Anno 37 - 13 Aprile 2013 - Numero 15
Settimanale indipendente di informazione
euro 0,50
di Francesco Fotia
Vandana Shiva, laurea honoris causa Scienze della nutrizione all’Università della Calabria in omaggio alla biodiversità ASCOLTIAMO QUESTI GIOVANI
TORNARE PER DARE
Diamo vita alle parole con Romano Marino
Un chirurgo con la Calabria nel cuore...
di Federica Montanelli
Conclusione del Premio per studenti intitolato al giovane scomparso
di Alessandro Cofone
Giovanni Milito, specialista in chirurgia generale, si racconta
II
sabato 13 aprile 2013
Spazi d’argento
Anziani fra musica e ricami
Il Comune di Crotone apre un nuovo centro Un centro di aggregazione per anziani nel cuore del centro storico di Crotone. Lo realizza l’amministrazione comunale nell’ambito delle azioni tese a favorire la socializzazione di una fascia importante della popolazione cittadinsa. Una struttura che nasce grazie al lavoro che l’assessore alle Politiche sociali Filippo Esposito sta conducendo con la collaborazione del dirigente del settore Vincenzo Scalera e dei funzionari Franco Valerio e Salvatore Le Chiara. Un lavoro che è partito con l’ascolto del territorio. «Abbiamo elaborato uno studio di conoscenza parlando direttamente con gli anziani che vivono nel centro storico. La loro richiesta prevalente è stata quella di avere uno spazio fisico dove incontrarsi senza allontanarsi troppo dalla propria abitazione» dichiara Esposito. Attraverso una convenzione stipulata con l’associazione Vivere In, che mette a disposizione locali idonei, sarà possibile realizzare un altro funzionale centro per anziani che si aggiunge ai cinque già istituiti dall’amministrazione Vallone. Ai centri ubicati nei quartieri di PoggioPudano, S. Francesco, Papanice, Margherita e in Via Firenze si aggiunge, dunque, quello del centro storico che sottolinea l’attenzione che l’amministrazione riserva alla terza età. «Per sei giorni alla settimana, in questa nuova struttura, gli anziani avranno la possibilità di accedere ad un programma appositamente strutturato per la loro socializzazione. Ai tradizionali giochi di carte o di società abbiniamo momenti culturali, corsi di pittura e scultura, corsi di ricamo per le gentili signore, oltre a momenti conviviali con musica e, perché no, anche ballo tesi anche alla riscoperta di ricette della tradizione culinaria crotonese di cui gli anziani sono preziosi custodi» aggiunge l’assessore Filippo Esposito. Un patrimonio per la collettività gli anziani, non un peso. È questa la filosofia che ispira l’amministrazione comunale che per il progetto impegna, per il momento, fondi propri per l’avvio delle attività. L’intenzione dell’assessore Esposito è di inserire questa struttura nel più vasto piano di coesione sociale che potrebbe essere finanziato dal ministero delle Politiche sociali a partire dal 2014 per tre anni e consentire non solo il consolidamento della struttura ma lo sviluppo di programmi di ampio respiro per migliorare sempre più la qualità di vita degli anziani. Si parte dunque. «Il messaggio che l’amministrazione Vallone vuole, ancora una volta, mandare ai cittadini e’ che nonostante le difficoltà di ordine economico, il Comune senza sprechi, ritiene prioritario intervenire concretamente a favore delle fasce più deboli» conclude l’assessore.
Per sei giorni alla settimana in questa nuova struttura i “senior” avranno la possibilità di accedere a un programma strutturato per socializzare
Crotone, associazioni unite
Un forum in famiglia Giovanni Greco è il nuovo presidente del Forum delle Associazioni familiari della provincia di Crotone. È stato eletto, assieme ad un vicepresidente e tre consiglieri direttivi, dall’assemblea dei rappresentanti di 7 organismi di area cattolica che hanno la famiglia al centro del loro impegno: Mcl (Movimento cristiano lavoratori), Azione cattolica, Rinnovamento nello spirito, Coldiretti, Ofs (Ordine francescano secolare), Vivere in e Anir (Associazione nazionale insegnanti di religione). «I rappresentanti delle associazioni, che si sono riuniti in assemblea mercoledì 3 aprile,- spiega un coimunicato stampa - hanno sottoscritto lo statuto del Forum crotonese e votato all’unanimità il consiglio direttivo composto da Giovanni Greco, rappresentante del movimento Vivere In, eletto presidente, da Maria Rita Cortese del Mcl, eletta vicepresidente, da Luca Ciamei del Rinnovamento nello spirito, eletto consigliere con deleghe di segretario e tesoriere e da Giuseppe Podella e Alberto Zizza eletti consiglieri. I lavori sono stati presieduti da Antonino Leo, presidente del Forum delle Associazioni familiari della Calabria, il quale nel suo intervento si è soffermato sull’impegno associativo che deve essere forte, mirato alla salvaguardia della famiglia e dei suoi diritti e al sostegno della partecipazione attiva e responsabile delle famiglie alle iniziative di creazione dei servizi alla persona, alla vita culturale, sociale e politica del territorio». Nel suo discorso di insediamento il neo presidente crotonese del Forum delle Famiglie, Giovanni Greco, ha detto che «la famiglia è il nucleo fondante della nostra società. Con impegno rinnovato dobbiamo puntare a valorizzare la ricchezza di esperienze umane radicata nelle famiglie crotonesi, nelle quali i rapporti parentali costituiscono ancora un vincolo di comunione e con altrettanto impegno dobbiamo promuovere politiche familiari che consentano alle famiglie crescere, numerose e prospere. Le Istituzioni del nostro territorio sono troppo neghittose sui temi della famiglia - ha detto ancora Greco - Per questo, la piattaforma valoriale e operativa alla quale il Forum ha chiesto l’adesione ai candidati al Parlamento non ha esaurito la sua funzione con la chiusura della campagna elettorale, ma costituisce il programma su cui il Forum crotonese dovrà concretizzare il suo impegno nei prossimi mesi: dalle agevolazioni economiche, al sostegno alla vita e alla condizione lavorativa e familiare delle donne, dal contrasto alla povertà all’integrazione sociale dei disagiati».
sabato 13 aprile 2013
Stumenti e servizi a disposizione Forum sulla disabilità organizzato dalla Provincia di Cosenza
L’ora degli impegni concreti
Tre impegni concreti finali: la creazione di una banca-dati per bambini portatori di disabilità che vanno da 0 a 5 anni e che riguarda, quindi, la fascia pre-scolare; l’allestimento di un tavolo permanente interistituzionale in cui possa avvenire tra istituzioni ed associazioni di volontariato uno scambio continuo di idee e proposte sul tema della disabilità; la diffusione e la sottoscrizione capillare della Convenzione dell’Onu per i diritti delle persone con disabilità. Si è concluso con questi tre impegni il Forum provinciale sulla disabilità promosso dall’assessorato alle Politiche sociali della Provincia di Cosenza guidato dal vicepresidente dell’ente Mimmo Bevacqua. All’incontro, assai partecipato, hanno portato il loro contributo il direttore sanitario dell’Asp di Cosenza Luigi Palumbo, la neuropsichiatra infantile dell’Asp di Rende Caterina Jannazzo, il direttore dell’ufficio scolastico provinciale Nicola Penta, la presidentessa dell’associazione “G. Rodari” di Cosenza Monica Zinno e il vicepresidente della Provincia Mimmo Bevacqua che ha introdotto e concluso i lavori. Il dibattito è stato moderato dal giornalista Francesco Dinapoli dell’ufficio stampa dell’amministrazione provinciale di Cosenza. Un impegno mantenuto, quello del Forum, che Bevacqua si era impegnato a promuovere e ad organizzare il 7 febbraio scorso, in occasione della sottoscrizione del Protocollo d’intesa sulla Convenzione Onu riguardante i diritti delle persone disabili e che ha contato sulla partecipazione di oltre cinquanta rappresentanti delle associazioni di volontariato e di una trentina di sindaci e amministratori locali. «C’è bisogno - ha detto il vicepresidente della Provincia rivolgendosi ai presenti con un linguaggio estremamente chiaro e concretodi creare più strutture e servizi, ma per far questo e per farlo bene occorre un radicale cambio di mentalità nell’approccio ai problemi. Se non avviene un’ inversione culturale in tal senso, tutto è inutile. O abbiamo l’intelligenza per programmare strumenti e risposte o non riusciremo a creare nulla. Il primo passo è, dunque, la raccolta delle informazioni, la creazione di una banca-dati attraverso cui raccogliere le esigenze dei disabili fin dalla nascita, in modo da poter programmare tempestivamente risposte, strumenti e servizi». Un appello, quello del vice presidente e assessore provinciale alle Politiche sociali, raccolto positivamente sia dal rappresentante dell’Asp che dal direttore dell’ufficio scolastico provinciale e rilanciato con favore dai vari interventi che si sono susseguiti nel corso del dibattito. «È un impegno non facile - ha affermato la presidentessa dell’associazione “Rodari” Monica Zinno, che ha lavorato con passione alla preparazione del Forum- ma il Servizio sanitario nazionale deve poter garantire la diagnosi precoce e certa delle disabilità. Non è possibile che per la fascia che va da 0 a 6 anni, vale a dire proprio nel momento in cui la persona inizia il suo ciclo scolastico, si registri una totale assenza di dati statistici. Da qui nascono la confusione e la disorganizzazione. La mancanza di dati certi sui bambini italiani e stranieri con disabilità mina la corretta attuazione delle norme per lo sviluppo di politiche basate sul rispetto dei diritti umani e per l’assegnazione di risorse adeguate». Il forum si è concluso con l’impegno dei presenti a lavorare da subito alla realizzazione di una banca-dati e all’individuazione di una serie di strumenti e servizi che saranno illustrati fra un paio di mesi, prima dell’inizio dell’anno scolastico, all’intera comunità. Da qui si partirà, dunque, per dar corpo e concretezza agli impegni assunti nel corso dell’iniziativa voluta dalla Provincia di Cosenza.
