di superficie (il quale è la sommità della zona di gradiente) è:

p1 = rgh1 = 1040  9.81  0.8  1/1000 = 8.16 kPa dato che 1 kN/m2 = 1 kPa. La variazione differenziale della pressione idrostatica lungo una distanza verticale dz è data da:

dp = rg dz

37


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38

Introduzione e concetti fondamentali

Integrando dalla sommità della zona di gradiente (punto 1 in cui z = 0) a qualsiasi posizione z nella zona di gradiente (senza pedice), si ottiene: z

z ⎛π z ⎞⎟ ⌠ p − p1 = ∫ ρg dz → p = p1 + ⎮ ρ0 1 + tan2 ⎜⎜⎜ ⎟g dz 0 ⎝ 4 H ⎟⎠ ⌡0

Eseguendo l’integrazione, si ottiene la variazione della pressione relativa nella zona di gradiente:

p = p1 + ρ0 g

4 3.5

Quindi la pressione sul fondo della zona di gradiente (z = H = 4 m) diventa:

3 2.5

z, m

⎛ π z ⎞⎟ 4H senh−1 ⎜⎜⎜tan ⎟ ⎝ π 4 H ⎟⎠

⎛ π 4×4 × senh−1 ⎜⎜⎜tan ⎝ 4 π = 54.0 kPa (pressione relativa)

2

p2 = 8.16 + 1040 × 9.81 ×

1.5 1 0.5 0 0

10

20

30 40 p, kPa

50

60

FIGURA 2.45 Variazione della pressione relativa al variare della profondità nella zona di gradiente dello stagno solare.

4 ⎞⎟ ⎟(1 / 100) 4 ⎟⎠

Considerazioni La variazione della pressione relativa nella zona di gradiente al variare della profondità è rappresentata graficamente nella Figura 2.45. La retta tratteggiata indica la pressione idrostatica nel caso della densità costante di 1040 kg/m3 ed è data come riferimento. È importante notare che la variazione della pressione al variare della profondità non è lineare quando la densità varia con la profondità.

Problemi, esercizi e soluzioni Nell’Eserciziario pubblicato a fine volume troverete un breve riepilogo dei concetti salienti del capitolo, i Problemi e le relative soluzioni. Lo svolgimento degli Esercizi presenti nel testo e altri materiali utili all’apprendimento della materia sono scaricabili gratuitamente dal sito del volume www.mheducation.it.


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