Anno 38 - 2 Agosto 2014 - Numero 31
Settimanale indipendente di informazione
euro 0,50
Ha vinto la speranza: a meno di due anni dal terremoto riapre al culto la Cattedrale di Mormanno IN GIRO PER LA STORIA
GOLETTA DEI LAGHI
XXXXXXXX
Rossano, kastron Occhio ai bacini bizantiono capitale della Sila, della Sibaritide prima che finiamo a secco
“Matura� il latte per i bimbi prematuri
La sua ascesa e confermazione comincia nel secolo VIII
Intesa Comune Cosenza e Banca del latte umano
di Pietro De Leo
Dossier Legambiente su incompiute e pericolo di svuotamento
II
sabato 2 agosto 2014
Collaborazione rinnovata Siglato a palazzo dei Bruzi il protocollo di intesa con “Galatea banca del latte umano donato”
a
“Matura” il latte per i bimbi prematuri È una collaborazione che si rinnova nel segno della civiltà e del progresso quella che, nel salone di rappresentanza di palazzo dei Bruzi, è stata nuovamente siglata nell’ambito del progetto “Galatea banca del latte umano donato”. Il latte umano che si dona è importante in quanto fonte di nutrizione, specie per i bimbi prematuri che, attraverso queste donazioni, possono prevenire malattie mortali. L’iniziativa, portata avanti dall’Unità operativa di Neonatologia e terapia intensiva neonatale dell’ospedale dell’Annunziata, che ha consentito alla Banca del latte cosentina di attestarsi come seconda in Italia per numero di donatrici, viene supportata da anni con successo dal Comune di Cosenza attraverso i servizi di consegna a domicilio offerti dal corpo della Polizia municipale. Da qui, la firma del Protocollo di intesa che è stata apposta dal sindaco Mario Occhiuto oltre che dalle rappresentanti di un reparto che rappresenta un fiore all’occhiello dell’Annunziata, dal direttore sanitario dell’azienda ospedaliera, William Auteri, e dalla vice comandante dei vigili urbani, Roberta Iazzolino (era presente al tavolo anche l’assessore al Sociale, Manfredo Piazza). «Ci piacerebbe poter sempre parlare di vicende di questo tipo e non di emergenze legate alla nostra sanità ha esordito il sindaco Occhiuto - Si tratta di progetti che testimoniano la civiltà di una comunità, con pratiche che sono rivolte alle mamme e ai bambini che attraverso il latte materno possono prevenire tutta una seria di malattie. Il corpo dei vigili urbani - ha sottolineato spesso opera per alimentare processi di coscienza civica anche quando, a mio parere, si tratta di svolgere l’attività sanzionatoria ma, in questo caso specifico, il fine per cui gli agenti si adoperano è davvero lodevole. Come istituzione concorreremo sempre a situazioni di questa natura». Al sindaco ha fatto eco la vice comandante Iazzolino in rappresentanza del comandante Ugo Dattis, dicendosi «grata all’amministrazione per aver coinvolto la polizia municipale in questa iniziativa che fra i vigili raccoglie entusiasmo e partecipazione che vanno oltre il semplice dovere di servizio». Maria Pia Galasso, dirigente medico e responsabile di “Galatea banca del latte umano donato”, dal canto suo ha esposto il progetto nel dettaglio, ringraziando le associazioni che contribuiscono notevolmente a una filiera vincente: «Come banca del latte Galatea - ha dichiarato - abbiamo chiesto la condivisione dell’azienda ospedaliera e del Comune che, in particolare, ci ha sostenuto per la raccolta a domicilio che viene effettuata dai vigili urbani con molta competenza e profes-
L’iniziativa, portata avanti dall’Unità operativa di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale dell’ospedale Annunziata viene supportata da anni con successo dal Comune di Cosenza attraverso i servizi di consegna a domicilio offerti dal corpo della Polizia municipale
Il rinnovo dell’accordo con il sindaco Occhiuto
sionalità. Sul piano nazionale ci attestiamo al secondo posto per numero di donazioni, anche grazie ad un’organizzazione capillare di cui hanno bisogno le madri in difficoltà, un vanto che inorgoglisce non solo l’Azienda ospedaliera ma l’intera regione». Un tipo di rete simile, va a rafforzare il rapporto madre e figlio e previene, come già detto, malattie gravi per i bimbi nati prematuri, problemi cardiovascolari, di diabete eccetera. Maria Lucente, direttore dell’Unità operativa di Neonatologia dell’Annunziata, ha ribadito la forza collaborativa del reparto con le associazioni e le istituzioni, perché solo attraverso una tale sinergia si permette il mantenimento di una realtà come la Banca del latte umano donato. «La motivazione della riconosciuta eccellenza del nostro reparto ha affermato Lucente - risiede nel fatto che possiamo curare pazienti critici. Di recente, ad esempio, abbiamo salvato due gemellini nati di 24 settimane, ovvero il limite della sopravvivenza, grazie proprio a una nutrizione adeguata».
sabato 2 agosto 2014
Guardiamo in alto... Legambiente presenta il dossier "Laghi della Sila, tra incompiute e pericolo di svuotamento"
Prima di finire a secco
Il turismo sostenibile, naturalistico o sportivo, a basso impatto può diventare una delle chiavi più innovative e strategiche per rilanciare l’economia del territorio della Sila, se sarà in grado di conservare e valorizzare la bellezza dei laghi. Ne è convinta Legambiente, che ha promosso una serie di eventi in occasione del passaggio in Calabria della Goletta dei Laghi, la campagna nazionale dell’associazione ambientalista per la tutela dei bacini lacustri. Di turismo, gestione delle aree protette, criticità e potenzialità dei laghi della Sila tratta il dossier “Laghi della Sila, tra incompiute e pericolo di svuotamento” che è stato presentato nel dibattito conclusivo della giornata a San Giovanni in Fiore dal presidente del circolo Legambiente “Sila” Giuseppe Veltri, il presidente del “Comitato per la salvaguardia della Ferrovia Silana” don Emilio Salatino, il presidente di Legambiente Calabria Francesco Falcone e dal responsabile nazionale aree protette di Legambiente Antonio Nicoletti. «A nostro avviso i tempi sono maturi per rilanciare una serie di proposte e buone pratiche per i laghi silani come il Contratto di lago afferma Antonio Nicoletti - per promuovere più generali politiche per la green economy in un territorio che aspetta che le proposte delle istituzioni siano aderenti alla missione del Parco nazionale della Sila. Per fare questo serve comunque un cambio di passo del Parco, che deve sapere intrecciare conservazione e sviluppo in maniera più coerente di quanto fatto fino ad oggi e saper incidere di più nelle scelte strategiche. Contestualmente deve crescere la consapevolezza della Comunità del Parco e l’assemblea dei sindaci dell’area protetta, la cui azione è stata fino ad oggi inadeguata a sostenere le politiche di sostenibilità: questo territorio necessita di azioni concrete contro il consumo di suolo e la tutela del paesaggio, a favore di una gestione forestale sostenibile e dell’agricoltura biologica e a sostegno del miglioramento della raccolta differenziata e della depurazione nei comuni del Parco». Tra impianti di risalita e piste da sci esistenti, parchi avventura o percorsi Cai per trekking o nordic walking o ancora piste da sci da fondo e la riattivazione della Ferrovia silana, il territorio silano presenta già interessanti attrazioni, senza contare che la presenza dei laghi ha incentivato un turismo di nicchia attratto dalle bellezze naturalistiche. «Ma è fondamentale ricordare - aggiunge Nicoletti - che gli stessi laghi sono degli ecosistemi chiusi delicati, alcuni dei quali classificati anche come Zona di protezione speciale e Sito di importanza comunitaria, quindi qualsiasi sviluppo turistico deve essere a basso impatto, nel rispetto dell’ambiente e delle normative nazionali e comunitarie». Per questo Legambiente è contraria alla realizzazione di altre opere inutili, come l’ipotizzato mega comprensorio sciistico Lorica Camigliatello Silano. «Un investimento pubblico a servizio del nulla, che aleggia da oltre 30 anni nella fantasia di una classe di amministratori che guarda a ipotesi di sviluppo locale del secolo scorso e che ancora non ha compreso che la nascita del Parco nazionale della Sila ha cambiato il paradigma dello sviluppo dell’altopiano silano - attacca Giuseppe Veltri, presidente del circolo Legambiente “Sila” -. Siamo disponibili a parlare del futuro sostenibile della Sila
«Serve un cambio di passo del Parco che deve sapere intrecciare conservazione e sviluppo in maniera più coerente di quanto fatto e saper incidere di più nelle scelte strategiche» afferma il responsabile nazionale Aree protette Legambiente Antonio Nicoletti Segui il viaggio della Goletta dei Laghi sul sito www.legambiente.it/ golettadeilaghi E su facebook.com/ golettalaghi
