Matematica, 6e - Capitolo 7

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Funzioni e loro grafici

7.1 Come costruire nuove funzioni a partire da funzioni già note Una funzione f è una legge che a ogni elemento x di un certo insieme D (dominio) fa corrispondere un elemento y di un certo insieme C (codominio). Si dice che y è l’immagine di x tramite f e simbolicamente si scrive y = f(x). In questo contesto, x e y hanno il ruolo di “pronomi”, in quanto stanno a denotare generici elementi di D e di C. La lettera f rappresenta invece il “nome proprio” della funzione che si intende considerare. Si noti che, in base alla definizione data, a ogni elemento del dominio resta sempre associato tramite f un ben determinato elemento del codominio. Non è invece escluso che a due o più elementi distinti del dominio possa essere associato uno stesso elemento del codominio. Le funzioni per le quali sussiste l’ulteriore proprietà che a elementi distinti del dominio restano sempre associati elementi distinti del codominio si dicono funzioni iniettive. Non è detto neppure che ogni elemento del codominio provenga tramite f da qualche elemento del dominio. Le funzioni per le quali sussiste l’ulteriore proprietà che ogni elemento del codominio è l’immagine di almeno un elemento del dominio si dicono funzioni surgettive. Le funzioni che sono simultaneamente iniettive e surgettive si dicono funzioni bigettive. Come sinonimi del termine “dominio” si usano anche locuzioni del tipo insieme di definizione, insieme di esistenza, o simili. Come sinonimo del termine “codominio” si usa anche la locuzione insieme dei valori. Se a ciascun allievo di una scuola si associa la classe che egli frequenta, si ottiene una funzione il cui dominio è costituito dall’insieme degli allievi della scuola e il cui codominio è costituito dall’insieme delle classi della scuola. Infatti a ogni allievo corrisponde una classe, univocamente determinata. Si tratta di una funzione surgettiva ma non iniettiva.

Esempio 7.1

Se a ciascun abitante di una certa provincia si associano i numeri di targa delle automobili di sua proprietà, sarebbe sbagliato affermare che si ottiene una funzione il cui dominio è costituito dall’insieme degli abitanti della provincia e il cui codominio è costituito dall’insieme dei numeri di targa. Infatti esistono abitanti che non sono possessori di automobili: a tali abitanti la presunta “funzione” non farebbe corrispondere alcun elemento del codominio. Anche qualora ci si limitasse a considerare i soli abitanti che sono possessori di automobili, non si otterrebbe ugualmente una funzione, in quanto esistono abitanti che sono possessori di due o più automobili: a tali abitanti la presunta “funzione” farebbe corrispondere, non uno, bensì due o più elementi del codominio.

Esempio 7.2


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Capitolo 7

Le funzioni che noi studieremo in questo capitolo saranno essenzialmente le funzioni di una variabile reale x e a valori y anch’essi reali, vale a dire il dominio D sarà l’insieme R dei numeri reali o un suo sottoinsieme, di solito un intervallo (limitato o illimitato) o l’unione di un numero finito di intervalli, e analogamente il codominio C sarà l’insieme R dei numeri reali o un suo sottoinsieme. Per distinguere i ruoli delle due variabili in gioco, x viene detta variabile indipendente, mentre y viene detta variabile dipendente. Esempio 7.3

Se a ogni numero reale x si associa il suo doppio, diminuito di 1, si ottiene una funzione, la cui espressione algebrica è y = f(x), con f(x) = 2x - 1. Brevemente, si usa scrivere y = 2x - 1. Questa funzione ha come dominio e come codominio l’insieme R dei numeri reali, ed è bigettiva. La situazione è illustrata nella Figura 7.1. In genere, si preferisce ricorrere a una visualizzazione di tipo diverso: si interpretano D e C come assi cartesiani del piano (o loro sottoinsiemi). Allora la funzione f può essere rappresentata mediante il suo grafico, cioè mediante l’insieme delle coppie di valori tra loro associati (x; f(x)). Com’è ben noto, il grafico della funzione y = 2x - 1 è una retta (Figura 7.2).

Esempio 7.4

Se a ogni numero reale x si associa il suo quadrato, si ottiene una funzione, la cui espressione algebrica è y = f(x), con f(x) = x2, o brevemente: y = x2. Il dominio di questa funzione è l’insieme R dei numeri reali. Come codominio si può assumere ancora l’insieme R dei numeri reali ma è altresì possibile una scelta diversa. Infatti, tenuto conto del fatto che il quadrato di un numero reale è sempre 0, basta considerare come codominio il solo intervallo [0, + ). Con quest’ultima scelta del codominio, la funzione risulta surgettiva (ma non iniettiva). Com’è ben noto, il grafico della funzione y = x2 è una parabola (Figura 7.3).

Esempio 7.5

Le tre curve introdotte nel Paragrafo 2.5 per rappresentare l’andamento nel tempo dell’altezza, della variazione annuale dell’altezza e del tasso annuale di variazione dell’altezza sono (se si prescinde dal significato fisico delle unità di misura usate sui due assi) i grafici di tre funzioni a valori reali positivi f(t), g(t), h(t), tutte definite sull’intervallo reale [0, 20]. Per comodità del lettore riproduciamo nella Figura 7.4 i tre grafici.

Figura 7.1 −3

−2

−1

0

1

2

3 x

(Dominio)

(Codominio) −3

−2

−1

0

1

2

3

Figura 7.2 y y = 2x − 1

1

1

x

y


Funzioni e loro grafici Figura 7.3 y y = x2

1 1

x

Figura 7.4 200 150 100 50

y = f(t)

0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

15 y = g(t) 10 5 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

30 y = h(t)

20 10 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

Osservazioni 1. La locuzione “grafico di una funzione”, di uso frequente in ambito matematico, lascia intendere chiaramente che la scelta della funzione deve precedere il tracciamento del corrispondente grafico. In ambito applicativo, invece, il percorso si inverte: si parte da una collezione di dati sperimentali, se ne dà una rappresentazione grafica e solo a questo punto si cerca una funzione matematica che aderisca “nel miglior modo possibile” alla situazione sperimentale in esame. Infatti negli esempi discussi nel Paragrafo 2.5 abbiamo seguito proprio quest’ultimo percorso. Non abbiamo neppure ritenuto necessario esplicitare le espressioni analitiche delle funzioni approssimanti che, a causa della loro complessità, sarebbero state di scarsa utilità per una migliore comprensione dell’argomento.

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Capitolo 7

2.

Per completezza di informazione va detto che esistono ormai algoritmi matematici ben collaudati, inglobati nei programmi di calcolo simbolico e numerico per computer, che consentono in molti casi una determinazione standard delle funzioni approssimanti che soddisfano a determinati criteri di “ottimalità” decisi dall’utente. Ovviamente a scelte diverse di tali criteri di “ottimalità” possono corrispondere funzioni approssimanti diverse. Naturalmente l’aderenza tra il modello matematico e la realtà diventa tanto migliore quanto maggiore è la quantità di dati sperimentali di cui si dispone. Nel nostro caso si possono ipotizzare, per esempio, misurazioni delle altezze con cadenza mensile o addirittura quindicinale o settimanale. Per tenere conto di questa maggiore frequenza delle misurazioni, le corrispondenti età ti vanno allora espresse in frazioni di anno (dodicesimi, ventiquattresimi, cinquantaduesimi) lasciando immutata la convenzione di rapportare le variazioni delle altezze e i tassi di variazione delle altezze all’intervallo temporale annuale assunto come unità di misura (esattamente come nel caso di un’automobile che abbia percorso 11 km in 5 minuti si dice che viaggiava a una velocità media di 132 km all’ora). Quando si opera in questo modo, le relazioni matematiche fra le tre funzioni f, g e h assumono quindi la forma: g(ti ) = [ f (ti ) f (ti 1 ) ] h(ti ) =

1 ti ti 1

g(ti ) f (ti 1 )

(7.1)

(7.2)

Concludiamo questa serie di esempi, intenzionalmente eterogenei, con una constatazione: chi affronta per la prima volta il capitolo “funzioni” rimane spesso sconcertato di fronte alla sconfinata varietà di situazioni che si possono presentare. Vediamo dunque di aiutare il lettore, mettendo un po’ di ordine nella trattazione dell’argomento. Innanzitutto va detto che gran parte della matematica ruota intorno allo studio di pochissime “funzioni base” (per lo più già note dalla scuola secondaria). Tutte le altre funzioni si costruiscono poi a partire da queste “funzioni base” mediante un numero, anch’esso esiguo, di “procedimenti di composizione”. Le funzioni base, che quindi occorre conoscere a fondo, sono sostanzialmente di tre tipi. •

• •

Funzioni polinomiali (vedi il successivo Paragrafo 7.2). Per esempio: y = costante; y = x. Funzioni esponenziali (vedi il Paragrafo 7.3). Per esempio: (dove e = 2,7182... è il numero di Eulero). y = ex Funzioni trigonometriche (vedi il Paragrafo 7.4). Per esempio: y = sin x.

Quanto ai procedimenti di composizione che consentono di ottenere nuove funzioni a partire dalle funzioni già note, essi sono i seguenti. 1. Le quattro operazioni aritmetiche Tali operazioni, applicate punto per punto ai valori di due funzioni f(x) e g(x), danno luogo a nuove funzioni, che denoteremo simbolicamente con s(x) (funzione somma), d(x) (funzione differenza), p(x) (funzione prodotto), q(x) (funzione quoziente): s(x) = f(x) + g(x) d(x) = f(x) - g(x) p(x) = f(x) g(x) q( x ) =

f (x ) g( x )


Funzioni e loro grafici

A partire dalla funzione costante

Esempio 7.6

y=3 e dalla funzione y=x si può costruire la funzione somma: y=x+3 A partire da questa nuova funzione e dalla funzione y=x si può costruire la funzione prodotto: y = x(x + 3) = x2 + 3x Iterando un certo numero di volte il medesimo tipo di procedimento e facendo uso delle sole operazioni di somma e di prodotto, si possono ottenere tutte le funzioni polinomiali, a partire dalle sole funzioni costanti e dalla funzione y = x. Usando inoltre l’operazione di quoziente, si possono poi ottenere anche tutte le funzioni razionali fratte. 2. La composizione funzionale Siano date due funzioni y = f (t) e t = g(x) (attenzione ai “nomi” delle variabili coinvolte: una stessa variabile, nel nostro caso la t, compare in entrambe le espressioni, ma con ruoli diversi). Sostituendo l’espressione della seconda funzione nella prima, si ottiene la funzione composta: y = f (g(x)) Talvolta, per denotare la funzione composta, si usa la scrittura simbolica f g. La situazione è illustrata nella Figura 7.5: la funzione g fa corrispondere a ogni valore della variabile x un valore della variabile t; la funzione f fa corrispondere a ogni valore della variabile t un valore della variabile y; la funzione composta f g consente di “saltare” la tappa intermedia, in quanto associa direttamente a x quello stesso valore y che si otterrebbe se si applicasse dapprima la funzione g a x e successivamente la funzione f a t = g(x). Naturalmente, il dominio della funzione composta è costituito dai soli valori x per i quali la composizione funzionale ha senso, cioè dagli x tali che g(x) appartiene al dominio della funzione f. A partire dalle funzioni

Esempio 7.7

y = f (t ) = t

e

t = g(x) = x + 3x 2

Figura 7.5 x g t = g(x) f f g

y = f(t) = f(g(x))

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Capitolo 7

si ottiene la funzione composta f [ g( x ) ] = x 2 + 3 x Il dominio di questa funzione è dato dai valori x per i quali x2 + 3x 0, ossia dall’unione dei due intervalli (- , -3] e [0, + ). 3. L’inversione funzionale È l’operazione che, nel caso delle funzioni bigettive, consente di scambiare tra loro i ruoli delle due variabili. Precisamente, data una funzione bigettiva y = f(x), la funzione inversa è la funzione x = g(y) caratterizzata dalla proprietà che entrambe le composizioni funzionali f g e g f danno luogo alla funzione identica, rispettivamente (f g)(y) = y e (g f )(x) = x. Si noti che entrambe le composizioni funzionali f g e g f sono ben definite, in quanto la variabile dipendente della prima funzione compare come variabile indipendente nella seconda funzione e viceversa. Se così non fosse, non avrebbe alcun senso considerare le due composizioni funzionali. Esempio 7.8

L’inversa funzionale di 1 x= y 3

y = 3x è Analogamente l’inversa funzionale di

y = x3 è x = 3 y Come preciseremo meglio nel successivo Paragrafo 7.3, l’inversa funzionale di y = 2x è x = log2 y Per denotare l’inversa funzionale di una funzione (bigettiva) y = f (x) si usa scrivere x = f -1(y). Naturalmente, il dominio e il codominio della funzione f diventano rispettivamente il codominio e il dominio della funzione f -1. Il grafico della funzione f può essere letto anche come grafico della funzione inversa f -1, pur di interpretarlo opportunamente nei due casi: quando lo si considera come grafico della funzione f, la variabile indipendente è x e la variabile dipendente è y; quando lo si considera come grafico della funzione f -1, la variabile indipendente è y e la variabile dipendente è x. In questo secondo caso, volendo rispettare la consuetudine secondo cui la variabile indipendente va posta sull’asse “orizzontale” (orientato verso destra) e la variabile dipendente va posta sull’asse “verticale” (orientato verso l’alto) basta prendere il grafico originario della funzione f (Figura 7.6a) ruotarlo di un angolo retto in verso antiorario (Figura 7.6b) e considerarne l’immagine speculare (Figura 7.6c). Spesso si effettua poi un ulteriore cambio di notazioni, per rispettare la consuetudine secondo cui la variabile indipendente va denotata con la lettera x e la variabile dipendente con la lettera y, ossia si scrive y = f -1(x) (Figura 7.6d).

