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numero 20 - Anno 12 Sabato 18 Maggio 2013
settimanale d’informazione regionale
Voce Saviano all’Unical, farine ai giovani per chi ha le mani in pasta www. mezzoeuro.it
La storia segreta del Pci in un libro
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Sabato 18 Maggio 2013
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Il legno storto
Per quanto ancora
sarà fatto scorrere il veleno della “antigiustizia”? Come non si arresta l’onda della antipolitica, così scorre e si espande quella della “antigiustizia”. Cosa è questa ultima e come viene resa capace di immettere veleni nel corpo della nostra società? Mezzoeuro Con i processi e le sentenze di condanna per Berlusconi che Fondato da Franco Martelli sono il tormento (e l’estasi) del nostro Paese per almeno gli Ediratio ultimi venti anni, la vita politica non fa che girare attorno alle Direttore responsabile Domenico Martelli disavventure (non tanto alle avventure finanziarie o galanti) Registrazione del Cavaliere pluriprescritto e pluriindagato, vittima di una Tribunale di Cosenza n°639 eterna persecuzione giudiziaria. Il PDL, rappresentativo del 30/09/1999 del centro destra italiano, di fatto esecutore delle volontà Redazione e amministrazione del suo Capo fondatore, non trava altra ragione per il suo ruolo via Strada Statale 19 bis, 72 87100 Cosenza politico che fare eco e dare forza all’idea che della giustizia Responsabile settore economia ha il Cavaliere che ne chiede una radicale riforma, una Oreste Parise legislatura dopo l’altra, col disegno evidente di sottomettere Progetto e realizzazione grafica la magistratura lungamente oltraggiata e vilipesa perchè non gli Maurizio Noto risparmia nulla dei suoi reati, ma finisce sempre per scontrarsi telefono 0984.408063 fax 0984.408063 con il dettato costituzionale che conseguenzialmente vorrebbe e-mail: ediratio@tiscali.it stravolgere. La situazione che si è creata ormai da tantissimo Stampa tempo e che ad ogni decisione dei Tribunali (quello di Milano Stabilimento tipografico De Rose, Montalto (Cs) in testa, persino invaso dalle milizie dei suoi parlamentari) Diffusione emette lampi di guerra, è quella di una diffusione di discredito Media Service di Francesco Arcidiaco della magistratura insolentita in modo gravissimo, di una telefono 0965.644464 fax 0965.630176 ostilità violenta e sorda alla Giustizia quasi a volerle impedire Internet relations N2B Rende di fare il suo corso, imputandole un suo snaturamento che ne Iscritto a: farebbe una arma di faziosità politica. I diffusori del verbo Unione Stampa Periodica Italiana “antigiudici”, “antigiustizia”, non hanno tregua nei virulenti attacchi, nello stesso Parlamento ma soprattutto sulle pubbliche piazze, agli autori delle sentenze che non si propongono di abbattere un idolo politico, bensì di punire, applicando n. 12427 le leggi, un colpevole di gravi reati penali editore
di Franco Crispini
Nella difesa del Capo scende in campo l’intero partito dei fedelissimi, armati di slanci mistici di vera adorazione, i quali, accecati da una rabbia feroce verso la Giustizia e quelli che ne sono i custodi, chiamano ad una specie di “guerra santa” il proprio popolo titolare del consenso ricevuto, ritenuto l’unico giudice della condotta non solamente politica del Sovrano. La velenosità gettata addosso alla Magistratura viene declinata, più o meno rozzamente, da Bondi alla Di Gerolamo, alla Bernini, alla Gelmini, a Capezzone a Brunetta, in diverso modo ma con lo stesso livello di ingiuriosità e di veemenza: è da non credere la difesa estrema (salvo quella comprensibilissima della figlia Marina) che si fa di tutte le azione del condannato ritenuto vergine puro, insozzato solo dalla cattiveria di giudici invidiosi e cattivi; i numerosi processi non hanno mai contenuto un briciolo di verità, sono stati tutti un braccio di ferro per vedere morto il Cavaliere da quando è entrato nell’agone politico per sbaragliare i comunisti, in una strenua battaglia vittoriosa fino ad oggi. E non è finita, i magistrati, non il Cavaliere che li combatte, vanno messi a posto e se non si arriva a questo l’onda della “antigiustizia” sarà quella che ammazzerà la politica e con essa quanto di dignità e senso etico resta al Paese. Occorre davvero che le schiere berlusconiane coalizzate da forti interessi, la smettano di avvelenare il clima del Paese sgretolando la macchina della Giustizia, creando un pauroso vuoto e portando la gente ad avere l’opinione che non vi è che una giustizia sempre e solo di parte. L’argomento che viene usato, anche con effetti terroristici, nella campagna “antigiustizia” tende a gettare sulla magistratura la colpa di creare uno stato di alterazione dei processi democratici: condannando ad una “interdizione dai pubblici uffici” il capo di uno dei maggiori Partiti italiani (non importa se si tratta di una formazione anomala, di un feudo personale, comunque scelto da un ampio consenso elettorale), lo escluderebbe dal Parlamento. Un simile argomento di cancellazione giudiziaria di un leader politico fa un certo effetto sull’opinione pubblica, ma, quel che è più grave, esercita sui giudici una specie di pressione psicologica e li fa sentire responsabili, quando non possono non applicare la legge, responsabili di intralciare la normalità della vita democratica. Per fortuna, sempre di meno la gente cade vittima di tutti i capziosi argomenti di cui si serve una propaganda di discredito che riguarda non solo il modo in cui Tribunali operano bensì l’istituzione stessa del potere giudiziario quale viene configurato nella nostra Costituzione, e comprende che non altrimenti può agire la magistratura di fronte a reati provati e dimostrati,e che le conseguenze che si hanno sulla politica non sono create e volute da magistrati intenzionati ad eliminare chi ripetutamente, per anni, si è reso reo di violazioni della legge.
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Sabato 18 Maggio 2013
Arrivederci regole
Guglielmo Epifani e Alfredo D’Attorre
Non tutti i rinvii vengono per nuocere Sembra una maledizione al punto che l’altra sera Crozza ha consigliato ai reggenti del Pd di celebrare il congresso nazionale il 2 novembre. Così, giusto per inquadrare un clima d’insieme. Lo stato d’animo non è buono nel Partito democratico e non lo è a tutti i livelli, inutile andare per il sottile, al centro come in periferia. E tanto non lo è al centro quanto poi, di riflesso più iva, non lo è ai confini dell’ex grande impero dove una regione come la Calabria affanna oltre misura alla ricerca di una via d’uscita, di una linea da seguire, di un progetto. Va da sé, ha poco senso prendersi in giro, che i congressi conterranei non si terranno nelle date che pure ci si era ostinati a difendere. Niente 16 giugno e niente di niente e il perché sta nel passaggio di una frase testuale che Epifani ha ratificato a D’Attorre finendo poi virgolettata sui giornali. Occorre verificare se siano compiute le migliori condizioni possibili per celebrare i congressi, dice in sintesi Epifani. Cioè a dire fermatevi in Calabria dove l’intifada delle correnti e dei personalismi ha smesso di far suonare i mortai ma non ha raccolto per terra ancora tutti i morti e i feriti. Un congresso regionale così importante in queste condizioni e con questa anarchia, questo il non detto di Epifani, avrebbe lo stesso senso democratico che può avere oggi come oggi portare la Siria o l’Egitto al voto. Incassato quello che voleva incassare (così rimane in qualche modo notaio sine die) D’Attorre con l’espressione d’angelo annoiato di letture traduce ai suoi se non sia o meno il caso di aprire una riflessione sull’opportunità di celebrare i congressi. Stante ovviamente il "consiglio" di Epifani. Un invito a "non nozze" difficile da rifiutare messa così e infatti, forse senza nemmeno fingere di aprire l’ennesimo angolo di riflessione, non si terrà niente di niente. Nessun congresso e nessuna can-
Con ogni probabilità il Pd nemmeno stavolta celebrerà i propri congressi in Calabria nelle date che s'era prefissato Troppa confusione a livello nazionale, Epifani ha lasciato intendere a D'Attorre che non bisogna avere fretta Se ne parla, se va bene, in autunno e non è detto che la cosa sia negativa di per sé. Tanto chi ha più filo da tessere, tesserà didatura entro fine maggio. Troppo presto, troppe spigolature, troppe ansie. Troppe regole imperfette, troppe incognite. E, soprattutto, troppi vuoti di contenuto. E il punto è qui ed è quello più delicato alla fine. Non tutti i partecipanti al pubblico dibattito han-
no centrato fin qui il vero problema che è di sostanza più che di forma. Tre le scuole di pensiero che si sono distinte fin qui a proposito della celebrazione dei congressi alla calabrese. C’è chi lo vuole subito e a tutti i costi. Poi c’è chi lo vuole rinviare in concomitanza con quello nazionale, così si delinea il quadro e si schiariscono le nebbie. E poi c’è chi non è affatto contrario al rinvio purché non si prescinda da un punto: fuori D’Attorre e subito. Inutile stare qui a certificare chi appartiene a chi, non è difficile accostare profili dietro ogni posizione sopra menzionata. Non è questo il punto. Il punto è che manca il quarto "partito" dentro il partito a proposito dei congressi. Manca perché non c’è al momento o quantomeno, se c’è, non è venuto fuori con dignità. Una posizione cioè che tenga conto sia della esigenza temporale che incita chi li vuole subito i congressi sia chi, con o senza D’Attorre, preferisce gettare la palla in calcio d’angolo, magari per motivi speculativi. Una posizione ricca di contenuti che parta da un punto imprescindibile. Non è con le correnti, con i personalismi, con le conte intestine che si può resuscitare un partito messo così. Mai come stavolta è il peso delle mozioni che potrebbe fare la differenza in una regione come la Calabria. Che poi significa prima i programmi, i contenuti, poi i nomi. Prima le idee, i progetti, le ambizioni di rilancio per la Calabria e per il Mezzogiorno, poi anche le sacrosante carriere. E allora se l’ennesimo rinvio può magari servire a riempire di sostanza la scatola vuota del partito che va al congresso, ben venga. Anzi, venga mai come stavolta. Ne trarrebbe di sicuro vantaggio il peso specifico del partito e della sua classe dirigente. Se invece non fa questo il Pd di Calabria, e cioè spazio ai progetti prima ancora che ai nomi e alle carriere, a poco o a nulla servirà un congresso balneare o sotto le castagne. Magari da tenersi il 2 di novembre, come dice Crozza. Una ricorrenza da celebrare con un mazzo di fiori in mano.
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Sabato 18 Maggio 2013
C’era una volta il terzo polo
C’eravamo tanto odiati Pierferdinando Casini un mesetto fa ha scelto il Corriere della Sera (in alternativa talvolta predilige il Messaggero) per dettare la sua linea ai suoi adepti. Ringraziamo il professor Monti per l’abnegazione e il prestigio ridato all’Italia, ha detto in sintesi, ma l’esperienza del terzo polo per noi è finita. Abbiamo e ho sbagliato, questo il pensiero di Casini, a candidare Monti in nome e per conto della nostra tradizione. È stato un mio errore anche clamoroso che le urne hanno suggellato indelebilmente. Ma non si ripeterà, capitolo chiuso. Quando poi il cronista politico gli ha chiesto se Berlusconi è sempre quello che ha portato l’Italia in burlesque in tutto il mondo Casini ha puntualizzato: è sempre lui, ma è l’unico che prende voti, impossibile per chi non è comunista farne a meno. Amen. Più chiaro di così Casini non poteva essere e da quel momento in poi sono da interpretare in decisa libera uscita tutte le altre iniziative a cominciare da quella romanticamente e tristemente antistorica di Mario Tassone e Clemente Mastella. Se la croce ci sarà ancora,o se magari ci sarà sotto altre forme e in altri contesti, è in chiave di annessione al centrodestra che bisognerà parlarne. Altri scenari non se ne intravedono per un partito e per un’area, quella di Casini, ridotta ormai a cifre risibili e decimali con più poltrone in giro che relativo peso specifico elettorale. Se poi invece accade il miracolo dei vescovi e del cattolicesimo del Terzo millennio, con il governo Letta che dura e quindi con Berlusconi che si ritira in pace e Alfano che fonda con parte del Pd quello che potremmo immaginare un nuovo grande scudo, pace per tutti. Casini finisce lì. Altrimenti, a schieramenti attuali sul tavolo, l’ex delfino del Cavaliere non finisce ad Arcore per decenza e un minimo di orgoglio ma ci va vicino. Molto vicino. Questo passaggio definitivo in ogni caso non sarà indolore e se Buttiglione la fa facile immaginan-
L'Udc torna tra le braccia del Pdl. La fusione imminente finirà per rafforzare Scopelliti blindandolo fino al 2015 do che già per le europee Udc e Pdl possono gareggiare insieme con il simbolo del Ppe il tutto tradotto invece dalle nostre parti non è poi così semplice, o così scontato. Ci sono ancora frizioni, ruggini, agitazioni, non amori per usare un’espressione che sarebbe stata cara a Bersani. Vale per tutti la graticola part-time alla quale è esposto il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto praticamente un giorno sì e l’altro no. Il perché è presto detto e non è neanche di difficile comprensione. Come va dicendo non a torto e non da oggi Tonino Gentile l’Udc in Calabria ha acchiappato più poltrone che voti fino ad oggi. E quando c’erano un po’ di fibrillazioni nell’aria per il paventato ingresso di Roberto Occhiuto in giunta regionale sempre il senatore Gentile s’è concesso un concetto che gli è tipico quando lo prendi in sincerità: gli abbiamo già dato il Comune di Cosenza, cosa vogliono di più? La verità è che non c’è amore né ce ne potrebbe essere tra le parti. E tra le parti stesse che compongono l’Udc di Calabria. E si capisce bene il perché. Fin qui dell’asse con Scopelliti ad personam ne ha risposto e ne ha voluto rispondere il marchio Trematerra family senza intromissioni alcune, magari da estendere ad un’altra family dell’Udc, quella degli Occhiuto appunto. Un’esclusiva quella dei Trematerra rafforzata pro-
Da sinistra Peppe Scopelliti Roberto Occhiuto Gino Trematerra
prio dall’anomalia stessa dell’Udc, sul piede di guerra con il Pdl a Roma e invece d’amore e d’accordo a Catanzaro con Peppe Scopelliti. Ad anomalia che si va esaurendo invece, con una linea unica sia a Roma che in periferia, il monopolio dei Trematerra andrà scemando ma non per questo le tensioni. Tutt’altro. Per effetto contrario, come l’alta temperatura di Cosenza dimostra ogni giorno, il Pdl non scopellitiano potrebbe irretirsi se non proprio irritarsi se i vari Dattolo, Talarico, Michele Trematerra e infine Roberto Occhiuto fossero domani della stessa loro partita e dello stesso tavolo. Come anche le massaie di paese sanno se una tavola imbandita si allarga ma le pietanze rimangono quelle qualche problema può sorgere. E sorgerà, se non è già sorto. Tutto sotto controllo per ora, ci mancherebbe. Ne hanno viste e ne hanno passate di peggio i contendenti. Ma non mancano ambizioni e progetti per ognuno in grado di mettere agitazione. Una sola certezza va stratificandosi ora dopo ora. Il governatore Scopelliti (e chi con lui ha lavorato a stretto giro in questi mesi) s’è rafforzato in questa fase politica. Doveva cadere un giorno sì e l’altro pure e invece un po’ per merito suo (non ne ha sbagliata una di mossa) e diciamo anche molto per demerito degli altri (la liquefazione del Pd anche in consiglio regionale) veleggia ad andatura di crociera. E quando decide di accelerare va come un treno. Ora che anche l’Udc organicamente finirà per rispondergli in toto in consiglio regionale e in giunta non ha nulla da temere. Addirittura si prefigura per lui un successo doppio se teniamo conto che dell’asse con l’Udc ne va parlando a Roma da un pezzo come modello calabrese da esportare. Gli ha funzionato il gioco e gli ha sorriso la sorte. Se non interviene altro, che appare lontano ormai, si fa una passeggiata fino al 2015. Se poi interviene "altro" c’è Angelino al Viminale...