«C’è bisogno - ha detto il vice presidente dell’Ente di creare più strutture e servizi, ma per far questo occorre un radicale cambio di mentalità nell’approccio ai problemi»
Cosenza, svolta la prima assemblea provinciale
Croce rossa italiana a confronto
Campora San Giovanni scelta come sede per la prima assemblea provinciale della Croce Rossa Italiana, di Cosenza. Si è tenuto il primo appuntamento dopo la ridisegnazione della componentistica della Cri avvenuta a dicembre scorso al quale hanno partecipato oltre trecento volontari . L’incontro è stato aperto con i saluti del presidente Luigi Cosentini: «Questa è prima di tutto un’occasione dove si è ritrovata tutta la Cri provinciale per avere modo anche di conoscersi»; la provincia di Cosenza, annoverando al suo attivo 19 sedi Cri, rappresenta una buona parte del mondo del volontariato su base regionale . Per la prima volta, si sono ritrovate unite tutte le ex componenti Cri della provincia stessa e ogni sede e/o comitato è stato presente attraverso uno o più volontari. Un’occasione importante per contribuire, ognuno con le proprie peculiari esigenze, a realizzare la bozza di quella che alla fine sarà la carta dei servizi. Cosentini, già commissario e ora neo presidente, sta lavorando alacremente affinché tutte le sedi siano pronti per l’ulteriore evoluzione che sta seguendo il movimento. E l’occasione è stata propizia anche per ricordare gli obiettivi strategici 2020 che rappresentano le continue sfide umanitarie in cui è impegnata la Cri attraverso le sue attività. Il prossimo appuntamento in cantiere sarà a livello nazionale presumibilmente in giugno, dove ci si confronterà per approntare il nuovo Statuto della Cri. Appuntamento molto importante se si considera che da gennaio del 2014 la Cri opererà non più come ente pubblico.
III
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sabato 13 aprile 2013
Largo al volontariato Accordo fra l’Università Mediterranea di Reggio e l’Adspem fidas
La cultura della donazione
Università Mediterranea e Adspem fidas hanno siglato un protocollo «per realizzare un’efficace e mirata informazione sulla donazione del sangue tra i giovani universitari, col conseguente obiettivo di reperire nuovi donatori». Lo si legge in un comunicato stampa dell’ateneo reggino. «Nato dal comune interesse alla crescita sociale e culturale del territorio, l’accordo - spiega la nota - voluto dal rettore Pasquale Catanoso e dalla presidente Adspem Caterina Filippone Muscatello, intende promuovere l’educazione mirata e capillare delle nuove generazioni alla cultura della donazione quale gesto spontaneo, non remunerato, di estremo valore sociale. L’Adspem fidas si propone, inoltre, di far comprendere come “cultura della donazione” significa fare della donazione di sangue uno “stile di vita”, attraverso il quale tenere sempre sotto controllo il proprio stato di salute a garanzia anche del ricevente. Il progetto, finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (art. 12, Legge 266/1991), nell’ottica della valorizzazione delle attività di volontariato si pone come obiettivo la nascita di un network di collaborazione con la Mediterranea, luogo di raccordo di una grossa percentuale della popolazione giovanile della provincia reggina e anche di altre realtà calabresi». «Negli spazi individuati presso i dipartimenti dell’ateneo - si legge ancora - saranno allestiti gli infopoint, per fornire informazioni relativamente alla donazione di sangue in generale e in particolare alle esigenze dei pazienti ematologici. Previsto anche un punto sanitario di medicina preventiva per lo screening dei potenziali donatori di sangue tramite le anamnesi pre-donazione. Attraverso l’informazione e la sensibilizzazione, si intende coinvolgere i giovani invitandoli a diventare donatori periodici e, a loro volta, volontari Adspem Fidas per assicurare la continuità e la sicurezza trasfusionale al paziente ematologico. Gli universitari che dopo il primo contatto presso gli infopoint, saranno disponibili alla donazione di sangue o almeno a effettuare uno screening iniziale, potranno usufruire del servizio dell’autoemoteca Adspem Fidas che stazionerà presso le ex facoltà con la presenza del personale medico. Inoltre, l’attività di counselling, ai fini della donazione può essere un utile strumento per studiare le abitudini di vita dei giovani sul territorio, trasformandosi in screening a favore dei giovani stessi ed eventuale correzione di stili di vita dannosi. Gli infopoint saranno aperti per l’intera settimana. Il materiale informativo sarà quotidianamente disponibile e lo staff di segreteria e coordinamento del progetto potrà fornire ai giovani interessati le notizie iniziali sulla donazione. Il progetto - è scritto infine - sarà accompagnato durante lo svolgimento delle sue fasi da una campagna di comunicazione che sarà realizzata attraverso brochure informative e video che verranno tra-
Intende promuovere l’educazione mirata e capillare delle nuove generazioni al gesto spontaneo, non remunerato, di estremo valore sociale
smessi sulle reti tv, siti web, social network».
Le ricette della Cia calabrese
Anziani e crisi economica “Anziani e crisi economica: per un nuovo modello di welfare”: è il titolo del convegno svoltosi a Lamezia Terme su iniziativa della Cia Calabria. I lavori sono stati coordinati da Michele Drosi, membro del cda dell’Inac e sono stati introdotti da Franco Lucia, coordinatore della giunta Cia Calabria, il quale ha fatto una disamina della condizione generale del Paese che pesa negativamente sui ceti più deboli e sugli anziani in particolare che sono alle prese con problemi inediti dovuti ai tagli alla sanità, alla socio-assistenza. Franco Lucia concludendo il suo intervento ha detto che «la crisi deve essere vissuta non solo come un pericolo ma anche come un opportunità per ridisegnare un nuovo welfare che deve essere: un welfare delle opportunità, solidale e sostenibile economicamente e finanziariamente». Al convegno ha preso la parola, Mauro D’Acri, presidente regionale Cia Calabria, il quale ha ricordato Ciccio Ritrovato, dirigente dell’organizzazione, recentemente scomparso, a cui l’assemblea ha dedicato un lungo e caloroso applauso. Sono seguiti gli interventi di Gianni Speranza, Sindaco di Lamezia Terme, il quale ha evidenziato le difficoltà dei comuni a garantire le prestazioni sociali; di Giorgio Gemelli, responsabile di “Progetto salute” della Legacoop, che ha sottolineato come sia necessario porre la persona al centro della rete del benessere, con servizi socioassistenziali, sanitari e mutualistici sul territorio; di Francesca Liparota che ha esposto il progetto “Relazioni, reti e azioni con gli anziani”, che si è soffermata sulla banca del tempo; di Alberto Statti, presidente regionale di Confagricoltura, il quale ha posto in evidenza l’importanza dell’unità di intenti tra le organizzazioni agricole e, in particolare, con la Cia. Hanno concluso i lavori Mauro D’Acri, presidente della Cia Calabria e il coordinatore nazionale della giunta Cia, Alberto Gionbetti.
