Anno 37 - 6 Aprile 2013 - Numero 14
Settimanale indipendente di informazione
euro 0,50
il 6 e il 13 aprile a Serra San Bruno, racconti e testimonianze per ricordare chi ha pagato con la vita l’avversione alle mafie COMINCIANO I DOLORI
TEATRO PER RAGAZZI
Di fiore in fiore sternutire va di moda
C’era una volta... Mettiamo da parte le tecnologie
di Giovanni Perri
Con l’impollinazione arrivano i problemi. Ma i rimedi ci sono
Un appuntamento vivo in alternativa alle mattinate riempite dal computer
II
sabato 6 aprile 2013
Il rosa si rinforza Costituito il Coordinamento provinciale per Catanzaro
Impresa donna
Il gruppo Cicas
Catanzaro, pubblicato il bando per contributi B&B Si è tenuta nella sala giunta della amministrazione provinciale di Catanzaro, la conferenza stampa di presentazione di Impresa Donna - Cicas, la struttura consociata della Confederazione dei piccoli industriali, commercianti e artigiani. Insieme al presidente nazionale della Cicas, Giorgio Ventura, erano presenti, per porgere saluti e auguri alla nuova sigla, l’assessore provinciale al Bilancio, nonché comunale alle Attività produttive, Giovanni Merante, e la dirigente del settore Attività produttive della Provincia, Anna Perani. Merante ha sottolineato il ruolo originale spesso assunto dalla Cicas nell’affrontare temi e problemi delle categorie rappresentate, anche nello stimolo a un cambio di visione prospettica, verso la tutela del commercio cittadino e di vicinato. Perani, dal suo osservatorio specializzato, ha tracciato una analisi delle possibilità derivanti dalla attuazione della legge regionale 34 di delega alla Provincia e soprattutto di quelle discendenti dall’approntamento dei Pisl provinciali. Impresa Donna Cicas ha un coordinamento nazionale con sede a Roma, che fa capo a Simona Fazi, operante da diversi anni, mentre altre sedi sono in via di costituzione nelle diverse regioni italiane. La struttura di Catanzaro nasce per volontà di un gruppo di intraprendenti imprenditrici della provincia, animate dalla comune volontà di affermare ruolo e capacità della donna nell’ambito del lavoro autonomo e delle attività di impresa. Obiettivo è essere fonte di ispirazione e di stimolo delle iniziativa imprenditoriali femminili, e concreto supporto nell’accesso al credito e alle risorse dedicate, regionali, nazionali e comunitarie. Impresa Donna Cicas Catanzaro ha adesso, nominata secondo statuto dal presidente Ventura, una coordinatrice provinciale: è Roberta De Santis, architetto, imprenditrice nel settore arredo, a Settingiano. Fanno parte del coordinamento provinciale Antonia Angotti, Catanzaro, settore gift; Carmelina Bua, Soverato, settore ristorazione; Consuelo De Pasquale, Lamezia Terme, settore moda; Diana Desto, Catanzaro, settore gift; Anita Ferragina - Ristorazione Alta gastronomia e Catering - località Alli di Catanzaro; Rosella Tassone, Catanzaro, project manager; Raffaella Billia, Martelletto, settore Beverage Ristorazione. Dopo l’introduzione di benvenuto del presidente Ventura, ha preso la parola la neo coordinatrice Roberta De Santis: «esserci per contare è il motto che mi ha convinto ad accettare l’impegno che sto assumendo - ha detto - e che ci porterà presto a prendere comuni iniziative che, facendo crescere le nostre attività individuali, possano contribuire alla crescita economica del territorio». A conclusione, è seguita una breve presentazione delle esperienze di ciascuna delle componenti del nucleo costitutivo di Impresa Donna - Cicas Catanzaro.
Presentazione della struttura tutta al femminile consociata della Confederazio ne dei piccoli industriali, commercianti e artigiani
Migliorare il turismo tra letto e colazione La giunta provinciale di Catanzaro ha approvato il bando per la presentazione delle domande di concessione di contributo per lo sviluppo del sistema di Bed&breakfast. Il bando è stato pubblicato sul sito istituzionale della Provincia di Catanzaro www.provincia.catanzaro.it, nonché sul portale tematico del turismo www.turismoprovinciacatanzaro.com. Il bando è finalizzato a riqualificare la ricettività non convenzionale dei B&B, rafforzare l’offerta turistica esistente migliorando gli standard qualitativi dell’offerta e conseguentemente il livello di competitività, incrementare il livello di sostenibilità economica, socio-culturale e ambientale dei B&B che operano nel contesto provinciale di Catanzaro, favorire l’adozione di innovazioni tecnologiche, favorire l’accessibilità e la fruibilità delle strutture e dei servizi ai soggetti portatori di bisogni speciali anche nel rispetto del principio di pari opportunità. L’importo massimo del contributo è di 25mila euro in conto capitale, e non può superare il 50 per cento del costo totale dell’intervento e il limite di 5mila euro per posto letto autorizzato. Possono presentare istanza di concessione del contributo i titolari di B&B che abbiano già ottenuto autorizzazione all’esercizio o che abbiano prodotto segnalazione certificata di attività, ai sensi della normativa vigente, e che si impegnino a proseguire l’attività ricettiva per cinque anni. Sono ammissibili le spese relative all’acquisto di nuovi arredi e al restauro di mobili antichi; acquisto di nuove attrezzature ricreative, ludiche, sportive e del benessere, tecnologie ed elettrodomestici utili ad elevare gli standard dei servizi erogati e migliorare il sistema di accoglienza; interventi di riqualificazione dei locali destinati al servizio di accoglienza e dei relativi impianti volti a rendere più sicura, più confortevole e accogliente la struttura ricettiva; iniziative e studenti di promozione della struttura ricettiva, purché sia prevista anche la valorizzazione degli attrattori culturali, enogastronomici, paesaggistici e ambientali del territorio. Soddisfazione per la pubblicazione del bando, finanziato con 270mila euro, è stata espressa dal presidente della Provincia di Catanzaro, Wanda Ferro, che ha rivolto un ringraziamento, oltre che all’assessore al Turismo Salvatore Garito, alla dirigente del settore Turismo dell’ente, Anna Perani, e alla funzionaria Angela Vatrano: «Grazie al lavoro del settore Turismo - dice Wanda Ferro - le strutture della provincia di Catanzaro possono ora contare su un importante strumento di incentivazione economica, che consentirà di migliorare la ricettività del nostro territorio e di favorire un turismo sostenibile, basato sul contatto con la natura e l’identità del territorio oltre che al consumo e alla valorizzazione delle produzioni tipiche».
sabato 6 aprile 2013
III
La povertà che arricchisce
fa ritorno a Paola, dove fa vita eremitica. Questa ultima, sorprendente, scelta, attira la curiosità dei conterranei, poi la loro stima. A Francesco, dopo poco tempo, si uniscono altri eremiti, guidati dal frate secondo principi di forte rigore: digiuno, penitenza, preghiera. Con il passare degli anni, crescono in modo esponenziale i suoi seguaci; così, anche grazie all’appoggio di Pirro Caracciolo, arcivescovo di Cosenza, Francesco promuove e si impegna a costruire un grande convento, all’interno del quale prenderà vita concretamente e continuativamente l’esperienza dell’Ordine dei Minimi. La vita di San Francesco di Paola, un’affascinante avventura spirituale Frattanto la fama degli eremiti aumenta; non mancano voci e testimonianze di miracoli perpetrati da Francesco, e la Santa Sede, allora guidata da Papa Paolo II, invia a Paola Baldassarre de Gutrossis, prelato della di Francesco Fotia curia. Rientrato in Vaticano, il prelato riferisce al pontefice dell’esperienza straordinaria dell’Ordine dei Minimi. E’così che la Santa Sede cementa i rapporti dei fedeli con il nuovo convento, stabilenLa vita di San Francesco di Paola, il Patrono della Calabria, è stata do l’elargizione dell’indulgenza a chiunque avesse contribuito alla un’affascinante avventura spirituale, una parabola che ha segnato la costruzione del convento e a chi l’avesse visitato. vita dei suoi concittadini e contemporanei, prima di diventare una Frattanto, anche la fama di taumaturgo, della facoltà, cioè, di fare guida per milioni di credenti, anche per coloro che sono nati secoli miracoli, è accresciuta. Luigi XI, vittima di un colpo apoplettico, dopo di lui, lontano dalla Calabria. A pochi giorni dal 2 aprile, giormanda a chiamare Francesco: lo vuole alla sua Corte. Il frate, sebno dedicato al santo più amato della nostra terra, ripercorriamo qui bene restio, viene condotto nell’eremo di Plessis les Tours, apposile vicende che hanno portato San Francesco a guadagnare grande tamente eretto per lui. fama, stima e stupore, dapprima tra i suoi concittadini, poi tra le masÈ segnata quindi in Francia la svolta dell’Ordine dei Minimi: la vita sime cariche ecclesiastiche, fino ad arrivare al Re di Francia, Luigi eremitica viene abbandonata in favore di un’esperienza di predicaXI. zione e di riforma. Ai voti di povertà, obbedienza e castità, Francesco, per il suo Ordine, aggiunge il divieto di mangiare carne, latte, uova Francesco viene al mondo nel 1416; i genitori, attribuendo la sua nae formaggi, tranne nei casi di malattia. L’Ordine dei Minimi, così scita al santo di Assisi, gli danno il suo nome. Dopo solo un mese chiamato in onore dei Frati Minori di San Francesco d’Assisi, con di vita, Francesco contrae una malattia all’occhio; la madre fa voquesto nome fu approvato da Giulio II e si espanse in tutta Europa. to, ancora, a San Francesco: suo figlio porterà il saio francescano Francesco si spegne nel 1507, e nel 1519 viene canonizzato sotto il per un anno se guarirà. Dopo pochissimo tempo, la malattia recede. pontificato di Leone X. A dodici anni, per fare fede al voto, Francesco viene condotto al convento di San Marco Argentano, dove si distingue per la predisposiIn onore del Santo patrono sono stati eretti conventi, chiese e mozione alla vita austera e per la forte attitudine al sacrificio. Nei menasteri in tutta la Calabria. Lo scorso anno, in occasione del cinsi trascorsi con i frati minori, Francesco viene notato anche per alquantesimo anniversario dalla proclamazione a patrono, l’amminitre, rare, qualità: quelle prodigiose. Alla scadenza dell’anno, benché strazione Comunale di Cosenza ha edito un catalogo, curato da i frati ne richiedessero la permanenza, Francesco decide di abbanRoberto Bilotti e da Giancarlo Gualtieri dal titolo: San Francesco donare il convento per trovare una propria strada di fede. Va in peldi Paola nel 50° della proclamazione a patrono della Calabria, legrinaggio a Roma, ad Assisi, a Montecatini e sul Monte Luco; poi 1962-2012.
Il frate eremita patrono della Calabria Una parabola che ha segnato la vita dei suoi concittadini e contemporanei, prima di diventare una guida per milioni di credenti
A sinistra, l'icona classica di San Francesco di Paola Sopra, l'icona che richiama alla charitas
IV
sabato 6 aprile 2013
Vaticano chiama Calabria Seconda parte
La lunga storia dei papi venuti dalla “nostra” terra
Dalla Calabria al Soglio di Pietro
rise a cura di Oreste Pa
Ilal Soglio quinto calabrese ad ascendere di Pietro fu Zosimo, quarantunesimo Vescovo di Roma e, dal 18 marzo 417 alla sua morte (avvenuta a Roma, il 26 dicembre 418) papa della Chiesa cattolica, che lo venera come santo. Nato a Mesoraca e, per questo, indicato come greco di nascita (forse discendente da famiglia giudaica, visto che il padre si chiamava Abramo), il suo pur breve pontificato fu caratterizzato da gravi conflitti con i vescovi della Gallia e con quelli africani. Zosimo era un prete romano al tempo del pontificato di S. Innocenzo I (401-417); fu eletto come successore di papa Innocenzo e consacrato il 18 marzo 417. Il suo fu un breve pontificato (infatti morì, come detto, il 26 dicembre 418, quindi nemmeno due anni), ed a causa del suo carattere impulsivo, precipitoso e della scarsa conoscenza della Chiesa occidentale, ebbe quasi solo insuccessi. Già quattro giorni dopo la sua elezione, si lasciò convincere dall’ambizioso vescovo di Arles Patroclo, il quale aveva occupata quella sede episcopale nel 411, con il favore di patrizi locali, estromettendone il vescovo Erote, di elevare la sede episcopale di Arles ad una specie di supermetropoli, facendosi per questo assegnare dal papa i diritti metropolitani su altre province della Gallia, come Vienne, Narbona, Marsiglia, Lione, con la scaltra scusa espressa da Patroclo, che Arles era stata la Chiesa madre della Gallia. Papa Zosimo quindi scrisse una lettera a tutti i vescovi della Gallia e delle sette province coinvolte, ribadendo la tesi di Patroclo, il quale avrebbe avuto il diritto fra l’altro di ordinare i vescovi di dette province. Ciò suscitò l’indignazione dei vescovi interessati, i quali vedevano annullarsi quelle prerogative indipendenti, decretate a loro favore nel Concilio di Torino di pochi anni prima, ci fu chi rassegnato si sottomise e chi
Diverse sono state, soprattutto nei primi secoli dell’era cristiana, le personalità calabresi ascese alla funzione di Romano pontefice
Papa Zosimo (pontefice dal 417 al 418)
continuò nei suoi diritti, come il santo vescovo di Marsiglia Proculo, il quale per punizione fu deposto, ma la repentina morte di Zosimo, sospese queste disposizioni, che portarono solo confusione nella Chiesa della futura Francia, poi riaggiustate dal suo successore s. Bonifacio I (418-422). Altro grave problema in cui si venne a trovare papa Zosimo fu l’eresia pelagiana, proposta dal monaco britannico Pelagio (360-422), già condannata dal suo predecessore Innocenzo I il 27 gennaio 417 e dai Concili di Cartagine del 411 e 416 e quella più estrema dell’eretico pelagiano il sacerdote Celestio († 431 ca.) dello stesso periodo; egli credette alle tesi difensive espresse dai fautori di Pelagio e da Celestio in persona e rimproverò i vescovi africani, per la troppa fretta avuta nel condannare le due correnti considerate eretiche, ma nel contempo non assolse, con una sentenza che sarebbe stata altrettanto frettolosa, i due eretici. I vescovi dell’Africa non condivisero il giudizio del papa, instaurando una controversia con Roma, perché Zosimo fu ritenuto troppo credulo, delle assicurazioni fatte da Pelagio e Celestio, riguardo l’ortodossia della fede. Ad ogni modo nell’inverno del 417-418 papa Zosimo era ritornato sulle posizioni della sentenza di papa Innocenzo I; il 1° maggio 418 si riunì a Cartagine un altro Concilio generale con 214 vescovi africani, dove si esaminò ampiamente la dottrina cattolica sull’argomento del peccato originale e la necessità della grazia, oggetto delle eresie. Papa Zosimo nel giugno-luglio 418, redasse un importante documento di condanna del pelagianesimo, la Epistula Tractoria, indirizzata alle principali Chiese d’Oriente e dell’Occidente. L’Epistola fu bene accolta ma non mancarono chi si oppose, come diciotto vescovi italiani, che rifiutarono di sottoscrivere la condanna di Pelagio e Celestio e quindi vennero scomunicati e deposti. Il suo forte temperamento lo fece trovare in lotta ideologica per altre questioni, con i vescovi dell’Africa, allora numerosi e potenti, che non tolleravano le ingerenze di Roma in questioni giudicate preminentemente di loro competenza. Negli ultimi mesi di vita, vide sorgere anche a Roma una opposizione contro di lui, al punto che si rivolse per lamentarsene, alla corte di Ravenna, si accingeva a lottare contro questo gruppo, quando si ammalò, morendo il 26 dicembre 418 e venendo sepolto nella basilica di S. Lorenzo sulla via Tiburtina. Moralissimo ed integerrimo, prescrisse che i figli illegittimi non potessero essere ordinati sacerdoti. Nel Martirologio Romano sta scritto: «A Roma sulla via Tiburtina presso San Lorenzo, deposizione di san Zosimo, papa».