con chiunque e senza pregiudizio alcuno, ma al contempo siamo pronti a dar battaglia, per impedire che il possibile ammodernamento degli impianti di risalita si trasformi nel comprensorio sciistico più grande del Sud Italia, in un’area tra i laghi Arvo e Cecita che intaccherebbe Sic e Zps, senza inoltre garanzie sulla sostenibilità anche economica della gestione». Una minaccia per fortuna per ora sventata, dato che il bando emanato dalla Regione non ne fa cenno. La sostenibilità delle strutture ricettive è uno dei capisaldi dell’impegno dell’associazione ambientalista nel settore turistico, grazie anche alla diffusione dell’Ecolabel, l’etichetta che segnala alberghi e camping attenti all’ambiente. Un’azione che avrà ancora più forza dopo l’accordo recentissimo firmato con Assohotel Confesercenti per premiare le aziende ricettive migliori nella gestione eco-efficiente, nella salvaguardia e valorizzazione del patrimonio ambientale locale e nel miglioramento della qualità della vita. Aspetti che stanno a cuore a chi già frequenta i laghi silani, come dimostrano i dati del progetto “Un parco per tutti”, che tra il 2013 e il 2014 ha favorito la conoscenza del territorio e la sensibilizzazione ambientale nelle stesse popolazioni locali e raccolto informazioni sulla fruizione sportiva del Parco. Tra maggio 2013 e maggio 2014 solo il circolo Legambiente Sila è riuscito grazie a trenta escursioni (trekking, ciaspolate sulla neve, mountain bike e passeggiate naturalistiche) a portare nel territorio del Parco circa 800 turisti. Gli sport naturalistici hanno inoltre il pregio di riuscire a coniugare attività sportive con l’enogastronomia del territorio, consentendo la scoperta dei prodotti di qualità che l’altopiano silano riesce ad offrire. L’attività agricola è tra l’altro fortemente presente nelle aree attorno ai laghi, soprattutto sul lago Cecita che è uno dei punti di maggiore produzione della patata silana. L’agricoltura è dunque una risorsa fondamentale per il territorio ma richiede secondo Legambiente un’azione di informazione e sensibilizzazione dei coltivatori al fine di promuovere una pratica a basso impatto come è quella biologica. Da qui la proposta di un’intesa con le organizzazioni dei produttori e il Parco per favorire produzioni sostenibili e di qualità. La Sila presenta però anche diverse criticità in merito ai bacini lacustri. A partire da alcune cattedrali nel deserto, come il lago Votturino a Serra Pedace in provincia di Cosenza, il cui bacino è vuoto da oltre vent’anni, o la diga di Re di Sole a San Giovanni in Fiore, mai messa in opera. Ma la minaccia che più preoccupa gli ambientalisti, oltre a quella di uno sviluppo insostenibile del territorio, è quella dello svuotamento dei bacini, come accaduto nel 2012 per il lago Passante a Taverna, provincia di Catanzaro. Il prossimo, secondo il progetto di A2A che lo gestisce, potrebbe essere il lago Arvo. Se il periodico rilascio dei sedimenti che si depositano nei laghi artificiali è necessario, le modalità possono essere ben diverse. «Condividiamo l’obiettivo di fare manutenzione delle opere di presa e garantire così la sicurezza del territorio e delle popolazioni - dichiara Francesco Falcone, presidente di Legambiente Calabria - ma non siamo per nulla d’accordo che si sprechi un bene pubblico come l’acqua invasata nel bacino del Lago Arvo. La tipologia di interventi previsti, e cioè svaso e fluitazione, hanno un impatto ben superiore a quanto dichiarato da A2A soprattutto per la carenza e superficialità degli studi prodotti su habitat e specie presenti. È evidente che un intervento di svaso di un bacino posto in un Parco nazionale pone problemi in ordine alla conservazione della biodiversità, e nel caso dei laghi Arvo e Ampollino, che sono elementi fondanti dell’area protetta, il tema si allarga all’identità stessa del paesaggio». Ecco perché Legambiente Calabria chiede alle autorità competenti di valutare misure tecniche alternative non invasive per l’ispezione alle opere di presa e all’eliminazione dei sedimenti, e ad A2A un Piano di gestione aggiornato che tenga conto delle nuove disposizioni di legge e delle direttive europee Habitat, Acque e Alluvioni, oltre a valutare l’impatto degli interventi sulla biodiversità e il paesaggio. «Pensiamo sia necessario sottoporre il Piano alla Valutazione di incidenza ambientale (Vinca)» conclude Falcone - e considerando che il complesso di attività proposte dura almeno 10 anni, anche ad una Valutazione ambientale strategica (Vas) che tenga conto degli impatti economici e sociali dell’intera operazione proposta. A maggior ragione è quanto mai urgente affrontare con il Parco, la Regione Calabria e con tutti i soggetti interessati la questione del Piano di gestione dei Sic e delle Zps, al fine di assicurare in generale uno stato di conservazione soddisfacente per gli habitat e le specie conservate».
III
IV
sabato 2 agosto 2014
sabato 2 agosto 2014
In giro per la Storia
In giro per la Storia
Il nucleo antico della città palesa tutt’ora le caratteristiche del kastron bizantino che, appollaiato su un colle, alle propaggini orientali della Sila Greca, presidia il mar Jonio
Rossano, capitale della Sibaritide
L’Universitas si rivolse allora all’arcivescovo Sanseverino perché si adoperasse a trovare la disponibilità di qualche famiglia nobile romana d’alto rango ad acquistare la città. Fu così che il prelato convinse il cardinal Pietro Aldobrandini, arcivescovo di Ravenna e nipote di Papa Clemente VIII, ad avviare per suo tramite la trattativa di acquistare il principato di Rossano per il piccolo nipote Giovanni Giorgio, rimasto orfano del padre Giovanni Francesco Aldobrandini (†1601) e sotto la tutela della madre Olimpia Aldobrandini. La trattativa prolungatasi per diversi anni si concluse positivamente con l’atto di vendita del 4 ottobre 1612, di cui Luca De Rosis fornisce interessanti particolari: atto ratificato definitivamente il 6 aprile 1616 con rogito del notar Salimbeni.
di Pietro De Leo
Con felice sintesi, G. Dragon definì l’impero bizantino come un immenso «mosaico di città»: tale è l’immagine offerta dalle fonti storiche, geografiche ed agiografiche e restituita, sia pure per frammenti, da alcuni preziosi documenti iconografici, a noi pervenuti. Di quel mosaico Rossano è un tassello importante. Si legge infatti nella Vita di San Nilo, scritta da Bartolomeo di Simeri: «Io credo che non vi sia alcuno tra noi che non conosca Rossano, non solo come quella città che segna i confini della Calabria (greca), assai grande e inespugnabile, ma anche come la sola città che, nella generale devastazione e caduta di tutte le città durante il dominio dei Saraceni, non soggiacque alla legge della comune rovina». Il nucleo antico della città, nonostante le superfetazioni successive, palesa tuttora le caratteristiche del kastron bizantino che, appollaiato su un colle, alle propaggini orientali della Sila Greca, presidia il mar Jonio con la circostante marina e il borgo moderno in continua espansione. La sua ascesa, come la sua fondamentale conformazione, inizia dal secolo VIII, quando il minuscolo centro, già segnalato col toponimo prediale Ruscianum nell’Itinerario di Antonino il Pio, si trasforma con intelligente disegno in una delle città più forti del Qhma di Calabria. Così quel borgo che era sorto a ridosso della romana Copia/Thurii nella tarda antichità ed era stato teatro di scontri durante la guerra gotica, divenne importante sede episcopale dipendente dal patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Come era avvenuto a Ravenna nel primo periodo della dominazione bizantina, anche a Rossano - sia pure in scala minore - si assiste a una fase di sviluppo caratterizzata soprattutto dalla costruzione di edifici religiosi. Lo testimonia indirettamente l’agiografo di S. Nilo nel secolo XI, quando ricorda il terribile terremoto che sconvolse Rossano intorno al 973/75. Nel riferire i disastri causati dal terremoto, Bartolomeo di Simeri informa che la città fu rasa al suolo quasi completamente e gli effetti del sisma furono aggravati da piogge incessanti, al punto che le abitazioni e gli edifici sacri della parte alta della città franarono sulle zone sottostanti, mentre si salvarono solo la chiesa Cattedrale e la cappella di S. Irene (oggi scomparsa). Subirono, invece, gravi danni la chiesa dei Ss. Apostoli e il monastero di S. Anastasia. La chiesa dei Ss. Apostoli (anch’essa scomparsa) si trovava nei pressi della “grande porta” della città. Il cenobio con annesso oratorio era nella parte alta di Rossano e l’ oratorio è stato da alcuni impropriamente identificato con la superstite chiesa di San Marco.
La sua ascesa, come la sua fondamentale conformazione, inizia dal secolo VIII quando il minuscolo centro si trasforma con intelligente disegno in una delle città più forti del Qhma di Calabria
Rossano ha ospitato, come nodo strategico adiacente alle rotte del mar Jonio, per tutta l’ età medioevale e sino all’ espulsione da parte del governo spagnolo agli inizi del secolo XVI, una florida comunità ebraica, importante sia sul piano culturale che su quello economico, da cui prende ancora oggi il rione diruto “Giudecca”. Nel 1276 la Sinagoga di Rossano era per contribuzione la seconda della regione. Nel 1510 alcune famiglie ebree di Rossano si trasferirono a Valona e l’ evacuazione fu portata a compimento nel 1512. Rossano mantenne la “demanialità” sino alla formazione del principato di cui porta il nome. Si ritiene che sia stata Giovanna II ad investire del feudo Polissena Ruffo, vedova del gran siniscalco Giacomo di Mailly, passata in seconde nozze con Francesco Sforza, anche se tutto si perfezionò quando alla morte di Polissena (1420) la città passò nelle mani dell’ unica erede, la sorella Covella. Ad essa Giovanna II confermò l’infeudazione aggiungendo anche quella di Calopezzati. Alfonso I il Magnanimo confermò a Covella nel 1445 il possedimento di Rossano e concesse il titolo di principe al figlio di Covella, Marino, avuto da Giovanni Antonio Marzano, duca di Sessa. A
Marino vengono attribuiti i lavori di restauro e il completamento delle fortificazioni cittadine, che avevano subito danni durante la Guerra del Vespro, come ricorda Alfredo Gradilone. Le incursioni e devastazioni pesarono sulla città a partire dalla fine del secolo XV. Le condizioni generali alla fine del secolo XVI emergono da un’inedita relazione redatta agli inizi del ‘600, conservata nell’Archivio Aldobrandini.
Con le sue annotazioni e con la mappa che allega, il Documento Aldobradino - in corso di stampa a mia cura - offre un’ interessante descrizione di Rossano sin qui sconosciuta, la quale consente di leggere puntualmente l’assetto urbano che il devastante terremoto del 1836 avrebbe demolito. Tale documento, stilato prima del 1612, durante l’episcopato di monsignor Lucio Sanseverino, connota in un particolare momento in cui Rossano rischiava di essere svenduta.