sabato 13 aprile 2013
V
Vaticano chiama Calabria Terza parte
La lunga storia dei papi venuti dalla “nostra” terra
Dalla Calabria al Soglio di Pietro eco di Pierfrancesco Gr
Fu originario del versante ionico della nostra regione anche il nono Pontefice calabrese, Zaccaria da Siberene (l’odierna Santa Severina), il quale fu il novantunesimo papa della Chiesa cattolica, che lo venera come santo, dal novembre 741 (consacrazione il 10 dicembre) alla sua morte, nel 752. Nato a Santa Severina nel 679 (proveniva da una famiglia greca della Calabria), non si hanno notizie sicure sulla sua sua vita, né sulla carriera ecclesiastica. Figlio di Policronio, Zaccaria in famiglia dovette ricevere un’apprezzabile istruzione; conosceva infatti oltre che il greco anche il latino e possedeva una biblioteca privata di codici liturgici che in seguito donò alla basilica di S. Pietro. Può forse essere identificato con un diacono omonimo che sottoscrisse gli atti del sinodo romano del 732; certamente fu tra i collaboratori di papa Gregorio III, giacché in questa funzione lo conobbe l’evangelizzatore della Germania, Bonifacio, probabilmente durante il suo terzo viaggio a Roma, nel 737-738. Venne elevato al pontificato pochi giorni dopo la morte di Gregorio III, il 3 dicembre del 741, in una situazione politica particolarmente difficile. Fu il primo papa per cui non fu richiesto il benestare né a Ravenna, né a Costantinopoli. Il periodo in cui salì al trono pontificio, era, lo si è già evidenziato, piuttosto difficile per la Chiesa, con i Longobardi che premevano alle porte di Roma e che già con il suo predecessore, avevano invaso il ducato romano, comandati dal re Liutprando. Inoltre la situazione generale era abbastanza confusa, con gli esarchi di Ravenna (molto instabili nelle loro relazioni con i papi), e con l’Impero d’Oriente in piena lotta iconoclasta; la stessa Roma era in una situazione non bene determinata, perché non era più soggetta all’imperatore bizantino, ma non era neppure ancora indipendente. Fu impegnato per vario tempo, nel trovare una soluzione pacifica con il re longobardo invasore Liutprando (712-744), che incontrò a Terni nel 742 e dal quale ottenne la restituzione delle città di Amelia, Orte, Bomarzo e Blera, precedentemente occupate; riuscì a riavere anche altri territori che i Longobardi occupavano da 30 anni e infine stipulò con il re una tregua ventennale. Andando nello specifico, al momento dell’elezione di Zaccaria, re longobardi Liutprando e Ildeprando, associati nel potere, stavano infatti conducendo un’aggressiva politica contro i territori che l’Impero bizantino possedeva nell’Italia centrale: l’Esarcato (Romagna), la Pentapoli (Marche) e lo stesso Ducato romano, ossia il territorio regionale corrispondente a un dipresso all’attuale Lazio, su cui i papi avevano recentemente acquistato un’influenza politica che probabilmente comportava anche funzioni di governo, esercitate d’ac-
Diverse sono state, soprattutto nei primi secoli dell’era cristiana, le personalità calabresi ascese alla funzione di Romano pontefice
Papa Zaccaria (pontefice dal 741 al 752) Errata corrige Per una svista la seconda puntata di questo speciale nel numero 14 di “Voce ai giovani” è stata pubblicata con una firma sbagliata. Ce ne scusiamo con l’autore Pierfrancesco Greco
cordo con le autorità bizantine. Infatti l’esarca, rappresentante dell’imperatore in Italia, non era più in grado di governare efficacemente tutte le province imperiali, né di opporsi validamente all’aggressione dei re longobardi. Anche per questo il predecessore di Zaccaria, Gregorio III, aveva stabilito intese con i duchi di Spoleto e di Benevento, che, sebbene longobardi, erano ostili al rafforzamento dell’autorità regia, sperando col loro aiuto di poter tutelare almeno l’autonomia del Ducato romano. Zaccaria fu eletto papa proprio mentre il re Liutprando stava preparando una spedizione militare contro il Ducato romano. Egli diede subito prova di quella notevole spregiudicatezza che caratterizza le sue principali iniziative politiche; abbandonando l’intesa con i duchi longobardi offrì al re Liutprando sostegno proprio contro il duca ribelle Trasmondo di Spoleto, in cambio della pace e della restituzione dei quattro castelli di Amelia, Orte, Bomarzo e Blera, nella valle del Tevere, che il re aveva occupato l’anno precedente. Effettivamente, per disposizione di Zaccaria, l’esercito romano partecipò nel 742 alla spedizione del re contro Trasmondo, conclusa con la sottomissione e la deposizione del duca. L’autorità esercitata in quell’occasione da Zaccaria sull’esercito romano è una conferma del fatto che nell’ormai avanzata crisi del governo bizantino in Italia, il papa aveva assunto poteri politici in Roma, ed esercitava funzioni di governo nella città, d’intesa con il duca nominato dall’esarca. Dopo la sottomissione di Spoleto, poiché Liutprando tardava a consegnare i castelli promessi, Zaccaria non esitò a lasciare Roma per incontrarlo personalmente e raccogliere i frutti dell’accordo, facendo valere nei confronti del re tutto il prestigio morale e carismatico che gli derivava dalla figura di vicario del principe degli apostoli. L’incontro, come detto, avvenne a Terni probabilmente nell’estate del 742; Liutprando accolse il papa con grandi onori; le trattative du- continua alla pagina seguente rarono alcuni giorni, accompagnate da cerimonie religiose. Risultato fu la restituzione dei quattro castelli (considerati fondamentali nell’ottica della difesa di Roma da future minacce) al papa, che probabilmente li ricevette per conto dell’Impero; inoltre il re
VI
sabato 13 aprile 2013
Vaticano chiama Calabria restituì “a san Pietro”, cioè propriamente alla Chiesa di Roma, vari patrimoni fondiari nella Pentapoli e nel Ducato romano, anch’essi recentemente occupati dai Longobardi. L’accordo fu sanzionato da una pace ventennale tra il re longobardo e il Ducato romano, i cui destini venivano così distinti da quelli delle altre province bizantine nell’Italia centro-settentrionale. Nel 743 papa Zaccaria, dovette intervenire di nuovo con Liutprando, incontrandolo a Pavia, per distoglierlo dal proseguire la guerra contro l’esarcato di Ravenna, che i Longobardi volevano togliere ai Bizantini, operazione che fu portata a termine con successo dal papa. Stessa opera di mediazione e stesso successo l’ebbe con il duca del Friuli Rachis, re longobardo, che aveva invaso la “Pentapoli” (come già accennato regione marchigiana, comprendente le cinque città di Ancona, Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia) originariamente una provincia bizantina. Rachis (744-749) convinto dal papa, rinunciò all’impresa e si fece monaco nel 749, lasciando il regno al fratello Astolfo (749-756), il quale, però, occupò l’esarcato di Ravenna nel 751, giungendo a minacciare la stessa Roma (ma la storia proseguì con il successore di S. Zaccaria, papa Stefano II, il quale, nel 754, si sarebbe recato in Gallia per chiedere il supporto di Pipino il Breve. Nella città di Quierzy Pipino avrebbe successivamente promesso al papa che, una volta recuperati i territori conquistati dai Longobardi, li avrebbe donati alla Santa Sede; sarebbe stato questo l’atto di indirizzo che avrebbe condotto alla formalizzazione, sancita da Carlo Magno nel 774, dello Stato della Chiesa, destinato a durare, a parte brevi parentesi, fino al 1870). Riguardo l’Impero d’Oriente, ebbe rapporti burrascosi con l’imperatore Costantino V Copronimo (718-775), fautore della politica iconoclasta, riuscendo alla fine a renderlo favorevole alla Chiesa di Roma. Altro fatto importante del suo pontificato, fu la legittimazione della nuova dinastia carolingia in Francia, che sostituiva la decadente stirpe merovingia, nella persona del suo ultimo rappresentante Childerico III, per questo consacrò re dei Franchi Pipino il Breve (714-768), futuro padre di Carlo Magno; fu la prima investitura di un sovrano da parte di un pontefice. Fin dall’inizio del pontificato, egli dedicò, poi, grande attenzione all’opera di diffusione e organizzazione della Chiesa in Germania e nel Regno franco, condotta dall’evangelizzatore anglosassone Bonifacio, che Gregorio II aveva già costituito “vescovo della Germania”. Bonifacio si tenne continuamente in contatto con Zaccaria, informandolo sui progressi della sua attività e sollecitando istruzioni in materia di diritto ecclesiastico, di costume e di liturgia. Zaccaria fornì le istruzioni richieste; inviò la conferma papale ai nuovi vescovi creati in Germania da Bonifacio; su richiesta di questi trasmise il pallio anche agli arcivescovi di fresca istituzione di Sens, di Reims e di Rouen. Relativamente a tale questione, convocò due Sinodi per Roma, nel 743 e 745, confermando la condanna pronunciata da s. Bonifacio contro i due eretici Adalberto e Clemente, che in Germania predicavano dottrine lesive dell’autorità ecclesiastica ed erano stati perciò incarcerati da Bonifacio, il quale, probabilmente, era colui che lo aveva messo in contatto con le autorità franche. Abile amministratore, Zaccaria, governò la Chiesa ed i territori che le appartenevano (i quali furono il primo nucleo dello Stato della Chiesa) per oltre dieci anni, riuscendo a controllare molto bene le milizie papali e l’amministrazione civile della città di Roma. In un certo senso, durante il suo pontificato maturarono le condizioni che avrebbero portato, con Papa Stefano II, alla nascita “de facto” dello Stato Pontificio (anche se si può tranquillamente parlare di vero e proprio potere temporale del papato, quanto meno, già a partire dal 752). Degni di menzione sono, però anche altri aspetti degli anni di Papa Zaccaria: sotto il suo regno le terre vennero coltivate mediante colonie agricole bene organizzate; fu Egli a sviluppare il sistema della domus cultae, assegnazione di terre incolte ed abbandonate di proprietà della Chiesa, a fittavoli. Degno di menzione è il restauro, da egli ordinato del palazzo del Laterano, precedentemente danneggiato (palazzo ove Zaccaria riportò la sede papale), e l’abbellimento della chiesa di S. Maria ‘Antiqua’ ai piedi del Palatino, ove ancora si conserva il suo ritratto, eseguito quando era ancora vivente. Papa Zaccaria ultimo papa greco, fu, come già specificato, un uomo di vasta erudizione ed a lui si deve la traduzione dei ‘Dialoghi’ di s. Gregorio Magno, eseguita per i monasteri greci di Roma e d’Italia e che ebbe vasta diffusione in Oriente (Le lettere e i decreti di Zaccaria sono pubblicati in: Jacques Paul Migne, Patrologia latina, LXXXIX). Morì il 15 marzo 752 a Roma e venne sepolto in S. Pietro. È, come detto, celebrato come santo dalla Chiesa cattolica e la sua commemorazione liturgica ricorre il 15 marzo. A proposito di questo grande Pontefice nel Martirologio Romano si legge: «A Roma, san Zaccaria, papa,
In particolare, alla luce delle varie fonti, tra esse confrontate, possiamo, con poche incertezze, ritenere che i calabresi investiti, quali successori di Pietro, del ruolo di Guida della Chiesa universale siano stati almeno dieci in oltre duemila secoli di storia
Papa Stefano III (pontefice dal 768 al 772)
che arginò la veemenza dell’invasione longobarda, indicò ai Franchi quale fosse il giusto governo, dotò di chiese i popoli germanici e tenne salda l’unione con la Chiesa d’Oriente, governando la Chiesa di Dio con somma accortezza e prudenza».