Figura 7.6 y x

x

y 0 (a)

0

y

0

y

0

x

x (b)

(c)

(d)


Funzioni e loro grafici Figura 7.7

y = f(x)

y

y = f −1(x)

0

x

In coordinate monometriche, il risultato finale delle operazioni or ora descritte equivale a fare una simmetria rispetto alla bisettrice del primo e del terzo quadrante. Detto in termini più espliciti, il grafico della funzione y = f -1(x) è il simmetrico del grafico della funzione y = f (x) rispetto alla retta y = x (Figura 7.7). Attenzione. L’inversa funzionale y = f -1(x) non va confusa con la funzione reciproca y = 1/f (x). Per esempio, come abbiamo visto sopra, l’inversa funzionale di y = 3x è x = (1/3)y (o, scambiando il ruolo delle variabili, y = (1/3)x). Invece la reciproca della funzione y = 3x è la funzione y = 1/(3x). 4. La definizione “a tratti” Si suddivide l’asse delle ascisse in un certo numero di intervalli (facendo attenzione al fatto che ogni punto appartenga a un unico intervallo). Si definisce poi una funzione f (x), imponendo la condizione che su ciascun intervallo f (x) coincida con una funzione nota (ma eventualmente diversa da un intervallo a un altro). Ecco, per esempio, una funzione lineare a tratti: ­° 2x + 1 per x < 1 °° f ( x ) = °® x 2 per 1 d x < 1 °° °° 3x 6 per 1 d x ¯° Il lettore ne disegni il grafico. Osservazione In questo esempio, le funzioni considerate sui tre tratti si raccordano tra loro, nel senso che negli estremi comuni a due intervalli esse assumono lo stesso valore. Quindi, si sarebbe ottenuta la medesima funzione f (x) anche qualora i ruoli dei simboli “<” e “ ” fossero stati invertiti: °­° 2x + 1 per x d 1 ° f ( x ) = °® x 2 per 1 < x d 1 °° °° 3x 6 per 1 < x °¯ Non sempre è così. Consideriamo, per esempio, la funzione parte intera di x, che si denota abitualmente col simbolo: y = [x] Il valore di questa funzione in ogni punto x è, per definizione, il più grande intero che non supera x; in altre parole, su ciascun intervallo della forma [k, k + 1), con k numero intero (positivo, negativo o nullo) la funzione y = [x] assume il valore costante k. Per esempio: valore -1 sull’intervallo [-1, 0); valore 0 sull’intervallo [0, 1), valore 1 sull’intervallo [1, 2) ecc. Si

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Capitolo 7 Figura 7.8 y 1 1

2

3 x

y = [x]

tratta insomma di una funzione costruita mediante tratti di funzioni costanti, per cui si parla di “funzione localmente costante”, o “funzione a gradini” (Figura 7.8). In questo caso, il valore assunto dalla funzione su un intervallo non si raccorda con il valore assunto sull’intervallo successivo; è dunque necessario precisare che ciascuno di questi intervalli si intende “chiuso a sinistra”, ma “aperto a destra”. I punti di ascissa intera sono altrettanti punti di discontinuità della funzione y = [x], concetto che approfondiremo nel successivo Paragrafo 7.5. Un’altra funzione di uso frequente è la funzione valore assoluto di x: y= x definita da (Figura 7.9): °­° x per y=® °° x per °¯

x <0 x t0

Ricordiamo infine le funzioni del tipo: y = max( f ( x ), g( x ))

e simmetricamente:

y = min( f ( x ), g( x ))

che assumono in ogni punto x del dominio il valore della funzione che in quel punto è la maggiore o, rispettivamente, la minore delle due. Per esempio, la funzione valore assoluto y = x , introdotta or ora, può essere caratterizzata anche come y = max(x, -x).

Figura 7.9 y=

⎧⎨ −x ⎩ −x

per x < 0 per x ≥ 0

y

y = |x|

1

1

x


Funzioni e loro grafici

Esercizio C7.1

Nella figura seguente è disegnato il grafico di una funzione y = f (x) lineare a tratti, nulla al di fuori dell’intervallo (0, 12).

y 30 20

10 x 0

a)

2

4

6

8

1 f (x) 2

Disegnate il grafico della funzione y2 =

c)

12

Disegnate il grafico della funzione y1 =

b)

10

1 f ( x 6) 2

Disegnate il grafico della funzione y3 = y1 + y2.

Esercizio C7.2

Con riferimento all’esercizio precedente, interpretate la variabile x come “tempo” (misurato in ore) e la variabile y come “concentrazione” di un determinato farmaco nel sangue (misurata in mg/cm3). Il grafico proposto nel testo dell’esercizio precedente rappresenta allora la concentrazione del farmaco nel sangue, in funzione del tempo trascorso dalla somministrazione di una dose unitaria del farmaco; i grafici corrispondenti ai punti (a), (b), (c) hanno lo stesso significato, ma si riferiscono rispettivamente a: a) b) c)

assunzione di una dose dimezzata del farmaco all’istante x = 0; assunzione di una dose dimezzata del farmaco 6 ore dopo l’istante t = 0; effetto cumulativo, quale risulta dalle due successive assunzioni del farmaco di cui ai punti (a) e (b) (nell’ipotesi che non si abbiano fenomeni di saturazione).

Ciò premesso, disegnate i grafici corrispondenti alle seguenti ipotesi terapeutiche: 1. 2. 3.

assunzione di una dose unitaria del farmaco ogni 8 ore, per un periodo di 48 ore; assunzione di una dose dimezzata del farmaco ogni 4 ore, per un periodo di 48 ore; assunzione di una dose dimezzata del farmaco ogni 3 ore, per un periodo di 48 ore.

Vedi anche Esercizi 7.1-7.5

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Capitolo 7

7.2 Funzioni polinomiali, funzioni razionali fratte, funzioni “potenza” In questo paragrafo ci occuperemo delle funzioni che si possono ottenere a partire dalle due funzioni “base” y = costante e y = x, con i vari tipi di operazioni sulle funzioni, descritti nel paragrafo precedente.

Funzioni polinomiali La più generale funzione polinomiale nella variabile x è della forma y = anxn + an - 1xn-1 + ... + a0 con ai (i = 0, …, n) numeri reali arbitrari (si usa supporre inoltre an 0 e in tal caso n si chiama grado del polinomio). Per n = 0 si ritrovano le funzioni costanti (cioè le funzioni che assumono sempre lo stesso valore, qualunque sia il valore che si attribuisce alla variabile x, e infatti la x non compare nell’espressione di questa “funzione”). Per n = 1 si ritrovano le funzioni lineari (cioè le funzioni del tipo y = mx + n, i cui grafici sono le rette non parallele all’asse y). Se in particolare manca il termine noto, la retta passa per l’origine degli assi coordinati e in tal caso la funzione rappresenta una relazione di proporzionalità diretta. Esempio 7.9

1. 2.

Se il costo unitario dello zucchero è di 1,6 euro/kg, il costo y (in euro) di una quantità x di zucchero (in kg) è espresso da y = 1,6x. Se il prezzo del metano è di 0,5 euro/m3 e se la bolletta trimestrale del gas comporta inoltre una spesa fissa di 7 euro, l’importo y della bolletta, corrispondente a un consumo trimestrale di x m3 di metano, è espresso da y = 0,5x + 7.

Per n = 2, si hanno le funzioni del tipo y = ax2 + bx + c, i cui grafici sono le parabole con asse parallelo all’asse y. Se in particolare la parabola si riduce alla forma y = ax2 (vale a dire se sono nulli sia b sia c), la parabola passa per l’origine e ha l’asse y come suo asse di simmetria. Una funzione di questo tipo rappresenta una relazione di proporzionalità quadratica. La denominazione è giustificata dal seguente esempio. Esempio 7.10

L’area y di un quadrato (espressa in m2) è legata alla lunghezza x del lato del quadrato (espressa in m) dalla relazione y = x2. Analogamente, l’area y di un cerchio è legata alla lunghezza x del suo raggio dalla relazione y = px2. Per n = 3 si hanno le funzioni del tipo y = ax3 + bx2 + cx + d i cui grafici possono avere forme diverse (Figura 7.10). Se, in particolare, b = c = d = 0, il grafico della “parabola cubica” y = ax3 passa per l’origine che ne è anche centro di simmetria. Una funzione di questo tipo rappresenta una relazione di proporzionalità cubica (vedi Figura 7.10b). La denominazione è giustificata dal seguente esempio.

Esempio 7.11

Il volume y di un cubo (espresso in m3) è legato alla lunghezza x del suo spigolo (espresso in m) dalla relazione y = x3. Analogamente il volume y di una sfera è legato alla lunghezza x del suo raggio dalla relazione y = (4/3)px3.


Funzioni e loro grafici Figura 7.10 y

y

y

1

1

1

1

x

x

1

y = x3 − x

1 y = x3 + x

y = x3

(c)

(b)

(a)

x

Funzioni razionali fratte Componendo due funzioni polinomiali mediante l’operazione di quoziente, si ottiene una funzione razionale fratta. Per esempio: y=

x 2 3x + 5 x+2

Il caso più semplice di funzioni razionali fratte è dato dalle funzioni di proporzionalità inversa, ossia dalle funzioni del tipo y = k/x (con k costante), i cui grafici sono iperboli equilatere (Figura 7.11). La pressione y di una certa quantità di gas (a temperatura costante) è legata al suo volume x da una relazione del tipo y = k/x, (con k costante > 0). Volendo tenere conto del significato fisico delle grandezze in gioco, ossia del fatto che x e y devono essere quantità positive, basta anzi considerare il solo ramo “positivo” dell’iperbole.

Esempio 7.12

Figura 7.11 y y=

1 x

1 1

x

Funzioni potenza Dati due numeri reali a e b, con a > 0, è ben noto il significato di una scrittura del tipo: c = ab Si dice che c è la potenza di base a ed esponente b. Se, per esempio, a = 6 e b = 0,75 risulta, per definizione: 75

3

c = 60,75 = 6100 = 6 4 = 4 63 3, 83 Prima di procedere oltre, ricordiamo le principali regole di calcolo con le potenze (con a e b numeri reali positivi, m e n numeri reali arbitrari):

101


102

Capitolo 7

a0 = 1 a1 = a ( am )n = am n 1 a n = n a a m a n = a m+ n am = a m n an ( a b )n = a n b n § a ·¸n a n ¨¨ ¸ = © b ¸¹ bn Chiameremo funzione potenza una funzione del tipo: y = xb con x (base) variabile e b (esponente) costante. Se l’esponente b non è un numero intero, si impone per la base la limitazione x 0. Se b è un intero positivo: b = 1, 2, 3, ... si ricade nel caso delle funzioni polinomiali: y=x

y = x2

y = x3

(7.3)

...

Se b è un intero negativo: b = -1, -2, -3, ... si ottengono le reciproche delle funzioni (7.3): y = x 1 =

1 x

y = x 2 =

1 x2

y = x 3 =

1 x3

...

Se infine b è della forma b = 1, 1/2, 1/3, ... si ottengono le inverse funzionali delle funzioni (7.3): y=x Esempio 7.13

1

1

y = x2 = x

y = x3 = 3 x

...

