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numero 25 - Anno 12 Sabato 22 Giugno 2013

settimanale d’informazione regionale

Voce Inaugurazione elettrizzante ai giovani e bagnata a Trepidò www. mezzoeuro.it

Lettera “onorevole”: e se invece il ponte fosse utile?

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Sabato 22 Giugno 2013

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Il legno storto

I due tempi del Governo Letta Del fare

e del riformare Mezzoeuro Fondato da Franco Martelli

Ediratio editore Direttore responsabile Domenico Martelli Registrazione Tribunale di Cosenza n°639 del 30/09/1999 Redazione e amministrazione via Strada Statale 19 bis, 72 87100 Cosenza Responsabile settore economia Oreste Parise Progetto e realizzazione grafica Maurizio Noto telefono 0984.408063 fax 0984.408063 e-mail: ediratio@tiscali.it Stampa Stabilimento tipografico De Rose, Montalto (Cs) Diffusione Media Service di Francesco Arcidiaco telefono 0965.644464 fax 0965.630176 Internet relations N2B Rende Iscritto a: Unione Stampa Periodica Italiana

n. 12427

Questo governo delle “larghe intese” (o attese) appare sbilanciato su due corsie dove si muove con due velocità: nella prima dovrebbe procedere con più lena per dare risposte alle terribili emergenze del Paese, e qui sembrerebbe che non occorrano riforme ma solo provvedimenti e decreti; nell’altra, dove si dovrebbe metter mano ad una riforma costituzionale con l’appendice di una riforma elettorale (non ritenuta evidentemente urgente), il calcolo del tempo è più generoso poiché le determinazioni che si prenderebbero richiedono il vaglio attento e “saggio” di Commissione (i 32+7), Comitato, Parlamento: qui viene anestetizzata quell’abolizione dell’indecoroso Porcellum, che è cosa che si potrebbe fare in fretta. Riguardo al “tempo del riformare” sul quale vigila il Capo dello Stato, bisogna dire che un po’ di accelerazione vi è stata perche si è già provveduto a nominare la Commissione dei 35 saggi (+ i sette estensori) che è difficile credere che possa riuscire, nelle intense giornate dei confronti anche dottrinari (ma anche con le forti riserve di uno Schifani, ad esempio), a preoccuparsi dei tempi per avere un esito finale da mettere sotto le mai dei politici in Parlamento È probabile che la fase delle riforme istituzionali non si chiuda prima che il governo Letta, stremato dallo scontro su Imu e Iva, le due “massime” questioni che mettono l’un contro l’altro Berlusconi e Pd, possa combinate qualcosa riguardo alle situazioni sempre più gravi del Paese per le quali è forte la preoccupazione ma quasi inesistente un piano serio di interventi

di Franco Crispini

Il lunghissimo e divagatorio “tempo del riformare”sarà difficile che possa costituire un vanto per il governo Letta, mentre la inconcludenza o la petulanza del dire, ne minano fortemente la credibilità in quanto è su questo versante che si concentrano le delusioni: si può essere certi che la gente non spasima per le modifiche costituzionali ma si aspetterebbe piuttosto che si affronti seriamente il problema del lavoro e si butti a mare il deprecato Porcello. Il premier tenta di tenere sotto controllo le fibrillazioni provocate soprattutto con le continue punzecchiature dei colonnelli più aggressivi se non dallo stesso Cavaliere che butta sempre la pietra e ritira la mano, come si suol dire. Il Paese è lì ad aspettare e non gli bastano gli annunci e le traquillizzazioni che vengono a confortare Letta e dargli un pò di carica: l’ottimismo che si tenta di far nascere non riesce a levare le nuvole che si addensano su alleati che stanno sempre sul piede di guerra, pronti a scattare alla prima scintilla (le sentenze non favorevoli al Cavaliere? la minaccia della ineleggibilità?). Troppo precaria, appesa ad un filo, è la vita della “alleanza per il fare”; per conto suo se ne va l’altro percorso cui è assegnato un tempo maggiore, salvo ad essere richiamato a sbrigarsi a mettere in piedi una riforma elettorale per un dopo che veda la caduta di un governo cui non è riuscito di fronteggiare le emergenze drammatiche del Paese. Mentre dunque chissà quali ipotesi di modifiche costituzionali verranno delibate, mentre delle procedure elettorali (doppio turno, collegi, senato unico, premio di maggioranza etc) si bisbiglia solamente nascondendo la voglia berlusconiana di tenere in vita il Porcellum, mentre insomma la materia di quale forma dare allo Stato può restare per tutti i diciotto mesi sul tavolo dei sapientoni, quello su cui più immediatamente si misura la capacità di Letta e dei suoi ministri di produrre effetti positivi di risanamento e di crescita, esce dai Consigli dei ministri diluito in prolisse dichiarazioni ma non se ne vede se non a stento l’ordito di fondo, l’organico intento propositivo, Sarà che è ancora presto per avere i frutti sperati di quello che è nato come un governo “di servizio” a durata a termine, sarà che l’alleanza può godere della comprensione di Berlusconi (alla quale non pare voler porre dei limiti), sarà anche che il Pd è impegnato a costruirsi una linea, non vivendo delle illuminazioni di uno solo dotato del potere magico di fargli conseguire sempre vittorie elettorali, sarà dunque che una specie di stagnazione politica potrebbe agevolare il vivere pragmaticamente alla giornata del governo Letta, ma una politica di pura sopravvivenza alla fine aggraverebbe le condizioni già pesanti del nostro Paese. Sarebbe poi davvero un disastro se il bilancio dei “due tempi” fosse da un lato e dall’altro striminzito e negativo: si capirebbe poco il perché il Pd ha sprecato tempo ad accantonare un suo eccessivo ed ossessivo antiberlusconismo nell’illusione che ciò portasse dei vantaggi al Paese.


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Sabato 22 Giugno 2013

Democraticamente (sempre) nei casini

L’unica cosa sicura che pare al momento stratificata e condivisa è che nessuno vuole più D’Attorre, il commissario. Ora lui, il lucano cresciuto in Campania e diventato deputato in Calabria, potrà anche fregarsene ma difficilmente gli converrà riguadagnarsi un seggio parlamentare in una terra dove non lo vuole nessuno. In qualche modo ne prenderà atto e chiederà ad Epifani con quale tecnica levarsi di torno, uscire di scena come commissario salvo poi rientrarci come deputato. Per il resto, per tutto il resto, è come al solito gran casino in un partito, quello calabrese, che per la verità non si fa mancare mai niente quando si tratta di intorbidire le acque. Ognuno degli esponenti che contano e che vogliono contare in qualche modo fa filtrare una tesi, una via d’uscita per arrivare sani e salvi al congresso. Ma è la sintesi che manca e tutto sommato anche un po’ di razionalità. Il punto è molto semplice che poi coincide con quello di partenza. Se in chiesa senza soldi non si cantano le messe nel Pd, in questo Pd, senza la data del congresso nazionale è impossibile acchiapparsi sulle posizioni per quello regionale. Tantomeno sulle regole epperò una strada di compromesso, di reggenza, di sopravvivenza va trovata perché il congresso calabrese non è un congresso qualsiasi ma coincide con la prima assise democratica di un partito stuprato dal commissariamento e dilaniato dalle guerre intestine. E allora, tradotto, non si può stare più così, qualche formula bisogna inventarsela atteso che del vecchio commissario, D’Attorre appunto, nessuno ne vuol più sentire parlare. Anzi, nessuno vuol più sentire parlare di commissario ma piuttosto di reggente, di traghettatore verso i lidi del congresso.

Alfredo D’Attorre

Un Caronte

non un dinosauro

Tiene banco il dibattito nel Pd sull'ipotesi del traghettatore fino al congresso regionale (se e quando ci sarà) E si viaggia, naturalmente, a vista anche se una cosa pare certa: in pochi preferiscono davvero affidarsi a uomini che per varie ragioni (anche l'età) non possono avere una visione d'insieme nuova, un progetto Facile solo a dirsi però, va inquadrato un percorso prima del profilo e soprattutto va indovinato uno schema, uno schema funzionale. In questo senso va perdendo spessore nelle ultime ore l’ipotesi che si possa far affiancare il reggente o il traghettatore da un coordinamento (che poi non sarebbe altro che la riproposizioni delle correnti in scala con annesse scazzottate). E va anche perdendo colpi la strada che alla fine ci si possa affidare ad un comitato di saggi perché in una situazione del genere, come quella che vive da anni il partito in Calabria, di saggio ci sarebbe semmai quello di mandare tutto gambe all’aria. E allora? E allora allo stato le strade sono due, quelle quantomeno emerse ed emergenti. Da un lato, il traghettatore o il reggente in grado di trascinare senza danni il partito al congresso, dovrebbe corrispondere ad una figura di prestigio ma così algida e avulsa da interessi contempora-

nei da avere come minimo, per deduzione, non meno di 85 anni. Con vista sulla vita che va all’ingiù. Non è un’offesa per nessuno avere quegli anni né non avere più niente da chiedere alla carriera così da essere “puro” ma è assai probabile che il Pd necessiti di qualcosa d’altro per uscire dalla merda, qualcosa di più energetico. E qui sta l’altra e anche trasversale corrente di pensiero dominante che è poi quella che vuole sì un reggente o traghettatore non troppo appassionato alla sua prossima carriera ma anche giovane (per non dire non vecchio), con un’idea brillante e avvolgente della Calabria, con gli occhi proiettati al futuro, con un progetto in tasca, con una visione che lo faccia essere meno notaio e più trascinatore di un partito che deve essere in qualche modo accompagnato all’ospedale (il congresso) con un filo di respiro. Per non morire ovviamente ma per riprendere in mano le redini di una regione al collasso. Qui sta il nodo cruciale della questione, il braccio latente ma di ferro che c’è nel partito. Un pubblico ufficiale ben oltre la pensione da una parte, una forza propulsiva e coinvolgente dall’altra. Per reggere, per traghettare il partito, questo partito, verso la rinascita se mai ci sarà. Caronte o dinosauro, la scelta è qui. Per un partito normale, in un momento normale e in una regione normale, la scelta sarebbe scontata. d.m.

Guglielmo Epifani

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Mezzoeuro Giochi (pericolosi) col fuoco

L’operetta di Palazzo Un giorno spuntano le doglie di Salvatore Magarò (dicasi Magarò, c’è pure lui anche se in pochi se lo ricordano). E l’altro giorno appresso le doglie di Gianpaolo Chiappetta. Per la stampa quotidiana è per colpa loro, in gran parte, se le acque non si rompono. Il “parto” non arriva, la giunta del rimpasto di Cosenza non nasce. Uno vuole mantenere visibilità (Machì). L’altro, che mica è fesso, la vuole a partire da adesso (Nigro in giunta). Ma quanti sono realmente disposti a credere che sia veramente questo l’inghippo finale, quello addirittura mortale? Se facciamo ad alzata di mano finisce che tutti se le tengono in tasca. È parvenza tutto questo, puro avanspettacolo o al massimo operetta di Palazzo. Sono giochi d’acqua, o sarebbe meglio dire di fuoco col fuoco visti i tempi e le rogne che ha da sbrigare il Palazzo rimasto senza vice (defenestrata) e con un sindaco che non sa ancora se ha una maggioranza e se avrà una giunta. In attesa taglia qualche nastro, l’architetto che voleva illuminare Cosenza. E, quando è possibile, se la dà a gambe a Roma con una fascia tricolore al petto che sta meglio addosso quando si è lontani della insidie del Crati. Con tutto il rispetto (che non è poco ma che non può essere illimitato) per Magarò e Chiappetta non ci credono neanche loro che sono addirittura in grado di bloccare una partita che se non si sblocca im- Mario Occhiuto pantana niente di meno che l’assetto regionale del potere. Fosse così non avremmo oggi uno dei due (Magarò) spedito ad occuparsi sin dal primo giorno del governo Scopelliti di una commissione (antindrangheta) che non sa ancora esattamente cosa deve produrre né perché. Finirà prima la ‘ndrangheta magari un giorno che il purgatorio di una commissione che pare più una cella di isolamento per stipendio garantito (e innocuo) che altro. Se può Magarò oggi far saltare il banco lo si deve chiedere a Orsomarso e soprattutto a Morrone che da quando s’è aperta la crisi va all’incasso ogni giorno con un acquisto tutto nuovo. Tutti pazzi per Morrone, verrebbe da dire, che da ex alleato di ferro dei Gentile non ha perso un giorno (per non dire un’ora) per fare le scarpe ai fratelli. Non c’è alba che non si legga di un nuovo adepto illuminato sulla strada del re delle cliniche private. Tutti con Morrone, giorno dopo giorno.