Legata alla figura di Zaccaria è, invece, la scalata nelle gerarchie ecclesistiche compiuta dal decimo papa di origine calabrese, tale Stefano III di Reggio Calabria, che, secondo una numerazione diversa da quella ufficiale non sarebbe il III Papa di nome Stefano, bensì il IV (la disputa, in merito, ebbe origine allorchè nel marzo del 752, venne eletto, quale successore di Zaccaria, un Papa di nome Stefano, il quale morì quattro giorni dopo, prima di essere consacrato. Pur essendo stato eletto, questo Papa, che avrebbe assunto il nome di Stefano II, non fu però considerato nella lista dei papi della Chiesa cattolica a causa della sua mancata consacrazione, requisito, allora, fondamentale contestualmente all’investitura papale: per questo la numerazione dei suoi successori riprende talvolta con lo stesso nome e numero. Così, nella numerazione “ufficiale”, colui che venne eletto dopo il “Papa non consacrato”, chiamandosi anch’Egli Stefano, è indicato col nome di Stefano II, anziché “III”, numero ordinale, questo, riservato, quindi, a Stefano di Reggio Calabria). In ogni Caso, Stefano III viene considerato il 94º papa della Chiesa cattolica, dal 1º agosto 768 alla sua morte, nel 772. Egli presumibilmente originario di Reggio (benchè il suo luogo di nascita risulti da diverse fonti, la Sicilia) Stefano nacque verso il 720, trasferendosi ancora fanciullo a Roma e venendo ben presto accolto da papa Gregorio III nel monastero benedettino di San Crisogono, dove, come ricorda il suo biografo, «clericus atque monachus est effectus» (ibid.). Dopo la morte del suddetto papa, Stefano fu chiamato ad assumere il ruolo di “cubicularius” del patriarchio lateranense dal nuovo pontefice, Zaccaria, il quale peraltro, poco tempo dopo, lo ordinò presbitero cardinale del titolo di S. Cecilia, uffici che, stando a quanto riferito dal Liber pontificalis, il giovane prelato cominciò a svolgere con tale competenza e discrezione da indurre i successori di Zaccaria, Stefano II e Paolo I, a mantenerlo in carica in entrambe le funzioni. È pertanto lecito ipotizzare che S., descritto come «vir strenuus et divinis Scripturis eruditus atque ecclesiasticis traditionibus inbutus et in earum observationibus constantissimus perseverator» (ibid.), sia ben presto diventato, se non altro in ragione delle capacità dimostrate nell’assolvimento dell’incarico di “cubicularius”, uno dei più autorevoli ed ascoltati esponenti della Curia romana. Del resto, la crescente stima goduta in quegli anni dal titolare di S. Cecilia è testimoniata anche dai delicati incarichi diplomatici che gli vennero affidati. Stefano infatti risulta quasi certamente identificabile con l’omonimo presbitero che il biografo di Stefano II colloca al seguito del pontefice durante l’importantissimo soggiorno in terra franca, culminato con gli incontri di Ponthion e di Quierzy (gennaio e Pasqua 754), che, com’è noto, diedero vita all’alleanza fra il papato e la monarchia carolingia, che avrebbe definitivamente dato respiro alla costituzione formale del Patrimonium Sancti Petri, come stato sovrano autonomo, decretata, come già spiegato, da Carlo Magno due decenni dopo. Alla deposizione dell’antipapa Costantino II, Stefano venne scelto per succedergli dal potente primicerio dei notai, Cristoforo. La sconfit-
sabato 13 aprile 2013
VII
Vaticano chiama Calabria ta dell’antipapa Costantino era stata determinata dall’intervento degli armati longobardi del re Desiderio, sollecitato dal primicerio Cristoforo, guidati dal presbitero e rappresentante in Roma di Desiderio, Valdiperto.Tuttavia, una volta imprigionato Costantino, Valdiperto tentò di insediare un pontefice ligio a Desiderio nella persona del presbitero Filippo, cappellano del monastero di San Vito sull’Esquilino, che però fu tale solo un giorno, giusto il tempo per Cristoforo di chiedere ed ottenere il suo allontanamento, grazie anche all’atteggiamento minaccioso del popolo romano che dissuase i longobardi dall’insistere con il loro candidato. Filippo, che non era ancora stato consacrato né intronato, fu così costretto a ritornare al proprio monastero e venne quindi eletto papa il presbitero Stefano che aveva assistito papa Paolo I durante il trapasso e che fino ad allora si era tenuto in disparte rispetto ai conflitti fra le varie fazioni,[2] e fu consacrato il 7 agosto 768. Appena insediato, Stefano inviò Sergio, figlio del primicerio Cristoforo, l’artefice della sua ascesa al trono pontificio, presso Pipino il Breve per comunicargli la sua elezione e chiedergli di inviare i vescovi franchi al sinodo che egli intendeva convocare per la primavera dell’anno successivo. Pipino però nel frattempo era morto ed il legato di papa Stefano III venne ricevuto dai suoi figli, Carlo e Carlomanno, i quali aderirono alle richieste di Stefano e inviarono al concilio tredici vescovi franchi.Il 12 aprile 769 Stefano aprì in Laterano un concilio in cui si svolse un processo all’antipapa Costantino che durò due giorni e che si concluse con il quasi linciaggio dell’imputato. Il concilio terminò con la distruzione di tutti gli atti ufficiali da egli compiuti e con la decisione che in futuro il papa avrebbe dovuto essere scelto solo fra i diaconi ed i “prebiteri cardinali”, mentre veniva ridimensionata fortemente la partecipazione dei laici alle elezioni del pontefice e venne confermata la pratica della devozione delle icone. Nel frattempo il comportamento di Desiderio aveva destato le ire di Stefano III, per il suo tergiversare sulla promessa fatta a papa Stefano II, in cambio del suo appoggio nell’ascesa al trono longobardo, di ritirarsi dai territori bizantini occupati a suo tempo da Liutprando (alcune città dell’Esarcato e della Pentapoli), in favore del papato. Così Stefano si rifiutò, nel 770, di approvare la nomina dell’arcivescovo di Ravenna, un fido di Desiderio. Stefano ebbe poi modo di allarmarsi, allorché apprese che stava per essere combinato un matrimonio fra Carlo Magno e la figlia di Desiderio, Desiderata (o Berterada). Preoccupato che l’alleanza fra i due potenti re potesse schiacciarlo, Stefano si oppose al matrimonio, ma inutilmente, poiché questo venne egualmente celebrato. In realtà egli credette di accorgersi che le liti tra i due fratelli franchi, Carlo Magno e Carlomanno, non gli avrebbero consentito di utilizzare i franchi contro Desiderio e quindi decise di riavvicinarsi a quest’ultimo, anche per cercare di affrancarsi dalla soffocante tutela dei potenti patrizi Cristoforo e Sergio, suo figlio. Prese quindi contatti segreti con l’esponente di Desiderio a Roma, Paolo Afiarta. Intanto Desiderio annunciò nel 769 di volersi recare in pellegrinaggio a Roma e così fece nel 771 ma, curiosamente, si portò dietro un esercito. Allorché Desiderio giunse sotto le mura romane, Cristoforo e Sergio allertarono il popolo chiamandolo alla difesa contro il probabile invasore, contando anche sull’appoggio del legato franco a Roma, Dodone. Stefano tuttavia riuscì a gettare sufficiente discredito sui due patrizi, al punto che il popolo romano, fomentato da Afiarta, si ribellò loro. Consideratisi ormai sconfitti, padre e figlio tentarono la fuga ma furono catturati dai fedeli di Afiarta che li fece eliminare. A Carlo Magno non piacque tutta la vicenda e se ne lamentò, al che Stefano gli scrisse una lettera in cui, raccontando dettagliatamente quel che era successo, accusando i due patrizi “francofili” di essere, insieme a Dodone, alleati del demonio e di avere per questo voluto la sua morte, evitata solo con il provvidenziale intervento di Desiderio. Questo voltafaccia non piacque né a Carlo né a Desiderio, che si guardò bene dal resituire al papato le terre che aveva promesso. Stefano tentò quindi una ulteriore carta: cercare di separare franchi e longobardi e così fece spingendo per il ripudio di Ermengarda da parte di Carlo, cosa che puntualmente avvenne quasi in concomitanza del decesso di Carlomanno, che lasciò Carlo Magno erede dell’intero regno dei Franchi. Tuttavia, proprio quando una serie di inaspettati eventi, quali l’improvvisa rottura dell’alleanza fra il re longobardo e Carlo (autunno 771) e la morte di Carlomanno, era ormai sul punto di determinare un importante e decisivo mutamento degli equilibri politici, Stefano morì il 24 gennaio del 772, venendo sepolto in S. Pietro.