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Sabato 18 Maggio 2013
La luce in fondo a sinistra
Uno dei due è di troppo Uno è più avanti, senza dubbio. Più dentro, più sudato in fronte di cose di Calabria. Ha conosciuto fatture, protocolli, consigli d'amministrazione. L'altro è più chic, più aristocratico, più "padre" senza confini geografici della sinistra in senza estensivo, forse anche troppo. Ma è di Cosenza, conterraneo, è all'occorrenza non è un dettaglio di poco conto questo. Uno è sindaco, doppiamente sindaco. Vendoliano ma amico della parte del Pd che non vede l'ora di tirare fuori dalla giacca sia la bandiera rossa che quella senza colori di Firenze. Un amministratore con la erre moscia buono sia per la scimmitarra che per i salotti. L'altro è il "prof", il costituente, la provocazione in carne ed ossa dei Cinque Stelle, l'incubo o il rimorso che nella notte mangia il fegato di Bersani Gianni Speranza, detto Gianetto, è il primo. Stefano Rodotà è il secondo. Se stiamo ai simboli uno ha la maglietta di Sel (che gli sta un po' stretta se la partita si fa seria). L'altro quella di Grillo che gli sta larga a sentire lui sul palco di Roma ma che gli sta strettissima se teniamo conto l'universo di linguaggio e di moderazione verbale che separa le sue movenze da quelle dell'ex comico genovese. Entrambi però, Speranza e Rodotà, hanno un sogno in tasca nel senso che lo portano ma non gli appartiene perché è in conto terzi, in conto di un elettorato di sinistra sinistra che è sbandato, sfiancato, a tratti indiavolato. Sfidare la destra di Scopelliti o di chi per lui. Sfidarla in Calabria e sfidarla per davvero visto che, a loro dire e cioè a dire dei loro tifosi, il Pd non lo ha mai fatto per davvero inciuciando di qua e di là da un decennio. La sinistra che sogna la Calabria, o la Calabria che si fa sognare a sinistra, sta in questi due profili. Che sono impegnativi, ben visti e ben
Gianni Speranza e Stefano Rodotà. Il fermento che emerge anche dalle macerie periferiche del Pd punta già al dopo Scopelliti, o allo sfidante di uno Scopelliti bis Le suggestioni non mancano ma nemmeno le insidie visibili, emblematici anche. Forti, forse anche più forti dell'elettorato potenziale che si portano appresso. E il punto è proprio qui che poi è l'incrocio di tutta la partita. Per quanto malandato e in depressione permanente è improponibile una leadership alla sinistra del Pd che prescinda dal Pd stesso. A meno che non si voglia fare gara di prestigio e di rappresentanza, quasi culturale contro Scopelliti e la sua squadra. Ma chi conosce Giannetto Speranza o Stefano Rodotà difficilmente è pronto a giurare che si accontenterebbero di perdere bene una sfida così ambiziosa ma anche così alla loro portata. Tradotto in altri termini vuol dire che per vederne uno di loro seriamente in campo contro il centrodestra per le regionali del 2015 vuol dire allora due cose. Una che il Pd di questi giorni avrà definitivamente abdicato ai so-
gni di gloria, qualsiasi essi siano e con qualsiasi compromesso. La seconda di certezza è però che il Pd non può sparire e senza Pd, motivato o depresso che sia, non si vince. Anche il più immaginifico e ambizioso exploit grillino non potrebbe consentire a Rodotà di vincere così come Vendola non porterà mai Speranza oltre la legittima speranza. Deve insomma nascere qualcosa alla sinistra dell'asse democristiano che regna attualmente il Paese. Per vedere e con probabilità di successo uno dei due in campo deve accadere qualcosa di importante nello scacchiere attuale. Non necessariamente qualcosa di positivo, di futuribile, di lungimirante. Per certi aspetti anzi questo "qualcosa" potrebbe portare indietro le lancette dell'orologio biologico dell'intero centrosinistra ma questa è la partita. Questa è la sfida e non è detto che non andrà poi così se rimane tale lo stato deprimente del Pd. Assodato poi che deve accadere "qualcosa" di importante per vedere Speranza o Rodotà in campo c'è poi un'altra cosa che va chiarita e che non è affatto secondaria. Per il sogno alla calabrese che sta a sinistra due nomi di spessore sono troppi. Uno dei due finirebbe per mangiare l'altro che difficilmente poi digerirebbe. È un passaggio delicato questo forse nemmeno risolvibile nel solo perimetro calabrese. Sulla carta Cinque Stelle ha un vento forte quattro volte tanto Sel ma per Rodotà non basta, non può essere solo il nome "contro". E d'altra parte, per converso, Speranza senza i voti che oggi sono di Grillo più che una passeggiata romantica non può farsi. Qualche furbo e navigato del Pd non a caso è su quest'equazione che poggia la sua tranquillità. Uno dei due, Speranza o Rodotà, è di troppo per lo stesso sogno. Va a finire che poi ci si risveglia e non ci si addormenta più.
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Sabato 18 Maggio 2013
Guai oltre il Campagnano
Riecco la Dda Come in un incubo, come nell'autunno dello scorso anno. Rende la dotta, l'illuminata, quella con la movida dentro e gli unici negozi che s'illuminano, si risveglia ancora una volta con la bussata della Dda alla porta. Una brutta bussata, come la prima. Rende con le strade larghe e con un palazzo piazzato ad ogni sospiro si vede d'improvviso mettere le mani in tutte le carte in Comune, un municipio con già dentro la commissione d'accesso agli atti. Una storiaccia, che può diventare storietta o qualcosa di più serio. Serve tempo, bisogna capire. Rende con un bar ogni dieci metri non ci può credere che si cercano le coppole della 'ndrangheta dietro tutto questo. Già, i bar. Ce n'è uno tra quelli attenzionati dalla Dda che ha cambiato nome e da debitore è diventato creditore del Comune. Avrebbe avuto in organico congiunti di gente rispettabile così come in organico, di congiunti borderline, ne avrebbero avuto altre due aziende di ristorazione. Il teorema accusatorio stringi stringi è anche semplice da riepilogare. Tu dai un bar o un appalto di ristorazione a me e io ti riempio di voti ogni consultazione utile. Seguono poi responsabilità eventuali singole e politiche praticamente dal 2000 ai giorni nostri. Questo è il quadro che è altro (ma da corollario) rispetto a quello emerso e poi smontato a pezzi dalla Cassazione. A unire il primo blitz e quest'ultimo della Dda un'unica famiglia criminale di riferimento che ne avrebbe tratto vantaggio, la cosca Lanzino. Questo lo scenario, il dipinto. Poi ognuno, se ne ha voglia e pazienza, può provare a ricomporre il puzzle delle singole responsabilità eventualmente penali o politiche. I periodi sono lì, sono agli atti e sono anche peraltro usciti sulla stampa. Se ci si vuole divertire ad accostare ad ogni concessione sindaco e assessori di riferimento il gioco è semplice, non è complesso. Ma non è questo il punto, o non è più solo questo il punto. Ora la partita vera, forse prima ancora che penale se lo sarà, è politica. Tutta politica. Dentro e fuori le mura della brillante cittadina. Dentro e fuori il municipio. Dentro e fuori il principale partito (il Pd) che ne detiene come sigla il comando. Al momento in cui andiamo in stampa non è ancora pervenuta la lettera che tutti si aspettano, quel-
Rende si risveglia in un altro incubo dopo quanto accaduto nell'autunno scorso. E stavolta però a differenza della prima il fronte politico si ricompatta (più o meno) a difesa della città mentre va in sofferenza l'attuale sindaco (che poco o nulla c'entra) la del sindaco Cavalcanti che si dà prossimo alle dimissioni. Non è dato sapere se poi lo farà o se lo ha magari maturato nella notte. Quel che è certo è che è in sofferenza, in forte sofferenza. Due sostanzialmente le cose o le circostanze che non avrebbe mandato giù. Da un lato l'ingresso della commissione d'accesso inviata dal prefetto per accertare fatti e circostanze che peraltro prescindono dal suo operato, che è in essere dalla primavera del 2011. E poi il doversi fare costantemente carico di un quadro complicato e comunque da spiegare che lo avrebbe visto all'oscuro di tutto al momento dell'investitura. Come se avesse realizzato d'un colpo che la congiuntura politica l'ha messo lì a dirigere formalmente le operazioni in Comune ma con un bel po' di guai dentro di cui un giorno dover dar conto, quantomeno politicamente. Nessuno lo ha mai informato di niente al momento della candidatura e questo pare sia alla fine il particolare che lo ha ferito di più. Ora non è dato sapere se alla fine toglierà clamorosamente il disturbo (così da amplificare le divergenze e le lontananze con la regnanza locale, da cui si sente lontano e abbandonato). O se invece rimarrà proprio per l'esatto contrario e cioè per rivendicare una partita da giocatore in campo e non da spettatore deluso. Questione di ore e lo sapremo. Ma
Pierpaolo Bruni Sullo sfondo, Rende
la faccenda è politica e lo è nel suo significato più completo e complesso. Non a caso stavolta è quasi tutto il Pd d'ensamble che prende carta e penna per esprimere solidarietà alla storia gloriosa di Rende. Quasi tutto il Pd, non tutto, ma il quadro è di blocco. Con una ragione di fondo che è difficile non condividere. Rende non è né potrà mai essere Africo, San Luca, Platì, Rosarno, per certi aspetti pure Reggio Calabria. Non solo. Lo sviluppo urbano e sociale di una città come Rende in ogni caso non sarà mai spiegabile o confondibile con bar, appalti di mense, cooperative gagliarde che tagliano un'erba che non basta mai per far lavorare tutti. Si è adulti e maturi a sufficienza per guardarsi negli occhi metaforicamente e rendersi conto la 'ndrangheta, quella importante e che sta altrove, per solito non fa crescere l'erba dove poi va a dormire. Detto questo poi ognuno sa con chi e perché ha avuto a che fare negli anni. Rispettando o meno regole che solo parzialmente tutelano dal grande abbraccio della criminalità. È una partita difficile questa, un gioco assai delicato. Forse pure senza vie d'uscita perché nessuno è in grado allo stato di stabilire se la politica è la migliore delle arti di merda dell'uomo o se ne è il peggio direttamente. A Rende, la politica, ha edificato una vita di superficie che non ha molto da invidiare alle zone più evolute del Paese. Come lo ha fatto e perché e soprattutto se lo ha fatto sfiorando o entrando con due gambe nel codice penale lo diranno, come ha fatto in negativo la Cassazione, i passaggi elementari della democrazia. È per questo che quella parte di Pd che rivendica e difende la gloriosa e non macchiabile storia di Rende è sulla strada giusta. Sulla strada intellettualmente onesta. Lo è un po' meno invece chi, come altra parte del Pd, si chiude a riccio minacciando ispezioni ministeriali entrando decisamente (censurandole) nel merito dell'attività investigativa. Questa parte, probabilmente, espone il partito, Rende e chi l'ha amministrata, a un doppio rischio. Di simulare l'accerchiamento, che non porta bene. E di somigliare maledettamente a quei deputati che pochi giorni fa sono saliti sulle scale del tribunale di Milano a protestare contro i giudici difendendo Berlusconi. Di questo passo poi è normale che la gente non distingue più.
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Sabato 18 Maggio 2013
Mezzoeuro Non bastano quelli che abbiamo
Arrivano i rifiuti “speciali” avrebbe fatto di tutto, attraverso i lavori parlamentari, per impedire la nascita della centrale a due passi dalla diga del Passante ed a pochi chilometri dal Parco nazionale della Sila. La costruzione della centrale comprometterebbe la salubrità dell’aria silana, recentemente dichiarata tra le più pulite d’Europa. Ai danni di carattere ambientale si aggiungerebbero quelli, inevitabili, sulla salute pubblica provocati dall’emissione di sostanze cancerogene causati da questo genere di centrali elettriche. Non meno importanti i danni che la centrale potrebbe portare all’economia dell’altopiano silano: le diossine immesse nell’ambiente dai cunicoli, potrebbero compromettere la qualità del caciocavallo Dop e le bellezze paesaggistiche della zona verrebbero rovinate dalla presenza di una costruzione proprio a due passi dalla diga del Passante, tra i tratti più belli della Sila Piccola catanzarese, candidata ad entrare tra i patrimoni universali dell’Unesco. Non solo semplice protesta per preservare l’ambiente, dunque, ma anche una visione di reale sviluppo economico in prospettiva futura. La costruzione della centrale, infatti, porterà soltanto 56 posti di lavoro (garantiti dal’Anz power srl, azienda committente per la costruzione e l’implementazione della centrale) a fronte di ingenti perdite economiche per le aziende turistiche ed agricole presenti nel comprensorio.
Paolo Parentela portavoce del Movimento Cinque Stelle alla Camera dei deputati, presenta un’interrogazione alla Commissione agricoltura affinché la centrale a biomasse che dovrebbe nascere a Sorbo San Basile (Cz) rispetti quanto sancito dalle linee guida
Il portavoce del Movimento Cinque Stelle alla Camera dei deputati, Paolo Parentela, ha presentato un’interrogazione alla Commissione agricoltura, per valutare se la costruzione della centrale a biomasse che dovrebbe nascere a Sorbo San Basile (Cz) rispetti quanto sancito dalle linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e per attivarsi affinchè venga assicurato il mantenimento delle peculiarità ambientali dell’altopiano della Sila, in modo che le produzioni agricole di qualità, la salute pubblica, le peculiarità paesaggistiche e naturalistiche della zona non vengano compromesse dalla costruzione dell’impianto. Insieme a Parentela hanno firmato l’interrogazione tutti i deputati M5s calabresi, i deputati della stessa commissione, nonché un gran numero di eletti nelle liste del Movimento ed appartenenti ad altre commissioni (in special modo alla commissione ambiente). Già in campagna elettorale, Parentela aveva anticipato che
«Spesso dietro un’apparente possibilità di creare lavoro, connessa alla costruzione di centrali come quella di Sorbo - spiega Parentela vi è una vera e propria distruzione del territorio dal punto di vista ambientale ed economico. A fronte di quei pochi posti di lavoro che la centrale garantirà, quante aziende agricole e di ricezione turistica saranno costrette a chiudere? I 120mila euro che l’Anz power srl verserà al comune di Sorbo San Basile sono una vera e propria offesa al valore inestimabile della flora e della fauna silana, al nostro fantastico paesaggio (che andrebbe difeso e tutelato come vuole la Costituzione) e ai cittadini calabresi che hanno deciso saggiamente di investire in agricoltura e turismo. Inoltre, quali saranno i costi ambientali ed economici delle 1.500 tonnellate all’anno di rifiuti speciali che la centrale produrrà anche alla luce dell’urgenza rifiuti in cui la regione versa? La Calabria ribadisce Parentela non ha bisogno di produrre nuova energia, la quale viene in gran parte esportata considerando che, quella prodotta in Regione, soddisfa enormemente la domanda della popolazione. Urge invece, puntare tutto sul risparmio energetico. Questo si che produrrebbe sviluppo ed innumerevoli posti di lavoro! Appare del tutto evidente che non esista motivazione logica alla costruzione della Centrale, se non quella di favorire i soliti centri di potere svantaggiando il vero sviluppo e il territorio». Il Movimento Cinque stelle, che da sempre ha appoggiato le istanze del comitato “No biomassa” di Sorbo San Basile, continuerà a battersi affinché la centrale non venga costruita ed i portavoce in Parlamento continueranno a farsi carico delle problematiche strettamente legate al territorio al fine di impedire che continui ad essere devastato da scelte illogiche come la centrale a biomasse di Sorbo San Basile.
Sabato 18 Maggio 2013
Mezzoeuro Gli speculatori del cemento battono cassa
Calabria in vendita
San Nicola Arcella
Progetto per rilanciare il territorio che prevede il recupero di immobili di pregio storico artistico Strutture affascinanti che finiranno nelle mani dei soliti falchi predatori Per ora in Calabria sono tre i beni in vetrina... di Francesco Cirillo
Questa volta non siamo soli. C’è tutta l’Italia in un progetto che si chiama Valore Paese-dimore. Un progetto per rilanciare il territorio ideato dal demanio e da Invitalia, volto al recupero di immobili di pregio storico artistico. L’obiettivo è quello di creare una rete turistica e culturale che faccia bene al Paese e che veda la collaborazione pubblico-privata, ma in realtà si tratta del solito “fare cassa”. I possedimenti di pregio, non strumentali, gestiti dal demanio storico artistico sono circa duemila e si tratta di antiche dimore gentilizie, conventi inutilizzati, fari e residenze marine, castelli. Sono strutture affascinanti, in luoghi suggestivi, in paesaggi ancora incontaminati e nel contempo abbandonate da decenni fino a cadere in rovina. A chi finiranno in mano se non ai soliti speculatori del cemento, a ricchi finanzieri, a
gente insomma che ha già danaro in mano e che faranno di questi beni, oggetto personale di speculazione? Le proposte avanzate in questa prima fase sono 115 ed entro la fine dell’anno verranno messi in moto i primi bandi per la concessione in uso ai privati per 50 anni. Tra questi beni segnaliamo la Caserma Masini a Bologna posta nel centro storico, il “Palazzo Rossetti sulla via degli Angeli” a Ferrara eretto nel 1493, la caserma Garibaldi ex convento costruito nel 983, il castello di Gradisca d’Isonzo, l’antica sede vescovile di Trieste, il magazzino portuale di Genova, il Palzzo della Rovere a Savona, addirittura troviamo nell’elenco il carcere borbonico sull’Isola di Santo Stefano a Ventotene, la bellissima Villa Favorita di Ercolano costruita nel 1768, la stupenda Torre di san Giovanni a Gallipoli. Insomma beni di una bellezza incredibile. Gli enti pubblici locali hanno tempo fino al 31 maggio per manifestare il proprio interesse all’iniziativa e richiedere l’inserimento dei propri immobili di pregio storico,artistico e paesaggistico nel portfolio. Insomma una corsa a svendere e regalare i beni comuni ai privati che poi per 50 anni ne faranno la propria speculazione privata trasformando il bene in albergo. Proprio una bella idea non c’è che dire. Certo i soliti frettolosi diranno che piuttosto che vedere questi beni vandalizzati ed abbandonati è meglio darli in concessione ai privati. Ma a nessuno viene in mente che questi beni potrebbero ritornare alla collettività trasformandoli in centri culturali, in pensioni per anziani, in case per senza casa, in musei gestiti direttamente dai Comuni o da pubbliche amministrazioni creando un circuito sociale vero lontano dalle solite speculazioni?
In Calabria, al momento, sono tre i beni in vendita e riguardano i comuni di San Nicola Arcella, Monasterace e Tropea. A San Nicola Arcella si vuole privatizzare il Palazzo del Principe Lanza, che vanta circa 2.000 metri quadrati di superficie utilizzabile, 20 grandi stanze, tre grandi sale al piano terra ed altre tre al primo piano, un ampio salone al primo piano, un chiostro di circa 375 mq. con una importante scala esterna e che può contare su un ampio spazio circostante. Il Comune di San Nicola vorrebbe acquisirlo come bene alla collettività ed in questo senso si muove il vice sindaco Eugenio Madeo che giustamente lo considera un bene che «ben si presta a contenere non una, ma un insieme di attività di vario tipo, qualificandolo come luogo da dove partono una pluralità di azioni per la conoscenza delle risorse paesaggistiche, naturalistiche ed ambientali che possono favorire e promuovere lo sviluppo dell’intero comprensorio, non soltanto del Comune di San Nicola Arcella». Un’idea ottima che bisogna vedere se è possibile realizzare in quanto il bene va venduto al miglior offerente e bisogna vedere se il Comune di San Nicola Arcella ha le possibilità finanziarie per partecipare ad un’asta. Ma su questo bene lo Stato italiano ha già investito ben 7 milioni di euro per restauro e progettazione. Poi il palazzo venne abbandonato a se stesso. E solo dopo un servizio della trasmissione “Le Iene”, che feci insieme al giornalista Alessandro Sortino, il palazzo ritornò all’attenzione della vecchia amministrazione comunale senza che però si trovasse una soluzione sul suo utilizzo. Ora la nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Barbara Mele vorrebbe riportarlo all’antico splendore. Ci riuscirà? Pensiamo
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Mezzoeuro Gli speculatori del cemento battono cassa
che lo Stato, e cioè l’Agenzia del demanio questo palazzo dovrebbe regalarlo al Comune proprio per significare che quando un bene storico viene richiesto da un Comune, questo deve essere agevolato. «Difatti - spiega il vicesindaco di San Nicola Arcella, Eugenio Madeo - in attuazione del D.Lgs. n. 85/2010 - trasferimento agli Enti territoriali di beni demaniali nell’ambito di specifici accordi di valorizzazione - il Comune di San Nicola Arcella ha trasmesso il programma di valorizzazione del Palazzo dei Principi Lanza di Trabia al Ministero per i Beni e le Attività culturali, Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Calabria ed all’Agenzia del demanio, filiale della Calabria». Dimostrando ampiamente con una lunga relazione che il Comune ha le idee ben chiare sul suo utilizzo. Nella relazione Madeo ricorda che «alcuni cittadini del luogo hanno avanzato la proposta di dedicare uno spazio, all’interno del Palazzo, a Francis Marion Crawford (1854-1909), scrittore americano, famoso soprattutto per i suoi romanzi storici e del terrore, che ai primi del ‘900 dimorò nella vicina torre saracena, che da lui successivamente prese il nome». Crawford, oltre che scrittore di successo, era appassionato di vela. Mentre compiva un viaggio nelle acque del Tirreno meridionale, sbarcò nella baia di San Nicola Arcella e si innamorò del luogo, soprattutto della torre cinquecentesca posta a difesa delle incursioni saracene, che si trova nelle immediate vicinanze del Palazzo del Principe. Vale la pena ricordare che il Palazzo era stato acquisito con decreto di esproprio emesso a favore del Ministero dei Beni culturali ed ambientali dal prefetto di Cosenza in data 21 ottobre 1992 e che al momento dell’esproprio il bene, posto in un’area ad alta densità turistica nel Golfo di Policastro, si trovava in totale stato di abbandono. I primi lavori eseguiti sono stati realizzati con finanziamenti Fio’89 per un importo pari a euro 6.441.250,45. Successivamente sono stati eseguiti interventi per circa 700.000,00 euro. I lavori non furono mai completati ed il palazzo restò inutilizzato, nonostante le ampie possibilità offerte per attività turistico-culturali di ampio respiro (mostre, concerti di vario genere, attività espositive, attività teatrali, ecc.) e per attività culturali di tipo più commerciale (fiere, esposizione di prodotti eno-gastronomici, ecc.). L’attuale amministrazione non se ne è stata con le mani in mano e il 19 dicembre 2012 ha organizzato un tavolo tecnico fra il Ministero per i Beni e le Attività culturali (Mibac), l’Agenzia del demanio, il Comune di San Nicola Arcella, presso la sede della Direzione regionale Calabria dell’Agenzia del demanio. La riunione si è conclusa positivamente e l’architetto Prosperetti conclude sottolineando la necessità di sottoporre le argomentazioni trattate alla valutazione dell’Agenzia del Demanio - Direzione Processi di valorizzazione per la formalizzazione definitiva del trasferimento, ritenendo così conclusa con esito favorevole l’attività istruttoria condotta dal tavolo. L’ingegner De Girolamo prende atto della modifica ed evidenzia così conclusa con esito favorevole l’attività istruttoria condotta dal tavolo. A valere sul Por Calabria Fesr 2007-2013, fondi Pisl con linea di intervento 5.3.2.1 relativa ai Sistemi turistici locali, in data 19 ottobre 2012 sono state pubblicate le graduatorie con l’assegnazione di un finanziamento pari a euro 700.000,00 per rendere fruibile l’intero palazzo. Il soggetto proponente ed attuatore dell’intervento è il Ministero per i Beni e le Attività culturali Direzione generale per i Beni culturali e paesaggistici per la Calabria, Soprintendenza per i Beni architettonici ed il Paesaggio della Provincia di Cosenza, Catanzaro e Crotone.
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«Finalmente - conclude il vicesindaco Eugenio Madeo - dopo più di venti anni, con l’intervento Pisl ed il finanziamento programmato, sulla base del programma di valorizzazione presentato dal Comune di San Nicola Arcella ed approvato dal tavolo tecnico istituito in base alla legge sul federalismo demaniale, è possibile far divenire l’intervento sul Palazzo del Principe un esempio positivo di intesa fra più soggetti istituzionali, per evitare lo spreco di oltre 7 milioni di euro di denaro pubblico e valorizzare le risorse di cui dispone il territorio calabrese». Ma altri due beni sono in vendita in Calabria e in questi altri casi non sembra che i comuni si siano interessati come quello di san Nicola Arcella. Una di queste due meraviglie si trova a Monasterace e si tratta del faro e stazione vedetta Punta Stilo. Il faro di Punta Stilo si colloca su una piccola altura poco distante dalla costa. Nella foto grande in basso il faro e stazione vedetta di Punta Stilo Qui sopra, due diverse prospettive del Palazzo Giffone a Tropea A destra, il Palazzo dei Principi Lanza a San Nicola Arcella
L’immobile è costituito da cinque corpi di fabbrica in muratura portante intonacata. Il faro, a forma di torre ottagonale a fasce orizzontali bianche e nere, sormonta il fabbricato principale, alloggio del fanalista. I restanti edifici sono adibiti a magazzini. L’accessibilità è garantita da una strada in lastroni di cemento in buono stato di conservazione ma di ridotta carreggiata e la zona è dotata di servizi turistici di supporto quali punti di ristoro, bar, aree parcheggi e strutture ricettive. Sicuramente diventerà un albergo. L’altro edificio demaniale in vendita si trova invece a Tropea. Località super turistica e quindi il palazzo in questione è appetibile sotto ogni punto di vista. Si tratta del palazzo Giffone. Il bene è ubicato nel centro storico di Tropea ed è posto a ridosso della rupe tufacea su cui è edificato l’abitato, in un sistema di piazze ed affacci a strapiombo sul mare, in prossimità del porto turistico. L’area è caratterizzata da edifici storici di pregevole fattura, risalenti al XVII secolo di cui Palazzo Giffoni rappresenta un esempio di grande pregio per posizione e qualità del costruito. Palazzo Giffoni venne edificato nelle forme e dimensioni attuali nella prima metà dell’Ottocento sulla base di un preesistente organismo architettonico. L’edificio presenta prospetti principali con decorazioni articolate di qualità formale; all’interno si trovano un androne con volta a botte e un cortile dal quale si accede allo scalone monumentale ad unica rampa che collega i piani superiori. Anche questo sicuramente diventerà un bellissimo albergo a cinque stelle. Vedremo come finirà, ma già lo sappiamo.
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Sabato 18 Maggio 2013
Verso le amministrative a Dipignano
Vincenzo Divoto un sindaco per fare squadra di Oreste Parise
Dipignano è uno dei comuni della provincia di Cosenza che il 26 e 27 maggio si recherà alle urne per l’elezione del sindaco e il rinnovo del consiglio comunale. Il governo dell’ente è momentaneamente affidato a un commissario prefettizio, Demetrio Martino, a seguito delle dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali che ha posto anticipatamente fine alla esperienza amministrativa del sindaco Guglielmo Guzzo. In questa tornata amministrativa vi sono quattro proposte alternative, e in particolare il sindaco uscente si troverà di fronte il suo vice sindaco, Vincenzo Divoto, stimato professionista quale ingegnere industriale che ha maturato una significativa esperienza tecnico-amministrativa per il suo impegno politico ed anche nell’associazionismo. È stato infatti consigliere e tesoriere per lunghi anni dell’Ordine degli ingegneri della Provincia di Cosenza, e presidente della Sezione Impianti dell’Assindustria di Cosenza; e, nell’intervista rilasciata, ha chiarito i motivi del fallimento di quella esperienza amministrativa e le azioni che intende mettere in campo per un rilancio della gestione dell’ente.
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In questo momento di crisi proporsi alla guida di un comune è un azzardo. La situazione politica versa in un grave stato di disagio. Credo che non sia tanto la crisi a costituire l’elemento peggiore, ma una caduta dei punti di riferimento, una mancanza di valori e di ideali. Ecco, il primo obiettivo di chiunque voglia misurarsi con la sfida politica è ricercare un sistema di valori che dia a tutte le categorie deboli una prospettiva, una speranza di futuro. Non crede che sia un obiettivo troppo ambizioso per un candidato sindaco di un piccolo comune? Non bisogna creare illusioni, ma speranza, come dicevo. Il sindaco è il primo interlocutore politico sul territorio, costituisce un riferimento e un modello e rappresenta una componente politica essenziale per mantenere l’equilibrio del sistema. Questo non vuol dire che non sono cosciente delle obiettive difficoltà di operare in una condizione di ristrettezza delle risorse, di un clima di sfiducia nelle istituzioni e nella possibilità di uscire dalla palude in cui sembra che siamo immersi. Lei è stato vice sindaco di un amministrazione che si è dissolta, come concilia questo impegno con il fallimento dell’esperienza precedente? Rivendico con forza quella esperienza che in una prima fase aveva prodotto eccellenti risultati per l’intensa attività amministrativa svolta, per far fronte alle diverse pratiche e questioni lasciate aperte dalla vecchia Giunta, ma anche per programmare la nuova attività. In questo contesto, ad esempio, è maturata la organizzazione di una selezione provinciale di Miss Italia 2009, che è stata poi ripetuta anche nel 2010. Sono stati predisposti progetti per partecipare ad alcuni bandi regionali (Centri di aggregazione sociale, Sistemazione ed ampliamento impianti sportivi, ecc.) a valere sui fondi POR 2007/2013. E’ stata
anche organizzata nell’inverno 2009/2010 una stagione teatrale, che ha riscosso una discreta partecipazione di pubblico, e negli anni successivi si sono tenute manifestazioni socio-culturali con la partecipazione di cantastorie. Vi erano insomma tutte le premesse per poter proseguire un cammino proficuo di crescita politica ed amministrativa del comune. Cosa ha provocato la caduta dell’amministrazione? Volendo semplificare, si potrebbe dire che il difetto maggiore era la mancanza di vera amalgama, l’assenza di un autentico spirito di squadra. Il dr. Guglielmo Guzzo è un professionista apprezzato nel suo campo e persona onesta, ma con esperienza e capacità politica ed amministrativa carente, diciamo così. Pensi, che già all’inizio del 2010 sono iniziate le prime fibrillazioni in giunta, tanto che nel mese di febbraio/marzo 2010, l’Assessore G. Perri si dimette, dopo che il sindaco gli aveva revocato la delega al Bilancio, e con un altro consigliere di maggioranza costituisce un gruppo consiliare autonomo, in pratica una minoranza della maggioranza. È stato sufficiente un ritiro di deleghe per provocare uno tsunami? Un piccolo episodio a volte è segno di un malessere più profondo. I rapporti si sono incrinati per un dibattito politico diventato incandescente anche su problematiche che avrebbero dovuto consigliare una maggiore prudenza. La funzione istituzionale è molto delicata, richiede da parte di chi la occupa una dose di grande equilibrio e di conoscenza della macchina amministrativa, dei meccanismi di funzionamento, per intervenire in maniera corretta senza interferire con le scelte dei responsabili del procedimento. La situazione si è aggravata per un attentato subito dal capogruppo di minoranza, un episodio molto grave rimasto opera di ignoti, stigmatizzato e pubblicamente condannato anche con un Consiglio comunale ad
L'amministrazione di Guglielmo Guzzo si è sciolta anticipatamente per le dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali Ora è il vice sindaco a sfidarlo, con altri due pretendenti, che sono Gianni Perri e Antonella Piccolo hoc. Era comunque un segnale di grave deterioramento del clima politico. Si è fatto qualche tentativo per ricomporre il quadro amministrativo? Il sindaco ha cercato di rispondere con la rimodulazione della Giunta, e l’ingresso di un nuovo assessore, ma il contesto è rimasto caratterizzato da una forte contrapposizione dialettica ed istituzionale con il gruppo di minoranza. Il gruppo di minoranza uscito dalle elezioni si è praticamente sciolto, poiché a seguito di dimissioni e surroghe si era esaurita quasi tutta la lista, una presa di distanza che mostrava con chiarezza la difficoltà di gestione politica del comune. Se la maggioranza fosse rimasta compatta si poteva comunque continuare l’esperienza amministrativa.
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Sabato 18 Maggio 2013
Verso le amministrative a Dipignano
vo dirigente, l’affidamento dell’incarico del Psc e la gara di appalto per la raccolta degli Rsu, ad ottobre/2011. Quali sono stati i motivi della sua decisione? Volendo semplificare direi un inceppamento dei meccanismi dialettici e decisionali, una confusione dei ruoli, la assenza di preciso coordinamento politico ed amministrativo, la mancanza di una azione unitaria. Ho più volte segnalato al Sindaco ed ai componenti dell’Esecutivo le criticità e le difficoltà operative nell’azione amministrativa, sollecitando un impegno più sinergico e partecipato, al fine di portare avanti il programma elettorale, in quanto si capiva, si percepiva che la macchina non avanzava spedita, per come avrebbe dovuto e potuto. Per tutta risposta a settembre 2012 il Sindaco revoca le deleghe al vice sindaco ed a tutti gli altri assessori. In pratica un azzeramento della giunta, mantenendola comunque in carica! Un atto del tutto “inusuale” e direi singolare per le istituzioni. Non si rinnova, ma si “depotenzia” provocando la paralisi amministrativa. La situazione era completamente sfuggita di mano al sindaco, con la conseguenza di dimissioni a catena anche dei consiglieri di maggioranza. Dopo poco più di tre anni, il gruppo di maggioranza del sindaco Guzzo, forte di 11 consiglieri, si è letteralmente sciolto, come neve al sole, tanto che su 14/15 consiglieri (compreso chi è subentrato), più della metà si è dimessa. Ad ottobre del 2012 anche io sono stato costretto a dimettermi insieme all’assessore Veltri, in quanto l’azione amministrativa era confusa, paralizzata su diverse questioni, poco efficace ed attrezzata rispetto alle problematiche che si manifestavano all’orizzonte (raccolta rifiuti non funzionate, viabilità precaria, iter approvazione Psc, progetti/lavori, ecc.).
Vincenzo Divoto Sopra, insieme alla sua “squadra”
Quanto si stava verificando non riguardava solo l’opposizione, ma era anche la conseguenza di una assoluta mancanza di una precisa ed autorevole azione di coordinamento e leadership da parte del sindaco Guzzo, unico responsabile di quanto poi realmente accaduto. Infatti, anche nel gruppo di maggioranza, cominciano ad affiorare contrasti personali e politici tra i vari consiglieri. Io stesso sono stato costretto a dimettermi. Ancor prima avevo svolto “ad interim” anche l’incarico di responsabile del Settore Amministrativo per circa due anni e mezzo (per posto vacante), portando a conclusione l’iter del concorso per il nuo-
Ma il sindaco non ha tentato di ricomporre la maggioranza? La sua risposta è stata quella di una rimodulazione della giunta nello scorcio finale del 2012 con l’ingresso di un assessore esterno. Ma ormai la situazione era assolutamente fuori controllo. Le difficoltà operative crescenti, anche dal punto di vista gestionale e finanziario, tanto che la nuova Giunta, peraltro incompleta, è apparsa subito inadeguata ed impotente. Ed infatti, dopo una serie di vicende rocambolesche e paradossali, e dopo averlo più volte annunciato “urbi et orbi” in Consiglio comunale ed alla stampa, il sindaco Guzzo si dimette il 18 gennaio del 2013. Allo scadere dei 20 giorni, al fotofinish, con un gesto improvviso quanto inaspettato, ritira le dimissioni. A questo punto, però sono gli stessi suoi consiglieri a chiamarsi fuori associandosi con la minoranza, e provocare lo scioglimento del consiglio comunale. Quali insegnamento ha tratto da questa esperienza? Voglio subito sottolineare che l’esperienza amministrativa è formativa, perché consente di en-
trare nei meccanismi burocratici e rendersi conto delle difficoltà di programmazione nel nostro paese e ti da la possibilità di confrontarti con i problemi reali della gente. Da quanto sopra emergono tre considerazioni importanti sui motivi del fallimento dell’esperienza Guzzo: la mancanza di coesione e di univocità di intenti nel gruppo uscito vincitore dalle elezioni del 2009, perché troppo eterogeneo, la mancanza di una forte leadership ed autorevolezza da parte del Sindaco che non ha saputo tenere e coordinare il gruppo, evidenziando lacune e debolezze, che alla fine hanno provocato l’implosione, un clima spesso rissoso e fortemente contrapposto in Consiglio comunale, che non è stato guidato, da parte del Sindaco, con la dovuta autorevolezza istituzionale. Come intende affrontare il prossimo impegno amministrativo, perché oggi gli elettori dovrebbero darvi credito? Intanto è bene precisare che non siamo stati neanche sfiorati da episodi scandalosi che riempiono le cronache politiche dei giornali in tutta Italia. Il difetto fondamentale è stata nella squadra e nella mancata esperienza e competenza politica ed amministrativa. È proprio su tale aspetto che abbiamo posto il massimo sforzo per superare queste difficoltà proponendo una squadra che abbia un affiatamento umano, una professionalità corroborata dall’esperienza e una competenza amministrativa nel proprio settore. Noi non promettiamo miracoli, ma ci impegniamo a mettere la nostra esperienza professionale al servizio della collettività. Siamo perfettamente consapevoli delle difficoltà cui andremo incontro. Vi sono tuttavia delle difficoltà finanziarie oggettive che non potranno che peggiorare per il futuro, considerato lo stato di crisi in cui ci troviamo. Dobbiamo individuare le possibili fonti alternative per reperire risorse, supplire con una progettualità mirata ai tagli di bilancio. La finanza pubblica è diventata un sistema complesso che richiede specifiche competenze, l’improvvisazione oggi non paga. Proprio la caduta della giunta precedente è una chiara dimostrazione che l’improvvisazione porta a conseguenze disastrose per l’intera collettività. I punti salienti del vostro programma? Non è il momento di scrivere un libro dei sogni, ma bisogna concentrarsi su quello che è realmente possibile. Le nostre principali priorità, che abbiamo inserito, insieme ad altre, nel programma elettorale, studiato e pensato restando con i piedi e la mente su Dipignano, saranno la viabilità provinciale e comunale, lo sviluppo del territorio, con riqualificazione dell’esistente e la necessaria espansione, anche sotto l’aspetto della incentivazione di piccole/medie attività industriali/commerciali/artigianali ed agricole, la protezione delle fasce deboli, all’interno delle quali si collocano purtroppo fette crescenti di popolazione, il rilancio della cultura, per riportare in primo piano come possibile volano di sviluppo la questione del merito e delle competenze. Per ognuna di esse, stiamo facendo al nostro interno ma anche all’esterno, negli incontri elettorali e raccogliendo suggerimenti, un discorso serio ed articolato, che presuppone ulteriori elaborazioni e proposte concrete da realizzare immediatamente dopo l’insediamento, se gli elettori ci daranno fiducia. Più che un elenco di buoni propositi offriamo agli elettori lo spirito di “civil servant” nella nostra azione amministrativa, offriamo la nostra competenza e professionalità per una avventura che si preannuncia certo difficile, ma anche stimolante e ricca di nuove e positive esperienze che mettiamo al servizio della nostra Comunità per una reale crescita sociale, civile ed economica.
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Sabato 18 Maggio 2013
Mezzoeuro Rifiuti della discordia
Rimaniamo sorpresi dalle dichiarazioni, sul vostro giornale, fatte dal sindaco Greco in merito alla bocciatura della discarica da parte della Regione Calabria. Evidenziamo anche che il sindaco Greco, ad oggi, stranamente, non ha mai risposto direttamente e pubblicamente alle associazioni contrarie al suo progetto sul vostro giornale. Ebbene, abbiamo il dovere, come associazioni civiche e comitati che stiamo seguendo la vicenda Castrolibero ormai da più di 5 anni, di smentire le dichiarazioni del sindaco Greco che in alcuni casi sono vere e proprie bugie! Partiamo dalla foto. In allegato inviamo una foto che rende meglio il contesto in cui la mega discarica di Castrolibero è situata, ovvero a poche centinaia di metri da un polo scolastico e da quartieri residenziali.
Castrolibero, due cose da dire sulla discarica Ecco le nostre considerazioni all’articolo pubblicato a pag. 5 “Munnezzopoli”, punto per punto: “...rebus della discarica di Castrolibero. Sembra tutto a posto ma chi è che non la vuole?” Chi non la vuole? Forse faremmo prima a dire chi la vuole: il sindaco in primis. Vuole dire il sindaco dei finanziamenti, benefit (strada, isole ecologiche, aumento del costo dei rifiuti per il conferimento in discarica regalatogli dall’ex commissario ai rifiuti...), che ha ricevuto dalla Regione Calabria? Una strada nuova, quando in realtà si poteva ripristinare la vecchia strada, «ma tanto paga la Regione», disse un giorno il sindaco; addirittura pubblicamente si vantava dicendo che: «il Comune non mette una lira in questo progetto, tutto finanziato dalla Regione». Poi è sbucata fuori anche qualche altra strada di servizio alla discarica che il sindaco stava realizzando con il ribasso di oltre il 50% sull’appalto! Capite che succede a Castrolibero? Si sfruttano i soldi regionali (quindi di tutti noi contribuenti) non per la problematica rifiuti, ma per urbanizzare una contrada (Ortomatera)! “La metà delle tariffe che i Comuni hanno versato sono servite a mantenere in piedi l’ufficio del commissario.... l’ufficio politico per eccellenza che in questi anni ha costruito fortune sotto l’ombra della monnezza... consulenze e privilegi”. Strano che il sindaco faccia tali affermazioni, visto che proprio lui ha affidato un incarico inerente la costruenda discarica ad un tecnico che ha ricoperto vari incarichi all’interno dell’ufficio del commissario all’emergenza ambientale in Calabria, tale Giovanbattista Papello (attualmente indagato in più procure); come mai? Il Comune di Castrolibero non aveva tecnici interni? “La stessa discarica che Scopelliti ha usato per dare una mano ad alcuni Comuni...” L’ha usata è vero. Ma vuole il sindaco dire i benefit ed i finanziamenti di alcuni milioni di euro (prima trance) che ha ricevuto dalla Regione? “Seguono carte e controcarte, misure, deliberazioni...” Siamo all’assurdo. Il sindaco dimentica di dire che la sua amministrazione ha modificato tantissime volte il progetto originario della discarica e della strada di servizio, attraverso delibere di consiglio e di giunta, determine varie, varianti di progetto, modulazioni al progetto, rimodulazioni al progetto, e non ultima la delibera “manifestazioni di intenti”, con la quale chiedeva alla Regione di stravolgere il progetto originario. Addirittura è stata
«Abbiamo il dovere come associazioni e comitati che seguiamo la vicenda da oltre 5 anni, di smentire le dichiarazioni del sindaco» ridotta la dimensione della discarica da 900.000 metri cubi a 800.000, una presa in giro per i cittadini che protestavano dalla ridottissima distanza tra la discarica e il quartiere EverGreen/Polo scolastico. E ora vuole dare la colpa alla Regione? “Il sindaco di Castrolibero, Orlandino Greco, (comune all’avanguardia tra quelli che per primi hanno applicato la raccolta differenziata)” Comune all’avanguardia? Ma stiamo scherzando? Forse il sindaco voleva dire che hanno tentato di fare la raccolta differenziata ma i risultati sono stati fallimentari. Anche oggi, dopo l’installazione delle costose isole ecologiche, (finanziate sempre dalla Regione...) la raccolta differenziata non decolla, con percentuali ridicole! Il sindaco vuole dare la colpa a Pugliano per questo? “La mega discarica di 800mila metri cubi e’ a norma...” Peccato che non è l’assessore Pugliano, ma l’ufficio competente ad aver bocciato l’iter per gravi irregolarità commesse durante l’iter di ampliamento della discarica. “L’associazionismo verde “portatile” dei nostri giorni a protestare contro la discarica come fosse un ecomostro…” Pensiamo di non meritare un tale appellativo. Prima di tutto perché noi non sparliamo, ma abbiamo i documenti che accertano le gravi irregolarita’ commesse dall’attuale amministrazione di Castrolibero. E poi non siamo noi, ma è la direttiva della Comunità europea sui rifiuti, poi recepita anche dall’Italia, che vieta le discariche per il “tal quale”, mentre le discariche “normali” sono poste all’ultimo gradino della piramide gerarchica per affrontare la gestione dei rifiuti (prima c’è la Prevenzione, Riuso, Riciclo) proprio a significare che un ciclo virtuoso dei rifiuti deve tendere allo zero lo smaltimento in discarica. E questa non è utopia! Già oggi ci sono esempi come il Comune di Capannori che ha programmato un piano che gli permetterà di riciclare il 100% dei rifiuti!
Il polo scolastico a poche centinaia di metri dalla discarica
“O ci si impossessa del gioiello di Orlandino...” Ma di cosa state parlando? Si tratta semplicemente di una buca maleodorante nel terreno che sta avvelenando la falda acquifera! “Si propone di produrre anche energia dallo sdoppiamento dei rifiuti...” Il sindaco dimentica ancora di dire che il protocollo prevedeva una discarica per il “tal quale” a cui poi aggiungere un impianto per il bio gas, il quale non era per nulla ecosostenibile, in quanto gas recuperato dalla discarica e non facendo la raccolta differenziata! “...non può certo essere il sindaco di Castrolibero il responsabile della situazione che si è venuta a creare... Il problema vero è che l’emergenza rifiuti è la metafora di una classe politica e di governo dimostratasi del tutto incapace di gestire i servizi...” Castrolibero ha certamente contribuito a sperperare soldi pubblici. Prima di guardare la classe politica, perché non vediamo cosa ha fatto Castrolibero in tema di rifiuti? È riuscita a presentare un progetto di una mega discarica per il “tal quale” da 900.000 metri cubi che ha poi dovuto ridimensionare a 800.000 (prima variante) in un’area che doveva essere preservata perché ricca di biodiversità e di rilevanza paesaggistica. L’anno successivo, nel 2008, la stessa amministrazione, cambiava idea e firmava un protocollo d’intesa con la Regione Calabria per la costruzione di una mega discarica in questo sito da preservare! Non ci credete? beh, fatevi regalare dal sindaco il libro sulla “Sostenibilita” pubblicato nel 2007 dall’amministrazione comunale; a pag. 34 troverete quello che vi stiamo raccondando. Rdt - Rete difesa del territorio “F. Nisticò” (raggruppa associazioni e comitati calabresi)
Come si può notare, e come possono sicuramente apprezzare gli ambientalisti, siamo sempre aperti alle repliche, agli interventi, ai contributi anche polemici a seguito di quanto pubblichiamo settimanalmente. Una cosa però ci preme precisare in merito a quanto pubblicato sopra. Quello che gli ambientalisti mettono tra virgolette non riguarda frasi testuali di Orlandino Greco ma considerazioni espresse dal giornale nel corpo dell’articolo pubblicato la settimana scorsa. Tutto qui. Il resto è normale dialettica.
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Sabato 4 Maggio 2013
Mezzoeuro Speciale sanità
La lotta ai tumori ha un’arma in più «Permette di trattare in modo preciso e non invasivo un tumore, risparmiando i tessuti sani e utilizzando dosi elevate di radiazioni ionizzanti consente di ottenere dei risultati terapeutici migliori». È la definizione che il dottor Valerio Scotti dà della Body Radiosurgery (radiochirurgia o radioterapia stereotassica ipofrazionata), tra le tecniche più evolute di radioterapia oncologica. Il Malzoni Radiosurgery Center di Agropoli (Sa) è attualmente il centro con la più alta casistica di trattamenti e ri-trattamenti radiochirugici e di radioterapia stereotassica.
Fondato nel 2004
all’interno dell’Ospedale civile di Agropoli, e convenzionato con il Ssn, la Malzoni Radiosurgery vanta la più alta casistica europea per il trattamento radioterapico stereotassico delle patologie oncologiche epatiche e polmonari «ma questa terapia - precisa il dottor Scotti, direttore del servizio di radioterapia-radiochirurgia stereotassica - può essere applicata anche a lesioni che interessano altri distretti corporei come il mediastino, il pancreas, l’addome, il distretto testa-collo, l’esofago, i reni e surreni, lo spazio retroperitoneale, retto, prostata». La Body Radiosurgery si pone ormai come valida alternativa alla chirurgia tradizionale soprattutto quando questa non possa essere effettuata; trova indicazione per quei pazienti in cui i tumori sono diventati resistenti alla chemioterapia o che hanno già effettuato una radioterapia convenzionale. «Controllando i movimenti dovuti alla respirazione - spiega il dottor Scotti -, individuando in maniera precisa il bersaglio da colpire ed effettuando un controllo costante della terapia, il risparmio dei tessuti sani è massimo, evitando gli effetti collaterali della radioterapia convenzionale. Il trattamento radioterapico stereotassico ha dimostrato una tollerabilità elevatissima ed essen-
Il Dott. Valerio Scotti descrive vantaggi e possibilità della Body Radiosurgery una nuova opzione terapeutica per la cura del cancro :«La precisione millimetrica consente nuovi trattamenti»
do effettuato in regime di “day hospital”, ossia senza la necessità di un ricovero, permette al paziente di riprendere subito le proprie attività quotidiane». A conferma della validità di questa risorsa clinica per il trattamento dei tumori, sono in fase di pubblicazione studi che vedono nella Body Radiosurgery risultati pari e sembra addirittura superiori in termini di sopravvivenza globale e controllo locale di malattia. Solitamente, invece, è usata come un’alternativa alla chirurgia tradizionale «costosa, difficile e che richiede un lungo periodo di ricovero - continua Scotti - La nostra tecnologia, insieme alla grande e pionieristica esperienza degli operatori, consente una precisione di trattamento millimetrica, valutando durante l’ir-
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Sabato 4 Maggio 2013
Speciale sanità Acceleratori lineari In basso, un telaio stereotassico Nel box in alto, Paola Belfiore amministratore delegato del Radiosurgery center
radiazione il movimento interno degli organi e del tumore dovuti alla respirazione». La Malzoni Radiosurgery di Agropoli ha due acceleratori lineari di ultima generazione che permettono si eseguire anche una radioterapia tradizionale. «La sperimentazione - dice l’Ad del Malzoni Paola Belfiore - viene ora estesa anche alle terapie tradizionali. I due acceleratori lineari, così come i bunker, sono due macchinari gemelli. Tale caratteristica consente di affrontare l’eventuale blocco di una delle due sorgenti, semplicemente trasferendo i piani terapeutici da un acceleratore all’altro». Il dottor Scotti entra poi nel dettaglio dei trattamenti. «L’effetto radiobio-
logico (cellkilling) superiore delle singole sedute (radioterapia ipofrazionata) associata al risparmio dei tessuti sani (precisione dei sistemi stereotassici) ci consente di trattare lesioni anche in distretti delicati come fegato, vie biliari, pancreas e di effettuare ritrattamenti in pazienti con nuove lesioni e/o con lesioni già irraggiate sia con tecnica stereotassica che con tecnica convenzionale. Sono stati irradiati circa 1600 tumori comprendenti tutte le zone corporee (testa-collo, torace, addome, pelvi) anche in distretti difficili da trattare (fegato, lesioni paraspinali, mediastino, rene)» spiega il dottor Scotti, responsabile del servizio di radioterapia-radiochirurgia stereotassica del Malzoni Radiosurgery Center.
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Sabato 18 Maggio 2013
Sanità, un Piano di uscita per Scopelliti
Commissario poco “ad acto” «Il verbale redatto dal Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e dal Comitato permanente per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza cozza palesemente con quanto asserito da Scopelliti» Bruno Censore (Pd) interroga il Governo e chiede, ai sensi dell'art.2, comma 84, della legge n.191/2009, la rimozione del Governatore dal suo incarico di Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro del disavanzo sanitario
«L’art.2, comma 84, della legge n.191/2009 prevede che qualora il presidente della Regione, nominato commissario ad acta per la redazione e l’attuazione del piano, non adempia in tutto o in parte agli obblighi, il Consiglio dei ministri, adotta tutti gli atti necessari ai fini della predisposizione del piano di rientro e della sua attuazione». Il deputato del Pd Bruno Censore come primo firmatario assieme ai colleghi: Rosy Bindi, Alfredo D’Attorre, Stefania Covello, Demetrio Battaglia, Vincenza Bruno Bossio, Nico Stumpo, Ernesto Magorno, Nicodemo Nazzareno Oliverio invocano la rimozione del governatore Giuseppe Scopelliti dal suo incarico di commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro del disavanzo sanitario. E lo fa attraverso un’articolata interrogazione parlamentare rivolta al presidente del Consiglio e ai ministri alla Salute, degli Interni, dell’Economia e delle Finanze e per gli Affari regionali. «La legge n.191/2009 - prosegue Censore - prevede che, nei casi di riscontrata difficoltà in sede di verifica e monitoraggio nell’attuazione del Piano, il Consiglio dei ministri, sentita la Regione interessata, nomina uno o più commissari ad acta di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza in materia di gestione sanitaria per l’adozione e l’attuazione degli atti indicati nel piano e non realizzati». Il monito di Censore trae spunto dal verbale redatto l’8 aprile dal Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e il Comitato permanente per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza. «L’8 aprile 2013, al termine della riunione congiunta del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, è stato redatto un verbale che cozza palesemente
con quanto asserito da Scopelliti, il quale ha recentemente dipinto un quadro in crescita ovunque per l’intera sanità regionale. Nella suddetta riunione dell’8 aprile scorso, è emersa la scarsa omogeneità dei livelli Lea, con una forte sperequazione dell’offerta sanitaria. Inoltre, l’8 aprile scorso, il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e il Comitato permanente per la verifica dei Lea hanno evidenziato il gravissimo ritardo riguardo agli interventi connessi all’erogazione delle prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza, invitando il commissario, al fine di evitare che si creino i presupposti di cui all’art. 2, comma 84, della legge 191/2009 e quindi la sua rimozione, ad attuare tempestivamente ogni utile azione necessaria per garantire l’erogazione dei Lea in maniera uniforme sul territorio regionale. Infine, ma non per ordine di importanza, il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e il comitato permanente per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza hanno ritenuto non risolte le criticità correlate alla necessità di un comportamento collaborativo tra struttura regionale, commissario e sub commissari. Appare evidente - commenta ancora Censore che i fallimenti del Piano di rientro gestito da Scopelliti hanno sostanzialmente messo in discussione il diritto costituzionale alla salute in Calabria, dove una visione miope e ragionieristica ha cagionato una autentica “desertificazione” sanitaria, con servizi esistenti solo sulla carta, con posti letto del tutto inesistenti, con ospedali che chiudono e non vengono sostituiti con i Centri di assistenza primaria territoriale e i pochi che restano risultano depotenziati e lasciati con gravi carenze di personale e di risorse tecniche e strumentali». Roma 15 maggio 2013 Bruno Censore
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Mezzoeuro Sanità, un Piano di uscita per Scopelliti
Segue testo interrogazione: Al Sig. Presidente del Consiglio dei Ministri Al Sig. Ministro della Salute
Interrogazione a risposta scritta da Bruno Censore, Rosy Bindi, Alfredo D’Attorre, Sfefania Covello, Demetrio Battaglia, Vincenza Bruno Bossio, Nico Stumpo, Ernesto Magorno, Nicodemo Nazzareno Oliverio
Per sapere premesso che: Il presidente della Regione Giuseppe Scopelliti è stato nominato commissario ad acta, ai sensi dell’art.4, comma 2, del dl n.159/2007 (convertito con modificazioni dalla L. 222/2007 e s.i.m.) con obiettivo tecnico dell’abbattimento del disavanzo e rientro dal debito sanitario della Regione Calabria; Con la motivazione che il commissariamento non sarebbe riuscito a raggiungere gli obiettivi prefissati entro il 31 dicembre 2012 - termine previsto per il suo epilogo - il tavolo Massicci ha prorogato di ulteriori tre anni il Piano di rientro della spesa sanitaria in Calabria; In data 15.02.2013, la Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Calabria, ha preso in esame l’attività dell’Asp di Cosenza, sottoposta ad accesso da una commissione per verificare eventuali infiltrazioni mafiose, evidenziando diverse inadempienze e pesanti criticità; Una visione miope e ragionieristica del Piano di rientro della spesa sanitaria in Calabria ha cagionato una autentica “desertificazione” sanitaria, con servizi esistenti solo sulla carta, con posti letto del tutto inesistenti, con ospedali che chiudono e non vengono sostituiti con i Centri di assistenza primaria territoriale e i pochi che restano depotenziati e lasciati con gravi carenze di personale e di risorse tecniche e strumentali; Di conseguenza, i fallimenti del Piano di rientro gestito da Scopelliti hanno sostanzialmente messo in discussione il diritto costituzionale alla salute in Calabria; L’8 aprile 2013, al termine della riunione congiunta del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, è stato redatto un verbale che cozza palesemente con quanto asserito dal commissario Scopelliti che ha recentemente dipinto un quadro in crescita ovunque per l’intera sanità regionale; Nella suddetta riunione dell’8 aprile scorso, è emersa la scarsa omogeneità dei livelli Lea, con una forte sperequazione dell’offerta sanitaria: in Calabria, insomma, non sono nemmeno garantiti i livelli minimi di assistenza con una conseguente situazione di emergenza sanitaria e di smantellamento dell’offerta sanitaria; Inoltre, l’8 aprile scorso, il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e il Comitato permanente per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza hanno evidenziato il gravissimo ritardo riguardo agli interventi connessi all’erogazione delle prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza, invitando il commissario, al fine di evitare che si creino i presupposti di cui all’art. 2, comma 84, della legge 191/2009, ad attuare tempestivamente ogni utile azione necessaria per garantire l’erogazione dei Lea in maniera uniforme sul territorio regionale; In Calabria, la dotazione di posti letto per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie risulta pari a circa 0,4 posti letto per 1.000 residenti al 1° gennaio 2013, inferiore al valore di riferimento (0,7) del decreto Legge 6 luglio 2012, n. 95. Risulta carente l’assistenza domiciliare e l’assistenza residenziale e semiresidenziale rivolta ad anziani, disabili e ai malati terminali, ed è stata constatato un ritardo sul cronoprogramma per il
processo di riconversione delle strutture ospedaliere in più appropriate strutture territoriali; La Calabria presenta altresì diverse criticità nell’erogazione di servizi afferenti all’area della prevenzione, con particolare riferimento al settore degli screening oncologici; Come risulta dai verbali di Tavolo e Comitato delle riunioni di verifica del Piano di rientro della Regione Calabria, il servizio sanitario regionale della Calabria continua a presentare un rilevante disavanzo cumulato dagli esercizi pregressi che deve ancora trovare una copertura e che annualmente viene riportato a nuovo nel risultato di gestione dell’anno corrente; Pertanto, in ragione dei disavanzi pregressi che non hanno trovato adeguata copertura, per la Regione Calabria si sono realizzate le condizioni per l’applicazione degli automatismi fiscali previsti dalla legislazione vigente, vale a dire l’ulteriore incremento delle aliquote fiscali di Irap e addizionale regionale all’Irpef, per l’applicazione del blocco automatico del turn over del personale del servizio sanitario regionale fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in corso e per l’applicazione del divieto di effettuare spese non obbligatorie per il medesimo periodo; Inoltre, le azioni intraprese dalle aziende per il 2012 non hanno avuto effetti apprezzabili dovuti ad una parziale applicazione della norma c.d. Spending Review in particolare per i servizi; Il Piano prevedeva la conclusione delle procedure di accreditamento definitivo delle strutture, ma le criticità evidenziate ad oggi non risultano superate; Infine, ma non per ordine di importanza, il Tavolo
tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e il Comitato permanente per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza hanno ritenuto non risolte le criticità correlate alla necessità di un comportamento collaborativo tra struttura regionale, commissario e sub commissari; Visto l’art.2, comma 84, della legge n.191/2009 che prevede che qualora il presidente della Regione, nominato commissario ad acta per la redazione e l’attuazione del piano, non adempia in tutto o in parte agli obblighi, il Consiglio dei ministri, adotta tutti gli atti necessari ai fini della predisposizione del piano di rientro e della sua attuazione. La stessa norma prevede che, nei casi di riscontrata difficoltà in sede di verifica e monitoraggio nell’attuazione del piano, il Consiglio dei ministri, sentita la Regione interessata, nomina uno o più commissari ad acta di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza in materia di gestione sanitaria per l’adozione e l’attuazione degli atti indicati nel piano e non realizzati. Tutto ciò premesso si intende sapere: il Governo sia a conoscenza di quanto so·praSedenunciato e che in Calabria sta diventando sempre più complicato garantire ai cittadini i Livelli Essenziali di Assistenza; Che cosa intenda fare al fine di evitare il collasso del sistema sanitario calabrese; Se il Governo, alla luce dei risultati del tavolo tecnico dell’8 aprile 2013, non intenda ai sensi dell’art. 2, comma 84, della legge 191/2009 rimuovere il Presidente della Regione Calabria dal suo incarico di commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro del disavanzo sanitario.
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Sabato 18 Maggio 2013
Mezzoeuro Sanità, un Piano di uscita per Scopelliti
A rischio l’unica unità di Epatologia esistente nella regione, quello dell’azienda Mater Domini di Catanzaro
Un faro che non può spegnersi al Ministro della Salute
da Nicodemo Oliverio e Brunello Censore
interrogazione a risposta scritta Per sapere, premesso che - nella Regione Calabria è attualmente attiva, produttiva, funzionante, un’ “Unità operativa di epatologia” presso l’Aazienda ospedaliera “Mater Domini”- policlinico di Catanzaro (vedi sito aziendale ); - la suindicata Uoc di Epatologia è a direzione ospedaliera ed è compresa nella Convenzione del 1986 fra Regione Calabria ed Università, inoltre compresa nel protocollo d’intesa attualmente in vigore tra Regione Calabria ed Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaroapprovato con dgr 25/10/2004 n.799 (Bur n.22 parteI-II del 01/12/2004) modificato/integrato dalla Dgr 23/9/2005 n. 822; riconfermata anche nel decreto dir. gen. reg. Cal. n. 17621 del 21/11/2005 (detto decreto Fallace) che ha stabilito il trasferimento anche dell’Uo di Epatologia dalla vecchia sede (loc. Gagliano Cz) al nuovo del nuovo policlinico di Germaneto-Catanzaro ; - l’Uo di Epatologia è “unica in Calabria” una realtà di eccellenza ben strutturata con 11 posti letto per ricoveri ordinari e day hospital, day service ed ambulatorio specialistico, servizio ecografia diagnostica-interventistica, endoscopia digestiva, consulenza ad altri reparti ed ospedali; - l’Uo è un reale punto di riferimento specialistico per molti malati calabresi affetti da malattie del fegato ed è molto utile per il management del pre-post trapianto epatico -in una regione ove non vi è il Centro trapianti fegato ed ove i dati epidemiologici evidenziano un aumento delle malattie epatiche (soprattutto epatiti da virus C e B, cirrosi epatiche legate ad alcolismo-malattie metaboliche-obesità-virus, tumori del fegato); - l’Uo dispone di risorse umane con consolidata esperienza professionale e competenza nel campo delle malattie epatiche, personale che ha eseguito aggiornamento e stages presso Centri di epatologia e trapianti fegato inviato secondo programmi di sviluppo dell’Azienda; è ben inserita nel nuovo policlinico universitario di Catanzaro ove, per la presenza di alta tecnologia ed il confronto tra varie discipline, possono essere meglio diagnosticate e curate le malattie di fegato- soprattutto quelle complicate/complesse/rare - contribuendo a ridurre i disagi dell’emigrazione in altre regioni per motivi di salute; - l’Uo è tra le più produttive in ambito aziendale, un aspetto positivo per l’economia/gestione/sviluppo aziendale; considerato che - nel decreto presidente giunta Regione Calabria nella qualità di commissario ad acta n. 136 del 28 dicembre 2011 (pubblicato sul Burc n. 2 parte I-II del 01/2/ 2012 , precisamente nello schema foglio allegato n.3 , la dizione Uo di “Epatologia” è sostituita nel suo rigo , in modo non chiaro e non motivato- con la dizione generica di “ Gastroenterologia”; (vedi decreto) ; ritenendo che possa quindi trattarsi di un refuso - più che di un atto arbitrario - dovuto anche al fatto che la disciplina di Epatologia non viene indicata nel dpr 136/2011 con il suo”codice 58.01” aziendale ma con quello più semplificato di “codice 58 “ corrispondente però alla dizione più generica della disciplina di gastroenterologia., - non potendosi privare i malati calabresi dell’unica Uo di Epatologia esistente nella regione per imprecisione lessicale o per un mero errore di trascrizione; precisando che - nell’azienda “Mater Domini” Policlinico di Catanzaro esiste l’Uoc. di Epatologia a direzione ospedaliera, disciplina specialistica produttiva, punto di riferimento giornaliero per molti malati provenienti da tutta la Calabria ove i dati epidemiologici indicano un aumento delle malattie epatiche ; - una soppressione, o un suo ridimensionamento a semplice servizio della Medicina Interna, non troverebbe giustificazione ed arrecherebbe disorientamento tra i malati con aumento delle migrazioni in altre regioni, oltre a non valorizzare le professionalità esistenti, - nel richiamato dpgr Calabria n. 18/2010 riferito allegato 7 (riordino rete ospedaliera) e nel Dpgr Calabria n. 106/ 2011 non è riportato alcuna menzione nè motivazioni circa un’eventuale cambiamento da U.O. di Epatologia a quella di Gastroenterologia; - non può esservi soppressione dell’ Epatologia per eventuali esigenze di didattica e ricerca , anche perchè l’Uo di Epatologia dell’azienda ospedaliera “Mater Domini” è a direzione ospedaliera; - nell’azienda ospedaliera “Mater Domini” non esiste un’ Uo di Gastroenterologia ; un’ Uo di Gastroenterologia è però presente nella vicina “Fondazione T. Campanella” insita nello stesso policlinico di Catanzaro; - altre Gastroenterologie esistono in Catanzaro presso l’azienda ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”e presso l’azienda sanitaria provinciale; - l’ipotesi di sopprimere/ridimensionare/sacrificare l’unica U.O. di Epatologia esistente in Calabria per far posto ad un’altra Gastroenterologia nel policlinico sarebbe incomprensibile, ancor più incomprensibile se si riflette che nella sola città di Catanzaro si avrebbero così quattro Gastroenterologiementre il dprc n. 106 del 20/10/2011 (pubblicato sul Bur del 16/11/2011 parte I e II pag.42169) prevede l’obbligo di “non avere duplicazioni di Unità operative” nell’ambito dell’azienda” Mater Domini”-Fondazione “T. Campanella”-azienda “Pugliese Ciaccio” di Catanzaro; - un errore o un refuso può essere forse dovuto, per come già detto, al fatto che la disciplina di Epatologia e quella di Gastroenterologia hanno (quasi) lo stesso numero di “codice 58”; d’altro canto che possa trattarsi di un errore lo dimostra anche il fatto che nel dpr 136/2011 sono sempre indicati n. 11 posti letto (ossia quelli attualmente assegnati all’Uo di Epatologia dal decr. dir. gen.reg. Cal. n. 17621 del 21/11/2005); comunque è inequivocabile che nell’azienda ospedaliera “Mater Domini” esista attualmente l’unità operativa di epatologia attiva, produttiva, utile per i malati calabresi. Tutto ciò premesso si chiede di sapere - quali iniziative si intenda intraprendere, per quanto di competenza, affinchè la Regione Calabria non si privi dell’unica Uo di Epatologia esistente in Calabria , confermi la permanenza a pieno titolo dell’Uo di Epatologia esistente nell’azienda “Mater Domini”- policlinico di Catanzaro a direzione ospedaliera, unica eccellenza per le malattie del fegato, riferimento per tanti malati calabresi, valorizzando le risorse già esistenti; - se sia necessario, in autotutela, favorire la correzione dell’errore lessicale contenuto nel dprg Calabria n.136/2011 confermando l’Uo. suindicata nella più corretta dizione di “Uo di”Epatologia”.
L'intervento dei deputati Oliverio e Censore Il caso sollevato per la prima volta lo scorso anno in Parlamento da Franco Laratta che aveva chiamato in causa la Regione
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Mezzoeuro Non basterebbe un libro
di Giuseppe Aprile
è facile avere coraggio. Invocare il parlare, denunciare, resistere, partecipare alle manifestazioni antimafia, è semplicemente propaganda fino a quando, nei confronti dello Stato, non si ha il coraggio di proporre soluzioni, di additare suoi limiti e sue responsabilità, sue colpe gravi e storiche; fino a quando i giudici sono lasciati nell’isolamento sul piano legislativo e su quello operativo; fino a quando l’antistato è più forte.
Reggio, ore 18,50. Qualche ora precedente a quella in cui, in piazza Italia, Strill-Reggio, avrebbe parlato Roberto Saviano. Presente Federico Cafiero De Rao, il nuovo Procuratore della Repubblica del Tribunale di Reggio Calabria. Il primo, ottimo e coraggioso scrittore, autore di Gomorra; e il secondo, nuovo e tanto atteso procuratore della Repubblica. Tre ore dopo, delusione notevole: a parte la presenza del procuratore De Rao, l’esposizione dello scrittore l’ho trovata di insufficiente interesse. Spesso cose trite e ritrite, anche se il pubblico era accorso perché in tema di collusione mafia-politica, la gente si aspettava specifiche esposizioni, soprattutto visto il dominio locale di un conformismo di opinioni che stanno rischiando di confondere con idee che sul piano locale stentano a venire fuori, responsabilità mafiose con quelle squisitamente amministrative.