L'incrocio di Cosenza, come previsto ma non da tutti, rimane intatto Il nodo non si sbroglia Mentono, mentono in tanti e rimane coperta la vera posta in gioco... Che infatti non vede l’ora che nasca la nuova giunta, naturalmente con più peso e visibilità per lui. Katya Gentile in conferenza stampa era stata chiara. Io non tornerò più (ma probabilmente nessuno gliel’avrebbe richiesto) ma si deve azzerare tutto, a partire dalla poltroncina del presidente del consiglio dove siede proprio il figliolo di Morrone, Luca. Una guerra nella guerra dentro quello che non molto tempo fa era un fronte comune a Cosenza. Ma per il potere, e dentro il potere, ci sta pure questo. Chiedere oggi a Morrone se basta Magarò per fermare la sua scalata significherebbe esporsi a una risposta scontata e forse pure in dialetto ma qualcuno che ci crede c’è e va rispettato. La stessa risposta poi la fornirebbe Fausto Orsomarso che tra una mediazione trafelata e l’altra, una riunione e una sudata giovanile, piazza ogni giorno una pretesa in più, una mano che si allunga dentro il Palazzo. Fosse per lui il nuovo corso di Palazzo dei bruzi dovrebbe essere già partito ma invece si rimane al palo perché oltre il muro non si può andare. E il muro è il cognome offeso e vilipeso che in qualche modo non può essere risarcito con una ripartenza. I Gentile appunto. Ne sa qualcosa Mancini, allo stato attuale l’alleato maggiore della griffe più forte di Cosenza. Anche il giovane assessore guadagnerebbe addirittura un pochino se partisse il nuovo corso ma non proferisce parola e se parte da qualcuno dei suoi parte per destabilizzare. Il punto vero è che l’incrocio di Cosenza rimane tutto e non lo si sbroglia con un’indiscrezione a

mezzo stampa. Da un lato c’è il grande gesto, il gesto forte, per certi aspetti rivoluzionario per Cosenza (la cacciata di un Gentile). Dall’altro ci sono loro appunto, i Gentile. Che sono a loro volta un unico cognome ma due entità con due storie e due prospettive differenti (Tonino il senatore e Pino l’assessore). Fosse per il primo la nuova giunta, quella della pace armata e ristabilita, quella dalla quale non si può prescindere se il centrodestra regionale vuole andare avanti in qualche modo, partirebbe domattina, se non ieri. Per Pino invece, il papà ferito perché è alla figlia che hanno fatto un torto importante, ogni giorno che passa senza giunta è un giorno nuovo che porta all’incasso. Il marchio d’insieme alla fine farà la differenza e non sarà su questo che la griffe prenderà strade diverse. Tonino e Pino, con nipoti al seguito, viaggeranno compatti sulle rive del Crati. Altro è capire quanto durerà la melina a centrocampo di Pino che nomi al posto di Katya non ne molla. E così si rimane impantanati con Tonino che si erge niente di meno che a difensore e garante di Scopelliti sulla stampa e Pino che ne blocca le operazioni a Cosenza con buona pace dell’inarrestabile Morrone e dell’infaticabile Orsomarso. Zero a zero, la partita pare congelata anche se poi sotto sotto non lo è. Perché nel bel mezzo del grande guaio tutto del centrodestra si infilano due progetti di carriera, due scenari, due scalate. Una è del sindaco, proprio lui. Che aspetta, o finge di farlo, la nuova giunta. Ma è il primo che non la vuole e si augura non arrivi mai così ricca di cambiali da , Pino Gentile pagare. Fosse per lui la farebbe al momento “terza” la squadra, tecnica al 100%, fuori formalmente dai giochi. Il primo step, prima di approdare definitivamente sulle sponde di un rinnovato centrosinistra, sarebbe questo per Mario Occhiuto. Per far questo però e dopo aver sputtanato alla città l’incapacità dei partiti (del Pdl) di fare un governo dovrebbe chiedere buona coscienza e voti all’altra parte in aula. E chi potrebbe arrivare in soccorso? Qui s’infila il secondo progetto di scalata, di carriera, che inevitabilmente porta al Pd. Senza il marchio democratico non si completerà mai il percorso inconfessabile di questa crisi che paradossalmente aprirebbe nuovi scenari pure alla Regione. Il Pd di Cosenza, quello che siede in consiglio per intenderci e chi ne cura i destini da dietro, sono pronti per questo? d.m.


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Sabato 22 Giugno 2013

Saldi di fine stagione

Palazzo Campanella sede del Consiglio regionale

Per chi suona la Campanella Il Servizio Bilancio e Ragioneria del Consiglio Regionale invia una nota al Segretario Generale Nicola Lopez, in cui si evidenziano le difficoltà finanziarie in cui versa il più importante e prestigioso istituto regionale. La sconsolata conclusione del documento è che «in considerazione delle cifre sopra riportate, si specifica che, per l’anno in corso, con uno stanziamento di competenza di euro 55,5 milioni non può essere garantita neanche la spesa corrente obbligatoria». Un grido dall’allarme perché questo significherebbe che il consiglio regionale non avrebbe le disponibilità per pagare gli stipendi ai propri funzionari, gli emolumenti ai consiglieri regionali, e le parcelle dei consulenti che si affannano a trovare soluzioni ai mille problemi che affliggono le famiglie calabresi. Si bloccherebbe l’attività del Consiglio, e la produzione legislativa. Il che non sembra essere un grave problema visto il livello e la qualità dei provvedimenti partoriti dal quel nobile consesso, ma le conseguenze andrebbero ben oltre e questo avrebbe gravi ripercussioni su tutti i calabresi. Bisogna precisare che questo potrebbe non significare proprio nulla perché si tratta di un mero incidente tecnico, dovuto alla imprecisione con cui sono state effettuate le previsioni di bilancio, e richiede un intervento di rettifica da parte della giunta regionale. Un semplice storno di fondi da un capitolo all’altro del mastodontico bilancio regionale metterebbe subito le cose a posto. Come prassi e come dovuto, infatti, il segretario generale Nicola Lopez trasmette la nota citata al Presidente della II Commissione Permanente, Candeloro Imbalzano per le «valutazioni di competenza», onde consentire alla giunta di prendere i provvedimenti del caso. Tutto semplice in apparenza, ma leggendo bene quella nota, risaltano alcuni passaggi. «Con deliberazione dell’U.P (Ufficio di presidenza) n° 111 del 14 dicembre 2012 è stato approvato il bilancio di previsione del Consiglio Regionale, per l’esercizio finanziario 2013, per un importo riportato al Titolo I di euro 62,5 milioni con una riduzione di 7,5 milioni rispetto al

Il consiglio regionale fa i conti con la crisi di bilancio e in un documento mette le mani avanti: da settembre non ci saranno più risorse per la spesa corrente del Palazzo bilancio 2012, di importo pari a euro 70 milioni ed una riduzione di euro 16,5 milioni rispetto al bilancio assestato 2010, di importo pari a euro 79 milioni». La spending review ha assestato qualche colpo anche al “magro” bilancio del Consiglio Regionale e questo avrebbe dovuto indurre gli onorevoli membri ad adottare qualche rimedio per ridurre le spese. Un sacrificio troppo severo per un consesso che dalla sua nascita non ha dovuto render conto a nessuno di tutte le spese sostenute rigorosamente nell’interesse dei calabresi che hanno potuto quantificarne i benefici nelle conseguenze della crisi che li ha colpiti. I rigori imposti da Monti sono rifluiti hanno costretto il Consiglio alla approvazione della legge regionale n° 71 del 27/1272012 “Bilancio di previsione della Regione Calabria per l’anno finanziario 2013 e bilancio pluriennale 2013-2015” con la quale «è stata iscritta una somma pari ad euro 54 milioni da trasferire al Consiglio Regionale per l’anno 2013 e seguenti, sino all’anno 2015». Rispetto ai 79 milioni del 2010 si tratta di un salasso. Il Consiglio ridotto in mutande, e queste ora si sono anche consumate.

Bilancio di previsione della Regione Calabria per l’esercizio finanziario 2013 e del bilancio pluriennale 2013-2015 a norma dell’art. 22 della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8, all’art. 7 è stato previsto un incremento, per il Consiglio regionale, di euro 1,5 milioni autorizzando una spesa complessiva per l’anno 2013, di euro 55,5 e, contestualmente è stata prevista un riduzione dell’anno 2014 di euro 4milioni e per l’anno 2015 di euro 10 milioni». Si è cercato, insomma, di dare un po’ di respiro quest’anno penalizzando chi verrà dopo. Tutto questo affanno non ha convinto in nostri bravi consiglieri, e tutto l’ambaradan che ruota attorno che forse era giunto il momento di tirare la cinghia, e si è continuato a spendere come e più che in passato, nella certezza che passata la bufera della finanziaria, per loro i soldi si sarebbero in ogni modo trovati. Questa volta però le cose non sembrano affatto scontate. Intanto c’è uno strano scollamento tra i due organi, Giunta e Consiglio, ognuno dei quali cerca di difendere sé stesso con le unghie e con i denti. Non c’è una coperta sufficiente per tutti e qualcuno deve restare con i piedi di fuori, perché la decurtazione delle risorse è reale e settembre comincia ad apparire come un mese nero. La scarsità delle risorse mette in discussione le spese obbligatorie della stessa Giunta, dell’Ufficio di Presidenza, e poi in attesa ci sono forestali, società in house, consulenti, e varie ed eventuali. La regione in default? Forse è ancora esagerato ipotizzarlo, ma qualche nervosismo serpeggia, e dietro l’angolo i lunghi coltelli serrati tra i denti preannunciano una truculenta resa dei conti. Perché un fatto del genere non è per niente neutro. Bisogna trovare i responsabili, che diventeranno subito colpevoli, e poi valutare le conseguenze che una tale eventualità potrebbe causare in una regione il cui benessere è appeso al filo della finanza pubblica. Per il momento conviene godersi le vacanze, perché l’autunno si preannuncia grigio.

Si è tentato di mettere una pezza. Con la proposta di legge n. 469/9 recante «assestamento del

o.p.

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Mezzoeuro E i fiori non li porta nessuno

Funerale Comune di Oreste Parise

Professor Manoccio, cos’è questa storia del manifesto mortuario, una provocazione? Giovanni Manoccio è il sindaco di Acquaformosa che ha instaurato uno stile di comunicazione molto originale, tendente a polarizzare l’attenzione sulle problematiche dei comuni che stanno soffrendo la politica dello spending review. Dietro una formula anglosassone si nasconde un severo tagli alle spese, una riduzione dei servizi e se proprio si vuole continuare ad erogarli saranno direttamente i cittadini a doverli pagare. Si vuole trasformare le imposte e le tasse in tariffe “obbligatorie”, poiché i servizi a cui fa riferimento non sono a domanda individuale, ma si è costretti a pagare a prescindere dalla prestazione. Un po’ quello che avviene con i rifiuti. Bisogna pagarla anche se la casa resta chiusa tutto l’anno perché i proprietari abitano altrove. «Non si tratta di provocazione», risponde il sindaco di Acquaformosa, «ma di un disperato tentativo di polarizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su quanto si sta verificando nei comuni. Qui si avanti a sigle, ma dietro si nasconde una verità drammatica. Si parla tanto dell’Imu, senza pensare che in fondo è un problema secondario, il vero dramma è la Tares, che sarà una vera e propria mannaia che cadrà sulla già esauste tasche dei cittadini e noi non sappiamo come dirlo ai cittadini. Ancora oggi non siamo in grado di quantificare il gettito presunto, tanto che il governo ha autorizzato gli enti locali a posporre l’approvazione del bilancio preventivo di quest’anno al prossimo settembre. Una assurdità poiché sapremo quanto potremmo spendere quando dovremmo già averli spesi e iniziare a fare un rendiconto. Quello che conta sono i dati, il gettito Imu del mio comune per l’anno scorso è stato di 4.000 euro, perché abbiamo deciso di applicare il minimo consentito. Dalla Tares dovremmo raccogliere circa 100.000 euro, più di venti volte tanto». «I nostri comuni sono delle realtà marginali» interviene Giuseppe Rizzo, sindaco di Cerzeto, «con una economia molto fragile. Un lavoro precario in un call center, o un posto di lsu appare già un privilegio, un lusso. Le retribuzioni non superano i sette/ottocento euro al mese e con la mannaia di trovarsi disoccupati da un giorno all’altro. In queste condizioni il principio che i cittadini devono pagarsi i servizi pubblici diventa un incitamento al suicidio politico, poiché i comuni più poveri, dove non vi è una presenza significativa di benestanti, professionisti, impiegati, imprenditori o altro non potranno garantire dei servizi pubblici decenti. Dovremmo dire alla gente, andate ad abitare altrove poiché qui possono restare solo coloro che hanno una vocazione da eremiti. Quella del sindaco Manoccio può apparire una provocazione, e certo lo è in senso positivo, poiché mette il dito in una piaga reale. Con la Tares noi dovremmo far ricadere sui cittadini il costo totale della raccolta e smaltimento dei rifiuti (finora si trattava di una parte), il costo dell’illuminazione pubblica e dell’acqua che il comune acquista dalla Sorical. Questo significa passare dai circa 24.000 euro dell’Imu a più di centomila che il comune dovrebbe raccogliere per la Tares, un peso insopportabile per i nostri cittadini». «Questa è una grande ingiustizia», aggiunge Vincenzo Tamburi, sindaco di San Basile, «perché mette sotto lo stesso piano situazione profondamente diverse. Il mio comune è da anni soggetto a una emigrazione tale che rischia di essere