La lunghezza y dello spigolo di un cubo (espressa in m) è legata al suo volume x (espresso in m3) dalla relazione: 1

y = x3 Analogamente, la lunghezza y del raggio di una sfera è legata al suo volume x dalla relazione: §3 y = ¨¨ © 4S

1

·3 x ¸¸¸ ¹

Esercizio C7.3

In un opportuno sistema di riferimento, disegnate il grafico di y = 2x. Quindi, nello stesso sistema di riferimento, disegnate i grafici di: a) b) c)

y = 2x + 1 y = 2x y = 2x + 1


Funzioni e loro grafici

d) e)

y = -2x y = 2x + 1

Nota per la risoluzione: il lettore, dopo avere eseguito a mano i disegni richiesti, potrà confrontarli con i grafici visualizzabili sul sito web dedicato al volume. Chi avesse difficoltà a passare dal grafico di una funzione “base” ai grafici delle funzioni correlate, legga con attenzione nell’Eserciziario quanto premesso alla soluzione.

Esercizio C7.4

Un cono (illimitato) è tagliato da due piani paralleli, ortogonali all’asse del cono, posti a una distanza dal vertice, misurata lungo l’asse del cono, di 2 m e, rispettivamente, di 6 m. Calcolate il rapporto tra le aree intersecate dal cono sui due piani.

Vedi anche Esercizi 7.6-7.18

7.3 Funzioni esponenziali e logaritmiche A partire dalla nozione di “potenza”: c = ab, si possono costruire due diversi tipi di funzioni: nel paragrafo precedente avevamo supposto variabile la base e costante l’esponente; ciò dava luogo alle funzioni potenza. In questo paragrafo supporremo invece variabile l’esponente e costante la base.

Funzioni esponenziali Chiameremo funzione esponenziale una funzione del tipo y = ax con x variabile in R e a > 0 costante. Si possono considerare funzioni esponenziali aventi come base un numero positivo a qualsiasi. Se la base è un numero >1, il grafico della funzione y = ax “sale”; se la base è un numero (positivo) <1, il grafico della funzione y = ax “scende”; se infine a = 1, la funzione esponenziale y = ax si riduce alla funzione costante y = 1. Escluso quest’ultimo caso banale, la scelta della base influisce sulla maggiore o minore rapidità con cui il grafico della funzione esponenziale “sale” o “scende”. I matematici tendono a privilegiare una particolare base, e precisamente il numero di Eulero e = 2,7182... che abbiamo già incontrato in precedenza. Il motivo di questa preferenza risulterà chiaro da quanto diremo nel successivo Capitolo 8. Possiamo tuttavia anticipare fin d’ora che la scelta della base e dà luogo a un grafico il quale, nel punto di intersezione con l’asse y, vale a dire nel punto di coordinate (0; 1), ha come sua “retta tangente” una retta di coefficiente angolare 1 (Figura 7.12). Figura 7.12 y

y = ex 1

1

x

103


104

Capitolo 7 Figura 7.13 y = ⎛⎝

1 ⎞x 3⎠

y

y = 3x

1 x y = ⎛⎝ ⎞⎠ 1,5

y = 1,5x

x

1

Nella Figura 7.13 sono disegnati i grafici di alcune funzioni esponenziali, ottenuti per diversi valori della base. Si noti che il fatto di avere privilegiato la base e piuttosto che un’altra base non è in alcun modo restrittivo. Infatti una funzione esponenziale y = ax con base a qualsiasi si può sempre scrivere nella forma y = emx, con m costante opportuna; per esempio, y = 10x = emx con m = 2,30259... (vedi Esercizio C7.5). Osservazione Le funzioni esponenziali rappresentano una naturale estensione delle progressioni geometriche. Consideriamo infatti i valori assunti da una funzione esponenziale del tipo y = K ax, quando alla variabile indipendente x si attribuiscono solo valori interi 0: x = 0, 1, 2, 3, .... I corrispondenti valori di y costituiscono una progressione geometrica di ragione a e termine iniziale K: y(0) = K

y(1) = K a

y(2) = K a2

y(3) = K a3

...

Il vantaggio del considerare le funzioni esponenziali piuttosto che le progressioni geometriche sta nel fatto che le funzioni esponenziali sono definite anche per valori non interi della variabile indipendente; esse consentono quindi una più precisa descrizione dei numerosi fenomeni di accrescimento o di decadimento che si evolvono con continuità nel tempo.

Funzioni logaritmo La funzione inversa dell’esponenziale y = ax (a numero reale positivo, a 1) si denota col simbolo x = loga y e si chiama logaritmo di y in base a. Scambiando, secondo l’usanza, il ruolo delle due variabili x e y, scriveremo abitualmente y = loga x. Nella Figura 7.14 sono disegnati i grafici di alcune funzioni logaritmiche, corrispondenti a diversi valori della base. Si noti in particolare che - qualunque sia la base a - la funzione Figura 7.14 y

y = log1,5 x y = log3 x

x

1

y = log0,33 x y = log0,66 x


Funzioni e loro grafici

y = loga x risulta definita solo per valori positivi della variabile x. In altre parole, il dominio della funzione loga x è costituito dall’insieme dei numeri reali > 0. I valori y assunti dalla funzione logaritmo variano invece da - a + . In altre parole, il codominio della funzione loga x è tutto R. Dalle proprietà delle potenze e dalla definizione di “funzione inversa” si deducono facilmente le seguenti regole di calcolo con i logaritmi: • • • • • • •

loga 1 = 0 loga a = 1 loga (b c) = loga b + loga c loga (b/c) = loga b - loga c loga bn = n loga b (n numero reale qualsiasi) loga ab = b (b numero reale qualsiasi) aloga b = b (b numero reale > 0).

Le basi di uso più frequente per i logaritmi sono “10” ed “e”. In ambito informatico si usa talvolta anche la base “2”. I logaritmi in base 10 si chiamano logaritmi decimali, i logaritmi in base e si chiamano logaritmi naturali. Nel seguito useremo il simbolo “Log” (con l’iniziale maiuscola) per denotare i logaritmi decimali e useremo il simbolo “ln” per denotare i logaritmi naturali (Figura 7.15). Per conoscere il valore numerico del logaritmo di un generico numero (reale positivo) si fa ricorso alle classiche tavole, o a una calcolatrice programmabile, o a un programma di elaborazione numerica al computer. Attenzione. Le convenzioni di scrittura dei logaritmi possono variare a seconda degli strumenti di calcolo utilizzati. Occorre quindi stare attenti a non confondere i logaritmi decimali con quelli naturali o con quelli in altre basi. I logaritmi decimali sono particolarmente comodi per affrontare problemi di calcolo numerico. Infatti si ha: Log 1 = 0

Log 10 = 1

Log 0,1 = -1

Log 100 = 2

Log 0,01 = -2

Log 1000 = 3

Log 0,001 = -3

.... ....

(in generale, per ogni n positivo o negativo: Log 10n = n). Quindi già la conoscenza della sola parte intera di un logaritmo decimale fornisce l’ordine di grandezza del corrispondente numero. Se, per esempio, si sa che Log x 19,2659 ne segue, senza bisogno di alcun calcolo, che x è un numero compreso tra 1019 e 1020. Volendo ricavare informazioni più precise sul valore numerico di x, conviene riscrivere il logaritmo come somma della sua parte intera (detta caratteristica del logaritmo) e della sua parte decimale (detta mantissa del logaritmo): Log x 19 + 0,2659. Risalendo dai logaritmi ai numeri, al valore “19” del logaritmo decimale corrisponde, come abbiamo già detto, il numero 1019. Al valore “0,2659” del logaritmo decimale corrisponde il numero 1,84... (lo si desume dalle tavole dei logaritmi o dal ricorso a una calcolatrice). Infine, alla somma dei valori logaritmici: Log x 19 + 0,2659 corrisponde il prodotto dei numeri: x 1,84 1019. Figura 7.15 y

y = ln x

1

x

105


106

Capitolo 7

Se poi Log x è un numero negativo, per esempio, Log x -1,6928, si opera allo stesso modo, avendo l’avvertenza di riscrivere il logaritmo nella forma Log x -2 + 0,3072, da cui risulta x 2,03 10-2. I logaritmi in base e sono particolarmente comodi per affrontare problemi di calcolo infinitesimale, come risulterà da quanto diremo nei successivi Capitoli 8 e 9. La denominazione di logaritmi naturali è dovuta appunto alla “naturalezza” del loro uso in tale ambito. Il passaggio dai logaritmi in una data base a ai logaritmi in un’altra base b è reso agevole dalla relazione: loga c = loga b logb c Per esempio, sapendo che ln 10 = 2,30259..., Log e = 0,43429... ne seguono le formule di passaggio dai logaritmi decimali a quelli naturali e viceversa: ln x = 2,30259... Log x

Log x = 0,43429... ln x

I logaritmi hanno rappresentato per oltre tre secoli il principale strumento di calcolo numerico, in virtù della loro proprietà caratteristica, di trasformare prodotti e quozienti tra numeri in somme e differenze dei corrispondenti logaritmi, con una conseguente notevolissima riduzione del livello di difficoltà nell’esecuzione delle operazioni. Al giorno d’oggi il ruolo dei logaritmi ai fini del calcolo numerico è stato ridimensionato dall’avvento degli elaboratori elettronici. Resta invece immutata l’importanza concettuale delle funzioni esponenziali e logaritmiche, per esempio, per una descrizione e valutazione quantitativa delle già più volte citate leggi di accrescimento o di decadimento, tanto frequenti in natura. Esempio 7.14

Nell’Esercizio 3.2 si richiedeva di schematizzare in forma matematica il processo del decadimento radioattivo, assumendo come unità di misura dei tempi il tempo di dimezzamento. Seguendo i suggerimenti dati, allora, indichiamo con K0 il numero di atomi di sostanza radioattiva inizialmente presenti e, poi, con K(x) il numero di atomi di sostanza radioattiva presenti a un istante generico x. In base alle ipotesi fatte, possiamo scrivere: § 1 ·x K K ( x ) = K0 ¨¨ ¸¸¸ = x0 © 2¹ 2 Se attribuiamo alla variabile indipendente i valori x = 1, 2, 3, ... (vale a dire se calcoliamo K(x) quando sono trascorsi 1, 2, 3, ... tempi di dimezzamento a partire dall’istante iniziale) ritroviamo la progressione geometrica dell’Esercizio 3.2. Ma l’uso della funzione esponenziale ci consente ora di determinare anche il numero di atomi di sostanza radioattiva presenti a ogni altro istante che ci dovesse interessare. Per esempio, la domanda (b) dell’Esercizio 3.2, circa il tempo necessario affinché la quantità di sostanza radioattiva si riduca a meno di 1/4, a meno di 1/100, a meno di 1/1000 della quantità iniziale, si traduce rispettivamente nelle tre equazioni: K0 K0 = 2x 4

K0 K = 0 x 2 100

K0 K = 0 x 2 1000

che con facili passaggi algebrici si trasformano in: 2x = 4

2x = 100

2x = 1000

Con ciò abbiamo ottenuto delle equazioni esponenziali, vale a dire equazioni in cui l’incognita x figura all’esponente di una data base. Si vede subito che la prima delle tre equazioni esponenziali ammette come sua soluzione x = 2; ma si tratta di un caso assai semplice, dovuto alla particolarità dei numeri che vi compaiono. Per risolvere le altre due equazioni esponenziali scritte sopra e, più in generale, una qualsiasi equazione esponenziale dello stesso tipo, conviene invece “invertire” le funzioni esponenziali passando ai logaritmi. La base può essere scelta a piacere. In questo caso sarebbe


Funzioni e loro grafici

particolarmente comodo operare con i logaritmi in base 2, ma non sempre le tavole o le calcolatrici riportano i valori numerici dei logaritmi in tale base. Optiamo quindi per la base 10. Le tre equazioni esponenziali si trasformano allora in altrettante equazioni lineari: x Log 2 = Log 4

x Log 2 = Log 100

x Log 2 = Log 1000

ossia ancora, sostituendo i corrispondenti valori numerici arrotondati alla quinta cifra decimale: 0,30103 x = 0,60206

0,30103 x = 2

0,30103 x = 3

e infine: x=2

x = 6,64...

x = 9,97...