sabato 6 aprile 2013
V
Vaticano chiama Calabria
Tratta da italiaexcelsa.com foto Digitalia bank
Notizie alquanto incerte sono quelle relative alle origini di Agatone da Reggio Calabria, che fu il sesto figlio di Calabria a guidare la Chiesa. Eletto il 27 giugno 678, sedette sul trono da Pontefice fino al 10 gennaio 681, quando morì. Papa Agatone, di origine greca (quindi, verosimilmente, calabra) sarebbe nato (secondo alcuni documenti nel 575) in un villaggio della valle di Saline (Vallis Salinarum, odierna Piana di Gioia Tauro) chiamato Aquilano (e che ora è distrutto), un villaggio-fortezza romano, probabilmente corrispondente all’attuale Pentidattilo, frazione del comune di Melito Porto Salvo, in Provincia di Reggio Calabria (anche se alcune fonti lo indicano come nato in Sicilia, a Palermo). Settantanovesimo vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica (che lo celebra il 10 gennaio) e dalle Chiese ortodosse. Nato da genitori benestanti e devoti, fece dono dell’eredità dopo la loro morte e si ritirò in un monastero a Palermo. Benché l’anno della sua nascita sia in effetti sconosciuto, si narra che avesse centotré anni al momento della sua elezione e centosei al momento della morte. Il 12 agosto ricevette dall’imperatore Costantino Pagonato una lettera nella quale questi, avendo ormai risolte le questioni militari, si dichiarava pronto a riprendere il progetto di riunificazione ecclesiastica tra Roma e Bisanzio. Egli pensava di indire una conferenza episcopale in cui fossero discussi i problemi emergenti ed eliminata ogni controversia. A questo scopo chiedeva al papa l’invio a Costantinopoli di alcuni suoi rappresentanti che fossero bene al corrente di tutta la problematica. Assicurava inoltre un ampia protezione imperiale alla delegazione stessa. Per preparare la delegazione Agatone riunì in Laterano il 27 marzo del 680 un concilio italiano che scelse i rappresentanti episcopali da mandare a Bisanzio insieme ai legati pontifici e approvò il testo sinodale che sarebbe stato presentato alla conferenza. Vi era esposta la dottrina delle due volontà e i modi di agire in Cristo con riferimento esplicito a quanto deciso nel concilio Lateranense da Martino I. La delegazione partita da Roma dopo il sinodo del marzo 680 comprendeva: i presbiteri Teodoro e Giorgio, il diacono Giovanni (il futuro papa Giovanni V) e il suddiacono Costantino (che diverrà papa Costantino), che erano i legati della Chiesa romana; il presbitero Teodoro della Chiesa ravennate; i vescovi Giovanni, di Reggio, Abbondanzio, di Patèrno, e Giovanni, di Porto, per le Chiese dell’ubbidienza romana; e i rappresentanti dei monasteri greci di Roma. Al riguardo, in una missiva scritta in tale circostanza, e indirizzata al Concilio di Costantinopoli, il Papa confermerebbe la sua origine calabrese, come si osserva al riguardo ne La Calabria illustrata.
Alla luce delle fonti, tra esse confrontate, possiamo, con poche incertezze, ritenere che i calabresi investiti, quali successori di Pietro, del ruolo di Guida della Chiesa universale siano stati almeno dieci in oltre duemila secoli di storia
(Napoli, Li Socij Dom. Ant. Parrino 1691): «Si portò à credere Cittadino di Reggio Papa Agatone da alcune sue parole nella lettera scritta al Concilio di Costantinopoli, a quale destinando Legati, dall’altro Romano, Giovanni Vescovo di Reggio ed Abbondanzo di Paterno, oggi di Cirò, li chiama: Conterraneos; ed essendo questi per Nazione Calabresi, se egli era lor Conterraneo, apertamente si confessa Calabrese». Giunta il 10 settembre del 680 a Costantinopoli, la delegazione fu accolta dal patriarca Giorgio che provvide a convocare i metropoliti ed i vescovi bizantini. Quella che era stata indetta come una conferenza divenne infine un vero e proprio concilio ecumenico, il sesto in Oriente. Alla prima sessione risultarono infatti presenti i rappresentanti di tutti i patriarcati; essa si aprì il 7 novembre del 680 in una sala del palazzo imperiale. Presidente era l’imperatore, affiancato da due presbiteri e un diacono romani quali rappresentanti del papa. In Italia nel frattempo scoppiò una grave pestilenza che fece un numero impressionante di vittime. A Costantinopoli intanto il concilio andò avanti; dopo 18 sedute si arrivò ad un decreto emanato il 16 settembre del 681. In esso si ribadiva la professione di fede stabilita dai cinque precedenti concili e si approvava all’unanimità la dottrina delle due volontà e delle due energie in Cristo, che non erano in contrasto con loro, confermando inoltre il testo sinodale del Laterano. L’eresia monotelita fu ovviamente condannata. Il concilio indirizzò infine uno scritto al papa pregandolo di confermare le decisioni prese. Ma Agatone era già morto il 10 gennaio del 681 ed era stato sepolto in San Pietro: aveva raggiunto, a quanto pare, 106 anni. Un pontificato intenso, segnato da indiscutibili successi, come quello che costituì la presenza a Roma, per il sinodo, dell’arcivescovo di Ravenna, Teodoro (677-691), il quale venne a fare in qualche modo atto di sottomissione, nonostante l’autocefalia cui pretendeva la sua sede (un legato della Chiesa ravennate, il prete Teodoro, si unì, come s’è visto, alla delegazione occidentale al VI concilio ecumenico). Agatone si interessò anche della sorte della Chiesa anglosassone: ricevette paternamente l’abate di Wearmouth, Benedetto Biscop, e rimise sul
Papa Agatone (pontefice dal 27 giugno 678 al 10 gennaio 681)
VI
sabato 6 aprile 2013
Vaticano chiama Calabria
suo legittimo seggio l’arcivescovo di York, Vilfrido, ingiustamente deposto da Teodoro di Canterbury. Tra i provvedimenti presi in ambito liturgico, da menzionare è quello definito nel 680, quando ordinò che al posto dell’agnello (immagine con la quale si raffigurava Cristo) si ponesse un uomo crocifisso. Nel complesso, Sant’Agatone si distinse per profondità di dottrina e spirito caritativo specialmente verso i poveri. Patrono di Palermo, riguardo ad Agatone, nel Martirologio Romano si legge: «A Roma presso san Pietro, deposizione di sant’Agatone, papa, che contro gli errori dei monoteliti custodì integra la fede e promosse con dei sinodi l’unità della Chiesa».
Conterraneo di Agatone fu il successore Leone II, di Reggio Calabria, ottantesimo papa della Chiesa cattolica
Papa Leone II (pontefice dal 682 al 683)
dal 17 agosto 682 alla sua morte, nel luglio 683. Venerato dalla Chiesa cattolica come santo, cercò di affermare la supremazia papale contro i continui tentativi dei patriarchi di Costantinopoli di liberarsi dalla dipendenza da Roma. Poche notizie certe sulla nascita e sulla vita precedente alla sua elezione a pontefice. Nativo, nel 611, della Calabria, sembra, analogamente ad Agatone, nella Vallis Salinarum (anche se, alla tregua del suo predecessore, alcune fonti lo indicano come nato in Sicilia; un elemento, questo, probabilmente dovuto all’abitudine, diffusa nell’antichità, di indicare alcune zone della Calabria, con la denominazione “Sicilia”, come viene evidenziato nel già citato saggio La Calabria illustrata) e figlio di Paolo Manejo, un medico di grande fama, il settimo Papa calabrese, nel Liber Pontificalis, risulta dotato di grande eloquenza e vasta erudizione: conosceva le lingue greca e latina, («vir eloquentissimus, in divinis scripturis sufficienter instructus, greca latinaque lingua eruditus»), e aveva un’attitudine notevole per il canto e la salmodia («cantelena ac psalmodia praecipuus et in earum sensibus subtilissima exercitatione limatus»; cfr. Le Liber pontificalis, p. 359), tanto da far ritenere possibile che egli avesse fatto parte, o fosse stato addirittura alla guida della “schola cantorum” lateranense. Al di là di tale ipotesi non sono tuttavia giunte altre notizie sulla sua precedente carriera ecclesiastica, che presumibilmente si svolse in ambito romano. Appare, insomma, plausibile ritenere che, al momento della sua elezione, Leone risiedesse da tempo nell’Urbe. Eletto nel gennaio del 681, fu consacrato papa nell’agosto 682, cioè diciotto mesi dopo la sua elezione, per-
Papi per larghissima parte degni, che non furono mere ombre sul trono di Pietro; guide il più delle volte solide, che seppero fronteggiare cruciali avversità in tempi difficili; pastori sovente coraggiosi, che seppero custodire nel servizio il popolo cristiano, anche a costo della vita
ché un poco prima l’imperatore d’Oriente Costantino IV Pogonato, aveva ripristinato l’antica norma di trasmettere a Bisanzio gli atti relativi all’elezione del papa per averne l’approvazione e quindi il permesso imperiale alla consacrazione; inoltre a Costantinopoli in quei mesi si celebrava il VI Concilio Ecumenico, quindi i vescovi completarono l’Assise, così ritornati a Roma sottoposero a Leone II i risultati del Concilio e l’approvazione per lui da parte dell’imperatore. Già con questi atti conciliari papa Leone II dovette affrontare il primo disagio, infatti essi nel condannare il monotelismo, coinvolsero fra gli eretici anche il papa di Roma antica, Onorio. Leone II non potendo mettere in pericolo la pace religiosa che si era instaurata fra la Chiesa e l’Impero, approvò le delibere conciliari, specificando però che papa Onorio era stato negligente e imprevidente e quindi permise che la fede immacolata fosse contaminata, ma che non poteva essere annoverato fra gli eretici. Questa eresia sorse nel secolo VII nella Chiesa Bizantina, essa pur riconoscendo le due nature di Cristo, affermava però che in Lui la volontà divina predominava su quella umana. Purtroppo gli Atti conclusivi del Concilio contenevano in chiusura un indirizzo di omaggio all’imperatore Costantino IV, il quale era presentato come collaboratore immediato di Dio, cioè esecutore diretto della volontà divina in concorrenza quindi con il papa e anche indipendentemente da lui, inoltre l’imperatore nella sua lettera, scrive al papa quasi da superiore ad inferiore, rivendicando a sé il merito del ristabilimento della fede. In tutto ciò s’intravedevano già i segni di futuri scontri fra Bisanzio e Roma che esplosero nel decennio seguente. Altro grave problema che dovette affrontare, fu il rifiuto che la Chiesa di Ravenna da qualche tempo, opponeva all’obbedienza al romano pontefice e quindi era divenuta scismatica, con il sostegno dell’imperatore bizantino, che nel 666 aveva dichiarata Ravenna indipendente dal vescovo di Roma. Con l’arcivescovo ravennate Teodoro, si addivenne ad un accordo, in cui la supremazia di Roma era riconosciuta e che ogni futuro arcivescovo avrebbe ricevuto la consacrazione dalle mani del papa a Roma, a Teodoro e ai suoi successori venivano concesse esenzioni di tasse relative alla carica ricevuta. Restaurò la chiesa di santa Bibiana, nella quale fece trasferire i corpi dei santi martiri Simplicio, Faustino e Beatrice, che erano sepolti lungo la via di Porto. Celebrò con grande pompa esterna le funzioni religiose, affinché i fedeli fossero sempre più consapevoli della Maestà di Dio; istituì l’aspersione dell’acqua benedetta nei riti cristiani e sul popolo. Morì il 3 luglio 683 e fu sepolto in S. Pietro; intorno al 1100, le sue reliquie insieme a quelle dei suoi successori Leone III e IV, furono poste vicino a quelle di s. Leone I Magno. Quando fu eretta la nuova basilica di S. Pietro, le reliquie dei papi Leone I, II, III e IV, furono trasportate il 27 maggio 1607 sotto l’altare di S. Maria de columna alla presenza di papa Paolo V, che ne aveva effettuato una ricognizione. Il Martirologio Romano riferisce: «A Roma presso san Pietro, san Leone II, papa: uomo versato tanto nella lingua greca quanto in quella latina, amante della povertà e dei poveri, accolse le decisioni del III Concilio di Costantinopoli».