I sindaci di Acquaformosa Cerzeto e San Basile alle prese con una clamorosa protesta a Roma contro quello che loro definiscono "omicidio premeditato" nei confronti delle amministrazioni locali completamente desertificato. Abbiamo messo in vendita le case abbandonate a un valore simbolico per invitare la gente a venire ad abitare qui, a spendere magari gli anni della pensione. Devo dire che l’iniziativa ha avuto un certo successo, poiché vi sono stati acquisti da parte di alcuni americani, israeliani e persino dei toscani, i quali hanno anche ristrutturato gli immobili. È una goccia nel mare, ma potrebbe essere l’inizio di un movimento significativo e positivo non solo per la comunità di San Basile. Una buona politica è quella di incentivare questi flussi, soprattutto con servizi pubblici efficienti. Chi compie questa scelta cerca delle soluzioni che offrano condizioni di vita civile, di servizi organizzati. Nessuno è interessato a vivere nel degrado. Faccio presente che questo è uno dei tanti obiettivi dimenticati dell’Europa». Voi siete i tre promotori della iniziativa. Tutti e tre primi cittadini di comunità arbëresh ... «Più che di una questione etnica, si tratta di una caratterizzazione socio-economica. Il disagio che esprimiamo nasce dalla condizione marginalità dei nostri comuni, che vivono anche tutti i paesi

interni della Calabria. Gli arbëresh si sono insediati nei luoghi più impervi loro assegnati, perché hanno ripopolato i tanti paesi abbandonati per calamità naturali o per il crollo demografico provocato da guerre, epidemie e invasioni saracene. Memori del nostro passato abbiamo creato un centro di accoglienza per gli immigrati e rifugiati politici che ha dato una certa vivacità alla nostra comunità. Se vogliamo far rinascere le nostre comunità e non abbandonare un patrimonio storico, artistico, culturale e anche architettonico dobbiamo incentivare quante più persone possibili a venire nei nostri paesi. La politica di accoglienza va sostenuta con l’offerta di servizi eccellenti, altrimenti non si riuscirà a invertire la tendenza. La cultura arbëresh è un patrimonio da tutelare e conservare, poiché può costituire uno degli elementi della rinascita. Nel corso di cinque secoli si è conservata con la chiusura delle comunità, oggi dobbiamo imparare a difenderla in un contesto aperto, in un mondo interconnesso. Questa è un’altra grande sfida che ci troviamo ad affrontare a mani nudi, per la decurtazione delle risorse». Giuseppe Rizzo: «I paesi interni della Calabria vivono un disagio analogo, tanto che il grido di dolore lanciato da Giovanni Manoccio è stato subito raccolto da molti altri comuni come Santa Caterina Albanese, Civita, Frascineto, San Martino di Finita tutti arbëresh, ma hanno risposto anche Longobucco, Lattarico, Sant’Agata d’Esaro, Diamante e tanti altri. Non vogliamo trasformare la nostra in una rivendicazione etnica, semplicemente mettere in risalto che questa condizione di disagio viene vissuta in maniera particolarmente grave dalla comunità arbëresh. Cerzeto, ad esempio nel decennio tra gli ultimi censimenti ha fatto registrare il tasso di spopolamento più elevato di tutta la provincia di Cosenza. Per qualche anno sembrava che il flusso si fosse interrotto, ma oggi sembra aver ripreso vigore e rischia di destrutturare l’intera collettività. In poco tempo sono andate via quattro giovani coppia, in Canada per un viaggio senza ritorno perché non si tratta


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E i fiori non li porta nessuno

gnato a utilizzare esclusivamente ingredienti prodotti localmente, e ha avuto un autorevole riconoscimento che ha consentito a Cerzeto di essere inserito tra i borghi slow food. Abbiamo anche utilizzato le nostri sorgenti per l’approvvigionamento dell’acqua, ci serviamo dell’acqua consortile solo in alcuni periodi dell’anno. Noi facciamo del nostro meglio per sopravvivere, ma non possiamo restare in piedi se continueranno a penalizzarci». «Il nostro non è il solito piagnisteo», interviene Vincenzo Tamburi, «non vogliamo dare l’impressione dei soliti meridionali che si lamentano e poi magari sprecano le risorse. Tutti e tre rappresentiamo degli esempi di comuni che hanno attuato delle azioni concrete per rispondere alla nuova sfida della decurtazione delle risorse. Non ci siamo adagiati sugli allori. Abbiamo lanciato delle sfide e semmai vorremmo essere aiutati a volare più in alto, e non sopportiamo che al contrario si voglia tagliare le ali e costringerci a continuare il volo. A San Basile vi è una raccolta differenziata che ha superato gli obiettivi che ci erano stati dati, abbiamo eliminato i debiti fuori bilancio, limitato la contrazione di mutui, rispettato tutti i vincoli che ci sono stati imposti. Non pretendiamo un premio per questo, ma una maggiore considerazione per la specificità della nostra condizione».

di partenze stagionali. Finora la preoccupazione maggiore era per la disoccupazione intellettuale, i tanti giovani laureati in cerca di qualche soluzione ma con un occhio sempre rivolto al proprio paese. Ora si rischia un nuovo esodo. Il vero dramma è il lavoro. Abbiamo cercato di attivare un processo slow food, promuovendo il consumo di beni a chilometro zero, una politica adottata nella nostra mensa scolastica. Abbiamo qui uno dei migliori ristoranti a chilometro zero, che si è impe-

Ma quali sono le vostre proposte, cosa avete ottenuto dalla vostra visita a Roma? G. Rizzo: «Voglio esprimere la mia personale soddisfazione per l’accoglienza ricevuta, che è stata straordinaria. Da parte del pubblico, che ha plaudito per le vie alla nostra iniziativa, dei parlamentari e dei rappresentanti delle amministrazione. Siamo partiti con un po’ di apprensione e ci siamo ritrovati circondati da una calda solidarietà. Un particolare ringraziamento a Ernesto Magorno, che ci ha guidato nei meandri della Camera e si è dimostrato affettuoso e comprensivo, e soprattutto molto informato sulla problematica. Quale sindaco di Diamante conosceva bene la condizione dei comuni ed è ben consapevole dei rischi che corrono soprattutto quelli piccoli». Manoccio: «In particolare vi sono due problemi da sottolineare: la grande responsabilità di affidare a strutture amministrative semplici delle procedure complesse, una condizione che genera confusione e incapacità di dare delle risposte corrette. Il secondo è quello di confondere la gestione di una grande città con il governo di un borgo. Noi siamo un presidio per la difesa del territorio e dobbiamo essere aiutati a costruire una rete di servizi che incentivi la gente a ritornare nei piccoli centri, per recuperare non solo il patrimonio architettonico, ma l’insieme delle relazioni umane, la qualità della vita, riscoprire le radici e le ragioni per costruire un futuro in simbiosi con la natura. Voglio sottolineare che noi siamo dei comuni virtuosi, che abbiamo fatto quanto era in nostro potere per comprimere la spesa pubblica, per eliminare gli sprechi, per introdurre la raccolta differenziata». Tamburi: «Bisogna anche considerare che laddove le condizioni orografiche del terreno sono più difficili, il costo dei servizi è sicuramente più elevato e non è giusto che ricada sugli abitanti che già sopportano il peso della loro marginalità». Vogliamo soffermarci sulle proposte? Lasciamo l’ultima parola a Giovanni Manoccio, come iniziatore della protesta. Rizzo: «Nei nostri incontri romani abbiamo incontrato molta simpatia e molta disponibilità, ma temiamo molto che i meccanismi parlamentari impediscano poi di raggiungere dei risultati concreti. Abbiamo chiesto un incontro al prefetto di Cosenza, che ci riceverà martedì prossimo e noi speriamo che aggiunga la sua voce per l’obietti-

vo di allentare la morsa del fisco sui piccoli comuni. Ma siamo ben decisi a continuare questa che è una grande battaglia di civiltà. È vero che siamo piccoli, ma insieme rappresentiamo più del 70% della popolazione calabrese». Tamburi: «Chiediamo a gran voce che venga approvata una legge di tutela e incentivazione per i comuni inferiori a 5.000 abitanti, introdotto un criterio equo con la determinazione dei costi standard dei servizi, una premialità per i comuni virtuosi, e un aiuto per le comunità con alto disagio sociale». Manoccio: «In questi anni si sono approvate una serie di norme “cieche” da applicare in maniera indiscriminata a tutti senza preoccuparsi delle specificità locali, delle differenze sociali, della capacità contributiva della comunità, del comportamento delle amministrazioni locali. Questo non è ulteriormente tollerabile, ma bisogna ritornare al rispetto delle autonomie locali garantite dalla Costituzione. Annualmente il governo deve stabilire l’ammontare delle risorse da distribuire agli enti locali, sulla base di criteri rigorosi e nel rispetto dei vincoli di bilancio e che poi siano le singole amministrazioni a utilizzarle nel modo più conveniente. Angelo Rughetti, membro della Commissione Bilancio, che sosterrà la ragione dei piccoli comuni con una modifica del patto di stabilità che preveda una premialità per la raccolta differenziata, e un allentamento dei vincoli per i comuni che non abbiano debito fuori bilancio. Noi plaudiamo alle buone intenzioni, ma resteremo vigili per verificare che vengano tradotti in fatti concreti. I precedenti non sono positivi, poiché alla fine tutto è rimasto invariato appellandosi all’impossibilità di abbandonare la logica di riparto lineare delle risorse e dei sacrifici per evitare l’assalto alla diligenza da parte dei parlamentari». Cosa intendete fare per tenere accesa l’attenzione attorno al problema? Rizzo: «Noi esprimiamo solo il crescente disagio della nostra gente, perché siamo i primi interlocutori. Non bisogna sottovalutare lo stato di crescente malessere che si manifesta ancora in maniera civile e democratica. Ma le difficoltà sono crescenti e non si può continuare a ribaltare le difficoltà politiche e finanziarie sulle parti più deboli della popolazione. Non bisogna consentire che i borghi più piccoli vengano abbandonati. Questa è una battaglia di civiltà». Tamburi: «La maggiore difficoltà è ottenere l’attenzione della gente e avere la possibilità di esprimere con chiarezza il senso della nostra protesta. Non stiamo difendendo qualcuno, ma un progetto, una idea, una concezione più umana della politica che si renda conto che dietro ogni cifra di bilancio comunale ci sono interessi umani e sociali. È una battaglia che dobbiamo combattere fino in fondo». Manoccio: «Vi è un enorme problema di equità distributiva. La diseguaglianza non si manifesta solo tra individui e classi sociali, ma anche la ricchezza e le risorse delle comunità sono distribuite in maniera totalmente ineguale, creando palesi ingiustizie. È necessario soffermarsi a legiferare con una valutazione delle possibili conseguenze delle decisioni che si prendono. Finora ha prevalso la logica dell’emergenza, che ha funzionato da freno e ci ha fatto precipitare nel baratro della recessione. Questo è inaccettabile. Il Sud vive di economia pubblica, e questa è una maledizione da cui dovremo liberarci prima o poi. Ma oggi questa può rappresentare una grande opportunità, perché fornisce la leva per poter attivare i meccanismi di ripresa. Finora il Sud ha rappresentato un peso per lo sviluppo, oggi dobbiamo trasformarlo in una risorsa. Per questo non dobbiamo aver paura di effettuare gli investimenti necessari: le energie alternative, l’acqua, il turismo sono delle sfide che dobbiamo cogliere».