Ossia, a parole: la quantità di sostanza radioattiva si sarà ridotta a 1/4 della quantità iniziale esattamente dopo 2 tempi di dimezzamento (in accordo con il risultato che avevamo già ottenuto in precedenza, con considerazioni dirette); si sarà ridotta a 1/100 dopo circa 6,64 tempi di dimezzamento e si sarà ridotta a 1/1000 dopo circa 9,97 tempi di dimezzamento. Quindi, con riferimento ai dati numerici riportati nel punto (c) dell’Esercizio 3.2, per esempio l’azoto 13N si sarà ridotto a 1/4 della quantità iniziale dopo 20 minuti; si sarà ridotto a 1/100 dopo circa 66,4 minuti (poco più di un’ora) e si sarà ridotto a 1/1000 dopo circa 99,7 minuti (circa un’ora e 40 minuti). Il punto centrale del procedimento descritto or ora sta nel fatto che, passando ai logaritmi, le equazioni esponenziali si “linearizzano” e possono essere quindi risolte molto più facilmente. È possibile ottenere lo stesso risultato anche attraverso un artificio grafico, consistente nell’impiego di scale logaritmiche (invece delle usuali scale lineari) su uno o su entrambi gli assi coordinati di un sistema di riferimento cartesiano. Ecco come procedere (Figura 7.16). Sull’asse prescelto (per esempio, sull’asse delle ascisse) rappresentiamo in primo luogo il punto di ascissa 1. Procedendo nel verso “positivo” dell’asse rappresentiamo poi, a distanze uguali tra loro, i punti di ascissa 10, 102, 103, .... Analogamente, procedendo nel verso “negativo” dell’asse, rappresentiamo, sempre a distanze uguali tra loro, i punti di ascissa 1/10, 1/102, 1/103, .... Quanto ai valori intermedi tra una potenza del 10 e la successiva (per esempio, 2, 3, ..., 8, 9, oppure 20, 30, ..., 80, 90, o ancora 0,2, 0,3, ..., 0,8, 0,9) li posizioniamo proporzionalmente ai valori dei rispettivi logaritmi decimali. La scala logaritmica così costruita permette la rappresentazione delle sole misure positive delle grandezze che intendiamo visualizzare. Man mano che le misure delle grandezze si avvicinano a 0, i corrispondenti valori dei logaritmi tendono a - . In altre parole, la scala logaritmica “dilata” la rappresentazione grafica dei valori (positivi) “piccoli”. Nel contempo la scala logaritmica “comprime” la rappresentazione grafica dei valori “grandi”. Infatti, quando le misure delle grandezze che intendiamo visualizzare assumono valori sempre più grandi, anche i corrispondenti valori dei logaritmi tendono a + , ma i loro punti immagine sulla scala logaritmica risultano via via più ravvicinati. Regola pratica L’utilizzo delle scale logaritmiche è particolarmente indicato quando si deve visualizzare su uno stesso grafico una serie di misure (> 0) con ordini di grandezza molto diversi tra loro.

Figura 7.16

0,1

0,2

0,5

1

2

3

4 5 6 7 8 9 10

20

50

107


108

Capitolo 7

Supponiamo, per esempio, di voler rappresentare sull’asse delle ascisse i redditi annui dei contribuenti italiani. Si va da un reddito di poco superiore a 1000 euro a un reddito di alcuni milioni di euro. Sarebbe praticamente impossibile usare una scala lineare, visto che tra la misura minima e quella massima intercorre un fattore moltiplicativo dell’ordine di grandezza di 103. La rappresentazione diventa invece possibile facendo ricorso a una scala logaritmica, nel suo tratto compreso tra 103 (mille) e 107 (dieci milioni) di euro. A titolo di esempio, nella Figura 7.17 sono stati contrassegnati mediante tre crocette i redditi di altrettanti contribuenti: • • •

contribuente A: 1 750 000; contribuente M: 24 000; contribuente Z: 2620.

Ovviamente le rappresentazioni di questo tipo vanno sapute leggere, in quanto la loro caratteristica principale (difetto e pregio allo stesso tempo) è proprio quella di “distorcere” i rapporti fra le misure delle grandezze rappresentate. Ecco qualche ulteriore esempio di grandezze per la cui rappresentazione grafica è opportuno ricorrere a scale logaritmiche: • • •

le frequenze dei suoni percepiti dall’orecchio umano (da meno di 20 Hz a quasi 20 000 Hz); il numero di leucociti/mm3 nel sangue di taluni ammalati (da qualche migliaio a varie centinaia di migliaia); le percentuali di sopravvivenza degli individui di una data popolazione alle diverse età (dal 100% alla nascita a poco più dello 0% oltre i 95 anni).

Naturalmente di volta in volta andrà scelto il tratto di scala logaritmica entro il quale cadono tutte le misure da rappresentare. Un’ulteriore proprietà caratteristica delle scale logaritmiche merita una segnalazione esplicita: se, come capita frequentemente in ambito sperimentale, le misure di varie grandezze ai sono state determinate tutte a meno di uno stesso errore relativo (per esempio, Dai/ai = 5%), allora gli intervalli (ai - Dai, ai + Dai) entro i quali le misure “vere” di tali grandezze sono comprese, risultano tutti della medesima lunghezza se rappresentati in scala logaritmica. Il ricorso alle scale logaritmiche presenta il vantaggio pratico di non dover effettuare esplicitamente il calcolo dei logaritmi dei singoli valori numerici, in quanto tale calcolo è stato effettuato una volta per tutte nella costruzione della scala logaritmica, posizionando i “numeri” esattamente là dove si sarebbero dovuti posizionare i valori dei loro “logaritmi”. Si osservi infine che talvolta il calcolo di un logaritmo è incorporato nella definizione stessa della misura di una grandezza. Ciò avviene, per esempio, nel caso del “pH” di una soluzione o nel caso della misura, in decibel (dB), di una “sensazione sonora” S. Ricordiamo infatti che si pone, per definizione: pH = -Log [H+] (= logaritmo decimale, cambiato di segno, della concentrazione di H+, espressa in grammoioni/litro). Analogamente, per quanto concerne la “sensazione sonora”, si pone, sempre per definizione: S = 10 Log(I/I0) dB, dove le grandezze I0 e I, misurate in watt/m2, rappresentano rispettivamente il valore minimo dell’intensità del flusso di energia che deve colpire l’orecchio perché un suono possa essere percepito (soglia di udibilità) e l’intensità del flusso di energia del suono che produce la sensazione. Naturalmente, anche nei casi di questo genere occorre saper interpretare correttamente i dati numerici. Se, per esempio, il pH di una soluzione passa dal valore 6 al valore 5, questo significa che la concentrazione di H+ risulta decuplicata (essendo passata da 10-6 a 10-5 grammoioni/litro).

Figura 7.17

103

Z

104

M

105

106 A

Redditi (in euro)


Funzioni e loro grafici Figura 7.18

Finora abbiamo parlato di scale logaritmiche su un singolo asse, ma il più delle volte interessa prendere in esame simultaneamente due grandezze per studiarne i mutui legami, pertanto la corrispondente rappresentazione grafica va fatta in un piano cartesiano. Su ciascuno dei due assi coordinati si può quindi decidere se usare scale lineari o logaritmiche. In sostanza sono possibili tre alternative: • • •

scale lineari su entrambi gli assi; scala lineare su uno dei due assi e scala logaritmica sull’altro asse; scala logaritmica su entrambi gli assi.

In commercio si trovano carte quadrettate, adattate alle esigenze di tutte e tre queste alternative. Nel primo caso, si hanno le usuali carte millimetrate (Figura 7.18). Nel caso secondo caso, si hanno le cosiddette carte semilogaritmiche (Figura 7.19). Nel terzo caso, si hanno le cosiddette carte logaritmiche, chiamate anche carte doppiamente logaritmiche per distinguerle dalle precedenti (Figura 7.20). In queste carte sugli assi “logaritmici” compaiono ripetutamente i numeri da 2 a 10, lasciando, a chi le utilizza, il compito di segnare accanto a tali numeri le opportune potenze del 10 (ciò è stato fatto, a titolo di esempio, nella Figura 7.19 sull’asse delle ascisse). Quanto all’utilizzo delle carte semilogaritmiche o doppiamente logaritmiche, supponiamo di avere a che fare con una serie di misure sperimentali (x1; y1), (x2; y2), ... di due grandezze che si suppongono tra loro correlate. Per stabilire il tipo di legame matematico che intercorre tra le due grandezze in esame, conviene innanzitutto riportare i punti rappresentativi dei dati sperimentali su un grafico cartesiano usuale. Con un righello è facile verificare se tali

Figura 7.19

1 106

2

3

4 5 6 7 8 910 107

2

3

4 5 6 7 8 910 108

2

3

4 5 6 7 8 910 109

109


110

Capitolo 7 Figura 7.20 10 9 8 7 6 5 4 3

2

1

1

2

3

4

5

6

7

8 9 10

2

punti risultano allineati su una stessa retta (entro i margini di precisione consentiti dal tipo delle misure sperimentali effettuate). In caso affermativo è ragionevole congetturare che tra le due grandezze intercorre una relazione lineare: y = mx + n. Ma se i punti non sono allineati, risulta molto più difficile congetturare “a occhio” il tipo di relazione che intercorre tra le due grandezze. Per esempio, stabilire se i punti appartengono al grafico di una funzione del tipo y = Kax o, rispettivamente, al grafico di una funzione del tipo y = Kxn. Conviene allora passare ai logaritmi (decimali), così che le due relazioni si trasformano in: Log y = Log K + x Log a

(7.4)

Log y = Log K + n Log x

(7.5)

e in

Nel caso della relazione (7.4), poniamo: Y = Log y e consideriamo Y come nuova variabile sull’asse delle ordinate; lasciamo invece inalterata la variabile x sull’asse delle ascisse. In questo nuovo sistema di riferimento, il grafico di y = Kax si trasforma nella retta di equazione Y = Mx + N

con M = Log a

N = Log K

Per quanto detto sopra, il passaggio dalla variabile y alla nuova variabile Y = Log y può essere sostituito dal ricorso a una carta semilogaritmica (con scala logaritmica sull’asse delle ordinate). Se si disegnano su carta semilogaritmica i punti rappresentativi delle misure sperimentali (x1; y1), (x2; y2), ... e se tali punti risultano tutti approssimativamente allineati su una stessa retta, è ragionevole congetturare che tra le due grandezze intercorre una relazione del tipo y = Kax. Nel caso della relazione (7.5) procediamo in modo del tutto analogo, ponendo X = Log x e Y = Log y e considerando X e Y come nuove variabili. In questo nuovo sistema di riferimento, il grafico di y = K xn si trasforma nella retta di equazione Y = nX + P

con P = Log K


Funzioni e loro grafici

Anche in questo caso, il passaggio dalle variabili x e y alle nuove variabili X = Log x e Y = Log y può essere sostituito dal ricorso a una carta doppiamente logaritmica. Se si disegnano su carta doppiamente logaritmica i punti rappresentativi delle misure sperimentali (x1; y1), (x2; y2), ... e se tali punti risultano tutti approssimativamente allineati su una stessa retta, è ragionevole congetturare che tra le due grandezze intercorre una relazione del tipo y = K xn. Inoltre, dai calcoli effettuati si desume che la pendenza di questa retta è precisamente n (esponente della funzione potenza considerata). Vista la facilità con cui si può verificare graficamente l’allineamento di un certo numero di punti, il vantaggio del ricorso alle carte semilogaritmiche o doppiamente logaritmiche è evidente. Esercizio C7.5

Fate vedere che, se a e K sono numeri positivi arbitrari, ogni funzione del tipo y = Kax si può riscrivere sotto forma di funzione esponenziale in base e: y = emx + n

con m = ln a

n = ln K

Deducetene che ax = emx

con m = ln a

e che se, in particolare, a = 10 o, rispettivamente, a = 2: 10x = emx

con m = 2,30259...

2x = emx

con m = 0,69315...

Esercizio C7.6

Sia data una progressione geometrica S(n). Fate vedere che, passando ai corrispondenti logaritmi (in base a qualsiasi) si ottiene una progressione aritmetica loga S(n). Esercizio C7.7

Una popolazione A, formata inizialmente da 1 milione di individui, cresce a un tasso costante del 3% annuo. Un’altra popolazione B, formata inizialmente da 1,3 milioni di individui, cresce a un tasso costante dell’1% annuo. Dopo quanti anni le due popolazioni saranno ugualmente numerose?