L’emblema del Papato
Oltre ai pontefici fin qui elencati c’è ne poi uno, Papa Innocenzo XII (in latino: Innocentius PP. XII) che fu il duecentoquarantaduesimo papa della Chiesa cattolica dal 1691 alla sua morte, nel 1700. Questo Papa, nato Antonio Pignatelli di Spinazzola (13 marzo 1615 - Roma, 27 settembre 1700), e successore di Alessandro VIII, sarebbe nato a Spinazzola (comune posto al confine tra Lucania e Puglia), da Francesco, quarto marchese di Spinazzola e da Porzia Carafa, principessa di Minervino Murge, figlia di Fabrizio Carafa duca di Andria. Qual è dunque, il forte filo che unisce Innocenzo alla nostra Regione? Il legame di questo papa con la Calabria viene posto in evidenza da alcune fonti, secondo le quali egli fu battezzato nella chiesa di San Giovanni Battista di Regina di Lattarico, in provincia di Cosenza. Tuttavia, alcuni elementi, inducono a pensare che il Pignatelli a Regina non solo ricevette il battesimo, ma venne addirittura al mondo. La testimonianza di questa illustre nascita, alla data del 21 gennaio 1626, è conservata nel registro parrocchiale di S. Giovanni di Regina, ove il futuro Successore di Pietro avrebbe, come detto, ricevuto il battesimo. Inequivocabile, a questo proposito, la notazione, segnata sul margine sinistro del foglio del registro, nella quale si legge: «Fu Pontefice con il nome di Innocenzo XII nel 1691. Fu un Pontefice savio e Santo, abolì il nepotismo, con una celebre Costituzione, trasse dalla venerazione del Pontificato anche agli eretici. L’Arcip. Molinari di Acri ha notato la sua memoria».
Papi per larghissima parte degni, che non furono mere ombre sul trono di Pietro; guide il più delle volte solide, che seppero fronteggiare cruciali avversità in tempi difficili; pastori sovente coraggiosi, che seppero custodire nel servizio il popolo cristiano, anche a costo della vita
Negli anni seguenti, il Pignatelli, calabrese di adozione, venne educato nel collegio dei gesuiti di Roma, iniziando una travolgente “carriera” ecclesiastica. A vent’anni divenne un funzionario della corte di papa Urbano VIII. Sotto i papi successivi servì come vicelegato di Urbino e poi come governatore di Perugia. Divenne - quindi - inquisitore nell’isola di Malta nel 1646. Due anni dopo fu governatore di Viterbo; nel 1652 nunzio apostolico a Firenze; nel 1660 in Polonia e quindi - nel 1668 nella prestigiosa città di Vienna. Il 1º settembre 1681 fu nominato cardinale; l’anno dopo arcivescovo di Faenza e legato di Bologna; nel 1687 arcivescovo di Napoli. Alla morte di Alessandro VIII, avvenuta il 1º febbraio1691, il conclave si protrasse per cinque mesi, ed egli fu eletto il 12 luglio, come candidato di compromesso tra i cardinali francesi e quelli del Sacro Romano Impero. Immediatamente dopo la sua elevazione alla tiara pontificia, prese posizione contro il nepotismo, che troppo e troppo a lungo aveva costituito uno dei grandi scandali della Chiesa; la bolla Romanum decet Pontificem, emanata nel 1692, proibiva ai Papi in qualsiasi momento, di concedere proprietà, incarichi o rendite a qualsiasi parente; inoltre, solo un parente poteva essere innalzato al cardinalato. In tutto il suo pontificato rimase fedele a questo principio; nessun suo familiare ebbe incarichi in Vaticano e negò perfino la porpora del cardinalato all’arcivescovo di Taranto, perché era suo parente. Nello stesso tempo cercò di contrastare la compravendita di cariche presso la Camera apostolica, e a questo scopo introdusse alla sua corte uno stile di vita più semplice e più economico. Egli stesso disse «i poveri sono i miei nipoti», paragonando il nepotismo di molti tra i suoi predecessori con la sua politica di beneficenza pubblica. Nel 1694 istituì la Congregazione per la disciplina e la riforma degli Ordini Regolari, con l’intento di riformare verso una maggiore spiritualità la Chiesa. Innocenzo fece diverse riforme necessarie e molto utili negli Stati della Chiesa, e - per la migliore amministrazione della giustizia - fece erigere il Forum Innocentianum. Nel 1693 spinse i vescovi francesi a ritirare le quattro proposizioni legate alle Libertà gallicane, che erano state formulate dall’assemblea del 1682. Nel 1699, si schierò dalla parte di Jacques-Bénigne Bossuet, nella controversia tra tale prelato e Fénelon, circa l’Explication des Maximes des Saints sur la Vie Intérieure scritta da quest’ultimo.In politica estera, il suo pontificato contrastò con quello di una serie di suoi predecessori, per la sua inclinazione verso la Francia invece che la Germania. Non estraneo alle vicende relative alla questione della successione spagnola, morì il 27 settembre 1700, alla vigilia del conflitto in cui sfociò l’annosa e “regale” controversia. continua...
Papa innocenzo XII (pontefice dal 1691 al 1700)
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Calabresi illustri Prima parte
Simone degli Alimena, «fratello in Cristo e amico carissimo» per il Santo
L’amico e benefattore di Francesco di Paola rise a cura di Oreste Pa
Della vita di Simone degli Alimena si sa molto poco. Dice di lui Gregorio Montilli in uno strano libro del 1685 (Ricerco del niente e del tutto: diviso in tre instruttioni, pag. 402): «De nobili ac venerabili Simone de Alimena brutiense, qui dum vixit magnus ælemosinarius fuit ex quo Deus per eum mirabilia est operatus, ut in epistolis D. Francisci de Paula legitur». «Del nobile e venerabile Simone de Alimena calabrese, che mentre visse fu un grande benefattore e attraverso il quale Dio volle operare miracoli, come si legge nelle lettere di San Francesco di Paola». Il Santo lo chiama «Domine Simon frater mi in Christo, & socie charissime». Questa è di fatti l’unica notizia che abbiamo di lui. Nella citazione viene definito «venerabile», un riconoscimento che può essere attribuito solo da Papa, dopo una istruttoria avviata dal vescovo della Diocesi, che in precedenza lo aveva riconosciuto «Servo di Dio». Pietro Antonio Tornamira nella sua opera su San Benedetto, lo cita come Beato, ricordando come il Santo Paolano fosse «gran protettore della Famiglia Alimena (per haverli somministrato rilevanti aiuti il Beato Simone Alimena, nel principio della fondatione di questo sacro Ordine)». Simone nacque da Guglielmo e Lucifera Todesco il 2 aprile 1417 (ma non si conosce la data della morte) ed era dunque coetaneo di San Francesco. La vita di Simone è intrecciata con quella del Santo, tanto che si sospetta che la data di nascita sia stata alterata dai suoi eredi per farla coincidere con l’anniversario della morte di San Francesco. Il Santo era nato, infatti, il 27 marzo 1416 e morto a Tours il 2 aprile 1507, all’età di 91 anni. Scrive il Perrimezzi che per i numerosi gesti di generosità, il Santo paolano mostrò grande gratitudine «in verso del principale benefattore di lui, e della religione da lui fondata. Fu questi Simone di Alimena, di cui in altro luogo di questa storia si è fatta più largamente parola. Nei più urgenti bisogni, ne’ quali trovossi Francesco, nella fabbrica del primo Monastero dell’Ordine si vide sempre presentaneo il soccorso che gli spediva Simone di Montalto, ove facea egli soggiorno. Anzi, portandosi anche lungi dalla sua patria il pio Signore, non dimenticossi di Francesco; al quale volle Iddio, che puranche con miracolosi avvenimenti ne pervenisse l’aiuto, così opportuno, come desiderato». Intorno al 1450 avviene il primo miracolo operato da San Francesco in cui appare la figura di Simone degli Alimena. L’episodio è narrato con con grande vivezza da Giuseppe Maria Perrimezzi (Vita di San Francesco, vol. I, pag. 42). «Incrudeliva il flagello di una gran penuria in Paola, anzi in tutta la Calabria, ... L’ordinario ministro, di cui servivasi Iddio per provvedere alle necessità di Francesco nelle sue fabbriche, fu certamente Simone dell’Alimena. Era questi nobile della città di Montalto, uomo che alla chiarezza del suo sangue ebbe congiunta la bontà dei suoi costumi. Così parziale amico fu di Francesco, che in qualunque luogo egli si ritrovasse, o per ragion di governi, o per altri suoi domestici affari, non lasciò mai di ricordarsi di lui, e di soccorrere con larghe e continue limosine i suoi figliuoli. Fra le altre cose, che furon moltissime, mandogli in una volta Simone diciotto ducati d’oro, due some di pane, altre tre di legumi, noci e castagne: e perché gli arrivassero sicure, vi spedì per accompagnarle due servidori di casa. Quando eglino furono nella cima della montagna, da cinque ladri albanesi si videro all’improvviso assaliti, i quali legati i conduttori appiè degli alberi, tosto su quelle robe si diedero a far banchetto. Ma che? Fu impossibile ed al coltello, ed al dente il poter rompere quel pane, ancorché fresco egli fosse. Allora da quel miracolo prese motivo uno di quei servi per far conoscere al ladro, che Iddio sa
A causa dei numerosi gesti di generosità, il Santo paolano mostrò grande gratitudine «in verso del principale benefattore di lui [Simone], e della religione da lui fondata», scrive il Perrimezzi
