Anno 37 - 11 Maggio 2013 - Numero 19
Settimanale indipendente di informazione
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II
sabato 11 maggio 2013
Scuole calabresi in vetrina
Valigia e libri in mano Gli studenti e il dirigente del liceo “Galileo Galilei” di Lamezia Terme
Il liceo scientifico “Galileo Galilei” di Lamezia al Salone internazionale del libro di Torino
Nella foto sotto Caterina Calabrese
E’ stato presentato presso il liceo scientifico statale “Galileo Galilei” di Lamezia Terme il progetto culturale Travel game: “Le scuole calabresi in vetrina al Salone internazionale del Libro di Torino” ideato dall’associazione culturale “La Movida” che avrà come protagonisti gli studenti di diverse scuole calabresi. Il liceo lametino ha accolto con grande interesse l’invito a partecipare al viaggio d’istruzione aperto a più scuole che partiranno contemporaneamente alla volta di Torino in occasione di un imperdibile appuntamento con la cultura: il Salone internazionale del libro di Torino nel corso del quale si svolgerà un emozionante confronto tra gli studenti presenti che gareggeranno grazie all’utilizzo di moderne pulsantiere wireless (strumentazione Ars Power) rispondendo a domande concordate con i docenti. Gli alunni potranno socializzare conoscendo i loro coetanei provenienti da altre province calabresi e visitare la città di Torino ricca di musei e monumenti. Al Salone internazionale del libro di Torino una delegazione di studenti del liceo accompagnati dai docenti Raffaele Gaetano, Caterina Destito e Gino Varrese, visiteranno il padiglione della Regione Calabria quest’anno ospite d’onore del Salone e parteciperanno ad un incontro nel corso del quale sarà presentato il libro Il Castello di Arena. Storia, arte e cultura scritto dalla dirigente Caterina Calabrese che ha commentato così questa opportunità per la sua scuola: «I viaggi di istruzione sono occasione straordinaria di conoscenza e di socializzazione, nonché di approfondimento culturale solo se organizzati in funzione delle attività didattiche, con mete mirate e ben precise, rappresentano un’opportunità per misurare quanto si è appreso fra i banchi di scuola. Non bisogna ritenerli come interruzione delle attività didattiche ma come attività integrative che rientrano a pieno titolo nell’iter formativo degli studenti. Nella fattispecie, il viaggio a Torino, al Salone internazionale del libro rappresenta un’occasione di arricchimento culturale e professionale da non perdere, perché occasione unica per scoprire autori diversi in un luogo che non è la scuola, ma un salone, una fiera, dove, per la vastità delle proposte, ci si può fare un’idea di quante risorse ci sono nel mondo. La curiosità di conoscere un autore, di sapere cosa tratta questo o quel libro, non può che rappresentare uno stimolo in più alla lettura e quindi alla conoscenza. In quest’ottica si colloca la presentazione del mio libro, Il
«I viaggi di istruzione sono occasione di conoscenza e socializzazione, nonché di approfondimento culturale Solo se organizzati in funzione delle attività didattiche, con mete mirate e ben precise, rappresentano una opportunità per misurare quanto si è appreso fra i banchi di scuola»
Castello di Arena. Storia, arte, cultura con l’obiettivo di far conoscere la nostra terra, la Calabria e in particolare i piccoli centri come Arena ricchi di storia, di arte e di cultura. Mi sembra questo un esempio di conoscenza e di arricchimento culturale al di là dei banchi di scuola, di stimolo alla lettura per conoscere ciò di cui a scuola non si parla! Mi congratulo con l’associazione culturale “La Movida” per aver organizzato il progetto didattico Travel game che ha saputo mettere insieme tante belle proposte innovative per gli studenti. Travel game anticipa i tempi in materia di viaggi unendo la cultura a nuove forme di coinvolgimento degli studenti attraverso l’utilizzo di nuovi sistemi tecnologici, con test, domande, giochi intelligenti, iniziative divertenti che, attraverso l’aspetto ludico, misurano il grado di conoscenza degli studenti stimolandoli a fare di più e a migliorarsi là dove incorrono in errori. Conciliare divertimento e apprendimento, cultura e tecnologia è il metodo nuovo a cui devono guardare i docenti per meglio relazionarsi con le esigenze degli studenti di oggi. Ho notato con grande piacere, nella simulazione effettuata nel nostro istituto, con quale entusiasmo hanno partecipato i ragazzi alla gara, con quale spirito di squadra! Perchè c’era competizione positiva e un premio in palio! Quando la competizione paga, lo spirito di squadra è più compatto e coeso per il raggiungimento dell’obiettivo. E’ quello di cui abbiamo bisogno in Calabria!». Per coloro che volessero maggiori informazioni possono consultare il sito: www.travelgame.it oppure scrivere una mail all’indirizzo travelgame@planet-multimedia.it.
sabato 11 maggio 2013
Un tiro di salute Al Liceo classico “Bernardino Telesio” di Cosenza iniziativa promossa con la Lega vita e salute
Liberi di non fumare
Il liceo classico “Galluppi” di Catanzaro promuove
Progetto “Gutemberg” amore e lettura Il Liceo classico “Pasquale Galluppi” di Catanzaro, diretto dalla dirigente Elena De Filippis, è promotore del progetto “Gutenberg” allundicesima edizione, che avrà inizio il 20 maggio e si concluderà con la Fiera del libro, della musica e della multimedialità sul tema: “Vedi alle voci: amore e libertà”, che si svolgerà dal 20 al 25 maggio 2013 a Catanzaro e nelle altre province calabresi riproponendo uno schema che consente lampia partecipazione della scuola regionale. Il Liceo ha accolto con interesse linvito a partecipare al Travel game: “Le scuole calabresi in vetrina al Salone internazionale del libro di Torino” ideato dallassociazione culturale “La Movida” che avrà come protagonisti gli studenti provenienti da tutta la Calabria, Regione ospite donore. Si tratta di un innovativo progetto didattico e culturale: un viaggio distruzione aperto a più scuole che viaggeranno contemporaneamente alla volta di Torino in occasione di un imperdibile appuntamento con la cultura: il Salone internazionale del libro di Torino nel corso del quale si svolgerà un emozionante confronto tra gli studenti presenti con domande concordate con i docenti. Gli alunni potranno socializzare conoscendo i loro coetanei provenienti da altre province calabresi e visitare la città di Torino ricca di musei e monumenti. Al Salone internazionale del libro di Torino una delegazione di studenti del Liceo classico “P. Galluppi” accompagnati dalle docenti Margherita Toraldo e Angela Anania visiteranno il padiglione della Regione Calabria, 350 mq con un bookshop, shopping dei sapori, area relax, mostra sulla tipografia storica calabrese XVI-XXVII secolo e incontreranno molti autori mettendo in evidenza le peculiarità del progetto Gutenberg nato nel 2003 per accrescere nei giovani lamore e il gusto per la lettura e la conoscenza e per integrare il più possibile i percorsi didattici con i percorsi di lettura. «Il nostro obiettivo - ha spiegato la professoressa Toraldo - è promuovere la disponibilità e lattitudine alla lettura, strumento indispensabile per comprendere la realtà e se stessi; potenziare attraverso la lettura leducazione alla cittadinanza e alla legalità; migliorare le competenze linguistiche, le capacità di espressione e organizzazione del pensiero; sviluppare lattitudine a leggere anche in gruppo come momento privilegiato di socializzazione».
Un progetto innovativo che affronta la problematica della dipendenza da fumo non soltanto sotto il profilo medico-scientifico, ma attraverso un percorso formativo didattico che non si limita al semplice trasferimento di nozioni
“Liberi di fumare, ma anche di non fumare”, è lo slogan del Progetto di promozione della salute che il liceo classico “B. Telesio” con il supporto dell’associazione “Lega vita e salute” ha esposto agli studenti del prestigioso liceo cosentino. Un progetto innovativo, che affronta la problematica della dipendenza da fumo di sigaretta non soltanto sotto il profilo medico-scientifico, ma attraverso un percorso formativo didattico che non si limita al semplice trasferimento di nozioni, ma ad un approccio partecipativo dei ragazzi con il relatore, che però ama definirsi «un “animatore”, colui che si colloca in mezzo ma non al di sopra, il cui ruolo è quello di coinvolgere a un dibattito condiviso». A parlare è Paolo Luciani, conosciuto pianista della città, responsabile per la Calabria della Lega vita e salute, che con il preside dell’istituto, Antonio Iaconianni, hanno pensato di concretizzare un’ ambizione comune: una scuola in cui il tema del fumo non è governato da regole, controlli e sanzioni, ma da uno scambio di opinioni, di espereinze, e soprattutto dalla consapevolezza. Con questa propulsione per dieci giorni, tutti gli studenti del 1° e del 2° anno, divisi in tanti gruppi di circa 30 ragazzi, hanno avuto la possibilità di ascoltare e chiedere, di approvare e criticare, con matura serietà ma anche sorriso spensierato, centrando in pieno l’obiettivo del progetto: attivare un processo di dialogo sereno che non termina con questi dieci giorni di lavoro, ma che è ormai una costante per i prossimi anni, estendendosi a tutti gli studenti dell’istituto, principalmente i nuovi iscritti provenienti dalla scuola media; questi troveranno i compagni più grandi che proporranno non più quel messaggio implicito “a scuola siete liberi di fumare” ma quello esplicito “in questa scuola siete liberi di non fumare”. Al termine degli incontri i ragazzi sono stati poi stimolati a esprimere le loro considerazioni, e anche le aspettative dalla scuola. Tutti hanno stabilito con convinzione che la sigaretta non è semplicemente una “forma di atteggio” come credevano, ma una vera e propria forma di dipendenza. Riferisce Chiara del 1° liceo: «Non avevo mai considerato che questo minuscolo oggetto, la sigaretta fosse una vera minaccia alla mia libertà, finora l’avevo associata ad una forma di emancipazione. Fumare non è un “vizio” ma una “dipendenza e ringrazio la scuola per avermi informato”». «L’opinione che fumare fosse un “vizio”» ci spiega Paolo Luciani, «ha resistito per molti anni, più di quanto non sia avvenuto per l’alcol. Questo approccio del tutto moralistico ha impedito per molti anni di definire in termini chiari il problema. D’altro canto un aspetto caratteristico dei comportamenti da dipendenza è paradossalmente la negazione della dipendenza stessa. Infine un aspetto che concerne il contesto sociale. Non vi sarebbe dipendenza da sostanze se queste non fossero reperibili e disponibili. Tabacco e alcol sono le droghe più disponibili in assoluto». Una splendida iniziativa quella del preside Iaconianni, che avvalendosi della Lega vita e salute, che opera nella prevenzione dal fumo fin dal 1952, è riuscito a offrire agli alunn del Telesio una opportunità in più, che certamente arricchisce la formazione della persona, dell’individuo, ma anche possibilità di un grande dono: essere liberi dal fumo.
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Uniti contro la droga
Di stupefacente abbiamo già la vita
Termina “Cento per tutti... liberiamoci dalle dipendenze” Un Osservatorio epidemiologico per il monitoraggio del fenomeno delle dipendenze sarà istituito in collaborazione tra Regione Calabria ed Unicri, istituto dell’Onu che si occupa della ricerca sul crimine e la giustizia e lavora in stretto collegamento con l’ufficio delle Nazioni Unite contro droga e crimine. L’annuncio è stato dato dalla project manager dell’Unicri Alessandra O’Neil, la cui presenza a Cosenza, al cinema Italia “Aroldo Tieri” per partecipare alla manifestazione conclusiva del progetto “Cento per tutti…liberiamoci dalle dipendenze”, è stato il premio più significativo per gli organizzatori e per le scuole superiori cittadine che ne hanno reso possibile la realizzazione. L’ importante annuncio della O’Neil suona quale riconoscimento non solo al singolo progetto, ma pure ad un impegno più complessivo che enti pubblici ed associazioni di volontariato stanno spendendo da anni nella nostra regione per dare risposte al preoccupante fenomeno del dilagare del fenomeno delle dipendenze da droga, alcol, fumo, ma anche gioco d’azzardo, abuso di internet, tv, cibo. Colorata dell’arancio delle magliette la platea, composta, oltre che da docenti, da decine di studenti del Liceo classico “Bernardino Telesio”, del Liceo psico-pedagogico “Lucrezia della Valle”, dell’Istituto professionale di Stato per i servizi sociali “Leonardo da Vinci”, del Liceo scientifico statale “Enrico Fermi”. Il progetto “Cento per tutti” è stato realizzato dall’associazione volontari del Delfino e dal Comune di CosenzaSettore Welfare, con il supporto di Regione Calabria ed azienda sanitaria di Cosenza. In quattro anni ha coinvolto attivamente circa 900 ragazzi tra i 14 e i 20 anni, ma anche famiglie, insegnanti, esperti di varie discipline. E’ seguita la presentazione, a cura del volontario Pietro Spadafora, dei lavori finali, produzioni creative degli studenti nell’ambito del concorso “Spot and Go…un’idea giovane per i giovani”. Gli alunni dell’Ipss hanno realizzato un corto di qualche mettendo i scena scorci di vita significativi per rac-
contare un percorso negativo che, troppo spesso, imboccano i ragazzi più fragili. Una significativa canzone su ritmo rap è lo spot pubblicitario ideato dagli alunni del Classico. Hanno invece privilegiato, quale mezzo di comunicazione, una serie di vignette gli studenti del “Della Valle”. Suggestive immagini e musiche, insieme ad una approfondita riflessione del priore di Bose Enzo Bianchi, nel messaggio dei liceali del Fermi. La parola è passata alla dottoressa O’Neil che si è dichiarata commossa per la qualità dei lavori ed ha volentieri risposto alle domande degli studenti. «La mia presenza qui -ha detto- vuole significare l’attenzione che l’Unicri riserva non soltanto ai Paesi in via di sviluppo ma anche alle realtà occidentali che maggiormente sono impegnate su tematiche di prevenzione di fenomeni perniciosi soprattutto per le giovani generazioni». Infine, la targa premio per le scuole partecipanti e gli studenti, i cui lavori sono stati ritenuti tutti egualmente meritevoli dalla Commissione giudicatrice, con la seguente motivazione: «Per aver voluto rivolgersi ai loro coetanei, con originalità ed impegno, attraverso messaggi di avvertimento ed incitamenti costruttivi riguardo al diffondersi delle dipendenze, additate quali falsi miti da rifuggire per privilegiare i valori della vera amicizia, della vita, della libertà. Le espressioni comunicative sono state diverse e tutte apprezzabili per fantasia, creatività, generosità di intenti». E, dopo le targhe-ricordo di oggi, nei prossimi giorni le scuole riceveranno strumentazioni varie, scelte da ciascun istituto secondo le proprie esigenze. Nel corso della mattinata anche la toccante testimonianza di un giovane che per droga ha rischiato di morire. Per finire, la frase, contenuta in uno dei lavori degli studenti e ricordata da don Vergara quale monito ed incitamento. “Di stupefacente abbiamo già la vita, non c’è bisogno di altro”.