Interessante groviglio di preziosi dettagli che giovano non solo alla conoscenza di un territorio spesso dimenticato e trascurato, ma servono innanzitutto a un attento restauro di una tra le più celebri cittadine dello Jonio cosentino
Si avviò così un periodo si crescita economica e culturale con la saggia accortezza di donna Olimpia, che «non fece troppo sentire alla città i pesi del regime feudale», anche perché - come si legge nel documento aldobrandino - si voleva porre fine alla causa della povertà della gente comune che aveva prodotto «continue inimicitie, ch’ hanno havute et le molte spese ch’hanno patite dalla Corte Reggia», fermo restando il solido “nepotismo” che la bolla Admonet nos di Pio V nel 1567 non era riuscita a cancellare, come prova la costante fortuna delle grandi famiglie legate al soglio di Pietro. Se il cardinale Pietro Aldobrandini tutelava gli interessi del nipotino Giorgio, l’arcivescovo di Rossano monsignor Lucio Sanseverino non fu da meno. Ricorda Marino Caringella che il prelato, «quando nell’ottobre del 1602 ricevette la triste notizia della prematura dipartita in Ceglie Messapica di suo fratello Fabrizio, figlio cadetto del quondam Giovanni Giacomo, barone della cittadina pugliese e IV Conte di Saponara, si vide pertanto costretto a intraprendere il non comodo viaggio che dalla Calabria Citra lo avrebbe portato in Puglia, nel castello avito, dove in qualità di procuratore di suo nipote Giovanni, erede legittimo del titolo di barone ma ancora minorenne, si sarebbe occupato per qualche tempo degli affari di famiglia». Divenuto maggiorenne Giovanni Giorgio Aldobrandini sposò Ippolita Ludovisi da cui nacque Olimpia junior. Costei mantenendo sempre il principato di Rossano - appena quindicenne - il 25 luglio 1638 sposò il principe Paolo Borghese e in seconde nozze nel 1647 Camillo Pamphili, principe di San Martino al Cimino e di Valmontone , duca di Carpineto e di Montelano , marchese di Montecalvello, e cardinale di S.R.E, che rinunciò alla porpora, per sposare quella donna intrigante e fascinosa al centro della rete nobiliare romana. Dal primo matrimonio nacquero Giovanni Battista Borghese, 2º principe di Sulmona; Giovanni Giorgio, Maria Virginia, Camillo e Francesco. Dal secondo: Giovanni Battista Pamphili, duca di Carpineto, Anna, Flaminia, Teresa e Benedetto, creato cardinale l’1 settembre 1681 da papa Innocenzo XI, dal 1704 prefetto della Biblioteca Vaticana e archivista dell’Archivio Segreto. Un reticolo familiare che ebbe notevoli ripercussioni sulla città e sull’archidiocesi di Rossano tra XVII e XVII secolo. In seguito al matrimonio di Olimpia Aldobrandini junior con Paolo Borghese, pronipote di Paolo V e principe di Sulmona, Rossano divenne feudo dei Borghese che l’avrebbero mantenuta sino all’eversione della feudalità. La città naturalmente si espanse e conobbe interessanti “aggiornamenti” e novità, di cui abbiamo utili informazioni, che consentono di cogliere le variazioni dell’assetto urbanistico, utili per un sapiente recupero delle antiche strutture. Si tratta in primo luogo del noto profilo tracciato da Giovan Battista Pacichelli ne Il Regno di Napoli in prospettiva diviso in dodici Provincie dove insieme con un’incatevole mappa iconografica si pone in primo luogo in evidenza come famiglie nobili e potenti della grande Roma “pontificia” - gli Aldobrandini, i Pamfili e i Borghese - si fregiarono del titolo di “Principato” di Rossano. E poi quello che si legge nella “guida” alla scoperta della città vergata dal De Rosis nella prima metà del sec. XIX, prima del devastante terremoto dell’aprile 1836, che egli stesso evoca come «Notte! funesta... orribil notte! Presente ognora al mio pensiero!», con alcuni precisi rapporti di testimoni oculari. Interessante e indispensabile groviglio di preziosi dettagli che giovano non solo alla conoscenza di un territorio spesso dimenticato e trascurato, ma servono innanzi tutto a un attento restauro di una tra le più celebri cittadine dello Jonio cosentino.
V
a
VI
sabato 2 agosto 2014
Ha vinto la speranza A meno di due anni dal terremoto, riapre al culto la Cattedrale di Mormanno
Si trema anche di gioia
Ha vinto la speranza. Ma anche un metodo di lavoro in cui burocrazia e competenza hanno camminato a braccetto, dimostrando che pure in Calabria si può fare bene il bene. Riapre al culto la Cattedrale di Mormanno. Era il 26 ottobre del 2012: una scossa di magnitudo 5, seguita ad altre centinaia di minore intensità che già nelle settimane precedenti avevano fatto tremare l’area del Pollino, fece sobbalzare tutti i paesi del comprensorio, colpendo in modo particolarmente violento il centro storico mormannese: case, negozi, chiese, persino l’ospedale dichiarati inagibili per le ferite aperte dal sisma. La Diocesi di Cassano all’Jonio scese immediatamente in campo, affidando alla Caritas diocesana il compito primario di portare sollievo alla popolazione, schierando contemporaneamente il proprio Ufficio tecnico per tutelare i beni architettonici. «Prima gli uomini, poi le chiese», ripeteva in quei giorni il vescovo, monsignor Nunzio Galantino, per settimane in prima linea a fronteggiare le piaghe del terremoto. E così è stato: alle attività di sostegno che hanno segnato il lento ritorno alla quotidianità della popolazione si è aggiunta la ristrutturazione degli immobili di proprietà della diocesi concessi in locazione ai commercianti del luogo, perché potessero riprendere quanto prima il lavoro. Ora tocca alla Cattedrale di Santa Maria del Colle, eretta nel 1183 e più volte ristrutturata, fino ad assumere la sua attuale fisionomia nel Settecento. A meno di due anni dall’evento sismico, lo storico edificio viene restituito al popolo di Dio. Con tempi celeri e spese contenute, grazie all’intesa tra le istituzioni interessate: la diocesi, col proprio ufficio tecnico guidato da Raffaele Bloise, ha curato la progettazione, predisposta dagli architetti Gaetano Leto e Sabrina Mainieri e dal geologo Giuseppe Campanella e messa a disposizione gratuitamente del Comune di Mormanno e dell’ufficio del commissario per il sisma, coordinato dal prefetto che ha poi autorizzato l’esecuzione dei lavori, finanziati attraverso i fondi concessi dalla Protezione civile regionale e portati a compimento dall’impresa Mirabelli. Adesso, ventun mesi dopo quella notte d’ottobre di due anni fa, il ritorno alla normalità. «Ultimati gli interventi riguardanti le navate, i transetti ed il tiburio - spiega Bloise - restano da completare le opere previste per la sagrestia e gli esterni. A fine settembre saranno definiti anche quelli e, nell’occasione, sarà organizzata una mostraconvegno per avviare un confronto sulla metodologia seguita, che ha permesso di conseguire il risultato in tempi rapidi e senza dispendio di risorse finanziarie». Intanto, si fa festa pregando. La cerimonia di riapertura è stata suggellata dalla santa messa giovedì 31 luglio presieduta dal pastore della chiesa cassanese, monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Al suo fianco, a concelebrare, il clero diocesano.
Messa in sicurezza, consolidamento e restauro architettonico eseguiti senza ritardi né spese folli
L’annuncio del ministro Franceschini
700mila euro per il sito Kaulonia
Il ministro dei Beni e delle Attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, al margine di una riunione della commissione Cultura delle Regioni ha comunicato all’assessore alla Cultura della Regione Calabria, Domenico Caligiuri, di aver stanziato lo scorso 21 luglio ulteriori 700.000 euro alla Soprintendenza archeologica della Calabria per gli interventi urgenti nel sito di Kaulonia, danneggiato gravemente dalle mareggiate dello scorso inverno. Tali risorse consentiranno di completare la protezione sull’intero fronte della scarpata del terrazzo e di sistemare adeguatamente le strutture archeologiche, dopo aver condotto con i primi 300.000 euro stanziati le indagini sulle correnti e i moti ondosi intorno a Punta Stilo e la caratterizzazione geotecnica del terrazzamento su ci sorgono il Tempio Dorico e le altre strutture della città magno greca, oltre ad aver recuperato i materiali architettonici divelti e ricoverati presso la sede di Monasterace Marina.