7.4 Funzioni trigonometriche Sia P un punto appartenente alla circonferenza unitaria con centro nell’origine di un sistema di coordinate cartesiane (Figura 7.21). Fissato come verso di percorrenza positivo quello antiorario, il seno, il coseno e la tangente dell’angolo orientato a sono definiti come segue: sin D = ordinata di P

cos D = ascissa di P

tan D =

sin D cos D

In particolare, dato un triangolo ABC, rettangolo in C (Figura 7.22) dalle definizioni risulta: sin a = a/c

cos a = b/c

tan a = a/b

Per un triangolo qualsiasi ABC (Figura 7.23) sussiste la seguente relazione, nota come teorema di Carnot: a2 = b2 + c2 - 2 bc cos a

Vedi anche Esercizi 7.19-7.40

111


Capitolo 7

Per un triangolo qualsiasi ABC sussiste inoltre il teorema dei seni: le misure dei lati sono proporzionali ai seni degli angoli opposti. In formule, sempre con riferimento alle notazioni della Figura 7.23: a b c = = sin D sin E sin J Figura 7.21 y P

⎧⎪ sin α ⎨ ⎪⎩

α 0 cos α

⎧⎪ ⎨⎪ ⎩

112

1

x

Figura 7.22 B c

a

α A

C

b

Figura 7.23 B β c

A

a γ

α

C

b

Attenzione. Non è vero che sin (a + b) è uguale alla somma di sin a e di sin b. Sussiste invece una formula più complicata, che consente di esprimere sin (a + b) in funzione di sin a, sin b, cos a, cos b: sin (a + b) = sin a cos b + cos a sin b Si hanno espressioni analoghe per sin (a - b), per cos (a + b), per cos (a - b) ecc., che si possono trovare su tutti i libri di trigonometria. Nelle definizioni date sopra, abbiamo introdotto il seno, il coseno e la tangente di un angolo orientato a. Per quanto diremo nel seguito, conviene però passare dal contesto geometrico a quello numerico considerando, in luogo dell’angolo a, il numero reale x che ne esprime la misura in radianti, e scrivere di conseguenza sin x

cos x

tan x

In queste espressioni x può variare da - a + . Per esempio, x = 8 sarà la misura dell’angolo corrispondente a una rotazione di 8 radianti in verso positivo (antiorario). Si tratta di una rotazione superiore a un giro completo e inferiore a due giri completi. Infatti,


Funzioni e loro grafici

il numero 8 è compreso tra 2p (misura in radianti dell’angolo giro) e 4p (misura in radianti di due angoli giri). Per ricondursi agli angoli intesi in senso elementare, basta considerare la scomposizione: 8 = (8 - 2p) + 2p 1,72 + 2p da cui risulta che una rotazione di 8 radianti equivale a un angolo giro completo, più un ulteriore angolo di circa 1,72 radianti. Analogamente, x = -8 sarà la misura dell’angolo corrispondente a una rotazione di 8 radianti in verso negativo (orario). In questo paragrafo ci proponiamo di studiare le funzioni trigonometriche (dette anche funzioni goniometriche) y = sin x, y = cos x, y = tan x, e le funzioni che a esse si ricollegano. Prima di procedere oltre, però, è opportuno un chiarimento: le ampiezze angolari si misurano a volte in gradi, altre volte in radianti. Il motivo per cui i matematici privilegiano la misura in radianti è del tutto analogo a quello della preferenza accordata nell’ambito delle funzioni esponenziali alla base e, e risulterà chiaro da quanto diremo nel successivo Capitolo 8. Possiamo anticipare fin d’ora che la scelta di misurare gli angoli in radianti dà luogo a un grafico della funzione y = sin x la cui retta tangente nel punto di intersezione con l’asse y, vale a dire nel punto di coordinate (0; 0), ha coefficiente angolare 1 (Figura 7.24). Naturalmente questa proprietà non sussisterebbe qualora le ampiezze angolari si misurassero in gradi. In taluni contesti può essere nondimeno opportuno usare le misure in gradi: per evitare fraintendimenti con le misure in radianti, si dovrà scrivere allora: sin x°, cos x°, tan x°. Per conoscere il valore numerico che una funzione trigonometrica assume in corrispondenza a una data ampiezza angolare si fa ricorso alle classiche tavole, o a una calcolatrice, o a un programma di elaborazione numerica al computer. Attenzione. In analogia con quanto detto nel Paragrafo 7.3 a proposito dei logaritmi, anche le convenzioni di scrittura delle funzioni trigonometriche possono variare a seconda degli strumenti di calcolo usati. Occorre quindi stare attenti a non confondere le misure in radianti con quelle in gradi (sessagesimali), o con quelle, di uso assai meno frequente, espresse in gradi centesimali. Nelle Figure 7.25 e 7.26 sono rappresentati i grafici delle funzioni y = cos x e y = tan x. Figura 7.24 y

y = sin x

1

−π

π

1

x

Figura 7.25 y y = cos x

1

3π 2

−π

π 2

π 2

π

3π 2

x

113


114

Capitolo 7 Figura 7.26 y

1

−π −

3π 2

y = tan x

π − 2

π π 2

3π 2

x

I principali legami tra queste funzioni sono espressi dalle tre relazioni: § S· cos x = sin ¨¨ x + ¸¸¸ © 2¹ tan x =

sin x cos x

sin2 x + cos2 x = 1 Nell’ultima formula le notazioni sin2 x e cos2 x vanno intese come scritture abbreviate per (sin x)2 e (cos x)2, da non confondere con sin x2 e cos x2. Sussistono le seguenti proprietà: •

periodicità – sin x = sin (x + 2p) (la funzione seno è periodica con periodo 2p); – cos x = cos (x + 2p) (la funzione coseno è periodica con periodo 2p); – tan x = tan (x + p) (la funzione tangente è periodica con periodo p); simmetria – sin (-x) = -sin x (la funzione seno è simmetrica rispetto all’origine); – cos (-x) = cos x (la funzione coseno è simmetrica rispetto all’asse y); – tan (-x) = -tan x (la funzione tangente è simmetrica rispetto all’origine).

Il grafico di una funzione del tipo y = A + B sin (Cx + D) (con A, B, C, D costanti) ha ancora un andamento “sinusoidale”, analogo a quello della funzione “base” y = sin x, ma i parametri A, B, C, D ne modificano in una certa misura le caratteristiche. Precisamente: • • • •

A determina una traslazione del grafico verso l’alto (se A > 0) o verso il basso (se A < 0); B determina l’ampiezza delle oscillazioni; C determina la loro frequenza; D determina la “fase iniziale”.

Sommando due o più funzioni sinusoidali con parametri A, B, C, D diversi, si possono ottenere funzioni dall’andamento assai complesso. Per esempio, nella Figura 7.27 è rappresentato il grafico della funzione y = sin (7x) + sin (8x). Si tratta ancora di una funzione periodica, con periodo 2p, ma ora un unico periodo comprende varie “onde”. Osservando il grafico si nota che a un susseguirsi di alcune onde piuttosto alte si alterna un susseguirsi di alcune onde notevolmente più basse. La ragione sta nel fatto che in certi momenti le due funzioni sinusoidali sono “in fase” (si sommano le creste e si sommano gli avvallamenti), mentre in altri momenti le due funzioni sono “in opposizione di fase” (le creste della prima funzione tendono a elidersi con gli avvallamenti della seconda). Questo fenomeno è ben osservabile nelle giornate di mare agitato: infatti anche le onde marine si generano per sovrapposizione di onde sinusoidali “elementari”, con frequenze diverse tra loro.


Funzioni e loro grafici Figura 7.27 y

1

1

x

Il processo di sovrapposizione di onde “elementari” consente più in generale di descrivere tutti i fenomeni periodici (dal suono di uno strumento musicale al battito cardiaco, all’andamento stagionale di un’epidemia ecc.). Si ha infatti il seguente risultato, noto come sviluppo di Fourier. Sia y = f (x) una funzione periodica di periodo P [ciò significa che per ogni x risulta f (x + P) = f (x)]. Posto = 2p/P, un teorema, dovuto appunto al matematico Fourier, afferma che si possono determinare delle costanti a0, a1, a2, a3, ....; b1, b2, b3, ...., tali che si abbia: f (x) = a0 + a1 cos ( x) + a2 cos (2 x) + a3 cos (3 x) + ... + b1 sin ( x) + b2 sin (2 x) + b3 sin (3 x) + ... A rigore, per assicurare la validità del teorema di Fourier, la funzione f (x) deve soddisfare a certe condizioni di “regolarità”. Poiché però tutte le funzioni di interesse applicativo soddisfano a tali condizioni, non è il caso di approfondire questo aspetto. In teoria, gli addendi di uno sviluppo di Fourier sono in numero infinito, ossia non si tratta di una somma, bensì di ciò che i matematici chiamano una serie. All’atto pratico, per approssimare con sufficiente precisione una generica funzione periodica, basta un numero finito di addendi dei due tipi (coseni e seni). Per esempio, nella Figura 7.28 un elettrocardiogramma (a) è stato messo a confronto con tre sue approssimazioni (b), (c), (d), ottenute troncando il corrispondente sviluppo di Fourier rispettivamente a 51 addendi (costante iniziale seguita da 25 coseni e 25 seni), a 101 addendi (costante iniziale seguita da 50 coseni e 50 seni) e a 201 addendi (costante iniziale seguita da 100 coseni e 100 seni). Si noti il numero piuttosto elevato di addendi utilizzati in questo esempio per ottenere una buona approssimazione (Figura 7.28d). Ciò deriva dal fatto che il picco più alto dell’elettrocardiogramma è molto aguzzo, per cui nel corrispondente sviluppo di Fourier compaiono anche taluni termini di frequenza adeguatamente elevata, con coefficienti an, bn non trascurabili. In altre situazioni, se si ha a che fare con un tracciato più regolare, basta in genere un numero minore di addendi per ottenere una buona approssimazione. Basandosi sullo sviluppo di Fourier, sono state costruite apparecchiature commerciali (analizzatori, sintetizzatori) che consentono di scomporre o di ricostruire automaticamente una funzione periodica, per esempio il suono di uno strumento o di una voce umana, in termini delle sue diverse componenti elementari. Tra le possibili applicazioni mediche, basterà citare la possibilità di una lettura strumentale del tracciato di un elettrocardiogramma, in vista di evidenziare eventuali patologie. Anche nel caso delle funzioni trigonometriche possiamo considerare le corrispondenti “funzioni inverse”. Solo che si presenta un problema supplementare, in quanto (a differenza di quanto accadeva per le funzioni esponenziali) ora viene a mancare la bigettività tra il dominio e il codominio, nel senso che, per esempio, la funzione seno assume lo stesso valore in infiniti punti (per esempio, sin x = 0 per tutti i valori di x che sono multipli interi di p). Per ovviare a questo inconveniente, il processo di “inversione” viene effettuato limitatamente

115


116

Capitolo 7 Figura 7.28 3

3

2

2

1

1

0

0

−1

0

500

1000

1500

−1

2000

0

500

1000

(a) 3

3

2

2

1

1

0

0

−1

0

500

1000

1500

2000

1500

2000

(b)

1500

−1

2000

0

500

(c)

1000 (d)

all’intervallo [-p/2, p/2] dell’asse x, intervallo sul quale la funzione seno assume ogni valore compreso tra -1 e 1 una volta sola. L’inversa della funzione seno si chiama arcoseno e si denota col simbolo x = arcsin y, o anche, dopo il solito cambiamento di variabili, con y = arcsin x. Il suo grafico è visualizzato nella Figura. 7.29. Per la funzione coseno si procede analogamente. In questo caso ci si restringe all’intervallo [0, p] dell’asse x, intervallo sul quale la funzione coseno assume ogni valore compreso tra -1 e 1 una volta sola. L’inversa della funzione coseno si chiama arcocoseno e si denota col simbolo x = arccos y ossia, dopo il solito cambiamento di variabili, con y = arccos x. Il suo grafico è visualizzato nella Figura 7.30. Infine, per la funzione tangente ci si restringe all’intervallo (-p/2, p/2), intervallo sul quale la funzione tangente assume ogni valore reale una volta sola. L’inversa della funzione tangente si chiama arcotangente e si denota col simbolo x = arctan y ossia ancora, dopo il solito cambiamento di variabili, con y = arctan x. Il suo grafico è visualizzato nella Figura 7.31.

Figura 7.29

y = arcsin x

y π 2 1

−1 0 −1 π − 2

1 x


Funzioni e loro grafici Figura 7.30 y π y = arccos x π 2

−1

0

1

x

Figura 7.31 y π 2 y = arctan x 0

x

π 2

Esercizio C7.8

Nella figura seguente è illustrata la seguente situazione: la superficie di un piano inclinato (visto di taglio e quindi rappresentato mediante un segmento AB) è illuminata in maniera uniforme da raggi verticali. Come varia l’intensità di illuminazione al variare dell’angolo di inclinazione a?