sabato 11 maggio 2013
La lettera di protesta Denuncia degli studenti: nessun politico ad accogliere il presidente del Senato in Calabria
La società della speranza
da l'evento e la nostra immagine di reazione; ma la latitanza e l'omertà di alcuni in una città come Reggio Calabria, è significativa. Noi ci mettiamo la faccia. E loro? qualcuno ora dirà che i cortei non servono; che l'antimafia è altro; che non bisogna parlare solo di 'ndrangheta in Calabria, perché ne va dell'immagine della regione e che al contrario va raccontato il bello che c'è. Per quello che ci riguarda noi contro la mafia vogliamo urlare. La 'ndrangheta ci ruba il futuro e il silenzio ed è sinonimo di complicità. Borsellino ci ha insegnato che la mafia è un problema non solo giudiziario o repressivo ma culturale. Le nostre coscienze sono pronte, ma la politica a quanto pare no e delega noi, con frasi fatte. Noi non siamo il futuro ma il presente e questo viene ignorato. È una cosa che ci sentiamo di denunciare a voce alta: la Calabria e il Sud non possono più permettersi atteggiamenti ambigui nei confronti della lotta alla mafia. Siamo veramente amareggiati ma andremo avanti comunque. La nostra lotta alla prepotenza e alla diseguaglianza si costruisce nel quotidiano. No! noi non ci arrenderemo mai: non siamo più i figli della Calabria della vergogna! Ad arrossire nei confronti del presente deve essere una politica latitante che non rappresenta la ribellione di questa terra né la nostra. Che si vergognino tutti coloro che si sottraggono al dovere etico della denuncia. Gli studenti del corteo (delegazioni istituti superiori provincia di Reggio Calabria e studenti università Unical). Si sta procedendo ad una ulteriore raccolta di firme: massiccia l'adesione! Luca Laganà Rete istituti superiori
Pietro Grasso (sullo sfondo una gigantografia di Giovanni Falcone) è intervenuto a Reggio per il Ventennale di Gerbera gialla
La società della speranza. Questo è per noi giovani il senso profondo delle giornate vissute a Reggio Calabria, organizzate per il Ventennale della Gerbera gialla. Eravamo in 10mila a sfilare per le strade della Città dello Stretto: studenti delle scuole elementari, medie, superiori e dell'università. Da San Luca a Scampia da Rosarno a Cirò, da Vibo a Cosenza, Crotone e Reggio. Stringevamo nelle nostre mani un fiore speciale: la Gerbera gialla. Fiore semplice ma robusto che ha il profumo intenso dell'esistenza attiva: quella di chi ha scelto di combattere nella vita, a viso aperto e a fronte alta, le ingiustizie e l'arroganza del potere mafioso. Abbiamo sfidato le mafie a Reggio Calabria, portando i nostri striscioni colorati e cantando a squarciagola le nostre canzoni di libertà, ci siamo commossi davanti alle testimonianze delle vittime e dei loro familiari. Ci ha fatto molto male, però, constatare l'assenza delle Istituzioni Calabresi che denunciamo con forza per non essere da loro rappresentati così' come dovrebbero e come noi vorremmo. Il 3 maggio non c'era un politico che sfilasse al nostro fianco; non c'era un politico ad accogliere il Presidente del Senato, seconda carica dello Stato al cui cospetto, questa terra non è stata rappresentata se non da noi e dalle alte cariche: prefetti, magistrati e massimi rappresentanti delle forze dell'ordine. Il Comune di Reggio Calabria, si sa, è sciolto per mafia ed era rappresentato dal commissario. Ci chiediamo però dove fossero gli altri: a partire dalla Provincia di Reggio, assente in tutte le sue componenti per finire al Governo regionale. È stato un segnale davvero pessimo, soprattutto per la condizione della nostra terra, schiacciata dal potere mafioso e aggredita da gravi emergenze sociali. Ci chiediamo: ma la Calabria ha una classe politica che la rappresenta nelle Istituzioni o è figlia di nessuno così come è apparsa agli occhi del Presidente del Senato il 3 maggio? Calabria uguale 'ndrangheta? Per quel che ci riguarda non di certo, ma riteniamo che la nostra classe politica sia lontana anni luce dalla voglia di riscatto e ribellione delle nostre coscienze. Anche il comportamento di qualche mezzo d'informazione locale non va sottovalutato. Qualche televisione privata della città, il cui editore, guarda caso, è in politica, ha oscurato la manifestazione e questo la dice lunga. Certo ognuno ha la facoltà di pubblicare o mandare in onda ciò che preferisce! A noi non importa, le televisioni nazionali hanno mandato più volte in on-
«Eravamo in diecimila a Reggio Calabria per il ventennale della Gerbera gialla Ci ha fatto molto male però constatare l’assenza delle istituzioni calabresi»
Rete studenti universitari Gerbera gialla Emanuele Ritacco Michele Cosentino AlfonsoCristarella Giuseppe Moccia Elena Manna Serena Russo Cristian De Luca Vincenzo Scopacasa Alessandra Martino Caterina Papalia Antonio Papalia Zito Antonino Stefano Cortese Virginia Ferrari Marta Ausilio Luana Cosentino, Taschetta Melissa Vanessa Arturi Irma Ottavia Belligerante Jessica Bonanata Jessica Bombardiere Valentina Capano Tassone Natascia Chiara Chiappetta Emanuela Calvano Giusy Cugliari Elisabetta Anna Macrì Elena Gagliardi Maria Caterina Pezzo Stefania Perrotta Caterina La Gamba Chantal Castiglione Elisa Peluso Bruno Martina Rosa Catia Arcidiacone Pandolfi Valeriano Cirilliano Cecilia Acro Dora Alessio Felisia Coschiagliano Assuntina Laurito Ilenia Capparelli Maria Antonietta Montone Arceri Johannes Lorenzina Isabella Arena Ferdinando Cutellè Michela Cutellè Manuela Chiniamo Enzo Cutellè Rita Cutuli Chiara Cavallaro Alberto Chindamo Michele Castauro Valentina De Marco Desirè De Luca Cristiana Iemma Giulia Ingalilea Angela Lamanna Maria Lamari Riccardo Monea Greta Monea Giada Monea Angelamaria Masso Antonino Monea Valentina Monea Angela Mandaglio Salvatore Monea Osvaldo Marino Alessandro Monea Stella Nicolaci Marta Napoli Salvatore Napoli Nicola Pigafetta Giuseppe Sigillò Serena Staltari Domenico Scattarreggia Davide Sorrenti Emanuela Tramontana Laura Tassone Anna Rosetta Tramontana Laura Tramontana Federico Zangari Federica Zangari Gabriella Garcea Maria Teresa Jaconis Sabatino Messina Rosetta Giordano Alessio Rete studenti Gerbera gialla Università della Calabria Donnici Serena Pontoriero Carmelina Zavaglia Armando Nigro Alessandro Zurlo Luana Capparelli Ylenia Costantino Michela Bitonti Francesca Loria Isabella Cocciolo Vanessa Pignataro Donatella Milidoni Teresa Virdò Annunziata Talerico Antonella Manzo Fiore
Cuda Maria Carmela Scalise Ines Filomena Ludovica Cariati Franco Dima Massimiliano Donato Marta Mazzuca Jessica Spataro Erika Santoro Sara Marzullo Valentina Cutuli Giancarlo Gallo Carmela Quaranta Federica Stagno Rosanna Fabiano Maria Antonietta Reale Carla Capparelli Ylenia De Luca Eva Lasorella Barbara Carbone Silvio Magnelli Elvira Bianco Giulia Greco Emanuela Pamela Salonna Valentina Branca Roberta Loria Grazia Campagna Flora Leonetti Filomena Esposito Giulia
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Coordinamento dei servizi ai minori La Regione penalizza ancora una volta case famiglia e centri diurni per minori
La discriminazione è di “casa”
Abbiamo appreso con soddisfazione dalla stampa che, finalmente, dopo anni di richieste, insistenze e denunce, il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti e la sua giunta hanno deciso di applicare quanto stabilito dalla delibera n. 458 del 2009 aumentando le rette per le case di accoglienza per ragazze madri. Nello stesso tempo, però, siamo rimasti sconcertati e amareggiati per la persistente, assurda discriminazione attuata nei confronti degli altri servizi come le case famiglia per minori e i centri diurni, che pure sono contemplati nella suddetta delibera. Siamo, forse figli di un dio minore? O, forse, chi più grida e sbatte i pugni, riesce a farsi ascoltare di più e ad ottenere ciò che vuole? Possibile mai che in questa regione per potersi vedere riconosciuti i propri sacrosanti diritti bisogna sempre e comunque mettersi sotto l’ala protettiva di qualcuno? Possibile mai che rispetto alla ragione, al buon senso a alla bontà della causa, prevalgano sempre altri criteri che vorremmo capire meglio e che nessuno ci spiega perché, evidentemente, non hanno il coraggio di farlo?. Dopo anni di suppliche e di battaglie, dopo mille viaggi a Catanzaro per incontrare un governatore che non si è mai fatto trovare adesso ci ritroviamo punto e a capo, presi in giro, raggirati per l’ennesima volta con giochi di parole e con atti fasulli e generici (ci riferiamo alla tanto sbandierata ultima delibera con cui ci avevano fatto credere di aver decretato l’aumento delle rette soprattutto per le case famiglia e per i centri diurni), a dover provvedere all’accoglienza e alla cura dei bambini ospiti delle nostre strutture con una retta di 31 euro che è la più bassa d’Italia. Cosa ha a che fare tutto questo con politica vera e, soprattutto, con la giusta attenzione verso chi da anni si prodiga con sacrificio e abnegazione per i più deboli, gli ultimi e gli indifesi, ossia i bambini e le bambine che non hanno la fortuna di avere una famiglia? Chiediamo con forza che venga immediatamente ripristinato lo stato di diritto e che cessino le discriminazioni e le ingiustizie. Per l’ennesima volta chiediamo a Scopelliti un incontro urgente, che fino ad oggi è stato impossibile. Andremo, ancora una volta, a presidiare Palazzo Alemanni per gridare alla Calabria intera e al Paese l’ingiustizia e l’indifferenza di una classe politica sempre più distante e lontana dai problemi e dai bisogni veri della gente. Gianni Romeo presidente Coordinamento dei servizi per minori
«Dopo anni di battaglie e viaggi per incontrare un governatore che non si è mai fatto trovare ci ritroviamo punto e a capo raggirati con giochi di parole e atti fasulli e generici a dover provvedere alla accoglienza e alla cura dei bambini ospiti delle nostre strutture con una retta di 31 euro che è la più bassa d’Italia»
Sabato 11 maggio a Palmi
La marcia dei diritti "PSICOMOTRICITÀ E DIRITTI" premiazione "DISEGNI... IN MARCIA" sabato 11 maggio Casa della Cultura "Leonida Repaci" Apertura dei lavori ore 9,00 Palmi (ReggioCalabria) La “Marcia dei diritti” è un progetto multimediale work in progress volto alla diffusione della cultura dei diritti umani. Simbolo di tale progetto è la Maxitela opera in progress “La marcia dei diritti”, del maestro Alessandro Pultrone nella quale sono ritratti personaggi storici tra cui Gandhi, madre Teresa di Calcutta, Martin Luther King, Papa Giovanni Paolo II, don Luigi Di Liegro. L’opera pittorica ultimata sarà messa all’asta ed il ricavato devoluto all’Unicef ed alla Fondazione don Luigi Di Liegro. Nell’ambito di tale progetto (già patrocinato da Sapienza Università di Roma, Umberto I Policlinico di Roma, Fondazione internazionale don Luigi Di Liegro, Unicef Italia, Comune di Roma, Provincia di Roma, Federlazio Solidarietà onlus, Calabria ecc.), nell’agosto 2011, la Scuola superiore di psicologia applicata “G. Sergi” ha indetto il contest gratuito “Disegni... in marcia”, concorso rivolto a bambini e ragazzi, di età compresa tra 6 e 14 anni che hanno partecipato con dei disegni sul tema dei diritti dell’infanzia. Al fine di realizzare la premiazione delle opere più votate, e di presentare il progetto “La marcia dei diritti” a Palmi, la Sspa. “G. Sergi” ha organizzato la giornata evento “Psicomotricità e diritti”, durante la quale si discuterà sul tema della diffusione dei diritti attraverso la Psicomotricità e verrà inoltre, presentato il Cortometraggio “Cara Melle”, della regista Raffaella Vaccaro sul tema dell’abuso minorile.