sabato 6 aprile 2013
VII
Vaticano chiama Calabria
Nativo della costa ionica fu, invece, l’ottavo Papa proveniente dai lidi calabri, ovvero Giovanni VII, ottantaseiesimo papa della Chiesa cattolica, dal 1º marzo 705 al 18 ottobre 707, quando spirò. Di origine greca (come il predecessore Giovanni VI), egli nacque in una cittadina, Rossano, da dove sarebbe venuto un altro Giovanni di lignaggio greco, Giovanni XVI, un antipapa, di cui parleremo più avanti. Figlio di Platone e di Blatta, il padre era il principale funzionario addetto alla custodia del palazzo imperiale sul Colle Palatino. In merito, risulta opportuno menzionare l’epitaffio che, prima di diventare papa, Giovanni dedicò ai suoi genitori - suo padre morì il 7 novembre 686, la madre invece spirò l’anno successivo -. Questa testimonianza (conservata materialmente nella chiesa di S. Anastasia fino al XV secolo) è preziosa, perché è essa a svelarci che Platone era un membro dell’amministrazione bizantina; era, come detto, addetto alla “cura Palatii urbis Romae”, ossia presiedeva al restauro dell’antico palazzo imperiale sul Palatino, diventato la residenza del luogotenente dell’esarca; Giovanni glorificò il padre per quest’opera, che aveva rappresentato l’incarico più prestigioso di Platone, il quale doveva essere specializzato in tale tipo di lavoro, poiché si afferma che in precedenza aveva diretto i restauri di altri palazzi. L’epitaffio inoltre indica che nel 687 Giovanni aveva l’incarico di rettore del Patrimonio della via Appia. Giovanni è quindi un altro pontefice di origine orientale del quale è documentato un lungo servizio presso la Chiesa di Roma, prima di essere eletto papa, il 1° marzo 705. Anche nel suo caso non si può perciò affermare che egli sia stato uno dei pontefici del periodo definito della “cattività bizantina del papato”, durante il quale alcuni papi di provenienza orientale sarebbero stati eletti su pressione degli imperatori bizantini per assecondare la loro politica religiosa. A differenza di quanto era avvenuto durante il pontificato del suo predecessore - il duca longobardo di Benevento Gisulfo si era impadronito di varie località del Lazio meridionale ed era arrivato con le sue truppe fino quasi a Roma - i Longobardi non solo non diedero a Giovanni alcun problema, ma ebbero con lui buoni rapporti. Il duca di Spoleto Faroaldo II chiese al pontefice di confermare i beni del monastero di S. Maria di Farfa - fondato dal franco Tommaso col suo beneplacito -, segno evidente di quanta importanza avesse per il duca l’assenso del papa. L’evento che però evidenzia meglio di tutti l’andamento positivo dei rapporti tra Roma e i Longobardi è senza dubbio costituito dalla concessione da parte di re Ariperto II di un diploma, che riconosce alla Chiesa di Roma la proprietà del Patrimonio delle Alpi Cozie, del quale si era impadronito Rotari circa sessant’anni prima in occasione della conquista della Liguria. Significativo è il fatto che il diploma, anche se aveva la forma di una donazione di re Ariperto II, decretava in realtà il ripristino dei diritti del precedente proprietario riconoscendo quindi implicitamente che questi territori erano stati sottratti dai Longobardi. Non altrettanto sereni furono invece i rapporti con Costantinopoli, dove nel 705 l’imperatore Giustiniano II si era impadronito di nuovo del potere perso dieci anni prima. Il sovrano si vendicò duramente dei suoi avversari, tra i quali c’era il patriarca di Costantinopoli Callinico, che aveva appoggiato l’usurpatore Leonzio. Callinico fu deposto, accecato e mandato a Roma, probabilmente con l’intento di mostrare qual era la fine di quelli che osavano opporsi all’imperatore. Il messaggio era rivolto sia al pontefice sia alle truppe dell’Italia bizantina che in più occasioni si erano opposte con le armi agli inviati dell’imperatore. All’arrivo di Callinico seguì quello di due vescovi, mandati dall’imperatore, che avevano con loro gli atti del concilio conosciuto come Quinisesto o “in Trullo”, tenutosi nel 691-692, nel quale era stata promulgata una serie di canoni che recepivano tradizioni della cristianità orientali e che avrebbero dovuto essere validi per tutti i cristiani. Papa Sergio si era fermamente opposto alle decisioni prese da quel concilio e l’imperatore non era riuscito a farlo punire a causa di una sommossa delle truppe di Ravenna e della Pentapoli e della sua successiva deposizione. Ora Giustiniano II tornava nuovamente alla carica e chiedeva che Giovanni riunisse un concilio per indicare quali fossero i canoni del Quinisesto che la Chiesa di Roma accettava e qua-
L’emblema del Papato
li respingeva. Non abbiamo a disposizione i risultati di questo sinodo, ma la risposta del Papa dovette essere abbastanza in linea con le richieste imperiali, poiché il suo biografo osserva criticamente che il Papa, spaventato a causa della sua umana debolezza, rimandò gli stessi atti senza alcuna correzione. Ciò ha indotto molti storici ad annoverare Giovanni tra i papi che non seppero resistere alle richieste degli imperatori in materia di religione. L’atteggiamento remissivo del papa ha fatto sospettare che alcuni affreschi della chiesa di S. Maria Antiqua, da lui commissionati, rappresentassero un ulteriore adeguamento di Giovanni alla politica religiosa dell’imperatore Giustiniano II. La grande composizione posta nella parte superiore del muro absidale raffigura una grandissima crocifissione ai cui lati c’è una folla di persone, un’iscrizione con delle frasi bibliche, nonché angeli e serafini. È stato ipotizzato che ciò raffigurerebbe una trasposizione dell’Adorazione dell’Agnello in ossequio al canone 82 del concilio Quinisesto, che vietava la rappresentazione di Cristo sotto la forma di agnello. Questa interpretazione è stata in seguito contestata da J.-M. Sansterre, il quale ha invece fatto notare che al di sotto di questa composizione si possono vedere dipinti quattro papi - a sinistra Giovanni e Leone I, e a destra un papa del quale non si conosce il nome e Martino I - e quattro padri della Chiesa - a sinistra s. Agostino e una figura distrutta e a destra s. Gregorio Nazianzeno e s. Basilio - che tengono un rotolo contenente le loro opere citate negli atti del concilio del Laterano (649) nel quale si condannò il monotelismo. Un riferimento all’opposizione alle ingerenze imperiali in materia di religione è costituito pure dalla presenza di papa Martino; questi, infatti, fu arrestato, processato a Costantinopoli e inviato in esilio a Cherson con l’accusa di avere avuto un ruolo importante nella rivolta contro l’esarca Olimpio, ma il vero motivo consisteva nella sua decisa condanna della politica religiosa dell’imperatore favorevole al monotelismo. Sansterre inoltre ipotizza che il pontefice vicino a Martino I sia il già incontrato pontefice di origine calabrese Agatone, vale a dire colui che fu papa durante il VI concilio ecumenico che vide la vittoria delle posizioni romane e il ritorno della concordia tra Roma e Costantinopoli. Un’altra rivendicazione delle posizioni di Roma sembra essere attestata dai mosaici che decoravano la cappella dedicata a Maria che Giovanni ordinò di costruire in S. Pietro, e dove fece porre la sua tomba. Si possiedono solamente alcuni frammenti di questi mosaici, ma disegni risalenti al XVII secolo mostrano l’esistenza di due cicli, uno dedicato a Cristo, l’altro a s. Pietro. Quest’ultimo raffigura la sua predicazione a Gerusalemme, Antiochia e Roma, la sua lotta con Simon Mago e il suo martirio; nelle immagini in cui predica, l’apostolo è insolitamente molto più grande rispetto a coloro che lo ascoltano stando in ginocchio. Tutto ciò induce a ritenere che si desiderasse magnificare il primato di Pietro, e quindi del papa, visto che l’apostolo era ritenuto il primo vescovo di Roma, sia in Oriente che in Occidente. Quanto alla tomba del papa va rilevato come già dalla fine del V secolo i pontefici, imitando l’esempio di Leone I, si erano fatti seppellire nella basilica di S. Pietro. Giovanni però, a differenza dei suoi predecessori che si erano accontentati di un modesto sepolcro, fu il primo a farsi inumare in un oratorio costruito appositamente, sottolineando così fortemente la continuità apostolica e il suo legame con Leone I, considerato allora come il principale assertore del primato papale. Non è inoltre da escludere che pure la sua decisione di fare costruire un nuovo palazzo sul Palatino, dove una volta si trovava il palazzo imperiale, riflettesse lo stesso punto di vista. Oltre alle suddette costruzioni, Giovanni ordinò di restaurare la semidistrutta chiesa di S. Eugenia e di riparare i cimiteri dei SS. Marcelliano e Marco e di papa Damaso. La sua attenzione per l’arte è testimoniata anche dal particolare che fece dipingere vari affreschi in numerose chiese nei quali, come osserva un po’ ironicamente il suo biografo, molto spesso era ritratta anche la sua effigie. Nel suo breve pontificato Giovanni ordinò diciotto vescovi. Morì il 18 ottobre 707. ...continua
Papa Giovanni VII (pontefice dal 705 al 707)
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Calabresi illustri La strenua lotta condotta dagli albanesi contro i turchi nel Quattrocento
I Golemi Coraggio ed eroismo rise a cura di Oreste Pa
L’eroica lotta condotta dagli albanesi contro i turchi nel Quattrocento è ben nota. Numerose sono state le poesie, i canti, i racconti che si sono diffuse sulle gesta dei tanti eroi che hanno combattuto quelle epiche battaglie, ma poche sono arrivate fino a noi. Su tutte spicca sicuramente la figura di Giorgio Castriota Skanderbeg, che ha oscurato tutte le altre relegandole in personaggi minori. Egli era nato nel 1405 e morto per malattia nel 1468, all’età di 63 anni, ancora nel pieno della sua vigoria fisica. La sua vita si svolse nel periodo di massima potenza degli ottonami. Il 29 maggio del 1453 essi conquistano Costantinopoli ponendo fine al millenario impero bizantino. L’esercito turco era il più potente e temuto del mondo. A quell’epoca Scanderbeg non aveva ancora 50 anni e fino alla sua morte riuscì a tenere testa alle truppe del sultano, restando l’ultimo baluardo della cristianità. Il padre Giovanni era stato sconfitto da Amurath II nella battaglia di Shales, fu costretto a dare in ostaggio al sultano i suoi quattro figli, Rapasio, Staniso, Costantino e Giorgio che furono portati alla sua corte ed allevati alla musulmana. Egli è stato sicuramente la figura più rappresentativa del periodo, celebrato in tutta Europa. Il papa Callisto III lo apostrofò “defensor fidei” e “athleta Christi”, senza però che fosse in grado di dare un concreto aiuto per arginare l’orda turca. Egli dovette sostenere da solo il peso della resistenza agli ottomani. Gli stati europei erano troppo occupati a consolidare il loro ordine interno e proiettarsi alla conquista del mondo. Nel 1492 Cristoforo Colombo avrebbe aperto un nuovo capitolo della storia: nel Mediterraneo i Turchi sconvolgevano l’equilibrio del mondo antico, a Nord si stava costruendo il nuovo ordine mondiale, che a distanza di qualche secolo avrebbe travolto la stessa Sublime Porta Ottomana. La minaccia turca creava qualche apprensione tanto che il Papa Eugenio IV era riuscito a mettere insieme una coalizione delle potenze europee nella cosiddetta Crociata di Varna (1444-5), che dopo qualche iniziale successo, si concluse con una disastrosa sconfitta per i cristiani, che furono costretti a riconoscere il sultano come il signore dei Balcani. Com’era consuetudine alla fine della battaglia iniziò una sanguinosa carneficina, e tutti i soldati furono passati a fil di spada. A resistere era rimasta solo l’Albania, con Scanderbeg. Ma vi sono molti altri personaggi che si sono distinti per il loro coraggio e l’eroismo dimostrato in quel drammatico momento, che meriterebbero una maggiore attenzione. Tra i più significativi vi sono due membri della famiglia Araniti: Gjorg e Moisi Golemi Araniti Comneni. Il primo era il suocero di Scanderbeg, avendone sposata la figlia Donika, “digne, certes, d’un tel père, et vraye idée de toute perfection de beauté”, come scrive enfaticamente Jacques De Lavardin, nella sua Histoire de Scanderbeg. Ma certamente vi erano solidi motivi economici e politici alla base di questa unione. Scanderbeg era riuscito a riunire tutti i principi e despoti albanesi nella Lega di Lexhë, e il legame matrimoniale con la potente famiglia degli Arianiti Comneni costituiva un collante importante per mantenere insieme questa coalizione. Il matrimonio era un rinsaldamento del giuramento di Lexhë, dove si era costituita una lega difensiva con la partecipazione dei principali principi albanesi e la Serenissima repubblica veneziana. I festeggiamenti per le nozze rappresentarono un grande momento per tutta l’Albania. Secondo il racconto di Lavardin: «I principi circonvicini, e quasi tutta la nobiltà del paese assistettero con pompa e incomparabile magnificenza a questa festa. Quelli che non poterono intervenire, l’onorarono con i loro Ambasciatori, e regali sontuosi. In generale con l’affinità si annodava un nodo stret-
Numerose sono le opere diffuse sulle gesta di tanta gente che ha combattuto quelle epiche battaglie Su tutte spicca la figura di Giorgio Castriota Skanderbeg
to tra questi due principi, i più potenti dell’Albania: questo lasciava intendere che nel futuro l’unione delle loro forze sarebbe stata la protezione e la difesa della provincia, contro ogni invasione e pericolo di guerra. I Signori di Venezia presenziavano con i loro ambasciatori, i quali recavano ricchi doni da parte del popolo e del Senato della Serenissima; parimenti tutti gli altri principi e potentati gli mostrarono ampiamente la stessa benevolenza... Quello che fu inviato dal Re di Aragona, era talmente singolare e magnifico che si dice che Scanderbeg non lo volesse accettare, e fu convinto dall’insistenza dei suoi parenti e familiari, e le premurose preghiere degli Ambasciatori Spagnoli». La famiglia degli Arianiti, o Ariamniti vantava una parentela con i Comneni, una antica dinastia imperiale che aveva regnato per lungo periodo a Bisanzio. Golemi era un soprannome della famiglia, che si è tramandato nella epopea popolare, mentre i cognomi Arianiti e Comneni sono completamente dimenticati. Il cognome appare nelle cronache bizantine già nel 1253, in riferimento a un feudatario Gulem, sposata forse con una cugina dell’imperatrice di Costantinopoli Irena. Questi potrebbe essere uno degli ascendenti da cui ebbe origine il ramo degli Araniti conosciuti con questo patronimico. L’origine del nome è sconosciuto, si possono fare solo delle ipotesi, nessuna delle quali è però convincente. La prima è che si tratti di storpiatura di Comneni, per adattarlo al suono albanese. Secondo John Trumper, professore di linguistica generale all’Unical, si tratta di una ipotesi del tutto improbabile, poiché sarebbe un processo molto lontano dalle trasformazioni linguistiche note e riconosciute. Più che una ipotesi si tratta di una suggestione linguistica per una debole assonanza. La seconda ipotesi è legata ai due villaggi di Golemi i Lartë e Golemi i Poshtë, nei pressi di Scutari dove gli Arianiti avevano dei possedimenti e varrebbe come “signore di Golemi”. Una ipotesi possibile non suffragata, però, da alcuna documentazione. La terza la farebbe risalire all’ebraico golem, un essere antropomorfico nominato nella Bibbia, che starebbe ad indicare degli uo-
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Calabresi illustri Busto mormoreo di Gjorg Golemi Araniti Comneni che si trova a Librazhd
verses atteintes et desconfitures: et tant qu’il a vescu, les a persecutez», scrive il Lavardin. Dopo il 1444, con la firma della Lega di Lexhë, di lui si perdono le tracce. La sua morte la si fa risalire a prima del 1463, quando nei documenti veneziani risulta morto. Nella fantasia e nella poesia popolare egli vive nei boschi tra le montagne di Sopot, dove continua la sua battaglia contro gli odiati nemici della religione e della sua gente. Dopo la sua morte Pietrina ritorna a Lecce con i suoi figli. Un altro Araniti altrettento meritevole di essere ricordato è Moisi, figlio di Muzaka, fratello di Gjeorg, anche conosciuto come Moisi di Dibra. Moisi è il celebre comandante dell’esercito del Castriota. Un leggendario combattente anch’egli monto celebrato nell’epopea popolare. Nel 1443-4, durante la Crociata di Varga e sulla scia delle iniziali vittorie dei cristiani, riuscì liberare tutto il distretto di Dibra. Per un breve periodo nel 1450 - si alleò con i turchi, forse perché la sua figura era offuscata da quella troppo ingombrante del potente congiunto. Ben presto, però, ritornò in Albania e fu perdonato da Scanderbeg. Egli fu catturato dai turchi nel 1464 nella battaglia di Vaikal sul lago di Ohrid. Portato in catene a Costantinopoli, fu scorticato vivo nella pubblica piazza, insieme a molti suoi commilitoni in quella che venne ricordato come la Strage di Costantinopoli.
