Voce ai giovani

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Anno 37 - 9 Novembre 2013 - Numero 45

Settimanale indipendente di informazione

euro 0,50

di Oreste Parise

Nel giorno della commemorazione dei Caduti in guerra ricordati i deportati divenuti membri delle nostre comunitĂ GLI ESAMI NON FINISCONO MAI

LE REGOLE DEL GIOCO

Autovalutazione Internet, questione delle scuole minori e diritti Nuovo regolamento d’autore della musica sul Web di Federica Montanelli

Seminario di formazione a Campora San Giovanni (Amantea)

Il tema trattato al Centro polivalente per i giovani di Catanzaro


II

sabato 9 novembre 2013

Le regole del gioco Il tema del diritto d’autore per la musica al Centro Polivalente per i giovani di Catanzaro

Internet e minori

I temi del diritto d’autore, del download e del file sharing, al centro del II° ciclo d’incontri della campagna di sensibilizzazione per la tutela dei diritti dei minori promossa da Telecom Italia: “Anch’io ho qualcosa da dire”, con l’obiettivo di approfondire, per cinque giorni, le questioni che si agitano nel mondo tutto nuovo dei rapporti fra Internet e Minori, attraverso seminari, incontri, convegni e tavole rotonde. L’incontro, tenutosi presso il Centro polivalente per i giovani/Caffè delle arti, ha portato al centro dell’attenzione il rapporto tra giovani e musica e del mondo circostante che gravita intorno a questo mondo e in particolar modo le conoscenze che le nuove generazioni di musicisti o aspiranti tali devono avere in relazione alla diffusione e utilizzo della propria musica e di quella dei grandi artisti internazionali. Ad introdurre la serata Paolo Reale, informatico forense, nonché uno dei promotori della campagna della Telecom, che ha presentato l’argomento sul quale si è instaurato il dibattito; ossia il diritto d’autore e il download, ovvero il sistema che permette di scaricare materiali audio e video sia a pagamento (attraverso i portali di distribuzione ufficiali, quali Amazon, I tunes, etc.) alla pirateria on line, passando per le nuove piattaforme di diffusione on demand (spotify e altro), avvalendosi della collaborazione dell’intervento di giovani e validi professionisti del settore; l’avvocato e musicista Stefano Loiacono e l’ingegnere del suono e produttore Francesco Silipo. Una panoramica generale sul tema del diritto d’autore da parte dell’artista, affrontata dall’avvocato Loiacono, ha posto l’accento sulla differenza tra il diritto morale (ovvero il rapporto tra opera e autore della stessa) e diritto economico (ovvero le azioni relative allo sfruttamento dell’opera da parte dell’autore. Il discorso verte ovviamente sulla Siae e sulla reale natura delle funzioni che l’ente di stato riveste in questo rapporto: «partendo dall’art. 2575 del codice civile, sulla paternità dell’opera, la Siae determina esclusivamente il diritto economico sulla fruizione e diffusione della stessa, ma non tutela l’artista riguardo la sua proprietà intellettuale». Il discorso viene indirizzato inevitabilmente verso i nuo-

L’incontro ha portato al centro della attenzione il rapporto tra giovani e musica e del mondo circostante che gravita intorno a questo mondo e in particolar modo le conoscenze che le nuove generazioni di musicisti devono avere in relazione alla diffusione della propria musica e di quella dei grandi artisti internazionali

vi canali puoi veloci relativi alla preservazione del diritto d’autore, come i Creative Commons, che come spiega Loiacono, regolano un utilizzo limitato dell’opera, definendone solo delle funzioni possibili, relative alla diffusione in determinati contesti: «l’unica soluzione possibile per preservare il diritto morale resta ancora la sola “prova d’uso”». Tocca poi a Francesco Silipo mettere in discussione la funzionalità del Copyright per un artista emergente, facendo un’analisi storica e logica sull’evoluzione dagli anni ‘80 verso la tecnologia digitale e l’impatto che la diffusione telematica di musica (denominata Musica Liquida) ha avuto soprattutto sulle grandi major discografiche e sulle compagnie che hanno sviluppato tale sistema di diffusione: «l’utilizzo del File Sharing per scopi commerciali, ha fatto leva sulla possibilità di scaricar quanta più musica possibile, in maniera sempre più veloce, anche a scapito della purezza del suono e da questo tutte le grandi aziende hanno cercato di trarne vantaggio, simulando un guerra mediatica tra blocchi, ma togliendo ogni possibilità di controllo sulla riproduzione meccanica ed esecutiva dell’opera», a scapito unicamente dell’artista. È famoso ed eclatante il caso dei 99 Posse che nel 1993 con Curre Curre Guagliò, furono negati dei diritti sulla riproduzione meccanica a causa dell’ultimo accento dimenticato all’interno del Borderò SIAE, ma soprattutto di questi tempi le discussioni sollevate sono tante soprattutto dalle case discografiche relativi ai cosiddetti aggregatori musicali come Spotify, che offre lo streaming on demand di una selezione di brani di varie case discografiche ed etichette indipendenti, incluse Sony, EMI, Warner Music Group e Universal. Significativo è stato l’intervento di Ivano Staglianò, musicista e ideatore di un nuovo servizio multimediale che nascerà a breve, principalmente rivolto ai musicisti e gli operatori del settore; Wozik, il primo “Life Network” della storia del web a carattere musicale che ha l’intento di creare una vasta comunità attraverso un minimo comune denominatore qual è la Musica. Al termine dell’incontro, la serata è continuata all’insegna della musica dal vivo, affidata a giovani band emergenti del capoluogo calabrese: il duo acustico Giorgia e Saverio, che hanno rivisitato in chiave ballad, i grandi successo di uno stile degli anni ‘90 ancora attualissimo e diffuso tra i teen-agers che vogliono far musica: Il grunge; il punk cross-over devoto ai Green Day degli Add e infine la melodia agrodolce a metà tra folk rock e pop music affidata ad una band tutta al femminile; le Dis-Arme.


sabato 9 novembre 2013

III

Coesione sociale Accordo comune tra il Parco della Sila e la sezione calabrese dell'Ente nazionale sordi

Natura aperta a tutti Un protocollo d’intesa tra il Parco nazionale della Sila e la sezione regionale calabrese dell’Ente nazionale sordi è stato sottoscritto a Cosenza, presso l’Ufficio territoriale per la biodiversità del Corpo forestale dello Stato. Presente il consigliere regionale, Salvatore Magarò, il documento del protocollo d’intesa è stato firmato dal presidente dell’ente Parco, Sonia Ferrari, e da Antonio Mirijiello, presidente della sezione regionale dell’Ente nazionale sordi. Al centro dell’accordo - come ha detto il presidente, Sonia Ferrari - è stato collocato l’impegno per realizzare sinergie finalizzate a rendere i luoghi di visita e le strutture del Parco silano accessibili anche a persone con disabilità uditive. Dopo l’accordo con l’Unione provinciale ciechi (Uic) di Cosenza raggiunto nel 2012 e che si è mostrato utilissimo, attraverso diverse iniziative di arricchimento delle conoscenze e di vivibilità del territorio silano, ad opera delle persone con disabilità visive, il Parco nazionale della Sila, con tale documento si apre, per la vivacità e l’interesse dei componenti dell’associazione regionale dei sordi, al contributo e all’esperienza di tale organizzazione, che non farà mancare le proprie azioni per promuovere le bellezze naturalistiche del Parco, favorendo, al contempo, la coesione sociale, la sostenibilità ambientale e la partecipazione nei processi di sviluppo locale, soprattutto nei confronti di soggetti portatori di disabilità. Attraverso le parole pronunciate nel corso della conferenza stampa, sia l’ente Parco della Sila che l’Ente nazionale sordi, ritengono di primaria importanza un impegno comune ed una reciproca collaborazione per la valorizzazione del patrimonio naturalistico, ambientale e culturale del Parco svolgendo attività ed iniziative accessibili anche ai soggetti con disabilità, garantendo un’accoglienza diffusa nel suggestivo Parco calabrese. Il presidente regionale dell’Ente nazionale sordi, Antonio Mirijiello, alla luce dell’accordo raggiunto, ha subito chiesto al presidente, Sonia Ferrari, che ne ha condiviso l’idea, d’impegnarsi insieme nel promuovere per la prossima primavera, presso il centro di accoglienza “Cupone” di Camigliatello Silano, un grande raduno aperto alle cinquemila persone calabresi con disabilità uditive per delle visite nei luoghi più caratteristici del Parco accompagnati dalle guide e dai traduttori. Un programma subito accolto anche dal consigliere regionale, che ha sottoscritto l’accordo, Salvatore Magarò, il quale non ha fatto mancare parole di vicinanza, sostegno ed apprezzamento per la comune opera di collaborazione tra il Parco della Sila e l’Ente nazionale sordi, ricordando che il Consiglio regionale della Calabria, su sua proposta, ha esaminato, approvandola all’unanimità, una proposta di legge nazionale di riconoscimento della Lingua italiana dei segni (Lis); seguito dall’accordo raggiunto Mirijiello-Magarò per la battaglia intrapresa per il riconoscimento del principio di riconducibilità, con l’obiettivo di riconoscere alle persone audiolese il diritto ad avere gratuitamente gli strumenti tecnologici di comunicazione più avanzati e non solamente i vecchi Dts, comunicatori telefonici ormai obsoleti e per di più anche più costosi. Con la sottoscrizione dell’accordo è stata scritta una bella pagina per la Calabria intera avendo al centro un dialogo costruttivo e collaborativo tra l’ente Parco nazionale della Sila e la sezione regionale dell’Ente nazionale sordi per costruire insieme, nella gioia, un

Al centro dell’intesa è stato collocato l’impegno per realizzare sinergie finalizzate a rendere i luoghi di visita e le strutture del Parco accessibili anche a persone con disabilità uditive

Il presidente del Parco Sila Sonia Ferrari Sopra, gli “artefici” dell’accordo

percorso di serena ammirazione e convivenza nella promozione di un bene straordinario e bello qual è oggi il Parco nazionale della Sila in attesa di conoscere il riconoscimento e l’approvazione del progetto Mab da parte dell’Unesco. Nel frattempo il Parco ha pure realizzato un filmato in Lis (Linguaggio italiano segni) sul territorio ed i beni materiali ed immateriali del Parco, presentato nel corso della conferenza stampa, che può essere ammirato in proiezione continua presso il Centro visita “Cupone” di Camigliatello Silano, e a Monaco, nel Centro visita “Antonio Garcea”. Franco Bartucci


IV

sabato 9 novembre 2013

Un giorno speciale Nel giorno dellas commemorazione dei caduti in guerra, ricordati i deportati nei campi nazisti diventati membri delle nostre comunità

Il 4 novembre a Cerzeto di Oreste Parise

L’amministrazione comunale di Cerzeto ha voluto ricordare, il IV novembre scorso, i caduti nelle guerre e le forze armate. Ha colto anche l’occasione per omaggiare Tadeusz Wojtarowicz, quale riconoscimento per la sua dolorosa esperienza di deportato, durante la II guerra mondiale, nei campi nazisti. Il 27 gennaio prossimo, in occasione della festa della memoria, il prefetto di Cosenza gli consegnerà in forma ufficiale e solenne una medaglia per ricordare la sua storia e il suo sacrificio. Si tratta di un riconoscimento molto particolare connesso con la vicenda che lo ha visto protagonista da giovane e che ora il Ministero degli Interni ha inteso ricordare. La sua presenza nella comunità di Cerzeto merita qualche spiegazione, poiché le sue vicende personali forniscono un esempio di come vicende lontane possono entrare direttamente nelle nostre case senza preavviso. La storia non attende risposte, non si ferma a fornire spiegazioni. Viene direttamente a trovarci, bussa alla nostra porta, entra nelle nostre case senza preavviso, diventa familiare senza avvertirci. I sopravvissuti di quella grande tragedia ce li siamo trovati accanto, sono diventati parte di noi senza che ce ne siamo accorti. Abbiamo convissuto con loro per anni, qui o in tutti i luoghi sperduti dove ci ha spinti il desiderio di dare un calcio alla miseria. Oggi siamo qui per consumare un rito, ma non dobbiamo perdere l’occasione di riflettere su quanto avvenuto in un passato che sembra remoto, ma potrebbe ritornare. Dobbiamo rinnovare il ricordo di quegli orrori per scongiurare il pericolo che la perdita di memoria ci porti un’altra volta nel baratro. John Wojtarowicz. Già il suo nome pone qualche interrogativo. Da dove viene, come è arrivato qua, perché è diventato un concittadino di una terra lontana e straniera? Da dove vengono tutte queste persone sbucate dal nulla, dai visi stralunati, dai colori esotici, dalle facce emaciate? Dietro le loro storie vi sono guerre, insurrezioni, primavere arabe, conflitti tribali, insurrezioni contro governi tiranni. A questo si aggiunge la violenza della natura che sembra volersi vendicare del comportamento irresponsabile degli uomini, non solo nei confronti dei propri simili, ma con i continui attacchi che esercita sugli equilibri naturali. I disastri naturali, le inondazioni, i terremoti, la siccità e tutte le declinazioni possibili delle piaghe bibliche, che si sono moltiplicate e compaiono contemporaneamente in paesi diversi, sembra siano la conseguenza delle alterazioni provocate dall’uomo. Quanti milioni di persone sono direttamente interessate a questi sconvolgimenti e perché dovremmo occuparcene? Dobbiamo forse preoccuparci di quanto avviene in Siria un paese lontano e estraneo al nostro mondo e alla nostra cultura. Cosa importa di quanto accade in quel paese misterioso? Proviamo un senso di pietà per i tanti bambini dilaniati in questo orribile conflitto, ma poi ritorniamo con la mente alle nostre occupazioni quotidiane. E così la Somalia, il Sudan, l’Iraq dove si consumano immani tragedie, realtà di cui non conosciamo quasi nulla. Oggi viviamo la tragedia dell’esodo biblico che interessa questi popoli con distacco, con indifferenza e noia. Domani, la storia potrebbe ancora una volta bussare alla nostra porta, e dovremo allora accorgerci che essi sono tra noi, che ci verranno a trovare e li ritroveremo tra i nostri cari. John Wojtarowicz con la sua storia personale è una testimonianza del legame che unisce vicende lontane al nostro quotidiano. Il suo particulare nasce dalla più immane tragedia, che ha provocato una carneficina senza precedenti nella storia. Per dare una risposta alle domande che ci siamo posti bisogna infatti riandare indietro nella memoria, ritornare a quel remoto 1939 che evoca fantasmi dimenticati: Hitler, il nazismo, l’invasione della Polonia, la deportazione degli ebrei. Eventi remoti di cui nel nostro piccolo comune si aveva solo qualche eco lontana in quel momento. In un breve volger di tempo è diventato uno tsunami che ha investito le nostre piccole comunità. Con l’entrata in guerra dell’Italia vi è stata la chiamata alle armi di tutti gli uomini validi ed anche questi piccoli paesi hanno dato un tributo di eroismo e di sangue con la partecipazione di tanti nostri concittadini alle battaglie combattute su teatri lontani.

Il Comune ha voluto ricordare, ha colto l’occasione per omaggiare Tadeusz Wojtarowicz, quale riconoscimento per la sua dolorosa esperienza durante la II Guerra mondiale nei campi nazisti

Il nostro eroe “malgré soi” ha conosciuto subito gli orrori della guerra. Il piccolo villaggio dove viveva una vita decorosa e tranquilla è stato uno dei primi ad aver subito l’invasione nazista, mettendolo a ferro e fuoco e deportando la maggioranza dei suoi abitanti. Al ritorno dalla scuola, in una giornata qualsiasi, si sono trovati radunati nella piazza del paese circondato dai soldati, mentre tutto intorno accadevano le cose più inverosimili. Gente che si gettava dalle finestre per sfuggire e veniva inseguite dalle pallottole e uccise senza pietà, uomini, donne, bambini trascinati fuori per una crudele selezione per dividerli secondo i bisogni e le necessità belliche degli invasori. Egli è stato costretto ad assistere all’orrore dell’incendio della casa di suo zio, dove lasciarono morire tutta quella povera famiglia tra le fiamme, compresi i figli ancora minorenni. Aveva solo quattordici anni. La sua famiglia fu deportata e dispersa. I genitori, la sorelle di otto anni e il fratello più piccoli di soli sei sono stati “impacchettati” in un treno e spediti in Germania per riempire i vuoti creati nell’industria, nell’agricoltura e in tutti i settori produttivi, dalla militarizzazione di tutti gli uomini validi. Cosa erano diventati, prigionieri di guerra, schiavi, detenuti politici, lavoratori forzati? Il fratellino è morto quasi subito dopo il suo arrivo in Germania, degli altri non ha saputo più nulla. Era diventato un oggetto senza anima e senza alcuna dignità umana e tutela giuridica. La definizione del loro status non aveva importanza alcuna. La Germania aveva bisogno di braccia, poiché gli uomini validi erano diventati militari e spediti su fronti lontani per conquistare il mondo. Al loro posto furono utilizzati i civili deportati dai territori conquistati, uomini, donne, bambini di cui si alteravano i dati anagrafici per rendere legale l’illegalità poiché vi era il divieto di utilizzare ragazzi al di sotto del previsto limite minimo di età. Si ritrovò a Northeim nell’azienda agricola di Wilhelm Hartmann. Per superare questo divieto, lo stesso John ha una data di nascita alterata. Si potevano tollerare soprusi, abusi, violenze, stermini, torture. Ma non si poteva consentire a un minore di lavorare! Schiavi sì, ma rispettando le forme legali. “Arbeit macht frei”, era il motto beffardo che accoglieva i deportati nel Lager di Auschwitz. Il lavoro rende liberi! E per sempre dopo una breve visita in un forno crematorio. Nessuno si è mai preoccupato di definire quali fossero i loro diritti. I trattati internazionali prevedono una tutela dei prigionieri di guerra e il trattamento cui dovevano essere sottoposti. La deportazione dei civili è un atto arbitrario, barbaro, che non ha alcuna previsione di tutela legale. In questo limbo ha vissuto per tanti anni il nostro John, perdendo la sua identità, la sua nazionalità, la sua famiglia, l’infanzia e il diritto a vivere una esistenza serena. Egli non ha conosciuto gli orrori dei campi di concentramento, ma è stato ridotto nella condizione di schiavitù per quattro lunghi anni, con la proibizione di usare la sua lingua, di conoscere la sorte dei


sabato 9 novembre 2013

Un giorno speciale ferimenti sentimentali e materiali. Gli viene offerta la possibilità di ricostruirsi una vita come lavoratore alla British Railways. Comincia così la sua seconda vita tra i relitti della guerra che si ritrovano a sera a ricordare quei lunghi anni in Germania e tentare di risalire faticosamente la china. Tra le nebbie di Albione ha conosciuta Irma, che è diventata la compagna della sua vita e lo ha portato tra noi, gli ha regalato due splendidi figli e una vita normale. In quel luogo di emigrazione, due destini si sono incrociati, la povertà ha incontrato la tragedia della guerra creando dei legami indissolubili come solo lo stato di necessità sa fare. Le difficoltà hanno unito due debolezze generando un albero pronto ad affrontare qualsiasi avversità, pronta a ricominciare il ciclo della vita. Oggi Johnny è qui perché è diventato nostro concittadino, in questa comunità ha ritrovato la serenità e una patria, avendo acquisito la cittadinanza italiana e come tale, il Ministero degli Interni ha deciso di riconoscere il suo sacrificio subito in quegli anni lontani con la medaglia che gli verrà consegnata il giorno della memoria. Il suo valore è puramente simbolico, e costituisce un momento di riflessione, di ricordo delle grandi tragedie che abbiamo vissuto i tanti che sono stati sconvolti nel loro quotidiano da quella grande tragedia, costretti a subire un drammatico destino contro la loro volontà e senza esserne pianamente consapevoli dell’orrore che stavano vivendo. John non è l’unico protagonista di quella storia che è entrato nella nostra comunità. Ma ve ne sono stati molti altri, che si coglie l’occasione di ricordare.

suoi cari, di poter aver contatti con l’esterno. Una esperienza che ha lasciato un tratto indelebile nel suo carattere. Per superare questo shock ha voluto cancellare il proprio passato, ha rifiutato la sua infanzia e continua a rifiutarla. Per difendersi dal proprio passato ha disperatamente cercato di rimuoverlo, di cancellarlo, di non rivivere quegli incubi che lo hanno ossessionato e rincorso per tutta la vita. Non è mai più tornato in Polonia da quel giorno, non ha mai più voluto rivivere quei momenti, ricordare quell’orrore. Ancora adolescente si è ritrovato solo, in un Paese straniero, senza parole e senza alcun affetto, obbligato a lavorare a forza di minacce e maltrattamenti. Una vita d’inferno, con l’angoscia di non sapere nulla della propria famiglia, della madre, del padre, della sorella dispersi chissà dove. Cosa avrà provato Tadeusz Wojtarowicz quando gli inglesi lo hanno liberato? John è nome gli è stato imposto perché gli inglesi trovavano ostico e inconsueto quello suo Tadeusz, Taddeo il “magnanimo”, uno dei discepoli di Gesù meno conosciuti. Dal 17 marzo del 1944 al 15 aprile 1948 è stato ospite del campo profughi di Moringen gestito dall’esercito inglese. Con il loro arrivo ha guadagnato la libertà e la dignità di uomo, ma con il nome ha perso la sua identità, la sua lingua, la sua cultura. Si è ritrovato straniero nel mondo, senza patria, senza famiglia, senza un passato e con un futuro incerto. Nel suo lungo percorso è stato costretto a rinunciare alla sua lingua natale ed imparare il tedesco, l’inglese, l’italiano, per finire con l’arbëresh. Una Babele alla quale ha risposta con la semplicità delle sue scelte, il totale rifiuto del passato, e una comunicazione essenziale. Non ha mai più conosciuto il senso della propria famiglia, ha ritrovato il padre in Francia e la sorella in America, ma non hanno mai più avuto la possibilità di vivere insieme le gioie e i dolori, le angosce, le ansie e le speranze della quotidianità. Noi conosciamo John, ma nessuno di noi conosce Tadeusz, conosciamo quello che è diventato ma non riusciamo a immaginare il ragazzo violentato nella sua infanzia. Forse neanche la trascrizione del cognome è conforme ai registri anagrafici del suo paese. Smorgozow è un minuscolo paese agricolo che si fa persino fatica a trovare su Google Maps, nella Provincia di Stopnica vicino alla città di Rzeszow. Nei suoi ricordi è un piccolo villaggio agricolo dove la vita scorreva tranquilla e serena, in una condizione di dignitosa povertà. La fine del conflitto non ha chiuso questa parentesi dolorosa, ma ha lasciato una eredità di macerie e devastazione, una disperazione profonda e la voglia di ricominciare, il desiderio di far trionfare la vita sulla morte, la ricostruzione sulla distruzione che la guerra aveva provocato. Si è ritrovato solo, ancora una volta senza lingua, e apolide, avendo rifiutato di fare ritorno al suo paese natale. Cosa significa apolide? Un uomo senza stato, senza patria, senza ri-

Il 27 gennaio prossimo in occasione della Festa della Memoria il prefetto di Cosenza gli consegnerà in forma ufficiale e solenne una medaglia per ricordare la sua storia e il suo sacrificio

Ilko Sentchuck, marito di Anita Parise, ucraino, anche lui deportato in Germania e da li portato in Inghilterra dagli inglesi. Uomo mite, generoso, allegro che ha lasciato una testimonianza di come si possono superare le prove più dure, le violenze più brutali mantenendo inalterata il suo carattere, la capacità di trasmettere una serenità d’animo, una voglia di vivere che lo ha accompagnato fino alla fine dei suoi giorni. Walter Tokarczyk che si era unito in matrimonio con Anita Calabria, che hanno vissuto serenamente la propria vita in Francia aiutandosi reciprocamente nelle avversità. È stato tra noi per poco in fugaci visite. Jan Cyper, polacco anche lui, sposato con una Nellina Bruno, recentemente scomparso a Mongrassano nel lungo periodo di esilio forzato a seguito dello sgombero di Cavallerizzo, per la nota frana. Uomo molto pio, ha vissuto lungo anni tra noi stimato e onorato. In tanti lo ricordano ancora come un devoto e assiduo frequentatore delle cerimonie religiose nella chiesa di San Giorgio a Cavallerizzo. Nicola Peredeszki legato teneramente con Iolina Bellusci con un matrimonio celebrato per procura, senza conoscersi, senza avere una lingua comune, senza alcuna certezza economica. Vivono a Londra, ma sono venuti spesso a incontrare amici e parenti di questa comunità. Sono ancora insieme dopo più di cinquant’anni, un esempio di unione che ha resistito ad ogni avversità. Insieme sono partiti dal nulla, hanno costruito una famiglia, hanno realizzato un patrimonio materiale e di affetti. Vi sono ancora tanti altri sparsi in ogni parte del mondo che hanno conosciuto una simile esperienza dolorosa che hanno incrociati i loro destini con nostri concittadini, di cui non conosciamo i nomi. Essi non ricevono medaglie, poiché Tadeusz Wojtarowicz è l’unico ad aver acquisito la cittadinanza italiana. Nel giorno tradizionalmente dedicato alle Forze armate e dobbiamo cogliere l’occasione per testimoniare l’affetto nei confronti di questi nostri connazionali che dedicano la loro vita alla difesa della nostra libertà, e danno un grande contributo al mantenimento della pace in molti teatri internazionali con le azioni di peace keeping sotto l’egida dell’Onu per impedire il ripetersi della follia distruttrice della Seconda Guerra mondiale. L’esercito italiano è oggi espressione dello spirito della nostra Carta Costituzionale. L’art. 11 recita solennemente che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Il nostro esercito svolge una funzione democratica e rifiuta l’uso della guerra a scopo di oppressione, imposizione, conquista, soluzione di controversie. Alla fine della cerimonia il sindaco ha consegnato a tutti coloro che hanno vissuto quella dura esperienza (o si familiari per quelli assenti), una pergamena come pegno di affetto dell’intera comunità diventata il loro mondo. L’intreccio degli affetti e delle relazioni che hanno costruito hanno restituito loro il senso della vita e il calore della famiglia. A tutti i bambini delle scuole elementari e medie del comune che hanno partecipato alla cerimonia è stata consegnata una pergamena con tutti i nomi dei caduti nelle due guerre.

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sabato 9 novembre 2013

Promosso dalla Provincia di Cosenza Settima edizione del Festival del fumetto e delle arti visive, in corso nella città dei Bruzi fino all'1 dicembre È il mistero il tema scelto per la settima edizione de “Le Strade del paesaggio”, festival del fumetto e delle arti visive promosso dalla Provincia di Cosenza in partenariato con Cluster, cofinanziato nell’ambito del Por Calabria Fesr 2007-2013, che da ieri sta animando l’intera città dei bruzi e lo farà fino all’1 dicembre. Per la kermesse, un cartellone dinamico che anche quest’anno unisce una proposta culturale fruibile dal grande pubblico a momenti didattici e di alta formazione per futuri professionisti nel settore della creatività. L’edizione ha quale testimonial Dylan Dog, fra i più amati personaggi del fumetto italiano di tutti i tempi. A declinare ed interpretare la narrazione misteriosa proposta dal Festival saranno invece artisti internazionali e giovani disegnatori espressione del genius loci che con grande personalità e credibilità stanno iniziando il loro percorso artistico. Alcuni, questi ultimi, fra i 460 giovani che negli anni hanno partecipato alla formazione proposta da “le Strade del paesaggio”.

China e balloons tra le Strade del paesaggio Nel corso dei giorni del festival, mostre, incontri, concerti, laboratori per caratterizzare la città bruzia come città del fumetto, in cui l’arte sequenziale ne racconta la storia e le tradizioni. A dettagliare il corposo programma in un incontro con la stampa in Provincia, sono stati il presidente Mario Oliverio, l’assessore alla Cultura Maria Francesca Corigliano, il dirigente del settore Programmazione Giovanni Soda, il direttore artistico Luca Scornaienchi, il presidente di Cluster Francesco Loreto. «Il Festival che giunge alla sua settima edizione- ha voluto mettere in rilevo il presidente Oliverio- è un importante segmento di una linea di politica culturale che abbiamo sempre portato avanti come una priorità della nostra azione amministrativa e di governo, perseguendo l’obiettivo di un nuovo orientamento strategico del Mezzogiorno che proprio della cultura fa il tessuto connettivo di nuovi fermenti che guardano con consapevolezza alle proprie origini ed alla propria storia. La cultura ci ha permesso di parlare ai territori, di ricercarne, parteciparne, condividerne l’identità; ci ha consentito, nel contempo, di far esprimere talenti. È questo il caso di una esperienza come quella de Le Strade del paesaggio che, anche per questa sua peculiarità, è tra le pochissime in Italia, con voce autorevole e spazio d’eccezione». Il Festival del fumetto e delle arti visive è partito nella Galleria d’arte provinciale Santa Chiara (Salita Liceo, centro storico di Cosenza) con l’anteprima dell’albo speciale di Dylan Dog realizzato in collaborazione con la Sergio Bonelli editore per “Le Strade del paesaggio”. Alla presentazione hanno partecipato il curatore della mostra sull’indagatore dell’incubo Raffaele De Falco, Franco Busatta della Bonelli editore, i disegnatori di Dylan Dog, Angelo Stano e Daniele Bigliardo e lo sceneggiatore Giuseppe De Nardo, che hanno realizzato dal vivo delle opere inedite e hanno firmato autografi per tutti gli appassionati. Il cuore del Festival è certamente rappresentato dalle nove mostre in programma che daranno la possibilità al pubblico di ammirare dal vivo tanto i capolavori realizzati da importanti maestri del fumetto contemporaneo quanto le straordinarie opere di giovanissimi artisti del territorio cosentino. Si va dalle tavole originali di Dylan Dog, esposte nella Galleria d’arte provinciale di Santa Chiara, alla satira tutta italiana di un grande maestro del fumetto come Altan; in più, il ricordo di Pasolini, che rivive nel segno del fumettista underground Davide Toffolo, gli scenari favolistici di Giancarlo Caracuzzo che insieme alla retrospettiva dedicata al mondo dell’infanzia Liberi Tutti popoleranno il Museo delle arti e dei mestieri di Corso Telesio, fino ai paesaggi incantati illustrati dalla disegnatrice napoletana Martina Peluso, in mostra alla galleria d’arte Terrain Vague, espressione della ricca e importan-

Il mistero, il tema scelto per la kermesse Un cartellone dinamico che unisce una proposta culturale fruibile dal grande pubblico a momenti didattici e di alta formazione per futuri professionisti nel settore della creatività

te collaborazione del Festival quest’anno con i soggetti che operano nel territorio cosentino. A rappresentare la creatività che anima il territorio provinciale saranno Giuseppe Stasi e Michele Hiki Falcone: il primo attraverso la rappresentazione di un mondo bizzarro e immaginifico in Volti, il secondo nel suo percorso fra fumetti e street art che vive nella mostra Sketch, ospitata alle Residenze teatrali di San Fili. La Leggenda di Alarico rivivrà nelle tavole originali dell’albo speciale di Martin Mystére edito da Bonelli in collaborazione con “Le Strade del paesaggio”, in mostra al Museo dei Bretti e degli Enotri, mentre il fumetto dedicato a don Carlo de Cardona sarà ospitato alla Biblioteca della Provincia di Cosenza. Nel corso del Festival verranno presentate le più interessanti graphic novel di recente pubblicazione in Italia: dall’appassionante rivisitazione della carriera del Pibe de Oro Diego Armando Maradona, alla poetica di Bruce Springsteen; dalla biografia di Adriano Olivetti fino agli scenari americani di Soul Crime, antologia noir edita da Round Robin. Anche quest’anno il Festival dedicherà ampio spazio alla formazione attraverso numerosi corsi per gli studenti, dall’animazione 3D alle arti digitali, dal fumetto tradizionale alla colorazione. Un incontro speciale sarà poi tenuto da Davide Toffolo che parlerà della poetica di Pasolini agli studenti delle scuole secondarie della provincia di Cosenza. Per i più giovani, dai 4 ai 14 anni, ritorna l’apposita Sezione Games, animata da diversi laboratori. Parole e fumetti infine incontreranno l’universo musicale grazie a momenti sonori importanti tra cui il progetto “Musica contro le mafie” curato dall’etichetta discografica MK Records, che avrà ospiti d’eccezione come Giovanni Impastato (fratello di Peppino) e il cantante romano Piotta e presenterà due trailer tratti dall’omonimo documentario nel corso del Festival. I fumetti conquisteranno anche le strade, le vetrine gli esercizi pubblici, pervadendo finanche il quotidiano con speciali menù nei ristoranti del centro storico di Cosenza. Per il programma completo www.lestradedelpaesaggio.com Per informazioni e contatti: info@lestradedelpaesaggio.com Ufficio Stampa stampa@lestradedelpaesaggio.com


sabato 9 novembre 2013

VII

Gli esami non finiscono mai Il nuovo Regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri diventa sistema

Autovalutazione delle scuole nelli di Federica Monta

Probabilmente, De Filippo aveva ragione a dire che gli esami non finiscono mai. Soprattutto per le istituzioni scolastiche che, lo scorso 26 ottobre, hanno partecipato al seminario di formazione sulla “Valutazione degli apprendimenti e l’autovalutazione delle scuole” presso l’Hotel Centro congressi “La Principessa”, a Campora San Giovanni di Amantea (Cosenza). Gli strumenti su misura sono stati forniti da Formazione s.r.l., ente accreditato al Miur dal 2013, con sede a Cosenza, da sempre impegnato nella formazione e in servizio del personale della scuola. «Le scuole sono, ora, chiamate ad autovalutarsi - ha dichiarato Domenico Milito, docente associato di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università degli Studi della Basilicata - a elaborare piani di miglioramento e a confrontarsi con commissioni di valutazioni esterne». Attenti i docenti e i dirigenti scolastici presenti. Milito, che dopo gli anni trascorsi a collaborare con le associazioni professionali e le organizzazioni sindacali, oggi dedica la sua esperienza alle attività rivolte alla formazione dei docenti e dei dirigenti scolastici. <<Preziosa è la valutazione - ha proseguito Milito - degli alunni con BES (Bisogni Educativi Speciali) che rischiano l’insuccesso scolastico. La scuola necessita di essere informata e di operare positivamente su una macrocategoria». Il rischio che la scuola corre, in assenza dei dovuti provvedimenti,

Istituzioni scolastiche che hanno partecipato al seminario di formazione sulla “Valutazione degli apprendimenti e l’autovalutazione delle scuole” a Campora San Giovanni di Amantea (Cosenza)

è grosso: valutare senza cura l’alunno, quando dovrebbe, invece, garantirne il diritto allo studio. <<La programmazione - ha aggiunto Achille Notti, docente presso l’Università degli Studi di Salerno - va eseguita non sulla base dei propri gusti, ma sulla base di un sapere che rientri nel concetto di educazione>>. La scuola dovrebbe, giustamente, tramandare la conoscenza alle nuove generazioni, sfuggendo alla cosiddetta giustificazione del “Che ci posso fare se l’alunno non ha voglia di studiare?”. «Nello studio - ha chiarito Andrea Giacomantonio, docente presso l’università degli studi di Parma - c’è bisogno della volontà degli alunni di recepire i concetti e il dovere, da parte delle istituzioni scolastiche, di fare qualcosa di diverso». Un invito allo studio, dunque, per tutte le scuole del territorio impegnate nell’approfondimento della normativa. «La valutazione - ha aggiunto Carla Savaglio, dirigente dell’Istituto tecnico commerciale e Liceo scientifico tecnologico G. Pezzullo, di Cosenza - deve essere diagnostica, il livello di insegnanti alto e il linguaggio proporzionato alla conoscenza». I professori, bisogna ammetterlo, sono stanchi, ma è un loro dovere valutare, così come è un dovere, per gli alunni, assorbire il sapere. L’autovalutazione diviene un obbligo, uno strumento necessario e indispensabile per capi d’istituto, collaboratori e ispettori scolastici. Così, il nuovo Regolamento, approvato dal Consiglio dei Ministri, diventa sistema. In un universo scuola/lavoro che richiede sempre maggiori competenze, l’attenzione alla formazione dei nostri giovanissimi diventa indispensabile come mai prima di ora. In quest’ottica, bisogna che il mondo scolastico si faccia carico, con serietà e professionalità, di formare con competenza e capacità critica. Ne va del bene presente e futuro di ognuno di noi.

Domenico Milito A sinistra, in un momento del convegno


VIII

sabato 9 novembre 2013

Vibrante e drammatica A Cosenza Antigone e le rivolte ateniesi

Alexis

la Tragedia greca di Francesco Fotia

L’ultimo spettacolo a firma Motus, la compagnia creata da Enrico Casagrande e Daniela Francesconi Nicolò al teatro Morelli

Per te, chi è oggi Antigone? È l’interrogativo che lascia addosso “Alexis - una tragedia greca”, l’ultimo spettacolo a firma Motus, la compagnia creata da Enrico Casagrande e Daniela Francesconi Nicolò, rappresentato lo scorso venerdì al teatro Morelli di Cosenza. Una rappresentazione viscerale, che scuote e svuota grazie all’irrisolvibile contrasto tra volontà d’azione e impotenza che la agita da dentro. Azione, come quella che fa l’omonima protagonista di “Antigone”, l’opera sofoclea dal quale prende spunto la “tragedia greca” dei Motus, impotenza, come quella che si prova quando un giovane viene ucciso da un poliziotto, in quei giorni del 2008 ad Atene. Allora, Alba Dorata era ancora fuori dal Parlamento, e la crisi stava esplodendo come una bomba atomica la cui onda d’urto non ha ancora smesso d’investire tanto l’economia quanto la società greca. Nasce così una tragedia al cui interno convivono l’Antigone e il cuore vivo della cronaca, il meta-teatro, la parola e il gesto, esperito in una corporalità vibrante e drammatica. Merito, questo, di Vladimir Aleksic e di Massimiliano Rassu (che ha sostituito Benno Steinegger). Merito, soprattutto, del talento di Silvia Calderoni, che una volta di più ha dato ragione a chi la considera una delle migliori attrici (leggi performer) italiane in circolazione. È Silvia, un po’ Antigone un po’ se stessa, a catalizzare l’attenzione del pubblico per il primo quarto d’ora di spettacolo con movimenti, pensieri ad alta voce e proiezioni che ci trasportano nell’agitazione popolare dei giorni che hanno seguito la morte di Alexandros Grigoropoulos, il 6 dicembre 2008. Aveva quindici anni. Tra fumi, giochi di luce e musiche cupe ed ipnotiche, la Calderoni ci porta ad Exarchia, il quartiere dove il ragazzo fu ucciso, poi, con l’ausilio del proiettore, nell’antica Tebe, tra la polvere e la desolazione. E’ solo l’inizio di un gioco che, tra alternanza e sovrapposizione, resuscita il testo di Sofocle facendolo rivivere nella contemporaneità greca. Un’attualità di cui è vittima un ragazzo privato della parola, offerto al nostro sguardo soltanto quando Polinice, appropriandosi del corpo di Rassu, ci fa vedere com’è morto Alexis. Due spari all’altezza del petto: il primo produce una contrazione dei muscoli e delle membra, il secondo la caduta rovinosa sull’asfalto. L’attore va giù e si rialza, viene colpito più volte. Si assiste alla replica della sua morte come fossimo davanti al replay di uno spettacolo in video: una replica che potrebbe non finire mai. Antigone lo piange e si ribella a Creonte (Aleksic), che non vuole concedere sepoltura al corpo del fratello: l’ordine della legge umana è sfidato in nome di quella morale; coraggiosa presa di coscienza anche questa mai così urgente. Alla realtà

Una rappresentazione viscerale che scuote e svuota grazie all’irrisolvibile contrasto tra volontà d’azione e impotenza che agita da dentro

ci porta anche il racconto di Alexandra Sarantopoulou, attrice e testimone diretta di quelle rivolte, che ci accompagna, guidandoci alla conoscenza di quei giorni e di quel quartiere simbolo di lotta. Qui le mura sono piene di messaggi scritti in tantissime lingue: uno di questi dice «ricorda... ricorda il 6 dicembre», un’altra «Carlo vive, Alexis vive... loro sono vivi, voi siete morti». Possiamo leggerli attraverso videocamera che i Motus hanno attivato nel 2010, quando giunti ad Atene hanno raccolto testimonianze dirette di chi ha vissuto gli scontri e i lacrimogeni, e di chi ancora vive ad Exarchia, indagando sugli strascichi emotivi che ancora oggi porta con se quell’assurdo omicidio. «Forse - ci chiede Silvia scendendo giù dal palco - l’arte non può raccontare tutto questo. Ma noi - dice ritornando su - è questo che possiamo fare». Lo stesso palcoscenico che usa poi per riportare in vita, con un miracolo che solo il teatro può fare, le folle greche. «Pensate se invece di quattro, fossimo in cinque quassù» dice la bionda attrice romagnola, invitando il pubblico a raggiungere la compagnia. Musiche, ombre, fumi e luce rafforzano l’impatto che regala la presenza di altre ventiquattro persone che si sono alzate dai propri posti e hanno raggiunto la compagnia sul palco. Per poco più di un minuto, quel pubblico sembra un esercito di rivoluzionari sognanti. Poi la magia del teatro si spezza. Il ritorno alla realtà è accompagnato dall’auspicio, dalla speranza, di Silvia/Antigone: «a volte c’è bisogno di guardare le cose da un punto di vista differente. Come fanno le capre». Forse, dentro l’Alexis non c’è soltanto Antigone, dolcemente anarchica, ma c’è buona parte dell’intero ciclo tebano: c’è l’odierna Grecia, la culla della civiltà ammorbata da una crisi economica che ne destabilizza l’anima come la peste dell’ “Edipo Re” faceva con i corpi dei tebani. C’è un nemico interno devastante: il poliziotto, l’anarchico, il governo, il manifestante, tutti al tempo stesso soggetti


sabato 9 novembre 2013

IX

Vibrante e drammatica e oggetti di una guerra civile che richiama I Sette Contro Tebe. Anche qui c’era lo scontro, e si concludeva con il doppio fratricidio di Eteocle e Polinice. Un dramma che oggi ha lasciato il posto alla realtà: quella dell’assassinio del rapper antifascista Pavlos Fyssas. Quella del duplice omicidio di due appartenenti ad Alba Dorata. «La Grecia è un grande laboratorio cui tutta l’Europa guarda, per vedere che cosa succede alla gente, che reazione hanno le persone, quando si distrugge lo stato sociale» - spiega Enrico Casagrande nel corso dell’incontro al termine dello spettacolo. «In Grecia - racconta Alexandra - oggi arrivano molte persone incuriosite dalle risposte che l’arte sta dando rispetto alla crisi. E questo ha portato all’unico aspetto “positivo” di questo disastro, ovvero alla contaminazione fra diverse forme d’arte, fra artisti provenienti da ogni parte del mondo». E se l’arte, almeno qualitativamente, trova giovamento dalla catastrofe, Silvia Calderoni incoraggia i presenti a fare qualcosa. Agire, combattere per ciò che sta a cuore e per risvegliare le coscienze, smettendo di aspettare che sia sempre qualcun altro a fare ciò che noi vorremmo. L’incontro è stato moderato da Carlo Fanelli, docente di Drammaturgia ed Estetica del Teatro all’Università della Calabria. Presenza fissa degli “Extra Contents” della stagione In apertura la scena finale dello spettacolo sul palco del Morelli Qui a sinistra, dall’alto: Silvia Calderoni, Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, Carlo Fanelli In basso a sinistra l’immagine di locandina dell’Alexis

More curato da Scena Verticale, Fanelli è anche autore di libri, saggi e del testo teatrale “Camus e Grenier. La fortuna di trovare un maestro”. L’opera sarà rappresentata giovedì, nella suggestiva cornice del “Salone Orientamenti” della Fiera di Genova. L’occasione è data dalla rassegna “Il mediterraneo che unisce”, organizzato per celebrare il centenario della nascita di Albert Camus, filosofo e Premio Nobel per la Letteratura nel 1957. Adolfo Margiotta e Roberto Alinghieri saranno i protagonisti; a dirigerli, Consuelo Barilari. L’opera si apre con la visita del docente di Filosofia Grenier al suo giovane allievo Camus, troppo a lungo assente dalle sue lezioni, per poi aprirsi a un dialogo continuo sull’amicizia e l’amore, sulla filosofia e, naturalmente, sull’uomo. Uno spettacolo che si lascia guardare, e ascoltare, con curiosità e sorpresa anche da chi non è esperto di filosofia esistenzialista, e che entrerà nel cuore degli amanti di Camus, grazie a un testo cucito attraverso le riflessioni e le parole dei due personaggi. Riflessioni e parole che Fanelli riporta alla luce direttamente dalle pagine degli scritti “Isole”, “Ricordi di A.Camus” e “Ispirazioni Mediterranee” di Jean Grenier, e “La Peste”, “Il Primo Uomo”, “Lo Straniero” e “Caligola” di Albert Camus. Un lavoro colto ma appassionante, quello firmato dal docente cosentino, che speriamo di vedere presto anche nei nostri teatri calabresi.


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sabato 9 novembre 2013

Sax a riposo Chiuso in bellezza il festival di Lamezia

Giù il sipario sul jazz

Egidio Ventura direttore artistico del Lamezia Jazz Sopra, il quintetto Opus 5

Si è conclusa positivamente la stagione concertistica Lamezia Jazz XI edizione 2013, e possiamo affermare che, per la nostra città, è stata un’esperienza estremamente significativa; una poderosa frontline formata dal sassofonista tenore Seamus Blake e dal trombettista Alex Sipiagin accompagnata da una ritmica eccezionale che vende al piano David Kikoski, al contrabbasso Boris Kozlov e alla batteria Donald Edwards. Una formazione ispirata dalle atmosfere dei celebri quintetti di Art Blakey e Miles Davis degli Anni ‘60 che sono state reinterpretate alla luce di una sonorità del tutto personale, questo straordinario evento ha chiuso il sipario della XI edizione del Lamezia Jazz. L’iniziativa, evento straordinario, ha portato con sé un’enorme forza attrattiva, se solo si vada a valutare e sottolineare il fatto che in ogni vero inizio si nasconde la possibilità del cambiamento, o meglio, del radicale bisogno di rinnovarsi. Il pubblico, con il suo peso critico e storico, ha voluto premiare questa nostra avventura partecipando, sempre numeroso, ai concerti, dandoci così una ragione in più per continuare nel nostro cammino, nella speranza che in futuro vengano modificati quei programmi musicali ripetitivi, con interpreti prevedibili e repertori limitati; programmi che in questi ultimi tempi hanno portato a far prevalere le solite e tristi logiche di gestione della cultura musicale, fondate sul potere “eccessivo” di certe organizzazioni di concerti, e costruite nel tempo sul deprimente concetto del baratto culturale. Questo non vuole essere un atteggiamento critico, ma un’analisi

Con gli Opus 5, quintetto composto da incredibili All-Stars ensamble di musicisti che popolano l’attuale scena jazzistica newyorkese

onesta dello stato delle cose, così come si presentano nella realtà. Purtroppo ci accorciamo di essere circondati soltanto da una mediocrità ordinaria, che produce stagioni concertistiche che si assomigliano ogni anno, o che sono simili a quelle del vicino di campanile o di provincia, secondo una sorta di aurea e tranquillizzante miscela di artisti e di musiche che fanno la felicità di un pubblico pigro, che oramai si è stancato persino di presenziare. Si potrebbe quindi arguire che la causa di tutto ciò sarebbe da ricondurre alla paura o alla pigrizia, oltre che all’indifferenza di chi dovrebbe garantire il rinnovamento, e lavorare per una sempre migliore e più nutrita partecipazione dei cittadini verso la cultura, dal momento che si gestisce denaro pubblico, e che invece continua a lavorare per tenere in vita, come un accanimento terapeutico, un vecchio e logorato sistema artistico- culturale. Differentemente, il Jazz ha rappresentato, e può ancora rappresentare per Lamezia, una grande occasione, una nuova opportunità per recuperare quello spazio culturale ed artistico che in passato non ha avuto le adeguate considerazioni e la necessaria continuità. Ma un risveglio culturale e musicale nella nostra città è possibile solo se il pensiero si fa azione, slancio pratico e realizzativo, soprattutto mediante un coinvolgimento attivo ed una collaborazione organica tra gli operatori del settore, gli amministratori e le forze politiche. Infatti le idee acquisiscono un vero significato soltanto quando riescono a materializzarsi, ad attuarsi; resterebbero altrimenti nel limbo dei buoni propositi, delle promesse e dei programmi non realizzati. Vi è da sottolineare che la stagione concertistica Lamezia Jazz XI edizione 2013 ha raggiunto nei 4 eventi realizzati 600 presenze, una cifra numerica che per il jazz e la Cultura di nicchia sembra una cifra rilevante, i proventi della vendita dei biglietti è stata incassata dal Comune di Lamezia Terme Ente organizzatore della manifestazione. L’associazione musicale Bequadro per Lamezia Jazz, insieme all’amministrazione comunale di Lamezia Terme, da anni ha accettato questa sfida: trasformare il seme di un’idea, in una consistente ed articolata programmazione concertistica di musica Jazz, maturata e sviluppata positivamente grazie all’impegno serio ed onesto di quanti, ognuno nel proprio settore, vi hanno partecipato. maestro Egidio Ventura


sabato 9 novembre 2013

L’amore per l’arte in ogni sua forma

Passi sulle punte e bel canto Le anime dell’Accademia Harmonic studio di Cosenza, di Annalisa Marincola di Francesco Fotia

L’amore per l’arte in ogni sua forma, una particolare, viscerale, passione per la danza e la volontà di farne uno degli scopi della propria vita. Lei è Annalisa Marincola, dal 2008 direttrice artistica dell’Accademia Harmonic studio di Cosenza, una scuola che ha voluto fare di preparazione e innovazione i suoi punti di forza. La storia della giovane ma “navigata” artista è fatta di esperienze in diverse parti del mondo, stage e tirocini, aggiornamenti continui, che le hanno conferito una comprensione delle forme artistiche di ogni genere. Annalisa si è formata presso il My Day academy di Asti, diretto da Sandra Scala, all’ombra del maestro Giulio Cantello. Ha proseguito quindi gli studi spostandosi a Parigi, città nella quale è professionalmente e umanamente cresciuta. Qui sono stati suoi maestri Dimitra Karagiannoupoulou e Wayne Byars per quanto riguarda la danza classica. Bruno Collinet, Lanselle, Portal e Peter Goss per la contemporanea e Redha e Tinazzi per la danza moderna. A partire dal 2001 frequenta il Corso di Avviamento Professionale all’Aid (Associazione italiana danzatori) a Roma, dopo aver vinto una borsa di studio. Un anno dopo, è nella Compagnia nazionale del balletto diretta da Tuccio Rigano e partecipa alla sfilata di moda di Chirico; spettacolo trasmesso anche su Rai 1. Dal 2004 concentra le sue energie anche nell’attività didattica, aggiornata più volte, l’ultima delle quali è presso l’Accademia Teatro alla Scala di Milano. Con il tempo, Annalisa ha scelto di provare a dare agli altri le conoscenze che ha fatto sue, condividendo con i suoi allievi la passione per la danza e la musica. L’Harmonic studio è nato così, sospinto dalla voglia di insegnare, di preparare e guidare i talenti di domani, tenendo sempre bene a mente che l’arte è di tutti, e la danza è un bene prezioso che fa bene allo spirito prima ancora che al corpo. «L’obbiettivo - spiega Annalisa - è mettere a proprio agio gli allievi a partire già dagli ambienti, puliti e luminosi; la nostra accademia, ed è per noi un grande onore poterlo affermare, è stata sede delle selezioni nazionali dello Zecchino d’Oro di quest’anno e nel 2011. Le sue sale sono ampie, climatizzate e insonorizzate, e sono pensate per garantire al meglio lo svolgimento di ogni attività fisica, grazie anche alla pavimentazione rialzata ed elastica. Altro punto fondamentale dell’accademia è il personale, composto da professionisti che, seppur giovani e attenti ai cambiamenti delle forme espressive, hanno acquisito con eccellenza le basi delle arti e dell’insegnamento. Agli allievi sono quindi offerti corsi di elevata qualità, che si integrano con laboratori, stage e seminari. Come gruppo pun-

La storia della giovane ma “navigata” artista è fatta di esperienze in diverse parti del mondo, stage e tirocini, aggiornamenti continui, che le hanno conferito una comprensione delle forme artistiche di ogni genere

Annalisa Marincola Sotto, le “voci” dell’Accademia e un momento dell’ultimo saggio di danza

tiamo molto sulla possibilità di sensibilizzarli alla conoscenza del proprio corpo, delle opportunità offerte dalla padronanza del palcoscenico, che può essere il posto più bello del mondo. Inoltre, è nostra intenzione - prosegue il direttore artistico - favorire ogni forma di iniziativa culturale. Il 16 novembre, ad esempio, per i nostri ragazzi è previsto un “open day” in sede, dove sarà possibile, gratuitamente, provare gli strumenti e ascoltare i maestri all’opera. Una felice opportunità per tutti, ma soprattutto per i più piccoli, che potranno fare una prima esperienza diretta con queste emozioni. Proprio ai bambini - confessa Annalisa - siamo particolarmente attenti, perché hanno dentro un vitale mix di energia, entusiasmo, grande voglia e propensione all’apprendimento». I corsi, appena avviati, prevedono programmi per la sezione Danza, con propedeutica, danza classica accademica, tecnica di punte, sbarra a terra e corsi di perfezionamento per il ramo classico, e l’Hip Pop, con laboratorio coreografico per la moderna. Sono attivi corsi di canto leggero e lirico, con lezioni di gruppo per allievi dai quattro agli undici anni. Per la sezione musicale, propedeutica musicale e ritmica, con teoria e solfeggio e corsi di pianoforte, chitarra classica e moderna, violino, tastiera, flauto, basso e sassofono. Lo sconfinato universo della danza e del canto a pochi passi da casa.

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Note di aggregazione A Rossano è tutto pronto per l'avvìo della IX stagione concertistica "La Città della musica"

È di scena la musica di qualità

Rotary foundation

Teatro per la solidarietà Anche Maria Rita Acciardi, governatore del distretto 2100 del Rotary, tra gli interpreti della nuova commedia di Franco Gianni, "Tituk". La rappresentazione andrà in scena il prossimo martedì 12 novembre al Cinema Teatro Italia "Aroldo Tieri" di Cosenza. Gli interpreti sono tutti attori non professionisti, soci dei Club Rotary. L'appuntamento è alle ore 20. Il ricavato sarà devoluto alla Rotary foundation per progetti di servizio umanitario.

Tutto pronto per l’avvio della IX stagione concertistica “La Città della musica”. La fortunata kermesse musicale ideata e diretta dal maestro Giuseppe Campana è il fiore all’occhiello del panorama musicale culturale cittadino di Rossano. Un appuntamento fisso che terrà compagnia a tutti gli appassionati di musica da novembre fino a maggio quasi ogni sabato sera, presso la deliziosa sala concerti del Centro studi musicali “G. Verdi” sita in via Corrado Alvaro allo scalo cittadino. Mercoledì 6 novembre è stato presentato ufficialmente, attraverso una conferenza stampa, il cartellone concertistico della nona edizione de “La Città della musica”. La prestigiosa rassegna musicale è stata organizzata dal Centro studi musicali “G. Verdi” di Rossano, diretto dal maestro Giuseppe Campana, gode del patrocinio dell’assessorato al Turismo e Spettacolo della Provincia di Cosenza, realizzata in collaborazione con Pro loco di Rossano “La Bizantina” presieduta da Federico Smurra, del periodico “La Voce”, Gulliver librerie di Davide Granata. Media partner dell’evento musicale Tele A 57 la tv della Sibaritide.

La kermesse musicale è il fiore all’occhiello del panorama musicale culturale cittadino Un appuntamento fisso che terrà compagnia a tutti gli appassionati di musica da novembre fino a maggio

Come da tradizione al centro studi musicale “G. Verdi” anche quest’anno saranno presentati concerti di altissimo livello qualitativo, con musicisti professionisti e gruppi di levatura internazionale. A dare il “la” alla manifestazione, il concerto fissato per sabato 9 novembre alle ore 19.15, presso la sala concerti del Centro studi “G. Verdi”, ad esibirsi sarà un trio proveniente da Messina, composto da Veronica Cardullo - soprano, Santi Cardullo - tromba, Danilo Blaiotta - pianoforte. Tre artisti di spiccata esperienza, che presenteranno un programma che comprenderà tra l’altro, alcune arie tratte da opere di Giuseppe Verdi, giusto omaggio in occasione dei festeggiamenti del bicentenario della sua nascita. I concerti proseguiranno il sabato successivo 16 novembre con un trio proveniente dalla Corea del Sud, Minah Lee e Thank You Kim al violino, Jin Kyung Lim al pianoforte. L’intera stagione concertistica sarà incentrata sulla “grande musica da camera”, e di volta in volta, sempre di sabato si alterneranno formazioni con archi, pianoforte, chitarra e fiati. In tutto sono previsti 18 concerti che allieteranno Rossano fino al mese di giugno. Durante la conferenza stampa il direttore srtistico e ideatore della rassegna musica “La Città della musica” Giuseppe Campana ha rimarcato il grande successo raccolto dalla manifestazione in questi anni e il come sia riuscita a sempre più ad attrarre attorno a sè un pubblico giovane. «Unendo insieme le associazioni cittadine, le istituzioni scolastiche e le eccellenze culturali di tutto il territorio». La musica che diventa collante e mezzo di aggregazione, sulla stessa linea d’onda il presidente della Pro loco Federico Smurra che ha sottolineato l’importanza della cultura nell’educazione. Afferma Smurra: «Il Centro studi musicali Verdi, con i suoi concerti del sabato offre a tutti l’opportunità di godere gratuitamente di un bene prezioso quale la musica da camera. Siamo felici di patrocinare e collaborare ad eventi di tale spessore umanistico e intellettuale che fanno bene alla società e all’arte». Tra gli intervenuti alla conferenza stampa di presentazione l’editore de “La Voce”, Gino Zangaro il quale ha accolto con entusiasmo il sodalizio con il Centro studi musicali “ G. Verdi”.


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Pagine che pesano "L'utilità dell'inutile" del docente Unical Nuccio Ordine tra i libri più venduti

Volo in classifica L’ultimo lavoro di Nuccio Ordine vola nella classifica dei libri più venduti in Italia nella saggistica. Secondo le rilevazioni effettuate dal quotidiano La Repubblica, infatti, L’utilità dell’inutile (Bompiani 2013) figura al quarto posto, mentre per il Corriere della sera e La Stampa il pamphlet dello studioso di Bruno risulta il quinto volume più richiesto dai lettori. Dunque uno straordinario successo e quattro ristampe in meno di un mese per l’ultima fatica di Nuccio Ordine che, già con la prima edizione pubblicata da Les Belles Lettres, aveva conquistato lo scorso febbraio il pubblico francese, collocandosi per diverse settimane tra i saggi più diffusi. Alla scalata delle classifiche in Italia si aggiunge anche una calorosa accoglienza della critica: da Fabio Fazio a “Che tempo che fa” («Un libro che mi ha folgorato... Un libro rivoluzionario... Un libro davvero prezioso e importante che ci fa riflettere sulle priorità del nostro tempo...») a Roberto Saviano sul suo profilo Facebook («Un libro necessario... una guida, in questa vita azzannata dalla crisi, dall’ansia d’efficienza, dai fallimenti»); da Errico Buonanno sul Corriere della Sera («Un libro già uscito in Francia con successo e destinato a rilanciare l’orgoglio di chi è ininfluente») a Remo Bodei su Il Sole 24 Ore («Un libro importante che va incontro al bisogno di dar senso alla nostra cultura e alla nostra vita e che ha perciò riportato un meritato successo»). Del resto, anche sul piano delle recensioni la prima edizione francese del libro di Nuccio Ordine aveva raccolto calorose adesioni sulla stampa europea: Jean Birnbaum, direttore di Le Monde des Livres, gli aveva consacrato il suo primo editoriale 2013 («Un libro ideale per incominciare il nuovo anno: auguriamoci un po’d’inutilità!»), mentre il grande filosofo, Fernando Savater, ne aveva tessuto le lodi nelle pagine culturali del quotidiano spagnolo El País («Noi, incorreggibili, siamo grati a Ordine - eccellente editore, tra gli altri lavori degni di lode, delle opere di Bruno - per il manifesto “L’utilità dell’inutile”»). Il successo de "L’utilità dell’inutile" in Francia e in Italia ha attirato l’attenzione di altri editori stranieri: nella seconda settimana di novembre il saggio uscirà già in Spagna (non solo in castigliano ma anche in catalano), mentre è in corso di traduzione in Grecia, Brasile, Corea e Germania. Sull’onda di questo grande interesse per i temi trattati nel suo lavoro, Nuccio Ordine parteciperà, nei prossimi mesi, a una serie di incontri a Genova, Sanremo, Napoli, Catanzaro, Rosarno, Milano, Treviso, Firenze, Lodi e Salerno. Ma perché tanto interesse per L’utilità dell’inutile? Le considerazioni che impegnano Nuccio Ordine nelle poco più di 250 pagine di cui si compone il libro, hanno certamente il loro peso. Ma è anche lo stile semplice e accessibile con cui l’autore si esprime a fare la differenza. Attraverso le riflessioni di grandi filosofi e di celebri letterati (da Platone a Bruno, da Aristotele a Kant, fino a Kakuzo Okakura e García Márquez), infatti, Ordine mostra come l’ossessione del possesso e il culto dell’utilità finiscano per inaridire lo spirito, mettendo in pericolo non solo le scuole e le università, l’arte e la creatività, ma anche alcuni valori fondamentali come la “dignitas hominis”, l’amore e la verità. «In una società in cui l’utile (ciò che produce profitto) sembra dettare legge

Secondo le rilevazioni effettuate dal quotidiano “Repubblica” infatti, “L’utilità dell’inutile” (Bompiani 2013) figura al quarto posto, mentre per il “Corriere della sera” e “La Stampa” il pamphlet dello studioso di Bruno risulta il quinto volume più richiesto dai lettori

in ogni ambito della nostra vita - afferma Ordine - mi è sembrato opportuno ricordare che l’inutile (quei saperi che non producono guadagno) è molto più utile dei soldi. L’unica occasione che abbiamo, come esseri umani, di diventare migliori ce la forniscono l’istruzione, la ricerca scientifica, i classici, i musei, le biblioteche, gli archivi, gli scavi archeologici: e non è un caso che la scure dei governi e della crisi si abbatta purtroppo proprio su quelle cose ritenute inutili. Attraverso la parola dei classici, dall’antichità ai nostri giorni - spiega ancora Ordine - ho voluto mostrare l’utilità dell’inutile e l’inutilità dell’utile (quante cose “inutili” ci vengono imposte come ‘utili’?). La logica commerciale del profitto non solo sta progressivamente distruggendo l’istruzione (trasformando le scuole e le università in aziende e gli studenti in clienti), ma ha talmente inaridito lo spirito a tal punto da rendere disumana l’umanità». Per lo studioso di Bruno «non è possibile, in nome della crisi, espropriare le classi più deboli della loro dignità, sopprimere senza colpo ferire i posti di lavoro, i contributi per i disabili e gli ammalati. Basta leggere Il Mercante di Venezia di Shakespeare per capire cosa possa significare ridurre l’uomo a merce e tagliare la carne viva per pagare il debito. E tutto ciò avviene, mentre solo la corruzione costa all’Italia più di 150 miliardi all’anno. Non sarebbe meglio tagliare la carne viva dei corrotti anziché quella degli operai licenziati e degli ammalati?». Ordine è convinto che «proprio quei saperi considerati inutili sono l’unica forma di resistenza alla dittatura del profitto. Con i soldi tutto si può comprare: parlamentari, giudici, successo. L’unica cosa che con in soldi non si compra è il sapere: la cultura dell’inutile ci insegna che il sapere non si acquista ma si conquista con uno sforzo personale che nessuno può fare al nostro posto. La letteratura, l’arte, la musica, la ricerca scientifica di base - conclude Ordine - ci insegnano che l’umanità per diventare più umana ha bisogno di esaltare la gratuità e il disinteresse. Educare i giovani ai saperi inutili significa offrire loro una possibilità per diventare cittadini consapevoli, in grado di amare il bene comune, rinunciando agli egoismi e all’avidità che ormai dettano legge grazie al culto del profitto».

Nuccio Ordine


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sabato 9 novembre 2013

Architettura e paesaggio come valore L'arte di Mimmo Intrieri pittore di Acri cerca di trasmettere ai giovani

Teletrasmettonovisioni Mimmo Intrieri è un pittore del Cosentino, abita ad Acri ed è uno dei pochi pittori che cerca di tramandare il suo sapere alle nuove generazioni. La sua passione nasce da ragazzino, predisposto al disegno già dalle scuole medie, la storia dell’arte era tra le materie che più amava e si divertiva a disegnare tutto ciò che catturava la sua vista e che sembrava ispirare la sua natura di artista. È un pittore paesaggistico amante fin da piccolissimo della casetta con il cortile e la piccola fattoria. Crescendo ha curato sempre questa scelta fino agli studi artistici, presso l’Istituto d’arte di Castrovillari. Nel suo percorso di studio ha sempre cercato di apprendere ciò che veniva a mancare al semplice talento, lo studio delle ombre, della prospettiva e la mescolanza dei colori. Da ciò la voglia di continuare presso l’Accademia delle Belle Arti per poi all’ultimo momento cambiare idea e orientarsi verso Ingegneria. La sua attività nel tempo si sviluppa verso l’attività del carpentiere sul legno e sul ferro aiutato in questo dagli studi in precedenza svolti sulle tecnologie e che gli consentono di sfruttare al massimo i suddetti materiali. Dopo un poco di tempo però Intrieri, torna all’arte... Sì, dopo venti anni torno a riprendere in mano il disegno con maggiore vigore, passando dalla matita chiaro scuro al carboncino, all’acquerello, al pastello acquarellato e poi direttamente all’olio su tela. Da quel momento mi sono reso conto che ciò che rappresentavo prendeva una nuova direzione, dando forma nuova a ciò che era la mia ispirazione. Si passa con il tempo al mondo del virtuale e alla scoperta del web per farsi conoscere... Mi hanno realizzato una serie di video chiedendomi l’autorizzazione a potere utilizzare i miei quadri per poi caricare i video su you tube. Ho acconsentito a questo esperimento, che oggi è molto in voga e che allora era ancora in embrione. Ho capito che poteva servire come porto per uscire dal solito rituale di élite e mettere a disposizione del mondo virtuale ciò che avevo realizzato e nello stesso momento era un mettersi in gioco e confrontarsi addirittura con una grande platea, perché il web può dare questa grande possibilità, digitando poche parole chiavi su un qualsiasi motore di ricerca. Ritengo che l’utilità di alcuni social net sia essenziale per il proprio lavoro e offre la possibilità di conoscere tante persone allargando i propri orizzonti, colleghi e critici d’arte.

La passione nasce da ragazzino: la storia dell’arte era tra le materie che più amava e si divertiva a disegnare tutto ciò che catturava la sua vista e che sembrava ispirare la sua natura di artista

Mimmo Intrieri però è anche nel direttivo di un’associazione che è la Bottega degli Hobbies di Castrolibero nel cosentino…Che cosa pensi dell’associazionismo culturale? Io credo molto nella sua azione, perché il confronto fa crescere, perché attraversato da una serie di esperienze diverse che danno grandi possibilità di contaminazioni. La pittura è legata però a un senso d’individualismo acceso anche in ambito associazionismo. L’unico mezzo di confronto è il concorso, che mette davanti a varie differenze con un reale confronto che arriva dal riconoscimento. Che cosa pensi della contaminazione tra le arti? Il progetto che vorrei portare avanti è quello di cercare di fare un connubio tra arte e poesia. Magari creare a degli opuscoli dove chi è interessato, può informarsi e comprendere anche un testo poetico attraverso l’immagine e capire fino in fondo l’opera, educandosi verso la cultura che passa attraverso l’arte. E affiancare il tutto attraverso un lavoro delle proprie tradizioni, delle bellezze naturali e che al Sud ancora non sono valorizzate. Ciò a mio parere è dovuto alla mancanza di coesione sociale. Nel nostro territorio però ci sono poche scuole pittoriche? Ho notato che forse c’è una certa ritrosia a trasmettere il proprio operato, che però è legato a un discorso economico, perché tendenti a una sorta di familismo del proprio lavoro. Come la paura di essere copiati o forse di trovarsi un domani un potenziale concorrente. In realtà credo che ciò non possa avvenire, perché l’originalità dei tratti e dei colori così come l’elemento figurativo nell’opera resta molto personale. Credo che sia anche questo che ha motivato la non crescita dei pittori calabresi. Che cosa è l’arte? L’arte è forma, che rispecchia il reale. A volte non è facile comprendere alcuni stili innovativi, si può fare solo se si guarda al passato dell’artista. Molti del passato come Picasso credo che con il cubismo abbia iniziato a interpretare la psicologia delle genti oppresse dallo stato sociale in cui viveva, per cui la deformazione sociale prendeva forma attraverso la sua arte. Di mio cerco, invece, di tramandare l’architettura dei luoghi e le tradizioni attraverso le mie opere. Sto pensando, infatti, ad un catalogo che possa adattarsi ad ogni mia opera e fare così un vero e proprio racconto della mia pittura. LdC


sabato 9 novembre 2013

Pilloel a 360 gradi Convegno scientifico promosso da Giovambattista De Sarro professore ordinario di Farmacologia presso l'Università di Catanzaro e referente dell'Agenzia italiana del farmaco per la Regione Calabria

Si può risparmiare sulla salute? Concluso l’ultimo di un ciclo di congressi volti alla formazione e all’informazione sull’appropriatezza prescrittiva in vari ambiti della pratica medica, promossi da Giovambattista De Sarro, professore ordinario di Farmacologia presso l’Università di Catanzaro e referente Aifa (Agenzia italiana del farmaco) per la Regione Calabria. Al centro dell’evento l’utilizzo dei fattori di crescita e dei loro biosimilari in vari ambiti della medicina con forte accento sul tema dell’appropriatezza prescrittiva e sugli aspetti farmacoeconomici. Ad aprire i lavori per il consueto saluto delle autorità il dottor Antonino Iaria (dipartimento della Salute della Regione Calabria) seguito da un’introduzione curata dallo stesso De Sarro che ha contestualmente illustrato, alla luce delle specifiche Ema (Agenzia europea per i medicinali) e Aifa (Agenzia italiana del farmaco), i concetti di farmaco biosimilare, generico e branded. A seguire il dottor Renato Cantaffa (dipartimento Oncoematologia, Azienda ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”), ha affrontato il problema della tossicità ematologica in corso di chemioterapia. Tra tutti gli effetti avversi, infatti, l’anemia e la neutropenia rappresentano due dei maggiori problemi nei pazienti malati di cancro.

Al centro dell’evento l’utilizzo dei fattori di crescita e dei loro biosimilari in vari ambiti della medicina

Dal 9 al 15 con i “Cioccolatini della ricerca”

Airc, mettiamo il cancro all’angolo

Il professor Pierosandro Tagliaferri (professore ordinario di Oncologia medica, Università di Catanzaro) ha invece relazionato sul tema degli effetti collaterali dei fattori di crescita utilizzati in oncologia. Gli eventi avversi conseguenti all’uso di tali molecole possono essere molteplici e non sempre facilmente e direttamente riconducibili alla terapia. A tal proposito Tagliaferri ha sottolineato la centralità del ruolo dell’oncologo nella gestione a 360 gradi del paziente affetto da neoplasia. Subito dopo, il dottor Marco Rossi (ricercatore Oncologia e Oncoematologia, Università di Catanzaro), ha trattato il tema dei nuovi fattori di crescita piastrinici e granulocitici. I lavori sono ripresi con la relazione del professor Giorgio Fuiano (ordinario di Nefrologia, Università Magna Græcia, Catanzaro), che ha illustrato la fisiopatologia dell’insufficienza renale cronica (Irc) in concomitanza con l’uso di fattori di crescita ematopoietici in pazienti oncologici e non. Ad integrazione della relazione di Fuiano, il dottor Alfredo Caglioti (dirigente medico Uoc Nefrologia e Dialisi, dell’Azienda ospedaliera Mater Domini) ha affrontato l’uso dell’eritropoietina e biosimilari in ambiente nefrologico, mentre la dottoressa Marinella Capria (dirigente medico presso la stessa Unità operativa) ha illustrato gli effetti pleiotropici dell’eritropoietina ed il suo ruolo nell’infiammazione, nel sistema nervoso centrale e apparato cardiovascolare. I lavori sono stati conclusi dal dottor Umberto Genovese (Istituto di medicina legale, Università di Milano) che ha affrontato gli aspetti medico-legali e la responsabilità professionale del medico prescrittore. È seguita una tavola rotonda, moderata da De Sarro, alla quale hanno partecipato numerosi specialisti del settore e giovani medici della Umg. Vincenzo Ursini

Pierosandro Tagliaferri

Con una donazione di dieci euro potete sostenere il lavoro dei ricercatori e ricevere dai volontari Airc una confezione di ottimi cioccolatini, insieme a una preziosa guida con informazioni utili sulla prevenzione, la diagnosi e la cura del cancro. A volte concedersi un piacere può essere anche salutare: il cioccolato fondente al 70 per cento di cacao, ad esempio, è stato inserito dall’American institute for cancer research tra i cibi protettivi, perché ricco di flavonoidi, con proprietà antiossidanti, protettivi contro i tumori. Scegliamo i “cioccolatini” di Airc che fanno bene due volte: sono buoni e aiutano i ricercatori a mettere il cancro all’angolo. Sabato 9 i volontari Airc vi aspettano nelle piazze di: AMANTEA CAROLEI COSENZA LAINO BORGO RENDE SAN FILI SAN MARCO ARG. SAN SOSTI CATANZARO SOVERATO SIDERNO Da lunedì 11 a venerdì 15 novembre la distribuzione prosegue in oltre 1.700 filiali del Gruppo Ubi Banca in tutta Italia, nelle quali potete scoprire tanti altri modi per sostenere la ricerca sul cancro. Giovambattista De Sarro

Per trovare "I cioccolatini della ricerca" www.airc.it oppure chiama il numero verde 800 350 350.

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sabato 9 novembre 2013

Campagna mondiale L'Asp di Reggio Calabria in prima linea per la prevenzione e la diagnosi precoce

Tutti uniti contro il diabete Anche quest’anno nel mese di novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale del diabete, la principale campagna mondiale per la prevenzione e la diffusione delle informazioni sul diabete, istituita nel 1991 dalla International diabetes federation (Idf) e dalla World health organization (Oms). In Italia l’organizzazione della Giornata è da diversi anni curata dall’ Associazione diabete italia e, per quanto riguarda l’età pediatrica da Agd Italia di cui fa parte , a livello territoriale, la nostra Agd Locride (Associazione giovani con diabete della Locride) Tale iniziativa, che avrà luogo il 09 e 10 novembre p.v., prevede l’allestimento di presidi diabetologici nelle principali piazze italiane. Grazie al contributo di medici, operatori sanitari, pazienti e genitori di bambini con diabete e tanti altri volontari, i cittadini potranno ricevere materiale informativo per la cura e la prevenzione della malattia, consulenza medica qualificata, valutazione dei principali fattori di rischio e potranno effettuare screening gratuiti per la rilevazione del tasso glicemico. Ormai il diabete tipo 2, la forma più frequente in età adulta, è diventato una vera e propria epidemia a livello globale, e nei prossimi anni è destinato a crescere in modo esponenziale soprattutto fra la popolazione con oltre 40 anni. In Italia sono oltre 4 milioni le persone affette da questa forma di diabete e almeno altrettante ne soffrono o stanno per soffrirne senza saperlo. In Calabria i dati registrano circa 170.000 persone affette da questa malattia. Anche per il diabete di tipo 1, di cui vi sono in Italia circa 20.000 bambini affetti, in Calabria i dati sono preoccupanti essendo la nostra Regione al secondo posto, dopo la Sardegna, per tasso d’incidenza, 14/15 bambini su 100.000, nella fascia di età 0-14, con trend in ascesa soprattutto nella fascia 0-5 anni. Il diabete tipo 1 è malattia complessa che sin dal suo esordio necessita di una presa in carico globale, dove accanto al trattamento insulinico, all’ alimentazione ed all’ attività fisica, fondamentale è l’intervento educativo diretto alla famiglia ed ai ragazzi per la prevenzione delle complicanze acute e croniche. L’informazione e la sensibilizzazione costituiscono, pertanto, in tutte le forme di diabete, il primo importantissimo passo da compiere, sia in termini di prevenzione che di diagnosi precoce. L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, grazie all’impegno di medici diabetologi e pediatri diabetologi, di operatori sanitari ospedalieri e territoriali, delle associazioni di pazienti e di volontari, sarà presente nella Locride con due presidi diabetologici , dalle ore 09.00 alle ore 13.00, presso: Piazza dei Martiri, Locri, sabato 9 novembre Piazza Porto Salvo, Siderno, domenica 10 novembre Inoltre, sempre a Siderno, domenica 10 novembre, dalle ore 11.00 alle ore 13, si svolgerà anche una manifestazione podistica aperta a grandi e piccoli, per sensibilizzare tutti sull’importanza della pratica motoria e sportiva per il trattamento del diabete e delle problematiche correlate, prima fra tutte l’obesità.

Il 9 e il 10 novembre medici diabetologi, pediatri diabetologi, operatori sanitari ospedalieri e territoriali, associazioni di pazienti e di volontari saranno presenti nella Locride con due presìdi

Iniziativa dell’associazione “Attendiamoci”

Un medico in famiglia

Si rinnova l’iniziativa “Un medico in famiglia” ideata dall’associazione Attendiamoci onlus in collaborazione con l’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Reggio Calabria. All’interno delle molteplici attività svolte presso la Casa dei giovani “Peppe Condello”, si è creato, da gennaio 2011, un punto di riferimento per i giovani che avessero bisogno di consulenze mediche, attraverso uno sportello informativo in cui poter incontrare medici con diverse specializzazioni. Nello specifico, da febbraio 2012 a dicembre 2014, il giovedì, a cadenza quindicinale, dalle ore 17 alle ore 19, sarà possibile incontrare alcuni specialisti, previo appuntamento telefonico o tramite un apposito form online presente sul sito internet dell’associazione Attendiamoci all’indirizzo www.attendiamoci.it Allo scopo sono state individuate alcune figure professionali quali medico generico, nutrizionista, ginecologo, andrologo, dentista, oculista, fisiatra, psichiatra, senologo, otorinolaringoiatra, neurologo, odontoiatra, dermatologo, chirurgo generale e vascolare, anestesista e rianimatore, medico legale, che si metteranno, a turno, a servizio dei giovani della nostra città.


sabato 9 novembre 2013

Storia, artigianato, enogastronomia 9 e 10 novembre nel centro storico di Rossano la prima Festa del vino

Aspettando San Martino...

Nel cuore del centro storico una due giorni dedicata al novello nostrano, prodotto dalle uve delle colline ioniche. Oltre venti stand del gusto e la fiera degli antichi mestieri, con la partecipazione delle aziende calabresi più prestigiose e delle migliori maestranze del Meridione, dai liutai di Bisignano ai panificatori di Cerchiara. Il tutto armonizzato in un suggestivo contesto del sound popolare, e poi ancora la musica d’autore con i Teppisti dei sogni e il cabaret esilarante di Paolo Marra. L’evento, organizzato da Abvision’s service Rossano, con il patrocinio del Comune di Rossano-assessorato al Turismo e la partnership della Comunità anziani San Benigno Rossano, si terrà nel piazzale Traforo nei prossimi sabato 9 e domenica 10 novembre 2013, a partire dalle ore 18.00. Questo il programma dell’evento: Per l’intera durata della due giorni, si terrà: la Fiera dell’artigianato, con stand espositivi di oggetti artigianali realizzati in rame, cotto, terracotta, legno intarsiato a mano, giochi per bambini. Sarà allestito un mercatino di oggetti antichi, presepi tradizionali e alternativi, e oggetti realizzati con materiali di riciclo. Un’area sarà dedicata, inoltre, alla bottega degli hobby, con creazioni in macramè e uncinetto, stoffa, cartapesta lavorazione di paste sintetiche, feltro e materiali di riciclo, icone in legno, lavorazione e decorazione di ceramica, creazione foulard, accessori e bigiotteria, decoupage e decorazione di oggetti riciclati, lavorazione di plastiche sintetiche, bigiotteria artistica, lavorazioni cesti artigianali, esposizione quadri artistici, vivai piante ecologiche, creazione di bonsai in fili e perle, con la partecipazione dei liutai di Bisignano. Nello stesso contesto, sarà allestita la Fiera enogastronomica che prevede l’apertura delle botti del vino novello, e gli stand di esposizione e degustazione di piatti tipici, caldarroste, crepes, cannoli ricotta. Saranno presenti, inoltre, aziende di panificazione di Cerchiara di Calabria, di produzione locale di liquori, di lavorazione artigianale di fichi “crocette” e marmellate, frantoi della zona e salumifici artigianali. Entrambe le serate saranno animate dall’installazione delle giostre del Luna park. Inoltre nella serata di sabato 9 è prevista l’esibizione del famoso cabarettista cosentino Paolo Marra, mentre domenica 10 ci sarà il concerto dei Teppisti dei sogni. © Fonte CMP AGENCY ROSSANO

Oltre venti stand del gusto e la fiera degli antichi mestieri con la partecipazione delle aziende calabresi più prestigiose e delle migliori maestranze del Meridione, dai liutai di Bisignano ai panificatori di Cerchiara

Degustazioni in Senato

Bergamotto in Aula

«È stata una bellissima iniziativa per promuovere una delle grandi eccellenze della Calabria». È il commento soddisfatto del senatore del Pdl, Antonio Caridi, che ha organizzato presso la buvette del Senato una degustazione di dolci e bevande con il “Consorzio bergamotto della Calabria” per pubblicizzare l’agrume tipico della Provincia di Reggio Calabria. «La qualità del bergamotto calabrese ha caratteristiche uniche in Italia e nel mondo - ha aggiunto Caridi - e può essere utilizzato in diversi ambiti: alimentare, medico e cosmetico. In particolar modo recenti studi hanno dimostrato che bevendo spremute di bergamotto può essere abbattuto il colesterolo del 30%». Al termine della degustazione in Senato è stata regalata ai tanti senatori una boccettina di essenza al bergamotto. «È importante organizzare questi eventi per promuovere le eccellenze del Sud e - conclude Caridi - è significativo che abbiano partecipato con entusiasmo tanti senatori, anche di altri partiti, perché soltanto se si è tutti uniti è possibile rilanciare le straordinarie qualità del nostro meridione e della Calabria in particolare».

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sabato 9 novembre 2013

Il racconto sindacale Ottava parte

Per l’unità sindacale fondata sull’autonomia

Nella terra di origine a qualsiasi costo di Giuseppe Aprile

Una fase che ritengo caratteristica e determinante per il sindacato nel Sud, e di conseguenza di tutto il sindacato italiano confederale, è quella relativa a due tempi specifici degli anni sessanta. L’organizzazione della Cisl, a Reggio (il sistema di Reggio era caratteristico in tante aree del Sud), si basava maggiormente sullo sviluppo del tesseramento che aveva caratteristiche legate all’ossatura del mondo del lavoro. Nella Cisl di Reggio -parlo dell’esperienza diretta che ho vissuto- si procedeva a rilento in fatto di adesioni sindacali. In mancanza di grandi fabbriche e di rilevanti luoghi di lavoro, dove si potevano fare assemblee e portare la voce del sindacato positivo, le categorie più importanti erano costituite dai lavoratori con rapporto consolidato che era il pubblico impiego (statali, parastatali, scuola), enti locali, costruzioni, sanità e pensionati Inps. I metalmeccanici e i tessili, dopo il tentativo del “pacchetto Colombo”, erano importanti e poco presenti. C’erano pochi chimici all’Uniliq di S. Leo di Pellaro (Rc). Pochi erano i braccianti aderenti a Cisl e Uil. La stessa federbraccianti Cgil non era poderosa ma viveva con un apparato di circa ottomila iscritti, anche perchè concorrevano alla sua organizzazione molti apparati dei partiti di sinistra (socialisti e comunisti) che avevano ragioni politiche di organizzazione, dovendo fare i conti con le presenze cattoliche e democristiane, sul territorio. Nella Cisl avvenne un primo fenomeno quasi devastante con la costituzione delle commissioni comunali di collocamento. Queste resero appetibili le strutture rappresentative sul territorio di tutti i comuni. Molti si accostarono al sindacato perchè le strutture sindacali erano pure un fatto elettorale comunale sia per singoli dirigenti in vena di farsi strada in politica, sia per interi partiti che sull’assistenza sindacale costituivano parte consistente della loro rappresentanza. I segretari di Fisba e Uisba si diedero da fare e poterono utlizzare una ragione di interesse generale per avere rappresentanze sindacali sui territori comunali e frazionali. Non mancarono personaggi che si formarono fittiziamente tesseramenti per avere la moglie su loro concorrenti per la costituzione, nel comune, della Commissione comunale di collocamento. A Casignana precisamente -non lo dimentico maiuno della Uisba, che non aveva mai presentato tesserati, l’anno di insediamento della commissione che dava una forte rappresentanza sindacale, aveva inventato una ventina di iscritti ed il segretario provinciale della categoria, vantava spesso l’aumento poderoso degli iscritti a Casignana -dove mai la Cisl aveva avuto molto, oltre qualche dirigente e qualche pratica di patronato. In questo periodo, molte zone si dotarono di iscritti e nessuno aveva interesse a controllare chi fossero. Era biada per la cavezza di tanto “sindacato”; di quello che in prospettiva, nel futuro, avrebbe fatto crollare ogni forma di potere reale a favore dei lavoratori che restavano estranei al mondo sindacale: Il fatto più devastante avviene quando vengono attivate le deleghe per l’adesione sindacale del campo agricolo, del lavoratori iscritti agli elenchi anagrafici. Il gioco del potere era il seguente. Cinque anni di iscrizione agli elenchi anagrafici come precari dell’agricoltura, con un minimo di cinquantadue giornate lavorative, costituiva un anno utile per maturare il diritto, dopo cinque anni, alla domanda di pensione all’Inps per invalidità. Con l’indennità di disoccupazione si potevano pagare i contributi sia come salario assicurativo, sia come un minimo a favore della gente che usufruiva, sia, infine, per pagarsi l’iscrizione al sindacato. Le deleghe fecero scandalosamente gonfiare gli iscritti a Cisl e Uil che passarono da tre-quattromila ad una cifra che si aggirava vicinissima ai ventimila. La cosa non aveva inciso sulla Cgil perché questa organizzazione aveva una sua struttura territoriale che le garantiva anche una dignità sindacale, oltre che strumento di aiuto per i partiti di riferimento. La Federbraccianti, infatti, manteneva sempre quadri sindacali a pieno tempo e quindi fortificava sempre più, e sempre più re-

Una fase che ritengo caratteristica e determinante per il sindacato nel Sud, e di conseguenza di tutto il sindacato italiano confederale, è quella relativa a due tempi specifici degli Anni Sessanta

sponsabilmente, gli apparati sindacali; sia di categoria che confederali. Fisa e Uisba non avevano mai pensato al ruolo del sindacato che avrebbe comportato l’inserimento di quadri e, quindi, di strutture per costruire maggiore forza sindacale. “Un solo uomo al comando”, sostanzialmente, era il metodo che distingueva l’attività sindacale di queste due federazioni che procedevano per mettere in crisi gli apparati sindacali sui territori, potendo anche imporre, con la forze dei numeri, le dirigenze sindacali nella loro massima espressione. Cisl e Uil con l’enormità del tesseramento del settore braccianti, dove si viveva di precariato, imponevano la dirigenza che volevano alle confederazioni. Qui, o avevi sangue nelle vene e ti battevi per fare sindacato limitando al massimo l’imperversare di questi fatti numerici e clientelari nella vita sindacale, o avevi idealità e attaccamento al sindacato vero dei lavoratori, o venivi affondato dai numeri di quei settori e dai metodi di un sistema che vedeva l’imperversare di collocatori comunali, parenti ed amici diventare forze primarie del sindacato. E addio sindacato, per essere chiari, laddove non avevi forze, coraggio, volontà di arginare il sindacalismo che di sindacato non aveva alcunché. Ecco perché è la Cgil che resta la forza sindacale più affidabile per i lavoratori, unendo politica partitica e sindacato vero. Non è mai stato forte e giusto il sindacato nelle aree meridionali. Ovviamente questo dico se va ritenuto, e non dovrebbe essere diversamente, il sindacato come strumento di grande valore ai fini della tutela dei lavoratori nel posto di lavoro e nella società. Sia sulle questioni economiche, sia per quanto riguarda lo stato di diritto e di uguaglianza con gli altri cittadini tutti e tra lavoratori stessi in modo davvero che lo stato sia a norma di Costituzione e non, come nei fatti è ed è sempre stato, tra sfruttati e sfruttatori, protetti e dipendenti, sudditi e padroni, uomini e donne senza comuni diritti e comuni doveri. Il sindacato o è stato solo assistenzialistico, o solo Patronato di assistenza sociale in relazione a pochissime forme di tutela che sono marginali o funzionali alla difesa del potere dei forti e dei vincitori, secondo voleri tutelati da governi in fase di costituzione e operanti in fasi storiche dove si camminava verso il progresso, ma senza un progresso definitivamente raggiunto. È stato sempre un obiettivo la costruzione di un sindacato autonomo, unitario, di tutti i lavoratori indipendentemente anche dal loro credo politico o dalle convinzioni religiose. E devo registrare che in strada verso il miglioramento, più volte è comparsa la tempesta del ritorno al passato, dove le conquiste di una fase venivano retrocesse dalla successiva. Intere fabbriche, soprattutto nel Sud, vedi Omeca, hanno avuto vita solamente travagliata per mantenere livelli di occupazione, minacciati in continuazione a volte strumentalmente, altre seriamente, altre ancora per ragioni profondamente economiche


sabato 9 novembre 2013

Il racconto sindacale

Il comizio di Bruno Trenten a Reggio Calabria negli Anni Ottanta

ti rispetto ai problemi che poi vedevano la vicenda politica di fondo, più determinante e la costruzione del potere totale più dipendente dal gioco delle parti dove i lavoratori erano più deboli e più soccombenti rispetto al resto della società. Uno degli elementi più gravemente negativi, nella storia della evoluzione organizzativa dei sindacati, era dato dal fatto che si rimaneva troppo legati alla vertenza in atto senza badare al fatto più determinante che riguardava l’essere più ampiamente inteso della vita dello stato. Di questo, in futuro, i lavoratori avrebbero pagato prezzi assai gravosi. Forse irrisolvibili. Ma di questo si vedrà. Nel futuro dei lavoratori c’è sempre stata la debolezza della condizione storica delle organizzazioni sindacali che, a seconda dei periodi, segnavano limiti e grandezze relativamente al tempo ed ai luoghi delle operatività. Nel nostro paese c’era una grande differenza territorialmente ed in base alle categorie, per come in qualche modo stiamo già facendo vedere.

o politiche. Ci sono fabbriche e altri tipi di posto di lavoro dove sembravi abbonato a fasi di scioperi e di agitazioni per la mancanza di sicurezza del posto di lavoro, Mai una vera tranquillità per i lavoratori. Non mancavano minacce al solo fine di ricordare l’essenzialità di fiducia in politica, laddove si trattava di mettere, per fatto istituzionale, a giudizio la politica e i suoi rappresentanti. Anche le elezioni politiche o amministrative, a volte hanno subito interferenze dai potenti e venivano determinate rappresentanze poco giuste sotto la minaccia che altre sarebbero state peggio e, comunque, sempre in mancanza di alternative credibili e certe. Mai una scelta davvero fondata sui diritti e la vera democrazia. Sto parlando del sindacato su Reggio Calabria, ma sono a conoscenza del fatto che questa dinamica sia abbastanza diffusa nelle aree dove i lavoratori sono poco presenti nelle lotte sociali e politiche; dove il tessuto del mondo lavorativo è precario come qui da noi; dove il lavoro manca o è di una società senza ossatura di ferro: senza una forte dose di insediamenti lavorativi come al Nord, dove non c’è lo stato di disoccupazione e di sottosviluppo come nelle regioni meridionali. Tante volte mi dico che la mia vita è rimasta impegnata invece che nel sindacato per i compiti proprio suoi, per farlo il sindacato. Perché aveva una storia in costruzione. Da una parte vigevano le problematiche da affrontare e che riguardavano il mondo del lavoro, le sue dimensioni europee, il rapporto sindacato governo, sindacato controparti che erano quelle delle associazioni di categoria che organizzavano le imprese; dall’altra la sempre presenta questione della capacità e della maturità delle organizzazioni dei lavoratori che tramite il sindacano dovevano affrontare la maggior parte dei loro problemi. E trovavo sempre che quasi mai emergevano limiti nel comportamento delle organizzazioni che riunivano le imprese. Erano sempre astute, pronte ad attaccare e contrattaccare, mai in debolezza, quasi sempre protette dai governi di turno. Tutti i governi, quale più e quale meno, tendevano ad aiutare le parti contrarie ai lavoratori perché davano per scontato che gli altri avevano io soldi, il potere di fare o di non fare, di dare o togliere il lavoro. Quasi tutti erano del parere che i lavoratori avevano, in fondo, l’interesse a non guastarsela con le imprese di appartenenza perché le loro divisioni si attenevano a questioni particolari, di levature mediocre; quasi mai da lottare fino alla rottura. E non vedevo mai la consapevolezza dei sindacati rispetto alla necessità di tenere conto che nelle trattative il Ministero del Lavoro o più direttamente le forze del governo di più determinante livello, in effetti stavano dalla parte delle imprese che avevano più potere nei finanziamenti dello stato e dei governi stessi. La lotta era sempre un fatto parziale rispetto alle cose che determinavano il gioco delle forze in tutto e per tutto, la vertenza in atto del sindacato era da ritenersi una cosa come tra livelli meno consisten-

L’organizzazi one della Cisl, a Reggio, si basava maggiormente sullo sviluppo del tesseramento che aveva caratteristiche legate all’ossatura del mondo del lavoro

Grandi lotte nel Sud si sono sempre registrate nel mondo delle campagne agricole. Si trattava, però, delle fasi in cui la lotta era intesa unitariamente come fatto politico e fatto rivendicativo. La lotta per la terra non è mai stata squisitamente rivendicativa anche se a base di tutti era il possesso della terra e la maggiore consistenza è stata quando i contadini hanno preso atto che l’appartenenza della terra ai baroni non lasciava spazio alcuno alla gente dei campi che solo potendo gestire direttamente tutto quanto costituiva la questione terra-lavoro anche perché se la gestione restava ai latifondisti, non si sarebbe mai potuto applicare il metodo della utilizzazione intensificata del bene terra. Ed il tutto rimaneva nel soddisfare i bisogni ristretti al momento attuale e mai tenendo conto che più contadini richiedevano più terra e la questione dei ricavi on poteva venire ritenuta solo in funzione di un padrone che guadagnava quasi tutto nel mentre i lavoratori dovevano limitare le loro pretese ad una sorta di scambio tra lavoro e bene terra dove il lavoro era tutto e il pagamento era minimo, tanto poco che la fame dominava nel mondo rurale ed i bisogni delle famiglie restavano insoddisfatti. Gli stessi feudatari e i latifondisti capivano che il ricavato era solo la risultante della dinamica tra i fattori della produzione che erano il bene terra e ambiente e il lavoro prodotto. Era intuibile, e talvolta cosciente, che il ricavato era soltanto quanto di fatto avveniva tra padrone e lavoratori, nel mentre l’utilizzazione dei beni e della forza lavoro avrebbe potuto arricchire una nazione invece che costituire un mezzo per trarre alimenti per vivere secondo le abitudini e le tradizioni, invece che un capitale democratico e civile di cui avrebbe potuto beneficiario ,lo stato intero; qui8ndi tutta la società e non solo i protagonisti locali di una relazione che non poteva tener conto di quanto non si sapeva e non si capiva perchè il progresso sociale e lo sviluppo della democrazia politica ed economica ancora non avevano ancora posto nelle tematiche della società e dello stato. Si era ancora nel tema del rapporto concreto, storicamente individuabile, perché da una parte si vedeva il latifondista e le sue ricchezze e dall’altra i poveri contadini costretti ad una vita per ricavare solo l’utile per sfamarsi e tenere in piedi la famiglia le cui esigenze vere venivano scoperte più in là, nel tempo, per quanto la costruzione dello stato avrebbe assunto più vere e naturali dimensione e si sarebbe capito che dal rapporto di lavoro si sarebbe definitivamente colto il vero senso della ricchezza ed il ruolo dei beni nella totalità del loro valore. Importanti lotte hanno avuto anche luogo laddove la contesa era il distacco tra la condizione della famiglia ed il bisogno di uno sviluppo sociale e politico di fondamentale importanza. Sono rare le terre dove si sono registrati movimenti di lotta sindacale e sociale per l’uomo che cresceva ed i cui bisogni si socializzavano sempre più e si relazionavano con la vita dei mercati e degli scambi che essa presupponeva rilevare l’importanza storia dei movimenti che andavano lasciando alle spalle i periodi in cui la gente soccombeva, accettava, sgobbava e nulla si muoveva. Possiamo dire che anche la lotta sociale col passare del tempo, si affermava per quello che era e sarebbe maggiormente stata in futuro, quando la costruzione di una società democratica e fondata sul lavoro e sull’uguaglianza, avrebbe maturato la coscienza del diritto e il capovolgimento delle logiche dove per una sorta di fatto naturale c’era chi comandava e possedeva, e chi guardava e stava sotto. Il diritto si doveva affermare come fatto di massa. Siamo in momenti in cui molti limiti di registravano, ma non certamente fino al punto di non valorizzare i successi delle lotte e la maturazione della volontà dei lavoratori per una società più giusta e più umana. continua...

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sabato 9 novembre 2013

Esigenze in comune Incontro culturale promosso dalla Daniela Garofolo Abbiamo ascoltato una delle promotrici, l'avvocato Alessandra Giudice

Generazioni a confronto Ufficialmente Castrolibero (Cs) conferma la sua apertura alle Associazioni non solo del territorio, strettamente della cittadina, ma anche del Cosentino con l’inaugurazione di uno sportello “Centro di ascolto e di accoglienza”. Promozione di un incontro culturale promosso dalla dottoressa Daniela Garofolo nella giornata del 30 ottobre, presso la Sala delle associazioni. Abbiamo ascoltato una delle promotrici che è l’avvocata Alessandra Giudice sul tema “Il valore dell’intergenerazionalità. Generazioni a confronto”. Hanno partecipato ai lavori Orlandino Greco, presidente del Consiglio provinciale, già sindaco della città, Concetta Palazzo, presidente dell’associazione e Lucia Nicosia, direttrice del Centro; ha partecipato anche Luca Gigliotti, già presidente del Consiglio comunale di Castrolibero e Ileana Illuminato. La dottoressa Giudice ripercorre le problematiche che attraversano i “giovani” degli Anni Settanta che rappresentano un problema e paiono essere una generazione un poco sfortunata, tra crisi esistenziale e disoccupazione costretti ancora come i nostri bisnonni a rifare la valigia di cartone per emigrare all’estero. Dalla relazione della Garofolo si comprende come per «intergenerazionalità s’intende lo spazio relazionale all’interno del quale le diverse generazioni hanno l’opportunità di confrontarsi con la dimensione del dialogo, mettendo “in comune” il mondo di significati in cui ognuna è immersa e portatrice; per dialogo s’intende un sano e paritario interscambio dialettico tra le generazioni, un confronto tale da determinare il miglioramento di tutti i soggetti. Una vera e propria crisi di tale “spazio” denuncia un distacco tra le generazioni, come se ognuna vivesse di vita propria, indipendentemente dalle altre; tuttavia risulta anche evidente come sia diffuso un eccessivo “attaccamento” tra le stesse, così come esemplificato dai casi sempre più frequenti in cui i genitori diventano amici dei figli. Sembrerebbero, queste, conclusioni contraddittorie, eppure il velo dell’inconciliabilità cade nel momento in cui si evidenzia il comune denominatore di entrambe, ossia, l’assenza di comunicazione, di dialogo. La dimensione del dialogo viene meno sia nel caso in cui tra le “parti in causa” non è reso possibile il confronto, sia nel caso si realizzi un eccessivo appiattimento tra di esse giacché non può essere ammissibile una dimensione dialogica, un sano e libero dialogo tra le generazioni se ognuna non si distingue dall’altra come è giusto che sia. Non esiste dialogo che non si basi sulla differenza degli “elementi” che ne fanno parte semplicemente, poiché solo attraverso la difesa delle proprie specificità sono possibili l’incontro e il sano conflitto che permette la crescita, il miglioramento di ognuno». Gli stralci della relazione, che abbiamo riportato, sono stati elaborati dall’associazione e tratti da un progetto sul tema del Convegno, che ogni mercoledì viene portato avanti con gli utenti che vogliono

Le aderenti Lucia Nicosia, Concetta Palazzo, Alessandra Giudice e Daniela Garofalo

Castrolibero conferma l’apertura alle associazioni non solo del territorio strettamente urbano ma anche del Cosentino con l’inaugurazione di uno sportello “Centro di ascolto e di accoglienza”

usufruirne. Cerchiamo, dice la Giudice, di fare entrare in relazione i vari utenti di fasce di età diversa per uno scambio positivo tra le diverse età. I giovani possono dare un contributo agli anziani aprendo un mondo digitale di cui loro sono nativi, insegnando i rudimenti dell’informatica. Le riunioni, ci dice l’avvocata Giudice, si terranno settimanalmente a partire dalle 16,00 del pomeriggio presso la Sala delle Associazioni di Castrolibero e lo scopo è quello di dare voce anche all’utenza del luogo incitandoli allo scambio. Sul territorio c’è molta gente sola aggiunge la Giudice, ciò confermato anche dal sacerdote della parrocchia Santa famiglia di Andreotta, presente alla serata, e che la domenica cerca, a volte, di aiutare invitando a un pranzo collettivo i più soli e per trascorrere delle ore assieme. Ecco che allora creare una rete potrebbe non solo favorire le associazioni che fra loro andrebbero a consolidare un’esperienza, ma anche andrebbe a favorire uno scambio importante, tra generazioni. L’avvocata Giudice è segretaria dell’associazione ed ha espresso il suo parere sul tema del convegno, che ha registrato una sala piena di gente, augurandosi che questo progetto possa dare dei frutti su quelle persone che incontrano ostacoli comunicativi con le generazioni precedenti e/o posteriori e che possano assieme trovare delle soluzioni ai problemi, che soffocano le personalità come la disoccupazione e la solitudine che colpisce le fasce più avanti negli anni. Di fatti nella relazione della dottoressa Garofalo si esprime al riguardo: «Promuovere l’invecchiamento attivo significa valorizzare l’importanza, che gli anziani hanno nei confronti delle altre generazioni, promuovere una vita attiva e non marginale nella società; agli anziani spetta il compito di tramandare tradizioni, significati e non è poco considerando che la tradizione è l’insieme di significati che l’uomo, attraverso il continuo interrogarsi, ha dato al mondo; le giovani generazioni hanno il dovere di salvaguardare il legame con il passato ascoltandolo, facendolo proprio e rielaborandolo criticamente, liberamente, secondo le proprie specificità; solo in questo modo sarà possibile costruire un futuro, che si alimenta del continuo dialogo con il passato. La società tutta dovrà attivarsi, affinché, sia riconosciuta agli anziani la grande valenza formativa nei confronti delle giovani generazioni, e gli anziani stessi dovranno prendere consapevolezza della loro indiscutibile importanza. Prendere consapevolezza dell’importanza di un dialogo intergenerazionale significa anche prendere atto degli elementi di stato di conflitto che vi sono insiti in modo da imparare a gestire le contraddizioni, a non coprirle bensì a riconoscerle e risolverle. Al fine di garantire una serena relazione tra le parti sarà importante individuare e rimuovere gli stereotipi che le accompagnano»s. Lucia De Cicco


sabato 9 novembre 2013

XXI

Un sentimento che non si risparmia In Cattedrale l'apertura dell'anno pastorale della Diocesi di Cassano all'Jonio

Siete la speranza Servite il prossimo per amore

Essere al servizio del prossimo impostando ogni azione pastorale «su un amore che si spende, non si risparmia, non fa calcoli». Perché «senza questo tutto ciò che facciamo non serve a niente». Monsignor Nunzio Galantino, vescovo della Diocesi di Cassano all’Jonio, in apertura dell’anno pastorale ha accolto in cattedrale circa 300 tra catechisti ed operatori liturgici e della carità attivi nelle parrocchie diocesane, ai quali ha conferito il mandato di servire la Chiesa particolare cassanese, ricordando che «Dio non ci ha dato i resti, ma tutto perché noi fossimo salvi». Un compito chiaro e semplice quanto impegnativo e stimolante quello affidato a laici e sacerdoti, religiose e religiosi, chiamati ad essere testimoni dell’Amore con «gesti concreti», che passano dal «liberare gli orecchi dal chiacchiericcio» per riempirli «di silenzio capace di dire parole sensate», al «purificare il palato da banalità insipide e arricchirlo di relazioni belle, sapendo contemplare il volto di Dio» nella preghiera. È un richiamo all’unione, quello di monsignor Galantino, racchiuso nell’invito agli operatori pastorali a servire le comunità di appartenenza. «Guai a pensare di essere il meglio che esista», ha detto il vescovo: «Questo atteggiamento fa insorgere in sacerdoti e laici la presunzione che conduce alla morte di se stesso e della sua comunità». Il presule, prendendo spunto dalla Parola di Dio proclamata nella solenne liturgia di mandato, ha ricordato che «tutti noi veniamo qui per recuperare energie nuove, con una intelligenza nuova, una spiritualità nuova. Nessuno si senta battitore libero», ma come Chiesa si prenda «consapevolezza delle diversità che la rendono bella e trovano una unica via nella Parola di Dio». Perché è Cristo, ha tenuto a sottolineare il vescovo, «la via che fa essere ciò che facciamo salvezza per noi e per gli altri». E la salvezza è la dimensio-

Monsignor Galantino conferisce il mandato agli operatori pastorali

ne dell’uomo «in pace con il proprio progetto di vita». Indicata anche la strada per realizzare l’obiettivo prefissato: «Una comunità diocesana che cammina in unione. Entrare per la porta stretta vuol dire scegliere la via della Croce: impostare tutto su un amore che si spende, non si risparmia, non fa calcoli». Nel gesto di chiamare ad una ad una le comunità parrocchiali che compongono la Diocesi c’è il senso di «essere chiamati alla responsabilità singola e comunitaria. Su questa responsabilità che viene dal Signore noi ci impegniamo. E preghiamo lo Spirito affinché venga in aiuto alla nostra debolezza». Concludendo, monsignor Galantino ha rivolto un attestato di stima e fiducia agli operatori pastorali diocesani: «Siamo fieri di voi: siete la nostra speranza. Vi affidiamo alla tenerezza del Signore e alla grazia dello Spirito Santo che vi ha chiesto di essere presenza e voce della sua Parola di salvezza». Il vescovo Nunzio Galantino Sopra e sotto: i presbiteri durante la funzione e gli operatori pastorali presenti


XXII

asabato 9 novembre 2013

Pillole di fede Libro redatto dal professore Vincenzo Bova, Carocci editore

Il cattolicesimo all’italiana di Lucia De Cicco

Cattolicesimi d'Italia. Un'identità religiosa è il titolo del testo redatto dal professore Vincenzo Bova, Carocci editore. Sette capitoli più le conclusioni, che vogliono racchiudere ciò che il Cattolicesimo ha rappresentato in questi anni da prima del Concilio Vaticano II ai Movimenti, con l’avanzare della secolarizzazione, che ha toccato la società facendo trovare in minoranza la Chiesa con i grandi referendum su aborto e divorzio nell’Italia Cattolica. I movimenti si connotano tutti come un momento di protesta verso il grande cerchio che è dato dal Colonnato della Verità in cui tutto pare essere, nell’epoca preconciliare, con pochissime aperture. Con Giovanni XXIII, che apre al mondo, si prosegue con più forza con gli innumerevoli viaggi intrapresi da Giovanni Paolo II: «Possiamo cominciare con il dire che quella postconciliare è una Chiesa in cui i punti di apertura al mondo sono più diffusi. È una Chiesa più riflessiva, in cui l’adesione non e più meccanica ma esito, il più delle volte, della maturazione di una scelta personale frutto talvolta di uscite e rientri» (pagina 25); e ancora: «Si tratta (...) casi di aggregazioni che si pongono in situazioni di liminalità rispetto all’istituzione ecclesiastica; fuori dalla Chiesa ufficiale, da cui si differenziano ma da cui traggono le radici del loro modello di credenza». Il giudizio sulle conseguenze, che il Concilio Vaticano II e il pontificato di Giovanni XXIII avranno sulla presenza della Chiesa nella società italiana, porteranno a dire che in seno alla Chiesa non nacque un maggior ardore di carità. L’aggiornamento di Papa Roncalli finì con l’essere quello che Jacques Maritain chiamò «inginocchiarsi innanzi al mondo». Nel testo è preso come segno semplificativo, del tutto, il movimento di Comunione e liberazione, secondo il pensiero del sociologo Francesco Alberoni, che sintetizza il movimento come uno dei tanti nati per affermare il dissenso cattolico, ma che appunto perché guidato da un sacerdote, don Giussani, seppe resistere alle spinte marxiste, dove molti movimenti alla fine sfociarono, e rimanere radicato al Papato. Il principio di unità dei vari movimenti è che si caratterizzano per la loro unione alla figura del vescovo, che rappresenta il punto di aggregazione di ciascuno di essi. Tuttavia, il testo affronta i vari cambiamenti che una Chiesa forse in ritardo nei tempi deve porsi davanti così come il cristiano nel suo impegno sociale e, a volte, anche politico; scarsamente si ricorda che il presupposto fede non è poi così scontato come scontato sia per il cattolico che tutti vivano la fede così come nel passato. In realtà non è così! Vari ambiti della società sono ormai secolarizzati o con profonde crisi di fede. Uno sguardo il testo lo dedica al Cattolicesimo in politica che ha caratterizzato l’epoca della Prima Repubblica, ma cede nel tempo il passo alla solidarietà, quindi oggi i cattolici rimangono in quell’humus sociale caritativo e solidale. Nascono due visioni quindi del Dio che è una nella visione del mistero dell’interezza eucaristica in cui si manifesta, l’altra si concreta anche nel prossimo, umanamente ispirato verso l’altro come dono del proprio agire. Qui il riferimento a madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo II che intravvedono la loro opera nel mondo come dono per Gesù. Nel testo, da San Paolo a Papa Francesco, ciò che si avverte è che il pluralismo che c’è nella Chiesa è evidente, ma che, tuttavia, non si tratta ad oggi di stabilire la coerenza e la santità dei laici nel contesto Chiesa; il problema vero consiste nell’avere dimenticato l’essenza stessa del cristianesimo e che Bergoglio afferma nella sua prima omelia diretta proprio all’Istituzione: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non

Sette capitoli che vogliono racchiudere ciò che questa fede ha rappresentato in questi anni da prima del Concilio Vaticano II ai Movimenti, con l’avanzare della secolarizzazione, che ha toccato la società facendo trovare in minoranza la Chiesa

confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo un’ong assistenziale, ma non la Chiesa [...]. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio». Nel testo si avverte un processo Chiesa che sta andando verso il mondo, a volte, dimenticando di ripetere quelle regole, che sopravvivono in poche opere di pietà popolare e che in alcune zone esistono, ma che sono fortemente a rischio. «E allora il messaggio, il contenuto della comunità cristiana si svilisce: in pacifismi senza sacrificio, in ecologismi senza natura, in spiritualismi aridi, in giochi senza significato, in risate fatte per dimenticare, in opere effimere» (pg. 55); e ancora: «Appare oggi evidente quanto notevoli siano i passi da fare perché il laicato cattolico, anche quello più impegnato, corrisponda all’auspicio del cardinale John Henry Newman, ricordato da Benedetto XVI: “Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo cosi bene da dare conto di esso, che conoscono cosi bene la storia da poterlo difendere”». Segue nel testo la frammentazione che caratterizza l’universalità della Chiesa con il termine ricorrente di secolarizzazione o scristianizzazione, che non sappiamo ben definire se leggiamo, però, sotto un’altra lente ciò che accade in questi ultimi mesi con la grande folla che esiste nelle udienze di Piazza San Pietro e anche nel mondo come in Brasile con la Gmg, quindi i cattolici qui appaiono visibili e ancora con un bisogno di fede. Assistiamo, dunque, a un crescente incuriosire della religione, che appare un bisogno quasi razionale del nuovo credente e cattolico, che ha necessità di affidarsi a qualcuno, che sia professionalmente competente. Ogni realtà dunque deve accettare la sfida di essere presente di accendere il proprio carisma originario, che proponga quel senso della carità che sembra scomparso attraverso il “sacrificio”. Nelle conclusioni si affrontano i temi che hanno riguardato il passo incredibile fatto da Benedetto XVI di lasciare il soglio petrino. Un puzzle, così lo descrive Vincenzo Bova, che incuriosisce e porta a interrogarsi e tutto sommato, come i bambini, abbozzare le prime idee nel processo di comprensione di un qualcosa, che non è del tutto chiaro tranne che per un ristretto numero di persone che l’autore denomina “piccolo resto d’Israele”.


sabato 9 novembre 2013

Atmosfera mistica

Il sogno di Maria Presepe vivente a Macchia di Spezzano Piccolo (Cs) Il 26-27-28-29 dicembre

Il Presepe ha una storia molto antica e affascinante. Il termine “Presepe” ha avuto origine dal latino “praesepium” che significa “mangiatoia” e, per estensione, “grotta”. Volendo lasciar correre su quanto si è scritto sin da tempi remoti, e non perdersi nei meandri delle tante teorie di credenti e no sulle sue origini, la cosa certa è che padre fondatore di quest’emozionante evento è san Francesco che nel Natale del 1223, e con l’aiuto della popolazione del luogo, ha voluto ricreare quella mistica atmosfera del Natale di Betlemme e che ancora oggi continuiamo a chiamare “presepe vivente”. Sono tantissimi i presepi che ogni anno serpeggiano per vecchie viuzze di migliaia di paesi e borghi d’Italia, e in ognuno vi si trova parte della realtà del luogo: dai mestieri, alle arti di un tempo, dagli odori ai sapori e così via. In questo genere di Presepi, da me organizzati (vincitori di tre migliori Presepi Viventi d’Italia), albergano, oltre a quanto prima citato, le tradizioni con i loro canti, filastrocche e storie di vita di un tempo. Il tutto recitato da: operai, studenti, medici, contadini... insomma, da gente che, per quelle serate diventa un tutt’uno con i personaggi di quel borgo dai tempi andati; riuscendo a trascinare, anche il visitatore poco attento, in quel meraviglioso sogno dal quale vorrebbe non svegliarsi mai, perché: nel chiuso di quelle viuzze, regna un mistero che non lo abbandonerà mai. Rocco Chinnici

Recitato da operai, studenti, medici, contadini... insomma, gente che, per quelle serate diventa tutt’uno con i personaggi di quel borgo dai tempi andati; riuscendo a trascinare anche il visitatore poco attento

Pagine dal gusto dolceamaro

Strade che incrociano l’amore Vincitore dei principali premi letterari greci, Il sentiero nascosto delle arance di Ersi Sotiropoulos, tradotto in Germania, Francia, Spagna, Svezia, Inghilterra e Sati Uniti, si propone come romanzo che cattura immediatamente l’attenzione richiamando alle atmosfere di Fellini e dispiegandosi con l’immaginario di Moravia e, se volgiamo, anche con l’intensità narrativa di Marguerite Duras. Tant’è che El Paìs lo raccomanda come «uno splendido romanzo», mentre Le Monde definisce l’autrice «una voce nuova, melodiosa e penetrante, intrigante e inquietante, con cui ci si deve confrontare». Insomma un romanzo da leggere tutto d’un fiato. La storia si colloca in una afosa tipica estate greca di fine Anni Novanta, dove i destini di quattro personaggi solitari, inquieti e stravaganti, mossi dal vago anelito di cambiare le loro vite, si intrecciano. Un misterioso virus sta consumando Lia, che vive reclusa e senza alcun contato con l’esterno in un ospedale di Atene, circondato da magnifici alberi di arance. L’unico contatto rimastole è quello con il fratello Sid, uomo tedioso, poco socievole e schivo, mentre il suo peggiore nemico è Sotiris, un infermiere di quel luogo di

dolore che non le risparmia insolenze e maltrattamenti, al punto da farle meditare una vendetta in piena regola. Altro personaggio di rilievo è la giovanissima Nina, ragazzina irriducibile e ribelle, che vorrebbe evadere, mal tollerando di restare a muffire nel noioso villaggio di pescatori dove sta trascorrendo le vacanze. Sarà proprio in questo luogo dove il tempo non passa mai ad entrare in contatto con lei Sotiris, rimanendo folgorato dalla sua straordinaria bellezza di donna mediterranea. Le strade, solo apparentemente distanti, potrebbero non avere mai punti di contatto, ma il denominatore che li accomuna e li lega: un insopprimibile bisogno d’amore, al di là delle loro fragili volontà e delle loro piccole manie, sarà il collante delle loro vicende di solitudine e ricerca di affetto. Su questo indizio, la scrittrice greca costruisce una trama commovente e intensa, dal gusto dolceamaro delle arance del sentiero nascosto delle loro travagliate anime. Il sentiero nascosto delle arance di Ersi Sotiropoulos Ed. Newton Compton pag. 256 - euro 8,00 Giusy Cuceli

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