sabato 2 agosto 2014
Il maestro
Grande successo per "Il mercante di Venezia" a Castrolibero
Giorgio Albertazzi
“è di scena” o di Angela Costanz
Sul palcoscenico un notturno Ponte di Rialto, a simboleggiare una Venezia del XVI secolo, splendida, commercialmente attiva, piena di gioventù e brio, «simile ad una spiaggia della California», a detta del regista, «con ragazzi bellissimi, donne sinuose come sirene, motoscafi che alzano la sabbia e le onde, un senso continuo di vertigine, una perpetua vacanza, musica dappertutto, feste dappertutto, un sabato sera periodico nella impossibile moltiplicazione della giovinezza». Ma è anche una Venezia carica di tensioni socio - politiche, di poveri servetti in cerca di padroni, di personaggi più o meno squallidi che lucrano sul bisogno altrui. Come Shylock. A vestirne i panni un eterno Giorgio Albertazzi che, mattatore assoluto, interiorizza a pieno la complessità dell’ambiguo ed istrionico ebreo, simbolo dell’avidità capitalistica, dell’euforia finanziaria, spietato prima, fragile ed arrendevole poi. É lui il protagonista - antagonista di Il mercante di Venezia, commedia shakespeariana del 1597 e riproposta dal regista Giancarlo Marinelli in un adattamento curato dallo stesso Albertazzi: giorno 24 luglio la compagnia si è esibita nel teatro “V. Tieri” di Castrolibero nell’ambito della rassegna teatrale “Chi è di scena..!”, sotto la direzione artistica di Antonello Lombardo. Accanto ad Albertazzi, sul palco, nel ruolo di Antonio, un intenso Franco Castellano oltre ad un cast d’eccezione che ha tenuto alto il livello della rappresentazione, vivace, mai scontata, ricca di toni e sfumature. Fedele ai toni originali della commedia cinquecentesca, Il mercante di Venezia rivive qui nella sua ambiguità e complessità: opera controversa e variamente interpretata negli anni, una storia di religione, amore e antisemitismo, di personaggi ambivalenti e fragilità umane, di vendetta, giustizia e denaro, uno scontro etico, sociale e culturale estremamente contemporaneo. La vicenda è nota: l’ebreo Shylock presta dei soldi ad un cristiano suo nemico, il mercante Antonio, al quale i ducati servono per aiutare il suo amico Bassanio a conquistare Porzia, la bella e ricca signora di Belmonte. Shylock, che presta per mestiere denaro a credito, non chiede interessi sul denaro, ma solo una libra di carne di
Il controverso e ambiguo Shylock rivive nel genio dell’eterno Albertazzi
Antonio nel caso questi non fosse capace di restituirgli i soldi entro tre mesi. Purtroppo, mentre Bassanio riesce a conquistare Porzia, le navi di Antonio che dovevano portare mercanzie e soldi per sdebitarsi con Shylock, naufragano. L’ebreo, che nel frattempo aveva perso la figlia fuggita con un cristiano, chiede la penale e porta Antonio davanti al Doge per chiedere di potergli prendere, come da contratto, la libra di carne. Ma è proprio il contratto a tradire Shylock; infatti, Porzia travestita da avvocato, trova l’appiglio per salvare Antonio: Shylock potrà prendere una libra di carne da Antonio ma, come da contratto, non una goccia del suo sangue. L’ebreo è battuto e resta solo, seduto davanti al portone di casa a buttare via gli ultimi ducati. Due ore di spettacolo volate via per un pubblico completamente rapito e catturato dalla rappresentazione e dall’interpretazione di un Albertazzi tutt’uno con il personaggio. Azione ridotta al minimo per lui, bastone in mano e passo incerto, senza mai far capire chiaramente quanto questo fosse dovuto all’età e quanto all’intimo dolore del personaggio. Risalta nell’attore toscano una naturalezza nel rendere il ruolo, una fluidità nel tono, una maestria nell’animare la scena: non solo recita, non solo interpreta, lui diventa Shylock. É Shylock. Cinico, irremovibile, affamato e desideroso: la sua ferocia e il suo odio sono sete di vendetta dietro cui Shylock cela un passato di emarginazione e affronti subiti. Shylock è l’ebreo, è il diverso, il ghettizzato. Nei gesti e nei movimenti rivive l’eterno tormento di chi si sente disprezzato e giudicato, quasi che l’ebreo non abbia occhi, mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni e non mangi lo stesso cibo, non senta caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano… Almeno in tali cose, forse, cristiani ed ebrei dovrebbero somigliarsi! Allo stesso modo di Iago nell’Otello, Shylock è il centro dell’opera, l’uomo che ruba la scena a colui che è presentato dal titolo come personaggio principale (in questo caso Antonio, il mercante di Venezia). Storia di divisioni e incomunicabilità è allora Il mercante di Venezia, di intolleranza verso lo straniero. A farla da padrone, alla fine, il denaro che sempre, nel bene e nel male, determina le sorti dei personaggi e il loro valore morale: tutto si può comprare e vendere, anche un brandello di carne umana. Anche l’amore. Rimane comunque un testo affascinante e dalle molteplici letture, che inaspettatamente si chiude non sul ricongiungimento degli innamorati ma su Shylock solo in scena, sconfitto, abbandonato, vinto. Umiliato. Accanto a lui, si posa, commiserevole, il suo buffone.
VII
VIII
sabato 2 agosto 2014
Cinema testimone della nostra ricchezza L'imprenditore Giuseppe Citrigno nominato componente della Commissione nazionale per la cinematografia
Ciack si cambia Il ministro per i Beni ed attività culturali e Turismo Dario Franceschini ha nominato l’imprenditore Giuseppe Citrigno quale componente della Commissione nazionale per la cinematografia. Il decreto ministeriale di nomina, firmato lo scorso 25 luglio dal ministro riporta l’elenco dei nominati che rimarranno in carica per i prossimi due anni: Graziella Bildesheim, Massimo Causo, Giandomenico Celata, Giuseppe Citrigno, Pasqualino Damiani, Massimo Galimberti, Simona Nobile e Boris Sollazzo per la sezione consultiva e Valerio Caprara, Maria Teresa De Gregorio, Rosaria Marchese e Francesco Tufarelli per la sezione promozione. Soddisfazione viene espressa da Giuseppe Citrigno, presidente Anec della Calabria e alla guida della sezione Spettacolo di Confindustria Cosenza. «Sono molto contento - dichiara il presidente Citrigno - dell’incarico conferitomi, della opportunità che mi viene offerta ed attraverso la quale farò sentire la voce e le istanze di tutti gli imprenditori cinematografici calabresi e meridionali. Spero di rappresentare al meglio le problematiche delle aziende del nostro settore e del territorio e di poter contribuire alla loro crescita e valorizzazione. Non dobbiamo dimenticare che il principale valore culturale del cinema consiste nell’essere testimone della ricchezza di identità culturali e che la produzione cinematografica svolga un ruolo essenziale nel formare le identità culturali nazionali. La stessa Unione europea riconosce l’importanza dell’attività nazionale di promozione della produzione audiovisiva, per consentire alla cultura e alla capacità creativa locale di esprimersi rispettando la ricchezza della cultura europea. Diventa, quindi, importante impegnarsi per la valorizzazione di questo settore e di tutte le iniziative che promuovono e diffondono cultura sui territori». Compiacimento per la nomina viene espressa dai vertici dell’Agis Calabria guidata da Aldo Stalteri e dal presidente di Confindustria Cosenza Natale Mazzuca: «È una nomina che va a rafforzare la presenza degli imprenditori del nostro territorio in un importante contesto nazionale e che premia le capacità manageriali e l’impegno di un operatore economico cosentino molto attivo nella valorizzazione del settore della cultura e dello spettacolo».
«Sono molto contento della opportunità che mi viene offerta attraverso cui farò sentire la voce e le istanze di tutti gli imprenditori cinematografici meridionali»
Algeri dal vescovo Nunnari
Chiesa baluardo di valori Nel suo tour di incontri istituzionali con le autorità civili, religiose e militari della provincia, il presidente della Camera di Commercio di Cosenza, Klaus Algieri, ha fatto visita, nella sede della diocesi di Cosenza-Bisignano, al vescovo metropolita Salvatore Nunnari. Al presidente della Conferenza episcopale calabra sono stati illustrati alcuni dei punti programmatici che l’ente camerale vuole attuare per promuovere e sostenere il tessuto economico e imprenditoriale della provincia cosentina. "In un momento così difficile per la vita delle imprese del nostro territorio e per il dramma di tutte quelle persone che perdono il posto di lavoro, siano essi imprenditori o dipendenti, si rende necessario operare con maggiore impegno e con grande senso di responsabilità, attivando politiche di trasparenza su costi e investimenti. Ma, soprattutto, in un momento di crisi economica così stringente, bisogna prevedere di attivare delle iniziative mirate che offrano reali prospettive alle imprese e che restituiscano speranza a quanti non possiedono più un posto di lavoro. La Chiesa - ha proseguito Algieri - è un baluardo di valori ed esempi cui tutti gli imprenditori dovrebbero guardare sempre con attenzione e rispetto, perché fare impresa nella legalità è possibile. Come per le Istituzioni e le Forze dell’Ordine, sono dell’opinione che bisogna creare delle nuove sinergie anche con gli uomini che rappresentano la Chiesa sul territorio, affinché sostengano con maggior vigore e umana comprensione quanti operano quotidianamente a spregio di quelle difficoltà ambientali e criminali che provano a soffocare, invece, la speranza di quanti lavorano onestamente". Un messaggio di speranza e sostegno che vuole contraddistinguere questa presidenza e che si evidenzierà presto in azioni concrete di chiare prese di posizione nei confronti di chi contrasta lo sviluppo di questa provincia, oltre una netta riduzione della spesa gestionale dell’ente e di reali politiche di sostegno diretto alle imprese, i veri soggetti deputati a dover beneficiare delle risorse che pervengono da quei diritti camerali che versano annualmente alla Camera di Commercio.