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Sabato 22 Giugno 2013

Mezzoeuro Undicesima Giornata dell’economia

Encefalogramma PIATTO Si è tenuta presso il salone della Camera di Commercio di Cosenza l’11a Giornata dell’economia, un evento nazionale promosso da Unioncamere e dalle 105 Camere di Commercio, durante il quale si presenta il quadro dell’andamento dell’economia provinciale, attraverso l’analisi delle principali variabili di tipo congiunturale e strutturale. Al tavolo di riflessione sono intervenuti il presidente della Camera di Commercio di Cosenza Giuseppe Gaglioti, il vicepresidente regionale Confesercenti Domenico Bilotta e il responsabile degli osservatori economici dell’Istituto “G. Tagliacarne” Paolo Cortese, che ha curato il Rapporto sull’Economia provinciale. Moderatore del dibattito Attilio Sabato, direttore di Ten (Tele Europa network). Sono intervenute numerose autorità civili e militari nonché esponenti del mondo istituzionale, bancario, professionale, sindacale ed imprenditoriale, e consiglieri camerali e giornalisti di svariate testate ed emittenti televisive. Il rapporto conferma ancora una volta la grave condizione congiunturale in cui versa la provincia brucia, in linea con il resto della regione. Se proprio vogliamo trovare qualche motivo di ottimismo, dobbiamo ricorrere al paradosso. In fondo stiamo un po’ meglio degli altri. Almeno qui in Calabria. Una guerra tra ultimi. Scorrendo le graduatorie del Rapporto per l’anno 2012, troviamo Crotone al primo posto in Italia per tasso di disoccupazione; Cosenza è sesta seguita dalle altre calabresi. La migliore è stranamente Reggio Calabria, che si colloca al 23esimo posto. La situazione si rovescia considerando il tasso di occupazione. Al primo posto in Calabria si colloca Catanzaro, con il 47,7% di occupati e non fa meraviglia considerato che è la capitale burocratica, e l’economia pubblica è l’unica certezza che ancora rimane nella regione. Cosenza si colloca al secondo posto e Crotone conferma il suo stato di coma profondo, seguita nell’abisso dalla provincia di Napoli dove lavora solo il 36,6% della forza potenziale. Una situazione molto simile alla graduatoria del tasso di attività. Il problema occupazionale è un indicatore di una vera e propria emergenza, poiché gli stessi dati ufficiali raccolti con certosina precisione dall’Istituto Tagliacarne, non esprimono appieno la realtà. Non per una mancanza tecnica, ma per la profonda sfiducia che attraversa soprattutto l’universo giovanile che ormai non si affanna più neanche a iscriversi nelle liste di collocamento, ma resta in stand-by o riprende l’eterna via dell’esodo. Siamo giunti a una nuova svolta da questo punto di vista. Fino ad ora vi era una effervescenza giovanile che portava alla ricerca di qualche opportunità di lavoro in qualsiasi parte d’Italia o del mondo, una mobilità con la ventiquattrore sempre pronta, un mondo di girovaghi pronti a cogliere l’attimo. Un altro fenomeno è in corso, ora, la ripresa della grande migrazione verso mete più lontane, un viaggio senza ritorno che rischia di depauperare il tessuto sociale della regione privandole delle sue forze migliori e più dinamiche.

Presso la Commercio di Cosenza è stato presentato il Rapporto sull'Economia della Provincia di Cosenza per l'anno 2012 Un primato in discesa nella regione, il Pil provinciale cala solo dello 0.6%, persino migliore di quello nazionale Un dato che evidenzia la sofferenza di una provincia che stenta a mantenere il passo, e non trova l'energia per risollevarsi Il presidente della Camera di Commercio Pino Gaglioti all’apertura dei lavori ha evidenziato la drammaticità della situazione economica dichiarando che si cercherà di evidenziare i punti di reale criticità che frenano o impediscono del tutto lo sviluppo del sistema economico e che do-

vranno costituire il punto di partenza delle azioni e programmi delle istituzioni ognuno per la propria competenza. Il punto di maggiore criticità è l’incapacità della provincia a trovarsi un ruolo nel commercio internazionale, una condizione che sarebbe indispensabile in questo momento di crisi del mercato interno con una domanda debole che non riesce a sostenere il ritmo produttivo delle aziende. Il totale dell’export provinciale non raggiunge neanche il fatturato di una media azienda del nord-est e stranamente il mix di prodotti esportati è concentrato sui prodotti manifatturieri. Inconsistente la quota di prodotti agricoli e dei servizi, in particolare il turismo che stenta a riprendersi e dare un contributo significativo all’economia provinciale. La crisi assume un carattere strutturale poiché sono venuti meno i tradizionali pilastri che hanno sostenuto l’economia dell’intera regione. In primo luogo il settore pubblico mostra un raffreddamento polare, con la decurtazione dei trasferimenti, l’azzeramento delle agevolazioni, la difficoltà di spese degli enti pubblici, la dilazione dei pagamenti che ha raggiunto livelli patologici, il diradamento degli appalti pubblici. Un pianto greco che il recente sblocco dei pagamenti riesce appena ad attutire, ma costituisce una goccia nell’oceano, rispetto alla situazione di grave crisi in cui versa l’intera regione. L’altro grande pilastro crollato è l’edilizia, che ha provocato anche il crollo del mercato immobiliare. Qui come altrove, ma la Provincia di Cosenza poteva vantare una condizione edilizia effervescente, e la crisi si ripercuote in maniera pesante sull’intero sistema economico provinciale.


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Sabato 22 Giugno 2013

Undicesima Giornata dell’economia

Un aspetto messo in rilievo dal vicepresidente regionale della Confesercenti Domenico Bilotta, è che il Sud è il maggior finanziatore delle ripetute manovre per il risanamento della finanza pubblica, tanto per la decurtazione dei fondi, quanto per i successi della lotta all’evasione i cui proventi non sono reinvestiti nelle regioni meridionali, ma sono destinati altrove. In queste condizioni ogni euro recuperato dal fisco nel Sud costituisce un salasso finanziario che sottrae risorse al Mezzogiorno. La feroce politica di tagli alla spesa pubblica si traduce in una forte contrazione non solo dell’economia pubblica, ma si ripercuote anche nella decurtazione della domanda di beni materiali, e nell’impossibilità di investimenti da parte delle imprese. A questo si aggiunge la persistente difficoltà delle imprese a trovare i finanziamenti necessari presso il sistema bancario. Il protrarsi della crisi ha indebolito le imprese, ne ha fiaccato la loro solidità e volontà di investimento e trovano delle banche molto riottose nel concedere finanziamenti a fronte di bilanci magri e mancanze di prospettive per il futuro. Non si intravedono spiragli di luce in fondo al tunnel e questo induce alla cautela le imprese nel programmare gli investimenti e le banche nel concedere prestiti. Sono venute a mancare in questo contesto i fondamentali del mercato, con le imprese timorose di chiedere e le banche terrorizzate di concedere. Un mercato debole per abulia, solo i tassi permangono elevati, la forbice non riesce a scendere in alcun modo: in condizione di tassi contenuti per la politica monetaria della Bce, il credito nel Mezzogiorno si paga il 70% in più che al centro Nord, come ha affermato giustamente Domenico Bilotta.

La costruzione della ricchezza a livello provinciale

(dall’11° Rapporto sull’economia della Provincia di Cosenza) «Nel 2011 il valore aggiunto complessivo della provincia di Cosenza si è attestata intorno agli 11,3 miliardi di euro, il dato più elevato in regione, in aumento rispetto al 2008 di 1,3 punti percentuali. Nonostante l’andamento soddisfacente nel triennio considerato, le stime del valore aggiunto a prezzi correnti per il 2012 non risparmiano la provincia, evidenziando variazioni negative per tutte le ripartizioni territoriali considerate; in particolare, per Cosenza si stima un -0,6 valore prossimo alla media nazionale (-0,8) e decisamente migliore tra le province calabresi, per le quali sono stimate diminuzioni comprese tra l’1,3% di Reggio Calabria ed il 4,5% di Vibo Valentia. Scendendo nel dettaglio, l’analisi del valore aggiunto suddiviso per settori evidenzia i tratti principali del modello di specializzazione produttiva provinciale che, al 2011, si presenta essenzialmente di tipo terziario: i servizi concorrono, infatti, per l’81,4% alla ricchezza prodotta. Si tratta tuttavia di un’incidenza inferiore alla media calabrese (82,2%) sebbene superiore a quella nazionale di 8 punti percentuali. Il peso dei servizi risulta peraltro invariato rispetto al 2008, motivo per cui la ragione dell’aumento complessivo del valore aggiunto va ricercato altrove: il valore aggiunto del settore primario, infatti, è passato da

un’incidenza del 2,4% del 2008 ad una del 4% nel 2011, evidenziando una crescita pari quasi al 37% e sottolineando l’importanza del settore primario sul tessuto provinciale, come si avrà modo di vedere anche in ambito imprenditoriale. Per quanto concerne gli altri settori, l’industria in senso stretto pesa per l’8% sul valore aggiunto totale, dato lievemente superiore a quello medio regionale ma in calo rispetto al 9,4% del 2008, registrando una variazione negativa del 13,1%. Analogamente, le costruzioni pesano solo per il 6,6% sul totale della ricchezza prodotta, in calo fra il 2008 ed il 2011 del 4,4%, come conseguenza della crisi del mercato edile. La scomposizione del valore aggiunto all’interno del settore artigiano evidenzia che quest’ultimo pesa sulla formazione del valore aggiunto provinciale per l’11,2% dato in linea con la media regionale ma lievemente inferiore a quella nazionale; come è possibile evincere dai dati, oltre i 50% del valore aggiunto artigiano è prodotto dal segmento dei servizi, che evidenzia un’incidenza di oltre 10 punti percentuali superiore alla media nazionale. Come si avrà modo di vedere, l’artigianato assume valore significativo all’interno del territorio provinciale, non solo in termini economici ed attrattivi, ma anche come identità culturale del territorio; ciò significa che, se sostenuto da opportune politiche di valorizzazione, esso potrebbe rappresentare anche una grande risorsa per lo sviluppo locale dal momento che i dati riguardanti il valore aggiunto artigiano indicano che le sue potenzialità sono ancora largamente inespresse e sottoutilizzate. In particolare, la sinergia con il turismo e con la filiera del mare potrebbero rivelarsi vincenti: stanti i diversificati flussi turistici che interessano la provincia e le attività legate alla filiera marittima che evidenziano incidenze di tutto rispetto in termini di produzione del valore aggiunto per quanto concerne la filiera ittica, i servizi di alloggio e ristorazione e le attività sportive e ricreative, una strategia di valorizzazione dell’artigianato locale potrebbe essere inquadrata in un più ampio prospetto di rilancio delle tipicità locali, rappresentate appunto dal paesaggio, dalla gastronomia, dalle produzioni tipiche e da tutte le attività legate al mare. Una ulteriore analisi di interesse risulta costituita dalla ripartizione del valore aggiunto per classe dimensionale delle imprese. Il 69,5% della ricchezza è prodotta dalle imprese con meno di 50 addetti; si tratta di un valore superiore non solo alla media nazionale, ma anche a quella regionale. Tale quadro è compatibile con quanto detto a carico soprattutto dei servizi e con un’imprenditoria agroalimentare in crescita: l’impresa-tipo cosentina è, dunque, una piccola/media impresa operante soprattutto nel commercio e servizi nonché in ambito agroalimentare e con un’imprenditoria artigiana e turistica in potenziale crescita. La capacità dell’economia cosentina di generare ricchezza aggiuntiva nel sistema produttivo culturale si attesta al 3,8% del valore aggiunto provinciale, incidenza che, seppure superiore alla media regionale, si rivela inferiore al dato medio nazionale (5,4%), denotando significative opportunità di sviluppo in tal senso. L’industria creativa e quella culturale provinciale evidenziano valori di tutto rispetto in merito alla produzione del valore aggiunto, notevolmente superiori alla media nazionale soprattutto nell’ambito dell’architettura e dell’artigianato; tali valori, se incrociati a quelli di una popolazione giovane quale quella cosentina ed alla notevole varietà di beni culturali e storici di cui il territorio è provvisto, evidenziano gli ampi margini di crescita di questo settore e la potenziale creazione di posti di lavoro in tale ambito». o.p.