A

C

α

B

Esercizio C7.9

In un opportuno sistema di riferimento, disegnate il grafico di y = sin x. Quindi, nello stesso sistema di riferimento, disegnate i grafici di: a) b) c) d) e)

y y y y y

= = = = =

sin 2x 2 + sin x sin (x + 1) sin x 2 sin x

Vedi anche Esercizi 7.41-7.46

117


118

Capitolo 7

f) g) h)

y = sin (-x) y = sin x y = sin (2x - p)

Nota per la risoluzione: vedi nota all’Esercizio C7.3 e il sito web dedicato al volume.

7.5 Studio qualitativo delle funzioni Finora ci siamo occupati solo di sfuggita di un problema che viceversa necessita di una certa attenzione: quello della determinazione dell’insieme di definizione di una funzione (preferiamo usare qui la locuzione “insieme di definizione”, piuttosto che “dominio”, per mettere in rilievo il fatto che il problema consiste proprio nel determinare esplicitamente l’insieme di tutti i punti nei quali la funzione è definita). L’aver trascurato in precedenza questo aspetto trova una sua giustificazione nel fatto che le funzioni basilari dalle quali abbiamo preso le mosse nei tre paragrafi precedenti, ossia le funzioni polinomiali, le funzioni esponenziali e le funzioni seno e coseno sono definite per ogni x R. Ma già nel caso delle funzioni razionali fratte occorre escludere dall’insieme di definizione gli eventuali valori di x per i quali il denominatore si annulla. Per esempio, la funzione y = 1/(x + 2) è definita su tutto R, eccettuato il punto x = -2 , in cui il denominatore si annulla. Quanto alle funzioni radice, occorre distinguere tra quelle di indice pari (radice quadrata, radice quarta ...) e quelle di indice dispari (radice cubica, radice quinta ...). Mentre l’insieme di definizione di queste ultime è tutto R, l’insieme di definizione delle prime è costituito dai soli valori di x per i quali il radicando è 0. Per es x ha come suo insieme di definizione l’intervallo [0, + ), mentre x ha come suo insieme di definizione (- , 0]. Le funzioni logaritmo sono definite solo per i valori positivi dell’argomento. Per esempio, Log x ha come suo insieme di definizione l’intervallo (0, + ), mentre Log (1 - x) ha come suo insieme di definizione (- , 1). Nel caso della funzione tangente occorre escludere i valori per i quali si annulla il denominatore; quindi tan x è definita sull’insieme:

{

D = x R, x = /

S + nS 2

} con n intero (positivo, negativo o nullo)

Infine, le funzioni arcsin x e arccos x hanno come loro insieme di definizione l’intervallo [1, 1], mentre la funzione arctan x è definita su tutto R. Abbiamo detto or ora che, quando si parla di insieme di definizione di una funzione, ci si riferisce abitualmente al massimo insieme sul quale la funzione è definita. Ciò non esclude peraltro la possibilità di restringere intenzionalmente l’insieme di definizione di una funzione, qualora si debba tenere conto di particolari vincoli di natura geometrica o fisica. Così, per esempio, il dominio della funzione y = px2 è tutto R, ma quando si interpreta x come raggio e y come area di un cerchio, si deve imporre la limitazione x [0, + ]. Analogamente il dominio della funzione y = k/x è formato dall’unione dei due intervalli (- , 0), (0, + ), ma quando si attribuisce a x e a y il significato di pressione e di volume di un certo gas, si deve imporre la limitazione x (0, + ). Ciò premesso, precisiamo cosa si intende per studio di una funzione y = f (x). Si tratta in sostanza di reperire un certo numero di informazioni atte a descrivere, almeno a livello qualitativo, l’andamento della funzione. A tale fine, vanno presi in considerazione i seguenti aspetti: 1. 2. 3. 4. 5.

insieme di definizione; comportamento agli estremi dell’insieme di definizione (limiti); continuità; crescenza e decrescenza; in particolare minimi e massimi; schizzo del grafico.


Funzioni e loro grafici

Qualche parola di commento. 1. Insieme di definizione L’insieme di definizione di una funzione “composta” va determinato di volta in volta, tenendo conto degli insiemi di definizione delle “funzioni base” con le quali la funzione è stata costruita (vedi il Paragrafo 7.1). Per esempio, dovendo studiare la funzione y=

1 ln(4 x 2 )

si può ragionare come segue: • •

l’insieme di definizione di ln (4 - x2) è dato dai valori di x per cui 4 - x2 > 0 ossia si tratta dell’intervallo (- 2, 2); poiché però la funzione ln (4 - x2) compare a denominatore, occorre escludere anche gli eventuali valori di x per i quali ln (4 - x2) = 0, ossia i valori per i quali 4 - x2 = 1, vale a dire x1 = 3 e x 2 = 3.

In definitiva, la funzione in esame ha come suo insieme di definizione D l’intervallo (-2, 2), privato dei punti 3 e 3 . Pertanto D si può scrivere come unione di tre intervalli aperti: D = ( 2, 3) ( 3, 3) ( 3, 2). 2. Comportamento agli estremi Se l’insieme di definizione D è costituito da più intervalli (limitati o illimitati), vanno considerati separatamente gli estremi di ognuno di questi intervalli. Si deve tenere inoltre presente che gli estremi possono appartenere o non appartenere a D; sicuramente, nel caso degli intervalli illimitati, gli estremi “all’infinito” non vi appartengono, in quanto - e + sono simboli e non valori numerici. Il caso degli estremi appartenenti a D non presenta difficoltà: se a è uno di tali estremi, si calcola semplicemente il valore della funzione nel punto a. Se invece un estremo, che indicheremo ancora con a, non appartiene a D, si può solo analizzare cosa succede per i valori di f (x) quando x assume valori via via più vicini ad a. In linguaggio matematico, si tratta di determinare il limite di f (x), al tendere di x ad a. In simboli: lim f ( x )

x oa

Più esattamente, se a è l’estremo sinistro di un intervallo, x va fatto avvicinare ad a da destra, in modo tale cioè che x sia contenuto nell’intervallo in questione. In altre parole, si tratta di determinare il limite destro di f (x), al tendere di x ad a. In simboli: lim f ( x )

x o a+

Simmetricamente, se a è l’estremo destro di un intervallo, si tratta di determinare il limite sinistro di f (x), al tendere di x ad a. In simboli: lim f ( x )

x o a

Naturalmente, nel caso degli estremi “all’infinito”, le scritture: lim f ( x )

x o f

e

lim f ( x )

x o+f

hanno rispettivamente il significato di limite destro e di limite sinistro. Per ciascuno di questi limiti (destro o sinistro, al finito o all’infinito) possono verificarsi tre casi: a. b. c.

il limite esiste finito; il limite esiste ed è + il limite non esiste.

e, rispettivamente, - ;

119


120

Capitolo 7

Cominciamo con l’esaminare il primo caso. a) Il limite esiste finito. Una scrittura del tipo lim f ( x ) = L

x o a+

significa che, quando la variabile x assume valori via via più prossimi ad a (ma sempre maggiori di a in quanto si tratta di un limite destro) i corrispondenti valori della funzione f (x) si avvicinano sempre più a un certo valore numerico L che viene detto appunto limite della funzione f (x) per x tendente ad a da destra. In termini matematici rigorosi, questa concatenazione tra la tendenza dei valori della variabile x ad a e la tendenza dei valori della funzione f (x) a L si precisa come segue.

Si dice che f (x) tende al limite L per x tendente ad a (da destra) se in corrispondenza a ogni numero positivo e è possibile trovare un secondo numero positivo d, tale che risulti f (x ) L < H

per ogni

x (a , a + G )

Nota. La condizione f(x) - L < e equivale a dire che L - e < f (x) < L + e. Per rendere meno astratto il significato di questa definizione, si pensi a una “sfida” tra due contendenti: il primo è libero di scegliere a suo piacere l’entità e dell’errore ammissibile, da riportare sull’asse delle ordinate. L’avversario deve determinare l’ampiezza d di un opportuno intervallo, da riportare sull’asse delle ascisse, in modo che in tutti i punti di tale intervallo i valori assunti dalla funzione si discostino dal valore limite L (per difetto o per eccesso) di una quantità minore di e (Figura 7.32). Se poi il primo contendente sceglie un e più piccolo, in generale anche il secondo contendente deve scegliere un d più piccolo e così via. La funzione f (x) ha limite L se il secondo concorrente vince la sfida, comunque piccolo sia stato scelto da parte del primo concorrente il valore di e. Nella pratica, il più delle volte non è necessario ricorrere esplicitamente alla definizione di limite, essendo più conveniente procedere per strade alternative.

Figura 7.32 y

y

y = f (x)

L+ε

L+ε

L

L

L−ε

L−ε

a

x

a

Scelta di ε

Esempio 7.15

y = f (x)

Si debba determinare: lim

x o1+

x 1 x 2 1

a+δ Scelta di δ

x


Funzioni e loro grafici

Non è possibile calcolare direttamente il valore della funzione nel punto x = 1, perché si otterrebbe un’espressione priva di significato numerico, della forma 0/0. Si può allora ripiegare su una serie di tentativi, attribuendo a x dei valori (maggiori di 1) via via più prossimi a 1: si constata che i valori della funzione si avvicinano progressivamente al valore 0. Appare dunque naturale congetturare che 0 sia il valore del limite richiesto. Per provarlo, conviene riscrivere la funzione in forma diversa: x 1 x 2 1

( x 1)2 x 1 = ( x 1)( x + 1) x +1

=

e calcolare quindi, in luogo del limite iniziale, il limite equivalente, ma più semplice: lim

x o1+

x 1 x +1

Il valore di questo limite è 0, in quanto nell’espressione sotto radice il numeratore tende a 0, mentre il denominatore tende a 2, che è una quantità diversa da 0, ed è chiaro che se una quantità [nel nostro caso (x - 1)/(x + 1)] tende a zero, anche la radice quadrata della stessa quantità tende a zero. Si noti che la manipolazione algebrica, che ha consentito di riscrivere la funzione iniziale in forma più semplice, è lecita per qualunque valore di x, eccetto che per x = 1 (divisione per zero!). Il concetto di limite è importante proprio perché consente di studiare il comportamento di una funzione “nelle vicinanze” di un certo punto, a prescindere da quello che succede nel punto stesso. Quanto al significato di lim f ( x ) = L

x o a

esso è del tutto analogo al precedente. Infine, si dice che lim f ( x ) = L

x oa

se la funzione possiede sia il limite sinistro sia il limite destro per x tendente ad a, e se entrambi questi limiti hanno il medesimo valore L. Per esempio, con considerazioni non del tutto banali si potrebbe dimostrare che: e x 1 =1 x o0 x lim

lim

x o0

sin x =1 x

lim

x oS /2

1 sin x 1 = cos2 x 2

Resta ancora da precisare il significato di scritture del tipo: lim f ( x ) = L

x o f

lim f ( x ) = L

x o+f

Fissiamo, per esempio, la nostra attenzione sul caso x + . La scrittura lim f ( x ) = L

x o+f

significa che, quando la variabile x assume valori via via più grandi, i corrispondenti valori della funzione si avvicinano sempre più a L.

121


122

Capitolo 7 Figura 7.33 y

y y = f (x)

y = f (x) L+ε L L−ε

L+ε L L−ε Scelta di ε

x

K Scelta di K

x

In termini matematici rigorosi (Figura 7.33) Si dice che f (x) tende a L per x tendente a + se in corrispondenza a ogni numero positivo e è possibile trovare un secondo numero (positivo) K tale che risulti: f (x ) L < H

Esempio 7.16

per ogni

x ( K , +f)

Si debba determinare: lim

x o+f

3 x x

Attribuendo a x valori molto grandi, si constata che i valori della funzione risultano prossimi a -1, il che porta a congetturare che il valore del limite sia appunto -1. Per provarlo, conviene anche in questo caso riscrivere la funzione in forma diversa, per esempio: 3 x 3 = 1 + x x e osservare che il termine -1 è costante, mentre il termine 3/x tende a 0 quando si attribuiscono a x valori tendenti a + . Quanto al significato di lim f ( x ) = L

x o f

esso è del tutto analogo al precedente. Per esempio, si potrebbe provare che anche: lim

x o f

3 x = 1 x

Esaminiamo ora il secondo caso. b) Il limite esiste ed è + e, rispettivamente, - . Una scrittura del tipo lim f ( x ) = +f

x o a+

significa che, quando la variabile x assume valori via via più prossimi ad a (da destra) i corrispondenti valori della funzione f (x) crescono al punto da superare un qualsiasi valore numerico M (comunque grande M sia stato scelto).