mini giganteschi, valorosi, sprezzanti del pericolo. Un uso che si ritrova nei romanzi gotici di molti secoli dopo, ma non ha riscontro nella letteratura dell’epoca. L’ultima ipotesi è che sia legato al cognome greco Golemis o Golemnis, secondo quanto scrive Gerhard Rohlfs, senza avere alcuna spiegazione di come e perché sia stato utilizzato per gli Arianiti. Quello che è certo è che si tratta semplicemente di un soprannome che non doveva necessariamente avere un preciso significato, ma è rimasto come patronimico per indicare la famiglia, anche in senso allargato a tutti i componenti del clan (soldati, servitori, contadini ecc.). Gjorg Golemi Araniti Comneni, chiamato anche in vari altri modi, anticipò di molti anni la resistenza albanese contro i turchi, quando ancora Scanderbeg era uno dei più apprezzati comandanti della Suprema Porta. Dalla moglie Maria Muzakë, aveva ricevuto in dote un ampio territorio lungo il mare Adriatico, che divenne un baluardo contro l’avanzata ottomana. In seconde nozze sposò una aristocratica italiana Pietrina Francone. Da due matrimoni ebbe dieci figli, con i quali riuscì ad intessere una serie trama di rapporti con le grandi famiglie balcaniche: Donika aveva sposato Scanderbeg, Vojasava un principe del Montenegro, altre tre altrettanti rampolli della famiglia Dukagjini. Gjorg Golemi riuscì nella difficile impresa di tenere per anni sotto scacco l’esercito turco, costituendo un ostacolo insormontabile per la loro avanzata. Contro di essi combattè numerose battaglie in un conflitto durata circa 35 anni, imponendo la firma di un trattato di pace al terribile Sultano Murad. Secondo il Lavardin era «un uomo insigne e rinomato tanto per l’antica nobiltà della sua famiglia e l’autorità per la grande pratica e scienza militare, e la maestà venerabile del suo viso, un particolare di grande rilievo per il popolo, che aveva al suo servizio una truppa forte e gagliarda tanto di soldati che di cavalieri, che superava in coraggio e diligenza». Egli era detto il grande tra i Macedoni e gli Albanesi. «Celuy-la est cest Ariamnites, qui a esté recogneu et surnommé le Grand entre les Macedoniens et Albanois. Car il a fait d’insignes et memorables choses pour l’Evangile, et la foy de IesusChrist, à l’encontre des Turcs leur donnant de tres lourdes et di-
Gjorg Golemi Araniti Comneni anticipò di anni la restistenza albanese contro i turchi quando ancora Scanderberg era uno dei più apprezzati comandanti della Suprema Porta
La saga dei Golemi (poiché gli Araniti venivano ricordati solo con questo nome) costituiva sicuramente un ricco corpo di componimenti popolari. Di essi solo la Kënga e Gjorg Golemit è pervenuta in maniera più o meno integrale; le altre sono andate perdute o ne rimane solo qualche frammento, come succede per la Kënga e Moisi Golemit. Il contenuto della prima canzone è costituito da un singolo episodio delle vita di Gjorg Golemi, relativo alla presa e all’incendio di Sopot. Probabilmente doveva fare parte di un corpo più ampio composto da sconosciuti aedi erranti che andavano raccontando le epopee degli eroi albanesi girando per le fiere e mercati. La freschezza e semplicità dei versi, la linearità dell’ordito poetico, l’immediatezza delle figure denunciano la loro origine popolare. Gjorg Golemi con il suo esercito si reca a pregare nel Santuario di Santa Maria lasciando sguarnita la città di Sopot, dove vi è anche sua figlia Maria. Ilia Bosi avverte i turchi i quali ne approfittano per mettere a ferro e fuoco la città, e massacrare tutti gli abitanti, rapendo donne e bambini. Non si tratta di un lamento per una grande tragedia che ha colpito tutto il popolo di Sopot, ma un canto fiero e quasi di sfida, una testimonianza di orgoglio e di coraggio. Le donne e i bambini imbracciano i fucili e si difendono con spade e coltelli fino alla morte pur di non subire la vergogna di una sconfitto ignominiosa. Si manifesta un algido disprezzo per gli assalitori che si scagliano contro donne e bambini non avendo il coraggio di affrontare i valorosi combattenti albanesi. L’accenno a personaggi come Gjel Çeliku, il figlio di Gjorg mandato bambino in Italia, o Ilia Bosi, il traditore forse accusato ingiustamente, lascia presupporre l’esistenza di altri componimenti in cui si raccontava la loro storia. Dopo la morte di Scanderbeg nel 1468, la guerra con i Turchi era ormai perduta, perché non si era riusciti a trovare una figura in grado di riunire le varie anime dell’Albania. Costantinopoli era ormai in mano turca da quasi tre lustri e non vi era alcuna possibilità di avere aiuto dall’Europa cristiana. Inizia il grande esodo che porterà molte migliaia di albanesi in Italia. Si racconta ancora a Cerzeto che i Golemi, che si è italianizzato in Golemme, furono portati incatenati in gabbia, per la loro ferocia e indomabilità. Questo è ingeneroso nei loro confronti. Essi probabilmente rifiutavano di abbandonare la loro terra e avrebbero preferito morire combattendo, piuttosto che rassegnarsi all’idea dell’esilio, all’esistenza di una vita povera e senza avvenire. Ve ne sono ancora molti, e mantengono la loro natura fiera, il coraggio innato, il rifiuto di fermarsi di fronte alle difficoltà. “Mi rumpu, ma nu’ mi qicu”, sembra essere il loro motto, che unisce la testardaggine calabrese alla fierezza arbrësh. E non si sono fermati qui. In tanti hanno proseguito il loro viaggio in paesi lontani, Inghilterra, Canada, Argentina, Australia...
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Sperare nei giovani L’ente Parco nazionale della Sila, fin dalla sua istituzione, ha mirato a sviluppare un profondo legame con il mondo della scuola
Natura fra i banchi L’ente Parco nazionale della Sila fin dalla sua istituzione ha mirato a sviluppare un profondo legame con il mondo della scuola e con i ragazzi promuovendo attività ed iniziative per i giovani - alcune delle quali diventate ormai appuntamento consolidato - che puntano l’attenzione sul piacere di partecipare, occuparsi e vivere in un territorio sostenibile, a stimolare una cittadinanza attiva e sensibile ai temi della sostenibilità ambientale, a costruire solide motivazioni al rispetto della natura. Questo è lo scopo dell’adesione a campagne nazionali come “Puliamo il mondo”, “Porta la sporta”, “Borsamica”, “Festa dell’albero”o di concorsi per le scuole che ricadono nelle tre province di Cosenza Catanzaro e Crotone, come “Il Parco che vorrei” e “Piccole guide sulle piste dell’Appennino”, promosso dal Miur (ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca). Insieme all’ufficio scolastico regionale - con il quale il Parco ha sottoscritto un protocollo d’intesa - ed in collaborazione con Legambiente si è dato il via al progetto “La scuola incontra il Parco”, che ha visto la sua realizzazione nell’anno scolastico 2011-2012 e continua anche quest’anno. In virtù di questa intesa e seguendo le linee dettate dal Miur in relazione alla riforma dei cicli scolastici, l’ente Parco in questi giorni sta seguendo la costituzione dei poli tecnici professionali, sostenuta dalla Regione Calabria. Di recente sono stati attivati nuovi laboratori tematici presso i due Centri visita del Parco (Cupone a Camigliatello Silano e A.Garcea a Monaco), gli ecomusei ad Albi, Zagarise e Longobucco e nell’ambito dei progetti Pon l’ente silano ha realizzato ottime collaborazioni con Istituti scolastici dell’intera regione, progettando e realizzando moduli dedicati ai temi della salvaguardia e sostenibilità ambientale, della legalità e dell’inclusione sociale attraverso il contatto con la natura. Vengono quindi promosse sessioni di educazione ambientale presso la sede del Parco ( a Lorica) i Centri Visita, le Riserve Naturali e gli ecomusei. Il Parco ha anche una sua mascotte ufficiale, nata dal simbolo storico della Sila, il lupo, grazie alla quale i ragazzi vengono educati al rispetto dell’ambiente in maniera interattiva e divertente. L’Ente partecipa a molte fiere di settore proponendo spettacoli con la sua mascotte e il più recente evento fieristico cui ha preso parte è “Children’s tour”, la “fiera del tempo libero” che si è svolta a Modena nel mese di marzo ed ha registrato la presenza di oltre 33.000 visitatori (genitori con bambini over 6). Ma lo sviluppo turistico sostenibile della Sila, estesa su uno degli altopiani più belli d’Europa, passa attraverso forme di incentivazione del turismo scolastico, oltre che sociale. Ecco perché da diversi anni il Parco, anche in sinergia con la Provincia di Cosenza, pubblica bandi per la concessione di contributi economici ad istituti scolastici, sia pubblici che privati, che organizzino gite didattiche nel suo territorio nel periodo da dicembre a maggio e da settembre a novembre. Queste iniziative rispondono alla consapevolezza che il target costituito dalle scuole e dalle famiglie sia quello cui è necessario mirare al fine di sensibilizzare i cittadini sulle problematiche ambientali, di diffondere buone pratiche di comportamento e di creare una solida coscienza collettiva che possa agire nel tempo per la tutela delle risorse naturali. Valeria Pellegrini
Le iniziative rispondono alla consapevolezza che il target costituito dalle scuole e dalle famiglie sia quello cui è necessario mirare al fine di sensibilizzare i cittadini sulle problematiche ambientali
Allarme danni nel Vibonese
Emergenza cinghiale Gli allevatori del Vibonese sono allarmati per i danni provocati dai cinghiali. A dare l’allarme è la Coldiretti, che ha diffuso un comunicato stampa in cui si parla di «forte allarme per i danni economici elevatissimi provocati dalla presenza dei cinghiali sul territorio. L’agricoltura del Vibonese e in modo particolare quella della zona di Maierato - continua il comunicato - sta pagando un prezzo enorme per un’emergenza che al momento appare di difficile soluzione: il proliferare senza alcun controllo di orde di cinghiali». «Questo - è scritto ancora - è quanto, a gran voce, gli allevatori esasperati e stanchi per i danni causati da questi animali che continuano a devastare le coltivazioni, dai campi seminati ad ortaggi, agli allevamenti in cui irrompono, con conseguenti danni economici elevatissimi. Il tema della corretta gestione del territorio e del contenimento degli animali selvatici incide direttamente sulla possibilità di sopravvivenza di numerose imprese agricole e zootecniche, è proprio questa la questione all’ordine del giorno: il rischio dell’ulteriore abbandono delle attività agricole già duramente colpite dal dissesto idrogeologico e ambientale che spingono alla ulteriore marginalizzazione delle aree agricole. L’abbandono dell’agricoltura e delle attività zootecniche si ripercuoterebbe negativamente e direttamente sulle possibilità residue di tenuta del territorio e della salvaguardia del paesaggio. La presenza massiccia dei cinghiali negli ultimi anni è diventata una vera e propria calamità alla quale nessuno sembra voler porre rimedio: inascoltate fino ad ora, sono state le iniziative intraprese da organizzazioni quali Coldiretti alla scopo di sensibilizzare, attraverso i numerosi incontri l’amministrazione provinciale e la Prefettura, alla soluzione del problema». Nella nota si evidenzia inoltre che «per quanto emerso nei vari interventi degli allevatori, oltre ai danni diretti alle colture, si contano a decine le situazioni di pericolo che hanno coinvolto direttamente i cittadini minacciati dalla presenza degli ungulati anche davanti alle abitazioni rurali e sulle strade. Gli allevatori, oramai esasperati, - è scritto - auspicano una forte azione da parte di tutti i soggetti interessati per porre sotto controllo la presenza di questi animali selvatici e sottoporre il territorio ad una efficace pianificazione faunistica-venatoria, occorre, prima di tutto che, in sintonia con quanto previsto dalla normativa nazionale e comunitaria, l’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale), anche in Calabria dia delle indicazioni precise su come risolvere la questione dei danni da fauna selvatica. Secondo quanto già indicato da Coldiretti - si fa rilevare - serve uno sforzo congiunto di tutti i soggetti interessati: agricoltori allevatori, ambientalisti e addetti alle attività venatorie, coordinati dagli organi provinciali preposti, si impegnino per la soluzione definitiva e duratura del problema con l’obiettivo che si restituisca tranquillità alle imprese per produrre e si salvaguardi l’ambiente e la sicurezza dei cittadini».
sabato 6 aprile 2013
Di fiore in fiore cominciano i dolori...
Starnutire va di moda Con la primavera esplode l’allergia da polline
di Giovanni Perri
agronomoperri@virgilio.it
Durante la primavera, quest’anno un pò freddino umida e piovosa, periodo migliore per tornare a muoversi e godere della natura che ci circonda, caratterizzato dal risveglio o ripresa vegetativa con la fioritura della maggior parte delle piante, si scatena l’impollinazione e conseguentemente anche per le persone allergeniche i tipici disturbi all’apparato respiratorio, ovverosia le malattie da polline. Andando in giro per la campagna e per le periferie della strade cittadine impattiamo con la fioritura delle piante ornamentali e da pieno campo:arboree, erbacee ed arbustive, nonché siepi e aiole fiorite, prati e pascoli verdeggianti, erbette commestibili e ortaggi vari: zucchine, fave, piselli, fagiolini, asparagi, carciofi, ravanelli, cipolle, cicorie ecc., e quindi con il polline necessario per assicurare l’ottenimento della produzione vegetale agraria e quella riproduttiva per la formazione, in generale, dei semi per la perpetuità e la conservazione della specie nello spazio e nel tempo. Processi naturali che solitamente avvengono per mezzo dell’impollinazione, ovverosia con fusione dei gameti maschili (polline) e di quelli femminili (ovario) da cui origina il frutto e quindi il seme, ad esclusione di quelle piante che si possono riprodurre per via agamica, ovverosia per parte di parte e senza ricorrere al seme. Per lo più durante i mesi di aprile-maggio e per le aree a verde, quindi, è necessario affrontare le problematiche causate dal polline prodotto dalle piante, responsabile del cosiddetto “raffreddore da fieno”, di insonnia, starnuti, lacrimazioni, fastidiose infiammazioni, bruciore agli occhi e alle vie respiratorie. Molteplici ricerche mediche stanno dimostrando che la popolazione di soggetti allergici è in continua crescita, soprattutto nella fascia dell’infanzia. In tale contesto si intuisce come le scelte progettuali degli amministratori pubblici per le aree a verde vadano supportate dalle necessarie conoscenze scientifiche, botaniche ed agronomiche, in modo da farle convivere con quelle architettoniche, paesaggistiche ed estetiche. Di grande importanza è la redazione del piano del verde, nell’ambito del quale tecnici e progettisti specializzati forniscono i giusti
Si scatena l’impollinazione e di conseguenza per molte persone cominciano i disturbi dell’apparato respiratorio, ma i rimedi esistono
indirizzi di orientamento, anche nel rispetto del potenziale allergenico delle piante da mettere a dimora nello spazio verde, nei giardini o condomini. Per fronteggiare adeguatamente dette problematiche è possibile affrontare in modo efficace le allergie da polline, ad esempio, ricorrendo a piante entomofile e non anemofile che per assicurare l’impollinazione si affidano agli insetti, producendo peraltro modeste quantità di polline, così pure di rendere obbligatoria l’estirpazione delle piante infestanti nelle aree urbane, periurbane e dell’hinterland dei terreni incolti, nonché l’incuria delle ville, dei parchi, dei giardini, dei viali alberati, lati marginali delle scarpate e sedi stradali. Opera meritoria divulgativa può essere svolta in tal senso dagli uffici tecnici comunali, per prevenire e limitare le allergie da polline ai soggetti sensibilissimi a tali problematiche, invitandoli a non frequentare, in determinati periodi, soprattutto nei mesi di aprile-maggio, allorché l’invasività delle piante che producono polline raggiunge i massimi livelli per la diffusione delle malattie dell’apparato respiratorio, ai bronchi, infiammazioni varie e non solo. Le piante entomofile, infatti con i loro fiori e profumi, attirano gli insetti, solitamente api, farfalle, coleotteri e simili che con i loro voli giornalieri di fiore in fiore, diventano nei fatti, i veri responsabili dell’impollinazione e quindi della fecondazione delle piante. Le piante anemofile (pioppo in primis), invece, producono una notevole quantità di polline e si affidano alle correnti aeree ed al vento affinché il trasporto casuale, anche a grande distanze, possa favorire l’impollinazione per assicurare l’obiettivo riproduttivo. Se, quindi, un buon 30% dei cittadini è esposto a rischi di intolleranza ed allergia al polline, diventa necessario che chi governa il territorio, all’atto della scelta delle componenti degli arredo a verde tenga in conto il principio della generale godibilità parchi, viali alberati e giardini, affinché l’intero complesso vegetazionale, urbano e periurbano, possa assumere un forte significato ecologico, paesaggistico, ambientale e sociale per la collettività. Le idee e i concetti finora evidenziati sono stati trattati in precedenti occasioni su questo stesso giornale. Ho ritenuto opportuno ed utile, soprattutto per i soggetti tendenzialmente allergenici, di tornare sugli stessi argomenti poiché, ancora oggi, le problematiche trattate sono di piena attualità e descrivono esattamente la realtà ambientale che stiamo vivendo.