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Calabresi illustri Domenico Mauro, figura chiave per rappresentare i personaggi calabresi considerati eroi dell’epoca unitaria
Un patriota albanese rise a cura di Oreste Pa
Domenico Mauro è una figura chiave per rappresentare i personaggi calabresi considerati eroi dell’epopea unitaria. Egli nasce a San Demetrio Corone, un paese albanese della provincia di Cosenza il 27 dicembre 1812, da una famiglia carbonara. Il padre Angelo era un membro della carboneria che aveva fatto parte di una delle più attive cellule dei casali di Cosenza. Fin dalla culla il piccolo Domenico aveva respirato l’aria libertaria e antiborbonica, e l’aspirazione paterna di vedere finalmente nel regno un governo costituzionale. L’organizzazione carbonara traeva la sua origine nelle logge massoniche che si erano diffuse in Calabria per opera del proselitismo operato da Antonio Jerocades e dal famoso grecista Pasquale Baffi, nativo di Santa Sofia d’Epiro che aveva dato un contributo importante a diffondere l’idea massonica tra gli arbëresh. Un comune punto di contatto tra i liberali era il collegio di Sant’Adriano a San Demetrio Corone, dove molti degli intellettuali arbëresh e calabresi si trovavano ad essere compagni di studi o si identificavano nell’influente gruppo degli ex alunni, che aveva acquisito una grande influenza nel Regno, per le posizioni di prestigio che essi riuscivano a raggiungere nel governo o nella gerarchia ecclesiastica. Tutti e tre i fratelli Mauro: Domenico, Vincenzo e Alessandro, frequentarono il Collegio, dove si respirava una aria intellettuale aperta alle più moderne teorie letterarie e sociali. Nella sua biblioteca erano custoditi e potevano essere liberamente consultati tutti i testi dei principali pensatori europei che contribuiva una coscienza aperta agli ideali di giustizia e di libertà, diffondendo i valori del romanticismo nazionalistico e liberale. Lasciato il collegio, nel 1831 lo troviamo nel Seminario diocesano di Rossano, dove fu mandato a studiare filosofia in un clima completamente diverso, ottuso e bigotto, dove come lui stesso scriveva si respirava un clima pesante “ligio al trono e al clero”, un conservatorismo opprimente che non riusciva a sopportare. Convinse il padre a mandarlo a Napoli, dove frequentò corsi di lettere e leg-
Il Collegio di Sant’Adriano a San Demetrio Corone dove Domenico Mauro (in basso nel ritratto) formò il suo spirito intellettuale
Nasce a San Demetrio Corone (Cs) nel 1812, da una famiglia carbonara Fin dalla culla respirò aria libertaria
ge all’Università che accettava senza alcuna formalità gli studenti provenienti dal collegio italo-greco calabrese. Nella capitale borbonica vi era una folta colonia di calabresi, che venivano tenuti d’occhio dalla polizia poiché considerati pericolosi per lo spirito ribelle e le idee rivoluzionarie che predicavano, e il giovane arbëresh destava molte preoccupazioni per quelle che venivano considerate delle eccentricità pericolose. Aveva, infatti, raccolto attorno a sé dei giovani, attratti dalla fama della sua intelligenza ed erudizione, cui impartiva gratuitamente lezioni di letteratura, un’attività proibita senza autorizzazione da parte del governo, perché considerata sovversiva per la possibilità di diffondere idee pericolose per l’ordine costituito, cui si aggiungeva il vizio di scrivere articoli sui giornali locali. Una miscela esplosiva per un giovane calabrese. Lo misero sotto osservazione, spiandone ogni movimento, e segregandolo in prigione per indagini, e fu liberato perché a suo carico non emersero fatti di particolare rilievo, tenuto però sotto costante osservazione. Domenico Mauro però non si lasciò condizionare e continuò la sua attività di pubblicista fondando nel 1840 addirittura un periodico “Il Viaggiatore”, dove scriveva articoli considerata sediziosi e antigovernativi. Fu subito accusato di attività antigovernativa aggravata dalla sua frequentazione con ambienti liberali con i quali manteneva frequenti rapporti e scambiava una fitta corrispondenza; fu condannato e rinchiuso nel carcere di S. Maria Apparente nel 1843. Durante il suo soggiorno in carcere cercò di mantenere i rapporti con la sua famiglia e gli ambienti liberali, informandosi costantemente sugli avvenimenti cosentini, dove era prevista una rivolta prevista per il 15 marzo 1844. Le sue speranze andarono deluse perché la prevista sommossa si risolse in un fiasco clamoroso con una strascico tragico. Era un avvenimento che continua alla pagina seguente lo scosse in maniera particolare poiché coinvolgeva la comunità arbëresh cosentina e alla quale aveva tentato di partecipare con ogni mezzo disponibile. La infelice conclusione della sommossa con la scia di morti che si portò
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sabato 11 maggio 2013
Calabresi illustri con sé, cui si aggiunsero i martiri dei fratelli Bandiera, lo scosse profondamente. Egli iniziò a dubitare che il governo borbonico fosse riformabile dall’interno, ma che l’unica via possibile era il suo abbattimento, un sentimento che doveva poi corroborarsi per gli eventi occorsi nel successivo 1848. Nel 1845 riacquistò la libertà e continuò a restare a Napoli presso il fratello Vincenzo, per mantenersi in contatti con agli ambienti liberali e organizzare una nuova rivolta in Calabria. Il 1848 il sogno di poter costruire una monarchia costituzionale sembrava essere a portata di mano. Il 27 gennaio la centrale Via Toledo veniva invasa da una immensa folle festante che si recava davanti al Palazzo reale a chiedere la Costituzione. Il re impressionato da questa marea umana e dal clima di entusiasmo nei confronti della corona, decisa di firmarla chiamando gli elettori ad eleggere il Primo Parlamento napoletano. «Il popolo si era destato dal “secolare servaggio”, come si scriveva sui periodici. Era una grande vittoria per Domenico Mauro che veniva eletto deputato con una votazione plebiscitaria, avendo ottenuto quasi il 50% dei voti nel suo collegio. Si trattava di un successo insperato che fu acclamato da una immensa folla e accompagnato da manifestazioni di giubilo e dalla speranza di poter finalmente inaugura una era di crescita e di sviluppo nel rispetto delle libertà politiche fondamentali. Fu solo una illusione. Il re fu chiamato a Vienna dalle potenze alleate e gli venne imposto di annullare la carta, mentre a Napoli affluivano i deputati eletti che dovevano riunirsi a Monteoliveto per la sua approvazione. Lo “spergiuro reale”, come venne definito, creò un clima di accesa rivalità nei confronti della monarchia, e a Napoli vennero innalzate barricate il 15 maggio per instaurare la Repubblica,mentre i deputati erano chiusi in Parlamento. Decisero di sciogliersi per evitare un bagno di sangue, ma ciò non impedì l’intervento dei gendarmi intervenne la polizia per arrestare quelli che venivano considerati i più facinorosi. Domenico Mauro riesce a sfuggire alla cattura e rifugiarsi in Calabria, dove a Cosenza è nel frattempo scoppiata la rivolta e viene costituito un Comitato di Salute Pubblica. Vi facevano parte gli elementi più rappresentativi della provincia: Giuseppe Ricciardi, in qualità di presidente, lo stesso Mauro, Raffaele Valentini, Eugenio De Riso, Stanislao Lupinacci, Francesco Federici, Giovanni Mosciaro. In tutti i comuni viene affisso un infuocato proclama scritto da Domenico Mauro, con il quale si invitano i calabresi a rivoltarsi contro il governo borbonico. Successivamente lo stesso proclama viene stampato sul periodico “L’Italiano delle Calabrie”. A difesa dei rivoltosi, dalla Sicilia arriva un esercito di volontari al comando del generale Ribotty. Domenico Mauro si reca a Paola a ricevere il corpo di spedizione siciliano e in quella occasione gli viene affidato l’incarico di Alto Commissario per il Distretto di Castrovillari con pieni poteri per predisporre la difesa della regione dall’attacco sferrato dall’esercito borbonico, al comando del generale Lanza, inviato dal re per ristabilire l’ordine in Calabria. Il Comitato arruola volontari da tutti i paesi della provincia, i giovani accorrono numerosi, soprattutto dai paesi albanesi dove il prestigio di Mauro era molto elevato ed egli esercitava una forte influenza personale. Egli assunse il comando di questo esercito raccogliticci, formato da migliaia di giovani con poche armi e munizioni costituite esclusivamente da quelle di cui disponevano nelle case, senza alcuna preparazione e inferiori comunque di numero rispetto alle truppe del generale Lanza.
In queste pagine la battaglia di Calatafimi, raffigurata anche in copertina della Domenica del Corriere Sotto, un altro ritratto di Domenico Mauro
A questo si aggiungeva l’impreparazione militare dello stesso Domenico Mauro, che fidando nella sua intelligenza e nella cultura classica, con molta supponenza non tentava neanche di concordare una linea di azione con il generale Ribotty, che certamente aveva una maggiore esperienza e poteva predisporre un piano di difesa più adeguato alle condizioni del terreno e alle forze in campo. Lo stesso Ribotty guardava con molta sufficienza questo giovane arrogante, la cui unica arma era una supponenza difesa con una oratoria affascinante, ma incapace di una visione delle operazioni da compiere. «A Campotenese in opposizione ai borbonici del gen. Lanza, le forze del Mauro fecero quanto era possibile», scrive Mario Borretti autore di una sua biografia, ma gli atti di eroismo nulla poterono contro le truppe del Lanza ed andarono incontro ad una rovinosa sconfitta. Negli scontri rimase ucciso anche Vincenzo Mauro, fratello di Domenico. Domenico Mauro fu persino accusato di tradimento per non essere riuscito a fermare l’esercito napoletano, lasciando sul terreno molti giovani calabresi, la maggioranza dei quali era arbëresh, che diedero un altro tributo di sangue. Bisognerebbe piuttosto parlare di arroganza e di incompetenza, poiché la disparità nel numero e negli armamenti avrebbe dovuto consigliare una condotta più prudente, evitando lo scontro in campo aperto. Scrive al proposito Francesco Tajani. «Siculi e Bruzi uniti, ma scarsi di armi e munizioni, con molti capi, quasi tutti nuovi al mestiere della guerra, dovevano precludere la via ai regî per ignote direzioni posti già in moto. I paesi albanesi concorsero tutti, Civita, Percile, Frassineto, San Basile, Lungro, Firmo, Spezzano costituir potevano punti fermi di una linea sulla sinistra sponda del Crati, appoggiati ai monti, e mantenere una lunga guerra difensiva diretta a travagliare i nemici nelle valle, se concatenati si fossero tutti quanti ve ne sono tra le gole del Tanese e Cosenza». La confusione provocata dagli ordini contraddittori e l’evidente inferiorità delle forze portarono a uno scoraggiamento di quei giovani che si risolse in una precipitosa fuga nel timore che si potesse concludere con una spaventosa strage. Nel frattempo nuove truppe arrivavano da Napoli comandate dal generale Busacca e non si riuscì ad impedire che si riunissero formando un corpo d’armata contro il quale qualsiasi tentativo di resistenza sarebbe stato inutile perché troppo superiore per truppe, armamenti e capacità strategiche. I rivoltosi furono costretti a capitolare e sciogliere il Comitato di Salute Pubblica. «Molto fu se i siculi riuscirono ad imbarcarsi nei legni sul mare Ionio, e tutti gli armigeri sopra Cosenza ripiegarono» aggiunge il Tajani. Immediatamente fu una Corte Criminale per la “grande processura” contro i componenti del Comitato e gli insorti. Il 13 novembre 1853 Domenico Mauro, “uomo infernale e nemico di ogni governo”, venne condannato a morte col terzo grado di pubblico esempio con l’accusa di cospirazioni continuate ed attentati al fine di distruggere e cambiare la forma del governo e di eccitare gli abitanti del regno ad armarsi contro l’autorità regia. La sentenza, dove veniva definito settario e agitatore politico, autore di un proclama “sommamente sovversivo ed incendiario”, venne pronunciata dal procuratore generale, Gaetano Grimaldi. Molti altri furono condannati a pene severissime che dovevano servire da esempio e monito. Per dare maggiore pubblicità
sabato 11 maggio 2013
Calabresi illustri
al processo di dispose che la sentenza venisse affissa in tutti i comuni del Regno e resa pubblica con regolare affissione e bando pubblico. Domenico Mauro però era riuscito a fuggire ancora una volta, imbarcandosi a Crotone, dove era arrivato insieme con i soldati siciliani del generale Ribotty. Si diresse alla volta di Corfù insieme al suo inseparabile compagno Eugenio de Riso e qualche altro, dove trovarono una favorevole accoglienza. Nell’isola greca si fermò poco tempo, poiché desiderava tornare in Italia. Prima si recò a Roma in soccorso della Repubblica e poi a Firenze per chiedere al primo ministro liberale Guerrazzi un aiuto per provocare una rivoluzione liberale nel Mezzogiorno, ricevendone una accoglienza fredda e formale. Si vide costretto a cercare asilo a Torino dove vi era una volta schiera di fuoriusciti colpiti dalla reazione dei vari stati italiani. Tra di essi vi erano i calabresi Romeo, e Antonino Plutino, il siciliano arbëresh Francesco Crispi, che venivano sussidiati da un Comitato Centrale per l’Emigrazione, uno strumento mezzo escogitato dal conte di Cavour per attrarre i liberali italiani e convertirli alla causa sabauda. Il sussidio e qualche lavoro saltuario diedero al Mauro la possibilità di una dignitosa esistenza nella capitale sabauda e lo misero in contatto con gli ambienti liberali di orientamento monarchico che facevano capo al primo ministro. Il soggiorno torinese mise a dura prova il suo repubblicanesimo, e finì per convincersi che solo uno stato monarchico unitario, sotto l’egida sabauda avrebbe potuto dare la libertà al Sud, che era il suo pensiero fisso. Con gli altri emigrati preparava continuamente piani per promuovere il sollevamento del Sud, e per questo ebbero anche degli abboccamenti con lo stesso Cavour. I suoi sentimenti repubblicani che aveva espresso con molto vigore sui giornali torinesi portarono a un decreto di espulsione, che non venne eseguito poiché nel frattempo egli si unì al gruppo di fuoriusciti che a Genova preparavano la spedizione garibaldina. Il 5 maggio del 1860 si imbarca con Garibaldi alla volta di Marsala, partecipando alla marcia trionfale verso Napoli. E’ presente nelle battaglie di Calatafimi e Milazzo e il generale lo premia nominandolo prima capitano e successivamente Giudice del Consiglio Permanente di Guerra dell’Esercito Garibaldino. Al passaggio in Calabria, prima favorisce la capitolazione delle truppe borboniche a Soveria Mannelli e poi con il carisma di cui gode presso gli arbëresh, ne provoca un rilevante afflusso nell’esercito garibaldino: centinaia di loro ripongono sul generale la loro ansia di libertà ed equità sociale. La sua missione sembra compiuta con l’arrivo di Vittorio Emanuele e la formazione dello Stato unitario costituzionale. Ma le delusioni sono molte tante ed amare.
Si dedicò con passione all’attività politica schierandosi contro un governo a favore delle classi privilegiate e contro i più deboli
Fin dallo scioglimento dell’esercito borbonico si intravedono le prime difficoltà per le palesi discriminazioni ai danni dei meridionali. I garibaldini vengono rispediti a casa senza alcun benservito e si assiste a una restaurazione delle vecchie gerarchie sociali. Domenico Mauro si dedica appassionatamente all’attività politica schierandosi nell’ala sinistra contro governo liberale che si schiera apertamente a difesa delle classi privilegiate con provvedimenti fiscali punitivi nei confronti dei più deboli. Egli denuncia i soprusi e gli errori della unificazione che assomiglia più a una conquista coloniale che alla formazione di un moderno stato democratico. «Le controversie per l’inserimento dell’esercito meridionale con l’assorbimento dei garibaldini nell’esercito nazionale e l’amarezza del Mauro e di tanti altri suoi simili nel constatare che le carezzate speranze nel futuro Stato italiano erano state mal riposte e la considerazione che lo scetticismo degli anni passati, trovava nel presente la sua più valida giustificazione», scrive Mario Borretti. Si presenta e viene eletto per due legislature a Lucera e stabilisce la sua abitazione a Firenze, diventata la capitale del Regno, e vi risiede anche quando non è più membro del Parlamento, e viene nominato Prefetto del Regno. Muore per un carcinoma alla mascella destra il 17 gennaio 1873, all’età di 61 anni. Il suo pensiero politico non ha mai avuto la forza di un progetto programmatico, e spesso cambia opinione cercando di adattare le sue idee alle circostanze, ma gli viene riconosciuta una grande onestà intellettuali. Le sue prese di posizione possono ritenersi poco convincenti ma non sono mai dettate da interessi personali. E’ uno dei pochi membri del parlamento a rendersi conto del grave stato di disagio del sud che subisce l’unificazione e viene mortificato per le decisioni che si rivelano sempre contrarie ai propri interessi. Il suo rifiuto di lasciarsi corrompere dalla sirene del potere gli consente di guadagnare una larga popolarità, ma il dorato esilio fiorentino gli impedisce di dare un contribuito significativo al miglioramento delle condizione della sua terra che era stata una costante della sua attività politica e letteraria. Domenico Mauro è uno scrittore molto prolifico, ma la maggior parte dei suoi manoscritti non sonno mai stati pubblicati. Tra le principali opere pubblicate si annoverano il poema Errico del 1843, il saggio Vittorio Emanuele e Mazzini, Genova, Ponthenier, 1851 e Concetto e forma della Divina Commedia, Napoli, Stabilimento tipografico degli scienziati, letterati ed artisti, 1862, che ebbe una grande fortuna in particolare all’estero. Francesco De Sanctis ne traccia un ritratto molto lusinghiero. «Era un uomo semplice, che non parlava mai di sé; stimava naturali tutte le azioni che il mondo chiama eroiche, quasi egli non sapesse o non potesse fare altrimenti. Non aveva mai creduto che compiere il proprio dovere fosse scala a ricompense».
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sabato 11 maggio 2013
Il punto di Paissan Incontro col vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti e con il docente Silvio Gambino organizzato dal Circolo
Inseguendo la libertà di stampa di Francesco Fotia
Realista, diretto e propositivo: questi gli aggettivi per riassumere l’incontro organizzato dal Circolo della Stampa di Cosenza “Maria Rosaria Sessa”con il vicepresidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti Enrico Paissan, presso il liceo socio-pedagogico Lucrezia Della Valle. L’evento, dal titolo “Giornata Mondiale della Libertà di Stampa - Informazione e Costituzione”, ha avuto luogo lo scorso venerdì, in occasione, appunto, della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, patrocinata dall’Unesco dal 1993. Un’opportunità, offerta anche agli studenti di alcune classi dell’istituto, per riflettere sulla realtà di un mestiere spesso immaginato come meraviglioso; un’occasione per soffermarsi, grazie all’autorevolezza di Paissan, su alcuni dati che raccontano quanto sia in realtà difficile, e a volte degradante, essere un giornalista. Ma come raccontare e delineare la situazione del giornalismo in Italia, senza correre il rischio di cadere nella retorica, se non citando il rapporto dell’Ocse 2013, che ci colloca al 61esimo posto al mondo per libertà d’informazione? Un dato scioccante, checché ne dica l’ex premier Silvio Berlusconi, che nel 2010 dichiarava che in Italia di libertà per giornali e giornalisti ce n’è anche troppa. Un’opinione evidentemente non condivisa dagli osservatori internazionali né dai relatori presenti al liceo Della Valle. Di «sconvolgente dato sulla libertà» ha parlato infatti, in apertura, Gregorio Corigliano, giornalista e presidente del circolo della stampa, che per l’occasione ha indossato i panni del moderatore. Con la consueta eleganza, ma con altrettanta preoccupazione, Corigliano ha snocciolato inoltre le allarmanti cifre che riguardano i colleghi di tutto il mondo: «Nel 2011 - ha ricordato - sono stati 66 i giornalisti uccisi in tutto il globo. Un numero elevatissimo, che nel 2012 ha raggiunto addirittura quota 88, facendo segnare un aumento assolutamente drammatico. Migliaia - ha proseguito - sono quelli arrestati, minacciati e torturati». Una situazione che smacchia tristemente l’alone di splendore che, agli occhi dei tanti giovanissimi presenti, contorna l’universo del quarto potere. «Il dato sulla libertà di stampa - ha poi sottolineato il giornalista - per quanto degradante non stupisce poi così tanto; come si può pensare di parlare di libertà quando si ha la quasi assoluta mancanza di editori puri? Come si può ambire alla libertà quando l’intero settore si mantiene con bassissimi introiti?». Un’analisi breve ma concisa, che si snoda poi in una dichiarazione d’amore verso il suo mestiere; «James Reston, noto giornalista statunitense, considerava che questo è il mestiere più bello del mondo perché destinato a ricercare, e a trovare, guai e problemi, perché è lì che si fonda la notizia. Una regola che fa sì che a furia di inseguire i conflitti altrui si dimenticano i propri, o almeno si è portati a ridimensionarli». In conclusione, prima di lasciare la parola ai protagonisti dell’incontro, Corigliano si sofferma brevemente sull’articolo 21 della costituzione italiana, che prescrive il diritto di ognuno a manifestare liberamente il proprio pensiero: «Un diritto su cui si fonda la vita stessa della stampa - ha chiuso - che non può e non deve essere soggetta a censure né ad autorizzazioni di sorta». Dopo i saluti di Loredana Giannicola, dirigente del liceo Lucrezia Della Valle, la parola è passata a Silvio Gambino, ordinario di Diritto pubblico e Comparato presso l’Università della Calabria. Un intervento complesso, quello del docente, che ha toccato molteplici ambiti della politica e delle istituzioni che reggono il Belpaese. Anzitutto, la difesa della scuola, da tutelare come organo fondamentale per la formazione del pensiero, e della Costituzione. In un momento in cui si fa un gran parlare di una probabile commissione per le modifiche della carta costituzionale, Gambino ricorda che già nel 2005, mediante referendum, gli italiani hanno bocciato i tentativi di riforma costituzionale tentati dall’allora Presidente del Consiglio Silvio
L’evento ha avuto luogo in occasione della Giornata mondiale della Libertà di stampa, patrocinata dall’Unesco dal 1993 Opportunità offerta anche agli studenti di alcune classi del liceo socio-pedagogico “Lucrezia Della Valle” di Cosenza
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Il punto di Paissan della stampa di Cosenza “Maria Rosaria Sessa”
Berlusconi, sottolineando le analogie che si potevano riscontrare tra quei testi riformatori e quelli che regolamentavano la stampa in epoca fascista. E ancora, come un fiume in piena il docente si sofferma sulla centralità della persona, «che ha il diritto ad autodeterminarsi», e sullo Stato, «che ha il dovere di sostenere l’individuo». Il professore prosegue concentrandosi sul diritto/dovere del cittadino, e dei suoi rappresentanti, di proteggere i giornalisti, definiti “professori della democrazia”, e la carta costituente, che può vantarsi di essere abitata da libertà di pensiero e indicazioni di solidarietà. Principi suscettibili però del tradimento da parte di chi dovrebbe vigilare sulla loro attuazione: «Non si contano le volte - osserva il professore in cui la Corte Costituzionale ha invitato il Parlamento a rivedere leggi che andavano contro i principi della solidarietà e del pluralismo. Come nel caso delle indicazioni che andavano verso il bisogno di un effettivo pluralismo radiotelevisivo; moniti che i parlamentari hanno evidentemente preferito ignorare. Si badi, - conclude il docente - la battaglia per il pluralismo non riguarda solo il mondo del giornalismo, ma è indispensabile al fine della limitazione dei poteri».
Occasione per soffermarsi grazie alla autorevolezza di Paissan su alcuni dati che raccontano quanto sia in realtà difficile e a volte degradante essere giornalista
Di temi squisitamente giornalistici si è occupato anche l’ospite d’eccezione dell’incontro, Enrico Paissan. Il vicepresidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha aperto il suo intervento focalizzandosi sulla questione degli editori, che tradizionalmente in Italia sono stati imprenditori che si occupavano anche, ma non esclusivamente, della carta stampata: la famiglia Agnelli, con La Stampa di Torino, Franco Caltagirone, potente costruttore, con Il Mattino di Napoli, Il Messaggero e Il Gazzettino di Venezia; «Molti tra questi grandi uomini d’affari - ha raccontato Paissan - hanno poi indirizzato le loro attività verso altri settori, come quello finanziario. E’ lecito domandarsi quanto, in regime di editori impuri, la carta stampata abbia potuto essere indipendente dagli interessi paralleli che riguardavano i suoi stessi proprietari». Il problema dell’indipendenza della stampa, analizza ancora il vicepresidente, ha finito col coinvolgere anche la qualità delle notizie. A proposito dell’informazione televisiva, ad esempio, Paissan ha parlato di «una marmellata indistinguibile di prodotti [...] un fatto gravissimo soprattutto per il servizio pubblico. Ma anche sul versante della carta stampata - prosegue - la situazione è peggiorata sempre di più: oltre il 50% delle notizie proviene infatti dalle agenzie di stampa, dagli uffici relazioni con il pubblico. Altre notizie, inoltre, sono “preconfenzionate”, copiate da altri giornali, e spesso dal contenuto non verificabile». Il ritratto purtroppo drammatico dell’editoria ai tempi della rete e dell’austerity prosegue con una nota sulla scarsa tutela che la legge destina alla stampa: «Emblematico - osserva il vicepresidente - il caso “Gabanelli-Alemanno”, molto recente, in cui il sindaco di Roma si era detto disponibile a rilasciare un’intervista soltanto se avesse potuto visionare il servizio preventivamente; una prassi che non esiste in nessun paese democratico». Infine, Paissan illustra quella che vuole essere la sua proposta, e quella dell’Ordine dei giornalisti, per garantire maggiore libertà agli addetti ai lavori: far sì che il querelante sia condannato a pagare somme più elevate da quelle da lui pretese dal giornalista e dall’editore di turno in caso, al termine del processo, sia stata fatta cadere l’accusa di diffamazione. L’incontro si è chiuso con le numerose domande che gli studenti del “Lucrezia Della Valle” hanno voluto rivolgere agli ospiti; prima però, ha preso la parola per un breve saluto Pantaleone Sergi, già direttore de Il Quotidiano della Calabria e corrispondente per La Repubblica. Un breve intervento sulla mancanza di reale libertà dell’informazione, troppo dipendente dai finanziamenti pubblici e dagli spazi pubblicitari: «Qual è il modo migliore per difendersi da scarsa qualità e professionalità dei giornali? - domanda il giornalista e scrittore calabrese. La risposta? Smettere di acquistarli». Come da manuale del giornalismo: semplice ed efficace.
Enrico Paissan Nelle altre foto dall’alto: il tavolo dei relatori; Paissan e Silvio Gambino; il pubblico del liceo “Della Valle”; Gregorio Corigliano, Rosellina Arturi (vicepresidente del circolo della stampa) ed Enrico Paissan
XII
sabato 11 maggio 2013
Dal 16 maggio al 19 giugno La Scuola Focus e il Centro sanitario dell’Università della Calabria hanno preparato un corso di preparazione ai test di ammissione
Patrizia Piro candidata al Rettorato per l’Università della Calabria
Medicina in formazione La Scuola di Formazione continua universitaria in sanità (Focus) ed il Centro sanitario dell’Università della Calabria hanno organizzato un corso di preparazione ai test di ammissione per le lauree magistrali in Medicina-Chirurgia e Odontoiatria e Protesi dentaria, che sarà tenuto da docenti universitari e medici specialisti. Il corso si svolgerà presso il Centro sanitario dell’Università della Calabria (cubo 34B - terzo piano) e saranno ammessi un massimo di trenta partecipanti, i quali verranno forniti di materiale didattico e soprattutto di un manuale di teoria e quiz con software di simulazione. Il corso è organizzato sulla base di 88 ore complessive di lavoro distribuite in 21 incontri, dei quali 15 saranno di teoria (60 ore) e 6 di pratica (28 ore). Le 60 ore di teoria saranno svolte dal 16 maggio al 9 giugno, nei giorni che vanno dal giovedì a domenica; mentre le 28 ore di pratica avranno inizio il 15 luglio e termineranno il 20 luglio. Per iscriversi occorre compilare apposito modulo di pre - adesione presente sul sito www.focusformazione.flazio.com e inviarlo all’indirizzo e - mail: focus.testmed@gmail.com, entro e non oltre il 15 maggio 2001. Per informazioni telefonare al n. 328/6416050. La candidatura di Patrizia Piro, ordinario di Costruzioni idrauliche presso il dipartimento di Ingegneria civile, a rettore dell’Università della Calabria crea entusiasmo e freschezza di idee in ambito universitario e cittadino. Dopo l’annuncio ufficiale dato nei giorni scorsi attraverso un comunicato stampa, la professoressa Piro entra nel merito della candidatura attraverso una intervista rilasciata al periodico universitario Fatti al cubo in distribuzione sul Ponte Bucci e nelle edicole dell’Università. Nell’intervista, il candidato a rettore, Patrizia Piro, sollecitata dalla giornalista Ielasi, per garantire sviluppo e crescita dell’Università parla della necessità di creare uno spirito di collaborazione nuovo tra le diverse parti coinvolte: «C’è bisogno di lavorare insieme per superare la fase di crisi economica del Paese e relativi riflessi sullo stesso ateneo». «La crisi - dice ancora - può essere superata applicando il verbo “bastare” rispetto a quello che abbiamo; mentre l’altro verbo è “lavo-
Il corso si svolgerà presso il cubo 34B Saranno ammessi un massimo di trenta partecipanti forniti di materiale didattico e soprattutto di un manuale di teoria e quiz con software di simulazione
rare”. Due verbi che devono viaggiare insieme per garantire lavoro e serenità. Ci sono tanti fondi che possono venire dalla comunità europea o altri finanziamenti ad hoc per la ricerca e la didattica, per attirarli dobbiamo però lavorare insieme attivando una catena della sussidiarietà, anzi della sostenibilità». Alla domanda, qual è la priorità in questo momento per l’Unical, Patrizia Piro risponde: «La priorità è ridare dignità a tutte le categorie, com’era nello spirito dell’antico Statuto: oggi le università sono in mano ai professori ordinari, anzi, a pochi professori ordinari, grazie anche ad una riforma imposta dall’alto che non abbiamo gestito sfruttando i margini di manovra che pure ci dava. Io non ho l’impressione che ci sia un bel vivere, né fra gli studenti, né fra i docenti, né fra i ricercatori, né fra il personale tecnico - amministrativo: allora la priorità è recuperare uno spirito di “servizio all’uomo”, affinchè ognuno si senta di nuovo gratificato e orgoglioso di lavorare o studiare all’Unical. E chi ha la responsabilità di governare, deve mediare e creare un clima rispettoso di tutte le categorie, perché la macchina dell’università ha bisogno di tutte le sue parti per funzionare». Si prospetta, quindi, una candidatura donna alla massima carica dirigenziale politica dell’Ateneo di Arcavacata e la prof.ssa Patrizia Piro afferma:«A chi dice che la mia è una candidatura di genere io aggiungo di genere “umano”, perché al servizio dell’intera Unical, di tutti i dipartimenti e le aree disciplinari, non solo del mio genere o del mio settore scientifico di provenienza. Troppo spesso in questi anni ho assistito a lotte interne per l’area più forte, l’area che drenava denaro, l’area che doveva esprimere il candidato a rettore. Questo va nella direzione opposta rispetto al mio sentire: io immagino non un’area più forte capace di attrarre fondi, ma l’università tutta, forte della sinergia fra le sue aree, che riesce a intercettare flussi più importanti di cui tutte le aree possono beneficiare, penso a progetti interdisciplinari in cui l’area umanistica venga finalmente valorizzata. Il rettore deve essere il rettore di tutti, capace di far dialogare le aree per il bene comune». Franco Bartucci
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XIII
Bcc Mediocrati Cosenza
Dai supereroi all’eroismo quotidiano
“Don Carlo De Cardona. Passato sempre vivo” di Lucia De Cicco
È stato presentato il 7 maggio, presso la Bcc Mediocrati, sala De Cardona, il fumetto, omaggio dal titolo “Don Carlo De Cardona. Un Passato sempre vivo”. A parlarne, sotto il motto “Forti perché uniti, liberi perché forti”, il già presidente dell’Azione cattolica diocesana, professore Luigi Intrieri, la giornalista Angela Altomare, che ha introdotto al fumetto come volontà dei Giovani club della Bcc, di cui lei è presidente, Sergio Gatti direttore generale di Federcasse, Nicola Paldino, presidente Bcc Mediocrati, l’arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano, Salvatore Nunnari. Don Carlo De Cardona è stato un personaggio poliedrico, giornalista, sindacalista, sacerdote soprattutto, cercò di attuare con animo innovativo la Rerum Novarum, l’enciclica promossa da Leone XIII, che prospettava un nuovo ordine economico, che avesse ridotto le disuguaglianze sociali, garantito l’accesso facilitato al credito. Una produzione questa del fumetto, che sarà presente in tutta Italia e anche al salone del libro di Torino. Il professore intrieri ha rimarcato di come anche la produzione di un fumetto, fatto da giovani, possa essere un chiaro esempio, che quando le cose si desiderano è possibile ottenerle e che non ci si deve mai arrendere. Il fumetto, infatti, si apre proprio con un dialogo tra un giovane e il nonno riguardo alle speranze dei laureati nel mondo del lavoro che possono con tenacia realizzare i loro signori in Calabria o che almeno devono provarci. La fiducia in se stessi è importante, dice il professor Intrieri, che però va ricercata nella causa, nelle difficoltà, che il territorio aveva nel passato. Privo di infrastrutture, che potevano immetterla nel circuito nazionale, eredità, che ancora oggi ci portiamo dietro e che don De Cardona superò con l’apertura e il rischio, appreso nel confronto con le altre realtà. Vincenzo Raimondi è l’autore del fumetto. Nei disegni, (sceneggiatura di Giorgio Furioso e colori di Ilaria D’angelo e Raimondi) entra a contatto con il club Giovani soci Bcc, poiché chiede un prestito per aprire una piccola casa editrice per il fumetto, da ciò la proposta di realizzarne uno per loro. Come nasce il fumetto? «Mi sono dovuto documentare sulla storia personale di don Carlo e le vicende che hanno caratterizzato il suo percorso di crescita». Come si coniuga la sua passione per i supereroi americani con la Chiesa? «Si coniuga nel senso che è una chiave di lettura diversa di un supereroe, tra virgolette. Credo che ci sia necessità di figure eroiche, ma esse si vedono in tanti modi. Quelli che siamo abituati a vedere al cinema sono quelli più popolari del fare eroicamente, ma è in tutti i giorni che lo si può essere».
Personaggio poliedrico cercò di attuare con animo innovativo la Rerum novarum, l’enciclica promossa da Leone XIII che prospettava un nuovo ordine economico che riducesse le disuguaglianze sociali e garantisse l’accesso facilitato al credito
Dopo gli studi superiori, Raimondi svolge gli studi presso la “Scuola del fumetto” a Milano, che l’ha immesso nel mondo del lavoro. Ha avuto tra i docenti, Alberto Ponticelli, grande fumettista italiano che ha lavorato anche in America. Nelle relazioni della giornata anche la descrizione delle parti più importanti del fumetto, la pagina sette, che descrive la preoccupazione del giovane per il suo futuro, e nelle seguenti pagine il dialogo con l’adulto, il nonno, che infonde coraggio. Il giovane protagonista usa la parola “paura”, mentre le parole “coraggio” e “fiducia” provengono dal mondo degli adulti e dall’esperienza del racconto su De Cardona. In questa storia. Emerge il mosaico di frutti preziosi e diversi delle iniziative di don Carlo, si parla del lavoro e della casa, degli ostacoli che queste iniziative hanno trovato lungo la strada, la massoneria e alcune forze politiche, come i Socialisti, espressione di durezza nel percorso di De Cardona. Andare contro corrente non solo è rischioso, ma anche a volte lesivo, perché la maldicenza è tra i più pericolosi ostacoli. Colpisce una vignetta in particolare, che sembra tratta dal Magnificat «Abbattere la tirannia dei potenti, che volevano governare anche sulla coscienza dei deboli e degli oppressi, ridare la libertà agli schiavi della moderna società». Riferendosi alla Calabria si deve comprendere che essa condiziona tutto il sistema italiano e finché sarà debole, non ci potrà essere benessere Nazionale e allora le parole chiavi per i giovani devono essere, coraggio, fiducia e testardaggine, l’augurio che a più voci è stato rivolto al Club giovani della Bcc.
L’autore del fumetto Vincenzo Raimondi Sopra, il tavolo dei relatori Gatti, Paldino, Nunnari, Intrieri e Altomare
XIV
sabato 11 maggio 2013
La letteratura cosentina a Capri L’organizzazione è del Rotary club, il libro presentato è di Coriolano Martirano
A 400 anni dalla nascita
Mattia Preti, buon compleanno a Malta
Il luogo delle anime Nel salone dorato del quattrocentesco palazzo del luogotenente della Regina Giovanna, s’è svolta a Capri una manifestazione letteraria organizzata dal Rotary club nel corso della quale è stato presentato ad un pubblico numeroso e attento il recente romanzo dello scrittore cosentino Coriolano Martirano, edizione Pellegrini, dal titolo “Il luogo delle anime”. Con le affascinanti regole del verosimile e nella più attenta armonia tra la rigidità della storia e la credibilità dell’arte creativa, il romanzo scandaglia uno degli avvenimenti più intriganti nel XIV secolo: l’esilio di Dante. Dove è avvenuto. Là dove è iniziata la Divina commedia. La condanna inflitta al poeta dal consiglio dei fiorentini diventa prima una fuga da Napoli dove lo raggiunge il verdetto e poi un lungo soggiorno in uno sperduto paesello dell’altipiano della Sila, Cerenzia, nella lontana Calabria Citra. Dante che è cavaliere templare su suggerimento del vescovo di Siena trova rifugio nella Abbazia di Cerenzia che è l’ultima spiaggia dei Cavalieri dell’Ordine del Tempio perseguitati dal Re di Francia. La presenza di Dante in Sila, a Cerenzia, cessa di essere una lontana ipotesi quando vengono a galla determinati particolari. L’ipotesi diventa certezza quando l’Autore del romanzo fa notare che la Divina Commedia è ricca di oltre venti parole usate dal dialetto silano, che fa menzione di un Abate Gioacchino sconosciuto aldilà della Sila come conferma la letteratura ecclesiastica, che arricchisce alcune figure, come quella di Giuda, con notizie conservate nella biblioteca dell’Abbazia, che il bosco di Cerenzia, persino attualmente sembra la fotografia della “selva oscura”, che il registro dell’abbazia registra la presenza di Lui, il nomignolo di Dante lontano da Firenze. È un romanzo intrigante “Il luogo delle anime”, che lo scrittore cosentino Coriolano Martirano ha redatto con stile ad alto livello letterario e che è considerato dalla critica tra la produzione più interessante della letteratura non solo calabrese.
Con le affascinanti regole del verosimile e nella più attenta armonia tra la rigidità della storia e la credibilità dell’arte creativa, il romanzo scandaglia uno degli avvenimenti più intriganti nel XIV secolo: l’esilio di Dante Dove è avvenuto Là dove è iniziata la Divina commedia
Alla presenza del presidente della Repubblica George Abela e delle massime autorità di Malta è stata inaugurata al palazzo magistrale di La Valletta la mostra sui 400 anni dalla nascita di Mattia Preti. L’evento - si legge in una nota dell’ufficio stampa della giunta regionale calabrese - è stato promosso d’intesa tra la Regione Calabria, il Comune di Taverna ed Heritage Malta. La mostra si intitola “Mattia Preti. Della fede e umanità” che, curata da Giuseppe Valentino e Sandro Debono, ha avuto un’anteprima italiana al Museo Civico di Taverna dal 24 febbraio al 21 aprile, con uno straordinario successo di pubblico. In rappresentanza del presidente Scopelliti, è intervenuto all’inaugurazione l’assessore regionale alla Cultura Mario Caligiuri, accompagnato dal sindaco di Taverna Eugenio Canino. Il presidente Abela ha detto «che la mostra è molto attesa perché non c’è chiesa a Malta in cui non ci sia traccia di Mattia Preti, che è un artista di levatura mondiale nella storia dell’arte. L’evento su Mattia Preti non poteva che toccare Malta, dove il pittore ha trascorso una parte consistente della sua vita, è sepolto nella Co-Cattedrale di San Giovanni ed ha lasciato oltre quattrocento testimonianze delle sua irripetibile opera», ha detto Caligiuri che ha ricordato come «dopo Williamsburg, Taverna e La Valletta, sono previste anche le mostre di Venaria Reale e Palazzo Braschi a Roma, con il coordinamento scientifico di Vittorio Sgarbi». «In questo modo - secondo Caligiuri - le celebrazioni pretiane assumono davvero una valenza internazionale, rappresentando probabilmente il piu’ importante evento culturale mai promosso dalla Regione Calabria». Caligiuri, che ha incontrato l’ambasciatore italiano Giovanni De Vito, ha auspicato un rapporto di collaborazione culturale con la Repubblica di Malta a livello scolastico, universitario e della ricerca, anche in vista del 2018, quando La Valletta diventerà capitale europea della cultura. Allo scopo ha ricordato le iniziative che la Regione Calabria sta svolgendo in un’ottica mediterranea: dal progetto “Pitagora mundus” con oltre 350 giovani egiziani che stanno studiando negli istituti tecnici della regione; all’iniziativa “Calabria Jones” che ha visto coinvolti l’estate scorsa circa 5000 ragazzi alla scoperta dei beni culturali, per fare diventare la regione uno dei poli internazionali della ricerca archeologica; a “Calabria innova”, la società costituita con Area Science Park di Trieste per la creazione di una rete dell’innovazione tra Europa, Africa ed Asia. «Tutto questo - ha concluso - per dimostrare come la Calabria possa svolgere un ruolo significativo come polo formativo, culturale e della ricerca nel Mediterraneo». Il sindaco Canino ha affermato che l’evento conferma la tradizionale collaborazione culturale tra il Comune di Taverna e Malta e rappresenta solo il punto di partenza per tante altre iniziative con tutta la Calabria. Presenti all’inaugurazione della mostra i componenti del comitato scientifico della Regione Calabria per le celebrazioni su Mattia Preti Luigi Tassoni e Giuseppe Mantella. Mantella da oltre 15 anni è impegnato a Malta nel restauro delle opere di Mattia Preti nella Co-Cattedrale di San Giovanni, riportandola al primitivo splendore.
sabato 11 maggio 2013
XV
Disco esordio Tra ritmo e ironia il battesimo dei Pressure side
“Polvere” dalla provincia! nelli di Federica Monta
I Pressure side arrivano dalle porte di Cosenza: da quella Presila tranquilla, dove ancora sopravvive qualche spazio verde e dove, tra qualche settimana, qualcuno andrà a cercare un pò di frescura dagli afosi caldi delle città. E’ una band particolare, i Pressure side, perché vengono da tanta gavetta, perché scrivono le proprie canzoni in italiano - particolare non trascurabile in un panorama dove l’english provano a cantarlo ormai tutti, perché fa tendenza, e poco importa se quasi sempre i testi risultano incomprensibili. Ma soprattutto, particolare è il genere che suonano: quel Reggae’n Roll fiorito dalla partenogenesi dei Police e dei Clash, di Bob Marley e The Wailers, padri costituenti del marchio Pressure side. Dopo oltre un decennio di lavoro sottotraccia, diverse demo e una continua lotta per la sopravvivenza - croce e delizia dell’indipendenza - dicevamo, è arrivato “Polvere”, disco d’esordio dalle belle speranze che, nei prossimi mesi, farà il giro dei borghi calabresi. Domenica, intanto, è arrivata la presentazione ufficiale, auto-finanziata naturalmente, a Spezzano Piccolo: Polvere, Muri, Karlita, Se io non conto, Vuoto, Uomo Stanco, Non voglio liberarmi, sono alcune delle tracce suonate dal vivo. Canzoni genuine, colme di disagio sociale - da sempre battito cardiaco dei più sentiti progetti underground, che i Pressure side trattano con schiettezza e una forte dose d’ironia. «Polvere - ci racconta Francesco Anselmo, studente di Scienze politiche e bassista della formazione - è quello che la società ci getta negli occhi facendoci perdere di vista le cose che contano. Polvere è il materialismo che ci attanaglia, è la distanza che si è venuta a creare tra l’individuo e i valori essenziali di una società». Temi forti, che si propagano, in note, dal basso di Francesco, dalla voce e dalla chitarra di Emiliano Donato, dal sax di Francesco Pantusa, dai ritmi scanditi dalla batteria e dalle percussioni suonate, rispettivamente, da Ercole Piro e Andrea De Vuono - gli altri Pressure Side. Racconti messi in musica in un genere, il Reggae’n Roll appunto, ancora a caccia di proseliti nelle nostre province: «La maggior parte dei nostri lavori - ci spiega Francesco - seguono quei ritmi e quelle sonorità. Ci sono alcune eccezioni, come ad esempio “Karlita”, un pezzo Ska che parla di mala politica, oppure “Vuoto”, che strizza l’occhio al reggae». Ma qual è stato il percorso che ha portato questi cinque giovani a registrare Polvere, dopo due anni di lavoro sui pezzi e un mese trascorso in uno studio di registrazione nel cosentino? Emiliano Donato, fondatore della band e padre della maggior parte delle tracce, svela
La copertina di “Polvere” Sotto, un momento della presentazione dell’album
Una band che arriva dalla Presila dopo tanta gavetta Scrivono le canzoni in italiano, particolare non trascurabile
che tutto è nato nel 2000, ai tempi dell’incontro fortuito con Ercole Piro: «Ci siamo conosciuti nel corso di un concerto, e abbiamo capito subito che tra di noi c’era una forte affinità artistica. Da lì a poco avrebbe preso corpo la nostra creatura: non c’era nessun sogno particolare, nessun obiettivo preciso, ma tanta voglia di sperimentare questa meravigliosa cosa che è la musica. Suoniamo Reggae’n Roll da sempre, - prosegue Emiliano - tranne per qualche breve periodo, durante il quale siamo stati più vicini al reggae». Un percorso stilisticamente lineare, quindi, ma arricchito di volta in volta dall’incontro con altri musicisti: «Polvere è il frutto anche del risultato del contributo artistico di tutti coloro che hanno suonato con i Pressure side in questi anni, - sottolinea il frontman - infondo la musica, l’arte, è proprio questo, un continuo dare e ricevere». Un dare e avere che però troppo spesso non da Lavoro agli artisti, costretti, come i Pressure side a investire, tra mille sacrifici, sul proprio futuro. «Da qualche parte, - osserva Emiliano - a un certo punto, a qualcuno è scivolata di mano la situazione: nei primi anni del decennio scorso, quando abbiamo incominciato, nella nostra piccola realtà le istituzioni e le associazioni erano più disponibili e attente verso la musica e l’organizzazione degli eventi. Anche noi, ricordo, abbiamo contribuito a organizzare rassegne e feste, come diversi Primo maggio. Adesso, vuoi per la pigrizia delle istituzioni, vuoi per le nuove leggi come il Patto di stabilità, si sta perdendo tutto. E’ anche per questo - chiude - che per noi musicisti è difficile fare progetti. Se le cose andranno per il verso giusto, mi piacerebbe, tra un paio di anni, registrare un nuovo disco. La situazione è complicata, ma il fatto stesso che noi esistiamo significa che la musica va oltre tutte le debolezze umane».
XVI
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Impegno per la vita e il sociale Intervista al calabrese Vittorio Altomare, responsabile Uos di Senologia al policlinico universitario Ucbm di Roma
Seno, sfida in evoluzione Professore, la ricerca contro il cancro è una sfida in continua evoluzione e tra le tante battaglie possiamo collocare anche l’evento organizzato a Cosenza. Di cosa si tratta e qual è lo spirito? L’evento è dedicato alla festa della mamma che è esattamente il 12 maggio. In occasione di ciò si è voluto far coincidere quello che è un evento musicale, quindi strettamente da teatro, all’interno del quale si è voluto inserire questo messaggio di prevenzione e di attenzione per il tumore al seno. Secondo noi e secondo gli stessi organizzatori del concerto, è importante ancora oggi che le donne siano sempre più portate a prestare attenzione a questo tipo di problema. Bisogna, poi, dire che il divario tra Nord e Sud - lo dico da calabrese nato e vissuto in Calabria - è ancora molto forte, quindi è bene che questo tipo di sensibilizzazione, nelle nostre regioni, sia ancora altrettanto forte. Un messaggio, dunque, di prevenzione di una patologia oncologica, inserito nel contesto di un evento musicale dedicato alla donna. Entrando più nello specifico, quante donne sono colpite ogni anno, in Italia, dal cancro al seno e quante invece riescono ad uscirne? Questo è proprio il tema centrale: l’incidenza è più o meno stabile nei suoi numeri, nel senso che siamo intorno a 40mila nuovi casi di donne che si ammalano di tumore al seno. Il vantaggio, però, è che per fortuna grazie ai programmi di screening la diagnosi è precoce e quindi è anche più facile guarire. Di conseguenza sono molte le donne che vengono fuori sane da questa malattia ma che, comunque, continuano a fare i loro controlli e le loro verifiche in un contesto, però, di serenità e di guarigione dalla malattia.
Festa della mamma
Si apre il sipario sulla prevenzione Concerto di beneficienza al teatro Rendano di Cosenza per finanziare la ricrca sul tumore al seno L’associazione Amici del Campus Bio-medico di Roma e l’associazione culturale Idea di Cosenza in collaborazione con l’amministrazione comunale di Cosenza organizzano domenica 12 maggio alle ore 18, in occasione della festa della mamma, un concerto al Teatro Rendano di Cosenza. Il ricavato degli incassi sarà devoluto all’Unità di Senologia del Campus Bio-medico per finanziare la ricerca sul tumore al seno. Il concerto, oltre ad intrattenere il pubblico, è finalizzato a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della prevenzione e dello screening femminile. Al concerto sarà presente Vittorio Altomare, cosentino, responsabile Uos di Senologia al Policlinico universitario Campus Bio-medico. «Il divario tra Nord e Sud in termini di prevenzione - dice il professore originario di Rogliano - è ancora molto forte se si considera che alle chiamate di screening al Nord risponde quasi il 65% mentre al Sud solo il 35%». «In Italia, ogni anno, - spiega il primario - si riscontrano 40mila nuovi casi di donne che si ammalano di tumore al seno ma grazie ai programmi di screening la diagnosi è precoce e quindi è anche più facile guarire. Ecco perché è fondamentale l’attività di informazione e prevenzione nelle donne in età a rischio». Al concerto, presentato da Pino Sassano, si esibirà il Conservatorio di musica F. Torrefranca di Vibo Valentia diretto dai maestri Antonella Barbarossa, Sara Simari (arpista concertista), Francesco De Leo e Patrizia Patelmo (scuole di canto), Concita Silvestri e Ornella Cauteruccio (pianoforte), Alessio Palermo e Mario Piluso (fisarmonica), Stefania Bilik (bandura). In chiusura dell’evento l’associazione di donne calabresi Padolea, guidata dall’agronomo Lina Pecora, offrirà un’aperitolio (bruschette con olio calabrese) a tutti i presenti, per sottolineare le note proprietà benefiche dell’olio extra vergine d’oliva tipico della dieta mediterranea. Il concerto della festa della mamma è un evento che qualifica e dà lustro a tutta la Calabria. Il professore Altomare è un cittadino di questa provincia, i concertisti sono calabresi e i partner dell’evento producono e commercializzano prodotti della nostra terra. I biglietti sono acquistabili nell’agenzia di viaggi Arintha: - Via Nicola Serra, 69; Cosenza - tel. 0984.482716 - 429826 - Via Don Minzoni, 121/d; Rende - tel. 0984.465038
Se ci metti anima e cuore hai già vinto ne di Alessandro Cofo
Paola Palermo membro del comitato “Pari opportunità” dell’Ordine degli avvocati racconta il suo impegno sociale e politico
Avvocato, da sempre lei si spende per la tutela delle pari opportunità e della meritocrazia, rappresentando la forza e la caparbietà delle donne calabresi che hanno investito sulla propria formazione con sacrificio e dedizione. La meritocrazia rappresenta l’unica garanzia di miglioramento e crescita di una società. Solo quando la politica lo comprenderà a pieno si potrà finalmente discorrere di un vero cambiamento. Servono le donne anche in politica. Per questo ho deciso di intraprendere una nuova avventura: la candidatura per le elezioni politiche nel Comune di Marano Marchesato. La lista civica “libertà è partecipazione” di cui faccio parte, riconosce uno spazio maggioritario alle presenze femminili, segno di un ‘importante evoluzione nei rapporti non sempre semplici tra donne e politica. Per quanto concerne proprio le politiche di pari opportunità, intese come strumento per valorizzare le differenze, ritengo che si potrebbe, ad esempio, riqualificare un immobile di proprietà comunale in disuso, ed adibirlo all’accoglienza dei minori, creando una ludoteca che favorirebbe certamente la conciliazione dei tempi della maternità e con i percorsi professionali di ogni donna. Cosa l’ha spinta alla candidatura? Il mio percorso professionale è stato caratterizzato sempre dall’idea che debba essere la meritocrazia ad avere la meglio rispetto a logiche clientelari e favoritismi. La mia discesa in campo politico è un voler continuare questo percorso; un modo per far capire alla gente che la scelta di impegnarsi in politica deve essere dettata esclusivamente dalla passione civile e dalla voglia di cambiare. Quali sono i problemi più urgenti da affrontare in un territorio calabrese come quello di Marano Marchesato? Sono tanti... dalla viabilità, al problema del randagismo, dalla ge-
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Impegno per la vita e il sociale
Esistono delle cause importanti che possono indurre alla formazione di questo tipo di cancro? Il tumore al seno è, forse, uno dei tumori su cui più si è studiato e di cui si conoscono maggiormente i fattori di rischio. Sicuramente in questo ambito chi la fa da padrona è il fattore genetico: dove c’è una familiarità importante, una certa predisposizione nel caso del tumore al seno, ma anche per il tumore all’ovaio e in quello dell’utero, c’è di conseguenza un’incidenza molto elevata. Gli altri fattori di rischio, poi, sono legati anche all’attività riproduttiva della donna e questo sì che è importante ai tempi nostri. L’inizio del ciclo mestruale, la possibilità di avere più o meno gravidanze, l’allattamento, sono tanti fattori che per le donne di oggi sono cambiati, causando un leggero ma importante aumento di incidenza in un’età più giovane. La prevenzione è fondamentale nel caso di diverse patologie: ciò vale anche per il tumore al seno? E come? La prevenzione, soprattutto quella secondaria, quella, cioè, di diagnosi precoce, è fondamentale da sempre perché l’inserimento al livello nazionale degli screening mammografici ha dato una svolta a questa patologia. L’aver convinto le nostre donne a rispondere alla chiamata per sottoporsi ad un esame periodico di mammografia ogni due anni, gratuitamente, ha aiutato molto la diagnosi precoce e quin- Vittorio di anche la possibilità di guarire. Per quan- Altomare to riguarda la prevenzione primaria, si sta cambiando anche lì moltissimo in termini, per esempio, di stile di vita e di alimentazione e di riduzione del fumo, di riduzione dell’alcolismo e di tutti quei fattori che hanno,
La mammografia per quanto riguarda la prevenzione ha dato una svolta...
comunque, una ricaduta in termini di aumento dell’incidenza. La prevenzione primaria del tumore al seno, comunque, viaggia insieme alla prevenzione di tutti i tumori. In Italia, allo screening nazionale risponde solo la metà delle donne che vengono chiamate: questo è ancora troppo poco. Se poi confrontiamo Nord e Sud, al Nord risponde quasi il 65%, al Sud circa il 35%. Quanto spende mediamente il sistema sanitario per affrontare prevenzione e cura di questo male? Posso dire che abbiamo una percentuale ancora relativamente bassa per quanto riguarda la prevenzione, mentre invece il costo maggiore della Sanità è nella cura. Si spende molto per curare il tumore al seno quando invece si potrebbe spostare la spesa un po’ di più sulla prevenzione. Per dirla in termini clinici ed oncologici, a me più congeniali: se io faccio diagnosi molto precoce, la paziente può essere curata con la sola terapia chirurgica. Con una diagnosi tardiva, invece, la paziente, oltre alla terapia chirurgica, avrà bisogno della ormonoterapia che è costosa, della chemioterapia che è costosa, della radioterapia che è costosa. Dunque più tardi si fa diagnosi, più è alto il costo in termini sociali ed economici. Quali sono le sue conclusioni: speranze e costatazioni? Oggi in Italia si sta lavorando molto bene in questo ambito, anche perché ci stiamo muovendo, a livello nazionale, con un network che si chiama SenoNetwork - mi permetto di citarlo, ne siamo componenti un po’ tutti i clinici che ci occupiamo di questa malattia - che sta cercando di spingere le autorità competenti, quindi nazionali e regionali, a costituire le Unità Multidisciplinari di Senologia. Quando una donna viene assistita da queste unità, dove si fa un alto volume di trattamento e di cura della malattia, dove si dialoga tra gli specialisti coinvolti e dove si collabora insieme per offrire alla paziente il miglior trattamento, è scientificamente provato che si guarisce di più e si guarisce prima. Se staremo nei tempi dettati anche dalla Comunità europea, in Italia saremo primi in Europa.
Hitchcock time... stione dei rifiuti alla totale assenza di politiche a favore del cittadino sia in riferimento ai temi del sociale sia alle politiche del lavoro. Per non parlare di un problema di grande attualità come il dissesto idrogeologico che riguarda da vicino il territorio e rappresenta un pericolo per l’intera cittadinanza. Una giovane donna che decide di scendere in campo politico: scelta di testa o di cuore? Sicuramente l’una e l’altra. La cosa più bella di questa esperienza è scoprire il territorio attraverso gli occhi e le esigenze di chi lo abita. Il calore della gente e l’accoglienza che mi riserva sono veramente una sorpresa inaspettata. Il rinnovamento viene accolto con grande entusiasmo di questi tempi. A concludere, l’autenticità delle motivazioni viene percepita con grande fiducia dai miei concittadini. Questa per me è già una piccola vittoria. L’impegno per le pari opportunità e ora l’avventura politica... Vivo la mia vita professionale e l’esperienza politica Paola come una missione. Palermo In entrambi i casi parto sempre dall’idea che bisogna partire dal piccolo per costruire un mondo più giusto. Nella vita ho imparato che quando provi a realizzare un tuo sogno, se ci metti anima e cuore, hai già vinto. Spero che il mio impegno autentico venga apprezzato da tutti coloro i quali credono che la politica significhi provare a concretizzare progetti, a scardinare logiche clientelari, a mettersi a servizio del cittadino e dei suoi bisogni.
Il maestro del mistero mai come ora nel volume di Riccardo Palmieri di Alessandro Cofone
Mettete insieme un giornalista con la passione del cinema (e non una passione qualsiasi, ma di quelle divoranti, quasi fameliche), il Maestro del cinema e del brivido, quale Alfred Hitchock e la lungimiranza di un editore: quello che ne viene fuori è sicuramente un capolavoro. Una di quelle felici intuizioni con cui il destino si diverte a far coincidere le cose. E si, perché in concomitanza con l’uscita nelle sale cinematografiche italiane del film su Hitchcock, ecco che nelle librerie si trova il volume di Riccardo Palmieri “Alfred Hitchcock. Il maestro del brivido”, per la collana Electi di Armando Curcio Editore. Il volume è un viaggio pieno di svolte, rivelazioni e dettagli sulla biografia del mago del suspense: una ricostruzione delle sue quotidianità, delle sue manie, anche attraverso una ricca iconografia che traccia a toni marcati un uomo «indisponente e in sovrappeso che si sposò vergine e rimase pi accecato da bellezze quali Joan Fontaine, Ingrid Bergman, Grace Kelly e Kim Novak». L’uomo, dunque, dietro il paravento del regista che ha terrorizzato milioni di spettatori tenendoli con il fiato sospeso davanti a una finestra affacciata su un cortile, a bordo di un treno in corsa, nella doccia di un motel, riuscendo dunque ad appagare sullo schermo i suoi desideri più nascosti, e che non ha mai ricevuto un Oscar, seppur nel corso della sua carriera gli siano state assegnate ben 6 nomination. Verrebbe dunque da dire, Alfred Hitchok come non lo avete mai visto. Tra i numerosi contenuti del libro, anche un’intervista a Roberto Leoni, scrittore, sceneggiatore e regista di cinema e tv che ha conosciuto personalmente il regista inglese e di lui dice: «Il modo in cui si presentava al pubblico era una specie di maschera, un travestimento che lui ha coltivato, esibito, sfruttato, perfino mercificato. Ma non aveva nulla a che vedere con lui. Il vero Hitchcock era un’altra persona». L’autore, che sempre per Armando Curcio Editore ha scritto nel 2009 “Audrey Hepburn. Diva per caso”, non tradisce dunque la sua naturale vocazione all’approfondimento regalandoci, ancora una volta, una finestra aperta su quei mondi e quei personaggi che il cinema ci lascia solo intravedere, tra un colpo di scena e un’altro.
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Sinergia vincente
Castrovillari, azione popolare per il recupero e la tutela dei beni comuni
Serbatoio di idee per il futuro del Paese sto di Leonardo Di Va
«I beni comuni sono figura della cittadinanza, rivestono una notevolissima funzione civile, incarnano vitali valori di solidarietà culturale, economica, sociale. I “beni comuni” (tangibili) sono essenziali alla promozione del “bene comune” come valore», così scrive Salvatore Settis nel suo libro Azione popolare. Cittadini per il bene comune, èdito nel 2012. Il grande storico dell’arte, di fronte al disinteresse, all’abbandono al degrado o alla propensione alla privatizzazione, da parte delle istituzioni, dimentiche dei vincoli puntuali della Costituzione, del prezioso patrimonio culturale e paesaggistico dell’Italia, esorta i cittadini all’indignazione, “antidoto all’indifferenza che uccide libertà e democrazia”: i cittadini, con la loro “azione”, divenendo protagonisti della salvaguardia dei beni del loro territorio, attuano un ruolo sociale e, a un tempo, etico, e, in particolare, compiono un investimento produttivo di grande rilevanza: quello sul futuro delle giovani generazioni. Consapevoli di questa straordinaria lezione civile, alcune associazioni culturali e ambientali castrovillaresi (in particolare: Gruppo archeologico del Pollino, Associazione italiana di cultura classica, Associazione amici della Terra, Lega ambiente), unitamente a singoli cittadini, hanno intrapreso, da qualche mese (informandone gli enti locali: Comune, Comunità montana, Consorzio di bonifica, ente Parco, e sollecitandone la collaborazione e il sostegno), dopo averne a lungo discusso sin da l’anno scorso, una serie di interventi sul territorio finalizzati al recupero di “beni comuni” condannati alla loro scomparsa e, persino, al dileguo dalla memoria individuale e collettiva. Del resto, lo studioso sottolinea che «è tempo di cercare nelle associazioni di cittadini il meccanismo-base della democrazia, il serbatoio delle idee per un’idea di Italia declinata al futuro. “Politica” è non un “mestiere” a sé, ma libero discorso da cittadino a cittadino. Gli alberi e le case che abbiamo visto nascendo, i paesaggi e le vedute, hanno storia e memoria assai più remota di ciascuno di noi, ma anche dei nostri padri e dei nostri nonni, e in buona parte sono ancora lì, e lo saranno non solo per i nostri figli ma per chi nascerà tra cinquanta o cento anni. Quello che facciamo oggi, quando salviamo i pesci di un fiume o vi scarichiamo rifiuti inquinanti, avrà conseguenze che dureranno per secoli oltre la nostra morte. Che segneranno l’ambiente e la vita dei nostri simili nelle generazioni a venire». Ebbene, la prima notevole iniziativa delle associazioni e dei cittadini castrovillaresi è stata dedicata al recupero della sorgente del Tùvulu, secondo la dizione dialettale, ubicata a valle dell’abitato di Castrovillari, sul versante da cui degrada la contrada Ietticelle: la fonte è lambita dal Fiumicello, corso d’acqua che, col nome di fiume dell’Episcopio, è citato in una pergamena greca, proveniente da Castrovillari, dell’anno 1249. La sorgente era ben nota nei secoli passati e celebrata per le qualità organolettiche e salutifere dell’acqua (utilizzata, ad es., per la cura della calcolosi). Infatti, il sacerdote don Domenico Casalinuovo, alla fine del XVII secolo, parlava di «una fontana d’acqua fresca e leggiera, acqua veramente preziosa per essere salutifera non solamente all’houmini sani ma alli malati, e se mantiene dalla mattina alla sera fresca, [...] nell’anno 1625 quest’acqua giovò all’eccellentissima signora D. Carlotta Savelli Prencipessa di Cariati che risiede nella città di Napoli, et essendo desperata dai medici una sera li venne a memoria di detta acqua dove subito spedì un huo-
Associazioni culturali e ambientali con singoli cittadini hanno intrapreso da qualche mese una serie di interventi sul territorio...