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Mezzoeuro A colpi di giovinezza

Il gruppo in seno al Consiglio degli studenti dell'Unical che fa capo a "Cuore" lancia un monito: occhio ai criteri per l'individuazione del Nucleo di valutazione, potrebbero nascondersi cattive sorprese... A pochi giorni dall’elezione del nuovo rettore (l’evento che sarà) e ad altrettanto pochi dall’elezione del Consiglio degli studenti (l’evento che è stato) è sempre tempo di fibrillazioni all’interno degli organismi che governano il grande campus dell’Università della Calabria. Sono giorni nervosi, anche nevrotici, comunque cruciali per la definizione del quadro e degli equilibri che poi culmineranno con l’elezione del nuovo Magnifico, operazioni che prenderanno il via lunedì primo luglio. Uno dei passaggi per esempio che sta prendendo la scena e non poco nelle ultime ore è l’individuazione del Nucleo di valutazione dell’Unical, organismo nominato dal rettore e individuato dal Senato accademico. È un momento importante, questo.

Niente scherzi

per quelle nomine Il Nucleo svolge un compito non di secondo piano nelle scelte strategiche didattiche e di ricerca dell’ateneo e ha al suo interno anche un discreto interesse di carattere meramente economico. I membri sono sette, guidati da un coordinatore che poi di fatto elegge il Nucleo stesso. Ora il fatto è che una terna di questi sette è indicata (diciamo designata) proprio dal Consiglio degli studenti ed è qui che pare si siano insinuati i maggiori dubbi. “Cuore”, un raggruppamento importante in seno al Consiglio degli studenti, di recente non ha gradito la terna che il Consiglio stesso ha indicato. Non ve ne intravede l’autorevolezza, lo spessore, la funzionalità. In sostanza non ne condivide né la tecnica d’individuazione né la sostanza stessa. Di seguito, nella missiva che leggete e che il gruppo “Cuore” ha inviato al rettore e al Senato accademico, si cercherà di capire quali siano i motivi che portano a questo dissenso. Noi ci permettiamo però di insistere solo su un punto che “Cuore” non solleva (né potrebbe in questa sede) ma che noi solleviamo lo stesso. Se, come ipotizza “Cuore”, alla terna individuata dal Consiglio degli studenti mancano requisiti e spessore allora perché indicarla? Chi l’ha realmente voluta e perché? Che c’è di sotto? C’è qualche strano tornaconto in questo, qualcosa che potrebbe avere persino a che fare con la prossima elezione del nuovo rettore? Per il momento non è dato saperlo questo. Rimane la lettera però, che leggiamo…

Al Magnifico Rettore dell’Università della Calabria Ai membri del Senato accademico dell’Università della Calabria

so Organo; b) i suoi membri sono designati dal Senato Accademico, che ne sceglie uno in una terna proposta dal Consiglio degli Studenti”. CHIEDONO

Oggetto: Nomina Membro Terna proposta dal Consiglio degli Studenti per il Nucleo di Valutazione. I sottoscritti Acri Antonio, Scanni Francesco Maria, Riccelli Mirko, Middonno Domenico, Rossi Dario, Ciardullo Francesco, Lico Alessandra, Capano Valentina, Marino Simone, Beatino Valerio, Pingitore Giovanni, in qualità di Rappresentanti degli studenti in seno ai Consigli di Dipartimento dell’Unical , quindi membri di fatto del Consiglio degli Studenti, sulla base delle perplessità già manifestate con il voto contrario alla terna composta dai nominativi da sottoporre al Senato Accademico in occasione della prima riunione del Consiglio degli Studenti, di quanto menzionato dall’ l’Art. 2.8 comma 2 dello Statuto dell’Università della Calabria, il quale recita: “Il Nucleo di Valutazione di Ateneo è nominato dal Rettore ed è composto da sette membri di cui sei esterni all’Ateneo, di comprovata qualificazione ed esperienza nel settore della valutazione: a) il Coordinatore è designato dai componenti del Nucleo di Valutazione tra tutti i membri dello stes-

Che venga effettuato, da parte del preposto organo, un oculato controllo nel rispetto di quanto stabilito dallo Statuto al fine di verificare se tra i curriculum che perverranno dal Consiglio degli Studenti è da riconoscere valida una figura che possa ricoprire un ruolo così’ rilevante. Ricordiamo all’Amministrazione di questo Ateneo che negli anni il Nucleo di Valutazione è sempre stato composto da membri di elevata professionalità e di personalità dalla rinomata carriera, comprovata da elevati titoli di studio e altri titoli che ne testimoniano l’eccellenza . In questo particolare momento storico per il Paese, per la Calabria e per la nostra Università, la scelta che toccherà al Senato Accademico avrà la responsabilità del funzionamento di un organo quale il Nucleo di Valutazione, decisivo per le scelte strategiche dell’Ateneo. Sicuri di una scelta saggia e responsabile da parte dell’organo preposto cogliamo l’occasione per porgere distinti saluti.


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Sabato 22 Giugno 2013

Mezzoeuro Speciale sanità

La lotta ai tumori ha un’arma in più «Permette di trattare in modo preciso e non invasivo un tumore, risparmiando i tessuti sani e utilizzando dosi elevate di radiazioni ionizzanti consente di ottenere dei risultati terapeutici migliori». È la definizione che il dottor Valerio Scotti dà della Body Radiosurgery (radiochirurgia o radioterapia stereotassica ipofrazionata), tra le tecniche più evolute di radioterapia oncologica. Il Malzoni Radiosurgery Center di Agropoli (Sa) è attualmente il centro con la più alta casistica di trattamenti e ri-trattamenti radiochirugici e di radioterapia stereotassica.

Fondato nel 2004

all’interno dell’Ospedale civile di Agropoli, e convenzionato con il Ssn, la Malzoni Radiosurgery vanta la più alta casistica europea per il trattamento radioterapico stereotassico delle patologie oncologiche epatiche e polmonari «ma questa terapia - precisa il dottor Scotti, direttore del servizio di radioterapia-radiochirurgia stereotassica - può essere applicata anche a lesioni che interessano altri distretti corporei come il mediastino, il pancreas, l’addome, il distretto testa-collo, l’esofago, i reni e surreni, lo spazio retroperitoneale, retto, prostata». La Body Radiosurgery si pone ormai come valida alternativa alla chirurgia tradizionale soprattutto quando questa non possa essere effettuata; trova indicazione per quei pazienti in cui i tumori sono diventati resistenti alla chemioterapia o che hanno già effettuato una radioterapia convenzionale. «Controllando i movimenti dovuti alla respirazione - spiega il dottor Scotti -, individuando in maniera precisa il bersaglio da colpire ed effettuando un controllo costante della terapia, il risparmio dei tessuti sani è massimo, evitando gli effetti collaterali della radioterapia convenzionale. Il trattamento radioterapico stereotassico ha dimostrato una tollerabilità elevatissima ed essendo effettuato in regime di “day hospital”, ossia senza la necessità di un ricovero, permette al paziente di riprendere subito le proprie attività quotidiane». A conferma della validità di questa risorsa clinica per il trattamento dei tumori, sono in

Il Dott. Valerio Scotti descrive vantaggi e possibilità della Body Radiosurgery una nuova opzione terapeutica per la cura del cancro: «La precisione millimetrica consente nuovi trattamenti» fase di pubblicazione studi che vedono nella Body Radiosurgery risultati pari e sembra addirittura superiori in termini di sopravvivenza globale e controllo locale di malattia. Solitamente, invece, è usata come un’alternativa alla chirurgia tradizionale «costosa, difficile e che richiede un lungo periodo di ricovero - continua Scotti - La nostra tecnologia, insieme alla grande e pionieristica esperienza degli operatori, consente una precisione di trattamento millimetrica, valutando durante l’irradiazione il movimento interno degli organi e del tumore dovuti alla respirazione». La Malzoni Radiosurgery di Agropoli ha due acceleratori lineari di ultima generazione che permettono si eseguire anche una radioterapia tradizionale. «La sperimentazione - dice l’Ad del Malzoni Paola Belfiore - viene ora estesa anche alle terapie tradizionali. I due acceleratori lineari, così come i bunker, sono due macchinari

gemelli. Tale caratteristica consente di affrontare l’eventuale blocco di una delle due sorgenti, semplicemente trasferendo i piani terapeutici da un acceleratore all’altro». Il dottor Scotti entra poi nel dettaglio dei trattamenti. «L’effetto radiobiologico (cellkilling) superiore delle singole sedute (radioterapia ipofrazionata) associata al risparmio dei tessuti sani (precisione dei sistemi stereotassici) ci consente di trattare lesioni anche in distretti delicati come fegato, vie biliari, pancreas e di effettuare ritrattamenti in pazienti con nuove lesioni e/o con lesioni già irraggiate sia con tecnica stereotassica che con tecnica convenzionale. Sono stati irradiati circa 1600 tumori comprendenti tutte le zone corporee (testa-collo, torace, addome, pelvi) anche in distretti difficili da trattare (fegato, lesioni paraspinali, mediastino, rene)» spiega il dottor Scotti, responsabile del servizio di radioterapia-radiochirurgia stereotassica del Malzoni Radiosurgery Center.


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Sabato 22 Giugno 2013

Speciale sanità Acceleratori lineari In basso, un telaio stereotassico Nel box in alto, Paola Belfiore amministratore delegato del Radiosurgery center

Medicina del dolore

Trattamenti all’avanguardia per sconfiggere il dolore Il Centro di Medicina del dolore dell'Irccs Neuromed continua ad ampliare il numero di innovativi trattamenti terapeutici per i propri pazienti. Questa branca specialistica, finalizzata a studiare le cause del dolore per adottare ed applicare le terapie più adatte per eliminarlo, è in continua evoluzione. In Neuromed oggi è possibile fruire di alcune importanti novità terapeutiche contro il dolore: l'epidurolisi, trattamenti intradiscali tra cui l'ozonolisi e i trattamenti a base di capsaicina. L'epidurolisi è una tecnica particolarmente indicata nelle patologie del canale vertebrale e dunque contro il dolore generato da cicatrici post-operatorie o post-traumatiche e consiste in una sorta di "pulizia" del canale vertebrale, che consente di liberare le aderenze riducendo la "strozzatura" del nervo. È una tecnica percutanea, quindi non invasiva, molto valida in caso di dolore lombare persistente anche dopo trattamenti chirurgici inefficaci e per il trattamento di dolori da precedenti interventi sulla colonna vertebrale lombo sacrale; si pratica sotto anestesia locale o blanda sedazione e prevede, generalmente, solo un paio di giorni di ricovero. Anche l'ozonolisi intradiscale, o ozonoterapia intradiscale, richiede una semplice anestesia locale ed è pressoché indolore. È un trattamento indicato in caso di ernie e protusioni discali con conservata integrità del disco e, nell'80-85% dei pazienti trattati, può rendere non necessario l'intervento chirurgico poiché consente di decomprime il disco riducendone il volume e di risolvere l'infiammazione delle radici nervose. Ultimi, ma non per eccellenza, i trattamenti a base di capsaicina, un composto chimico presente in piante della famiglia Capsicum, tra cui il peperoncino piccante. Da millenni l'uomo è a conoscenza degli effetti positivi del peperoncino sulla salute, ma solo di recente si è riusciti a comprendere il ruolo giocato dalla capsaicina e se ne sono investigati più approfonditamente i diversi effetti, tra cui quello analgesico e antinfiammatorio. Il Centro di Medicina del dolore del Neuromed ha introdotto dei particolari cerotti a base di alte concentrazioni di capsaicina per il trattamento di patologie post-erpetiche e altre neuropatie in day hospital. Anche questa tecnica, da pochissimo introdotta, sta fornendo ottimi risultati clinici e incontrando la grande soddisfazione dei pazienti trattati.