vendicare gli oltraggi che son fatti ai suoi amici. Ma l’ostinato assassino se gli avventò con una ronca per ucciderlo; nell’atto però di ferirlo, il colpo diede in un faggio, il quale cadendo sopra i cinque, quattro ne uccise, ed al quinto franse una gamba. Questi in fine fu condotto dal Governatore, che si trovò per accidente a passare per quel luogo, per giustiziarlo in Montalto; e fu comandato dal medesimo, che in quello stesso luogo i quattro estinti si lasciassero sospesi ad un tronco. I due servi furon posti in libertà, e portaronsi posto a Francesco a presentarli sussidio di limosine, ed a far racconto di maraviglie». Tutto l’episodio è costruito sul carattere miracolistico degli eventi: il pane e gli altri alimenti che «si rifiutano» di farsi mangiare, un colpo di roncola che abbatte di netto un albero che cadendo uccide tre persone ferendone il quarto e la presenza del Governatore che condanna a morte il superstite e all’esposizione al pubblico ludibrio delle salme degli altri malcapitati ladri. La barbara usanza serviva come pubblico esempio al fine di scoraggiare i delinquenti. Secondo Francesco Tajani l’episodio testimonia della presenza di nuclei di albanesi qualche decennio prima de grande esodo che si ebbe dopo la morte di Scanderbeg e la caduta di Cruja. Infatti, l’insediamento degli albanesi nel versante sinistro della Valle del Crati avvenne una ventina di anno dopo, tra gli anni 1476-78, come attestano le fonti (e lo stesso Tajani). Il Perrimezzi narra un altro episodio miracolistico relativo a Simone. «Era Simone lungi dalla Calabria, e Francesco non isperimentando i consueti affetti di sua carità disse un dì a’ suoi religiosi: ben si conosce che il nostro Signore non è presso a noi, dacchè molto scarse vengono a nostra casa le limosine. In ciò dire, videsi volare sul tetto della Chiesa una gazza, la quale poi ch’ebbe fatti alcuni trilli sonori, lasciò cadere dalle sue unghie ai piedi di Francesco una borsa, che racchiudea cinquanta ducati d’oro, con una lettera, scritta in quel punto stesso, in cui Francesco avea parlato di Simone, da cui il dono veniva mandato. Simil quantità di moneta portogli altro suo servo, il quale caduto puranche in mano di assassini, tosto sen vide libero, all’improvviso strepito che si sentì di vicina cavalleria, la quale da lui non fu di poi mai più veduto, o pur sentita. Altro suo servo gli conduceva quattro some cariche di pane, noci e castagne; e questi pure s’incontrò ne’ ladri. Ma Iddio fece restare impietriti quegli assassini nell’atto che voleva legarlo; e perché ripigliassero moto, fu bisogno che al servo si raccomandassero, il quale ne ottenne loro da Dio la libertà bramata». Lo stesso Simone viene accreditato di potere taumaturgico, tanto da non apparire inverosimile la sua dichiarazione di Beato, pur non es-
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Calabresi illustri siì, ma sinceri suoi doni, consistenti in erbe del suo giardino, in frutta del suo orto, per quanto le sue scarse forze gliel permettevano, procurò corrisponderne i benefizii, e riconoscere il benefattore». Secondo quanto riportato da Carlo Calà (Historia de’ Svevi), «in più lettere da lui scritte a Simone d’Alimena di Mont’Alto, suo grand’amico, e comprovinciale, annunciandoli ch’uno descendente del suo sangue, saria stato Fondatore, e Rettore della Congregatione de i Santi Crocesignati, ch’haveriano combattuto per l’augmento della nostra fede, & estinto la setta Maomettana, e tutti gl’heretici e tiranni, con fondar la Signoria Universale, & ridurre tutto ‘l mondo al vero conoscimento, & obedienza della Chiesa Cattolica, con l’unus Pastor, et unum ovile, di sopra detto; così lo scrive S. Francesco nell’epistola prima, dicendo: “Santa generatio vestra erit admirationi omni terrae, & descendet unus ex ea, qui futurus est quasi sol inter sydera, & appresso: Erit Magnus Princeps, & Rector Congregationis sanctarum Gentium”, etc».
sendo stato trovato, al momento, alcuna documentazione al riguardo. Di lui si ricordano solo episodi,riportati in seguito, relativi alla sua attività politica. Scrive Domenico Martire (testo riportato da Nardi). «A vagliare, sia pur sommariamente, le notizie che abbiamo di Simone quale guaritore d’infermi, risuscitatore di morti, riprenditore di falsi monetari, punitore di ladri», scrive Carlo Nardi, «possiamo dire che la figura di lui, più aderente alla realtà, ci sembra quella tracciata dal Martire che anche lui non risparmia. Usava anche Simone la sua carità con le Chiese, provvedendole di vino per le Messe e di olio per le lampade, con farci delle altre spese. Dava anche agli ebrei di Montalto delle limosine, compatendoli come prossimo che sono ... Sovveniva anche Simone a’ Religiosi di Montalto coi quali teneva spesso prattica e due volte la settimana vi andava a pranzo, portando Simone ogni cosa di casa, anche il sale: li regalava, li provvedeva d’olio, cera, vestire, senza mancar loro nelle altre occorrenze». Simone Alimena era anche molto apprezzato e conosciuto a Corte, e Ferrante I, lo nominò Vicerè delle Puglie, e dopo qualche anno Reggente della Vicaria. Domenico Martire narrò due episodi relativi alla sua attività politica riferiti da Carlo Nardi. Il primo è una vicenda un po’ carnascialesca. «Un prete, innamoratosi di una donna, ne aveva pugnalato il marito, Simone lo perseguì fin nel Castello di Polignano, ove lo scovò con l’amante sotto una gran botte, in cui era stato dell’olio. La mattina seguente fe’ pubblicamente frustare la donna per la detta città di Polignano: e poscia fattala insieme coll’adultero menar nella città di Bari, fu nuovamente frustata col prete, e lui poi murato, e la donna colle debite cautele restituita al marito». L’altro episodio è relativo al periodo in cui egli era Rettore della Vicaria. «Durante tale carica non risparmiò neanche un favorito, che avrebbe fatto impiccare in mezzo ad altri otto innanzi al Palazzo della Vicaria, per certe sconce malefatte». Della lunga relazione epistolare tra San Francesco e Simone restano una sessantina di lettere, di molte delle quali ne viene contestata l’autenticità. Non così il Perrimezzi che scrive: «Or che non fece, che non disse, il gratissimo uomo verso di un tanto suo piissimo e gentilissimo benefattore? Egli con ampiissime lettere ne lasciò registrata per tutti i secoli avvenire la pietosa munificenza; con continue orazioni ne rimunerò da Dio la istanchevole carità; con gloriosi elogii ne magnificò la mirabile assistenza; ora chiamandolo suo fratello, ora padre di tutti i suoi, or tesoriere dello Spirito Santo; ed infine, co’ poveri
I luoghi sacri a Paola vissuti da san Francesco di cui Simone degli Alimena fu coetaneo e amico
Nel 1453 i Turchi entrano in Costantinopoli e finisce il millenario Impero Romano d’Oriente, un episodio che impressionò moltissimo il Santo paolano, il quale nelle sue lettere si sofferma spesso sul pericolo dei musulmani, che bisognava sconfiggere per far trionfare la vera religione. E nell’epistola sesta: «De tua stirpe descendet Fundator huius Sanctae Congregationis sanctarum gentium; Sed quando haec erunt? Quando erunt Cruces signis, & videbitur super vexillum Crucifixus; e più appresso: Iam appropinquat magna visitatio cum reformatione totius Universi, & erit unum ovile, & unus Pastor». «L’istesso dice nell’Epistola 9, “Vos Destruetis sectam Maumecticam, vos finem imponetis omni infidelitati, haeresum, et aliarum sectarum Universi, et de omnibus victoriam obtinebitis. E poco dipoi: Domine Simon frater mi in Christo, & socie charissime. Laetetur anima tua quod magnus Deus dignatur per unum de stirpe tua descendentem, & per filium meum benedictum dare mundo unam tam sanctam Religionem, qua erit omnium ultima, & magis a diurna maiestate dilecta: Victor, victor, vocabitur eius Fundator”; et lo conferma scrivendone largamente nell’Epistola 11: “Venies post te unus de stirpe tua, sicut multoties per cartam notificavi, & prophetizavi tibi, ut facerem voluntatem Altissimi: Erit Magnus Fundator novae religionis, & extinguet maledictam Sectam Maumecticam, omnes haereticos & omnes tirannos mundi tollet a medio: & quidquid est in mundo temporale, & spirituale vi armorum obtinebis,& erit unum ovile, unus Pastor”». (Carlo Cala, pag. 179) continua...
Bibliografia 1)
Si sospetta che la data di nascita (2 aprile) sia stata alterata dai suoi eredi per farla coincidere con l’anniversario della morte di San Francesco
Giovanni Cala, Historia de’Svevi nel conquisto de’Regni di Napoli, e di Sicilia, Novello De Bonis Stampatore Arcivescovile, Napoli, 1660. 2) Cesare D’Engenio Caracciolo, Ottavio Beltrano, Descrittione del Regno di Napoli diviso in dodeci Provincie, Per Ottavio Beltrano, Napoli 1671 3) Giovanni Fiore, Della Calabria illustrata, vol. III, a cura di Ulderico Nisticò, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2001 4) Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, Tomo VIII, Napoli 1804. 5) Domenico Martire, Calabria sacra e profana, Migliaccio, Cosenza, 1878. 6) Gregorio Montilli, Ricerco del niente e del tutto: diviso en tre instruttioni, Per Francesco Mollo, Napoli, 1685 7) Filadelfo Mugnos, Teatro genologico delle famiglie nobili titolate feudatarie ed antiche, e nobili del fidelissimo Regno di Sicilia, Pietro Coppola, Palermo, 1647 8) Carlo Nardi, Notizie di Montalto Uffugo, Vol. I e II, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 1985 9) Luigi Palmieri, Cosenza e le sue famiglie attraverso testi, atti e manoscritti, vol. I, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 1999 10) Giuseppe Maria Perrimezzi, La vita di San Francesco di Paola, Prima edizione cosentina, Vol. I e II, Per Nicola Altomare Editore, Cosenza 1856 11) Francesco Tajani, Le istorie albanesi, Rist. anastatica Editrice Casa del Libro, Cosenza 1969 12) Di Pietro Antonio Tornamira e Gotho, San Benedetto Abbate, patriarca e legislatore de’monaci, riedificatore della Chiesa Romana. Historia monastica. Per Carlo Adamo, Palermo 1673.