Funzioni e loro grafici Figura 7.34 y

y L

M

M

y = f (x)

y = f (x) a

a a+δ Scelta di δ

x

Scelta di M

x

In termini matematici rigorosi (Figura 7.34) Si dice che f (x) tende a + per x tendente ad a (da destra) se in corrispondenza a ogni numero (positivo) M è possibile trovare un secondo numero positivo d tale che risulti f (x ) > M

per ogni

x (a , a + G )

In maniera analoga si precisa il significato di lim f ( x ) = f

x o a+

lim f ( x ) = +f

lim f ( x ) = +f

lim = f

x o f

lim f ( x ) = f

x o a

x o a

lim = +f

x o f

x o+f

lim =

x o+f

Si ha:

Esempio 7.17

lim

x o0+

1 = +f x

Infatti i valori di una frazione con numeratore costante (positivo) diventano arbitrariamente grandi, pur di attribuire al denominatore valori (positivi) convenientemente piccoli, cioè pur di considerare x (positivo) sufficientemente vicino a 0. Analogamente: lim

x o0

1 = f x

Invece: 1 =0 x o f x lim

e analogamente

1 =0 x o+f x lim

Con questo esempio abbiamo dunque precisato il comportamento della funzione y = 1/x agli estremi del suo insieme di definizione, in perfetto accordo con l’andamento del grafico della funzione, già visualizzato in precedenza (vedi Figura 7.11). Si potrebbe dimostrare che:

Esempio 7.18

lim e x = 0

x o f

lim e x = +f

x o+f

in perfetto accordo con l’andamento del grafico della funzione y = ex, già visualizzato in precedenza (vedi Figura 7.12).

123


124

Capitolo 7

Esempio 7.19

Si potrebbe dimostrare che: lim ln x = f

lim ln x = +f

x o0+

x o+f

in perfetto accordo con l’andamento del grafico della funzione y = ln x, già visualizzato in precedenza (vedi Figura 7.15). Esempio 7.20

Si potrebbe dimostrare che: lim tan x = +f

x oS /2

lim tan x = f

x oS /2+

in perfetto accordo con l’andamento del grafico della funzione y = tan x, già visualizzato in precedenza (vedi Figura 7.26). Resta ancora da esaminare il terzo caso. c) Il limite non esiste. Questo caso si presenta raramente nelle applicazioni. Ci limitiamo pertanto a illustrare la situazione mediante qualche esempio. Esempio 7.21

Il limite lim sin x

xo+f

non esiste. Infatti i valori della funzione “seno” continuano a oscillare tra -1 e 1 anche quando si attribuiscono alla variabile x valori comunque grandi. Analogamente, i limiti lim sin

x o0+

1 x

lim sin

x o0

1 x

non esistono. Infatti i valori della funzione sin 1/x continuano a oscillare tra -1 e 1 anche quando si attribuiscono alla variabile x valori (positivi o negativi) comunque prossimi a 0. Esempio 7.22

Concludiamo queste considerazioni sui limiti, esaminando il comportamento della funzione: y=

1 ln(4 x 2 )

già considerata in precedenza, agli estremi del suo insieme di definizione. Si ha: lim

x o2

1 =0 ln(4 x 2 )

Infatti, al tendere di x a 2 (da sinistra), l’espressione 4 - x2 tende a 0 (da destra) e quindi ln (4 - x2) tende a - . L’espressione di cui si vuole calcolare il limite è dunque una frazione col numeratore (positivo) costante, e col denominatore (negativo) i cui valori assoluti diventano arbitrariamente grandi. Pertanto i valori della frazione tendono a 0, come asserito. Si ha poi: lim +

xo 3

1 = f ln(4 x 2 )

Infatti, al tendere di x a 3 (da destra), l’espressione 4 - x2 tende a 1 (da sinistra) e quindi ln (4 - x2) tende a 0 (da sinistra). L’espressione di cui si vuole calcolare il limite è dunque


Funzioni e loro grafici

una frazione col numeratore costante (positivo) e col denominatore che tende a 0 (assumendo però valori negativi). Pertanto i valori della frazione tendono a - , come asserito. In modo del tutto analogo, scambiando semplicemente la tendenza “da destra” con quella “da sinistra”, si riconosce poi che: lim

xo 3

1 = +f ln(4 x 2 )

Resterebbero da calcolare ancora tre limiti, per x o 3 +, per x o 3 e per x -2+. Ma dato che nella funzione in esame la variabile x compare solo al quadrato, ne segue che la funzione è simmetrica rispetto all’asse y e quindi si può concludere direttamente che: lim

x o 3

+

1 = +f ln(4 x 2 )

lim

x o 3

1 = f ln(4 x 2 )

lim +

x o 2

1 =0 ln(4 x 2 )

A prima vista il concetto di limite può sembrare lontano dalle possibili applicazioni della matematica alle scienze sperimentali. Ecco invece, a titolo di esempio, una situazione nella quale il corrispettivo fisico del concetto matematico di limite si presenta in modo del tutto naturale. È noto che un corpo, inizialmente a temperatura T1, posto in un ambiente a temperatura costante T0 si riscalda (se T0 > T1) o si raffredda (se T0 < T1) secondo una legge della forma T(t) = T0 + (T1 - T0)e-ht In questa espressione t rappresenta il tempo trascorso a partire dall’istante iniziale, mentre h è una costante il cui valore dipende dalle unità di misura usate per le temperature e per i tempi, nonché dalle caratteristiche fisiche del corpo e da quelle dell’ambiente nel quale il corpo è immerso. In teoria, la temperatura T(t) del corpo all’istante t è una funzione sempre crescente (o sempre decrescente) di t. Al tendere di t a + , la temperatura T(t) tende asintoticamente a T0. In pratica, sia e la minima differenza di temperatura che il termometro usato per l’esperienza consente di apprezzare. In corrispondenza a tale e esiste un istante K a partire dal quale la temperatura del corpo diviene indistinguibile da quella dell’ambiente (e quindi può essere identificata col suo valore limite T0). Va da sé che, usando un termometro più sensibile, la soglia e di indistinguibilità tra temperature rimpicciolisce e di conseguenza l’istante K di identificabilità tra T(t) e T0 va opportunamente dilazionato. 3. Continuità Una funzione y = f (x) si dice continua in un punto a appartenente al suo insieme di definizione D se lim f ( x ) = lim+ f ( x ) = f ( a )

x o a

x oa

La funzione y = f (x) si dice poi continua su D se essa è continua in ogni punto di D. A prescindere dagli aspetti tecnici di questa formulazione, la definizione traduce in termini rigorosi il fatto intuitivo che una funzione è continua se non presenta “salti”, ossia se si può disegnare il suo grafico senza mai staccare la penna dal foglio. Per la precisione, questa caratterizzazione intuitiva della continuità si applica solo alle funzioni il cui insieme di definizione D è un unico intervallo (limitato o illimitato). Nel caso in cui D sia invece costituito da due o più intervalli staccati, la stessa caratterizzazione intuitiva della continuità va riferita ai singoli intervalli di D. Gli eventuali punti nei quali una funzione presenta dei “salti” si chiamano punti di discontinuità. Si dimostra che le funzioni polinomiali, le funzioni esponenziali e logaritmiche, le funzioni seno e coseno sono continue. Si dimostra inoltre che le somme, le differenze e i prodotti di

125


126

Capitolo 7

funzioni continue sono funzioni continue. Anche la composizione funzionale di funzioni continue è una funzione continua e l’inversa funzionale di una funzione continua è continua. Infine, una funzione definita “a tratti” mediante funzioni continue è continua, purché le funzioni considerate sui singoli tratti si raccordino tra loro, nel senso precisato nel Paragrafo 7.1. Il caso del quoziente q(x) = f (x)/g(x) di due funzioni continue (per esempio, tan x = sin x/cos x) merita un discorso a parte. Nei punti dove il denominatore non si annulla, anche q(x) è una funzione continua. Nei punti dove il denominatore si annulla, invece, il quoziente non è definito. Tali punti vanno quindi esclusi dall’insieme di definizione D della funzione q(x), ma gli stessi punti vanno attentamente considerati nello studio della funzione q(x), in quanto estremi degli intervalli che formano D. Qualche autore parla anche in questo caso di punti di discontinuità della funzione q(x), ma la terminologia è impropria perché i punti in questione non appartengono a D; più propriamente essi vengono chiamati punti singolari per q(x). In definitiva, le cause di possibili discontinuità o singolarità per una funzione composta vanno ricercate unicamente nelle definizioni “a tratti”, quando le funzioni considerate non si raccordano tra loro nel passare da un intervallo al successivo, oppure nelle operazioni di quoziente, là dove il denominatore si annulla. Ecco tre esempi in proposito: • •

la funzione y = [x] (parte intera di x, vedi il Paragrafo 7.1) presenta delle discontinuità in tutti i punti a coordinate intere; la funzione y = tan x è continua sul suo insieme di definizione, formato dagli infiniti intervalli della forma (p/2 + np, p/2 + (n + 1)p), con n numero intero. Gli estremi di tali intervalli, ossia i punti di coordinate x = p/2 + np, sono però punti singolari per tan x; la funzione y = 1/x è continua sul suo insieme di definizione, formato dai due intervalli (- , 0) e (0, + ) ma presenta un punto singolare in x = 0.

A titolo di ulteriore esempio, analizziamo dal punto di vista della continuità la funzione di cui ci siamo già occupati a più riprese: y=

1 ln(4 x 2 )

Per quanto detto sopra, la funzione è continua in tutti i punti dell’intervallo (-2, 2), esclusi i punti 3 e 3 dove si hanno due singolarità, dovute al fatto che il denominatore si annulla. 4. Crescenza e decrescenza; in particolare minimi e massimi Una funzione y = f (x) si dice crescente in un intervallo (che deve essere tutto contenuto nell’insieme di definizione) se presi due punti qualsiasi x1, x2 di tale intervallo, da x1 < x2 segue f (x1) f (x2). Simmetricamente, la funzione y = f (x) si dice decrescente se da x1 < x2 segue f(x1) f(x2). In queste definizioni non si esclude l’eventualità che tra i valori della funzione calcolati per qualche coppia di punti x1 e x2 sussista il segno di uguaglianza. Se invece, presi due punti qualsiasi x1, x2, da x1 < x2 segue f(x1) < f(x2), o, rispettivamente, f(x1) > f(x2), si usa anche dire che la funzione è strettamente crescente o strettamente decrescente. Per esempio, le funzioni del tipo y = ax sono strettamente crescenti su tutto R se a > 1 e strettamente decrescenti se a < 1; analogamente le funzioni del tipo y = loga x sono strettamente crescenti su tutto il loro insieme di definizione se a > 1 e strettamente descrescenti se a < 1. La funzione y = [x] (parte intera di x) è crescente (ma non strettamente crescente) su tutto R. La funzione y = 1/x è strettamente decrescente sia sull’intervallo (- , 0) sia sull’intervallo (0, ), ma non sarebbe corretto affermare che si tratta di una funzione decrescente su tutto R, in quanto nel punto x = 0 la funzione non è definita. La funzione y = cos x è strettamente decrescente negli intervalli [0, p], [2p, 3p] e, più in generale, [2np, (2n + 1)p] con n numero intero arbitrario, mentre è strettamente crescente