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Sabato 22 Giugno 2013

L’Italia a due valocità

Napoli, nuove Colonne d’Ercole Franco Bruno*

Il ponte spedito a Milano In più occasioni mi sono trovato ad esprimermi contro la realizzazione del ponte sullo Stretto. Oggi devo ammettere di aver fatto un brutto errore di valutazione. Ero contrario a spendere dei soldi per costruire un ponte prima ancora che la viabilità delle regioni interessate fosse resa quanto meno decente. Tuttavia, l’avere accantonato l’idea di completare l’unico vero corridoio europeo che coinvolgeva la Calabria ha consentito lo spostamento definitivo di quelle risorse verso i territori del Nord. Purtroppo devo registrare che i fondi del Ponte sullo Stretto, con l’ultimo Decreto “Fare”, sono stati sostanzialmente spostati all’alta velocità Milano-Genova e alla linea 4 della metropolitana di Milano. Basta dare un’occhiata alla cartina (qui a destra) con le opere previste dal Decreto per rendersi conto della questione: l’intervento più a Sud previsto nell’Italia continentale è una tratta sulla linea ferroviaria dell’alta velocità della Napoli-Bari. L’Av Napoli-Bari è un’altra opera pubblica, non particolarmente utile, che verrà realizzata, se mai verrà realizzata, in alternativa alla linea ferroviaria che dovrebbe riguardare la Calabria e la Sicilia. E pensare che già nel decreto precedente i maggiori interventi previsti erano relativi al terzo valico dei Giovi (corridoio 9 Genova-Rotterdam) e al quadruplicamento della linea FortezzaVerona (corridoio 5) per l’accesso alla galleria del Brennero. Sottolineo, per inciso, che non ho fatto alcun cenno alla localizzazione della Torino-Lione o alle risorse necessarie per l’Expo, giusto per restare solo ai maggiori impegni del Governo. Ammetto che la legge in questione è complessa e articolata. Dal mio punto di vista c’è un’altra norma che non mi convince e che riguarda le risorse da assegnare sotto forma di borse di studio universitarie a giovani meritevoli per andare a studiare in regioni diverse dalla propria. Sinceramente mi sembra una sorta di norma per favorire la fuga dei cervelli. Ma magari mi sbaglio. Di certo tra i tanti provvedimenti previsti nel decreto Fare molti sono giusti e da sostenere. Tuttavia, se dovessi fermarmi solo alle parte che riguarda le opere infrastrutturali previste non posso, e non voglio, nascondere una profonda insoddisfazione. * deputato

La Cgil va a gridare a Roma contro l’isolamento calabrese da parte delle Fs. Reggio-Taranto: l’odissea delle 7 ore... di Laura Venneri

Il 22 giugno si svolge a Roma una manifestazione organizzata dalla Cgil per protestare contro l’isolamento della Calabria da parte delle Ferrovie dello Stato. Come non essere d’accordo? Lo sa bene chi decide di mettersi in viaggio dalle nostre parti tra attese snervanti e disagi piccoli e grandi. Ma la situazione dei trasporti in Calabria è ben più problematica e ha responsabilità diversificate, non solo imputabili alle scelte di Fs. Dal trasporto locale a quello interregionale e nazionale la Calabria si conferma terra di serie B. Per esempio mentre nel resto del mondo l’alta velocità è ormai normalità, garantisce competitività e sviluppo in Calabria rimane un’utopia. Pioniere nei treni ad alta velocità fu il Giappone che mise in servizio commerciale regolare la linea veloce Tokaido-Shinkansen nel 1964. Tutte le più grandi città sono collegate da tempo con treni ad alta velocità: Parigi e Lione, San Pietroburgo e Mosca, Boston e Washington. Certo anche la direttissima Roma-Firenze ha una sua storia, fu costruita tra il 1970 e il 1992 ed è stata di recente adeguata. La linea Roma-Napoli è stata avviata nel 2005. Ma a Napoli si è fermata. Come se il capoluogo campano fosse le nuove Colonne d’Ercole o la nuova Eboli di Levi. Da Roma a Palermo si rischia ancora, come nel 1970, di impiegare più di nove ore di viaggio. Entro il 2015, i treni alta velocità Ferrovie dello Stato percorreranno la tratta RomaMilano in due ore e venti minuti a fronte delle attuali tre ore. Dalle 8,00 alle 20,00 da Roma a Milano partono, nei giorni feriali, 28 Frecce. La Freccia Roma-Paola, come tutti sapranno, c’è solo una volta al giorno alle 17,30. Stessa cosa Paola-Roma l’unico treno veloce è quello delle 8,26. Il 9 giugno doveva essere ripristinato l’intercity Crotone-Milano, ma inaspettatamente è diventato un Reggio Calabria-Taranto. Il nuovo treno partirà dallo Stretto alle ore 12:00 per arrivare, fermando in tutti i principali centri della costa jonica, a Taranto alle ore 19:05 (ben 7 ore!!) permettendo, dopo circa mezz’ora, di poter proseguire il viaggio verso l’Adriatica e Milano con un Intercity notte. Praticamente la fascia ionica della Calabria è priva di collegamenti diretti con Roma e Milano. Ma come dicevo, nemmeno il resto del settore gode di buona salute. La nostra autostrada è un cantiere perenne e l’assicurazione che verrà terminata entro il 2013 non ci ha scossi più di tanto: siamo abituati a non crederci più. Soprattutto in vista dell’estate ci aspetta il solito calvario di code interminabili. I nostri porti non sono competitivi rispetto a quelli nord-africani e l’apertura imminente dello Stretto di Panama non farà altro che far diminuire il traffico marittimo dalle nostre parti. Il Consiglio regionale ha annunciato di voler proporre al Parlamento di istituire per il porto di Gioia Tauro la Zes, Zona economica speciale, sottoposta a particolare regime fiscale che dovrebbe agevolare gli investimenti stranieri e consentire un nuovo sviluppo dello scalo per mezzo di un organismo pubblico privato che ne avrà la gestione. Altro annuncio importante riguarda invece la creazione di un terminal crocieristico nel porto di Crotone. Insomma, la Calabria delle incompiute cede alle lusinghe della speranza che qualche miracoloso provvedimento possa portarci al livello del resto d’Italia. Speriamo tali provvedimenti non viaggino alla stessa velocità dei nostri treni. Per il momento, anche a causa di anni di Governo a trazione leghista, l’Italia del 2013 che ha festeggiato da poco i 150 anni dall’Unione è ancora un’Italia a due velocità.

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Sabato 22 Giugno 2013

La vera riforma nascosta

di Carlo Paduano*

Chi avesse creduto che la stagione dell’oscurantismo e del cilicio, sotto la falsa rappresentazione: un tempo di “Dio lo vuole” oggi, “l’Europa lo vuole”, sarebbe terminata con le elezioni di febbraio è stato puntualmente smentito. Il Dott. Enrico Letta che appena terminato gli studi universitari è stato eletto Presidente dei Giovani Democristiani europei, si è contraddistinto, ieri, per aver battuto tutti i record anagrafici di occupazione delle funzioni pubbliche, oggi, in perfetta armonia con la “stagione dell’amore” e la reviviscenza del vecchio governo in termini di coalizione di maggioranza dal punto di vista formale, e di imputazione dello stesso centro di potere, dal punto di vista sostanziale, per la continuazione del lento lavorio di logoramento delle strutture e dei principi democratici e repubblicani.

Monti 2 la vendetta Non solo nel periodo di tempo che ci separa dal suo insediamento nulla ha fatto per aumentare l’occupazione, attenuare la crisi economica del Paese e quella dei suoi cittadini ma ha licenziato una serie di provvedimenti che ad una lettura superficiale potrebbero essere definiti raffazzonati o quanto meno inutili mentre invece nascondono una precisa linea politica cinica e brutale di asservimento delle masse e di creazione di una sudditanza psicologica e subalternità sociale, economica e politica della plebe. La differenza fra destra e sinistra nel nostro Paese è presto detta, la destra cura e tutela interessi individuali, la sinistra interessi di gruppi organizzati, nessuno l’interesse pubblico. Inizia con un Decreto (Dpcm atto amministrativo che è funzionale all’esecuzione della legge, con la creazione del comitato dei 35 saggi al quale è demandato il compito di realizzare un documento comune sulle modifiche costituzionali relative al bicameralismo, forma di Stato e di Governo. Ma dimenticando che non esiste alcuna legge che istituisca tale organo indi l’atto è viziato da abuso di potere. Secondo ,avere un paese dove i saggi aumentano da 10 a 35 fa ben sperare sul proprio futuro, vista la scarsità di altre materie ma la sovrabbondanza di menti, anche se non si comprende da quale albo siano stati scelti, visto che non esiste, possiamo infatti affermare che la chiamata diretta non vale per i subalterni che devono sottostare alle regole del pubblico concorso, almeno per quei poveri diavoli che ancora credono di vivere in una repubblica, mentre per i posti che contano le regole non valgono, basta essere amico degli amici. Infatti le nomine riflettono in maniera pedissequa le anime e correnti presenti nei tre partiti che sostengono il presente Governo, ivi inclusa la corrente del c.d. renziani, altro lottizzatore di aree pubbliche. Poi non pago di quanto fatto licenzia un Disegno di Legge costituzionale, incostituzionale, perché la Corte Costituzionale con le sentenze n. 146/88 e 2/2004 ha stabilito che la revisione pur se approvata a maggioranza dei 2/3 del parlamento ai sensi dell’art. 138 Cost. non può violare i principi supremi dell’ordinamento costituzionali, ovvero non sono ammissibili riforme complessive, come stabilito nel disegno di legge, non può essere modificata la forma repubblicana e il principio della democrazia rappresentativa e parlamentare, come invece si prefigge il governo. Anzi già

Cambia il governo ma la musica è quella Ormai l’ordine di scuderia è quello di non ricorrere più al Trbunale il pareggio di bilancio è incostituzionale perché incide sui diritti inviolabili dell’uomo che vengono compressi e compromessi a scapito della ragioneria dello Stato, ovvero la perfetta negazione di quello che afferma la Carta. Che in nessuna sua parte parla di soldi, denaro o altri generi o strumenti di scambio. Ciliegina sulla torta il c.d. “decreto del fare”. Anche questa volta chi avesse creduto che la stagione autoreferenziale di agitare slogan appellando in vario modo provvedimenti che in democrazia devono avere solo un numero e una data, è rimasto deluso. Dopo Salva Italia, Cresci Italia, “alzati e cammina” abbiamo il decreto del fare come se i decreti fossero invece categorie dello spirito. Ebbene tale decreto fa solo il gioco delle tre carte, non crea un solo nuovo posto di lavoro, ma la gravità è tutta in una frase ed in un istituto reintrodotto. La frase è: «nel caso in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione». Ove possibile ma soprattutto economicamente sostenibile, ovvero se non ci sono i soldi, se la spesa è eccessiva (rispetto a che cosa?) le falde inquinate e la contaminazione potrà proseguire. Come ha detto Monti: dall’Emilia in poi qualsiasi altro terremoto i danni se li pagheranno i terremotati stessi. Ancora a dire lo Stato non esiste, come in Grecia che chiude la televisione pubblica

ed in Turchia dove vengono arrestati gli avvocati che difendono chi protesta, ed i medici che li soccorrono, oltre a multare i giornalisti che riprendono le manifestazioni. Cari lettori se pensavate di essere ancora in sistemi democratici dimenticatevelo. Last but not least, ultimo ma non per ultimo, la reintroduzione della mediazione obbligatoria. Foglia di fico per nascondere il vero problema della giustizia italiana, non malata ed ingolfata ma inesistente. La verità è che in Italia la giustizia non esiste. Come può uno stato permettere che la maggioranza dei giovani sia senza lavoro, senza speranza, senza casa, senza diritto alla salute, senza istruzione, senza pensione, come può capitare che emerga per testo normativo una categoria sociale quella degli esodati (termine mutuato dalla storia ebraica) senza né stipendio, né pensione. Come può accadere che cose pubbliche, ovvero di tutti, possano essere svalutate e poi regalate ai privati. Invece di aumentare le spese per la giustizia si privatizza o si elimina. La privatizzazione subdola con la gestione del filtro all’accesso a società che hanno per oggetto sociale il profitto e non la giustizia. L’eliminazione, con il cambiamento del quadro normativo, l’abolizione dei diritti dei cittadini, l’aumento esponenziale del contributo unificato per scoraggiare chiunque ad entrare in un ufficio giudiziario, l’eliminazione dell’Appello e della Cassazione con il filtro sommario sulla base della palla di cristallo, ha determinato in realtà la repressione della domanda di giustizia. Prendendo a base i “loro” termini di paragone, ovvero i concetti del mercato l’abbassamento della curva della domanda con contestuale abbassamento della curva dell’offerta, dovuta alla soppressione degli uffici giudiziari, alla mancanza di funzionari di cancelleria, ufficiale giudiziari e magistrati, determina una ingiustizia assoluta. Questo si incastra alla perfezione nel disegno di nuovo modello sociale, culturale, economi e politico, ovvero il sistema feudale. * segretario regionale del Sindacato avvocati Calabria

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Sabato 22 Giugno 2013

Campagna di Goletta verde - Legambiente

Sos Mandiamo in onda la bella Calabria

Segnala le situazioni che mettono a rischio di inquinamento il mare e i laghi. Indicaci scarichi fognari sospetti, chiazze o casi di inquinamento da verificare sul sitowww.legambiente.it/ golettaverde o via sms o mms: 346.007.4114 ...MA ANCHE... Aiutaci a costruire la mappa delle realtà che funzionano

Mandiamo in onda la bella Calabria

Segnala lidi, centri storici, luoghi che ti colpiscono in positivo e partecipa alla campagna “La più bella sei tu” scegliendo la spiaggia più suggestiva sul sito www.calabria.legambiente.it o sulla pagina facebook di Legambiente Calabria

Falcone e Barillà:

«La nostra è terra di bellezze che da sempre valorizziamo al meglio, ma non denunciare degrado e malgoverno vorrebbe dire essere complici». Goletta verde e Goletta dei laghi si accingono a partire per il tour 2013. Anche questa estate le no-

stre coste verranno monitorate con i controlli a campione effettuati dai laboratori mobili di Legambiente per verificare lo stato di salute del mare e dei nostri laghi a rischio per la presenza di scarichi fognari non depurati che finiscono direttamente nei fiumi, nei laghi o in mare. Le segnalazioni, per essere utili ai fini del monitoraggio, devono riguardare scarichi di tipo civile e fognario, sostanze sospette in acqua o tratti di mare o di lago dal colore e dall’odore sgradevoli. Muovendoci con un po’ di anticipo riusciremo a raccogliere le segnalazioni e organizzare adeguatamente il programma di monitoraggio dei nostri biologi.