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Tornare a ciò che è sano Vandana Shiva, laurea honoris causa in Scienze della nutrizione all’Università della Calabria in omaggio alla biodiversità
Far pace con la terra di Francesco fotia
Ancora una laurea ad honorem per l’Università della Calabria. Ancora un personaggio eccezionale, anche se meno noto al pubblico rispetto all’immenso Roberto Benigni, omaggiato lo scorso anno, o a Mario Martone. Dalla Cultura, dalle Lettere e dalla Filosofia, si passa all’alimentazione, e alla lotta contro il Capitalismo agroalimentare. “Come fare la pace con la terra”: è il titolo dell’ultimo libro di Vandana Shiva e il fulcro della lectio magistralis che la stessa Shiva ha tenuta all’aula Magna dell’Università della Calabria, in occasione della laurea conferitale in Scienze della Nutrizione, lo scorso martedì. Vandana Shiva è una scrittrice e attivista indiana, è laureata in Fisica quantistica, ma da anni combatte in favore della biodiversità e dell’autosufficienza alimentare dei popoli, contro l’apparentemente sconfinato potere delle multinazionali. L’attivista ha aperto il suo intervento con un sorprendente “cangia capu”, imperativo universale pronunciato in calabrese che ha suscitato i sorrisi e l’attenzione dei docenti e degli studenti presenti. Vandana Shiva, da donna abituata a stare tra la gente, a combattere tra povertà e semplicità, si lancia in un monologo schietto, chiaro e pacato, fedele specchio della sua indole. Parla di biodiversità, l’attivista, e di eliminare dalle nostre diete tutto quanto è innaturale. «Bisognerebbe tornare alle vecchie tradizioni - afferma - per combattere gli Ogm e le multinazionali che, mirando al solo profitto, non si preoccupano dei poveri né della salute del pianeta. Le multinazionali - ha spiegato - tendono a monopolizzare il mercato agroalimentare brevettando le sementi. Con questi brevetti si indeboliscono, fino a cancellarle, le agricolture di sussistenza che sfamano le aree più arretrare e povere del mondo. Un danno umanamente terribile - continua Shiva - perché espone a malattie dovute alla denutrizione un numero incalcolabile di vite umane, e insieme distrugge un patrimonio culturale: quel patrimonio di conoscenze su cui si fondano le biodiversità». Un attacco diretto all’ambiente e ai poveri quello denunciato da Vandana, e che si amplifica ulteriormente in rapporto al ruolo della donna. Perché «sono le donne - sottolinea - che in qualunque parte del mondo, specie in quelle più arretrate, sono le vere protettrici della biodiversità e quindi della sussistenza. L’eco apartheid, cioè la separazione della terra che il capitalismo patriarcale tanto promuove, altro non è che un inganno. E’ una visione del mondo cieca, non solo davanti ai bisogni delle collettività, ma davanti alla creatività e alla produttività della natura e delle donne. Perché non esiste una dieta che sia migliore di un’altra a questo
Scrittrice e attivista indiana laureata in Fisica quantistica che però da anni combatte in favore della biodiversità e dell’autosufficienza alimentare dei popoli, contro il potere delle multinazionali
Vandana Shiva
mondo: la sola che davvero si addice all’uomo è quella che proviene dalla terra che lo circonda. Anche così le donne diventano oggetto di sfruttamento». La commissione che ha conferito la laurea ad honorem all’attivista è stata composta dal rettore dell’Università della Calabria Giovanni Latorre, dal direttore dipartimento di Farmacia e Scienze della salute e della nutrizione Sebastiano Andò e dall’ordinario di Fisiologia della Nutrizione all’Università degli Studi del Molise Giovannangelo Oriani, Vandana Shiva, già vincitrice del Right Livehood Award, dal 1991 guida il movimento Navdanya (“nove semi”) in India: un movimento che esalta la biodiversità e il diritto dei popoli all’affermazione della propria peculiare agricoltura. I nove semi che denominano il movimento sono quelli essenziali per l’agricoltura di sussistenza in India.
sabato 13 aprile 2013
Tornare per dare...
Con la Calabria nel cuore Il professor Giovanni Milito, originario di Rovito, medico chirurgo specialista in Chirurgia generale all’ospedale di Tor Vergata, racconta la sua storia
ne di Alessandro Cofo
Prof. Milito ci racconti in tre momenti le tappe fondamentali della sua carriera Sono originario di Rovito, paese presilano in provincia di Cosenza. È nella città dei Bruzi che ho terminato i miei studi superiori. Trasferitomi a Roma mi sono laureato in medicina. Alla Sapienza ho avuto la fortuna di specializzarmi in chirurgia dell’apparato digestivo ed endoscopia digestiva con il professor Pedalini precursore del trapianto del rene e poi del fegato. Nel 1978 la mia prima esperienza all’estero. Sono partito per l’Inghilterra e ho lavorato presso il St. Mark’s Hospital di Londra. In questi anni mi sono occupato di chirurgia del colon retto: un tipo di chirurgia che mi ha sempre appassionato. Mi sono quindi dedicato alla ricerca sul cancro e alle malattie infiammatorie del grosso intestino e del retto. Quando il ritorno in Italia e nella sua Calabria? Nell’87 quando il professor Casciani fondò l’Università di Tor Vergata, dove tuttora lavoro e svolgo la mia attività chirurgica sul colon retto. Sono anche rettore di un master di secondo livello e dirigo un’unità di eccellenza occupandomi a tutto tondo di questo settore. La Calabria l’ho sempre avuta nel cuore così in questi anni ho cominciato a svolgere attività chirurgica anche a Cosenza e devo dire ho avuto un piacevole riscontro da parte di pazienti che hanno avuto fiducia in me. “Prevenire è meglio che curare...” A che punto è la prevenzione, in Calabria? La prevenzione è fondamentale, purtroppo però non sempre le strutture hanno i mezzi necessari ad attuarla per un numero elevato di persone. Nel caso del cancro al colon retto è importante che a 50 anni si effettui la colonscopia. Purtroppo questo tipo di indagine prevede attese di un anno o più. Alla base di tutto, quindi, è necessaria una organizzazione costruttiva e maggiore attenzione alle problematiche dei cittadini. Secondo lei, dove nascono i problemi della sanità calabrese? Il sistema sanitario locale non offre forse le garanzie di cui ha bisogno un malato. In media nell’ospedale di Tor Vergata accogliamo un 60-70 % di pazienti calabresi. C’è da dire che molti dei reparti come chirurgia, ortopedia, cardiochirurgia sono per lo più dirette da calabresi, primari che sono nati e cresciuti in Calabria. Quando un calabrese si muove, non è mai solo. Generalmente al seguito del paziente ci sono anche i familiari. La conseguenza dunque è innanzitutto un elevato costo sociale. Ed è proprio per venire incontro alle esigenze dei pazienti che mi sono proposto di venire a lavorare anche in Calabria Si parla spesso della facoltà di Medicina anche per l’Unical L’università della Calabria è ben riconosciuta a livello nazionale. Le dirò di più, credo che se mi offrissero l’opportunità di insegnare in una facoltà di Medicina a Cosenza io, come anche altri medici di origine calabrese, non esiterei ad accettare. Forse finire la propria carriera come un gran giocatore che ha giocato sempre in serie A, e che ora può operare a massimi livelli nella propria città di origine non sarebbe mica sbagliato.
«In questi anni ho cominciato a svolgere attività chirurgica anche a Cosenza e devo dire ho avuto un piacevole riscontro da parte di pazienti che hanno avuto fiducia in me Il sistema sanitario locale purtroppo non offre forse le garanzie di cui ha bisogno un malato»
Giovanni Milito
Reggio, fondi per la “Romana Messineo”
Solidarietà oltre le aspettative La raccolta fondi a favore dell’associazione Alzheimer Reggio Calabria “Romana Messineo” promossa dalla Sati srl, ente in house del Comune di Reggio Calabria, nell’ambito della prima edizione della mostra fotografica “Le terre della Fata Morgana” ha superato ogni aspettativa. La cittadinanza locale, che nelle settimane precedenti si è recata presso la sala mostre del palazzo provinciale di Reggio Calabria, ha risposto egregiamente alla distribuzione del dvd “Presentazione foto e video del concorso fotografico Le terre della Fata Morgana”, dimostrandosi di fatto vicina e solidale con chi soffre di questa patologia oltre che sensibile alle tematiche sociali. Il frutto di questa beneficienza è stato consegnato nelle mani della presidente dell’associazione, Lina Lizzio, nei locali della Sati. Con questo gesto, l’amministratore unico Ivano Nasso, ha inteso lodare l’attività di assistenza e sostegno portata avanti dall’associazione Alzheimer nei confronti dei malati e delle famiglie che soffrono le conseguenze di questa malattia, inaugurando così una fase di impegno nel campo sociale. L’importanza di questa donazione - ha voluto sottolineare Lizzio - non sta solo nella somma ricevuta, ma anche nella possibilità che è stata data alla sua associazione di volontariato di farsi conoscere e stimolare l’interesse e la riflessione dei più su una tematica poco diffusa.