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Sinergia vincente La chiesetta di Santa Maria del Tufo, o Tùvulo Qui a lato, nel dettaglio, l’immagine dichiarata miracolosa della Madonna col bambino Sotto, una panoramica di Castrovillari
sorgente d’u Tùvulo». I risultati e la documentazione fotografica di tale “azione” sono ancora esposti su una parete esterna della Galleria d’arte del pittore Saverio Saverio Santandrea. L’analisi dell’acqua della fonte, effettuata dal Laboratorio di analisi ambientali Tecnocibus di Mangone (Cs), commissionata, pochi giorni dopo l’intervento di recupero, dal gruppo di volontari, ha dato risultati ottimali, confermando quel che decantava la tradizione raccolta dall’erudito del XVII secolo. Inoltre, nei pressi della sorgente si trovano, sepolti tra le piante, i ruderi della chiesetta rurale, travolta dall’alluvione del 1944, che era dotata di ben sette affreschi (alcuni, distaccati nel 1987 da una società di Roma, restaurati, si possono ammirare nella chiesa di San Giuliano) che il Casalinuovo così succintamente descrive: «In questo luoco detto Fiumicello vi è una chiesa titulata Santa Maria del Tufo volgarmente del Tuvulo, quale chiesa è antica e la detta immagine molto miracolosa per avere fatto infiniti miraculi e ci è gran concorso non solo dai cittadini ma ancora dai Forestieri. La sua festa è all’otto del mese di settembre e sta sottoposta al Rev. Clero di san Giuliano». In documenti anteriori si trovano riferimenti a tale culto e, unitamente, al toponimo: in un testamento dell’anno 1326 si allude a un “oliveto nella contrada S. Maria del Tubolo, [...] un orticello in contrada Tubolo” (vd. Giuseppe Russo, Il cartulario di Carlo Maria L’Occaso); in altri due documenti degli anni 1464 e 1476 si parla, rispettivamente, della contrada “S. Maria del Tufolo” e della chiesa “Sancte Marie de Tufulo in tenimento iam dicte terre Castrovillari loco ubi dicitur Flumicello”. La sorgente, che doveva essere attiva prima dell’edificazione della chiesetta rurale, ha dato il nome sia alla contrada che al luogo di culto. Del resto, le sorgenti, e in genere i corsi d’acqua, calamitavano, sin dall’antichità, la frequentazione del territorio da parte dell’uomo, promuovendone la sedentarizzazione e i processi culturali. Tùbulo è denominazione pertinente a una sorgente: indica lo scorrere dell’acqua, che, nel nostro caso, fluisce attraverso tubi di terracotta ivi sistemati (e ancora esistenti) allorché si decise di dare assetto alla parete che delimitava la terrazza; l’origine è dal latino tubulum, che significa “tubo”. La voce tùbulo, che compare nella lingua italiana intorno al 1500, è registrata dai dizionari: Deli, tùbulo, tubo piccolo e sottile, piccolo canale; Gdli, tùbulo, tubo piccolo e sottile, tubicino; Dei, tùbulo, piccolo tubo o canaletto: questo dizionario registra, inoltre, la voce dialettale tùfulo proprio come è riportata nei nostri due documenti del 1464 e 1476 e che è una forma, a ragione si osserva, oschizzata, *tufulus, della voce latina tubulus, usata da Varrone. mo apposta per Castrovillare a pigliare due cantinette di quest’acqua la quale bevuta da detta signora fra poco tempo fu guarita dalla sua infermità e ne fece ancora particolare esperienza dell’acqua in Napoli e la trovò migliore di tutte l’altre acque». Venti giorni fa è stato ripristinato, con una “azione” volontaria, il sentiero che conduce alla sorgente e pulita dalle sterpaglie la parete, adorna di muschio e capelvenere, da cui sgorga. Giorgio Massacra, che ha partecipato a questa “azione”, ha voluto delineare, in una pagina suggestiva, le sensazioni avvertite attraverso il filtro di una psiche presa dalla visione: «Scendendo dalla contrada Ietticelle, in direzione di Fiumicello, che corre proprio sotto il colle della Madonna del Castello, sprofondiamo nelle pulsioni sotterranee del territorio. Muniti di roncole, pennati, picconi, falci e zappili penetriamo facendoci largo a colpi di macete, violentando la nostra natura, incline alla spontaneità della vegetazione che lussureggia in quei posti. Pioppi giganteschi, salici allungati verso la luce lontana, querce con i rami a disegnare intricati ricami sul cielo ingombro di oscure sensazioni, come da psiche contorta nel fondo. Le pulsioni moleste che tendiamo a rimuovere emergono nel sentore di fogna che ammorba l’aria di Fiumicello, inquinato dagli scarichi fognari che illecitamente si versano in quel delizioso e serpeggiante corso d’acqua. Altre rimozioni moleste, per non dire funeste, si rivelano sotto specie di vecchi pneumatici che emergono di qua e di là, violando oscenamente la fitta bellezza vegetale del fondo valle. In fondo c’è la
...finalizzati al recupero di ciò che è condannato alla scomparsa e, persino, al dileguo dalla memoria individuale e collettiva
Il nome Tùbulo corrisponde a quello della sorgente Catùsi, nel Parco del Pollino, in territorio di S. Severino Lucano: tale denominazione, però, ha origine dall’arabo qadus, tubo. Altre due sorgenti col nome di Tùvulu si trovano nel territorio di Comuni vicini: una in quello di Mormanno e l’altra in quello di Laino. In Calabria, poi, l’idronimo è diffuso in altre province. Tornando alla nostra zona, l’appellativo dell’agionimo S. Maria del Tufo ha avuto origine, con ogni probabilità, da Tùfolo (Tufo è la forma apocopata), anche per la presenza in quella zona di pareti tufacee. Il toponimo Tùbulo trova un’antica attestazione nel territorio della vicina Cerchiara: esso è documentato in un testamento dell’anno 1192 (vd. Trinchera Syllabus) ove si parla di un possidente che ha proprietà presso il “Tubulo di pietra”. Fuori della nostra regione, nella provincia di Lecce si trova una contrada denominata La Tùbbule. Il recupero della sorgente ha suscitato interesse nei cittadini castrovillaresi, che hanno rispolverato i loro ricordi relativi ad escursioni compiute sino agli Anni settanta del secolo scorso. Se questa “azione popolare” sarà utile a svegliare la coscienza dei cittadini in modo che diventino protagonisti, coinvolgendo le istituzioni, nella salvaguardia dei beni comuni, i promotori avranno raggiunto il loro obiettivo di aver dato un contributo fattivo e significativo, con riflessi anche nella crescita democratica, alla comunità in cui vivono.
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Il racconto Per lui la notte cominciava con le tenebre ed il giorno con il nascere dell’alba
Amore di campagna di Giuseppe Aprile
Un fischio di treno lo ha svegliato. Il padre era già al lavoro da diverse ore. Era solito che la mattina non mantenesse sonno, anche perché, sapendo di dover lavorare senza perdite di tempo per tutta la giornata, s’era abituato ad utilizzare, per riposo e sonno, il meno ore possibili. Non era nato per dormire, ne per contare le ore del giorno e quelle della notte. Per lui la notte cominciava con le tenebre ed il giorno con il nascere dell’alba. L’orologio non gli serviva. Servivano il cammino lento delle tenebre e il corso del sole nel cielo o la densità delle nuvole viaggianti sopra la sua testa. Si regolava per vie naturali, mai scientifiche, per identificare lo scorrere del tempo sapendo che, forse solo tra mattina e pomeriggio poteva fare un minimo di distinguo, non certo tra le ore che erano sostanzialmente tutte eguali nel corso della sua giornata e della sua vita. Il giorno aveva un inizio ed una fine. Fin quando si vedeva era giorno, quando non si vedeva più era notte. Vicia, invece, da figlio con qualche affaccio di più nella vita moderna e qualche influenza di troppo tra compagni di diversa generazione, non usava ancora l’orologio, ma aveva dimestichezza con tante diverse ore del giorno e la mattina cominciava con il suo risveglio; non certamente con il levarsi del sole, mentre il giorno finiva non con il tramonto che poneva fine del pomeriggio e faceva cominciare la sera per poi diventare notte fonda. Ora è tutto diverso. Ognuno ha l’orologio al polso e conta tutte le ore, identifica il cammino del giorno e della notte, badando a tutte le ore ed alla loro evoluzione sia come densità di giornata che come evolversi di più o meno fitta notte. Cata vive serena e tranquilla i suoi giorni di spensierata contadina senza sognare e senza disperarsi di niente e senza nemmeno pensare che ci fossero diversi stati d’animo. Tutto quanto avveniva nel corso dei suoi giorni, era normale, non conosceva alti e bassi, non immaginava che si potesse stare diversamente. Tutto era giusto, tutto era ovvio, tutto era un corso normale della propria vita. A loro vicini viveva la famiglia di Maria, altra aggregazione di campagnoli, in quella marina attraversata dai fischi di treno e dal rumore delle auto che strisciavano sull’asfalto della nazionale che portava verso Reggio da una parte ed verso Catanzaro dall’altra. Tutta quella immensa pianura era un alternarsi di case rurali dentro cui ansimavano persone prese dalla fatica immane in una terra che dava tutto, ma a furia di sacrifici fatti con zappa e falce, scure e piccone, aratro e carri sempre carichi, tirati da buoi carichi, e poi pollame, asini, capre e pecore. La campagna era tutta attraversata da viottoli e stradette interpoderali, piene di vita. I cacciatori se la godevano, con fucili a tracolla, sempre gioiosi e allegri in un mondo dove i volatili apparivano ad ogni dove. Maria aveva un pensiero fisso che la turbava. Era tormentata dalla lontananza dalla chiesa e dalla difficoltà di andarci a sentir messa. Per lei la vita era campagna, famiglia e religione. Non che questo la infastidiva. Si trattava, infatti, si una vita della quale aveva sempre sentito parlare. I suoi avi non immaginavano vita di altro tenore. Per tante generazioni l’aspirazione maggiore era avere una famiglia, un pezzo di terra piuttosto grande da coltivare, la religione che estrinsecavano curando i rapporti con il Prete e la chiesa, sia nelle festività, sia ogni qualvolta riuscivano a ricavare tempo per recarsi a farsi la comunione, a sentirsi la Messa. A seguire le prediche della Santa Pasqua, nella notte di Natale, alla festa del Santo Patrono del paese ed in altre occasioni che nel corso dell’anno riuscivano a inventarsi per onorare Dio ed i Santi a cui erano devoti da generazioni intere la cui esistenza di perdeva nel ricordo e nella notte dei tempi andati. Segreto, sicuramente davvero segreto, era l’amore che ogni ragazza viveva. Lei, Maria, invece, era tanto convinta di avere trovato il suo amore per sempre, che non badava molto a che gli altri non si accorgessero. Le aveva mandato richiesta di fidanzamento Mimmo, un provetto lavoratore che stava di abitazione vicino alla sua terra, ma lei non aveva voluto badare. Si sentiva bella ed aspettava sempre in attesa che un partito migliore si fosse presentato. Mimmo era
Ora è tutto diverso Ognuno ha l’orologio al polso e conta tutte le ore
bravo, non mancava di tante doti importanti e aveva pure un mestiere che gli avrebbe garantito di tenere a posto una bella famiglia. Ma Maria teneva conto che aveva ancora una lunga vita di giovinetta davanti e poteva aspettare. Il padre le consigliava di non perdere l’occasione per sistemarsi, ma nello stesso tempo voleva che la figlia potesse ancora aspirare ad un matrimonio di maggiore consistenza. E diceva che non basta essere un gravo giovano e benestante, magari anche bello, per mettere su famiglia e meritare la sua figliola. Sapeva che la vita è piena di incognite e riserva tante sorprese. A volte negative, ma tante volte assai positive. E diceva che fino a quando una ragazza è troppo giovane, non serviva affrettarsi per prendere marito. Tante possibilità si sarebbero potute verificare nel futuro per cui valeva la pena rischiare. Di Mimmo aveva una buona idea. Era figlio di un suo compagno di lavoro, aveva le doti simili al padre, non si allontanava dalle abitudini di famiglia, non aveva grilli per la testa, come si dice. E sopratutto era un bravo lavoratore; uno di quelli che sapeva bene usare zappa e piccone. Perché oggi bisognava stare attenti. Molti sono scansafatiche. Quando vedono una bella ragazza e si predispongono a farsi fidanzati con lei, diventano di belle parole, di bella presenza e promettono marti e monti. Poi, nella sostanza, ci si accorge che si trattava di ragazzi che nascondevano i propri grandi difetti solo al fine di farsi ben volere e venire accolti nella famiglia della ragazza che pretendevano di prendere in futura sposa. Anche durante il fidanzamento, tante volte, non ci si accorge della vera indole del fidanzato. Sembra tutto rose e fiori e poi, ai primi mesi del matrimonio, vengono fuori le brutture. Ma Mimmo non sembrava un partito da inganno. E Maria aveva sempre una parola di stima per Mimmo, tanto che non pensava di interrompere subito il rapporto ed era disponibile ad una bella amicizia, sicuramente superiore a quella normale, ma evitando promesse e soprattutto evitando di illudere. Più in là, negli anni, altre proposte ebbe Maria con altri valenti giovani. Ma a tutti metteva un difetto. Uno era troppo basso, uno abbastanza geloso, l’altro non aveva una madre raccomandabile e sarebbe stata una suocera poco raccomandabile. Non bastava sapere dell’indole e della condizione personale del giovane. Si andava chia-
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Il racconto
za,mento e dei primi mesi di affettuosità che scambiavano per amore, non badavano certo a futuri scenari dove gli averi avrebbero potuto costituire ragione di nuove divisioni. «Il mondo è piano di divorziati» diceva Maria oramai abbastanza matura e con conoscenze interessanti. «È meglio non sposarsi che dover rischiare che tutto finisca. Ogni fine è una tragedia, ogni volta che non si va d’accordo tra ragazzi e ragazze che hanno contratto il matrimonio ed alla fine si ritrovano con guerre in famiglia, bisticci dove non mancano botte e schiaffi, figli in grave pena perché devono assistere da innocenti, alle guerre tra i genitori più volte incapaci di nascondere e di sperare nella soluzione positiva dei rapporti» finiva Maria esterrefatta e sdegnata. Poveri figli!
La libertà delle ragazze era molto rara. Soprattutto nelle campagne dove si conoscevano tutti con particolarità. Ogni famiglia conosceva l’altra e si parlava di tutti con dovizia di particolari.
Antonella, invece, cedette subito alle profferte del ragazzo che l’aveva avvicinata perché gli era piaciuta a prima vista. Non ci pensò tante volte. La sua vita di campagnola l’aveva portata ad aspirare in un matrimonio, comunque, pur di avere una vita di autonomia e senza sudditanze. Nicola, così si chiamava il giovane che la voleva in sposa, stette un pò per farsi avanti e dichiararsi. «Io non aspettavo altro - disse Antonella, appena mi fece la dichiarazione ho fatto capire che avrei deciso per il sì, senza badare al parere dei miei genitori». E precisava: «Sono io che mi dovevo sposare, non certo i miei genitori. Loro avevano fatto i fatti propri e ritengo giusto che io mi facessi i miei». In pochi giorni si fecero fidanzati ufficialmente, avvertirono i rispettivi genitori, fecero la festa del fidanzamento invitando tanti amici. C’è un tipo di amore che si possa chiamare di campagna? Ed in che cosa consiste? Quali caratteristiche ha? Penso di sì. Anzi, è sicuramente sì. Dove abitava Antonella era chiamata S.Anna. Una zona del paese nelle cui vicinanze c’era pure una antica chiesetta dove ogni anno facevano una festicciola e tutti andavano in processione: Non si trattava solo di una festicciola di chiesa. C’era anche una sorta di fiera e si facevano anche i fuochi artificiali. La gente del paese andava in pellegrinaggio e si procedeva cantando canzoni religiose dedicate alla santa che si venerava. Antonella non frequentava la chiesetta se non una volta all’anno, quando era l’ora della festa. Non c’era un sacerdote negli altri giorni dell’anno, non si diceva messa, non suonavano le campane. Per tutto il resto dell’anni restava inutilizzata. Era una chiesetta costruita e curata da una famiglia facoltosa del luogo. E’ lì che Antonella sognava di potersi sposare. Per sempre viveva con il pensiero fisso del matrimonio da celebrarsi a S.Anna, in quella chiesetta solitaria e carina. Era ad una sola navata. Aveva solo la statua di S,Anna, in legno, fatta da uno scultore dei tempi passati. Aveva innumerevoli anni di vita, Si riteneva di antiche e meravigliose tradizioni popolari. Antonella a volte ci andava da sola, pur non avendo altro da fare se non per vederla, sostare sul piazzale della sua porta di entrata, godersela e pensando a S. Anna che le avrebbe dato aiuto per trovarsi un bel giovane disposto a farla sua compagna per tutta la vita. E pregava S. Anna. Ogni volta che ci andava pregava per circa un’ora, Non ritornava a casa se non dopo avere pregato intensamente e dicendo preghiere con tutto il suo cuore. Qualche volta anche d0inverno ci andava; bastava che non piovesse a dirotto. Un pò di cattivo tempo non le faceva impressione. Diceva, anzi, che la santa avrebbe gradito di più quando andava d’inverno. Il sacrificio era maggiormente gradito da S. Anna. Tutto il paese ricorda la festa che in questa zona si faceva e tutti andavano festosi, contenti di partecipare ad un rito che si portava avanti da anni innumerevoli.
Maria aveva tentato di lavorare presso un locale pubblico molto frequentato da ragazzi. Doveva anche vincere una solitudine che si era impadronita di lei, come diceva. E per molto tempo non pensò più alla vita di campagna ed ai consigli dei genitori che trovava eccessivamente di stampo antico; per niente aperto alle novità che invece nel mondo andavano maturando. Ma quella vita non le faceva vincere la solitudine. Si sentiva sempre poi sola fino al punto che non le durò molto. Pensò: «Mio padre è una realtà, quello che mi può capitare con la mia mente, potrebbe un giorno farmelo rimpiangere». E dopo alcuni mesi di vita presso un locale pubblico, dietro un bancone di gelati e caffè, maturò l’idea di tornare dai genitori, nella immensa campagna dove viveva al contatto con la natura e poteva far fruttare meglio la sua fatica tra i solchi. Un giorno ha incontrato due sue conoscenze di città e con esse ebbe popi modo di parlare, passeggiare, dire dell’uno e dell’altro ed anche di cosa andava di moda come pensiero sulla famiglia. Trova molte stramberie, casi di persone che avevano cominciato con un buon andamento per poi finire in divorzio, di guerre, in cause per la separazione con in mezzo i figli che nell’intento avevano creato. E questioni relativamente alla spartizione dei beni che intanto avevano reso di comune appartenenza. Perché quasi tutte nell’entusiasmo dei fidan-
Anche Teresina di massaro Mico aveva avuto il suo da fare per conciliare la vita di campagna con il suo desiderio di potersi, un giorno, sposare. In tutte le campagne rurali si viveva tra vicini, tutti zappatori ed ortolani, potatori, curatori di vacche e buoi, pecorai, contadini che conciliavano la cura dell’orto dove producevano tutto quanto serviva mangiare senza spendere soldi con una sorta di speciale vita sociale che consisteva nel rapportarsi con i vicini, scambiarsi visite serali, conversare di giorno soprattutto con limitanti del proprio orto. Si conoscevano tutti e si volevano bene. Ogni tanto capitava di imbattersi con persone dotate di un carattere assai brutto, ma si faceva finta di niente, Non c’erano inimicizia quasi mai. Si conviveva anche in presenza di brutti caratteri e di gente tirchia. L’essere tirchi era una contraddizione con l’essere contadini. I contadini generalmente erano gente espansiva, disponibile a dare, non si faceva conto di niente. L’amicizia per questa gente era il solo scopo della vita sociale. E facevano di tutto per intrecciare relazioni di amicizia. Mastro Milio diceva sempre: «Se non siamo amici tra di noi, che viviamo a fare? Come passiamo i nostri giorni? Noi abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Ci dobbiamo aiutare sempre e l’aiuto tra di noi è indispensabile. Nella campagna si vive delle belle amicizie tra vicini e conoscenti».
ramente a capire tutta la generazione cui apparteneva e tutto il parentado. Un matrimonio richiedeva conoscenza totale dei parenti e degli amici frequentati. Si narra di belle ragazze che non si sono sposate perchè i genitori le hanno influenzate negativamente. Un padre si tenne quattro figlie in casa perché quelli che avevano mandato richiesta, non rispondevano ai suoi desideri. Sembrava che fosse lui a doversi sposare e convivere successivamente. In questi nostri paesi i genitori hanno sempre esercitato una grande influenza sul destino dei figli. Moto consistente fino al punto da condizionare il futuro dei figli e delle figlie. E le figlie molto facilmente e quasi abitudinariamente venivano seguite dai genitori; da entrambi: madre e padre e talvolta anche dai fratelli che ci tenevano per la via delle sorelle e si sentivano utili per la decisione di un futuro matrimonio.
La libertà delle ragazze era molto rara, soprattutto nelle campagne
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Pillole di fede
Dalla parte del Creato
L’acqua come bene pubblico nell’impegno di Herica Bonetti
Herica Bonetti con un suo collega di raccolta firme
di Lucia De Cicco
Herica Bonetti è una giovanissima scout di Mendicino 1. Studentessa universitaria, collabora con il Moci di Cosenza. Ci incuriosisce la sua presenza presso contrada Pasquali di Mendicino in una campagna pro Acqua Pubblica bene comune Calabria, una raccolta firme di promozione di una legge di iniziativa popolare per la tutela, gestione pubblica del ciclo integrato dell’acqua, proposta di legge regionale. Il coordinamento per l’acqua bene comune al 4 gennaio scorso ha depositato una proposta di legge regionale. Con la raccolta firme, in quest’ultimo periodo è importante, ci dice, Herica, dare maggiore visibilità all’iniziativa e arrivare alle persone che difficilmente sono arrivabili. Come si svolge l’acquisizione delle firme? «I comuni stessi possono aderire alla proposta di legge, cosa importante attraverso delibera del Consiglio. Così è stato per Mendicino. Il 26 marzo è nato questo coordinamento per l’acqua “bene comune”. Iniziativa, dunque, che nasce dal basso, non ama le strumentalizzazioni, ma è importante, tuttavia, l’appoggio dei partiti e dei movimenti. L’obiettivo è quello di fare comprendere che l’acqua, che è un bene comune, non può essere una fonte di guadagno per nessuno. Rendere ciò privato, credo non possa funzionare. In molti comuni l’azienda privata non ha garantito il servizio a pieno. La società privata si occupa di captare l’acqua, e il comune non accede a tutte le sue potenzialità. Il servizio al momento è gestito da una società mista, che può portare alla gestione regionale dell’acqua pubblica sottraendola ai comuni e di conseguenza al controllo di più persone». Herica svolge servizio nella parrocchia di Mendicino, nella comunità dei capi scout. Per uno scout cosa rappresenta l’ambiente e la sua tutela? «Credo che l’ambiente sia importante per tutti, essere ambientalisti significa avere un rapporto con la natura, ma anche per un Cristiano deve essere così. Per natura s’intende ogni forma di essere vivente. Sviluppando empatia per ogni cosa, figli di un unico
«Essere ambientalisti significa avere un rapporto con la natura, ma anche per un cristiano deve essere così Per natura s’intende ogni forma di essere vivente sviluppando empatia per ogni cosa come figli di un unico sistema»
sistema. Se s’incomincia a considerare le piante inferiori alla forma di vita umana, già andremo ad intaccare l’equilibrio. L’inquinamento nasce proprio da questo sentire il resto della natura come un qualcosa d’inferiore a noi uomini, non ponendo quella giusta attenzione a ciò che lo circonda. L’ambiente ci accoglie e ci ospita. Ogni qual volta lo inquiniamo lo facciamo verso noi stessi, perché ne facciamo parte. Come scout il rapporto è fondamentale, fin da lupetto che è invitato ad avere un rapporto con la natura che sia totale». Le abbiamo chiesto che cosa possiamo fare, piccoli accorgimenti per tutelare l’ambiente. Uno di questi potrebbe essere limitare o non usare per nulla i piatti di plastica. Lei personalmente ha preso l’abitudine di portarsi dietro una borraccia di alluminio, per sopperire all’uso della bottiglietta di plastica, che se anche usata più volte inevitabilmente finiranno nei rifiuti. La bottiglia di alluminio è utile, poiché, lavabile e non aumenta il consumo di acque imbottigliate e dell’inevitabile plastica che la racchiude. C’è l’acqua pubblica potabile, che sgorga dalle fontane in città, ma un poco ovunque, ci dice, si riempie e il gioco è fatto nel rispetto della natura. «Cerco di avere, ci dice Herica, degli atteggiamenti conformi alla natura, per ciò che posso. In casa uso e consiglio l’uso dei detersivi biodegradabili, per la lavatrice, la lavastoviglie. Nei limiti ovviamente, ci sono anche delle cose che magari non conosciamo, ma cui dobbiamo prestare attenzione. In alcuni casi per lavare è sufficiente acqua e aceto, al posto dei detersivi, che sono inquinanti e che possono finire nel terreno e nelle acque». La sua figura della santità della Chiesa di riferimento è San Francesco D’Assisi, partendo dall’idea di una vicinanza al mondo dello scoutismo, essendo protettore dei lupetti. Primo esempio dell’amore verso il Creato. «Un personaggio, attuale che ho avuto il piacere di conoscere è Padre Alex Zanotelli, vicino alla tema acqua e ambiente. La cosa che mi ha colpito nel suo discorso è che la lotta per i grandi temi del Creato va vissuta da Cristiani, non come solo ambientalisti. Un legame con la natura che fa parte di noi e di ciò che Dio ha creato, legame che nasce dal fatto che ogni cosa è una creatura voluta da Lui».
sabato 11 maggio 2013
Sportelli aperti alla fede
Chiesa e Comune di Cosenza per i giovani “Il seminatore” semina progetti di micro-credito per i ragazzi tra i 18 e i 35 anni
Complesso monumentale San Domenico, Cosenza
Torna l’oratorio del Rosario
Nel palazzo arcivescovile, è stata firmata una convenzione tra l’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano e il Comune di Cosenza per sostenere l’accesso al credito per giovani, tra i 18 e i 35 anni, residenti nel territorio del Comune di Cosenza e particolarmente per l’avvio di attività artigianali o agricole in zone disagiate della città capoluogo. L’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Mario Occhiuto, ha messo a disposizione dell’Arcidiocesi cosentina e particolarmente del progetto “Il Seminatore”, portato avanti dall’ufficio di pastorale del lavoro, cinquanta mila euro; con il moltiplicatore previsto dalla convenzione con la Banca di credito cooperativo Mediocrati tale somma permetterà l’avvio di una ventina di nuovi progetti. L’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, monsignor Salvatore Nunnari, ha ringraziato l’amministrazione comunale di Cosenza che ha voluto aderire ad un programma di solidarietà e di sviluppo avviato da quasi tre anni dalla Chiesa cosentina e che registra 29 attività regolarmente attive e funzionanti, altre 4 in via di definizione e altre 6 in fase di studio presso l’ufficio di pastorale del lavoro. Si prevede per ottobre 2013 di arrivare al numero complessivo di 40 attività avviate in soli tre anni. Il ‘microcredito’, che ha consentito la costituzione di imprese giovanili nel territorio della diocesi, è una forma non tradizionale di erogazione di credito a persone che, volendo costituire o incrementare attività imprenditoriale, non hanno possibilità di accesso alle banche. Spetterà unicamente alla diocesi, secondo il regolamento accettato dall’amministrazione comunale, il compito di seguire la pratica tenendo conto delle condizioni di territorialità richieste ed evidenziate nella convenzione firmata e quella della convenzione stipulata con la Banca di Credito Cooperativo MedioCrati per la nascita del progetto “Il Seminatore”. don Enzo Gabrieli direttore Ufficio diocesano Comunicazioni sociali
Spetterà unicamente alla diocesi il compito di seguire la pratica tenendo conto delle condizioni di territorialità richieste ed evidenziate nella convenzione firmata con la Banca di Credito cooperativo Medio Crati
La Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici della Calabria, in attuazione del progetto Arcus spa - programma di interventi relativi alla tutela, ai Beni e alle Attività culturali e allo spettacolo da finanziare con le risorse individuate ai sensi dell’art. 60, comma 4, della L. 27.12.2002 n. 289. - anno 2009, ha consegnato, in data 3 maggio 2013, i lavori di consolidamento e restauro parziale dell’oratorio dell’arciconfraternita del Rosario annesso al complesso monumentale di San Domenico di Cosenza. L’intervento di restauro, progettato dai tecnici della Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici della Calabria e diretto da Fabio De Chirico, soprintendente Bsae Calabria e da Nella Mari, storico d’arte Sbsae Calabria, sarà ultimato nell’autunno del 2014. Lo splendido oratorio del Rosario è una delle espressioni più significative dell’arte barocca nella città di Cosenza. La prima fase costruttiva risale al Cinquecento come attestano la cassa muraria, gli arconi in pietra di accesso alle cappelle laterali, l’arco santo in pietra e l’abside quadrangolare. Alla prima metà del Seicento rimanda il preziosissimo soffitto in legno intagliato e dorato dall’opulento decoro tipico del variegato repertorio ornamentale barocco e su cui si stagliano lo stemma del mecenate Lorenzo Landi e cinque dipinti su tela raffiguranti Gesù tra i dottori della chiesa, la Natività, La morte della Vergine, La Circoncisione, La discesa dello Spirito Santo. Nel corso del Settecento l’oratorio del Rosario, in piena adesione al gusto barocco, viene rimaneggiato e arricchito. Le pareti vengono decorate con stucchi dorati, si realizzano il doppio ordine di stalli in legno laccato e dorato, il pulpito, il cancello di accesso alla cappella in ferro battuto, l’ampia cantoria in legno dipinto e la cupola dell’abside. La resa volumetrica e prospettica e l’ornamentazione fanno di questo luogo sacro un esempio eccellente, un documento prezioso e unico dell’architettura e dell’arte barocca nella città di Cosenza. La lettura dell’apparato pittorico restituisce un programma iconografico strettamente correlato all’intitolazione della cappella: è la rappresentazione dei Quindici misteri che si dispone lungo le pareti, ai lati dell’arco santo, sulla cupola. L’intervento previsto ha l’obiettivo di dare slancio vitale al centro storico di Cosenza avviando un’adeguata programmazione che, partendo dai punti di eccellenza che custodiscono memorie e un patrimonio di arte e di cultura di straordinaria rilevanza, le restituisca valore e centralità. Il restauro dell’Oratorio del Rosario, unico intervento Arcus approvato in Calabria, rappresenta un importante tassello nell’attività di tutela e recupero del patrimonio culturale, ancora più significativo in considerazione della grave crisi economica che investe il nostro Paese.
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