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sabato 6 aprile 2013
Iniziativa da bere Vinitaly, la grande rassegna internazionale dedicata al vino italiano
In partenza Terre di Cosenza
Il Comune di Bova al Children’s book
I professionisti dell’editoria per ragazzi Si è conclusa da qualche giorno a Bologna la 50a edizione della “Bologna Children’s book fair”, il più importante appuntamento internazionale per i professionisti dell’editoria per ragazzi. Oltre 1.200 gli espositori, provenienti da 70 Paesi, che hanno festeggiato i 50 anni della fiera. Presente per la Calabria anche la casa editrice Falzea, che tra le sue proposte di pubblicazioni per bambini, letture per ragazzi, albi illustrati e romanzi per teenagers e fantasy ha presentato ad appassionati ed addetti ai lavori l’ultima chicca nata dall’ormai consolidata collaborazione tra la casa editrice e l’assessorato alla cultura del comune di Bova, si tratta del progetto “Il mondo del libro in uno dei borghi più belli d’Italia” che ha come principale obiettivo quello di proporre a bambini, insegnanti e genitori l’inedito progetto che avrà come suggestiva location proprio la cittadina di Bova prevedendo un percorso didattico e formativo avente ad oggetto il mondo del libro, in una giornata che coniugherà la scoperta dell’universo libro alla fruizione dell’immenso patrimonio culturale e ambientale di uno dei borghi “gioiello d’Italia”. Soddisfazione per il gradimento riscontrato dall’iniziativa presentata a Bologna viene espressa da Gianfranco Marino, vice sindaco di Bova con delega alla pubblica istruzione. «Un ringraziamento particolare - dice Marino - va a Paolo Falzea ed alla sua casa editrici con cui ormai da tempo è nata una proficua collaborazione. Un grazie sentito perché anche in quest’ultima occasione ha contribuito ad esportare il nome di Bova fuori dai confini regionali, legandolo ad un’iniziativa estremamente positiva che partirà dal prossimo mese e che vedrà protagonisti i bambini delle scuole della provincia reggina, in un percorso didattico formativo che unirà la riscoperta del mondo del libro alla fruizione di uno dei centri gioiello d’Italia».
al via il Play mausic festival “Terre di Cosenza” è in partenza per Vinitaly: la grande rassegna internazionale dedicata al vino italiano che si svolgerà a Verona dal 7 al 10 aprile. Le ventuno cantine ospiti del padiglione 7B presenteranno tutte le nuove proposte della Dop bruzia: profumi e sapori unici che raccontano il territorio e svelano il pregio della produzione vinicola cosentina. Il Vinitaly è da anni riconosciuto in tutto il mondo come appuntamento simbolo del settore enogastronomico, non solo dagli addetti ai lavori e ma anche semplici appassionati del buon gusto. Per questo la Camera di Commercio di Cosenza, anche per la quarantasettesima edizione dell’evento ha voluto allestire un unico stand consortile nel quale presentare il meglio della produzione vinicola calabrese alle delegazioni di buyer esteri accuratamente selezionati dall’ente camerale: Inglesi, Giapponesi, Tedeschi, Spagnoli, Canadesi e Russi. «Il vino della provincia di Cosenza fino a qualche anno fa era un’entità sconosciuta, oggi si presenta a Vinitaly con un prodotto di grande qualità, capace di competere sui mercati nazionali ed internazionali» ha dichiarato il presidente della Camera di Commercio di Cosenza, Giuseppe Gaglioti, nel presentare ufficialmente l’iniziativa. «La Camera di Commercio - ha aggiunto Gaglioti - è da sempre vicina alle imprese e le sostiene accompagnandole verso i mercati esteri. Ed è per questo che al Vinitaly l’ente sarà presente con un’intera area di 400 metri quadrati per dare più visibilità alla nostre aziende e promuovere la nostra economia che cresce. Le cantine cosentine non sono più le “cenerentole” dell’enologia italiana, ma attrici protagoniste in grado di offrire etichette molto apprezzate a un mercato che richiede prodotti di altissima qualità.
Le ventuno cantine ospiti presenteranno tutte le nuove proposte della Dop bruzia: profumi e sapori unici che svelano il pregio della produzione vinicola cosentina
Reggio se la suona Aprile è il mese anche del Play music festival. Hanno alzato il sipario, venerdì 5 aprile, Il Parto delle nuvole pesanti. La celebre band calabro-emiliana che ha presentato al pubblico “Che aria tira”, il nuovo album distribuito dalla Warner, che tra solchi acustici, incursioni rock e suoni elettronici accostati agli immancabili strumenti tradizionali, segna un’ulteriore evoluzione musicale per la band reduce dalla nomination al David di Donatello con “Onda Calabra” e al premio Amnesty international con il brano “Giorgio”. Il 19 aprile, viaggio nella storia del tango con i Más en Tango guest Luca Aquino. Energia, magia e ritmo travolgente si fonderanno in un affascinante incontro tra musica popolare e jazz. I Más en Tango, con all’attivo concerti e milonghe in tutta Europa, interpretano il tango in totale libertà, con incursioni di elettronica e immagini, attraverso i suoni raffinati di Luca Aquino, uno dei trombettisti più apprezzati a livello internazionale, attualmente in tour mondiale con Manu Katché. Il 26 aprile il palco del Siracusa sarà tutto per i Balkanica guest Achille Succi. La loro musica solca i mari del Mediterraneo orientale, approda sui sabbiosi lidi arabi per dirigersi verso Nord, dove incontra i Balcani. Il repertorio ricrea le atmosfere festose, fatte di cibo, danze e canti, tipiche dei popoli nomadi est europei, senza dimenticare mai lo spirito etno-jazz. Ospite di questa esplorazione, Achille Succi, protagonista del jazz contemporaneo e membro storico della banda di Vinicio Capossela.
sabato 6 aprile 2013
Tra divertimento e sensualità
Salsa-mania a Cosenza
Arriva l’anima di Cuba con due straordinari talenti
nelli di Federica Monta
L’anima di Cuba approda a Cosenza con due straordinari talenti. Uno rigorosamente “locale”, Peppe el Caribe, l’altra, cubana purosangue, “prestata” generosamente alla nostra terra per aggiungere sapori e colori di una cultura lontana, Gabriela Montalvo. I due giovani ballerini realizzano il desiderio di unire più culture in una sola unica realtà: quella del ballo. Numerosi sono gli allievi cosentini che rispondono al momento di “boom” di salsa e bachata. Si fa gruppo, ci si diverte e si impara a ballare. «Lo scopo è quello di imparare divertendosi- chiarisce Peppe- e di impratichirsi in prova, ma soprattutto, nelle serate». Al di là della scuola, infatti, l’atmosfera serale è quella di appassionati del ballo che ripropongono figure e passi attentamente “assorbiti” dagli insegnanti. «Vedere i miei allievi ripetere i passi insegnati - spiega Gabriela - è una grande soddisfazione, anche perché il nostro ballo è pulito, sano e fa bene».
Il nostro Peppe el Caribe e la cubana prestata alla nostra terra Gabriela Montalvo
Una terapia, dunque, non solo per il corpo: i muscoli tendono a tonificarsi, ma soprattutto per lo spirito che si rigenera di musica e libertà. Il coinvolgimento riguarda ogni età, dal “nino”al “viejo” : «In discoteca gli adulti non si sentirebbero a loro agio - sottolinea Gabriela- per cui scegliere di ballare la salsa è un buon compromesso anche con l’età». In Italia la concorrenza è alta, per cui tocca distinguersi con originalità. «Vorrei creare un gruppo - conclude la ballerina - che chiamerò “Milordo”, parola che nella nostra lingua richiama l’acqua con lo zucchero di canna. Come l’acqua e lo zucchero noi vorremmo essere con i nostri allievi e nella vita di ogni giorno». Significato dolce per un’attività che è tutt’altro che tenera: la salsa è vitale, energica, porta allo sfinimento, ma distrae e fa bene alla salute. Peppe e Gabriela sono testimoni esemplari di un esercizio fisico faticoso, sì, ma divertente e unico. Si avvicina, dunque, l’estate, le notti si fanno più lunghe e i ritmi più accesi. Accanto alla mu-
A passo di salsa con Peppe el Caribe e Gabriela Montalvo
sica da discoteca, impazzano le serate caraibiche, la bachata, tutti balli che da anni spopolano, ormai, in Italia e non solo. In Europa, gli italiani sono al primo posto tra i ballerini di salsa, seguiti da tedeschi e francesi. Sembra una barzelletta, invece è la storia del ballo caraibico più ballato al mondo. E Cosenza “fa tendenza” col “ballo da contatto” di Gabriela e Peppe.
Cenni sulla storia della Salsa La salsa trae origine dalla rumba cubana, dal danzón e dal son montuno. Ancora oggi, infatti, è una sintesi umana, razziale e culturale, formatasi in secoli di convivenza. Proprio da questa mescolanza nacque e continua a nascere la musica cubana dove troviamo fusi, insieme il ritmo e il clima caldo delle danze africane, arricchito dal largo utilizzo della sincope tipica della musica delle popolazioni nere, lo schema musicale base comune ai balli popolari argentini e brasiliani, la melodia europea, soprattutto nell’espressione calda ed appassionata di origine iberica. Dalla Spagna era infatti approdato lo “zapateado”, una danza popolare caratterizzata da canto e da chitarre nella quale i ballerini battevano ritmicamente e rumorosamente a terra tacchi, suole e punte che ebbe un’enorme importanza nella storia e nell’evoluzione dei balli cubani. Dalle tradizioni delle popolazioni nere, poi, derivavano anche le cosiddette “campesinas”, le danze delle campagne, che erano musicate da percussioni e da una speciale chitarra a tre corde e che si dividevano in balli religiosi e d’amore, indirizzati rispettivamente alla preghiera, perché gli dei assicurassero la fertilità delle donne e la prosperità della discendenza, ed al corteggiamento. In Italia spopola alla fine degli anni 80, quando si ballava la lambada, di origine brasiliana. Salsa, merengue e bachata hanno iniziato a diffondersi lungo la penisola coinvolgendo Nord e Sud e creando un business molto proficuo, soprattutto per i gestori dei locali e per i numerosi ballerini e artisti cubani venuti ad esibirsi nel nostro Paese. Che sia improvvisata, figurata o costruita, la salsa resta il suono più “armonioso” per mente e corpo. E regala un pò di Cuba a tutti noi.
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sabato 6 aprile 2013
Un mistero senza fine Crotone, il 19 aprile presentazione del libro di Pietro Orlandi A cura del Centro internazionale scrittori della Calabria
La carcerazione e la dignità del detenuto
Emanuela Orlandi
Mia sorella Emanuela
«Voglio tutta la verità»
Il prossimo 19 aprile saranno ospiti della città di Crotone Pietro Orlandi e Fabrizio Peronaci per presentare il libro “Mia sorella Emanuela. Sequestro Orlandi: voglio tutta la verità”. L’invito a Pietro Orlandi fratello di Emanuela Orlandi, la cui scomparsa risale a trent’anni fa, e a Fabrizio Peronaci - apprezzato giornalista del Corriere della Sera - è partito dal sindaco Peppino Vallone e dall’assessore alla Cultura Antonella Giungata. L’iniziativa è inserita nel programma della “Settimana della cultura” che il Comune di Crotone con la Provincia, non essendo stata finanziata quest’anno dal Ministero della Cultura, ha comunque voluto realizzare proponendo eventi culturali nel territorio cittadino. La presenza di Pietro Orlandi, in particolare, si ricollega anche all’iniziativa che la città di Crotone ha tenuto lo scorso anno, il 27 maggio, quando fu organizzata a cura del Comune, su invito del fratello, una partecipata giornata per la “Verità e la Giustizia” dedicata proprio ad Emanuela. In quella circostanza Pietro Orlandi inviò un caloroso messaggio alla comunità crotonese promettendo, non appena gli impegni lo avessero consentito, di venire personalmente in città. «L’occasione del prossimo 19 aprile sarà anche il momento per confermare la vicinanza di tutta la comunità cittadina ad una famiglia che rappresenta un esempio per tutti. Davanti al loro dignitoso dolore non solo bisogna inchinarsi ma fare tutto il possibile per aiutarli a sostenere la lotta per l’accertamento della verità» dichiara il sindaco Peppino Vallone. «Siamo lieti che la comunità cittadina possa abbracciare Pietro Orlandi e poter anche apprezzare la sua battaglia civile raccontata con grande intensità in questo libro coraggioso» dichiara l’assessore alla Cultura Antonella Giungata. Un libro che racconta una storia che, da tempo, ha smesso di essere una vicenda strettamente familiare. Pietro Orlandi e Fabrizio Peronaci racconteranno il perché del libro e le motivazioni della loro ricerca. La giornata del 19 aprile sarà anche l’occasione per approfondire i temi della informazione e della comunicazione. Una riflessione sul giornalismo d’inchiesta, responsabile ed impegnato nel sostenere battaglie civili.
L’evento si ricollega all’iniziativa che la città di Crotone ha tenuto lo scorso anno quando fu organizzata a cura del Comune, una giornata per la “Verità e la giustizia” dedicata proprio alla donna sequestrata
Presso il salone della chiesa di San Giorgio al Corso - Reggio Calabria - il Centro internazionale scrittori della Calabria ha promosso la conversazione “La carcerazione e la dignità del detenuto”. Ha relazionato Pasquale Ippolito, presidente aggiunto della Corte di Cassazione di Reggio Calabria - magistrato, scrittore. Il sistema carcerario italiano è in profonda crisi. Negli ultimi tre anni la popolazione carceraria è aumentata del 50 per cento, superando il limite strutturalmente sostenibile di oltre 20 mila unità a fronte di un calo delle risorse del 10 per cento. L’allarme sovraffollamento crea problemi di sicurezza e non garantisce la dignità del detenuto. La Corte europea per i diritti umani afferma che si è in presenza di tortura quando un detenuto dispone di meno di 3 metri quadrati di spazio in cella. Il relatore Pasquale Ippolito ha parlato delle ragioni che motivano la detenzione, la esecuzione della medesima e il modo come garantire il rispetto della dignità del detenuto.