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sabato 13 aprile 2013
Buono a sapersi
Diabete? Questione di moto Ci si può curare con la ginnastica specifica. Ecco come È iniziata a Reggio Calabria il “Progetto pilota” della Campagna informativa nazionale intitolata “Attività motoria adattata per la cura del diabete”. Si tratta di un’imponente divulgazione, attraverso i media, della possibilità di curare la maggior parte delle forme di diabete mellito attraverso una selezione di esercizi specifici adattati alla diminuzione sistemica del glucosio nel sangue. Tale metodica è considerata dalla comunità scientifica internazionale come la cura primaria del diabete, per questo motivo l’Airpec, Associazione interdisciplinare di posturologia e chinesiologia, che ha la sede nazionale nella nostra città ed è promotrice della Campagna, si è anche impegnata nell’attivazione di corsi di trattamento medio intensivi per i pazienti che soffrono di questa difficile malattia. Il responsabile del progetto è Michele Calabrò, presidente della suddetta associazione e presidente regionale del Centro sportivo educativo nazionale (Csen), l’organismo nazionale più grande in seno al Coni, che ha contribuito alla produzione del materiale informativo e divulgativo. Nel panorama dei trattamenti per il diabete si impone dunque con forza una soluzione non medica, studiata e perfezionata attraverso la ricerca scientifica, che riduce la posologia farmacologica e gli scompensi sistemici legati a questa malattia. Il “focus” della campagna è dunque informare sulla possibilità che l’attività motoria regolare, controllata e specifica può aiutare a bilanciare il sistema di produzione del glucosio nel sangue e riduce le sintomatologie correlate alla malattia. L’Airpec, dal 2010, ha studiato una metodica di ginnastica adattata (Dse, Diabetes specific exercises) che propone un programma di attività fisica specifica, ovvero una selezione di esercizi ad intensità variabile e monitoraggio continuo dell’efficienza fisica personale, che rivoluziona il modo di intendere la ginnastica per i pazienti diabetici. Tale programma, naturalmente, è altamente individualizzato e gestito tramite un innovativo sistema di calcolo, denominato dall’Airpec “SmartPlay”, frutto di ricerche su gruppi di persone affette da diabete di tipo 1 e 2. Gli effetti di questo tipo di attività specifica sono eccellenti: in pochi mesi di attività regolare i pazienti diabetici riducono la necessità di cure farmacologiche, riducono gli eventi di ricovero ospedaliero, riducono o eliminano le neuropatie di natura diabetica così come le complicazioni vascolari ad esse associate (fonte Pubmed, keywords “exercises and diabetes”). Per intraprendere un percorso di ginnastica adattata alla riduzione sistemica della glicemia, nell’ambito della Campagna informativa, l’Airpec mette a disposizione un equipe di professionisti che, gratuitamente, effettuano test di efficienza fisica, per selezionare la forma e il metodo più adatto di attività motoria specifica. L’analisi funzionale preliminare diventa dunque lo strumento indispensabile all’adattamento di questa metodica di attività motoria. Anche coloro che usano il microinfusore insulinico possono eseguire esercizi adattati e il monitoraggio glicemico viene eseguito con cadenza precisa. Il diabetologo, il medico di base ed il biologo analista vengono aggiornati costantemente sullo stato di salute del paziente con un’interazione continua tra i professionisti. I Dse (esercizi specifici per il diabete) gestiti con il sistema “SmartPlay Airpec” si possono considerare dunque la “rivoluzione” dell’attività fisica specifica per i diabetici e perciò la risposta più efficace alla cura primaria del diabete. L’Airpec ha attivato a Reggio Calabria una “joint venture” con le strutture sanitarie locali per divulgare le informazioni sulla cura del diabete attraverso l’attività motoria adattata controllata e specifica. La Campagna Informativa, sostenuta dal Centro Sportivo Educativo Nazionale, durerà per tutto l’anno solare e servirà per acquisire nuovi dati sugli effetti delle metodiche di Dse da confrontare con la comunità scientifica internazionale. Per tutte le informazioni sulla campagna e la metodica di cura, i pazienti diabetici potranno rivolgersi alle strutture Asl che praticano attività ambulatoriale di diabetologia oppure sarà possibile contattare la sede nazionale dell’associazione di ricerca (Airpec), al numero 0965894527 (lunedi-venerdi, 15.00-20.00) o all’indirizzo wseb www.airpec.it.
sabato 13 aprile 2013
XIII
E ascoltiamo questi giovani... Premio organizzato dall’associazione “Romano Marino”, la consegna presso la Casa delle culture di Cosenza
La scritta “Romano vive con noi per sempre” sui muri della “Zumbini”
Diamo vita alle parole nelli di Federica Monta
Sarà comunicato mercoledì prossimo, attraverso una conferenza stampa presso la Casa delle Culture di Cosenza alle ore 11, l’esito del concorso “Diamo vita alle parole (i racconti di un amico)”, organizzato dall’Associazione Culturale “Romano Marino”, che prende il nome dal giovanissimo cosentino scomparso a causa della Sindrome da attivazione macrofagica nel marzo del 2010. Il concorso, patrocinato dall’assessorato Giovani e Futuro del Comune di Cosenza, si è rivolto agli studenti delle terze medie degli istituti bruzi: gli alunni che hanno deciso di partecipare hanno dovuto cimentarsi con la stesura di un elaborato di fantasia che avesse per protagonista un tredicenne di nome Romano, amante della musica. Il testo richiesto, inoltre, ha richiesto un breve allegato riguardante la stessa Sindrome di attivazione macrofagica, comprendente indicazioni sui sintomi, la diagnosi e la cura della malattia, facilmente rinvenibili in rete. «È stata un’iniziativa di un certo successo, - svela Maria Donata Giardini, presidentessa dell’associazione e madre di Romano Marino - non ci aspettavamo una partecipazione così generosa da parte degli studenti, ne un livello qualitativamente tanto alto degli elaborati. Come madre, come cittadina, ne sono orgogliosa. Tengo a ringraziare le persone che si sono spese per la possibilità di riuscita del concorso, l’assessorato Giovani e Futuro dell’amministrazione comunale cosentina e i dirigenti delle scuole che hanno abbracciato l’iniziativa proposta ai loro studenti». «Ai ragazzi che hanno scelto di partecipare al concorso è stato chiesto di creare un personaggio di fantasia che avesse, appunto, come tratto distintivo la smisurata passione di Romano per la musica. Da questa gioiosa ossessione, l’elaborato prevedeva uno sviluppo testuale in grado di mettere in luce i pensieri del protagonista, di fare emergere la vitalità, l’amore per la vita che ogni giovane, più degli altri, dovrebbe provare, e di ridare, quindi, una nuova vita, seppur immaginaria, allo sfortunato coetaneo. Doppio binario sviluppato con entusiasmo e sensibilità da parte dei partecipanti che - come spiega Giardini - hanno messo seriamente in difficoltà i membri della giuria al momento di scegliere il vincitore, cui andrà in premio un i-Mac 21 generosamente offerto dal Keystore One di Cosenza». Le attività dell’associazione “Romano Marino” dalla sua fondazione, tre anni fa, sono cresciute costantemente: in giugno sarà organizzato il IV Concert for Romano, un po’ l’evento simbolo dell’associazione; un concerto organizzato e tenuto dagli amici del giovane. L’associazione è stata inoltre “ospitata” al IX convegno della Fondazione Lilli Funaro, intervendo con una relazione sull’Istiocitori, il gruppo di malattie che racchiude quella di cui ha sofferto Romano. Alla divulgazione scientifica, che l’associazione ritiene fondamentale al fine di evitare altri casi di tardata diagnosi, la “Romano Marino” affianca il desiderio di creare strutture e spazi, fisici e culturali, direttamente dedicati ai giovani. In questo contesto va inserito la proposta dell’associazione, corredata dalla presentazione di mille firme, di denominare una strada dell’isola pedonale “Via della Gioventù Romano Marino”. Un gesto simbolico ma assolutamente significativo della volontà di dedicare parte importante del proprio tempo all’ascolto del pensiero, delle voci, dei nostri giovani, con i quali spesso non è facile comunicare. Un messaggio di amore per i giovani.
Il giovane cosentino scomparso a causa della Sindrome da attivazione macrofagica dà il nome alla associazione Il concorso si è rivolto agli studenti che hanno dovuto cimentarsi con la stesura di un elaborato di fantasia
XIV
sabato 13 aprile 2013
Studiare col microfono in mano L’associazione “Musica insieme” organizza un corso di formazione corale a Gioia Tauro
A scuola di canto Organizzato dall’associazione culturale “Musica Insieme” presieduta dalla professoressa Caterina Genovese, è iniziato domenica 7 aprile il corso di formazione corale - Basic Level, seminario formativo che avrà luogo a Gioia Tauro (Rc) presso palazzo Fallara, location gentilmente concessa dall’amministrazione comunale gioiese guidata dall’avvocato Renato Bellofiore. I numerosi corsisti iscritti, 40 unità suddivisi nei due moduli previsti dal regolamento(direzione e vocalità, ognuno dei quali prevede 20 h di lezione), affrontano diverse tematiche tra cui: tecniche di direzione, concertazione, tecnica vocale, studio del repertorio, ascolto guidato. Diversi anche i docenti che alterneranno nell’ambito dei moduli: Ferruccio Messinese (modulo direzione), Francesco Carmine Fera, Eleonora Genovesi, Bartolomeo Piromalli e Domenica Verduci (modulo vocalità). «Siamo soddisfatti - specifica una nota degli organizzatori - dell’interesse che ha suscitato l’iniziativa che abbiamo proposto. Ci auguriamo ciò possa contribuire ad incrementare la crescita della prospettiva corale su tutto il territorio ed anche oltre». Il corso proseguirà i suoi incontri nel mese di maggio per concludersi il 30 giugno. