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numero 2 - Anno 13

Sabato 11 Gennaio 2014

settimanale d’informazione regionale

Voce Il cammino della speranza ai giovani Marcia della pace a Cosenza www. mezzoeuro.it

Una “bomba” ecologica tra Bisignano e Luzzi

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Sabato 11 Gennaio 2014

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Il legno storto

Una società lontana dalla politica e “orfana delle istituzioni”

Mezzoeuro Fondato da Franco Martelli

Ediratio editore Direttore responsabile Domenico Martelli Registrazione Tribunale di Cosenza n°639 del 30/09/1999 Redazione e amministrazione via Strada Statale 19 bis, 72 87100 Cosenza Responsabile settore economia Oreste Parise Progetto e realizzazione grafica Maurizio Noto telefono 0984.408063 fax 0984.408063 e-mail: ediratio@tiscali.it Stampa Stabilimento tipografico De Rose, Montalto (Cs) Diffusione Media Service di Francesco Arcidiaco telefono 0965.644464 fax 0965.630176 Internet relations N2B Rende Iscritto a: Unione Stampa Periodica Italiana

n. 12427

Insistentemente, da più tempo, non si tralascia di fare attenzione. Anche preoccupandosene, a quel fenomeno di allontanamento dalla politica (che è stato persino rappresentato, non a torto, come “nausea per la politica”) il quale, in un generale disorientamento, è oggi probabilmente nel nostro Paese un sentimento condiviso dalla maggioranza della gente e che trova anche parziale espressione in un aumentato astensionismo. Rendersi conto di come si sia potuti arrivare ad una forma di vero disgusto, comunque, di rifiuto di quello che la politica riesce ad essere, delle sue malformazioni accentuate nell’uso che se ne è fatto, porta certamente, oltre che a fare emergere delusione e frustrazione, a registrare un fallimento della partecipazione speranzosa dell’opinione pubblica nazionale a tutto quello che si prometteva di fare per una società migliore. Quali le responsabilità nel tempo dei partiti e della classe politica per gli infiniti esiti negativi tra cui un logoramento delle istituzioni, un deperimento del tessuto morale e civile? E tutti gli altri soggetti, gli operatori di giustizia, la classe dirigente nelle sue varie espressioni, sindacati, imprenditori, stampa ed organi di informazioni, intellettuali ed educatori, ne sono stati e ne sono immuni, possono tirarsi da parte e ritenere di non avere avuto alcun peso nelle inclinazioni al declino prese dalla nostra società? È possibile sperare cha sia pure lentamente si superi questo livello di insufficienza che produce disgusto nella gente e che quelli che ne hanno avuto e ne hanno la responsabilità si mettano fuori, o siano sostituiti, scalzati perché non facciano altri danni?

di Franco Crispini

Urgono delle risposte a tali interrogativi e deve farsi ancora più chiaro il quadro dei disastri che hanno provocato le malefatte della politica affinché si individuino bene tutti i modi ed i mezzi con cui una classe politica e dirigente ha messo a terra un Paese; è da qui che bisogna partire per stroncare i comportamenti deleteri che finora sono stati tollerati e persino favoriti. Quel che è peggio è che abbiamo oggi una società che non può contare più su di una politica caduta tanto in basso, assente dai problemi della gente, strumento di ingordigie di gruppi organizzati, una società che si ritrova anche orfana delle istituzioni che ne dovrebbero essere il fondamento portante e che in moltissimi casi sono indeboliti, guastate dall’interno. È grave che uno stato di malattia colpisca molte nostre istituzioni che sono il pilastro dell’ordinamento democratico e che purtroppo non rispondono al ruolo per cui sono chiamate. Una di queste istituzioni è la scuola che viene sotto ogni riguardo mortificata dalle pessime politiche dei governi che ne ignorano i problemi veri i quali d’altra parte sono scarsamente analizzati dagli stessi presunti osservatori e difensori di questo “bene comune” da custodire certamente da parte della collettività. E che dire della istituzione universitaria che ha funzione di formare per il Paese una classe professionale e dirigente e che quindi deve assolvere tale compito attraverso una attivazioni di saperi di cui si ha il pieno possesso? L’Università, anche per bocca di chi dall’interno ne conosce i problemi e le pratiche accademiche, non si muove sempre all’unisono con le finalità che dovrebbero essere sempre in primo piano: vi è chi scrive (Sebastiano Maffettone, Corriere) che il rinnovamento dell’Università richiesto a gran voce, in ultimo la parta proprio «contro la ricerca e il pensiero critico» i quali sono gli ingredienti di base di una vera formazione. Cosa rende immane lo sforzo della istituzione universitaria di rispondere pienamente alle sue vocazioni? La burocratizzazione e il politicismo protagonistico di ceti accademici che hanno smesso di studiare, fare ricerca e comunicare risultati di eccellenza, sono i mali estremi. Abbiamo voluto guardare a queste istituzioni, ma anche da altre egualmente sconquassate, la nostra società deve oggi sentirsi orfana.


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Sabato 11 Gennaio 2014

Miseria e vacuità

I topi ballano

Ma il gatto c’è

Da sinistra: Mario Pirillo, Enza Bruno Bossio Sandro Principe, Stefania Covello, Ernesto Magorno Sopra, Matteo Renzi

L’immagine di Matteo Renzi che esce anche col volto teso da un lungo incontro con Enrico Letta la dice e la deve dire lunga. In gioco c’è ancora la tenuta del governo, della presunta stabilità, il possibile e per certi aspetti drammatico (ma non per forza negativo) ritorno al voto politico anticipato. Questo un giorno, uno dei tanti da quando Renzi è segretario del Pd. Il giorno prima a presentare, piaccia o no, il piano lavoro e il giorno appresso, chissà, un incontro con il Cavaliere per la legge elettorale. Immaginare che nei ritagli di tempo Matteo Renzi (a cui pare piaccia molto circondarsi di opinioni, accentrando però le decisioni...) trovi lo spazio per occuparsi delle ansie di Magorno, le repulsioni di Principe, le paure di Stefania Covello, gli incubi di Pirillo o ipocondrie di Enza Bruno Bossio appare quantomeno generoso in termini di fantasia. Il massimo che si sarà concesso ancora sul “caso Calabria” è nelle papille gustative di Luca Lotti (suo braccio destro organizzativo in segreteria) che avrà sicuramente mangiato al posto suo il capicollo che sotto Natale gli hanno recapitato Tonino Scalzo e Sandro Principe. Lotti non glielo avrà neanche fatto vedere, glielo avrà descritto e tanto sarà bastato ai mandanti dell’insaccato. Per il resto niente, niente di niente. Il “caso” non è all’ordine del giorno.

Matteo Renzi è alle prese temporaneamente con cose più serie ma le "pratiche regionali" non sono allo sbando, vengono seguite. E c'è una sola via per andare d'accordo con il segretario nazionale del Pd: rinnovare Il congresso di Calabria (se mai si terrà) e la girandola di nomi appassionano poco. L'obiettivo è il futuro L'obiettivo è voltare pagina

Il “cerchio magico” del sindaco di Firenze per la verità, che non va ricercato per forza nella segreteria, è più altruista sui problemi di Calabria e di tanto in tanto s’informa. Dario Nardella, Graziano Delrio e Maria Elena Boschi (questo il cerchio magico politico e decisionale) di tanto in tanto cercano e trovano notizie sul “caso Calabria” e un quadro lo dipingono al segretario ma oltre questo non si va. Ci sono cose più importanti di cui occuparsi a tempo pieno, si vedrà più in là.

delle ansie nominalistiche che qua e là, in giro per l’Italia, emergono. Non le controlla e non le seda tutte, non le può e non le vuole domare. Come il vangelo gli basta predicare la barra dritta verso il nuovo, verso le pagine da voltare regione per regione. Calabria, naturalmente, compresa se non per prima. Chi fa questo va avanti, chi non lo fa si mette fuori da solo. Altre vie e altri canali per andare d’accordo con la linea del segretario non ce ne sono e chi le cerca, al netto di squisitosissimi capicolli, perde l’insaccato e probabilmente anche la faccia (anche se Lotti se lo troverà sempre tra gli estimatori).

Tanto un solo punto era e rimane all’ordine del giorno e a qualsiasi latitudine. Rinnovare, aprire le finestre e le porte del partito. Senza traumi né sceneggiate ma convintamente e con fatti concreti. Con decisione e senza alcuna possibilità di ottenere deroghe speciali in materia. Occorre rinnovare per non uscire dalle “grazie” e occorre farlo senza il benché minimo tentennamento. È per questo che per il momento Renzi si preoccupa poco

Rinnovare, aprire nuovi orizzonti, spalancare il partito a nuove energie che sono in grado di spendersi per il “progetto”. Non è sui nomi che si gioca questa che non è una partita ma “la” partita. Ma sul metodo. E’ anche per questo che la girandola e l’accreditamento seriale di nomi e poltrone non solo appassiona poco “Roma” quanto, fatto ben più grave questo, finirà per compromettere ancora una volta il futuro del Pd di Calabria.

Con ogni probabilità Renzi e il suo cerchio magico lasceranno (ben volentieri, naturalmente) che i gestori locali del “marchio” facciano la prima mossa in Calabria verso la segreteria regionale. Allo stato attuale è più un onere che un privilegio, visto il dopoguerra che si trova sul campo. E’ più che normale che sia così e così probabilmente andrà. Non c’è tempo, non c’è spazio, forse non c’è persino convenienza a cercare soluzioni alternative, magari direttamente collegate al progetto di rinnovamento. Tradotto nella terra dei “capicolli” vuol dire che con ogni probabilità il segretario del Pd del dopo commissariamento non sarà un volto nuovo della politica e sarà, ovviamente, della cordata che ha vinto (per conto terzi) il congresso nazionale. Inutile fare nomi, quelli sono. Un minuto dopo però, se non prima del tutto, questa carica si trasformerà in onere e garanzia ipotecaria per il futuro nel senso che non passerà giorno che il segretario regionale non sarà “controllato” sul campo da chi di competenza e avrà anche lui un unico punto all’ordine del giorno, rinnovare. In bocca al lupo e senza falsa ironia, verrebbe da dire. Un compito non facile ma che non prevede uscite di sicurezza. Il segretario del Pd di Calabria (renziano e non nuovo) deve guidare una nave non nuova verso rotte nuove però e con volti sempre più nuovi, competizione per competizione. Subito, senza appello, già pronto per la prima occasione in cui il Pd dovrà misurarsi con le urne, politiche o regionali che saranno. Il monitoraggio dall’alto sarà costante, diretto e per altre vie anche “suggerito” da chi in loco non fa fatica a comunicare con “Roma”. Altre vie non ce ne sono. Chi in queste ore promette poltrone in Calabria o gioca alla spartizione trasversale tra vecchie glorie probabilmente ha capito poco che può finire nel museo del partito. Ci sono gli occhi “nazionali” puntati addosso, anche mediatici. E quando parte uno di questi vallo a fermare poi. Chi sbraita per il congresso e per la poltrona di segretario (se mai ci sarà però, perché potrebbe pure saltare un’altra volta lasciando campo libero a una terna commissariale) se ne faccia una ragione. I capicolli da inviare una volta sono buoni, si mangiano. La seconda rimangono sullo stomaco. E chi li riceve finisce che si offende del tutto...

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Sabato 11 Gennaio 2014

Mezzoeuro Carte bollate, carte “false” e milioni

Non sapremo mai se la penna di Scopelliti era di quelle a vapore, ad alcool. Certo è però che la Camera di Commercio di Cosenza, se vogliamo rimanere ai fatti della fredda cronaca senza scivolare per forza nei retroscena, è stata assai vicina al suo ennesimo commissariamento della sua storia recente. Ma qual è il fattaccio che tormenta il presente e il futuro della Camera di commercio della provincia più grande della Calabria? Perché è stata così vicina ad essere commissariata? Come mai c’è chi fa il tifo perché niente venga più controllato e c’è invece chi vorrebbe che tutto, legalità alla mano, venisse ripassato allo scanner? Di che stiamo parlando? Il buon vecchio Giacomo Mancini (senior, per carità...) amava ripetere spesso, a chi gli girava attorno con troppi perché sulla testa, il solito adagio: se non capisci da che parte sta la verità segui i soldi, non puoi sbagliare. E conviene farlo pure stavolta anche perché se ci mettiamo a dare retta

Incendio in Camera solo alle sigle e ai decimali che si sono azzuffati in questi giorni sulla stampa rischiamo di nuotare contro corrente. La “torta” con la ciliegina di sopra della Camera, così ci capiamo prima, sono 25 milioni di euro completamente liquidi, cash e interamente versati che sono a disposizione presso una filiale dell’area urbana. Di questi tempi possono bastare per trovare movente e munizioni. L’arena è qui. E va da sé che a due passi dal rinnovo del consiglio, della giunta e della carica di presidente dell’ente si scatena il finimondo perché i veri equilibri del potere e i giochi di prestigio dei numeri che servono per l’attribuzione dei seggi si compiono prima. Molto prima. Al momento stesso della presentazione dei dati che poi servono per l’attribuzione dei seggi del consiglio. Per quanto è potuto apparire in questi giorni complesso e viscido il meccanismo è in realtà più semplice, nella sua essenzialità, di quanto non sembri. Prima di addentrarci in superficie nei numeri (e nel probabile “tarocco” di qualcuno) è appena il caso di ricordare, per semplificare la partita, che ci sono due blocchi di cemento allo stato puro che si contrappongono. Due schieramenti, chiamiamoli anche apparentamenti perché poi è politica la sfida per grandi linee. Uno è quello che sostiene e regge il presidente Gaglioti, che ha lo scettro in mano e che ha governato fin qui dalla fine del precedente commissariamento. L’altro blocco vuole invece un’altra linea di potere gestazionale (e capiremo poi perché), vuole il ricambio, vuole controllare consiglio e giunta, probabilmente vuole soprattutto il codice iban di quei 25 milioni. Perché la torta non va mai dimenticata nella sua bontà. Da qui la guerra dei numeri per l’attribuzione dei seggi perché è questo il vero ring. Tra chi sostiene che si naviga nel “tarocco” e forse anche nell’illecito e chi sostiene che va rifatto tutto e che sarebbe stato meglio avviare una pratica di commissariamento non ci sono più barriere di protezione, lo scontro è totale. E non potrebbe essere diversamente. Da una parte e a favore di una pulizia “etica” dei dati ci sono Confindustria, Confartigianato, Confagricoltura, Cia, Confesercenti. Dall’altra, dalla parte di chi con ogni probabilità ha giocato con le cifre come si può fare usando una forma “allegra” di doping algebrico ecco Confcommercio, Coldiretti, Casartigiani, Confapi, Cna, Uimec, Clai e Fit. Sembra debbano dividersi il finimondo a legger-

L’ente camerale di Cosenza finisce ancora una volta nel caos

Pino Gaglioti Alle sue spalle, la Camera di Commercio di Cosenza

Tra un commissariamento sfiorato e un altro che può arrivare, la "casa" delle imprese della provincia finisce ancora in fiamme tra procedure taroccate, numeri che non tornano, giochi di prestigio Ma chi ha interesse a intorbidire le acque al punto da far tenere elezioni in un quadro del genere? La torta dei 25milioni cash che giacciono in banca...

li così ma in realtà queste sigle servono, come da regolamento, per accedere ai seggi che la Camera mette a disposizione quando arriva il momento di rinnovare i propri organismi. E puntuale come una cambiale ecco aprirsi le danze delle procedure previste dal ministero ogni qual vota scade un mandato. Ci sono 28 seggi da spartire, è questo il “parlamentino” che deve poi eleggere giunta e presidente. In base a determinati parametri che il ministero ha stabilito debbano appartenere per peculiarità d’appartenenza ad ogni provincia d’Italia 6 di questi seggi devono toccare al settore del commercio, 4 all’agricoltura, all’artigianato, 3 all’industria, ai servizi, 2 al turismo, uno soltanto alle coop, ai trasporti e spedizioni, al credito e alle assicurazioni, alle organizzazioni sindacali, alle associazioni per la tutela dei consumatori, alla consulta dei professionisti. Fatte salve queste ultime categorie che di diritto devono avere un seggio il resto si gioca poi sui settori cardini e consolidati dell’economia. All’interno poi di ognuno di questi settori portanti c’è il gioco infinito delle sigle associative che si rifanno alle categorie produttive. Ed è qui che comincia il “bello”. La Regione perimetra la torta complessiva dei seggi da assegnare ma per l’individuazione analitica si deve attenere all’istruttoria della Camera su un bando già emanato. Ergo, passa la palla avvelenata alla Camera di commercio di


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Sabato 11 Gennaio 2014

Carte bollate, carte “false” e milioni Confesercenti

Vogliamo chiarezza

Dalle notizie apparse sulla stampa regionale, nei giorni scorsi, a proposito del rinnovo degli organi camerali, si comunica l’idea di una corsa alla conquista di una serie di “poltrone agiate”, per il cui obiettivo non si rispettano ne regole legate a procedure amministrative, ne regole di buon comportamento. In questa vicenda saranno stati consumati probabilmente degli errori, ma forse non da tutti in buona fede. Il più macroscopico di questi è stato senz’altro aver insinuato il dubbio che l’esigenza di far rispettare regole e tutelare i diritti delle proprie Associazioni, fosse un modo per procrastinare i tempi per consentire ipotesi di commissariamento. Ebbene, consentiteci, che se a seguito del perfezionamento di procedure amministrative, quale quelle sul rinnovo degli organi camerali in argomento, il legislatore ha previsto la possibilità di adire la giustizia amministrativa, evidentemente si ritiene questo un momento di tutela non degli interessi delle Associazioni coinvolte bensì di tutela delle regole di democrazia. E se la giustizia amministrativa, a più livelli, ha riconosciuto la bontà dei dubbi posti, evidentemente non sono state poste in essere azioni dilatorie, come più volte è stato chiaramente affermato, bensì solo doverose iniziative per tutelare posizioni legittime e principi di legalità; tutto questo non per conquistare “ruoli” che sono solo momenti di assunzione di responsabilità e assolvimento di funzioni con dedizione, sia delle Associazioni che delle persone coinvolte, non a favore delle imprese associate bensì a beneficio di tutte le imprese iscritte al sistema camerale. A questo proposito vorremmo ricordare che l’Associazione che mi onoro di rappresentare, ha pagato un prezzo importante in quest’ultima legislatura, altro che “momento storico congiunturale favorevole”, come maliziosamente più volte qualcuno ha affermato. Se la presenza negli organismi camerali fosse occasione di “conquista di potere”, allora certamente questa doveva essere occasione per approfittare di posizioni di vantaggio rispetto ad altri; e poiché i numeri riportati dalla mia organizzazione non sono oggettivamente variati rispetto a 5 anni fa, allora saremmo da considerare solo degli incapaci. Se invece, per quella che è stata la nostra visione ed il nostro agire, che è la vera funzione da assolvere con la rappresentanza negli organi camerali, si dismettono i panni di referenti di questa o quella associazione di categoria e si ope-

Cosenza che è chiamata alla raccolta e alla verifica dei dati che arrivano. Cosa chiede la Camera alle sigle associative che poi si rifanno alle categorie produttive? Semplice. Chiede l’esatto numero di imprese, il numero di dipendenti di tutte le imprese che sono iscritte all’associazione che poi significa la somma dei dipendenti di tutte le imprese, il diritto annuale e la tracciabilità dei versamento veri e propri della quota associativa versata da ogni singola impresa, e il cosiddetto valore aggiunto. Al termine di questo screening complessivo delle associazioni che al loro interno associano le imprese della provincia la Camera deve pervenire all’assegnazione dei seggi. Ma qualcosa, più di qualcosa, non torna, non quadra. Dei quattro parametri è quello sui di-

ra, per come abbiamo operato, nell’interesse dei comparti economici rappresentati, allora lasciateci dire che associazioni come la mia in questa legislatura hanno pagato un prezzo molto alto. È utile ricordare che per “quella congiuntura storica”, senza responsabilità alcuna, Confesercenti ha dovuto impegnare tutto il gruppo dirigente al servizio dei comparti di riferimento - commercio e turismo- , pregiudicando occasioni di crescita numerica della propria associazione. Giova ricordare, a questo proposito, che cinque anni fa la Confcommercio Provinciale di Cosenza, a seguito del suo “fallimento”, aveva perso la soggettività giuridica per partecipare al bando per il rinnovo degli Organi Camerali, da qui l’onere ricaduto su Confesercenti di rappresentanza di tutto il comparto di riferimento. Questa è la verita delle vicende consumate, queste sono le ragioni che ci amareggiano nella lettura quotidiana di notizie che fanno pensare a tutt’altri comportamenti, rispetto a quelli rigorosi e di dedizione verso tutto il sistema imprenditoriale della nostra Provincia, realmente posti in essere con la guida del Presidente Gaglioti. Questo epilogo non lo meritava il sistema di rappresentanza tutto della nostra Provincia, neanche chi, negli ultimi mesi, ha ricercato ragioni per allontanarsi da una progettualità e gestione dell’Ente che, fatte le differenze di merito, ha condiviso per l’intera legislatura Gaglioti. Rispetto alle attenzioni maggiormente legate alla mia organizzazione si è spesso fatto riferimento, in questi ultimi giorni, ad ipotesi di sole autocertificazione di quote associative, distorcendo lo stato dei fatti che hanno visto, a seguito della reitera dell’istruttoria, la documentazione delle quote associative dei soci Confesercenti relativemante agli anni 2011/2012, per come richiesto, con il sistema GestInps (quote associative tracciate con prelievo sui contributi Inps) ovvero con versamenti postali e/o bancari. Queste e altre ancora sono le ragioni, compreso il dubbio sulla effettiva verifica del settore turismo, che ci hanno portato nei mesi scorsi, e ci motiveranno in futuro, a porre in essere tutte le azioni utili a tutelare l’onorabilità e l’autorevolezza dei nostri associati e della nostra Associazione, che non è data dalla presenza di qualche centinaio di associati in più o in meno, bensì dai comportamenti corretti che ci hanno da sempre contraddistinto. Ad maiora. Vincenzo Farina presidente Confesercenti Cosenza

pendenti e sulla tracciabilità che si gioca la partita dove per tracciabilità si intende il versamento fatto dall’impresa all’associazione attraverso circuito bancario o postale. Ed è proprio su questi punti che si accendono i riflettori più inquietanti. Sui dipendenti e sulla tracciabilità si alza l’inquietante asticella della legalità. Cominciano a circolare numeri e cifre da moltiplicazione dei pani e dei pesci come i 16mila dipendenti agricoli denunciati dalla sola sigla della Coldiretti in provincia. Più braccia che campi, o patate se preferite. Confindustria (ma non solo) vuol vederci chiaro e chiede alla responsabile del primo procedimento di controllare meglio se non addirittura di controllare del tutto perché non è detto che l’abbia fatto. Il responsabile fa sapere che occorre più tempo e personale per farlo e lo segnala all’allo-

ra segretario generale che non prende nessuna decisione. La mole di cifre è immensa e anche se con queste anomalie chiude la prima procedura non controllando i plichi delle associazioni di categoria. Tutto questo come certificato dall’allora segretario generale Napoli. La palla quindi passa alla Regione. Che ovviamente, manco fossimo in Germania, non ha braccia e occhi per l’occorrente e non può fare altro che prendere atto dei numeri che gli ha trasmesso il responsabile. A questo punto Confindustria (ma non solo) ricorre ai tribunali e incassa due sentenze (Tar e Consiglio di Stato) che gli danno ragione. I controlli vanno fatti, quei numeri vanno rivisti. E riecco tutto di nuovo nelle mani della Camera di commercio che nel frattempo ha cambiato segretario generale che poi è la figura preposta per il gravoso compito di controllo. Questa volta non ci sono più palle da passarsi, si conta. Ed ecco qualcuno dei risultati più clamorosi venuti fuori, i dati sono su internet e non c’è nulla di carbonaro. Utilizzando un criterio che in gergo tecnico si definisce per “stima” il responsabile del procedimento ecco cosa tira fuori da quei numeri che le associazioni gli avevano inviato. Confcommercio, tanto per dire, ha “dopato” in eccesso del 19,29 per cento il proprio numero di imprese e del 51,54 per cento quello dei dipendenti. Il doppio. Coldiretti, se possibile, si supera. “Solo” l’8,55 per cento del doping, del tarocco, per quanto riguarda il numero delle imprese che aveva presentato ma ben il 77,85 per cento del numero di dipendenti fornito alla Camera è risultato fasullo, creativo se così possiamo dire. Ora va anche precisato che la materia è tutt’altro che cabarettistica nel senso che ogni associazione quando compila “in fede” i propri dati lo fa anche nella consapevolezza che il falso può valere come dichiarazione mendace. Tradotto in guai seri, il segretario generale potrebbe segnalare tutto in procura (ma non lo fa) dove già giace la prima denuncia che alcune aziende avevano presentato per essere stai inseriti in associazioni con cui non avevano mai avuto rapporti. Sulla materia pende un’inchiesta, non è dato sapere come andrà a finire. E così chi chiedeva di controllare i dati e che ha avuto due sentenze a favore in materia e che ha ulteriormente avuto ragione dalla diagnosi del nuovo responsabile non se la sente di percepire come “legittimo” un consiglio che si va formando su dati taroccati. Sia per sostanza che per forma. E nella legalità, la forma è sostanza. Si è proceduto per “tarocchi”, qualcuno pare abbia barato. E la Regione altro non avrebbe dovuto fare che prenderne atto e commissariare un ente che con maggiore serenità e rigore poteva ancora giocarsi la vera partita del rinnovo delle cariche in un clima diverso. Ora invece ogni barriera di protezione, ogni limite di velocità, è saltato. Può accadere di tutto. Del resto che il presidente in carica non abbia fatto molto per farsi amare da chi predilige le scorciatoie è storia nota. Non si spiegherebbe diversamente la sparizione negli anni dei corsi di formazione, delle aziende speciali, dei contributi a pioggia per sagre e feste, delle allegre assunzioni. E non si spiegherebbe nemmeno l’aver preteso rispetto istituzionale da parte della politica, l’aver contrastato ogni forma di intrigo sotto il banco lasciando fuori dal palazzo procedure e metodi poco chiari. Da questo punto di vista un personaggio senza dubbio scomodo il presidente Gaglioti. Vale per tutti il braccio di ferro contro i poteri forti, le strategie invadenti di Unioncamere. Il passacarte insomma non l’ha fatto nel corso del suo mandato il presidente Gaglioti ed è fisiologico che non tutti gli vogliano bene. Succede così quando uno cammina troppo con la schiena dritta... d.m.

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A colpi di libri

Playlist Italia In una Sala degli Specchi affollata della Provincia di Cosenza è stato presentato il nuovo libro del deputato del Pd Sandro Gozi, responsabile delle politiche europee del Partito Democratico, nonché parlamentare nella Camera dei Deputati, intitolato Playlist Italia. La sinistra e il coraggio di cambiare musica. Il testo si rifà alla metafora musicale per raccontare la politica, la storia, il rapporto amore e odio con l’Europa, gli errori e le speranze dell’Italia, un paese che può e deve farcela anche grazie a una sinistra rinnovata. Tanti i temi importanti affrontati in questa analisi: dalla giustizia, all’economia, dalla cultura ai diritti civili. I lavori sono stati moderati da Amedeo Pingitore. «Il sottotitolo del libro “La sinistra e il coraggio di cambiare musica” - ha detto Gozi nel suo breve intervento introduttivo - è sicuramente un impegno e un auspicio. È un auspicio perché è evidente che la sinistra ha bisogno di nuovi interpreti. Tanto per stare nella metafora musicale, credo che non possiamo più proporre Nilla Pizzi ai cittadini che ascoltano i Daft Punk! Se la sinistra non si rinnova, la popolazione farà sempre più fatica a seguirla e alla fine smetterà di provarci. Dall’altra parte dico che è un impegno, perché io, insieme a tante altre persone con cui lavoro, voglio essere protagonista di questo processo di cambiamento». «Per cambiare - ha detto il presidente della Provincia di Cosenza Mario Oliverio - c’è bisogno di un grande sforzo. E questo sforzo va fatto ascoltando le persone e i territori, facendosi carico dei loro problemi, partendo da nuove idee e nuove scelte su temi fondamentali come il lavoro, l’economia, la cultura, i diritti. La sinistra, che per un certo periodo ha smarrito i suoi ideali più profondi, ora deve fare il possibile per recuperare e rendere l’Italia un paese più equo, più giusto, più vicino ai cittadini. Rifuggendo dalla demagogia e dal populismo. Ai cittadini dobbiamo dare risposte concrete e dobbiamo farlo subito, perché ce lo stanno chiedendo a gran voce e da tanto tempo». «Molte cose - ha aggiunto Oliverio - vanno cambiate, ma il cambiamento non può essere rappresentato solo da annunci di titoli di capitoli vuoti e da proiezioni mediatiche. Il rinnovamento deve essere un progetto corale, un movimento sinfonico, sempre per stare nella metafora musicale. O è questo o è un bluff, una presa in giro. La sinistra deve avere la capacità di contrastare i populismi e di evitare l’errore mortale di competere con chi, del populismo e della demagogia, si fa paladino. Servono, pertanto, idee nuove, proposte, sforzi e, soprattutto, uomini e donne capaci di appassionarsi e farsi carico di tutto ciò». «Per troppo tempo - ha detto, in conclusione il consigliere regionale del Pd, Carlo Guccione - abbiamo smarrito il filo della nostra identità e ci siamo messi a scimmiottare Berlusconi. La gente ha capito e, anzichè scegliere la copia, ha scelto l’originale. Il compito che ora abbiamo davanti è quello di riprendere il filo della nostra identità, riallacciare i rapporti con il nostro retroterra, stando dalla parte di quanti ogni giorno fanno fatica per sbarcare il lunario, di chi non ha voce per rivendicare i propri sacrosanti diritti, dei giovani il cui futuro è fortemente compromesso. Dobbiamo mettere da parte le rendite di posizione e metterci in gioco fino in fondo. Una sinistra che vuole essere veramente sinistra deve denunciare, per esempio, con forza e determinazione le malefatte di Sopelliti e della sua giunta in tutti i settori

Il coraggio di cambiare a sinistra, questo il tema di un dibattito nel salone della Provincia di Cosenza in occasione della presentazione di un testo di Sandro Gozi

della vita calabrese e proporsi al governo di questa terra martoriata con un programma che guardi con attenzione ai suoi migliori talenti, ai suoi giovani, alle sue mille potenzialità e ricchezze».