Iniziativa “Vivicittà” a Catanzaro
Si corre in carcere Vivicittà domenica prossima si correrà anche nella Casa di reclusione di Opera e a Catanzaro nel minorile ‘Silvio Paternostro’. Luoghi tradizionalmente separati che, grazie alla corsa organizzata dall’Uisp, potranno vivere l’atmosfera festosa di una giornata di sport che non dimentica nessuno. Anche qui il “via” verrà dato alle 10.30 dai microfoni del Gr1 Rai. Invece l’appuntamento di Pisa è stato anticipato a sabato 6, per la concomitanza con altre iniziative, mentre quello di Roma spostato al primo maggio perché sono impraticabili le sponde del Tevere. Il numero di città coinvolte resta comunque quello di 36.
sabato 6 aprile 2013
Mettiamo da parte la tecnologia
C’era una volta A Cosenza dal 7 aprile rassegna di teatro per ragazzi
Reggio, a scuola con Giovanni Rana
La mani in pasta Giovanni Rana torna anche quest’anno nelle scuole elementari di Reggio Calabria e provincia con la terza edizione di “Fantavventure a tavola”, il progetto ludico-didattico gratuito su cibo e alimentazione promosso dal pastificio Rana e indirizzato alle prime tre classi delle scuole primarie. Giunto alla sua terza edizione, “Fantavventure a tavola” ha visto il coinvolgimento nelle passate edizioni di 27 scuole elementari nella provincia di Reggio Calabria, dove anche quest’anno hanno aderito 16 istituti riconoscendo nel progetto un valido supporto didattico. I docenti hanno infatti a disposizione un programma semplice, interattivo e stimolante in grado di trasmettere ai più piccoli i principi della sana e corretta alimentazione. All’interno del kit didattico, distribuito gratuitamente alle scuole che ne hanno fatto richiesta, giochi e attività da svolgere in classe e a casa stimolano la curiosità di bambini e bambine per far loro conoscere il mondo del mangiare sano. “Fantavventure a tavola”, i racconti del mago Giovanni, propone una nuova divertente favola come spunto coinvolgente per parlare con i più piccoli, affrontando temi che riguardano la quotidianità dei bambini in modo immediatamente comprensibile. Il mago Giovanni, due principesse, un cavaliere, un simpatico drago e i nuovi personaggi Costolone Pallido, Sfoglinda e gli Antichi Sughi accompagnano i bambini tra sapori e ingredienti dell’alimentazione sana ed equilibrata: tante attività da fare a scuola e a casa per imparare il valore del cibo sano e di qualità, variato negli ingredienti, nella quantità necessaria, gustato in compagnia e nei giusti intervalli di tempo. Studenti e insegnanti potranno poi mettere alla prova la loro creatività partecipando a Colori in pasta, il concorso educativo abbinato al progetto. Le classi potranno partecipare inventando il piatto di pasta più appetitoso e colorato senza dimenticare i valori nutrizionali. Una volta creato il “fantapiatto” i bimbi potranno disegnarlo, trasformarlo in collage, cucinarlo e inviare una fotografia, trascriverlo in bella grafia su un invito, raccontarlo in una nuova Fantavventura, trasformarlo in un servizio da telegiornale o riportarlo secondo qualsiasi altra idea creativa. Le modalità sono molte e resta solo l’imbarazzo della scelta. Le classi avranno la possibilità di aggiudicarsi bellissimi premi: per i vincitori una gita al pastificio Rana e la partecipazione a una lezione di cucina dove i bambini potranno letteralmente mettere “le mani in pasta”; a questo si aggiunge un contributo di 1.000 euro per la scuola. Le tre classi seconde classificate riceveranno un contributo di 1.000 euro per un viaggio di istruzione e di 500 euro per l’acquisto di materiali didattici.
Alle lunghe e vuote mattine festive, riempite con il telefonino e il computer, noi proponiamo un appuntamento vivo, culturale e socializzante quale il teatro con il suo magico mondo
Domenica 7 aprile parte la nostra prima rassegna di teatro per ragazzi dal titolo “C’era una volta...”. Tante storie per divertirsi e, contemporaneamente, godere di tanti magici momenti teatrali in un clima di gioviale simpatia. “Cera una volta...” è la frase con cui iniziavano tutte le storie, ma è anche il ripristino di una vecchia e simpatica usanza familiare di dedicare la domenica mattina ai ragazzi. Infatti, la rassegna parte proprio con lo spirito di riportare in vita lo spettacolo mattutino della domenica per i ragazzi che, qualche decennio addietro, vedeva gruppi festanti di giovinetti, accompagnati dai genitori o dai nonni, recarsi nello storico Cinema Italia, oppure presso alcune sale parrocchiali e finanche negli scomparsi Dopolavori, per assistere alle attesissime proiezioni cinematografiche domenicali. Alle lunghe e vuote mattine festive, riempite con il telefonino ed il computer, noi proponiamo un appuntamento vivo, culturale e socializzante quale il teatro con il suo magico mondo. Interrompere la dolce monotonia che ci assale all’inizio di una giornata festiva è la sfida principale che la rassegna si pone. I sei appuntamenti quindicinali che, probabilmente si arricchiranno di qualche altra data, iniziano la prossima domenica 7 aprile, tutti alle ore 11,00, con lo spettacolo “Il figlio del sindaco” prodotto dalla Compagnia teatrale stabile del Teatro Officina delle arti “Voci, Luci &... Co.”. Seguirà domenica 21 aprile “Biancaneve e i sette nani” (associazione Porta Opera Cenere Teatro arte); domenica 5 maggio “Re Mida” (Ensemble I Musici); domenica 19 maggio “Cico Vartietà” (Teatro Errante); domenica 2 giugno “Una storia di Natale” (ArtPatachipi/Immadiat.edu); domenica 16 giugno “Le magarìe di Giustina” (Art-Patachipi). L’intero Progetto-ragazzi include anche un Per-corso formativo di teatro per ragazzi che vedrà impegnati, nel ruolo di insegnanti, alcuni degli attori in essa impegnati. Dopo ogni spettacolo i ragazzi si intratterranno con gli artisti per uno scambio di conoscenze ed emozioni.
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sabato 6 aprile 2013
Un mare di idee Travel game. Il liceo classico “Galluppi” di Catanzaro sarà tra gli istituti in gara Associazione “Il grillo parlante” di Roggiano Gravina
Ti racconto la mia terra
Navigando si impara «Un’iniziativa utile e divertente. I ragazzi potranno partecipare ad un gara in cui saranno monitorate le loro competenze. La metodica è quella di una terza prova d’esame in formato multimediale che consente l’immediata verifica degli esiti e la valutazione in tempo reale del livello di preparazione dei diversi gruppi su singole tematiche con i relativi report, anche mediante grafici che riproducono i risultati e le statistiche intorno alle risposte. La ricaduta didattica è evidente: il gioco offre la possibilità di uno screening oggettivo in cui gli allievi siano immediatamente consapevoli degli errori compiuti, dell’esito analitico dei test e della votazione complessiva conseguita nelle diverse prove. Il viaggio d’istruzione a Barcellona, una delle realtà culturali ed artistiche più originali del Mediterraneo, è arricchito e vivacizzato dalla gara che si svolgerà durante la navigazione, cui partecipano studenti di vari istituti cittadini. Il Travel game, proprio perché propone contenuti disciplinari in format multimediali, è un progetto che favorisce la socializzazione ed il confronto tra allievi di diversi indirizzi, su tematiche trasversali». Questa l’opinione del dirigente scolastico del liceo classico “P. Galluppi” di Catanzaro, Elena De Filippis intorno al progetto didattico “Travel game on board”, promosso dall’associazione La Movida in collaborazione con Planet multimedia e la Grimaldi tour operator che si è svolgerà tra il 16 e il 21 aprile a bordo della moderna Cruise Roma e vedrà la partecipazione di alcune scuole della provincia di Catanzaro. Dopo il grande successo che ha registrato l’edizione di marzo, il Travel game on board, progetto didattico innovativo, è stato presentato nei giorni scorsi presso Liceo classico “P. Galluppi” dove ha trovato molti consensi in docenti e alunni. Protagonisti dell’edizione in programma ad aprile, tra gli altri, gli studenti del liceo catanzarese i quali, grazie all’ausilio di moderne pulsantiere wireless, potranno rispondere alle domande formulate in merito al programma dai docenti, sfidando gli istituti presenti in gara. I partecipanti viaggeranno alla volta di Barcellona a bordo delle navi Grimaldi lines, con partenza da Civitavecchia e saranno accompagnati dagli attrezzati bus della ditta Serratore lungo tutto il tragitto. Al termine del viaggio, prima di rientrare in Italia, si disputerà la manche finale e verranno proclamati l’alunno e la scuola vincitrice della seconda edizione del torneo Travel game on board 2013. A Barcellona, un paio di giorni saranno dedicati alla visita della città e dei suoi capolavori artistici e architettonici, in bus privato e con guida in lingua italiana. Durante il periodo delle attività programmate articolato in 6 giorni, i ragazzi vivranno insieme un viaggio culturale con l’ intento di orientare comportamenti maggiormente consapevoli tra gli adolescenti e capire i valori della sana competizione e del confronto. A sorpresa, sulla nave ci sarà uno spettacolo nelle due serate a bordo che catturerà l’attenzione degli studenti e li farà diventare primi attori di una perfomance programmata e concordata con i docenti. La Planet multimedia ha comunicato i premi in palio per gli studenti: due soggiorni nelle strutture Aig in tutta Italia (tour operator partner di Planet multimedia e del ministero della Gioventù); i gioielli del maestro orafo Michele Affidato; i libri di Rubbettino editore; i cioccolatini di Monardo; i soggiorni in Sila (Cz) presso il Faro; i vini di Senatore (cantina di Cirò); i gadget offerti da Grimaldi lines.
Proprio perché propone contenuti disciplinari in format multimediali è un progetto che favorisce la socializzazione e il confronto tra allievi di diversi indirizzi su tematiche trasversali
Nella foto Elena De Filippis
L’associazione socioculturale “Il grillo parlante” di Roggiano Gravina, in provincia di Cosenza, in collaborazione con l’associazione di promozione del territorio “Paeseggiando” e con la Pro loco di Roggiano Gravina è lieta di proporre l’evento “Ti racconto la mia terra” all’interno del quale verrà istituito il Premio letterario “Gian Vincenzo Gravina” a livello internazionale. “Ti racconto la mia terra” nasce dal desiderio di restituire al proprio territorio una valenza culturale e sociale non valorizzata abbastanza all’interno di un viaggio simbolico nella nostra terra: la Calabria. Si proporrà un itinerario per la rivalutazione del centro storico di Roggiano Gravina all’interno del quale si percorrerà un viaggio attraverso le immagini, i mestieri, le tradizioni, i sapori e tutto ciò che rende la Calabria unica ma silenziosa protagonista di un contesto storico, economico e politico che continua a nasconderla agli occhi del mondo. Contemporaneamente i partecipanti alla manifestazione potranno rivalutare le bellezze dei propri paesi attraverso le risorse artistiche, storiche, gastronomiche ecc. che intenderanno esporre per favorire la crescita e lo scambio culturale, sociale ed economico che da sempre ha reso le civiltà protagoniste della storia. Inoltre “Ti racconto la mia terra” si propone di diventare itinerante nei paesi della Valle dell’Esaro, in primis, ma anche a livello regionale con lo scopo di creare una rete di cultura e tradizioni, di storia e arte. Un progetto forse ambizioso nel quale abbiamo riposto l’ennesima speranza di una crescita nella quale siamo chiamati a rimetterci ancora una volta in gioco per donare alla nostra terra il suo valore che richiama la fierezza di appartenere a radici profonde, a profumi e scenari unici. La manifestazione è prevista per sabato 28 settembre 2013 a Roggiano Gravina (Cs) attraverso il seguente programma: Ore 9.30 - Apertura percorso culturale. Si trasformerà per un intero giorno Roggiano Gravina nel paese della cultura. L’itinerario proposto sarà il seguente: corso Umberto diventerà corso del libro con esposizione di stand a cura di autori, librerie, case editrici che cureranno reading letterari all’interno delle proprie postazioni. Il centro storico sarà interessato da mostre di pittori, fotografi, scultori, artigiani, associazioni e prodotti tipici. Durante la mattinata è prevista la visita da parte delle scuole del territorio. Ore 18.30 - In piazza Metastasio si terrà il convegno “Ti racconto la mia terra”, l’istituzione ufficiale del premio letterario “G.V.Gravina” che prevederà tre sezioni (poesia, romanzi editi, romanzi inediti) e due fasce d’età, e l’assegnazione di premi ai vincitori. Il bando per poter partecipare sarà disponibile a partire dal 13 aprile 2013. Ore 20.30 - spettacolo musicale in piazza Garibaldi a cura dei gruppi locali (da valutare). Il programma è soggetto a variazione. Si stabilirà un programma ufficiale entro e non oltre il 31 luglio 2013, data di scadenza riferita al Premio letterario e all’adesione di quanti parteciperanno all’evento. Successivamente ogni settore interessato avrà un responsabile di riferimento. Si chiede infine una quota di adesione pari a 10,00 euro per ogni partecipante al fine di sostenere le spese di organizzazione e promozione dell’evento da far pervenire entro il 31 luglio 2013. Per Info e Adesioni moniavolio@libero.it oppure: 340.4139831 - 348.6611921 - 346.3571769
sabato 6 aprile 2013
Quando qualcosa funziona...
Per vederci meglio Asp Cosenza, 3.000 bimbi sottoposti a screening oculistico Tremila bambini in età prescolare e scolare sono stati sottoposti a screening oculistico per la prevenzione dell’ ambliopia e dei vizi di refrazione in età evolutiva nell’ambito di un progetto dell’Asp di Cosenza. Il progetto è stato coordinato dal dipartimento di Prevenzione dell’Asp diretto dal dottor Marcello Perrelli, e dalla dottoressa Cinzia Valente, responsabile del centro di oftalmologia sociale. L’iniziativa, coordinata a livello regionale dal professor Scorcia dell’Università di Catanzaro, ha visto, spiega un comunicato, la partecipazione operativa dei centri di Oftalmologia sociale dell’intera regione. «Per perseguire le finalità del progetto - si legge - sono stati sottoposti a screening oculistico ed ortottico, negli istituti scolastici che ne hanno fatto richiesta3000 bambini in età prescolare (3-5 anni) ed in età scolare 1a e 2a elementare (6-7 anni). Dei 3.000 bambini sottoposti a screening - prosegue la nota dell’Asp - ne sono stati poi selezionati 500 per sospetti problemi oculistici ed inviati al centro di Oftalmologia sociale di Cosenza per una più approfondita visita specialistica. Tra i bambini con sospetti problemi oculistici è stata riscontrata una incidenza di casi di ambliopia (più nota come “occhio pigro” e che comporta una ridotta capacità visiva a carico di un solo occhio, non correggibile con lenti), pari al 4% del campione esaminato». «La causa dell’ambliopia - si fa rilevare - è riconducibile ad un anomalo stimolo che l’occhio riceve durante i primi anni di vita dovuto nella maggior parte dei casi a vizi di refrazione e a strabismi. L’occhio interessato dall’ambliopia proietta sulla retina una immagine sfocata che non può essere fusa, come normalmente avviene, con quella nitida dell’altro occhio con il risultato che il bambino impara a dimenticare l’immagine sfocata “scartandola” e provocando l’impigrimento dell’occhio. La diagnosi precoce è pertanto assolutamente necessaria al fine di poter intervenire durante l’età plastica (3-7 anni) del bambino, oltre la quale il difetto visivo diventa irreversibile. La terapia anti-ambliopica - continua il comunicato stampa - permette di risolvere efficacemente il problema. Tale terapia consiste innanzitutto nell’eliminare la causa che provoca l’immagine sfocata(per lo più mediante correzione con lenti), e nella stimolazione dell’occhio “pigro” occludendo temporaneamente l’occhio con acuità visiva maggiore. Sempre nel campione esaminato sono stati inoltre riscontrati un congruo numero(17%) di bambini affetti da: astigmatismo miopia e ipermetropia. I dati raccolti nell’ambito del progetto per la diagnosi precoce dell’ambliopia consentiranno di affrontare precocemente ed efficacemente le patologie emerse dallo screening offrendo ai nostri bambini una qualità di vita migliore. Con i fondi erogati per tale progetto al centro di oftalmologia sociale - si legge infine - verranno fornite delle attrezzature altamente specialistiche che saranno messe a disposizione di tutta la popolazione della provincia».