sabato 2 agosto 2014
IX
Determinazione al femminile Nasce una nuova realtà politica: il Movimento Italia Meridionale
Idee al servizio dei cittadini Idm (Movimento Italia del Meridione) sezione donne ha esordito lo scorso 29 luglio in piazza XI settembre a Cosenza, dopo la nascita del Movimento a Castrolibero (uno dei fondatori è l’ingegnere, Orlandino Greco, vicesindaco del Comune). Il titolo della manifestazione “Il Fattore D”, abbiamo ascoltato una delle rappresentanti principali che è l’assessore Sabrina Pacenza del Comune di Castrolibero. Sabrina Pacenza: «Giornata bilancio e di conoscenza del territorio e del gruppo, che abbiamo definito il Fattore D del Movimento Italia del Meridione. Un gruppo di donne comuni con l’obiettivo di riunirsi e mettere le loro idee a servizio per un progetto sul territorio regionale. I movimenti politici a oggi sono completamente scollati dal territorio e dalle sue esigenze, si vuole con questo Movimento un ritorno al territorio anche per proporre idee alternative alla vecchia politica. Non siamo femministe, poiché conosciamo le donne e i loro problemi e mettere insieme lavoro, famiglia e impegno politico non è semplice. Però, con l’appoggio di molti si può fare, è necessario avere servizi da parte delle istituzioni e dare alle donne la possibilità di avere impegni sociali. Non ci piace l’idea delle quote rosa, intese come tutela di genere, perché la legge, è vero, ci ha favorite nella partecipazione alla vita politica del Paese superando, la soglia di presenze fissata al 10%, ottima cosa, che ha permesso un nuovo equilibrio. Si spera per il futuro negli aiuti da parte del legislatore, che abbia una buona visuale sulle donne, che per capacità, competenze e passione possano occupare dei posti all’interno della vita politica e sociale del Paese. Un Movimento, che ci identifica benissimo, perché si pone al di sopra del genere, dell’apparte-
La sezione donne ha esordito a Cosenza Abbiamo ascoltato una delle rappresentanti principali, l’assessore Sabrina Pacenza del Comune di Castrolibero
Le donne Fattor D e il vicesindaco e presidente del consiglio provinciale Orlandino Greco Sopra, la presentazione in Piazza XI settembre del Movimento
nenza, del territorio e delle competenze». La location cittadina è stata scelta per lanciare l’idea di un movimento meridionalista, che a Castrolibero ha avuto il suo generarsi qualche settimana fa, per darne maggiore visibilità. «Abbiamo scelto Cosenza, riprende l’assessore Pacenza, perché è il centro di un territorio in cui vogliamo incidere». Durante la serata la presentazione dei dieci punti, temi, sui quali si vuole riflettere e da cui partire per generare contenuti politici incisivi. Le rappresentanti del Movimento provengono da Castrolibero, Mendicino, Rende, Cosenza, Montalto Uffugo, Acquappesa, Marano tutte del Cosentino, ma non si esclude l’allargarsi in altri territori regionali. Il direttivo sarà sviluppato attorno alle responsabili delle varie zone e si sta cercando un contatto anche con le altre realtà territoriali. LdC
Alloro alle doti morali
Premio solidarietà In uno sfondo unico e irripetibile è andata in scena la 24a edizione del Premio solidarietà “Nello Vincelli”. Diamante culturale dell’associazione Nuova Solidarietà, il premio è inserito all’interno di un ricco programma di attività e manifestazioni che animano costantemente da oltre vent’anni il territorio dell’ ormai ex Ottava Circoscrizione. Il premio, e patrocinato dalla Provincia di Reggio Calabria, dalla Regione Calabria, dai Comuni di Reggio Calabria, di Campo Calabro, di Vibo Valentia, di Cosenza, di Calanna, e dalla Fondazione Bonino - Pulejo, è istituito dal 1991, come riconoscimento ad una personalità calabrese che si sia distinta in Italia e nel Mondo non solo per qualità professionali, ma soprattutto per quelle morali e per gesti concreti di solidarietà, venerdì scorso è stato consegnato ai coniugi Domenico e Rita Barresi, con la seguente motivazione: “Membri dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XIII, per aver dato vita, nel 1993, alla prima Casa Famiglia della Comunità in Calabria, accogliendo e facendo condividere la loro vita familiare, a persone che hanno conosciuto l’abbandono della famiglia, la solitudine del carcere, la violenza della strada, la disabilità, la gravidanza non desiderata o lo sbarco di un gommone. Testimonianza significativa di una solidarietà viva e ardente di due coniugi, sposati da 21 anni, la cui famiglia oggi è composta da 13 persone: papà e mamma, 7 figli, 2 adulti e 2 minori in difficoltà”. Un momento toccante e di profondità spirituale che ha dato il vero senso all’esperienza di vita e di solidarietà di cui i coniugi Barresi sono encomiabili testimoni.
La serata condotta dalla presentatrice, Janet De Nardis, ha avuto un altro momento commovente, subito dopo l’intervento iniziale del Presidente di Nuova Solidarietà Fortunato Scopelliti, e dopo il saluto del Presidente del Comitato del Premio Don Antonino Pangallo, ovvero quando è stato letto il messaggio della targa omaggio del Presidente della Repubblica. Dopo un momento di satira a cura degli attori dell’Accademia del Dialetto calabrese “Il Grifo”, il Premio è stato concluso dal concerto del Complesso Bandistico “Euterpe” di Catona, diretto dal maestro Giuseppe Maira. Anche in questa occasione non sono mancati i momenti emozionanti, infatti tra il pubblico, ad assistere al concerto c’era il grande compositore belga Roland Kernen, pseudonimo di Andrè Waignein.
X
sabato 2 agosto 2014
La Calabria che c’è Tre studenti dell’Università "Magna Graecia" di Catanzaro assunti come esperti valutatori dall’ Agenzia nazionale di valutazione università e ricerca - incaricata dal ministero dell’Istruzione
Mea Unical a Federica Chiappetta
Il curriculum che brilla
Orgoglio in aula Giulio Caridà, Gianmarco Arabia, e Roberto Del Giudice, studenti dell’Università degli studi di Catanzaro, hanno partecipato al corso di formazione per diventare esperti valutatori dell’Anvur - Agenzia nazionale di valutazione università e ricerca - incaricata dal ministero dell’Istruzione (in base al DPR 76/2010) per effettuare valutazioni periodiche sul sistema universitario italiano. I tre studenti potranno partecipare come componenti della commissione di Esperti valutatori alle visite istituzionali delle sedi universitarie e dei corsi di studio. Lo scopo delle visite istituzionali è quello di verificare la qualità di Università e di corsi di studio, ed esprimere un parere pienamente positivo, condizionato o non sufficiente. L’obiettivo invece è di promuovere la cultura della qualità nelle varie università, contribuendo a migliorare la formazione ed i servizi offerti agli studenti. Gli studenti, gli unici dalla regione Calabria, dopo aver partecipato al corso di formazione insieme ad altri 21 studenti provenienti dalle varie università italiane, potranno cominciare a lavorare come membri delle commissioni di Esperti valutatori già a partire da ottobre 2014. "Per noi è un grandissimo onore" - hanno dichiarato i tre studenti "poter partecipare alle visite istituzionali. Crediamo che il contributo degli studenti nel processo di verifica dell’Assicurazione di qualità sia essenziale. Cercheremo" - concludono i rappresentanti degli studenti" - di svolgere questo incarico con la massima professionalità possibile. Come studenti, ci concentreremo soprattutto nella verifica della qualità dei servizi offerti agli studenti delle università ispezionate". Soddisfazione espressa anche dal componente del Senato accademico Eugenio Garofalo: "Per noi è motivo di orgoglio - dice Garofalo - la selezione di Giulio Caridà, Gianmarco Arabia e Roberto Del Giudice all’interno dell’albo di esperti valutatori dell’Anvur, unici studenti delle 3 università calabresi. La presenza ed il contributo degli studenti nel processo di qualità degli atenei è di fondamentale importanza al fine di proporre soluzioni e suggerimenti per migliorare ed elevare il livello degli atenei italiani". Arabia, Caridà e Del Giudice, oltre ad essere già impegnati ed attivi all’interno degli organi rappresentativi dell’ateneo, sono anche membri del Network Studenti Umg istituito dal presidio di qualità - coordinato dal professor Arturo Pujia - con lo scopo di assistere il presidio stesso nell’attuazione della politica di qualità stabilita dagli organi centrali dell’ateneo.
Giulio Caridà, Gianmarco Arabia e Roberto Del Giudice potranno partecipare come componenti della commissione di Esperti valutatori alle visite istituzionali delle sedi universitarie e dei corsi di studio
Va a Federica Chiappetta l’edizione 2014 del Mea (Management engineering award) dell’Università della Calabria. La neo-ingegnere gestionale vince uno stage retribuito di 6 mesi in Intesa Sanpaolo a Milano, a partire dal prossimo settembre. Il premio, alla sua terza edizione, è diventato ormai una tradizione del corso di laurea in Ingegneria Gestionale: l’idea è premiare lo studente dal curriculum più brillante con il riconoscimento del titolo di “Ingegnere gestionale dell’anno” e con la possibilità di svolgere un tirocinio retribuito presso una importante azienda di livello internazionale, partner dell’iniziativa. Nelle precedenti edizioni, le aziende coinvolte (Procter&Gamble e General electric) hanno inquadrato stabilmente i tirocinanti a valle del loro periodo di stage, a dimostrazione del fatto che gli studenti del Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale dell’Università della Calabria acquisiscono conoscenze e sviluppano competenze, che gli consentono di conseguire obiettivi che non hanno nulla da invidiare a quelli dei colleghi di altri atenei italiani. Del resto Federica si è presentata alla seduta di laurea, presieduta dal professor Manlio Gaudioso, con un curriculum di tutto rispetto: è giovanissima (essendosi laureata in tempo sia alla triennale che alla magistrale), ha conseguito voti eccellenti in tutti gli esami e ha preparato la sua tesi (guidata dal prof. Gianpaolo Iazzolino) svolgendo un tirocinio presso la sede di Ford Europa a Colonia, in Germania. La professoressa Francesca Guerriero, Coordinatrice del corso di studi in Ingegneria gestionale, consegnandole la targa ricordo al termine della seduta di laurea, ha ricordato con soddisfazione che i successi professionali, che certamente conseguirà Federica, non sono una eccezione: le attività svolte dal corso di laurea in Ingegneria gestionale dell’Università della Calabria, da sempre attento alla qualità e alla eccellenza, riescono ad attrarre studenti brillanti che non faticano a farsi strada nel mondo del lavoro.
sabato 2 agosto 2014
Versi che riaffiorano Il problema di dare definitiva rilettura e stesura del dialetto calabrese, si pone, maggiormente, per i poeti e scrittori dialettali Forse, da troppo tempo ci si pone il problema di dare una definitiva rilettura e stesura del dialetto calabrese, il problema si pone, maggiormente, per i poeti e scrittori dialettali. Non sempre è facile trovare argomenti, che superino la quotidianità, il vissuto, così, come il vernacolo richiede, e come difficile è uscire dalla facile rima baciata, che si ripete nei testi dei vernacolari. Eppure il vernacolo prende piede, come senso di appartenenza a un passato, che per troppo tempo si è volutamente, forse, messo da parte.