Se Saviano sapesse... Le prime acclarate fino al punto che l’amministrazione comunale è stata sciolta per mafia, nel mentre è in piedi la grande questione delle condizioni disastrose sul piano economico di questa città che di fatto è dissestata e priva di ogni risorsa, ricorrendo a far pagare quotidianamente ai cittadini gli sperperi della zona grigia, di una politica e di funzionariato davvero singolare, anche nei suoi rapporti con l’amministrazione. I cittadini di Reggio sanno che gli sperperi sono il danno causato da amministratori incoscienti ed incapaci e sanno pure dove, come e perchè la città è indebitata fino al punto che non si trovano nemmeno i soldi per la normale amministrazione. Tutta la città è piena di immondizia, tanto che la Napoli di qualche anno addietro è riferimento costante. Le autorità sanno della maturazione, in città, di un clima che rischia di mettere in difficoltà l’ordine pubblico. Siamo i primi, noi, che ci complimentiamo con le forze rappresentative dello Stato. A patto, però, che la calma non si fondi su una rinuncia da parte degli spazientiti cittadini, nel mentre la politica continua i suoi processi di degenerazione che vede la città in ginocchio ed i responsabili dello sfascio pubblico quasi disinteressati e alle prese con ulteriori passi di carriera politica, protagonisti di degenerazioni di pensiero, fino a far confondere i colpevoli con i cittadini destinatari della disamministrazione che non comincia sicuramente con il tempo di Demetrio Arena, ma che ha le sue radici in tutti gli anni di gestione Scopelliti che hanno voluto far passare per “modello Reggio” nel mentre si trattava, di fatto, di “modello peggio”. Siamo al punto che le strade sono piene di buche, e ad ogni angolo vi è un ammasso di spazzatura e montagne di rifiuti, alte tre metri e lunghe circa quindici. Nel mentre qualche buon cittadino è contravvenzionato da uomini della Reges, perché i rifiuti si buttano nei cassonetti solo ad orario previsto. E fioccano decreti ingiuntivi da parte di imprese e professionisti che hanno diritto ad avere gli emolumenti per le loro prestazioni ed il loro lavoro. Sta avvenendo, in questa città, che chi ruba sta in pace e il cittadino paga per tutti. La serata con Saviano ha avuto tre fattori positivi. Il nuovo presidente del Tribunale, De Rao, accolto ad ogni sua frase da applausi del pubblico, a dimostrazione dell’attesa che c’è per l’immane e difficile lavoro che lo attende; la grande efficacia sulla proposta di Strill come dibattito sulla criminalità a Reggio; e il dire di Saviano. Ma quella di
Riporto il titolo di un articolo di prima pagina della fine degli Anni sessanta, del mio defunto amico Franco Martelli, fondatore di questo giornale, e pubblicato, allora su Il Gazzettino del Jonio, all’indomani della strage di piazza Mercato a Locri: “A Locri, come ad Orgosolo, l’antistato è più forte”. Poco possono carabinieri, finanza, polizia. Tutti sappiamo che spesso i carabinieri arrestano e, dopo poco tempo, i pregiudicati diventano cittadini normali ed in piena libertà, elettori e candidati, amministratori, sindaci, assessori e parlamentari. Tanto, fino a quando la sentenza definitiva arriva, avranno finito e come, i tempi di durata della legislatura. «Fino a quando non si ha la sentenza definitiva (tre gradi di giudizio) l’imputato è da considerarsi innocente!» (questo dice la legge italiana). Anche in politica può valere questo? Roberto Saviano
Il coraggioso scrittore è stato a Reggio, discorsi interessanti come sempre i suoi, ma qui da noi purtroppo è tutta un’altra storia Saviano, dev’essere un’analisi superiore e di maggiore aggressività rispetto alle ragioni ed ai responsabili del degrado. Non sempre convincente come tesi che espone; almeno per quanto riguarda ciò che ha detto a Reggio, dove abbiamo trovato una certa timidezza che sembrava riflettere un clima classico di una fase dove ministro dell’Interno è un certo Alfano che, stando a quanto si sente, non è stato votato convintamente dal Pd, perché i Pd sanno che sono diversi dal Pdl e che sono al governo per chissà quale esigenza celestiale o storica. Non è votato dal M5S che è sicuramente un’altra cosa. I voti di chi lo sostiene e lo vuole, a parte il minimo Monti che ci sta comunque pur di avere un posto a tavola dopo i disastri combinati in sede finale del suo governo, è il Pdl, ritenuto maggioranza nel mentre rappresenta un elettorato che, da solo, gli ha garantito solo lo stare fuori della maggioranza con l’aggravante che in soli cinque anni, dal 2008 al 2013, ha perso disastrosamente più di sette milioni di voti. Abbiamo un ministro dell’Interno in queste condizioni e dobbiamo subire il suo ruolo ufficiale. Cosa avremmo voluto sentire dire da Saviano? Presto detto. Parlare di legalità in un Paese dove le leggi sono pessime, sconosciute, e da cambiare, è quantomeno riduttivo. In assoluto, in un Paese con vere leggi, basta parlare di legalità. Da noi è altra cosa. La mafia è lì proprio perché questo Stato non ha leggi, non ha codici adeguati, ha bisogno di una grande riforma del potere legislativo (il Parlamento), deve avere una più attrezzata (soprattutto di codici rinnovati) struttura come potere esecutivo nel mondo giudiziario. Gli stessi giudici non hanno gli strumenti di cui avrebbero bisogno. La mafia non dipende dai cittadini onesti e giusti. Costoro la subiscono e quasi sempre non
C’è, ora, la tendenza di invocare un ruolo fondamentale per i cittadini nella lotta alla mafia. Nulla di più inesatto. I cittadini sono tutti contro la mafia e tanti contro la politica, spesso collusa. È lo Stato ciò che i cittadini invocano! Sono le caserme dei carabinieri che spesso sono messe lì, a dimostrazione di uno Stato che di fatto non c’è se non formalmente. Cosa possono fare pochi carabinieri in un paese dove la delinquenza è dietro ad ogni porta di tante case, nei bar, nei locali pubblici, nei municipi, nelle chiese, in ogni via e quasi sempre poco o per nulla appariscente? Facciamo un dato. È vero che tanta criminalità in questi ultimi anni è stata fatta tacere. Ma chi può giurare che oggi la mafia è più debole di prima? Nonostante tanti arresti, corrisponde forse una diminuzione di potere criminale? Chi difende i cittadini colpiti dal potere della ‘ndrangheta? Quando mai una città come Reggio ha avuto i problemi che ha oggi? È vero che quasi sempre c’è stata la ‘ndrangheta, ma una volta questa aveva una incidenza contenibile. Poi è cresciuta fino ad essere, forse, dominante, in modo che coincide (si parla di contiguità!) a volte, con la politica. Il meglio che vada, la politica è affidata in cattive mani o a grande rischio. Sono le carte, le indagini, i magistrati che lo dicono. A Reggio, come si sa, ed in tanti comuni della nostra provincia, il rapporto con la politica è semplicemente così definibile, stando ai dati ufficiali: in collusione o in contiguità. Vogliamo non parlare di rapporti Stato-mafia? Possiamo non farlo se la cosa offende qualcuno. Ma è un dato certo che se lo Stato fosse giusto, garantirebbe leggi adeguate e libertà ai cittadini, e lavoro come recita l’articolo 1 della nostra Costituzione. E non è questione di questo o di quel prefetto, di questo o quel ministro. È la politica degenerata, che determina mezzi e strumenti contro il lavoro, contro il cittadino, per tenerli sudditi; che vive sulla sudditanza dei più ed il potere dei pochi. Non servono le formalità e le parole. Contano i fatti. Oggi la mafia è più forte dello Stato. E cresce sempre di più. Per questo ci ha deluso un pochino il pur onesto e bravo Saviano, la cui attività un pochino invidiamo per il coraggio che esprime e per l’onestà dei sentimenti, il cui impegno e la cui volontà sono fuori discussione. Ma Saviano fa meglio e definitivamente bene se mette come suo interlocutore la politica e il Parlamento. Il popolo può poco o niente, lo Stato può tutto. Il male della criminalità lo hanno determinato e lo determinano in pochi, i danni li paga tutta la gente onesta e laboriosa.
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Sabato 18 Maggio 2013
Con l’acqua alla gola
Pescatori nella rete europea al Presidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco Talarico
Premesso che: - la crisi del settore della pesca vive in Calabria momenti di grande tensione e preoccupazione che, proprio di recente, sono sfociati nella rabbia e nelle proteste disperate delle donne di Bagnara, scese in piazza insieme all’intera cittadinanza per protestare contro le misure adottate dalla Comunità europea in materia di pesca al pescespada; - i disagi dei pescatori sono andati progressivamente aumentando dal gennaio del 2012, con l’applicazione dei nuovi regolamenti Ce sui controlli n° 1224/2009 e 404/2011, assolutamente impraticabili per le imbarcazioni gestite da imprese a carattere familiare, che prevedono la licenza a punti, la marcatura degli attrezzi da pesca, l’installazione di apparati di controllo Blue Box e l’obbligo del giornale elettronico di bordo alle unità da pesca di Lft (lunghezza fuori tutto) comprese tra 12 e 15 metri; - a tutto ciò si sono aggiunte le nuove norme in materia di commercializzazione e tracciabilità dei prodotti del settore con il dm 10/11/2011 che comportano dinamiche documentali a vantaggio delle grandi imprese e l’inapplicabilità alle imprese che praticano la piccola pesca; - la restrittiva normativa e le ultime raccomandazioni della commissione internazionale sui tonni e grandi pelagici n° 09/04 del 2009 e 11/03 del novembre scorso hanno introdotto dal 2008 una serie di norme inique che hanno portato al fermo della cattura del pescespada mediterraneo nei mesi di ottobre e novembre di ogni anno e alla previsione, inoltre, dal 2012, di un altro mese di stop alla cattura con un piano di gestione della risorsa nel 2013 e l’introduzione delle Tac (quote) anche per i Palangari derivanti; - fallimentare si è dimostrata la scelta legata al tonno rosso mediterraneo con l’introduzione del regime delle quote (Tac) e la riduzione annuale delle tac, che hanno escluso molte imprese dell’Italia meridionale che praticano la pesca con i Palangari; - la situazione si è progressivamente aggravata per l’uso della ferrettara - piccola rete derivante - poiché una recente sentenza (l’ultima) ha ristabilito l’efficacia del decreto 1 luglio 2011 dopo che per ben due volte lo stesso decreto, che penalizza pesantemente le marinerie del Mezzogiorno e della nostra regione, era stato sospeso dal Tar del Lazio su impugnativa dei pescatori; Considerato, inoltre, che: - ulteriori disagi sono nati anche dal punto di vista previdenziale poiché dal primo gennaio 2012, con la legge di stabilità, sono aumentati i contributi che dallo sgravio dell’80% sono passati al 60% per tutto il 2012, e poi al 70% nel 2013, aumentando ulteriormente il costo del lavoro per le imprese; - l’attuale regime previdenziale e assicurativo esclude i lavoratori della piccola pesca da tutti gli
La crisi del settore ittico in Calabria è allarmante soprattutto dopo i nuovi regolamenti Ce sui controlli, interrogazione dei consiglieri regionali Guccione e De Gaetano ammortizzatori sociali relegandoli, di fatto, a un regime pensionistico basso, tale da costringere buona parte dei pescatori pensionati a continuare a lavorare, con ulteriore peggioramento della propria condizione personale e sociale; - soprattutto sulle piccole imprese di pesca incidono pesantemente anche i costi della burocrazia del settore e il rapporto molto spesso conflittuale con le Autorità preposte alla gestione della pesca (autorità marittime, autorità di controllo, autorità sanitarie, ecc.) che spesso hanno modi e metodi non coordinati e differenti nell’applicazione di norme che invece dovrebbero essere comuni;
fatto, ha già decentralizzato la gestione di molte competenze, demandandole alle Regioni; - venga attuato definitivamente il passaggio delle competenze sulla gestione delle licenze per la pesca costiera dal ministero delle Politiche agricole alle Regioni e portato a 25 miglia dalla costa il limite delle acque nazionali; - si possa coniugare, anche nell’ambito della Politica comunitaria, la gestione delle risorse acquatiche del proprio territorio con l’aspetto occupazionale ed economico delle attività di mare da sempre legate agli usi e alle consuetudini locali; - si attui con urgenza una reale ed indispensabile inversione di tendenza, introducendo politiche innovative e condivise che tengano conto delle realtà locali per evitare la caduta verticale dei livelli occupazionali senza alternative ad un settore che si tramanda da padre in figlio accumulando competenze ed esperienza; - la Commissione europea sviluppi un’azione forte e immediata per decidere e attuare una politica alternativa a quella attuale che si è dimostrata sbagliata nell’area del Mediterraneo dove gravitano quattordici Paesi che non fanno parte della Unione europea;
- considerevoli sono i ritardi delle Amministrazioni Regionali nell’attuazione del Fondo europeo pesca (Fep) necessario per l’ammodernamento e l’innovazione del settore e che, in Calabria, è mancata addirittura la concertazione nell’attuazione del Fep sia con il sindacato che con i pescatori non organizzati nelle associazioni di categoria;
- sia prevista per legge la presenza e la partecipazione dei rappresentanti degli operatori della pesca negli organismi e nei tavoli decisionali europei e nazionali in cui vengono discusse le problematiche del settore;
Auspicato, infine, che:
- quali iniziative e strumenti si intendono adottare per dare corso agli impegni assunti e da assumere nei confronti di un settore che rischia l’estinzione e per superare, nel più breve tempo possibile, i gravi ritardi che la Regione ha accumulato nei confronti dei lavoratori e delle imprese della pesca, individuando un percorso che consenta a centinaia di famiglie addette al comparto di poter continuare a svolgere un’ attività che contribuisce in modo significativo alla crescita del prodotto interno lordo calabrese.
- venga rivista al più presto la politica europea sulla pesca e superati i ritardi e le disattenzioni ministeriali, in modo da armonizzare le normative del settore e attuare politiche adeguate tese a salvaguardare i livelli occupazionali e a rendere compatibile economicamente, socialmente e ambientalmente lo sforzo di pesca; - la Regione Calabria, alla stregua di altre regioni, si doti celermente di apposite leggi per la regolamentazione della pesca nell’ambito delle acque territoriali (miglia 12), previsto dalla modifica del titolo V della Carta costituzionale che, di
Si chiede alla S.V.
i consiglieri regionali Carlo Guccione Antonino De Gaetano
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Sabato 18 Maggio 2013
Mezzoeuro Turismo, si prepara il terreno
Ora si punta sui boschi Approvata dal Consiglio regionale della Calabria l’iniziativa legislativa per la tutela, conservazione e valorizzazione delle risorse forestali calabresi di Giovanni Perri*
È stata approvata dal Consiglio regionale della Calabria l’iniziativa legislativa finalizzata alla tutela, conservazione e valorizzazione delle risorse forestali calabresi, articolata in modo tale da favorire una nuova politica forestale, nell’ambito della quale saranno incentivate iniziative progettuali atte a valorizzare le risorse forestali regionali, con prevedibili vantaggi per lo sviluppo socioeconomico del territorio. Sicuramente sortirà effetti positivi sullo sviluppo socio-economico della Calabria, anche grazie al ruolo, alle funzioni ed ai compiti che svolgeranno i rappresentanti del Comitato tecnico d’indirizzo, nominati dalla giunta regionale e dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, il cui organismo supporterà la definizione delle linee generali di indirizzo strategico, vigilerà sulla loro attuazione e ne verificherà il conseguimento degli obiettivi relazionando periodicamente sull’attività pianificatoria all’organo esecutivo della Regione Calabria. In Calabria, nel settore della forestazione, varare un piano triennale con una serie di interventi mirati all’utilizzo ottimale dei circa ottomila operai idraulico-forestali, così come ha avuto modo di affermare e convintamene sostenere l’assessore all’Agricoltura e Forestazione, Michele Trematerra, riveste importanza strategica per lo sviluppo socio-economico e la sicurezza fisica del territorio, ma anche e soprattutto per prevenire i danni che nel passato hanno spesso flagellato l’intera Regione. I circa 600.000 ettari di bosco della Calabria costituiscono una risorsa, nell’ambito della quale si concentrano ricchezze naturalistiche ed ambientali, che turisti studiosi e viaggiatori amano scoprire ed apprezzare. Nelle aree boscate vivono specie vegetali ed animali, la cui diversità e specificità è dovuta essenzialmente alle diverse realtà micro-climatiche e ad una variabilità di condizioni podologiche presenti in lungo ed in largo in tutta la superficie territoriale calabrese quali il versante jonico, il tirrenico e l’entroterra collinare e montano. Oggi, facendo tesoro di queste risorse, migliorando l’offerta turistica ed agrituristica, organizzata e sviluppata con appositi itinerari da offrire all’attività del tempo libero ed allo svago, si può privilegiare il soggiorno di tanti visitatori, consentendo loro di assaporare i “sani principi” della vita in campagna e tra i boschi, apprezzare le bellezze naturalistiche ed ambientali. Affinché quanto sopra auspicato diventi realtà è necessario governare bene il territorio ed attuare una attenta politica di difesa del suolo finalizzata a ridurre i fenomeni franosi con iniziative progettuali idraulico-agrarie ed idraulico-forestali, unitamente alle buone pratiche agricole che ridu-
Giornata di studio organizzata da Regione e Provincia di Cosenza
cono l’erosione dei suoli, impedendo altresì il dissesto e l’impoverimento dei territori. Necessitano perciò da parte della nuova azienda forestale, unitamente alla soppressione delle Comunità montane e alla ridefinizione dei ruoli e dei compiti da assegnare ai Consorzi di bonifica, iniziative progettuali finalizzate ad incoraggiare gli operatori agricoli e forestali ad una visione condivisa nel portare avanti interessi generali e territoriali, ma anche s soprattutto di svolgere un ruolo multifunzionale che il settore forestale può e deve svolgere nei confronti della stabilità fisica del territorio e dell’ambiente. L’utilizzo razionale degli operai forestali, con una attenta politica di assetto territoriale e di difesa del suolo può veramente contribuire a ridurre la portata e la velocità dello scorrimento delle acque superficiali che scorrono da monte verso valle, svolgendo così un’azione di prevenzione idrogeologica capace di contenere l’erosione dei suoli, soprattutto di quelli sciolti, sabbiosi e carenti di copertura vegetale, soggetti pertanto a movimenti franosi di una certa intensità e gravità * dottore agronomo
Strumenti urbanistici è il momento delle strategie
Mezzoeuro
Sabato 18 Maggio 2013
Turismo, si prepara il terreno
Su iniziativa del dipartimento “Urbanistica e Governo del territorio” della Regione Calabria, congiuntamente alla Provincia di Cosenza si è svolto una giornata di studio sullo stato di avanzamento dei Psc (Piano strutturali comunali) e Psa (Piano strutturali associati) in attuazione della legge urbanistica regionale n. 19/02 e s.m.i. L’obiettivo del seminario è stato incentrato sulla necessità di arrivare a condividere quanto più possibile in maniera unitaria gli indirizzi fra le amministrazioni comunali, provinciali e la Regione Calabria, le linee di indirizzo generale per quanto attiene le scelte strategiche, le tecniche e le buone pratiche inerenti la formazione degli strumenti urbanistici in itinere. I lavori sono stati aperti dagli interventi introduttivi dell’assessore all’Urbanistica e Territorio della Provincia di Cosenza, Leonardo Trento, da Saverio Putortì, direttore generale del dipartimento Urbanistica e Territorio della Regione Calabria, da Luciano Garella, soprintendente Bap delle Province di Cosenza, Catanzaro e Crotone, mentre la relazione introduttiva è stata svolta da Giovanni Greco, dirigente settore programmazione e gestione territoriale della Provincia di Cosenza. Dalla panoramica emersa dall’insieme degli interventi è emerso l’idea, come una sorte di unico comune denominatore, di attribuire notevole valenza ambientale, culturale, storica e sociale che la pianificazione urbanistica e territoriale è in grado di inglobare, unitamente alle strategie da mettere in atto affinché tutti i Comuni, sotto forma di Psa e/o Psa, soprattutto per chi non lo avesse ancora fatto, di adempiere entro il prossimo perentorio termine di scadenza del 19 giugno 2013, almeno all’adozione in Consiglio comunale del documento preliminare conoscitivo. In alternativa a ciò, per i Comuni inadempienti, dopo tale scadenza scatteranno le norme di salvaguardia con la nomina dei “commissari ad acta”, con i relativi opportuni provvedimenti di competenza per adempiere a quanto previsto dalla lr n. 19/02 e s.m.i., con il probabile rischio di essere successivamente penalizzati ed essere esclusi dagli eventuali benefici finanziari in materia di godimento dei benefici finanziari previsti dalla prossima programmazione dei fondi comunitari dell’Ue per il settennio 2014-2020. In considerazione di tali sottolineature e di altre notizie fornite a tutti i partecipanti, il seminario è stato molto interessante e coinvolgente anche per le altre sottolineature che hanno evidenziato l’individuazione dei criteri, le metodologie e le tecniche di gestione del territorio sotto l’ottica ambientale, agronomica
e paesaggistica, soprattutto la manutenzione delle aree a verde e degli spazi urbani e periurbani, quale elementi di ricucitura fra città e campagna. Successivamente è stato dato spazio agli interventi programmati che si sono così susseguiti: Paolo Galletta, dirigente sev.1 - dip. urbanistica Regione Calabria, Traina Russo, dirig. serv. 5- dip. Urbanistica Regione Calabria e Salvatore Siviglia, segretario generale Abr, che hanno trattato specificatamente le seguenti problematiche: partecipazione attiva nei processi di pianificazione locale, perequazione e città pubblica. In seguito sono stati illustrati i contenuti e le line strategiche del Piano struttturale associato della Sibaritiche, che comprende i Comune di Rossano, Calopezzati, Cassano Ionio, Corigliano Calabro e Crosia, curato dal gruppo di lavoro: F. Rossi, S. Stangellini, B. Tenuta e F. Sammicheli. I lavori sono stati moderati e coordinati da Ferruccio Lione, - dip. Urbanistica Regione Calabria. La giornata di studio, che ha visto il coinvolgimento delle diverse figure professionali: agronomi architetti, ingegneri e geologi,oltre che numerosi sindaci, assessori e dirigenti degli uffici tecnici comunali ed altri dirigenti di enti territoriali, è stata interessante, soprattutto sull’esigenza inderogabile di porre la dovuta attenzione alla pianificazione delle problematiche ambientali, agli aspetti idro-geologici e alla necessità di limitare e contenere del consumo del suolo agricolo e forestale. Dai diversi interventi è stata sottolineata l’esigenza di porre la dovuta attenzione al pieno rispetto delle regole più elementari in materia di pianificazione urbanistica e territoriale, affinché vengano privilegiate - tra l’altro - le politiche virtuose di riequilibrio territoriale con l’obiettivo di tutelare, salvaguardare e valorizzare, in primis, le aree agricole di elevato valore agronomico e ambientale, interessate da fenomeni di spopolamento e di emarginazione economica. In tal modo i Comuni con i Psc/Psa avranno così buone opportunità di controllare e limitare il consumo di ulteriori suoli agricoli pianeggianti e collinari, spesso fertili e sensibili dal punto di vista agricolo e ambientale, utilizzando per la realizzazione di nuove opere strutturali e infrastrutturali, le aree già urbanizzate o in via di urbanizzazione, peraltro caratterizzate da modesta valenza agronomica produttiva e non soggette a particolare forme di tutela ambientale e paesaggistica. G.P.
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Mezzoeuro La campagna di change.org
di Laura Venneri
parte esterna costituita da un processore retroauricolare trasmette i suoni agli elettrodi per farli arrivare al cervello.
#iosegno è l’ashtag, simbolo di una mobilitazione nazionale, lanciato da change.org per il riconoscimento della lingua dei segni come lingua ufficiale dello Stato italiano. Un gruppo di ragazzi sordi si è mobilitato e la vicenda è diventata un ‘caso’ anche con risvolti politici. Ma andiamo per ordine... Secondo la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 13 dicembre 2006 e firmata dall’Italia il 30 marzo 2007 la Lis, Lingua italiana dei segni, dovrebbe essere già riconosciuta. Oltre 44 Paesi, dagli Stati Uniti all’Iran, dalla Francia alla Cina hanno adottato una lingua ufficiale dei segni. Eppure in Italia gli audiolesi sono circa 5 milioni, dei quali almeno 60.000 sordi perlinguali. I giovani di #iosegno hanno scritto per sollecitare l’attenzione delle autorità sia al presidente della Camera Boldrini sia al presidente del Senato Grasso; entrambi si sono impegnati per accelerare l’iter di approvazione di una legge che garan-
Anche noi vogliamo dire la nostra tisca il riconoscimento della Lis. Eppure c’eravamo quasi. Il 16 marzo 2012 la Commissione Affari costituzionali del Senato aveva approvato all’unanimità il disegno di legge in un testo unificato (sulla base dei Ddl 37, 831, 948, 1344, 1354, 1391), passato in discussione alla commissione Affari sociali della Camera. Purtroppo non si è mai arrivati alla definitiva approvazione. La campagna di change.org ha smosso le coscienze e in tanti si sono schierati convintamente per colmare questa lacuna di civiltà. Per citare solo i calabresi, Franco Bruno ha presentato un disegno di legge alla Camera dei Deputati, e il consigliere regionale Magarò un ordine del giorno in assemblea. Ma sono tanti soprattutto gli esponenti del mondo dello spettacolo che hanno preso a cuore la petizione di change.org basti pensare all’emozionante ‘applauso sordo’ del concerto del Primo maggio con Daniele Silvestri e i ragazzi di Radio Kaos. Sembrerebbe tutto in discesa ma non è così, i risvolti e le difficoltà sono tante e non dettate solo dall’atavico ritardo del nostro Paese sui diritti. Valeria è una delle sostenitrici della battaglia per il riconoscimento della Lis a livello locale, per il suo impegno diretto, e a livello nazionale insieme ai suoi amici di Radio Kaos. AValeria voglio chiedere di raccontarci come stanno le cose. Come nasce il suo impegno per sostenere i diritti degli audiolesi e quindi il riconoscimento della Lis? Mio figlio ha 16 anni ed è sordo dalla nascita. La diagnosi è stata fatta quando lui aveva un anno. Era considerata una diagnosi precoce sedici anni fa. Ora la sordità può essere diagnosticata sin dalla nascita effettuando uno screening sul neonato nei primi mesi di vita. Protesizzazione e oralismo erano le uniche vie possibili. L’oralismo è un percorso basato sull’apprendimento del linguaggio attraverso l’utilizzo dei residui uditivi adeguatamente amplificati con le protesi. Attraverso percorsi logopedici lunghi e tortuosi i bambini sordi
Battaglia per il riconoscimento della lingua dei segni come lingua ufficiale dello Stato italiano. La mobilitazione di un gruppo di ragazzi sordi. La vicenda è diventata un caso con risvolti politici imparano la Lingua italiana orale. Successivamente mio figlio è stato impiantato. Si sente parlare spesso di impianto cocleare o orecchio bionico. L’impianto cocleare è un dispositivo tecnologico formato da elettrodi che, impiantati nell’orecchio interno, vanno a svolgere la funzione uditiva, una
Come arriva alla Lis? Noto ad un certo punto della rieducazione logopedica che mio figlio apprende la lingua ma in modo innaturale, come una sorta di addestramento, che lo conduce a tenere separati pensiero e linguaggio: impara le parole ma non sempre riesce a cogliere il vero significato. Mi confronto con gli esperti e scopro un’altra realtà: la lingua dei segni è la lingua che il sordo apprende in modo naturale, la lingua orale è acquisita. Per capire questo concetto bisognerebbe essere udenti in un mondo di sordi. Certo è che la concettualizzazione del pensiero per il sordo è più naturale attraverso il segno perché il loro canale comunicativo prevalente è quello visivo. Per capirci: quando noi apprendiamo una lingua straniera, impariamo le espressioni sintattiche e verbali, produciamo parole e suoni, ma continuiamo a pensare nella nostra lingua. Capito questo ho chiesto un’assistente alla comunicazione quando mio figlio frequentava la scuola media, ma c’è stata opposizione da parte del corpo docente e dell’equipe sociopsicopedagogica. Consideravano questo un passaggio indietro, rispetto all’evoluzione che mio figlio aveva avuto nell’apprendimento del linguaggio attraverso l’impianto cocleare. Ho capito che l’umanità che ci stava intorno non era pronta ad accogliere la nostra diversità e pretendeva il nostro adattamento. Quali sono gli ostacoli al riconoscimento della Lis? Credo che ci siano piccoli poteri in ballo. Ma, al di là di tutto, la disinformazione è lo scoglio più difficile da superare e poi ci sono motivazione di ordine culturale, l’educazione all’accoglienza della diversità come dono. Eppure c’è una straordinaria attenzione nei vostri confronti e anche delle belle iniziative. Chi sono i ragazzi di Radio Kaos saliti sul palco con Daniele Silvestri? Tutto nasce da un incontro casuale tra alcuni componenti di Radio Kaos Italy e alcuni ragazzi sordi segnisti. Il primo impatto tra loro si consuma tra fascino e stupore. È così. La lingua dei segni rapisce gli udenti e li porta oltre. Antonio Ricci, direttore della radio, si inventa Radio Kaos Italis, la prima radio di sordi per udenti. La prima trasmissione è “Lissa la notizia”, un video giornale satirico in Lis. L’obiettivo principale era abbattere le barriere tra sordi e udenti. Devo dire che ci sono riusciti! è così che tra una difficoltà e l’altra sono arrivati sul palco del concerto del Primo maggio con Silvestri che è la celebrity che sostiene la campagna per l’ufficializzazione della Lis. Ma ce ne saranno altri... Vuole approfittare delle pagine di Mezzoeuro per lanciare un appello anche ai politici locali? La politica locale, nazionale ed internazionale, deve essere soprattutto politica che garantisca i diritti umani. Ma forse, anche questo, è un concetto che l’umanità di questo secolo non è pronta ad accogliere. Pensi che, le assistenti alla comunicazione spesso non vengono nominate perché il Comune o la Provincia, enti deputati alla loro nomina, non hanno fondi sufficienti per remunerare la loro prestazione inoltre, esistono svariati progetti presentati alla Regione Calabria per far partire corsi Lis, ma non sono mai stati presi in considerazione, è facile capire che siamo molto lontani dall’affermazione dei diritti umani come principali diritti da tutelare. La petizione lanciata da Change.org e da RadioKaosItalis percorre altre strade. Approfitto per ricordare che tutti possono sottoscriverla visitando il sito www.change.org #iosegno.
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Le verità nascoste
Vi racconto lafalceeilmartello “Storia segreta del Pci” l’ultimo libro del sociologo Rocco Turi, l’unico volume che ricostruisce la genesi politica e la storia del complotto internazionale che portò al rapimento dell’onorevole Aldo Moro, contestando le tesi “politicamente corrette” apparse fino ad ora di R.C.
È l’unico volume che ricostruisce la genesi politica e la storia del complotto internazionale che portò al rapimento dell’onorevole Aldo Moro, contestando le tesi “politicamente corrette” apparse fino ad ora in una miriade di pubblicazioni. Storia segreta del Pci è il libro più documentato, l’ultimo atto di una vicenda descritta attraverso migliaia di carte ufficiali del Governo italiano (che solo Wikileaks, probabilmente, avrebbe pubblicato) e attraverso il racconto di numerosi osservatori diretti e partecipanti, come i partigiani italiani fuggiti dal nostro Paese - residenti in Cecoslovacchia - e personalità della nostra ambasciata a Praga. Rudolf Barak, ex ministro
dell’Interno cecoslovacco negli Anni cinquanta che mai aveva accettato di incontrare uno studioso straniero - confermò personalmente a Rocco Turi che i partigiani italiani furono al servizio del Kgb e della polizia segreta cecoslovacca. Negli otto anni del Ministero di Rudolf Barak (1953-1961) i nostri partigiani furono proprio al suo servizio. L’eredità fu raccolta dai suoi successori in tutti gli anni della Guerra fredda e la Cecoslovacchia fu meta per l’addestramento di terroristi provenienti da tutto il mondo.
Rocco Turi,ilcaso letterariodell’anno?
Dire bravi ai “ragazzi” di Florindo Rubbettino è davvero molto retorico e forse anche superfluo, ma devo riconoscere che a Soveria Mannelli hanno avuto grande coraggio a stampare l’ultimo libro del sociologo Rocco Turi* Storia segreta del Pci. Forse nessun altro al mondo lo avrebbe mai fatto, ma proprio per questo credo gli storici di tutto il mondo abbiamo oggi tra le mani un volume destinato a diventare un vero e proprio “caso letterario” internazionale. Trovo questo volume uno straordinario saggio di storia moderna, documentatissimo, severo, impietoso, irriverente, politicamente scorretto, professionalmente avvincente, evidentemente fazioso, ma scritto in maniera assolutamente impeccabile, a volte schizzofrenica ma così pieno di dettagli da fare impallidire i grandi archivisti dell’era moderna, scritto anche con una grossa dose di arroganza da parte dell’autore, convinto probabilmente di essere l’unico vero depositario al mondo di queste “sue verità storiche”.
Rocco Turi
Ma proprio per questo Storia segreta del Pci è un libro il cui odore (o profumo) ti resta addosso dalla prima all’ultima pagina letta, e tutto questo accade prepotentemente, a tratti anche con violenza, altre volte con un impeto passionale irrefrenabile e probabilmente non sempre facimente condivisibile. Ma Rocco Turi segue da 30 anni Rocco Turi, che conosco da trent’anni, le tracce dei partigiani deviati è soprattutto questo, è la contraddiziofuggiti in Cecoslovacchia ne vivente dell’intellettuale moderno, con la complicità del Pci, lontano dai riflettori per scelta antica, fermamente convinto di vivere nel- vicenda alla quale ha cominciato a interessarsi attraverso l’ombra, quasi felice e geloso del suo una Borsa di studio attribuita lungo letargo, lontano mille miglia lui dal Governo italiano finalizzata dai salotti e dalla mondanità che più conta, anacronistico per vocazione, intolle- allo studio della colonia italiana in Cecoslovacchia. rante per disciplina intima, lui che per Ha insegnato all’Università anni ha inseguito soltanto il suo “sogno impossibile”, era il sogno di poter co- degli Studi di Cassino Sociologia della devianza, Sociologia struire tassello dopo tassello il grande del mutamento sociale, Metodi puzzle storico della resistenza italiana, di ricerca nelle scienze sociali. raccontando però quello che secondo lui la storia ufficiale non avrebbe mai fatto fino ad ora, e mai potuto fare. E in questo libro ritrovi, tutta intera, la sua spocchia da intellettuale, direi la sua arroganza culturale, convinto come sempre di essere lui il “primo della classe”.
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Mezzoeuro Le verità nascoste
Come tale, Rocco Turi, lo si può amare o detestare, ma nel suo caso nessuna mediazione sarà mai possibile, storia la sua, debbo riconoscere, di un ragazzo terribilmente cocciuto, introverso, pervaso da una eterna malinconia, apparentemente solitario e fondamentalmente triste, ma sempre e comunque fortemente caparbio, in questo direi: calabrese dalla testa ai piedi, ma nel suo caso il termine “cocciuto” che qui uso per dare meglio l’idea del suo carattere sta soltanto per “rigore”professionale e soprattutto disciplina morale di altissimo rango. Non ci crederebbe nessuno, ma per lunghi 30 anni, forse anche qualcuno in più, mi sono domandato cosa diavolo lo spingesse ogni anno a partire da Rende, dove abitualmente vive, diretto a Praga, a Budapest, a Varsavia, fino ai confini con la Siberia, o comunque da quelle parti, perché nessuno (tanto meno lui) ti diceva mai con chiarezza dove andasse a sbattere. Rocco Turi, per tutti noi che gli stavamo abitualmente intorno, era sempre un grande mistero, così come pareva esserlo la sua vita, e al suo rientro dai Paesi dell’Est, bianco come un cencio perché aveva trascorso la sua estate al chiuso di qualcosa, prima di tutto ti parlava delle sue nuotate mattutine nelle piscine storiche di queste stati stranieri, Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia, Romania, dove la gente del posto nuota dalle cinque del mattino alla mezzanotte, nonostante il freddo e nonostante la nebbia di questi posti, ma immediatamente dopo ti ricostruiva i mille misteri ritrovati e scovati tra i mille carteggi fantasma di Archivi di Stato prima di allora impenetrabili ai ricercatori italiani. Ma era così il ragazzo che allora conoscevo, oggi ne prendo atto con maggiore serenità, e solo oggi dopo aver letto questo suo libro capisco finalmente che molte cose lui allora non poteva davvero raccontarle a nessuno di noi. Sono trascorsi 32 anni da allora, e lo intuisco per via dei troppi “top-secret” che oggi ritrovo stampati a chiare lettere sui tanti documenti scottanti che danno vita e corpo a questo suo saggio. Mi è bastato leggere la pagina dei ringraziamenti finali, per capire meglio e una volta per tutte che trentadue fa, quando per la prima volta il professore mi aveva parlato di questo suo progetto culturale internazionale mi aveva raccontato solo in parte la verità delle sue ricerche, ma mai e poi mai, allora, avrei potuto immaginare di vederlo vagare e lavorare nei sotterranei di varie ambasciate o Istituti di cultura stranieri, da Praga a Brno, da Varsavia a Parigi, da Bratislava a Vienna, da Budapest a Cracovia, da Berlino a Mosca, o in città meno note come Ostrava, Pilsen, Most, Seletic, Melnik, Szombathely, Kolin, Nitra, Kladno, così come in realtà è poi accaduto, per giunta questa volta lui ufficialmente autorizzato e regolarmente “coperto” dal nostro Ministero degli Esteri. Lo confesso, quanti dubbi mi vennero allora sulla sua vera identità? ma una cosa mi apparì chiara sin dal primo momento: Rocco Turi aveva costruito nei Paesi dell’Est rapporti accademici importanti, una rete fittissima di relazioni eccellenti, di conoscenze trasversali, di confidenze istituzionali a iosa, amici veri ma anche tantissimi informatori anonimi e occasionali, una rete assai diversa da quella di cui tanto si parla oggi e che viaggia esclusivamente sulle fibre ottiche delle città cablate, una rete fisica reale materiale fatta nel suo caso di gente vera e di incontri importanti, di attese e di partenze, di stazioni e di aeroporti, di strade secondarie e di grandi arterie internazionali, di confini e di uffici doganali a volte impenetrabili e che solo un grande professionista come lui, serio e di assoluta affidabilità, avrebbe potuto costruirsi attorno negli anni da quelle parti. Come dirlo? Rocco Turi per anni mi è sembrato essere un intellettuale strano, un ricercatore universitario come pochi, una sorta di animale solitario che dimostrava di avere, senza neanche
preoccuparsi di nasconderlo più di tanto, una dimestichezza straordinaria con i grandi segreti di Stato e soprattutto con pezzi importanti delle istituzioni straniere che questi segreti avevano custodito per oltre mezzo secolo. Ora scopro che era tutto regolare, che tutti sapevamo di cosa Rocco Turi facesse oltre confine, di cosa stesse cercando negli scantinati delle varie ambasciate visitate, lo sapevano persino al nostro ministero degli Interni, lo sapeva il Governo italiano, ma non mi meraviglio più di tanto: proprio qualche mese fa il giornalista Franco Bucarelli (oggi ottantenne, ma un tempo storico inviato speciale del Gr2 di Gustavo Selva) mi raccontò di come aveva ritrovato quasi per caso, tra le carte segrete dell’Ambasciata italiana a Varsavia, i documenti che descrivevano nei minimi dettagli le operazioni del Kgb e della Polizia sovietica sui movimenti e sulla vita di Papa Giovanni Paolo II appena nominato pontefice. A volte è proprio vero quello che mi diceva continuamente Rocco Turi: «basta cercarle le cose», e se «le cose che cerchi ci sono davvero allora anche un bambino sarebbe in grado di trovarle», ma «serve cercarle e saperle cercare». Ma allora mi domando, tutto questo materiale, che oggi fa parte integrante della Storia segreta del Pci, nessuno lo ha mai cercato? O nessuno lo ha mai voluto cercare? Proprio per questo ne viene fuori oggi un saggio esplosivo. Il libro apre per la prima volta uno squarcio serio su verità mai raccontate e comunque sempre taciute. E questo, attenti, non vale solo per il caso Moro a cui lo studioso calabrese dedica decine di pagine esplosive. Del libro potrei dire mille altre cose belle e importanti, ma il fatto che “i ragazzi di Soveria Mannelli” abbiano oggi deciso di pubblicarlo mi spinge a credere che sia stato proprio l’intuito di Florindo Rubbettino a ritenere di avere avuto tra le mani materiale assolutamente importante ed inedito per gli storici di nuova generazione in tutta Europa. Mi dicono che al prossimo Salone del libro di Torino Storia Segreta del Pci potrebbe fare la parte del leone. Sarebbe bello se così fosse.