Una pagina dedicata

Per agevolare il meccanismo quest’anno abbiamo costruito sul nostro sito una pagina dedicata www.legambiente.it/golettaverde che consentirà a tutti i cittadini di inviare le segnalazioni delle criticità di mare e laghi in maniera semplice e intuitiva. La pagina prevede l’invio di foto e tutte le info utili a individuare e valutare il punto segnalato, ai fini di una possibile verifica da parte dei biologi di Goletta Verde e dei Laghi. Le segnalazioni dei cittadini, inoltre, saranno rese note anche alle Autorità preposte che potranno a loro volta verificare l’anomalia riscontrata dai bagnanti.

Il bello di Calabria

Non è tutto: non ci basta più segnalare gli abusi e le criticità, vogliamo costruire insieme ai cittadini, ai bagnanti, ai tanti turisti che affollano le coste e i monti calabresi una mappa in positivo della Calabria che funziona. L’invito è a segnalare sulla pagina Facebook di Legambiente Calabria e sul sito www.calabria.legambiente.it spiagge e lidi puliti, centri storici e paesi ben attrezzati e accoglienti, bellezze e panorami mozzafiato ben valorizzati dalle amministrazioni, più in generale quelle esperienze di governo locale del territorio che hanno saputo sposare le buone prassi praticando la raccolta differenziata e il compostaggio domestico, facendo funzionare perfettamente i depuratori risolvendo i problemi di un’area, optando magari la fitodepurazione. Ma anche villaggi

turistici o strutture d’accoglienza eccellenti sul piano della sostenibilità ambientale, nuovi water front (con piste ciclabili, alberature, servizi a turisti e residenti), luoghi di fascino scoperto o ritrovato, spiagge recuperate, iniziative di valorizzazione ambientale e culturale, politiche intelligenti d’accoglienza turistica, esperienze di valorizzazione della risorsa mare e della sua economia in chiave “green”, e quant’altro.

I premi e le denunce

«Sono tante realtà positive che rappresentano al meglio l’anima della Calabria - dichiarano Francesco Falcone, presidente di Legambiente Calabria, e Nuccio Barillà, della segreteria nazionale dell’associazione - una terra di bellezze, saperi e passioni. Come sempre ci sforziamo di valorizzare le migliori esperienze che nascono e si affermano sul territorio, e non sono pochi gli esempi di buone pratiche, amministrazione virtuosa e innovazione sostenibile che negli ultimi anni sono state premiate da Legambiente e indicate come modelli a livello nazionale e internazionale. Continueremo a farlo, senza però nascondere la testa sotto la sabbia e smettere di denunciare con forza le purtroppo altrettante situazioni di criticità che devastano il nostro territorio, le nostre bellezze e la nostra identità. Vogliamo in sostanza, accanto alla denuncia dei problemi irrisolti - aggiungono Falcone e Barillà - selezionare le migliori esperienze e dare loro vetrina nazionale attraverso Goletta Verde. Per questo chiediamola collaborazione di comuni, associazioni, albergatori, imprenditori, cittadini, ecc. Aiutateci a ‘mandare in onda’l’altra immagine della Calabria, quella che ci piace e ci inorgoglisce. Sottolineeremo così il giusto modo d’amarla. Denunciando, cioè, impietosamente le cose che non vanno, formulando proposte per un auspicabile cambiamento e, nel contempo, mettendo in luce i tanti segni di fascino e di bellezza che connotano i territori costieri e lacustri della nostra regione e sono alcune delle preziose ‘pepite ecologiche’ su cui puntare per una economia diversa». Per info: sosgoletta@legambiente.it info.legambientecalabria@gmail.com


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Sabato 22 Giugno 2013

Chi nasce tondo...

di Giuseppe Aprile

Recentemente ci sono state importanti tornate di elezioni politiche ed amministrative. Si rende necessario fare alcune considerazioni per evitare false interpretazioni e conseguenti valutazioni col rischio di contribuire negativamente al determinarsi di gravi confusioni che rischiano di minare alla base il sistema democratico e costituzionale di vita italiana. La cosa è ulteriormente appesantita da tutta una serie di valutazioni che testimoniano pure la presenza di convincimenti sbagliati circa il senso dello Stato e della convivenza civile di cui uno Stato giusto dovrebbe decisamente essere impregnato. Penso che sia urgente chiarire il valore delle elezioni e di tenere conto che se le interpretazioni sono di comodo, depistano dal vero significato della loro attuazione e della interpretazione costituzionale del peso che esse hanno. Fare una cosa prevista per legge, non diventa definitiva se ad essa poi vengono applicate interpretazioni fuori luogo. Una qualunque cosa vale se la si fa e su di essa non si inventano fantastiche interpretazioni fino a farla diventare ben altro rispetto al senso giusto che essa rappresenta. Voglio dire che, se si fanno le elezioni per eleggere una rappresentanza parlamentare o comunale che sia, sempre istituzionale è, e non si possono poi interpretare i risultati in modo deviante. Prima domanda che sorge spontanea: cosa determinano le elezioni, politiche o comunali che siano? Poi, cosa significa il risultato e cosa esso determina nella vita di uno Stato? E quante volte le elezioni si debbono fare? Possono non determinare subito un risultato tale che il giorno dopo va inteso che esse hanno fornito i risultati previsti per il rinnovo - o la conferma - delle rappresentanze istituzionali? Per stare all’esperienza concreta di questi mesi: Cosa è una maggioranza e come dev’essere intesa? E cosa è il compimento delle elezioni? Può non venire raggiunto il risultato che si presuppone, ossia la individuazione delle forze che finiscono per effettuare il gioco democratico e il valore della rappresentanza politica? In sostanza, forse più chiaramente, possono avvenire le elezioni a norma di legge, senza che, però definiscano la risultante nel senso che venga fornito l’organigramma dei poteri di governo e in che misura e in che qualità le forze contendenti possono finire per determinare una condizione di ingovernabilità tale da richiedere nuove elezioni immediatamente, magari fino al punto che si raggiunga l’obiettivo di costituire un governo ed una maggioranza, una o più minoranze secondo indicazioni che riflettano interessi e volontà popolare e mie costrizioni dovute a valori numerici e fuori da ogni norma che vada nell’interesse della esponibile volontà popolare? In una frase più semplicemente, ed in valore assoluto, possono essere le elezioni strumento di libere valutazioni successive o possono diventare un dato imprescindibile e immodificabile per cui, dopo di esse, devi fare un governo comunque perché i numeri sono quelli e basta o le elezioni diventano un appuntamento irripetibile rispetto alla necessità di ricavare termini storici, attuali, quantitativi e qualitativi per la individuazione della volontà popolare per cui, il giorno dopo, comunque devi avere un governo anche se, per esempio, quello definibile numericamente potrebbe contraddire quello che, invece, fosse uno riflettente la volontà popolare? Nel caso di questo assunto finale, non è contraddetto il valore ed il significato più profondo del significato delle elezioni che si fanno, pare ovvio, per evitare un governo monarchico, o forzato, o contraddittorio con la volontà popolare? Mi viene da dire, cominciando a dare risposte ai quesiti che nascono dalla storia attuale: Il giorno dopo le elezioni è possibile costituire un governo contrario alle dichiarazioni in concorrenza ed ai

La truffa dei conteggi

Soldi, elezioni, rimborsi Riuscirà questo sistema a fare a meno dell’unico motore propulsore? programmi definiti e presentati? Ed infine, possono restare irrisolti i problemi del diritto al governo che presuppone una scelta indiscutibile del popolo che vota? Si possono stravolgere i dati definiti dalle consultazioni elettorali? Va anche detto, a questo punto, in che misura un governo a volontà popolare sia la medicina che curi i mali di una società pur sapendo che è stata la politica a determinarla. Non è da escludersi, io dico, che anche un governo rispetto al quale nulla c’è da dire circa il fatto che sia come il popolo lo vuole, quindi a risultato acquisito come autentica volontà popolare, possa essere un medico limitato rispetto alla necessità di curare una malattia. Perché questo va ricordato in paragone con l’altro importante assunto che è facile che una classe politica determini una situazione di sfascio e di crisi, nel mentre la stessa politica non possa, poi, magari a breve tempo, curare i mali. La politica per rovinare è solerte e repentina, penso non debba essere necessariamente capace di risistemare le cose. A meno che non si voglia desumere che un male fatto da una classe politica, sia risolvibile se questa classe viene cambiata. Io penso che il M5S abbia puntato a cambiare politici e politica, ben sapendo, però, che ci si sarebbe dovuti guardare dal credere che il loro avvento al potere potesse ovviare al male che gli altri avevano determinato. Il certo che la crisi della società italiana è davvero creatura della politica e dei politici miserabili che si sono alternati al governo ed al parlamento con i ruoli diversi cui sono stati addetti. Non v’è dubbio. Ci saranno stati pure i fatti internazionali ad aiutare l’evolversi ed il maturare della crisi, ma qualcuno mi deve spiegare perché Germania, Francia, Belgio, Olanda, Svizzera ed altri ancora, non hanno le tragedie che abbiamo noi con la fame che ci sta assediando, i suicidi quotidiani, la perdita di ogni speranza, la mancanza di lavoro, la chiusura di imprese e negozi, l’imperversare di tasse e criminalità, la crisi di coscienza, di credibilità, di ogni forma di convivenza dentro questa nazione dilaniata, oramai, da mali incurabili. Quello che c’è in Italia non c’è in nessuna altra parte del mondo. Noi non abbiamo lavoro, noi non

abbiamo leggi, noi non abbiamo giustizia, noi non abbiamo economia decente, noi non abbiamo politica, noi non abbiamo futuro e né presente, noi siamo sbandati, noi siamo senza stella polare, noi siamo in una crisi spaventosa, noi invochiamo l’aiuto degli altri, noi soffriamo la c risi europea, noi non sappiamo a che santo votarci. Viene solamente da ridere pensando che c’è gente che pensava che una grande presenza in parlamento, la rottamazione dei politici e della vecchia politica, le elezioni potessero essere come aver costruito l’alternativa. È normale che in atto i nostri nuovi politici non fossero adeguati al bisogno di nuovo governo. Siamo, quindi, di fronte ad una realtà che deve ritenere delinquenziale ogni tentativo di attaccare il nuovo, fare i furbi al solo scopo di mantenersi al potere pur sapendo di avere determinato la sua caduta. Oggi servirebbe più umiltà da parte di chi ha determinato lo sfascio e sa di averlo determinato. Oggi è delinquenziale chi attribuisce agli altri responsabilità ed errori. Tutti possono sbagliare, tutti devono avere incertezze, nessuno può camminare su una strada di sicurezze e certezze. Fanno ridere certe deficienti che si mettono a fare le sapienti, dopo essere state trasformate da casalinghe in parlamentari. Dimenticando la loro provenienza, dimenticando che è facile parlare ma sicuramente non è altrettanto facile agire e fare. O si ha questa consapevolezza che vuol dire senso del limite e coscienza della situazione, o non solo non riparte una linea di possibile futuro, ma si aggrava ulteriormente la situazione. Dopo ad un suicidio individuale, si rischia di fa seguire un suicidio generale che sarà politico, sociale, economico. Il nostro Paese ha bisogno non di sapienti o di grandi progetti. Deve ripartire daccapo e guardare alla possibile esperienza di vita e di cultura per costruire non i medici, ma l’intero ospedale dentro cui ricoverare il malato e curarlo. Ancora una volta vale il bello esempio della vita naturale. Una famiglia cade in crisi di beni e di avere in genere. Cosa si fa? E’ presto detto. Si guarda alla natura, all’agricoltura, alla terra. Si pianta maglio, si cura di più, si zappa per più tempo, si sta attento al perché l’alberatura non fa i frutti a sufficienza, si cura di più e meglio la campagna e si ridicono i consumi pensando ad una maggiore qualificazione e all’individuazione del meglio e del più necessario. Si coinvolge la famiglia maggiormente,m si prende coscienza maggiormente della situazione generale, si responsabilizzano tutti, ci si sistema le maniche e ci si attrezza per meglio operare, più produrre, meglio consumare, meglio selezionare quanto serve per portare avanti la famiglia. Lo Stato italiano è a questo punto. Ha bisogno di quello che ha bisogno una famiglia che dovesse cadere in difficoltà. Solo alle gravi malattie non c’è riparo. Ma lo Stato italiano non è ne in coma, ne afflitto da un tumore incurabile. Per questo con il concorso delle forze giuste che fin’ora sono state costrette a soccombere ed a stare fuori e sconfitte, è possibile curare di più la produzione, qualificare la scelta di vita, lavorare di più, coinvolgere la gente perchè il destino di un paese non può essere nelle mani di una minoranza, ma deve coinvolgere la gente tutta sapendo che il futuro è di tutti, non certo di una parte. In questo senso va detto che diventa stupido non usare le elezioni per scegliere, per definire una classe governativa che sappia dare nuovo senso alle istituzioni e nuovo peso alle energie migliori, facendo soccombere chi fino ad oggi ha sbagliato e si è reso responsabile del male.