Nuovo centrodestra

Scopelliti re, Gentile colonnello All’esordio di un mese di gennaio pieno di iniziative, dalla manifestazione di Bari al seminario di Savelletri, dalla convention dei giovani a Pesaro alla due giorni di Roma con gli amministratori locali, il Nuovo centrodestra mette a punto la sua squadra con la designazione dei gruppi di lavoro e dei responsabili regionali del movimento - si legge in una nota del Nuovo centrodestra. Tutti i soci fondatori (senatori, deputati, europarlamentari, membri di governo, responsabili regionali), su invito del presidente del comitato promotore Renato Schifani, hanno aderito a uno dei gruppi di lavoro che guideranno la fase organizzativa fino all’insediamento dei nuovi organismi previsti dallo statuto dall’assemblea costituente e designati con metodo democratico. I gruppi di lavoro riguardano: statuto del partito e regolamento dell’assemblea costituente; idee e programma; enti locali; circoli; organizzazione delle iniziative territoriali e delle attività del movimento. Il gruppo, che si occuperà dello statuto e del regolamento, cui sovraintenderà come responsabile nazionale lo stesso Schifani, è presieduto da Roberto Formigoni; per il gruppo idee e programma, responsabile nazionale e presidente del tavolo sono rispettivamente Andrea Augello e Carlo Giovanardi; per il gruppo enti locali Dore Misuraca e Marino Zorzato, che ha ricevuto anche un incarico specifico per le elezioni amministrative nel Nord Italia; il gruppo sui circoli vede Giuseppe Scopelliti responsabile nazionale e Giuseppe Esposito presidente; per il gruppo dedicato all’organizzazione delle iniziative territoriali e alle attività del movimento, i due incarichi sono stati affidati a Barbara Saltamartini e Paolo Alli. Tesoriere del partito è stato nominato Raffaello Vignali - spiega ancora la nota. Per quanto riguarda invece il territorio, sono stati nominati i responsabili dei comitati regionali. Anche in questo caso si tratta di designazioni provvisorie. Ogni responsabile sarà alla guida di un comitato costituito con criteri inclusivi - sottolinea la nota Ncd - nel quale saranno presenti tutti i parlamentari, i presidenti dei gruppi regionali, i consiglieri regionali, i giovani e altri esponenti significativi del movimento. I movimenti provvederanno ad attribuire al loro interno incarichi di lavoro. Tutti gli incarichi, sia per quanto riguarda i gruppi di lavoro che per quanto riguarda il territorio, sono stati conferiti dal presidente del comitato promotore del Nuovo Centrodestra Renato Schifani, sentito il leader Angelino Alfano, così come da delega ricevuta dall’assemblea dei promotori. Di seguito l’elenco completo dei responsabili nelle venti regioni italiane: Valle d’Aosta: Ettore Vierin; Piemonte: Enrico Costa; Liguria: Eugenio Minasso e Luigi Zoboli; Lombardia: Alessandro Colucci; Trentino Alto Adige: Franca Penasa; Veneto: Marino Zorzato e Alberto Giorgetti; Friuli Venezia Giulia: Isidoro Gottardo; Emilia Romagna: Sergio Pizzolante e Valentina Castaldini; Toscana: Gabriele Toccafondi; Marche: Giacomo Bugaro; Umbria: Luciano Rossi; Lazio: Fabrizio Cicchitto; Abruzzo: Federica Chiavaroli; Puglia: Massimo Cassano e Massimo Ferrarese vicario per il Salento; Molise: Sabrina De Camillis e Ulisse Di Giacomo; Campania: Gioacchino Alfano; Calabria: Antonio Gentile; Basilicata: Guido Viceconte; Sicilia: Dore Misuraca e Giuseppe Castiglione; Sardegna: Maddalena Calia; Milano grande città: Maurizio Bernardo; Roma grande città: Gianni Sammarco e Stefano De Lillo vicario; Napoli grande città: Raffaele Calabrò. «Ringrazio Alfano per la designazione a coordinatore regionale del nuovo centrodestra in Calabria. È un attestato di stima personale e politico che voglio condividere con tutti i sindaci, gli amministratori, i parlamentari che hanno aderito al Ncd e, ovviamente, con il presidente Scopelliti la cui azione governativa mireremo a rafforzare». Lo dichiara il Sen Antonio Gentile che aggiunge: «Penso sia indispensabile dialogare con tutte le forze responsabili della Calabria, nessuna esclusa, per costruire ponti di dialogo e abbattere ogni muro che ostacoli il superamento delle criticità ancora presenti nella nostra regione. L’incarico di coordinatore nazionale dei circoli affidato al presidente Scopelliti conferma, infine, la centralità della Calabria nel progetto politico del Nuovo centrodestra».


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Sabato 11 Gennaio 2014

Mezzoeuro Le eccellenze per sperare

Continua a crescere

la nuova struttura Neuromed Con nuovi servizi, nuove attività di ricerca e nuovi investimenti si aprono anche nuove opportunità di lavoro Continuano alacremente i lavori alla nuova ala ospedaliera dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Is). L’Istituto, da oltre 30 anni sinonimo di ricerca e servizi clinico-sanitari altamente qualificati nel settore delle Neuroscienze, è al suo terzo step evolutivo all’insegna dell’avanguardia clinica e tecnologica. A ridosso del plesso esistente, sta rapidamente nascendo un nuovo edificio di quattro piani, su una superficie di circa 11.000 mq che favorirà un innalzamento qualitativo in termini di innovazione tecnologica e ricerca scientifica. Il progetto è infatti inserito nel più ampio contesto del contratto di sviluppo “Hospital and Health services - Servizi avanzati di diagnostica e oncogenomica”, presentato al Ministero dello Sviluppo economico e alle Regioni Molise e Campania in partenariato con altre strutture cliniche presenti in Campania. Diversi i centri ad alta specializzazione che dunque troveranno presto più spazio nella nuova ala, tra cui un Centro per lo studio e la cura del piede diabetico e un Centro sul coma per lo studio dei disturbi cognitivi e della coscienza. Grazie all’ampliamento della struttura sarà anche possibile l’acquisizione di nuove attrezzature all’avanguardia, che contribuiranno ulteriormente al lavoro d’integrazione tra attività assistenziali e di ricerca; non solo, sempre nell’ottica di una migliore assistenza al paziente e ai suoi familiari, saranno migliorate le attività già esistenti tramite, ad esempio, l’ottimizzazione degli spazi relativi al blocco operatorio, con la creazione di sale “ibride” innovative, e l’ampliamento delle palestre del reparto di riabilitazione. La costruenda ala è stata progettata riservando grande e particolare attenzione all’umanizzazione degli spazi tramite la realizzazione di ambienti ampi ed articolati, aperti alla comunicazione, che facilitano i contatti, i percorsi e la permanenza e creando, in definitiva, un ambiente confortevole ed accogliente, rassicurante e non ostile. Non mancheranno aree attrezzate a verde, che contribuiranno al benessere di pazienti e familiari. Il nuovo intervento sarà, infine, dal punto di vista dei materiali utilizzati e degli impianti installati, rispettoso dei criteri ambientali e paesaggistici e si avvarrà di nuovi sistemi costruttivi in grado di garantire elevati standard in termini di isolamento acustico, termico, di eco biocompatibilità e di antisismicità.


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Le eccellenze per sperare

In apertura di servizio, l’esterno della struttura Neuromed di Pozzilli Nelle altre immagini le elaborazioni di come si presenterà a lavori ultimati

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Un mare di interessi...

A Gioia Tauro rischiamo il commissariamento, ma noi non ci stiamo alla vecchia logica dell’occupazione del potere che torna con la prossima nomina della nuova Autorità portuale, da parte del ministro Lupi, noi. Crediamo di fondamentale importanza pensare alla portualità calabrese come sistema, abbiamo strutture che possono creare occupazione, lavoro e indotto, un sistema integrato che inglobi anche Messina, una governance unitaria e coordinata, fino ad oggi c’è stato solo un sistema portuale governato male, non attrattivo e soprattutto improduttivo.