Funzioni e loro grafici

negli intervalli [-p, 0], [p, 2p] e, più in generale, [(2n - 1)p, 2np] con n numero intero arbitrario. Una delle nozioni più importanti nello studio delle funzioni è quella di punto di minimo o di massimo: si dice che una funzione y = f (x) ha un punto di minimo in x0 se “vicino a x0” la funzione assume solo valori f (x0); simmetricamente si dice che ha un punto di massimo in x0, se “vicino a x0” assume solo valori f (x0). La locuzione “vicino a x0” si traduce in termini matematici rigorosi come segue: esiste un intervallo (a, b) contenente il punto x0 al suo interno, tale che per tutti i punti x di (a, b) nei quali la funzione è definita, si abbia: se x0 è un punto di minimo: f (x) f (x0) rispettivamente se x0 è un punto di massimo: f (x) f (x0) La definizione di minimo e di massimo è di natura “locale”, nel senso che si prende in esame il comportamento della funzione solo in prossimità del punto x0 [si usa anche dire che le disuguaglianze scritte sopra devono valere su un intervallo (a, b) “opportunamente piccolo”]. Pertanto non è escluso che una stessa funzione possa presentare vari punti di minimo o di massimo. Per esempio, la funzione y = cos x ha infiniti punti di massimo (quando x è un multiplo pari di p, ossia x = 2np, con n intero arbitrario) e infiniti punti di minimo (quando x è un multiplo dispari di p, ossia x = (2n + 1)p, con n intero arbitrario). Se una funzione presenta più punti di minimo (o di massimo), i valori della funzione in tali punti sono in generale diversi tra loro. Si usa specificare allora che si tratta di punti di minimo relativo (o di massimo relativo). Se poi esiste un punto x0 con la proprietà che f (x0) f (x) [rispettivamente f (x0) f (x)] per ogni x dell’insieme di definizione D, si dice che x0 è un punto di minimo assoluto (rispettivamente di massimo assoluto) per la funzione y = f (x). Per esempio, con riferimento al grafico di Figura 7.35, si vede che la funzione, definita sull’intervallo chiuso [a, b], possiede tre punti di minimo relativo: x0, x2, x4, ma solo x0 e x2 sono punti di minimo assoluto; la funzione possiede poi quattro punti di massimo relativo (due dei quali coincidono con gli estremi dell’intervallo di definizione della funzione): a, x1, x3, b, ma solo x3 è punto di massimo assoluto. Sempre con riferimento alla funzione: y=

1 ln(4 x 2 )

osserviamo che l’argomento del logaritmo, ossia 4 - x2 è una funzione strettamente crescente per x 0 e strettamente decrescente per x 0. Poiché il logaritmo naturale è una funzione

Figura 7.35 y

y = f(x)

a

x0

x1

x2

x3

x4

b

x

127


128

Capitolo 7

strettamente crescente del proprio argomento, il denominatore della nostra funzione sarà strettamente crescente per x 0 e sarà strettamente decrescente per x 0. Tenuto anche conto dei segni del numeratore e del denominatore, ne viene che la funzione sarà strettamente decrescente nell’intervallo ( 2, 3), ancora strettamente decrescente nell’intervallo ( 3, 0], e invece strettamente crescente negli intervalli [0, 3) e ( 3, 2). La funzione non ha massimi e ha un unico minimo nel punto x0 = 0; in tale punto il valore della funzione è: y(0) = 1/ln 4 0,72. L’importanza delle nozioni di minimo e massimo (relativi e assoluti) deriva dal fatto che gran parte delle leggi della natura e delle attività umane hanno a che fare, in forma più o meno esplicita, con la ricerca di minimi e di massimi. Per esempio, in meccanica le posizioni di equilibrio sono quelle per le quali l’energia potenziale è minima; in termodinamica si ha equilibrio quando l’entropia è massima; in base alle leggi della rifrazione, un raggio di luce che passa attraverso sostanze diverse segue sempre un cammino ottico minimo; nel caso di un’industria, l’obiettivo primario sarà quello di rendere massimi i profitti, col minimo spreco di materiale; in ambito medico, il dosaggio di un farmaco andrà studiato in modo tale da rendere massima l’efficacia della cura, minimizzando nel contempo gli effetti collaterali negativi, i costi ecc. Come abbiamo potuto constatare sulla base dell’esempio di funzione considerato sopra, la determinazione della crescenza, della decrescenza, dei massimi e dei minimi non sempre è agevole - e il più delle volte è addirittura impossibile - con sole considerazioni di matematica elementare. Rimandiamo quindi una più approfondita trattazione dell’argomento al capitolo seguente, quando avremo a disposizione la nozione di derivata. Per il momento ci limitiamo a precisare la nozione di retta tangente al grafico di una funzione y = f (x) in un punto P di ascissa x0 [e ordinata f (x0)]: si definisce tangente la retta t che si ottiene come limite delle rette secanti PQ (P punto fissato, Q punto variabile sul grafico) al tendere di Q a P. Il significato intuitivo di questa definizione è chiaro. Da un punto di vista formale la nozione geometrica di limite, usata in questo contesto, si riconduce subito alla nozione di limite introdotta nel paragrafo precedente osservando che le rette passanti per P sono univocamente individuate dai loro coefficienti angolari: si tratta dunque di calcolare il coefficiente angolare della retta tangente t come limite dei coefficienti angolari delle rette secanti PQ. Come preciseremo meglio nel successivo Capitolo 8, il segno del coefficiente angolare di t ci fornirà utili informazioni circa la crescenza, la decrescenza e l’esistenza di eventuali punti di minimo o di massimo della funzione nel punto di tangenza. 5. Schizzo del grafico In genere, a conclusione dello studio di una funzione, se ne disegna il grafico: a tal fine può essere utile calcolare anche i valori della funzione in alcuni particolari punti dell’insieme di definizione, attribuendo cioé opportuni valori alla variabile x. Se, per esempio, il punto di ascissa x = 0 fa parte dell’insieme di definizione, il valore della funzione, calcolato in tale punto, dà l’ordinata dell’intersezione del grafico con l’asse y. Può essere inoltre utile stabilire esplicitamente in quali tratti la funzione assume valori positivi, in quali tratti assume valori negativi e dove, eventualmente, si annulla (ossia dove il suo grafico interseca l’asse x). Il grafico di una funzione può essere eseguito anche ricorrendo a un computer opportunamente programmato; si tenga tuttavia presente che a causa delle approssimazioni numeriche operate dalla macchina il disegno al computer è spesso impreciso (e a volte addirittura fuorviante) proprio nei punti più delicati, vale a dire là dove la funzione presenta delle discontinuità o delle singolarità. Inoltre ogni grafico, in qualsiasi modo sia stato realizzato, va saputo poi interpretare. Il ricorso a un computer può essere quindi utile, ma non certo sostitutivo dello studio teorico di una funzione. Nella Figura 7.36 è rappresentato il grafico della funzione y=

1 ln(4 x 2 )


Funzioni e loro grafici Figura 7.36 y

1 −2

−√⎯3

√⎯3

−1

2 x

1

Esercizio C7.10

Il grafico della Figura 7.36 è stato disegnato in base a un accurato studio della funzione f (x ) =

1 ln(4 x 2 )

Spiegate perché si può affermare che la funzione gode delle seguenti proprietà. a) b) c) d)

e) f)

Il grafico è tutto contenuto nella striscia di piano cartesiano, delimitata dalle due rette “verticali” x = -2, x = 2. Il grafico è simmetrico rispetto all’asse y. Il ramo del grafico tracciato sulla parte sinistra del disegno “inizia” dal punto (-2, 0). Il ramo del grafico di cui al punto precedente si avvicina progressivamente alla retta x = 3 senza mai toccarla (asintoto verticale) e tale avvicinamento ha luogo dalla parte delle ordinate negative. Il ramo centrale del grafico incontra l’asse y in un punto la cui ordinata è compresa tra 0 e 1. Il ramo del grafico di cui al punto precedente si avvicina progressivamente sia alla retta x = 3 , sia alla retta x = 3 senza mai toccarle (asintoti verticali) e tale avvicinamento ha luogo dalla parte delle ordinate positive.

Esercizio C7.11

Nel Paragrafo 3.2 avevamo schematizzato il fenomeno della diffusione di un’epidemia in termini della successione: C(n + 1) = C(n)[2 - C(n)]

(con C0 = 10-6)

Passando dalle successioni alle funzioni, si dimostra che lo stesso fenomeno può essere descritto mediante una funzione della forma: y=

1 1 + K 2 x

dove K è un’opportuna costante positiva, x rappresenta il tempo trascorso dall’istante iniziale, y rappresenta la porzione di popolazione contagiata al tempo x. a) b)

Qual è il significato della costante K? Attribuite a K un valore numerico a piacere e studiate quindi la funzione così ottenuta.

129


130

Capitolo 7

Nota. Le funzioni di questo tipo sono particolarmente importanti in svariati contesti biologici e medici. Ai corrispondenti grafici cartesiani è stato attribuito quindi un nome specifico, quello di curve logistiche.

Vedi anche Esercizi 7.46-7.59

Esercizio C7.12

Studiate le seguenti funzioni e disegnatene i grafici: a) b) c) d) e) f)

y y y y y y

= = = = = =

2(1 - e-x) 1 + 0,5 e-x 2 e-x x + sin x e-x sin x ln x + ln(e - x)

Spunti per la riflessione • •

Come già ricordato nel paragrafo precedente, in molti casi l’uso della nozione di derivata facilita e rende più preciso lo studio delle funzioni. Ne riparleremo nel prossimo capitolo. Le funzioni di una variabile (tradizionalmente designata con la lettera x) giocano un ruolo centrale nei campi più disparati, dalla fisica alla chimica, dalla biologia all’economia. Ma in molte applicazioni si ha a che fare anche con funzioni di due o più variabili. Per esempio, nel caso di un gas si può dire che la pressione è funzione del solo volume se si suppone di operare a temperatura costante. Si può dire analogamente che la pressione è funzione della sola temperatura se si suppone di operare a volume costante, ma se si suppongono variabili sia il volume, sia la temperatura, la pressione viene a essere una funzione di entrambe queste variabili. Se poi si suppone variabile anche la quantità del gas (che implicitamente era stata considerata costante nell’esemplificazione precedente) la pressione viene a essere una funzione di tre variabili. In altre situazioni può capitare di dover considerare funzioni nelle quali interviene un numero ancora maggiore di variabili. Per esempio, il costo complessivo di un oggetto formato da un gran numero di parti distinte sarà funzione dei costi di tutte le singole parti componenti. Se si segue la convenzione di usare le ultime lettere dell’alfabeto per denotare le variabili in gioco, una funzione di due variabili si scriverà nella forma z = f (x, y); una funzione di tre variabili si scriverà nella forma w = f (x, y, z) ecc. Limitatamente alle funzioni di due variabili x, y, è possibile una visualizzazione del corrispondente “grafico”. Si pensino x e y come variabili in un piano “orizzontale” e z come quota su un asse “verticale”; allora il grafico di una funzione del tipo z = f (x, y) viene a essere una superficie dello spazio tridimensionale. A titolo di esempio, nella Figura 7.37 è visualizzata la superficie descritta dall’equazione z=

sin( x 2 + y 2 ) 1 + x 4 + y4

al variare del punto (x; y) nel dominio D = { 3 d x d 3, 3 d y d 3} . Per uno studio più approfondito degli argomenti affrontati in questo capitolo segnaliamo, per esempio, il testo di G.F. Simmons, M. Abate: Calcolo differenziale e integrale, McGraw Hill, 2001. Per le estensioni al caso di più variabili, rimandiamo agli appositi trattati di analisi matematica, per esempio: T. Apostoli: Calcolo, 3 voll. (Boringhieri 1977, 1978); M. Bertsch, R. Del Passo, L. Giacomelli, Analisi matematica, 2/ed (McGraw Hill, 2011).


Funzioni e loro grafici Figura 7.37

0,6 0,4 0,2 0 −0,2 −0,4 3

2

1

1 0

−1

−2

−3

−2

−1

2

3

0

Segnaliamo inoltre, con specifico riferimento agli argomenti trattati in questo capitolo e in quelli successivi, il testo di G. Prodi: Istituzioni di matematica (McGraw Hill, 1994), nonché – dello stesso Autore – il testo più avanzato: Metodi matematici e statistici (McGraw Hill, 1992).

Vedi anche Esercizi 7.60-7.64

Obiettivi di apprendimento •

Conoscere le funzioni elementari di base, come le potenze, i polinomi, le funzioni esponenziali e logaritimiche, le funzioni trigonometriche, le loro principali proprietà e i loro grafici. Imparare a operare con le funzioni elementari e a studiarne somma, differenza, prodotto, quoziente, composizione, inversione. Saper operare con grafici con scale (e su carte) logaritimiche, riconoscendo l’opportunità di farne uso e i principali vantaggi.

Imparare a conoscere il significato, e a calcolare operativamente in casi facili, il limite di una funzione quando la variabile tende a un estremo dell’insieme di definizione (anche + o - ). Imparare a studiare qualitativamente le funzioni e a tracciare uno schizzo del loro grafico, mediante la determinazione del loro insieme di definizione, del comportamento agli estremi, della loro crescenza o decrescenza, del riconoscimento dei loro massimi e minimi.

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