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Sabato 22 Giugno 2013

Rubrica a cura dell’Ente di Patronato e di Assistenza sociale Epas-Fna (Federazione nazionale agricoltura)

resp. ANGELA DIODATI

VIA DEL POPOLO, 1

NUOVAAPERTURA

Ufficio Area urbana Rende - Cosenza Via Marconi (s.s.19 bis), 72 - Cosenza

La nuova sede Epas di Terranova da Sibari apre un nuovo sportello in Via del Popolo,1. I nuovi servizi offerti: Assistenza al cittadino per pratiche previdenziali e sociali · Consulenzalegale · Sportello CAF · Servizi assicurativi e finanziamenti tramite operatore abilitato con cod OAM 1809 · BELVEDERE - FAGNANO - PAOLA - ROSE Sortello AMICO" al quale MARITTIMO il cittadino può oggi rivolgersi per laCASTELLO risoluzione di una vasta gamma di problemi, evitando di recarsi presso uffici diversi per ciascuna delle questioni da risolvere.

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Sabato 22 Giugno 2013

Rubrica a cura dell’Ente di Patronato e di Assistenza sociale Epas-Fna (Federazione nazionale agricoltura)

Arriva il decreto del “fare”. Si faccia.

«Qualcosa si muove e finalmente arriva un provvedimento che non ha come caratteristica principale quella di chiedere nuovi sacrifici ai cittadini - è la prima analisi sul Decreto del fare da parte di Denis Nesci, presidente nazionale del patronato Epas - ma che introduce soluzioni nuove e più vicine alla gente. Certo, si tratta ancora di un piccolo passo che rischia di essere inutile se non adeguatamente completato da altri e più incisivi interventi istituzionali - aggiunge il presidente Epas - ma di certo è possibile scovare spunti interessanti che potrebbero davvero dare nuovo slancio al nostro Paese». Il primo intervento di una certa sostanza partorito dal nuovo, tormentato Governo, è arrivato al termine di un lunghissimo Consiglio dei Ministri. Sono servite infatti 5 ore per dare vita ad un pacchetto di misure che dovrebbero consentire al nostro sistema economico di tornare a respirare, dopo gli innumerevoli provvedimenti che hanno soffocato le velleità di crescita economica del nostro Paese. Sono tanti gli argomenti trattati nel cosiddetto “Decreto del fare”, documento composto da 80 misure che, se verranno mantenute le promesse di ripresa e di crescita, potrebbero rappresentare l’inizio di una fase nuova per l’Italia. Di sicuro interesse le voci che riguardano argomenti delicati e su cui da tempo i cittadini invocavano maggiore attenzione da parte della politica: in primis, la spinosa questione relativa a

Finalmente un provvedimento che non ha come caratteristica principale quella di chiedere nuovi sacrifici ai cittadini Equitalia, l’ente pubblico di riscossione al centro di episodi molto controversi negli ultimi anni. Il Decreto prevede adesso che la prima casa non sarà più pignorabile, tranne che nei casi in cui si tratti di un immobile di lusso o comunque classificato nelle categorie catastali A/8 e A/9; limitazioni importanti anche per quel che riguarda l’esproprio degli altri immobili, visto che il debito minimo che lo autorizza è stato innalzato da 20 mila a 120 mila euro. Inoltre, viene modificato il limite di rate non pagate che portano alla decadenza del diritto di rateizzazione del debito fiscale: da 2 si passa a 8. Le novità ovviamente non si esauriscono qui, ma spaziano tra temi anche molto diversi tra loro. Innanzitutto, va segnalato l’annuncio che parla di norme in arrivo che potrebbero ridurre le bollette elettriche per un totale di 550 milioni di euro. Poi,

possibilità per le imprese di poter contare su un sostegno globale di 5 miliardi di euro per l’acquisto di macchinari e creazione di 30 mila posti di lavoro nel settore delle opere pubbliche, grazie a 3 miliardi di euro messi a disposizione. E ancora, una serie di agevolazioni per il credito alle piccole e medie imprese, liberalizzazione del wi-fi secondo quanto avviene già nel resto d’Europa (non sarà più richiesta quindi l’identificazione personale nell’utilizzo del wi-fi pubblico), 100 milioni di euro a disposizione per l’edilizia scolastica, facilitazione nelle assunzioni di 1.500 professori ordinari e di altrettanti ricercatori grazie al passaggio dal 20% al 50% del turn over, ossia del limite di spesa consentito rispetto alle cessazioni dell’anno precedente, richiesta di maggiore flessibilità nel sistema di finanziamento delle università, nuove risorse da destinare all’assegnazione di borse di studio per gli studenti più meritevoli, semplificazione delle procedure per il riconoscimento della cittadinanza. «Indubbiamente provvedimenti di questo tipo dice Denis Nesci - rappresentano una dimostrazione della volontà di dare inizio ad un nuovo corso, intervenendo su aspetti molto diversi e tutti di grande importanza per i cittadini e le imprese. Adesso serve continuare su questa strada -conclude il presidente nazionale del patronato Epase percorrere con ancora maggior coraggio e decisione la via della ripresa economica».

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Sabato 22 Giugno 2013

Ottica recupero manufatti edili L'agricoltura non deve essere più penalizzata con ulteriore consumo di suolo. Bandire qualsiasi nuova traccia di cemento

Via i selvaggi dai terreni agricoli di Giovanni Perri *

I recenti provvedimenti varati dal Consiglio dei Ministri sono condivisibili e meritevoli di apprezzamenti per quanto riguarda le misure territoriali, urbanistiche ed ambientali finalizzate a contenere, limitare o scoraggiare ulteriori cementificazioni dei terreni destinati all’agricoltura e orientare verso il recupero e riutilizzo della strutture abitative e produttive già edificati o esistenti. D’altronde il comparto agricolo, ai fini della tutela e salvaguardia degli agro ed eco-sistemi, non può correre il rischio di consumare ulteriore territorio sull’altare di un falso modello di sviluppo a scapito delle attività produttive agricole senza l’avvio di un attenta politica urbanistica e di pianificazione del territorio. Gli interventi di pianificazione territoriale vanno sempre programmati soprattutto per non consumare ulteriormente suoli pianeggianti e collinari, fertili e sensibili dal punto di vista agricolo e ambientale, utilizzando per le tante iniziative progettuali e programmi alternativi a quelli agricoli, aree assoggettate a modeste forma di tutela agricola e forestale. In riferimento a tale contesto ed al pacchetto varato recentemente dal Governo recentemente che si propone l’obiettivo di contenere il consumo di suolo agricolo, il ministro dell’agricoltura, Nunzia De Girolamo ha testualmente dichiarato: «È una norma di civiltà con la quale colmiamo una lacuna che ha prodotto effetti drammatici, come l’aumento del 166 per cento del territorio edificato in Italia negli ultimi 50 anni». Le misure e le azioni previste sono orientate a fronteggiare il consumo del suoli, con il coinvolgimento dei ministeri dell’agricoltura, dell’ambiente, della cultura, delle infrastrutture e dei trasporti, che entro sei mesi dall’entrate in vigore della leg-

ge dovranno definire, in conferenza unificata, l’estensione massima della superficie dei suoli agricoli consumabili, con il supporto di un comitato interministeriale che controllerà il rispetto dei limiti, diversamente dopo sei mesi, per i Comuni che non lo avranno fatto, ci penserà per decreto Palazzo Chigi. I Comuni, entro un anno dalla legge, dovranno censire le aree recuperabili e, se dopo , tale arco temporale, non avranno prodotto l’elenco non potranno edificare nulla, né costruzioni pubbliche, né private su alcun territorio non edificato. Nel disegno di legge è previsto altresì che se la superficie definita “agricola” ha beneficiato di aiuti di Stato o europei, non potrà essere utilizzata ad altri scopi (è ammesso l’agriturismo) per cinque anni. Se il vincolo non sarà rispettato il proprietario pagherà una multa, che a seconda l’entità della trasgressione, potrà oscillare fra i cinquemila e i cinquantamila euro, con demolizioni delle eventuali costruzioni abusive e non autorizzate dagli Organismi competenti, mentre ai Comuni virtuosi in materia di recupero, sarà data priorità nella concessione di finanziamenti statali o regionali che intendano recuperare, riattare, ristrutturare edifici e infrastrutture rurali già esistenti Una volta approvato il disegno di legge ed allorché diventerà attuativo scatterà la norma secondo la quale, per un periodo superiore ai tre anni, non sarà consentito il consumo di superficie agricola eccetto gli investimenti già autorizzati. Il provvedimento è orientato anche a supportare la filosofia del recupero e del riuso con l’estensione dei bonus ristrutturazioni alle demolizioni di stabili, così come avviene per i vincoli dei centri storici. Tutto ciò si incardina perfettamente nella logica e nella filosofia della pianificazione urbanistica e territoriale e più specificatamente con le linee strategiche di sviluppo della legge regionale n. 19/02

- art. 50 comma 1 e 5 che, nella fattispecie, prevede e regolamenta l’edificabilità delle strutture produttive e abitative nelle aree agricole e forestali. Nelle aree agricole, infatti, la necessità dell’intervento edilizio deve scaturire da un’ipotesi progettuale supportata da specifica relazione tecnico-economica e dal piano di sviluppo aziendale, unitamente ai vincoli sulla destinazione dell’uso dei suoli e alla tutela del patrimonio naturalisticoambientale e delle caratteristiche vocazionali delle aziende agricole. Anche per tali aspetti la proposta del Consiglio dei ministri è condivisibile in quanto finalizzata a migliorare e a regolamentare gli interventi edilizi nelle aree agricole e forestali che dovranno e potranno essere realizzati nell’ambito della sostenibilità agronomica, paesaggista, ecologica ed ambientale e non più come nel passato, in maniera diffusa e dispersa senza tener conto della minima logica di sviluppo e di progettazione urbanistica e territoriale, contribuendo in tal modo ad emarginare e penalizzare ulteriormente gli insediamenti rurali e soprattutto le attività agro-silvo-pastorali. L’attività agricola infatti non può subire ulteriori danni ed essere sacrificata per l’attività edificatoria ad ogni costo, bensì incoraggiata, incentivata e supportata da investimenti sostenibili, validi per proteggere e valorizzare le risorse naturali, per privilegiare la qualità della vita, per assicurare la presenza dell’uomo come “custode” per la conservazione dell’ambiente naturale, di non scompaginare le aziende sensibili e maggiormente produttive, dove l’agricoltura svolge una funzione sociale rilevantissima, non solo per l’ottenimento della produzione vegetale agraria, ma anche a difesa, tutela dell’assetto del territorio e quindi di salvaguardia degli ecosistemi e agro-ecosistemi. * già presidente regionale Agronomi e forestali Calabria

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