Vernacolo o lingua: ai posteri l’ardua sentenza Ed ecco che riaffiorano nei versi, come ricordo di tempi andati, i momenti della propria infanzia, l’amore per la madre, ma anche frammenti di strade, di vicoli, di persone amate, intravviste, emarginate e, ancora, le sagre, le vacanze, i riti e rituali casalinghi. Nella piazzetta principale di Camigliatello Silano, la “Misasi”, si è tenuto un reading poetico, in vernacolo e lingua, con sottofondo musicale della cantautrice Raffaella Scarpelli, che proprio in chiusura ha intonato “I treni a vapore”, con l’augurio che la vecchia locomotiva, che attraversava la Sila, possa ritornare funzionante. I poeti che hanno preso parte sono: Angelo Canino (poeta vernacolare), Francesco M. T. Tarantino (poeta in lingua), Gaetano Caira (poeta vernacolare) Elena Prete (poeta vernacolare e lingua), Carmine Marozzo (poeta vernacolare e lingua), Giuseppe Bennardo (poeta vernacolare e lingua), Benedetto Cavallo (poeta in lingua/arberesche). Era presente anche l’attrice e insegnante di ballo, Angela Gallo, che ha dedicato alla Sila e ai suoi abitanti dei versi in vernacolo. Una manifestazione che ha assunto il sapore della tranquillità familiare, attraverso i versi del poeta Caira, Canino e Marozzo; della forte denuncia sociale, contro le guerre, come per la poetica incisiva, profonda e sensibile del poeta Tarantino, cui è stata dedicata, una canzone dalla cantautrice, Raffaella Scarpelli, “Immagine” di John Lennon. Ancora, denuncia di genere con la bravissima poetessa, Elena Anna Prete; fino ad arrivare al poeta arberesche, Benedetto Cavallo, che è stato salutato con “gjaku jone nga shqiperia” che nella lingua Patria, degli Albanesi di Scanderbeg, significa “sangue nostro (sparso)” autore del testo: “Fjale si Fjutera” tradotto in Italiano dalla figlia che ha studi universitari in lingua Patria, perché lo sappiamo la maggior parte degli Albanesi, scappati alla morte dell’eroe nazionale, non scrivono la lingua, ma la solo parlano, e le generazioni future neppure più questo. Nel testo la poesia “Il nostro sangue” è dedicata a Scanderberg, Giorgio Castriota. Il poeta Cavallo fin dalle scuole elementari (così si chiamano le primarie di allora) incominciò da autodidatta, per scommessa a comporre versi in lingua patria, introiettando la lingua, passando dal solo parlare al tramandare, trascrivendola. Per la poesia in lingua l’intervista al poeta Francesco M. T. Tarantino, che ci ha dato un’anticipazione: a Morano al Castello il 24 agosto sarà presentata la sua poetica, serata dedicata a “Francesco M. T. Tarantino. Un poeta in divenire”, dove sarà presente il grande poeta italiano Dante Maffia, la professoressa Maria Teresa Armentano, Francesco Aronne, giornalista e il professore e studioso di Storia, Mario Vicino. Idea che ha avuto l’Amministrazione comunale di Morano nella persona del Sindaco, Niccolò De Bartolo. Francesco Tarantino, poesia vernacolare o in lingua? Non apprezzo particolarmente le poesie in vernacolo, che nascono con la finalità di far ridere la gente, a volte, piene di banalità, spesso nostalgie, aggettivi troppo usuali e semplicistici. Viceversa nei classici, ma il primo che mi viene in mente Enzo Agostino, Calabrese, che scriveva in dialetto, le cui liriche hanno la loro forza, che in Italiano tradotte acquista un certo spessore. Dei cosentini citerei Ciccio De Rose, ma negli altri contemporanei e di mia conoscenza, noto banalità. Così come la poesia scritta in rima con i tempi all’infinito, participi passati, con le rime baciate, non ha spessore. A volte, è inserita la parola italiana nel vernacolo, ciò non si giustifica. Che funzione deve avere la poesia vernacolare e in lingua? Deve avere, a mio parere, un ruolo sociale. L’operazione fatta da un gruppo calabro, che tradusse De Andrè in vernacolo calabrese, ri-
Dall’alto: gli organizzatori Perrone, Roca e la cantautrice Scarpelli; il poeta Cavallo e la vice presidente Proloco; il poeta Angelo Canino; il poeta Tarantino e una collaboratrice di Faronotizie giornale online
Camigliatello Silano: reading poetico con sottofondo musicale della cantautrice Raffaella Scarpelli che ha intonato “I treni a vapore”, con l’augurio che la vecchia locomotiva possa ritornare funzionante sulle rotaie della Sila
portava troppe divagazioni italiane e questo, torno a dire, non è dialetto puro. In realtà non esistendo un’ufficialità del dialetto calabrese, non è facile tradurre in vernacolo. Così come in molte località calabresi, al confine nord della Calabria, il dialetto quasi non esiste. Il consiglio è che lo sforzo di uscire dalle facili rime, dalla banalità dei contenuti, è fondamentale per un’affermazione della poesia vernacolare calabrese, che abbia una sua forza e specificità, che tradotte in Italiano possano dare uno spessore. Le banalità come cuore, che fa rima con amore, è davvero troppo. Tecnicamente la poetica vernacolare non deve avere doppi sensi, solo per il sollazzo, ma deve essere a sfondo sociale. La forza della poesia in lingua è una poesia, che deve saper essere anch’essa incisiva, non rime banali, non forme brevi, il continuo andare a capo, che secondo me non ha spessore. Parliamo di un grande poeta vernacolare e di lingua. Dante Maffia... Dante Maffia ha scritto “I racconti del ciuto” (i racconti del folle), ci sono tante parole dialettali che però assumono forza nella traduzione italiana. Altre sono con eguale spessore “Nel poeta e la Farfalla”, in cui le ovvietà, come il semplice “Ti amo” acquista incisività. Che cosa consiglia a chi si approccia alla poesia in lingua? Il riferimento ai classici è ovvio, ma anche i canoni della poesia devono essere rispettati, così come le regole, leggere la storia della poesia è fondamentale. Si può scrivere in versi sciolti, in endecasillabi (11versi) così come la Divina Commedia. Le rime alternate, esistono anche le baciate a patto che siano usate non con ovvietà. In genere la rima baciata è dedicata alla canzone, usata in poesia, diventa ovvia. Quando ha iniziato a comporre poesia? Ho iniziato a scrivere poesia per mia moglie: gliene scrivevo trentatré all’anno, per sette anni di fidanzamento. Ancora studiavo, non ero poeta in modo professionale. La poesia deve essere immediata oppure deve essere rivista, riguardata, corretta e curata? La lirica va limata, rivista, corretta. In questo sono Leopardiano, nell’Infinito, egli vi è tornato tante volte. Anche se non escludo, che vi possa essere una sua bellezza e forza in quell’immediata, ma deve essere tale. Lucia De Cicco
XI
XII
sabato 2 agosto 2014
sabato 2 agosto 2014
Il racconto
Il racconto
Un argomento che è artistico nella scrittura e politico nei contenuti
Candidature politiche inadeguate
partito o di coalizione, ben sapendo che magari le primarie di coalizione avrebbero senso in quanto utili per sapere, tra varie possibilità ed in presenza di tanti pretendenti, chi andrebbe meglio per la candidatura finale; ma le primarie di partito sono stupide anche perché indicano insufficiente capacità e vita di partito dove avrebbero potuto emergere le qualità, le competenze e le esperienze. Le decantate primarie finiscono anche per restare un’azione propagandistica perché, con esse, si confonde la pubblica opinione abituata ad elezioni generali, senza accettare primarie di partito dove si sa che i partiti possono imbrogliare le carte del gioco e dove i numeri si possono manovrare a piacimento dei protagonisti senza alcun controllo legale. Difatti, nel luogo di cui parliamo, ci sono candidati che al massimo possono presentare caratteristiche di onestà intellettuale, di morale personale, di generosità ed altre doti. Nulla da dire in negativo su di loro. Come nel partito di maggior peso dove i candidati sono tutti brave persone, ma senza che alcuno sia garanzia di capacità, di esperienza o di cultura, ma non offre garanzie politiche. Alla fine si dovrà scegliere tra persone che comunque garantiscono il riparo rispetto alla passata esperienza dove, ripetiamo, il dato di fondo è stato il collegamento tra la politica ridotta a personalismo e la criminalità o gli affari clientelari. E’possibile credere a chi si presenta bene e promette rapporti leali per governare, ma non è tutto quello che la gente vuole ed ha diritto di sapere per definire un giudizio di preferenza definitivo.
di Giuseppe Aprile
Una cosa è la narrativa, altra è la saggistica. Le due formule sono distinte. Quello che sto per scrivere, confesso, non so se sarà l’una o l’altra o una cosa diversa, nuova. Perché voglio trattare un argomento che sembra politico, ma è artistico. O meglio, è artistico nella scrittura e politico nei contenuti. Andiamo... Nella città “tal dei tali” si dovevano tenere le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale. In un convegno tenuto da un’associazione culturale, Pino aveva fatto un intervento assai interessante. Il tema era la presentazione di un libro nel quale l’autore, un professore universitario, pretendeva di dimostrare la bontà dell’idea, innovatrice secondo lui, dell’uso scientifico e tecnico della gestione delle opere artistiche e culturali presenti nel suo ampio territorio, e che riguardava un secolo di storia, con riferimenti all’antica società della Magna Grecia. Nell’intervento aveva preso la parola e s’era lamentato per due ragioni. La prima che non si faceva distinzione tra l’arte e l’uso politico della cultura, e aveva additato il libro in presentazione e lo stesso autore come testimonianze ulteriori dello stesso problema, confermando che anche i professori universitari, in gran parte di casi, di fatto erano semplici tecnici che nel loro mestiere facevano solamente uso, anche storico, ma sempre come cronaca, degli avvenimenti che consideravano e usavano come loro materia di insegnamento, senza rilevare le varie connotazioni artistiche che che in essi esistevano. Pino era molto arrabbiato perché non vedeva quasi mai un affondo sui temi della vera creatività e del valore artistico e tutti, senza rendersi conto, ma per acquiescenza al proprio sentire, scambiavano il contenuto di una materia e la costituzione scolastica e sociale e l’uso di essa in autentica cronaca. Per questo - aveva concluso nell’intervento - da una parte vedeva sempre esibirsi editori e autori in pubblicazione e divulgazione di libri che sembravano fonti di sapienza, mentre erano solamente elementi di socializzazione e istituzionalizzazione corrente di uomini e cose del mondo della poesia e dell’arte. «Per questa ragione» diceva, «questo paese è da una parte pieno di valori, nel mentre la società non li recepisce, e nessuno la aiuta a recepire, lasciando il massimo degrado nella realtà quotidiana della sua vita». «Grande è la storia, la nazione notevolmente ricca di cultura e di poesia, di filosofia, di arte ma con un popolo sempre più in basso, sempre più lontano dal crescere in una misura accettabile. Da una parte è accumulato un patrimonio artistico e culturale di inestimabile valore, dall’altra vive il periodo più basso di educazione e di formazione popolare. La società resta assai degradata». Pur tenendosi per l’ennesima volta le elezioni politiche, di fatto c’era l’impossibilità di costruire un sistema di gestione politica della città, proprio perché mentre nelle menti di tanti, che prendevano sempre più coscienza di quanto serviva e del come e del perché la politica fosse importante per migliorare la gestione sociale, dall’altra restava una massa popolare che, pur avendo buoni propositi e menti lucide, di fatto restava dominata dalle peggiori abitudini sociali e dal massimo degrado della sua vita fino al punto che dalle elezioni nulla di tanto nuovo avrebbe potuto ricavarne. Verso l’imminente fine della fase preparatoria delle elezioni, a poco tempo dal voto, da una parte aveva un degrado della politica di cui non si poteva non prendere coscienza, vista la totale devozione delle forze uscenti verso la criminalità ed il clientelismo, con totale incapacità di capire i veri problemi della gente; e dall’altra una possibile alternativa che si sarebbe affidata a forze tutt’altro che nuove. Si era nella necessità e possibilità formale di cambiare strada, ma nella sostanziale impossibilità di costruire un sistema di gestione politica all’altezza dei bisogni della gente perché il passato era stato dominato non da uno, ma da due mali: quello di chi si era impa-
Nella città “tal dei tali” si dovevano tenere le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale... In un convegno Pino aveva fatto un intervento assai interessante
dronito del sistema costruendo il binomio politica-criminalità, senza scrupoli, e quello di una insufficiente opposizione che restava debole in ogni possibile proposta nell’indicare un rinnovamento radicale della politica, di cui c’era tanto bisogno. Anzi, urgenza. Infatti, tra le forze che si contendevano il futuro politico della città c’era rilevante fervore giovanile (fatto positivo) ma poca chiarezza per le scelte in conseguenza (fatto assai brutto) perché il passato era stato anche con giocatori senza il campo della lotta di opposizione e non poteva vedere chiaramente dove e quale fosse l’energia da proporre per una gestione adeguata della città che aveva maturato abbondantemente l’esigenza di un decisivo rinnovamento in politica. I candidati nuovi venivano presentati tramite i mezzi di comunicazione, ma il campo dei tempi precedenti non aveva fornito sicurezza e sopratutto non era stato neppure in evidenza. Si sarebbe potuto scegliere, avendo una certezza, nel senso che c’era da liberare la città dal passato durante il quale era stato in vigore il massimo di alleanza tra politica, criminalità ed affarismo ma mancava chiarezza per la scelta del dopo. Le candidature possibili erano su persone che non avevano dimostrato di avere i denti per masticare e le medicine per curare i mali. Da una parte, questo fenomeno avveniva sempre per responsabilità della fase precedente -gli ultimi dieci anni di vita amministrativa e politica -che aveva distrutto la democrazia e condizionato la politica, impedendo la costruzione di partiti ed altre forme di palestra perché venissero fuori atleti da scegliere per il lavoro di cambiamento, ma anche perché gli oppositori erano stati sempre condizionati da limiti propri, mentre la parte migliore della società continuava a restare estranea alla vita sociale e politica. Ora si poteva solo sperare che nelle ipotesi di nuovo, emergesse qualcosa che aiutasse un futuro utile. Il campo delle possibilità veniva ridotto alla gente utile e interessante, che dimostrava tendenza e volontà di fare, mentre restava ancora fuori gioco la stragrande maggioranza di persone perbene perché non ancora disponibili a credere nella rigenerazione della politica; a parte gli indomiti strafottenti che viaggiavano, nella vita, fuori da ogni orbita contenente la politica e le elezioni per la composizione dei gruppi dirigenti. Eppure,
c’era gente che ricordava, in ogni occasione utile, come chi non votava e non si interessava di politica, di fatto favoriva l’antipolitica e la vittoria degli ingiusti e degli inetti, visto il tipo di legge assurda che esisteva in questa nazione, dove le percentuali dei risultati elettorali venivano calcolati non sugli aventi diritto al voto, quindi sull’elettorato visto al completo, ma sui votanti. Poteva succedere, com’ è successo alle provinciali di una nostra provincia, che uno con il venti per cento dei voti, è diventato presidente della provincia e governa come se avesse avuto la maggioranza del totale della gente. «Alla fin fine» diceva il cittadino comune «se il venti per cento dei voti validi deve passare per il cinquantuno per cento degli aventi diritto al voto, vada. Tanto, in questa nazione, le leggi sono come la pelle delle palle che ognuno tira per dove gli conviene e politicamente un territorio può essere governato da chi ha solamente la percentuale maggiore rispetto a chi vota. Come se a governare si debba, o si possa, tener conto solo degli attivi che coincidono quasi sempre con coloro che votano per interessi, e collegamenti con i candidati e hanno l’abitudine di votare come se partecipano ad una tradizione, senza coscienza della responsabilità che si assumono, lasciando colpevolmente la politica in mano a faccendieri e il potere in mano a forze negative». «Nonostante tante prediche sull’arte, sui possedimenti artistici e culturali del territorio, restava un mare immenso il disinteresse generale in un ambiente dominato da ignoranza e incoscienza» aveva sostanzialmente confermato, anche con un lungo eloquente applauso, la maggior parte dei partecipanti al convegno in cui aveva parlato Pino. Il panorama della situazione ora prevedeva candidature senza senso. Scendeva in piazza il conosciuto ( non importa per quale ragione ), magari un figlio istruito dal proprio genitore o spinto da suoi amici che puntavano a cambiare le cose, ma senza una preparazione adeguata e senza avere potuto dimostrare una tendenza a fare quello che ci voleva. Nella città “tal dei tali”, dove ora si devono tenere le elezioni per il consiglio comunale, si presentano persone non scelte dalla popolazione o da altri. Al massimo si tengono le solite stupide primarie di
Il tema era la presentazione di un libro nel quale l’autore, un professore universitario, pretendeva di dimostrare la bontà dell’idea, dell’uso scientifico e tecnico della gestione delle opere artistiche e culturali presenti nel suo ampio territorio, con riferimenti all’antica società della Magna Grecia
Ora, in questo paese, avviene che ci sono tanti candidati: gente brava, interessante, sicuramente diversa da quella del passato. Ma tutti limitati almeno nella loro possibilità di dimostrare doti complete e definitivamente utili. Uno, forse il migliore, è figlio di un sindaco amato e stimato del passato, un “eroe della vecchia politica” che la gente ricorda con piacere. Un bravissimo professionista medico, un giovane senza pretese ma pulito, come si dice. Ma non si può ovviare alla mancanza di candidati che dovrebbero essere completi nella loro espressione di possibili amministratori sindaci “per come si deve”. Non basta essere meglio dell’altro per consentire un definitivo giudizio giusto e positivo. È importante, ma non totalmente esaustivo del bisogno per una nuova e rinnovata politica ed una vera nuova vita per la città. Ora non si può non avere la insufficiente presenza di partiti all’antica, magari migliorati per come ognuno aspirava, e non si può ovviare a quanto manca perché il dominio delle ultime leve ha costituito anche barriera quasi invalicabile per l’emergenza di nuove energie ben determinate. Cambierà in meglio l’ambiente, ma i nuovi candidati sono o il meglio della scelta dei negati del passato che vogliono imporre una loro garanzia di continuità che la città deve respingere, o incertezze sul piano delle capacità future al completo, o comunque il nuovo tra i tanti del campo, sapendo che i giganti del nuovo e delle capacità sono fuori, perché privi dei supporti utili per la loro emergenza. Comunque Pino decide di accettare il meglio del possibile, non potendo definire il tutto per come sarebbe stato necessario ed avrebbe voluto. E vale dire il suo pensiero, a questo punto. Di sicuro è possibile cambiare strada. Il vecchio responsabile dello sfascio è oramai abbattuto soprattutto dalla sua arroganza e dalle sue responsabilità di degrado. Gli restano gli amici, i clienti, quelli che ha favorito e per i quali ha fatto tutto quanto poteva. Ora dev’essere possibile cambiare e c’è da scegliere il nuovo che viene presentato aspirando ad un definitivo cambiamento dopo la sperimentazione dei nuovi protagonisti della locale vita territoriale e dopo, comunque, che nel futuro il passato sarà definitivamente tramontato. Si può solo scegliere e Pino pensa di scegliere il più votato alle primarie perché non può fare altrimenti. Comunque, in attesa di altre possibili ipotesi di candidatura, lo fa augurandosi che la scelta sia in sintonia con quanto alla gente serve. Serve sperare nel domani. Lo fa con nel cuore l’amarezza che già tra i contendenti, in sede di primarie, rischiano di avere creato guerre “tra poveri”, in questo caso, “guerre tra forze amiche”. Raccomanda, comunque, di stare assieme, quelli dello stesso partito, e di tenere ottimi rapporti tra tutti perché dalla guerra non può che nascere guerra, mentre servono pace, tranquillità, operosità. Da parte mia, penso sia utile ricordare che la politica, oltre che giustizia contro chi ha fatto male, deve ridiventare campo per tutte le persone capaci, libertà per chi ha energie utili, libero terreno perché si gareggi tra bravi e intelligenti, appassionati per una politica buona ed onesta, affinchè ognuno possa fare la propria parte, svolga un proprio mestiere, lavori perché la società, assuma una giusta via verso nuovi orizzonti e nuove conquiste. La politica dev’essere un bene. Non è politica se è male.