I tentacoli sul porto Rischiamo il commissariamento del porto di Gioia Tauro, ma noi non ci stiamo alla vecchia logica dell’occupazione del potere che torna con la prossima nomina della nuova Autorità portuale, da parte del ministro Lupi, noi. Crediamo di fondamentale importanza pensare alla portualità calabrese come sistema, abbiamo strutture che possono creare occupazione, lavoro e indotto, un sistema integrato che inglobi anche Messina, una governance unitaria e coordinata, fino ad oggi c’è stato solo un sistema portuale governato male, non attrattivo e soprattutto improduttivo. Dobbiamo rafforzare il polo siciliano e quello calabrese, sullo Stretto, solo questo può creare una realtà di eccellenza, una nicchia importante per il futuro dei territori rivieraschi, una strada giù aperta dall’Unione europea con il progetto Esii sugli Stretti europei. È necessario l’intervento immediato delle autorità del territorio come i sindaci, solo loro possano dare un indirizzo specifico e altamente qualificato con la proposta della creazione di un sistema portuale "Infatti nonostante i ventilati record del 2013, con 3 milioni e cento teus transitati nell’hub di Gioia in un anno, contro i 2,7 milioni dello scorso anno. Se Scopelliti, intento a crearsi poltrone per sé e per gli amici, è incapace di creare ricchezza pubblica, non pensano lo stesso gli addetti del settore. Un segnale forte arriva ad esempio da Thomas Baumgartner, amministratore delegato di Fercam di Bolzano che ha una delle sue filiali europee a Rotterdam e che chiede a gran voce di lavorare in Italia ma dice anche che per crescere è importante l’internazionalizzazione, in effetti Rotterdam movimenta 12 milioni di teu e 450 milioni di tonnellate di merci, la portualità italiana arriva a malapena a 9 milioni di teu, Gioia Tauro, all’ottavo posto in Europa, movimenta 3 milioni di teu ma a tutt’oggi è solo un porto di transhipment, ossia di trasbordo. A Bruxelles, la Regione Calabria ha brillato per la sua assenza all’incontro sul futuro dei trasporti euro mediterranei, quindi avvertiamo noi il governatore che vista la crescita dei porti nordafricani, c’è il rischio di una nuova marginalizzazione dei porti europei; probabilmente potrebbe funzionare la creazione di una Zona economica speciale (Zes), efficace per la crescita dei porti di transhipment non europei e delle loro aree logistiche e industriali. Soltanto con un’autorità portuale forte come sistema, Gioia Tauro può imporsi come primo porto europeo; la sua crescita attuale, ripresa da poco, sarà continua, ma non forte, per questo occorre

A Gioia Tauro ischiamo il commissariamento «Non ci stiamo alla logica del potere che torna» dice Giovanni Belmonte, del meetup 162 del M5s «Crediamo alla portualità calabrse come sistema che possa inglobare anche Messina e che porti occupazione, lavoro e indotto» adottare la ricetta Baumgartner cioè un sistema che, nel nostro caso, inglobi lo Stretto, come fatto con Villa e come richiesto da Vibo, fortemen-

te penalizzato dalla carenza di servizi e di connessioni intermodali e che invece potrebbe godere degli effetti della zona economica speciale; ma anche le problematiche del porto di Crotone, Corigliano, Palmi. [In effetti, il declino di Taranto e il ritorno a Gioia Tauro della compagnia di navigazione danese Maersk Line, che recentemente ha stretto con MSC e con la Cma-Cgm nella P3 Network, che diventerà operativa nel secondo trimestre del 2014, aprono prospettive di grande respiro]. Un’occasione da non perdere: a noi non interessano le polemiche sui tanti nomi che circolano, interessa il lavoro e l’occupazione, il futuro di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie, con delle specificità diverse per ogni singolo porto, ma che devono essere affrontate con politiche di sistema e con il massimo della professionalità e competenza. Solo a Gioia Tauro ci si troverà di fronte alla scadenza della cassa integrazione che riguarda quasi 500 lavoratori diretti, oltre alle difficoltà per tutto l’indotto portuale. Giovanni Belmonte meetup 162 Movimento 5 Stelle Reggio Calabria

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Il veleno a due passi da casa

Una “bomba” sulle sponde del Crati «Preoccupazione, sconcerto, inquietanti dubbi ma anche vicinanza e solidarietà. Sono tanti i sentimenti che nutriamo in queste ore a proposito del mega impianto di compostaggio dei rifiuti che dovrebbe sorgere, il condizionale è quantomai stavolta un auspicio, nel cuore verde e rigoglioso della provincia di Cosenza, nel territorio di Bisignano al confine con Luzzi. Vogliamo capirne di più, dobbiamo capirne di più, la gente deve sapere la verità». Così Angelo d’Acri, segretario del Pd del circolo di Luzzi, affronta in una nota la delicata e spinosa questione che sta tenendo in ansia le comunità della media valle del Crati e che riguarda la costruzione del mega impianto di compostaggio che dovrebbe sorgere nel comune di Bisignano nella sua zona posta al confine con quello di Luzzi. Un territorio vasto, a forte vocazione agricola e agrituristica ma soprattutto densamente popolato se teniamo conto della cerniera di paesi vi girano attorno. «Una vera e propria bomba ecologica» la definisce d’Acri a due passi da casa e da qui i variegati sentimenti che vanno montando in queste ore. «Di preoccupazione, ovviamente, e come potremmo non averne - continua d’Acri -. Non conosciamo nulla di questo progetto, nulla. La sua portata, l’impatto sulla salute dei cittadini, lo studio di fattibilità, l’impresa o le imprese chiamate a costruirlo e la loro relativa affidabilità tecnica. Nulla sappiamo, il tutto è avvolto nelle nebbie. Conosciamo solo il terrorizzante potenziale di cui è capace questo impianto che dovrebbe smaltire 180mila tonnellate all’anno caratterizzandosi indubbiamente come il più grande centro di compostaggio del Mezzogiorno e sappiamo solo che questa tecnica, quella del trattamento dei rifiuti indifferenziati, viene ormai considerata obsoleta, vecchia, dalla nuova logica contemporanea dell’approccio dei rifiuti. Nel momento in cui le più sviluppate civiltà occidentali studiano come produrre meno rifiuti qui, nel cuore verde della provincia cosentina, se ne incentiva invece la produzione, peraltro indifferenziata, impiantando un colosso da 180mila tonnellate l’anno e in una zona per di più ad altissima vocazione agrituristica.

Panoramiche di Luzzi e, dall’altra parte, Bisignano

Un mega compattatore per rifiuti indifferenziati da 180mila tonnellate l'anno è in programma nel comune di Bisignano ai confini con Luzzi Siamo nella media valle, rigoglioso e popoloso pezzo di provincia a decisa vocazione agricola e agrituristica Non si conosce nulla di progetto, fattibilità, impatto ambientale e ricadute sulla salute dei cittadini. Si sa solo che per avere il "mostro", che sarebbe il più grande nel suo genere del Mezzogiorno, i sindaci Bisignano e Tedesco hanno partecipato a un bando regionale e quest'ultimo ha pure fatto ricorso al Tar perché non vuole perderlo L'allarme lo lancia il segretario del Pd di Luzzi Angelo d'Acri ma la faccenda è tutt'altro che conclusa qui...

È per questo, altro sentimento che cresce - continua ancora d’Acri - che proviamo grande vicinanza e solidarietà per le popolazioni immediatamente coinvolte dal progetto. I cittadini di Bisignano, ovviamente, ma non solo se consideriamo la contiguità con Luzzi e con una serie di altri paesi che insistono, vivono e producono nella valle. Gli amici del Pd di Bisignano hanno già raccolto 4mila firme contro il progetto avallato dal Comune guidato da Umile Bisignano ma sono numeri destinati ad essere frantumati ora che anche altri centri, in primis Luzzi, inizieranno a raccogliere adesioni contro la costruzione dell’impianto. Non nascondiamo poi sconcerto in merito a questa delicatissima faccenda - prosegue d’Acri -. Un impianto simile lo ritroviamo nel Mediterraneo a Cipro (non proprio l’avanguardia delle tecnologie occidentali) e lo ritroviamo peraltro posto in una zona desertica, lontana molte miglia dalle contaminazioni umane o vegetali. Ci deve pur esse-


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Sabato 11 Gennaio 2014

Il veleno a due passi da casa

re un motivo se da quelle parti hanno pensato bene di tenerlo lontano dai centri abitati. Senza contare poi il regno dell’improvvisazione in cui si agisce. Sempre per restare agli esempi concreti come non tenere conto del “caso” Torino dove per la sola fattibilità di un impianto simile ci hanno lavorato per 17 mesi ben 46 persone. Forse un po’ di scrupolo, certamente di organizzazione in più rispetto ad esempio a quello che sta accadendo a Bisignano dove in poche settimane, e con un numero di persone che stanno in un pugno, si cerca di mettere dei punti tecnici fermi sulla fattibilità dell’impianto. Questa preoccupazione, e qui veniamo ai mille dubbi che ci stanno togliendo il sonno in queste ore, non l’ha certamente avuta il sindaco di Bisignano ma neanche quello di Luzzi, Manfredo Tedesco, se è vero come è vero che tanto il primo quanto il secondo hanno partecipato questa estate al bando pubblico della Regione Calabria per vedere edificato nel proprio territorio il colossale impianto di compostaggio. Per ragioni che ancora rimangono oscure poi i lavori se li è aggiudicati il Comune di Bisignano ma non deve sfuggire a nessuno che lo stesso Tedesco è poi ricorso al Tar per vedersi riconosciuto il diritto a costruire su Luzzi l’impianto. Non si capisce allora quale sia la reale posizione del sindaco Tedesco in materia. Da un lato manifesta dubbi egli stesso sull’impatto ambientale dell’opera, dichiarandosi favorevole solo a patto che non si intacchi la salute dei cittadini (cosa questa impossibile da stabilire a priori oltreché, probabilmente, impossibile di per sé da ottenere). Dall’altro però ricorre al Tar perché vorrebbe lui su Luzzi l’impianto di compostaggio in barba ai più elementari principi di democrazia partecipata. Ci piacerebbe sapere per esempio quanti luzzesi sono stati consultati questa estate quando Tedesco ha deciso di partecipare al bando della Regione. Così come ci piacerebbe sapere, ades-

so, quanti altri luzzesi Tedesco ha coinvolto prima di ricorrere al Tar proprio per difendere il diritto alla costruzione di un impianto imponente e pericoloso che un giorno dice di volere, l’altro appresso no. Se non è quantomeno con superficialità che sta agendo Tedesco non sapremmo allora come definire, in peggio ovviamente, il suo metodo complessivo. A lui per quello che ci riguarda ma anche a Bisignano per il comune di sua pertinenza consigliamo prudenza finché si fa in tempo. Con la salute dei cittadini non si scherza. Per quanto è e sarà nelle nostre possibilità - conclude d’Acri - lotteremo con tutti i mezzi a disposizione per stare dalla parte dei cittadini e degli interessi della media valle del Crati. Un territorio, lo ricordiamo ancora, tra i più generosi in materia agrituristica e che mal si concilia con un “mostro” di compostaggio da 180mila tonnellate all’anno. Vogliamo chiarezza, vogliamo saperne di più e subito. Costi quel che costi».

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Sabato 11 Gennaio 2014

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«Questo decreto legge rasenta la follia! Noi vogliamo la Banca d’Italia pubblica e indipendente, il Governo la vuole svendere a quotisti esteri e poteri forti». Questo è quanto ha dichiarato il cittadino Francesco Molinari senatore pentastellato. Sembra una dichiarazione sopra le righe, seguendo la moda di voler a tutti i costi enfatizzare gli argomenti di cui ciascuno si occupa. A ben guardare, tuttavia, non solo appare appropriata, ma addirittura riduttiva. Il provvedimento di cui si parla è quello della privatizzazione della Banca d’Italia con la rivalutazione delle quote di capitale detenute dai grandi gruppi bancari e altri soggetti. Quello della Banca d’Italia è un vero e proprio scandalo, molto maggiore del polverone degli affitti d’oro. Quando la polvere si è diradata, si è scoperto, tuttavia, che anche in quel caso dietro un apparente tecnicismo si nascondeva un vero e proprio scandalo. L’opera pia “Volemose bene” sempre in funzione in questi casi vuole che il problema sia risolto con qualche piccolo comma nascosto tra le pieghe di questi provvedimenti, che contengono tutto e il contrario di tutto.

La Banca d’Italia

bancomat delle banche I pentastellati peccano di un pò di improvvisazione e qualche approssimazione più che giustificata dall’ardore giovanile e dalla mancanza di familiarità con i trucchi e i trucchetti della politica. Quello che appare sempre più evidente che peggio della politica c’è la burocrazia, o sarebbe meglio dire l’alta burocrazia, costituita dai grandi magnager pubblici, il cui impatto sulla spesa pubblica è devastante non tanto per i lauti compensi non giustificati dal contributo che danno alla gestione del sistema, ma per la strenua difesa di tutti i privilegi che si annidano tra i codici e codicilli creati da loro stessi per mettersi al riparo da qualsiasi sorpresa. Il Parlamento, infatti, riesce appena a ad occuparsi di qualche problema marginale, ma la stragrande maggioranza delle bizzarrie legislative hanno origine burocratica e hanno la chiara finalità di proteggere il consolidato sistema di furto aggravato e continuato ai danni della collettività con trucchi degni di Diabolik. Il primo elemento di scandalo della Banca d’Italia è quello di aver voluto prendere il gatto per la coda, occupandosi di un problema non secondario, ma terminale nel senso che la questione ella proprietà andava affrontato dopo aver definito i compiti e le funzioni dell’Istituto. È evidente a tutti che quella disegnata nella grande riforma del 1936 non esiste più, poiché la Banca d’Italia non è più un istituto di emissione, avendo trasferito la sovranità monetaria alla Bce, non regola la massa monetaria, non ha che limitate funzioni di tesoreria dello Stato. Gli resta la funzioni di vigilanza sul sistema del credito parzialmente, poiché il controllo sulle operazioni di mercato che esse svolgono sono di competenza della Consob. Ma anche questa è una funzione provvisoria, poiché il controllo dei grandi gruppi sta per essere trasferito alla Bce, per cui rimarrebbero sotto il controllo della Banca d’Italia solo le piccole banche locale. In pratica si tratta delle Bcc, Popolari e poco più. La cosa curiosa è che i grandi gruppi bancari passano sotto la vigilanza europea ma acquisiscono il controllo del capitale della Banca d’Italia che deve controllare le piccole banche. Possiamo girarci intorno con le parole, ma in definitiva significa che le grandi banche controllano le piccole.

Con la conversione del decreto l'ex istituto di emissione dismette i panni pubblici e diventa un soggetto completamente privato, in mano alle banche Salta completamente l'equilibrio creato nel 1936 Lo Stato dopo aver ceduto la sovranità monetaria alla Bce, regala i profitti alle banche. Un affare che vale una mezza finanziaria ogni anno. O forse no...

E tanti saluti alla concorrenza. Sembra un po’ la favola del lupo e dell’agnello o la legge del mare, dove il pesce grande mangia il più piccolo, applicato al sistema bancario. Naturalmente si tratta di una mezza boutade, poiché si obietterà che l’attività di Vigilanza è al di fuori del controllo degli azionisti e i funzionari incaricati godono di ampia autonomia e una autorevolezza che li pone al di sopra a al di fuori di qualsiasi manipolazione e interferenza. Questo può essere vero hic et nunc, in ossequio a una lunga tradizione di rigorosa gestione di quest’attività nel lungo percorso della vecchia legge bancaria. Nessuno può tuttavia garantire per il futuro poiché la governance dell’Istituto passa in mano comunque ai privati. Se questi ultimi non possono decidere la nomina del Governatore, sottoposta a una complessa procedura, certamente potranno avere voce in capitolo nella scelta di quadri e dirigenti fino a ottenerne il controllo di fatto e la possibilità di manipolazione anche della Vigilanza. Potrebbe essere un processo lungo e faticoso, o anche subire accelerazioni improvvise poiché spesso le cadute sono rovinose. Qualche riflessione si impone. Intanto, il governatore non è il mostro sacro di qualche decennio fa. Personalità come Guido Carli, Paolo Baffi o Azelio Ciampi erano temute e rispettate da tutto