Tra i bambini con sospetti problemi oculistici è stata riscontrata una incidenza di casi di ambliopia più nota come “occhio pigro” pari al 4% del campione esaminato
Paer combattere l’analfabetismo
Un libro per ogni nato Presso il complesso Santa Chiara a Vibo Valentia, si è tenuta una delle iniziative più importanti dell’assessorato alla Cultura guidato da Mario Caligiuri e del Polo regionale per le Politiche della lettura in collaborazione con il Tropea festival Leggere&scrivere, definita in maniera eloquente “Un libro per ogni nato”. ll progetto, che ha la collaborazione dei medici pediatri e dei Lions club della Calabria, si inserisce in una più ampia programmazione a favore del libro e della lettura sostenuta dalla Regione Calabria e dal presidente Scopelliti. L’associazione “Ludus in fabula” e la casa editrice “Coccole books” hanno curato la realizzazione di un libro, che si intitola “Quando arriva la felicità”, scritto da Sandro Natalini e illustrato da Maria Sole Macchia, che a partire dal prossimo mese di maggio, e per l’intero anno successivo, sarà consegnato ad ogni famiglia calabrese con un nuovo nato. «L’iniziativa è unica nel suo genere - ha ribadito l’assessore Caligiuri - e intende rappresentare un segno di civiltà e di fiducia nel futuro di un paese dove ancora ci sono circa 2 milioni di analfabeti, 15 milioni di semianalfabeti e altrettanti di analfabeti di ritorno. Com’è facile intuire le conseguenze per una società civile sono devastanti, per questo la lettura dovrebbe essere una priorità politica nazionale». Com’è altresì noto la Calabria sarà la prima “Regione ospite d’onore” al Salone del libro di Torino, che si terrà dal 16 al 20 maggio 2013, proprio per sottolineare l’importanza strategica della lettura per la crescita culturale, lo sviluppo economico e la partecipazione democratica di cui questo progetto si fa portabandiera.
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sabato 6 aprile 2013
Narrativa Caratteri, aforismi, minitesti
Solo il cuore determina l’amore di Giuseppe Aprile
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Se un ambiente è privo di valori in emersione, vuol dire che non un fatto di secondaria importanza in esso è avvincente, ma si rivela uno dei momenti più intimi della sua essenza, una mancanza di rilevante entità tale che occorre correre ai ripari procedendo sull’unica strada possibile: l’elevazione culturale dei suoi abitanti che sicuramente è troppo bassa. Se nell’ambiente manca una qualità ed una quantità di sapere, è inutile pensare che una qualsiasi branca delle attività umane, possa bastare per recuperare il terreno della normalità: fosse anche la politica che pur tra i fatti determinanti di una società è centrale e, forse, il più efficace soprattutto nell’immediato. Ma di fronte ad un male la cura va individuata per come serve: unico modo per puntare a guarire e sicuramente unico elemento da inserire perché via traverse o abbreviate non ce ne sono. Si può solo bruciare il tempo, ma resterebbero nella stessa dimensione e nello stesso luogo i connotati del male. Non sono deputati o consiglieri regionali che possono contribuire a sollevare un ambiente degradato. Questi, anzi sono sia una delle fonti del male, sia un effetto che rischia di tramutarsi in ostacolo alla cura. La politica, forse, sarebbe da mettere da parte. Vanno azionati altri valori e altra gente. A questo punto il politico torna nel suo limbo.
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L’uomo più che grande o piccolo, dev’essere determinante. E per essere tale dev’essere semplice, normale.
L’amore non è né grande, né piccolo, nè duraturo, né fallace. Non è né celestiale, nè terreno, non è immenso né leopardiano, né dantesco, né romantico e né poetico. L’amore è semplicemente amore. Non ha imitazioni, non è focoso, non è immortale, non è mortale. Esso è amore. Nasce tra un uomo e una donna e non muore mai. Fin quando essi vivono.
Una cosa è la morte, altro è la cessazione della vita. La prima non esiste, la seconda avviene.
Penso sia giusto far vivere quello che è della vita e della morte. Quando uno muore è meglio immaginare che un giorno si rivedranno ? O è meglio non dare importanza al rivedersi e pensare che sia meglio accontentarsi di quanto si siano visti, immaginando che sia insita nella vita l’idea della sua fine? E pensando pure che la morte di uno aiuta a far capire il vero bene per chi rimane?
Un famigliare intimo, uno di quelli che hanno avuto vita assolutamente in comune con l’altro, deve abituarsi a pensare che la vita non dura sempre; che quello che sarà è normale che fosse come è normale che prima o poi si finisce con lo stare assieme in vita. Se si pensa che non si muore mai, s’intende la morte come dolore assoluto. Se si pensa il vero, si ritiene normale la morte che prima o poi avviene. Il relativo aiuta la verità. L’assoluto determina la reazione come violenza.
L’uomo più che grande o piccolo, dev’essere determinante. E per essere tale dev’essere semplice
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La morte è una vita che cessa. Riguarda tutto ciò che ha vita: l’essere umano, l’animale, l’insetto, l’albero, la pianta, il fiore, l’erba.
Con la morte si diventa: terra, pietra, legno, acqua, fuoco, carbone, polvere, ferro, cenere.
Tutto ha nel niente una possibile fine.
Pensare è vivere. Dormire è accorciare la vita.
Le campagne di Portigliola sono il cuore geografico dell’antica Locri. Gli abitanti di questo paese lo sanno e ne vanno fieri. Sono nel territorio di Portigliola-Locri gli scavi archeologici che hanno portato alla luce, con gli scavi di Paolo Orsi, il Tempio Jonico di Marasà, la statua di Persefoni che è stata trafugata e, forse, portata clandestinamente in Germai, i Dioscuri, il Teatro Greco, la parte della città dove sorgeva l’acquedotto, la zona degli artigiani, tante mura dell’antica città. È nel territorio dei paesi di Portigliola e S.Ilario, nella zona Lentù dalla parte di Portigliola e Quarantana nella parte di S.Ilario, proprio dove c’è la fiumara che prende il nome del comune di Portigliela, il punto dove si sospetta che ci fosse stato il famoso Porto di Locroy Epifephiry. È la versione più credibile e motivata dalle documentazioni studiate abbondantemente. Su queste terre i contadini vivono fieri di ritenersi eredi della grande civiltà antica della Magna Grecia.
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Dal mio balcone vedo l’Etna, spesso piena di neve, e mi domando quanto sia stato fortunato a capitare in questa zona fortunata con davanti il più grande vulcano d’Europa. Mi affaccio spesso al balcone e lo ammiro per tanto tempo. A volte chiamo chiunque sia in casa, famigliari o ospiti, e godo a vederli partecipare alla mia gioia di fronte a quel vulcano a forma di cono rovesciato, con la parte superiore spesso innevato ed a volte anche fumante con fuoco e nuvole di fumo che vanno verso il cielo.
sabato 6 aprile 2013
Narrativa
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Una casa senza gli abitanti, sarebbe paragonabile al sesso senza amore. Ecco, forse è questo il sesso: una casa vuota, senza abitanti, senz’anima. L’amore è anche la casa, tutta la casa, la vera casa.
La società dove la magistratura è più forte della politica, determina la fine dell’uomo.
Una volta vivevamo di poche cose. Un carretto, una chitarra, una palla di gomma, un gioco di minima entità, una passeggiata, un andare in giro senza ragione, un camminare senza meta, un disco con una canzone, una entrata al bar, una chiacchierata tra compagni su argomenti anche banali come quelli cui eravamo abituati nel paese spoglio di ogni forma di cultura e di conoscenze, una cantata con la chitarra che Cecè suonava a stento, erano un modo perché il tempo trascorresse e un giorno seguisse l’altro senza nemmeno pensare che prima o poi avremmo rimpianto quel tempo perduto. Quando siamo diventati adulti, abbiamo spesso pensato come perso il tempo del passato. E vorremmo tanto ancora. Verso gli anni della maggiore maturazione, abbiamo cominciato a rimpiangere il tempo passato senza grandi motivazioni di vita. «Quando diverrete vecchi» dice il saggio Micantoni «avrete dolori al pensare che anche quel tempo del niente, non tornerà più. Per capire che la vita è bella in quanto tale e il tempo serve per vivere, comunque; al di là della futilità di certi suoi momenti».
La fiumara di Portigliola tra contrada Lentù e le colline di S.Ilario disegno di Antonio Capogreco
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Il silenzio è a volte più assordante di ogni rumore. Lo spettacolo è unico al mondo, meraviglioso e mi ritengo davvero curiosamente fortunato per poterlo godere.
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Parla dei mali del mondo, si esibisce in piagnistei per le cose brutte della vita, impreca contro coloro che producono il male. Non si accorge del dolore del suo vicino di casa.
La mia casa ha le pareti tappezzate di quadri che mi hanno regalato, nel corso del tempo, gli artisti con i quali venivo a contatto nel corso di tutta la mia vita perché, sin da giovanissimo, occupandomi di giornalismo, ho scritto di critica letteraria diventando amico di pittori, scultori, gente d’arte e di letteratura. I nomi più vicini e cari a me , sono Trifoglio, Parisi, Custureri, Michelizzi, Tina Sacco, Incorpora, Lombardo, Nick Spatari, Marafioti, Galluzzo, Ciano, Capogreco, Attisani, Fedan Omar, Anna Wroebl Zucco, Baccellieri, Villetti,Marina Naim, Corrado Armocida, il maestro della creta Ettore Scoleri, Gianni Pittari.
È un uomo esperto che piange per la sua inesperienza.
È riapparso il sole questa mattina. Tutto il resto non conta!.
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Ricordo con grande affetto e devozione l’orto della mia casa dove trovavo sempre il cavallo di mio padre, l’asino dello zio Vincenzino, le galline della nonna e dei miei genitori, la fossa ed il cumulo del letame, la pergola con l’uva e le foglie sempre verdi. Dall’orto. Come dalla casa, la mia vista spaziava verso il lontano mare spesso solcato dalla barche dei pescatori e vedevo pure la strada nazionale dove notavo le auto sfrecciare velocissime per Locri e per Ardore, sopra il ponte della fiumara Portigliola. Di fronte a me, dall’altra parte del fiume, il paese di Portigliola con nella parte bassa le due chiese, la gialla e la rossa e il caseggiato tutto esposto dal basso del fiume fino al centro della collina su cui sorgeva e sorge tutt’ora. Un pensiero continuo nella mia mente di sempre!
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Il sesso si fa con il fisico. L’amore no. L’amore si fa con il sentimento che dà anche vita al fisico. Il fisico ha il limite. L’amore è infinito.
Maria è semplice, è seria, rende quanto vale.
L’imbecille si ferma alle sembianze esteriori. La persona intelligente legge l’interiorità di una immagine. E trova il senso delle cose.
Una domestica si sente inutile in una casa ordinata.
L’imbecille si ferma alle sembianze esteriori La persona intelligente legge l’interiorità di una immagine
Un saggio contadino se la rideva nel vedere in difficoltà un professionista capitato in campagna occasionalmente. Lo trovava disorientato e gli diceva: da quanto tempo hai perso il senno e la via? Forse da quando tuo padre ti ha mandato via dalla campagna? Che errore!
Ciò che la ragione non riconosce, non è un bene. La ricchezza genera ansia ed egoismo.
Non è ricco chi ha, è ricco chi è.
La più grande ricchezza, è la capacità di servire.
Basta una sola persona per annientare un intero paese. E farlo morire! Per questo mi domando sul ruolo di Dio e mi do una risposta inquietante. Non si vede e non si sente.
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sabato 6 aprile 2013
Racconti e testimonianze Sabato 6 e sabato 13 aprile a Serra San Bruno
Donatella Cristiano presidente dell’organizzazione Incastri
Don Enzo Gabrieli
Responsabilità civile in memoria delle vittime di mafia L’organizzazione “Incastri - Interculturali cammini illustri”, presieduta da Donatella Cristiano, con la collaborazione del coordinamento antimafie “Libera”, indice le Giornate della responsabilità civile in memoria delle vittime di mafia, che avranno luogo sabato 6 e sabato 13 aprile 2013 c/o Serra San Bruno (Vv).
Interverranno: - Angela Napoli, membro della commissione Antimafia e presidente di “Risveglio Ideale; - Brunello Censore, parlamentare della Repubblica italiana e vicepresidente della commissione Antindrangheta; - Giudice Romano De Grazia, presidente aggiunto onorario della Corte di Cassazione; fondatore centro studi Lazzati; - Salvatore Andreacchi e Maria Rosa Miraglia, genitori della giovane vittima di mafia Pasquale Andreacchi; - Avv0 Giovanna Fronte, legale della famiglia Andreacchi ed attivista antimafia; - Liliana Esposito Carbone, mamma della giovane vittima di mafia Massimiliano Carbone; - Teresa Liberata Lochiatto, mamma della giovane vittima di mafia Giuseppe Russo; - Donatella Ponterio, psicologa; - Mimma Cacciatore, preside di un istituto scolastico di San Luca (Rc); - Pietro Lo Iacono, già primo cittadino di Serra San Bruno all’epoca dell’uccisione di Pasquale Andreacchi, da sempre vicino alle famiglie vittime di mafia;
Si è scelta questa terra sia perché luogo in cui visse il meridionalista e intellettuale Sharo Gambino, sia perché qui crebbe Pasquale Andreacchi, stroncato dalla criminalità
- Sergio Gambino, attivista partigiano e figlio del meridionalista Sharo Gambino; - Mario Congiusta, papà della giovane vittima di mafia Gianluca Congiusta; - Rocco Mangiardi, imprenditore calabrese e testimone di giustizia che vive sotto scorta dopo aver denunciato e fatto condannare i suoi estorsori. Si sceglie di svolgere le Giornate della responsabilità civile in memoria delle vittime di mafia a Serra San Bruno, non solo poichè luogo in cui visse il meridionalista ed intellettuale Sharo Gambino - autore di opere come “La mafia in Calabria”, “Mafia la lunga notte della Calabria”e “’Ndrangheta dossier”, ma anche perché è qui che crebbe Pasquale Andreacchi, giovane vittima di mafia. Sabato 6 aprile 2013, la giornata sarà dedicata agli uomini che combattono le mafie in quanto parenti di vittime o attivisti antimafia o appartenenti a commissioni antimafia. La prima delle due giornate, avrà inizio alle h 16:00 con una Santa Messa in memoria delle vittime di mafia c/o la chiesa dell’Assunta di Spinetto di Serra San Bruno. Alle h 17:00 ci si sposterà a palazzo “Chimirri” per racconti e testimonianze. Sabato 13 aprile 2013, la giornata sarà dedicata alle donne antimafia. La seconda ed ultima delle due “Giornate della responsabilità civile in memoria delle vittime di mafia” avrà inizio alle h 9:30 c/o Palazzo “Chimirri”. La mattinata si concluderà con una breve marcia della memoria che partirà da Palazzo “Chimirri”, proseguirà su via Corrado Alvaro, si concluderà alla lapide-monumento del giovane Pasquale Andreacchi.
sabato 6 aprile 2013
La scoperta diventa rivelazione È il nuovo cortometraggio scritto da Davide Imbrogno per la regia di Marco Caputo
Corso nel cuore del centro storico cosentino
A scuola di scrittura creativa
L’attesa o di Pileria Pellegrin
L’attesa è il titolo del nuovo cortometraggio scritto da Davide Imbrogno per la regia di Marco Caputo, le cui riprese sono iniziate questa settimana a New York. Ambientato tra la Grande Mela ed il borgo medievale di Altomonte il corto ha come protagonista l’attore cosentino Paolo Mauro che interpreta il ruolo di un pubblicitario in crisi esistenziale. Regista, sceneggiatore ed attore protagonista si trovano a New York per le riprese di una parte del lavoro avendo a disposizione una piccola troupe e un cast italo-americano. Al rientro le riprese proseguiranno nel centro storico di Altomonte e vedranno impegnati anche attori e maestranze locali. Il sodalizio artistico tra Marco Caputo e Davide Imbrogno dura già da tempo, i due hanno in passato realizzato diversi lavori tra cui il corto “Il rappresentante”, vincitore del concorso Moda Movie, spot pubblicitari e videoclip. Il cortometraggio attuale è finanziato dalla famiglia Barbieri di Altomonte, tra le massime istituzioni calabresi nel campo della ristorazione, che ha creduto nel lavoro dei giovani artisti ed attraverso il loro lavoro ha voluto promuovere tradizione, cinema e territorio. La megalopoli nordamericana ed il piccolo borgo medievale rappresentano sostanzialmente due universi diametralmente opposti e tuttavia inesorabilmente intersecati. Un intreccio si esistenze, sentimenti ed emozioni che sembrano non doversi mai neppure sfiorare e che per una serie di assurdi e fortuiti eventi invece si scontrano integrandosi. È il malessere dell’esistenza che nel “troppo” non si identifica e compie un viaggio a ritroso nella ricerca di sé, di valori ed ideali immutabili e come tali al di fuori ed al di sopra del tempo. Due tempi che fluiscono inesorabilmente a velocità differenziata: dalla frenesia newyorkese alla calma del borgo, dal dinamismo all’indolenza, dall’energia al languore, senza riuscire a comprendere quali delle due realtà identifichi veramente l’uno o l’altro luogo. In un’attesa in cui ritrovare le giuste solitudini, stare in silenzio ad ascoltare; di inquietudini e ansie. L’attesa della scoperta che diventa rivelazione.
Ambientato tra la Grande Mela e il borgo medievale di Altomonte il corto ha come protagonista l’attore cosentino Paolo Mauro che interpreta il ruolo di un pubblicitario in crisi esistenziale
Un corso di scrittura creativa articolato in dieci incontri, per un mese. Nel cuore del centro storico cosentino, a piazzetta Toscano, al centro di documentazione interattiva “Raffaele De Luca”, nel palazzetto sede storica di Radio Ciroma, l’emittente libera della città. Due volte a settimana, di pomeriggio, dalle 15.30, ogni lunedì e giovedì fino a fine mese. «Hai una storia da raccontare e non sai come farlo? Sai scrivere e vorresti conoscere i trucchi del mestiere? Sei divorato/a dall’urgenza di dire qualcosa e non riesci a darle forma? Vuoi divertirti scrivendo? potrai saperne di più su: Scrivere Storie: cosa come e perché; Personaggi: caratterizzazione, contrasto e coerenza; Trama: metterla a fuoco; Il punto di vista; descrizione: dipingere con le parole; dialoghi; spazio e tempo; la voce narrante; il tema revisione”. Il corso sarà tenuto da Emilio Nigro, scrittore e giornalista, critico teatrale. Autore di “Incessanti maree silenziose” (Falco editore, 2005 Cosenza) “Elisir di luna” (Aletti editore 2007 Roma) “Alterazioni di colore” (Coessenza editore, 2009 Cosenza), presente in due antologie di narrativa (Guasco editore Ancona 2012; Palzari edizioni Lecce 2009;) collabora con il trimestrale di teatro e spettacolo “Hystrio” (Milano); il Quotidiano della Calabria; la rivista online di critica teatrale “il Tamburo di Kattrin”; Premio nazionale Nico Garrone 2011 “ai critici più sensibili al teatro che muta”; Premio nazionale Guasco 2012 “scritture contemporanee”; Premio della giuria popolare e menzione speciale della giuria al miglior testo al concorso nazionale per monologhi residenza teatrale Orizzonti meridiani; Premio nazionale “NonfermArti” 2011 categoria scrittura creativa; Premio “Galarte 2007” per la poesia; è inoltre autore e interprete degli spettacoli “Teatranti” (2009) e “Rifarmi - soluzioni al precariato” (2012); firma di diverse drammaturgie tra cui “Visionaria”; “L’ indifferenza dei passanti”; “Donne & Iene”. Collabora con la compagnia teatrale “La Barraca” e con il Centro Teatro Calabria. Un modo di imparare divertendosi. Perché la scrittura è piacere, non fatica.
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sabato 6 aprile 2013
Versi che parlano di natura A Roma il 28 aprile un reading poetico a cui parteciperanno anche tre poeti del Cosentino
“Ragunanza” per la Calabria Si terrà il 28 aprile a Roma, nella bellissima Villa Doria Pamphilj, di Via Gregorio VII, un reading poetico, La ragunanza, che ha registrato una preselezione di poeti italiani. Tra cui ci sono anche tre poeti del Cosentino. Rosellina Brun, insegnante di scuola di secondo grado (media), poetessa per diletto e membro, socio corrispondente, della prestigiosa Accademia Cosentina, fondata dal filosofo Bernardino Telesio, con lo scopo di diffondere con ogni mezzo la cultura, difendendo i valori umanistici e scientifici della società Italiana. Organizzatrice di un Premio artistico letterario a San Pietro in Guarano, ove risiede e in collaborazione dell’ente Provincia di Cosenza e dell’amministrazione comunale. Promotrice anche di un concorso a tema l’anno scorso e per la scuola in cui insegna, in collaborazione dell’Amco (associazione medici cardiologi ospedalieri) dal titolo “Dammi il tuo cuore ne avrò cura”. Ritornando alla ragunanza, dobbiamo dire che ha a che fare con la bellezza della natura, la tutela della stessa. Si legge nel bando: «La poesia inviata ricorda i dettami dell’Arcadia, il valore della natura, filtrati dagli eventi attuali, che coinvolgono, modificano, inquinano, distruggono, i quattro elementi della madre Terra e lo spirito di tutti quelli, che si prodigano per la salvezza e il recupero dell’ambiente così, accanto a un eventuale conflitto termonucleare, la nostra specie è minacciata anche da armi biologiche, dal terrorismo, dai cambiamenti climatici, dall’effetto serra, dall’inquinamento e dai nuovi sviluppi nel campo dell’ingegneria genetica. Ecco del perché ritrovarsi in un ambiente bucolico, quello di Villa Pamphilj, a ricordo dei raduni organizzati da Cristina di Svezia». Referente per il concorso, l’ormai naturalizzata poetessa cosentina, la padovana Michela Zanarella. Rosellina Brun è tra questi privilegiati che potranno passare un’intera giornata nel parco romano. Lei scrive per passione, ma la sua vera vita è in mezzo ai ragazzi, insegnante anche di sostegno, dedica alla sua classe l’amore che un insegnante dovrebbe dare a tutti i suoi alunni e ci dice che è bello quando uno dei ragazzi con problematiche l’appella “la mia musa”. Produsse un piccolo libretto di poesia in occasione del suo compleanno, una piccola tiratura, ma solo per amici intimi. Ha partecipato a solo due concorsi di poesia e questo è il primo in assoluto che la vede selezionata. «Mettersi in gioco, ci dice la Brun, non è facile. Il bello consiste proprio quando ti accorgi che quello che scrivi per te stesso serve anche agli altri. Per me questa è una scoperta. Soprattutto, quando gli altri mi rimandano un’immagine di me, che in apparenza non sembra familiare a me stessa. Forse il fatto che io scriva di getto, non è una poesia costruita la mia e, raramente correggo qualche sostantivo. Se c’è troppa testa nella poesia si rovina la stessa, non fermentano, la poesia per me coglie la circostanza e la sensazione e non mi è possibile ritornarci». Che cosa è l’Arcadia? «L’esaltazione della natura. Tuttavia attenersi alle regole che il concorso richiedeva non è stato affatto facile. Il concorso chiedeva di rivedere l’Arcadia in chiave moderna, pensare a tutti quei fattori, che inquinano l’ambiente e dare uno sguardo a tutte quelle persone che cercano, variamente, di provvedere alla conservazione dello stesso. Il titolo della poesia è Infinito cielo di Gea: essa nasce in un modo particolare; fu la terza di altre due poesie che avevo pensato per il concorso, perché per me che faccio poesia di getto, questa si intuiva dovesse essere una poesia più pensata. Ho mescolato le due poesie precedenti cercando di cogliere ciò che richiedeva l’Arcadia». Il senso della poesia per la Brun è didattico, oltre che curativo, ciò insegna ai suoi alunni ed è ciò che ha ritrovato in poeti come Montale, Ungaretti, che hanno fatto della poesia, momento curativo per eccellenza dei problemi del loro tempo, così come Trilussa lo fu proprio per la città di Roma e, secondo al Brun, ancora oggi può salvare in un’epoca ancora di grande incertezza la società.
Rosellina Brun
Tra questi Rosellina Brun insegnante e poetessa per diletto ma anche membro della prestigiosa Accademia Cosentina
Rosellina Brun ha militato nell’Azione cattolica del suo paese, da sempre a fianco dei giovani. In questa esperienza ha maturato la consapevolezza e il servizio anche nel rapporto con i suoi alunni. Nella diocesi ha collaborato, nel triennio della Grano, in Ac e in totale per la durata di venticinque anni di azione attiva nell’associazione; lascia poi i direttivi con l’elezione a consigliera comunale nell’amministrazione comunale. «Dono, in Ac, la mia disponibilità nell’organizzazione, ma non più come direttivo. L’Ac per me ha sempre rappresentato il fare e il pregare. Una Chiesa militante, che fa e realizza il pensiero di Dio. Nelle mie poesie di gioventù ci sono temi importanti anche sull’aborto e tra le righe c’è sempre Lui, così come palesemente nei versi». Di prossima uscita tre libri, due per la scuola e un altro forse, chissà, a quattro mani con un altro autore, ma su questo ancora c’è il riserbo più assoluto. E chissà Rosellina vorrà riservarci l’anteprima assoluta di questo lavoro? Lucia De Cicco
sabato 6 aprile 2013
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Pillole di fede Anna Maria Di Rosa, psichiatra in pensione, si interessa di volontariato attivo anche attraverso la radio sulle onde di Radio Ciroma
Tra scienza e solidarietà di Lucia De Cicco
Anna Maria Di Rosa è psichiatra in pensione, da qualche tempo s’interessa di teatro della disabilità, e lavorando in volontariato attivo anche attraverso la radio, sulle onde di Radio Ciroma, radio cosentina del sociale e toccando argomenti, che sono diretti al teatro al mondo della donna. In occasione proprio di una presentazione di un libro di poesie in radio, che ha a che fare con la religiosità, ci ha dato molte interpretazione, della spiritualità laica e quella religiosa e come essa si attua in ogni persona di “buona volontà”, che sia piena di ideali e valori. Ci dice: «Io mi sono resa conto che i problemi dell’uomo sono sempre gli stessi nel corso dello sviluppo storico. Le società in apparenza cambiano, ma in realtà la problematica è sempre moderna e riflette i problemi di oggi e della città e della politica. Soprattutto il rapporto uomo/donna rimane conflittuale». Perché questo interesse verso l’ancestrale, l’antico? «L’ancestrale mi interessa nei termini dell’universale e che assume aspetti diversi a seconda delle persone. Il passato ci appare sotto una forma mitologica e così lo immaginiamo, ma in realtà non è solo un sogno. Molti autori del passato diventano ancora oggi attuali, e molti temi da essi trattati come l’amore e l’odio. Ed ecco che la scuola contemporanea in cui si ha la tendenza a studiare gli autori moderni e stranieri non tiene conto del passato, che registra subito una ripetizione degli avvenimenti. I grandi autori Italiani devono essere assolutamente ripresi per una formazione che sia tale. La nascita della cultura e dello Spirito umano ha radici nei testi classici, nella Bibbia». Anna Maria Di Rosa pur essendo completamente laica e non praticante del Cattolicesimo, ascolta con grande interesse religiosi del calibro del cardinale Gianfranco Ravasi e di Benedetto XVI. «Sono affascinata dal Cardinale Ravasi, curatore, soprattutto, del testo biblico nella parte antica. Grande cultura del vecchio testamento, ma grande conoscitore anche di tutta la letteratura laica e della cultura ebraica. Mi colpì in particolare, in una spiegazione del testo liturgico domenicale, un confronto con Pirandello, il suo teatro e tra le ultime opere Lazzaro, un dramma in cui il protagonista risorge da morte. In questa opera c’è la spiritualità laica di Pirandello». La trama di quest’opera vede un uomo che vorrebbe educare i propri figli secondo la cristianità; la moglie non è d’accordo e ciò li porta alla separazione. Tuttavia, nei collegi i bambini arrivano e il protagonista vorrebbe che uno di essi diventasse sacerdote. Così non fu. Durante il percorso di formazione il ragazzo interrompe gli studi di sacerdozio e il padre preso da una crisi tremenda perde il con-
Pur essendo laica e non praticante del Cattolicesimo ascolta con grande interesse religiosi del calibro del cardinale Gianfranco Ravasi e di Benedetto XVI
trollo e fa un incidente. Si pensa sia morto, ma era in una dimensione di non morte. Al risveglio non avendo incontrato il Paradiso, in cui egli credeva, perde la fede e si trasforma in un quasi assassino, minacciando di morte l’amante della moglie. A questo punto un colpo di scena cambia nuovamente le cose, il figlio accetta la croce del sacerdozio e riesce a ridare la fede al proprio padre. «Pirandello non crede nel trascendente, ma nell’immanente. Secondo lo stesso, dice la Di Rosa, è la carità, il sacrificio e l’amore fraterno a aiutare l’uomo, la sua vita e non la razionalità. Ciò coincide con la spiritualità cattolica e, soprattutto, con l’inno alla carità di San Paolo, secondo il quale si possono avere tutti i carismi e fare opere pie, ma senza l’amore non saremmo nulla». Il sacrificio per Anna Maria Di Rosa è contestuale all’amore dunque, non perché si ha un premio, ma, perché, dalla comunione si può ricavare l’intesa con l’altro. Da queste considerazioni, la psichiatra Anna Maria Di Rosa, ci porta per mano in un altro tema importante che è la figura del Vescovo Emerito di Roma, Benedetto XVI. «Ci siamo chiesti perché egli piacesse davvero a tutti i grandi intellettuali e anche non credenti. A mio parere, perché diceva delle cose complicate integrando il punto di vista del non credente rendendo semplice la comprensione. Possiamo fare una grande analogia anche per quanto stiamo vivendo in Italia in questa instabilità di governo, che poco riserva al senso di responsabilità dei nostri politici». La Di Rosa si occupa di teatro sociale diretto a pazienti psichiatrici con dei copioni costruiti in genere, nei laboratori o sulle esperienze personali, ma anche dei copioni di autori locali, non notissimi al grande pubblico: il Barbone di Attilio Bossio, cantautore e regista di teatro Romano di adozione, ma di Mendicino, nel Cosentino, di origine; Alfonso Dolce, scrittore di Catanzaro che ha scritto molti testi futuristi per il teatro; Vincenzo Ziccarelli. In questo periodo si sta interessando alla dimensione di cosa succede dopo la morte, nei minuti subito l’avvenuto decesso. Lo sappiamo non si muore subito, ma l’uomo ha ancora vita per qualche ora e ciò pone un problema di etica per quanto riguarda l’eutanasia e l’espianto degli organi. Che cosa ne pensa una psichiatra su questo tema? «Noi ancora con le nostre conoscenze scientifiche non siamo in grado di stabilire che cosa succede con la morte cerebrale dell’individuo, ma con cuore e circolazione funzionante. Ci sono delle sensazioni particolari di alcune persone, che hanno vissuto un coma vigile e con racconti di esperienze laterali al sonno, che lasciano riflettere. Non sappiamo cosa avviene nel coma profondo e nel momento del trapasso e potremmo ipotizzare l’esistenza di una coscienza diversa dalla vigilanza. Tutto ciò dovrebbe porre alcune perplessità alla difesa della vita e soprattutto in coloro che se ne fanno promotori».
A sinistra Anna Maria Di Rosa con l’attrice Giulia Carmela Montalto