XIII
XIV
sabato 2 agosto 2014
Fuori stagione A Macchia il miglior presepe vivente d'Italia, un capolavoro creato da Rocco Chinnici
Il sogno di Maria diventato realtà di Davide Serra
Dopo le parole dell’Angelo Gabriele, Maria pronunciò il suo sì d’amore che commosse Dio e lei divenne la Madre sua così riportava un bellissimo canto religioso. Il Presepe vivente svoltosi lo scorso dicembre a Macchia di Spezzano Piccolo, iniziava, dopo una piccola e doverosa presentazione da parte di San Francesco d’Assisi, fondatore del Santo Presepio, proprio da questo suggestivo incontro che cambiò la storia. Se la maggior parte delle sacre rappresentazioni viventi della nascita di Gesù, partono dall’annunciazione, nel presepe vivente del maestro Chinnici, questa ha costituito soltanto la prima di una serie di scene a carattere premonitore che hanno annunciato, con molti commoventi flash farwords, la futura vita di Gesù e di sua Madre. Infatti la creatività di Rocco Chinnici, autore e regista, ha fatto si che ne uscisse un vero e proprio capolavoro riconosciuto, oltre che da un grande consenso da parte di tutti i visitatori, dalla commissione giudicatrice del concorso a cui questo Presepe ha partecipato. Infatti l’ente organizzatore del suddetto concorso, l’associazione “Amici del presepio delle Madonie e di Sicilia”, costituente l’opera internazionale “Praesepium”, ha giudicato questo Presepe «il miglior presepe vivente d’Italia» insignendo il maestro Chinnici, già vincitore di tre migliori Presepi viventi d’Italia, Principe del Santo Presepe e la dottoressa Beatrice Valente, sindaco del Comune di Spezzano Piccolo, ente promotore della manifestazione, Dama del Santo Presepe. Visitare “Il sogno di Maria” è stato intraprendere un cammino che arrivava alla mangiatoia passando prima dalla Croce, un viaggio in un sogno premonitore di una Mamma che vede, già nella nascita del Figlio la sua morte e la sua Resurrezione, una gloria che passa prima dalla sofferenza e dai sentimenti umani di Maria come Donna che si è messa a disposizione del progetto di Dio e che partendo da quella culla accompagnerà Gesù fino al suo calvario. Se “Il sogno di Maria”, che rimane pur sempre frutto dell’estro tea-
Concorso organizzato dalla associazione Amici del presepio delle Madonie e di Sicilia, costituente l’opera internazionale “Praesepium”
trale e della fantasia del regista, è storicamente diventato realtà, prescindendo naturalmente dall’ aspetto onirico di questa rappresentazione vivente, anche un altro sogno è diventato realtà: Il sogno di un gruppo di ragazzi coadiuvati da presenze adulte e mature, che ha fortemente creduto nel “Sogno di Maria” inteso questa volta come progetto di rivitalizzazione e valorizzazione del borgo di Macchia, ormai quasi completamente disabitato e purtroppo destinato ad un imminente e triste spegnimento già annunciato dall’abbandono delle case. Proprio questo evento ha segnato un primo forte segnale di arresto e di rimando di quella inesorabile fine tanto temuta e continuamente contrastata dal gruppo di giovani che organizza una serie di eventi e manifestazioni nel centro storico di Macchia, non per questioni di “campanilismo”, parola che è stata impropriamente utilizzata con accezione dispregiativa nei fenomeni legati alla globalizzazione, ma al contrario per salvaguardia di identità culturale legata ad un preciso contesto storico-sociale che non può assolutamente essere annientato con la parola “campanilismo”. Il Presepe Vivente ha fatto sì che Macchia venisse apprezzata da circa 5000 visitatori che hanno lasciato i loro commenti di gradimento, quanto per la recitazione che per le quinte teatrali in muratura, pietra e laterizio che costituiscono, nella loro armoniosa composizione, il suggestivo centro storico di Macchia. È stata quindi una vittoria presagita da tutti quanti ci hanno creduto sin dall’inizio e che si sono impegnati, col massimo degli sforzi, per la buona riuscita della Manifestazione. Quello che Rocco Chinnici ha lasciato a Macchia è sicuramente un segno indelebile di cui tutti i cittadini di Spezzano Piccolo ne andranno orgogliosi portando l’esperienza del Natale 2013 serrata nei loro cuori. Proprio per festeggiare questi gratificanti riconoscimenti, il comitato organizzativo della manifestazione indice per giorno 24 agosto 2014 un momento di festa nella piazza di macchia accompagnato dal rilascio degli attestati di partecipazione e del conferimento della Cittadinanza onoraria a Rocco Chinnici da parte della Giunta Comunale di Spezzano Piccolo per l’attribuzione di alti valori di aggregazione sociale e valorizzazione del territorio che hanno contraddistinto “Il Sogno di Maria”.
sabato 2 agosto 2014
XV
Pillole di fede Tra le mura gotiche di Santa Maria dell'Accoglienza a Mendicino, sacerdote don Enzo Gabrieli
Maria passa dal nero al bianco di Lucia De Cicco
Anche quest’anno ci sarà la Quindicina mariana, dal primo al quindici agosto, nel Santuario di Santa Maria dell’Accoglienza a Mendicino, sacerdote don Enzo Gabrieli, vicario, autore di numerosi testi religiosi e giornalista, direttore del settimanale diocesano, di Cosenza-Bisignano, Parola di Vita. Le celebrazioni, che si susseguono per i quindici giorni, prevedono due messe alla mattina e una alla sera, precedute dal Santo Rosario con la processione per le strade del centro storico alla sera del 15 agosto. Per comprendere la storia di questo Santuario e della Quindicina dell’Assunta, facciamo riferimento al testo curato dal sacerdote della parrocchia di Mendicino Enzo Gabrieli, originario di Rogliano, postulatore di molte cause dei Santi e appassionato nel riportare alla luce le radici di ogni chiesa del luogo, che percorre nelle pagine del suo settimanale. Infatti, nel tempo sono state molteplici le scoperte fatte, e trascritte dalla sua redazione tra le righe del settimanale, dagli abili e giovanissimi giornalisti della redazione, che nel tempo ha visto passare tanti giovani volti, tutti assetati di verità, accoglienza e carità, senza mai dimenticare che il settimanale è una parrocchia virtuale e su carta in cui tutto è servizio alla “vigna” del Signore. Il testo che si intitola Il Santuario di S. Maria. Un mosaico di storia, arte e devozione, esce nel 2007, proprio agli inizi della sua missione nel territorio di Mendicino, sacerdote di San Nicola e rettore del Santuario, dove ha sede nell’ala del vecchio convento, la redazione del giornale diocesano. Il Santuario è stato realizzato tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, finito nel 1917. La facciata presenta la forma di una M, realizzata con la pietra di Mendicino, di tufo e bianconera all’interno, è gotica. La tradizione orale è simile a molte altre leggende sulle icone mariane; a proposito di ciò, la statua che oggi si trova sull’altare, è stata completamente cambiata in un lavoro di pulitura, da Madonna schiava nera (scavunia), perché bruna, con abito rosa, incinta e con la mano come se reggesse il mondo, in un simulacro di carnagione bianca, con mantello azzurro e abito bianco trapuntato di stelle. Il primo rettore del Santuario era un sacerdote di origine arbereshe, don Salvatore Castriota, morto in circostanze misteriose, annegando nelle acque della costa del Tirreno cosentino, insegnava di nascosto a leggere e scrivere ai ragazzi del luogo ed era un abile lavoratore del marmo. Nel tempo vi fu anche il primo sacerdote missionario della diocesi Cosentina, don Battista Cimino. Il simulacro che tuttavia viene ancora oggi portato in processione per le vie del paese è quello dell’Assunta, cui è dedicata la chiesa, prima che diventasse Santuario Mariano e meta ogni anno di pellegrinaggi da ogni parte del mondo. Il testo redatto da don Enzo Gabrieli, presenta anche una sezione, dedicata alla Rinascita del Santuario con una se-
La chiesa di Santa Maria dell’Accoglienza Sotto, pagine dal libro Il Santuario di S. Maria. Un mosaico di storia, arte e devozione
Dal primo al quindici agosto i festeggiamenti per la Madonna
Un testo per comprendere la storia del Santuario, in cui il simulacro ha cambiato il suo aspetto originario
rie di documentazione che ha portato alla denominazione di santuario di Maria dell’Accoglienza. Il desiderio del fondatore fra’ Raffele Filippelli, eremita, di cui ancora oggi è possibile vedere la grotta di lato al convento e del nipote sacerdote, il bravo e bellissimo, don Eugenio Parise, di cui ancora i più anziani del paese conservano la memoria, era quella di fare del convento poi dei Cappuccini minori anche un ritrovo per i bambini in difficoltà, poveri e orfani “I figli dei campi”. Nel testo c’è il lascito fatto a don Eugenio da parte dello zio. Si trova anche una memoria scritta da don Parise, in una lettera aperta all’arcivescovo di Cosenza, Aniello Calcara. Il testo è arricchito di una galleria fotografica molto ricca in cui tra le foto della Casa dei Figli dei Campi, dei sacerdoti e le suore oblate, c’è anche una foto risalente al 1939 con l’uscita della processione eucaristica, durante la quale avvenne il miracolo della presunta guarigione di Emilia Peluso. È solo nel 1958 che arrivano i frati minori nel santuario. Ci sono anche foto del ventennio fascista con le Piccole Italiane e i Balilla e una foto che ritrae una sessione della Conferenza Episcopale Calabra. Il simulacro dell’Assunta, nel tempo, ha avuto anche i suoi rifacimenti, oggi diversa a partire dall’abito alla forma delle braccia, prima più lunghe e in ascesa al cielo con il doppio stellario. Il Santuario con la missione dell’attuale parroco don Enzo Gabrieli per lavori di rifacimento, sostituzione del portone, rimozione si alcuni simulacri e la posa di icone dipinte, fu consacrato, con il nuovo altare, il 21 dicembre 2003 anno del Rosario. Il progetto iconografico, ritrae l’Assunta e Maria dell’Accoglienza, i quattro evangelisti, i tre arcangeli e la Croce Stauroteca. Durante la Quindicina mariana si può approfittarne per visitare i vecchi locali del convento dei Minimi e la grotta di fra’ Raffaele, che si trova sotto al Santuario a reggerne le fondamenta, tra storia, arte, personaggi e leggenda. Ogni anno nella prima messa della mattina è offerta una colazione, con la presenza del vescovo, che in tanti anni non è mai mancato nei suoi rappresentanti e per tutti i presenti dopo la celebrazione.