Alezionediterrorismo inCecoslovacchia IlPcisapeva
«Si ha notizia da fonte confidenziale, della istituzione di diverse scuole di preparazione politica per stranieri in cecoslovacchia.sse sarebbero destinate a persone di una certa levatura intellettuale, destinati a formare i quadri dei partiti comunisti nei loro rispettivi paesi di origine». È quanto si legge in uno dei tanti documenti top-secret che nel 1953 l’ambasciata italiana di praga inviava alla farnesina al ministro degli affari esteri, per informare il governo italiano di tutta una serie di “movimenti sospetti all’interno di queste scuole politiche” che in realtà erano, nei fatti, delle vere e proprie accademie del terrorismo europeo. Tutto questo potrebbe apparire un terorema, o una velleitaria ipotesi di ricerca accademica, se non fossimo invece dinanzi ad un saggio pieno di documenti di questo genere, a cui lo studioso ha avuto libero acceso, nonostante il “segreto di stato” stampato a chiare letere su ognuno di questi carteggi, e grazie ad una borsa di studio pagata dal governo italiano. Vere e proprie scuole di addestramento dunque per vecchi e nuovi dirigenti comunisti - scrive nel suo libro Rocco Turi - «dove si tenevano corsi intensivi di psicologia individuale e di massa, dove si preparavano i nuovi terroristi del futuro, educandoli ad organizzare nel modo migliore possibile la preparazione degli scioperi, l’organizzazione dei disordini di piazza, dove si insegnava
loro l’uso corrente delle armi anche le più sofisticate, dove li si abituava a raccogliere gli elementi fondamentali per mettere sotto ricatto chiunque e ai più alti livelli delle sfere istituzionali.ma non solo - aggiunge il sociologo - in queste scuole frequentate da tantissimi partigiani italiani che avevano lasciato l’italia per riparare nei paesi dell’est si insegnava soprattutto l’arte dello spionaggio e l’uso corrente dei sistemi di comunicazione in voga in tutti i paesi del bacino occidentale europeo. Un libro per certi versi scomodo, perché secondo una teoria che lo studioso Rocco Turi tenta di dimostrare in questo suo saggio riproponendo decine di questi carteggi riservati e recuperati negli archivi delle ambasciate italiane tra praga varsavia e budapest, dietro l’uccisione di Aldo Moro e la morte di Enrico Berlinguer ci sarebbero proprio queste colonne deviate di partigiani italiani di cui la storiografia contemporanea preferisce non far cenno alcuno, ma le cui tracce - dimostra in questo saggio lo studioso - ci sono tutte evidenti e storicamente documentate si msssimi livelli istituzionali. Un libro insomma tutto da leggere perché per la prima volta nel dibattito politico italiano qualcuno mette in dubbio che i veri mandanti del delitto moro siano stati italiani o peggio ancora i servizi segreti americani, riportando il tutto invece
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Sabato 18 Maggio 2013
Le verità nascoste seguendo proprio le tracce dei partigiani italiani fuggiti in Cecoslovacchia con la complicità del Partito comunista italiano e dell’apparato protettivo dei Paesi nel medio est europeo. Dietro la vicenda Moro, scrive Rocco Turi nel suo libro, si muovono storie e personaggi bene identificati che riconducono e coinvolgono direttamente esponenti chiave del Partito comunista cecoslovacco, ma i mille depistaggi di questi ultimi 35 anni hanno portato gli studiosi della materia e gli stessi investigatori su strade completamente diverse e lontane dalla vera storia del delitto, tesi le loro senza nessun fondamento storico. Alla base di questo saggio, frutto di oltre 30 anni di ricerche negli archivi segreti delle autorità diplomatiche dei Paesi dell’Est - sottolinea lo studioso Rocco Turi - siamo oggi in grado di produrre decine di documenti storici top-secret che confermano il ruolo determinante e dirompente che i nostri partigiani italiani fuggiti a praga svolsero in tutti gli anni che seguirono la loro fuga dall’Italia. Un nome per tutti - dice ancora Rocco Turi - è quello di Rudolf Barak, ex ministro dell’Interno cecoslovacco negli Anni 50, che mai aveva accettato di incontrare uno studioso straniero, e che confermò a me personalmente - sottolinea Rocco Turi - che i partigiani italiani furono per anni al servizio del Kgb e della polizia segreta cecoslovacca. Non a caso la Cecoslovacchia fu meta preferita per l’addestramento di terroristi provenienti da tutto il mondo, e tutto questo oggi lo ritroviamo nelle carte diplomatiche di quegli anni a cui io ho avuito il privilegio di poter accedere grazie ad una borsa di studio del governo italiano, e che sono il cuore vero del mio libro».
Lastranamorte diEnricoBerlinguer unmisteromaispiegato.
alla nascita e al diffondersi di queste scuole politiche comuniste oltre i confini del nostro paese e che rocco turi ha individuato una per una indicandone nel suo libro l’esatta dislocazione geografica: karlovy vary, marianske, lazne, darkove, bonjce, luchacovice, litomerice, e infine trencin.
Delittomoro.LeBr alserviziodelKgbrusso?
Il delitto di Aldo Moro sarebbe stato frutto di una strategia del terrorismo internazionale che avrebbe usato le brigate rosse per realizzare un progetto di morte in realtà pensato progettato e ideato dai servizi segreti dei paesi comunisti. Insomma, a uccidere lo statista democristiano furono sì le Br, ma “eterodirette e manipolate” da agenti e interessi assai lontani dai confini del nostro Paese. 35 anni dopo l’uccisione di Aldo Moro il libro di Rocco Turi riapre dunque il caso moro sotto una luce completamnente diversa da quella che fin’ora è stata utilizzata per leggere uno dei grandi misteri della nostra storia repubblicana. Per l’autore del saggio, Rocco Turi, le prove di questa sua tesi, per certi versi rivoluzionaria rispetto a quanto si è detto e scritto fino ad oggi, sono da ricercare
È l’11 giugno 1984, Enrico Berlinguer muore a Padova, dopo un malore che lo colpisce nel mezzo di un comizio elettorale. Ebbene, 29 anni dopo quella morte, un libro appena fresco di stampa, Storia segreta del Pci, riapre su quel triste fatto di cronaca italiano uno scenario assolutamente nuovo e quanto mai inquietante. Per la prima volta nella storia repubblicana uno studioso, il sociologo Rocco Turi, ripercorre in questo suo libro i momenti cruciali di quella sera a padova e tenta di dimostrare una tesi mai formulata prima d’ora, secondo la quale il leader comunista sarebbe morto non per un ictus cerebrale come in realtà si è sempre raccontato, ma per responsabilità precise e dirette, legate soprattutto ad una serie di assurdi ritardi nelle stesse operazioni di pronto soccorso. «Troppe bugie ci sono state raccontate - scrive lo studioso - da un riscontro severo e minuzioso dei tempi che scandirono la morte di uno dei leader comunisti più amati d’Europa siamo oggi in grado di smentire le tesi di quegli anni. Si aspettò troppo tempo per portare Berlinguer in ospedale; dopo i primi malori Berlinguer venne infatti trasportato lentamente prima in albergo, e poi dopo oltre due ore fu chiamata finalmente un’ambulanza. Una scelta del tutto folle». Ma ci fu raccontata un’altra bugia ancora, sottolinea lo studioso: «non è vero che Berlinguer venne operato appena arrivato in ospedale, ma è vero invece che venne portato in sala operatoria solo all’una di notte, dopo circa due ore trascorse in albergo, dunque due ore e mezzo più tardi dal suo malore in Piazza della frutta. La cosa più grave, ma anche più strana a giudizio di questa tesi, è che accanto ad Enrico Berlinguer quella sera ci fosse anche un medico, un medico comunista che aveva partecipato alla guerra di liberazione, iscritto alla Associazione nazionale partigiani d’Italia, Giuliano Lenci, nonché primario all’ospedale “Busonera” di Padova; fu lui a soccorrerlo e a or-
dinare di portarlo subito in albergo, nella sua stanza già occupata al quarto piano dell’hotel Plaza». Rocco Turi ricorda che Enrico Berlinguer incominciò a sentirsi male esattamente alle 22.30 di quella sera, «dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua, e allora si disse che era servito a reprimere dei conati di vomito, ma chi ha del vomito non ha mai voglia di bere». Subito dopo la sua morte si disse anche che Enrico Berlinguer aveva incominciato ad avvertire i sintomi della congestione per via della cattiva cena della sera precedente a genova, ma nessuno si è mai preoccupato di analizzare l’acqua bevuta dal leader comunista durante il comizio. Ma per lo studioso, che ha deciso oggi di fare in questo libro le pulci alla storia e ai segreti del vecchio Partito comunista italiano, ci fu un altro dettaglio che quella sera avrebbe dovuto porre agli inquirenti alcune domande importanti: «Quella sera tutti si preoccuparono di intercettare la registrazione video con le immagini del comizio e del bicchiere d’acqua. Ci furono telefonate tempestose: alle due della notte, quando berlinguer era in sala operatoria, folena era riuscito a contattare a roma il responsabile comunicazione del Pci, Walter Veltroni, il quale riuscì a fare intervenire la Rai. E la Rai contrattò con l’avvocato dell’operatore e acquistò la cassetta video. Il contratto fu steso dentro un furgone, nel piazzale dell’ospedale. Una fretta inadeguata. Un mistero anche questo». Secondo la mia tesi - sentenzia oggi Rocco Turi «attraverso corretti e tempestivi passaggi metodologici, forse, Berlinguer avrebbe potuto avere salva la vita anche nel caso di un malessere provocato da cause diverse da quelle ufficiali. Ci fu un complotto?». Ed è a questo punto che il volume spiega come la morte di Berlinguer potrebbe avere un legame con la morte di Aldo Moro: «Entrambi lavoravano per realizzare in Italia il primo compromesso storico della storia repubblicana, e probabilmente i servizi segreti dei Paesi dell’Est, e non soltanto loro, non riuscivano ad accettare che questo potesse accadere».
Andreottirivelò l’esistenzadiGladiorossa
«In Cecoslovacchia furono addestrati dei giovani a un determinato tipo di guerriglia». Sono parole di Giulio Andreotti, pronunciate il 18 maggio 1973 al Senato nella seduta pubblica n.156. A ricordarlo è sempre Rocco Turi. In quell’occasione - precisa lo studioso - ci fu una gran polemica con il senatore Bufalini, il quale accusò Andreotti di dire “baggianate” e di usare “argomenti fascisti”. Nel 1978 la circostanza sulla Cecoslovacchia fu confermata dal Corriere della sera: «Doveva saperlo anche Moro nella sua qualità di presidente del Consiglio». Ma Moro e tutti gli altri presidenti del Consiglio rispettarono il segreto, tranne Andreotti il quale, nel 1990, rivelò anche l’esistenza di Gladio stay behind. «Si aprì così un dibattito politico - spiega Turi che portò alla scoperta di Gladio rossa. Andreotti fu additato come il colpevole n.1 delle gravi violazioni di segreto e ne pagò le conseguenze con una lunga gogna giudiziaria». Il 12 febbraio 1996 in un incontro a Palazzo Giustiniani, in preparazione di questo libro, Rocco Turi esibì ad Andreotti la ricostruzione degli eventi ed egli ne condivise l’interpretazione allargando le braccia in maniera beffarda e socratica. «Se da un lato Andreotti alimentava il suo potere nell’ombra - conclude Rocco Turi - egli fu anche un ingenuo perché non comprese la gravità delle sue dichiarazioni. Le accuse contro Andreotti furono così in grado di dirottare nei suoi confronti l’attenzione crescente della stampa che si era creata verso la Gladio rossa, le cui indagini furono più volte archiviate».
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Rubrica a cura dell’Ente di Patronato e di Assistenza sociale Epas-FNA (Federazione nazionale agricoltura)
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Rubrica a cura dell’Ente di Patronato e di Assistenza sociale Epas-FNA (Federazione nazionale agricoltura)
Non si può piu attingere dalle tasche dei cittadini L’Italia, come del resto tutti i Paesi appartenenti all’Unione europea, è impegnata da anni nella ricerca di soluzioni per porre un freno alla gravissima crisi economica, provando nel contempo a dare il via ad una nuova fase in cui a strategie volte al risanamento dei conti pubblici si affianchino finalmente misure destinate a far crescere l’occupazione e, di conseguenza, a rilanciare un’economia che appare quanto mai fragile e incerta. Il risultato di questi tentativi, fino ad oggi, è stato sicuramente un periodo di grandissima difficoltà per milioni di cittadini, stetti nella morsa dei continui sacrifici (dall’aumento generalizzato delle tasse a quello dei consumi, senza dimenticare la complessa ridefinizione del sistema previdenziale e pensionistico) da una parte e quella del dramma della disoccupazione crescente dall’altra. Ora però la sensazione diffusa è che non sia possibile continuare ad attingere ai redditi dei cittadini per sperare di risanare definitivamente il bilancio pubblico, anche perché i dati che emergono da numerose ricerche condotte negli ultimi anni fanno chiaramente capire come esiste una via evidentemente ancora non utilizzata nel migliore dei modi, ossia la lotta al sommerso e all’evasione. Tale battaglia, infatti, consentirebbe di dare la caccia a risorse di portata eccezionale che, da sole, permetterebbero ai Paesi Ue di beneficiare di cifre importantissime, fondamentali per riattivare il circuito economico e occupazionale. «Da tempo - afferma Denis Nesci, presidente nazionale del patronato Epas - sosteniamo che bisognerebbe concentrarsi con maggiore intensità e attenzione sulla lotta all’evasione e al sommerso, e che sarebbe il caso di dare un pò di respiro a cittadini e imprese, allentando il carico fiscale che grava su di loro e che impedisce al nostro sistema economico di ripartire. Speriamo che finalmente - dice ancora Nesci - si mettano in atto misure ancora più efficaci per ridurre drasticamente il peso che fenomeni come evasione fiscale e sommerso hanno sull’intera struttura economica». I numeri relativi al problema in questione sono davvero impressionanti, basti pensare che il sommerso in Europa vale più di 2.000 miliardi di euro, cioè oltre il 20% del Pil totale dei Paesi interessati, e che le tasse evase sono quantificabili in una somma superiore a 850 miliardi di euro, ossia molto di più della spesa sostenuta dall’Unione europea per la salute dei suoi cittadini. Si tratta di dati molto significativi, poiché indicano in maniera chiara una delle criticità di maggior rilievo per i bilanci europei. Analizzando il problema, emerge un dato che merita grande attenzione: il sommerso è senza ombra di dubbio facilitato dall’utilizzo del contante, per cui un maggior ricorso alle modalità di pagamento elettronico potrebbe, sicuramente, far registrare notevoli progressi nella battaglia contro uno dei nemici più agguerriti della salute economica dei Paesi Ue. «Negli ultimi anni sono stati fatti importanti passi in avanti per contrastare fenomeni purtroppo molto radicati nel nostro Paese - conclude il presidente nazionale Epas - ma chiaramente la strada per raggiungere risultati di un certo livello resta ancora lunga. Speriamo che in tempi brevi si possano intensificare i controlli e finalmente si ricorra a soluzioni in grado di garantire progressi in tal senso che andrebbero a vantaggio di tutti».
Per risanare il bilancio pubblico bisogna dare la caccia a una risorsa che permetterebbe ai Paesi Ue di beneficiare di cifre importanti, la lotta al sommerso e all’evasione
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