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Sabato 11 Gennaio 2014

Prossima la conversione del decreto Altrettanto anacronistica appare la conservazione della funzione di Vigilanza sulle banche minori in capo a una società destinata a diventare completamente privata. Trattandosi di una funzione pubblica dovrebbe essere passata di competenza al Tesoro, come d’altronde era prevista inizialmente nel 1936. Non è accettabile che la Banca d’Italia si trasformi in una sorta di società di revisione e certificazione, che tragga i suoi utili da attività che appartengono esclusivamente allo Stato, magari addossandone il costo alle banche ispezionate. Eliminata l’emissione monetaria, ceduta l’attività di vigilanza dei grandi gruppi, diventata inutile la gestione della tesoreria dello Stato, e al regolazione della massa monetaria, cosa resta all’ex, molto ex, istituto di emissione, come dovrebbe realizzare i lauti profitti di cui si vaneggia nella perizia dei super esperti? Questa è la domanda chiave alla quale si tenta in tutti i modi di dare una risposta. Beninteso l’oro ex monetario accumulato nel caveau della Banca garantisce un roseo futuro per molti anni a venire: è sufficiente cederne sul mercato un esiguo ammontare ogni anno per lasciare ai nipotini il compito di decidere cosa fare di un soggetto diventato completamente inutile. Per quale motivo, le riserve auree devono diventare un cespite della nuova Banca d’Italia di sua esclusiva proprietà e produrre profitti per i partecipanti al capitale che nulla hanno fatto per accumulare quel Tesoro? Il sospetto avanzato da più parti, in particolare dal professor Gianfranco D’Atri che ne ha fatto un vero e proprio cavallo di battaglia, è che l’indisponibilità di riserve pone un limite insuperabile all’adozione di una moneta diversa dall’euro, rendendo irreversibile la partecipazione dell’Italia alla moneta unica.

il mondo politico ed economico per il prestigio personale, ma anche per l’autorevolezza della carica ricoperta. Il loro nome era conosciuto da tutti, spesso di più del Presidente della Repubblica. Oggi si fa fatica a ricordarne il nome. Certamente non per demerito di Ignazio Visco, che è una ottima persona, integerrima moralità, competenza, professionalità e così via. Ma le sue funzioni non sono vitali come una volta, non gioca un ruolo fondamentale nella definizione della politica economica. Le considerazioni del governatore pronunciate nell’Assemblea della Banca il 31 maggio di ogni anno assumevano una funzione sacrale, tenute in grande considerazione nella predisposizione del bilancio dello Stato. Il personale della banca gode di un regime privilegiato con una serie di benefit non presenti nel resto della pubblica amministrazione: guarentigie pubbliche e flessibilità privata, un modello che ha consentito alla Banca d’Italia di acquisire prestigio ed autorevolezza. Un commesso ha uno stipendio superiore a un quadro di qualsiasi altra banca. Questo era forse giustificato dalla ieraticità attribuita al ruolo, che oggi è venuta completamente meno per cui la singolarità del suo contratto non ha più nessuna ragion d’essere. La condizione del personale è oggi semplicemente scandalosa, uno schiaffo a tutti coloro che devono accontentarsi di qualche centinaio di euro al mese per lavori precari.

«Vogliamo che la Banca d’Italia rimanga pubblica perché dobbiamo salvaguardarne la piena indipendenza!», afferma ancora il senatore Francesco Molinari. Ma il problema vero è quello di definirne ruolo e funzioni e sulla base di questi stabilire la sua natura giuridica. Oggi il dibattito, nella quasi totale indifferenza del grande pubblico televisivo abituato piuttosto al gossip che a preoccuparsi di problemi apparentemente tecnici ma di grande impatto pratico, si concentra esclusivamente su una questione di interesse. Oltre alla riserva aurea, che costituisce di gran lungo la componente patrimoniale più importante, un altro elemento di grande interesse è costituito dal patrimonio immobiliare costituito da tutti gli immobili di prestigio che sono sempre nelle zone centrali delle principali città dove vi erano le sedi provinciali della Banca. In gran parte sono ormai vuote o stanno per diventarlo, considerato che non vi è alcun serio motivo per mantenerle in funzione poiché l’articolazione territoriale è diventata completamente inutile. Ne è triste testimonianza la sede cosentina ormai chiusa da qualche anno, che rischia il degrado se non viene riutilizzata al più presto. Pur non reggendo il paragone con l’oro di proprietà, anche il patrimonio immobiliare ha un valore molto elevato e passare di proprietà ai nuovi partecipanti al capitale consentendo l’avvio di potenziali operazioni speculative in tutta Italia. Il problema è quello della definizione dei compiti che si vogliono attribuire alla Banca d’Italia e solo dopo decidere quale forma deve assumere. Il rettore della Bocconi Guido Tabellini aveva al proposito avanzato alcune proposte che dopo una prima risposta positiva da parte del governo Monti, sono state lasciate cadere concentrandosi unicamente sulla privatizzazione della banca. Qualunque sia la decisione dovrebbe essere chiaro che il patrimonio, tanto aureo che immobiliare, non può essere ceduto a privati in maniera così semplicistica.

Scrive al riguardo il senatore Molinari: «Ma, soprattutto, fatto essenziale e decisivo della necessità che torni interamente in mano pubblica - intento già dettato dalla Legge n.262/2005 e opportunisticamente mai attuato - è che il ricco patrimonio da essa costituito non è di un qualsiasi azionista/quotista ma degli italiani. Il Movimento 5 Stelle parte da questo presupposto, quando afferma l’elevata discutibilità del D.L. n.133: è inaccettabile che il nostro ex Istituto centrale di emissione possa diventare a maggioranza di quotisti esteri né tale rischio viene mitigato dalla considerazione che essa possa temporaneamente ricomprare le quote eccedenti, visto che è parimenti grave che la Banca d’Italia possa detenere tali quote al posto dello Stato italiano. Quella che si sta facendo, sotto l’apparenza di una “furbata” nasconde un gesto folle ai danni del nostro Paese!» Il procedimento così concepito appare un ingiustificato, ingiustificatissimo, regolo alla lobby dei grandi gruppi bancari, che sono i principali responsabili dello stato di crisi in cui siamo caduti e oggi vengono premiati con un regalo di quasi mezzo miliardo di euro l’anno. Ma quel che appare ancora più grave gli vengono consegnate le chiavi per controllare i piccoli istituti. Riportiamo quanto denunciato dal cittadino Molinari, poiché il Movimento 5Stelle è l’unico ad aver preso sul serio la questione e ha aperto una discussione pubblica sull’argomento. Tutti gli altri sembrabno affetti da una prematura sonnolenza estiva e accettano senza alcuna obiezione le proposte del governo in clima di rassegnata sfiducia sulla possibilità di intervenire in una tematica tanto tecnica da non consentire una valutazione ponderata sul provvedimento. «Cosa si nasconde dietro questa ingiustificata fretta di cambiarne l’assetto alla BdI?», si chiede il senatore pentastellato. «Il testo che ci apprestiamo a votare, da un lato, è un regalo alle Banche private ed ai suoi padroni - già riccamente beneficiati dalla Legge Amato-Carli - e una truffa ai danni del popolo italiano ; se esso genererà maggiori entrate tributarie nel breve periodo - 900 mln di euro, frutto di una minima imposta sostitutiva del 12% - essa produrrà la rinuncia a 450 mln di euro annui, in precedenza esclusivo appannaggio (cd. signoraggio) dello Stato. Dall’altro, il decreto legge, estendendo - nel modo criticato - la cerchia dei possibili partecipanti al capitale della nostra Banca centrale lo allarga a soggetti finanziari esteri (seppur limitati al perimetro della comunità europea). Ormai la svendita del patrimonio dello Stato italiano - il patrimonio degli italiani al fine di mantenere intatti gli sprechi di una classe politica corrotta, non conosce limiti! Occorre evidenziare, poi, come ancora una volta si usino pretestuosamente le istituzioni europee per spacciare come necessità una ripatrimonializzazione a costo zero di enti creditizi che stanno strangolando l’economia del nostro Paese: lo stesso governatore della Bce, Draghi ha lamentato il fatto che Governo abbia richiesto un parere, procedendo - poi - senza attenderlo. Un parere che - ora disponibile - contiene implicite riserve e banali auspici acché i provvedimenti conseguenti siano in linea con la normativa comunitaria (omettendo di pronunciarsi sul palese aiuto di Stato dato alle aziende bancarie e assicurative interessate dalla rivalutazione-truffa). La politica italiana si sta lentamente sottomettendo ai più oscuri poteri finanziari; noi del M5S non ci piegheremo ai poteri forti che - di fatto - stanno svuotando della democrazia le istituzioni del nostro Paese. Il soddisfacimento dei loro interessi è diametralmente opposto a quello dei cittadini italiani ed il Governo Letta è ad esso asservito». Sono parole pesanti, che, almeno meriterebbero un approfondimento prima di approvare una norma scellerata. o.p.

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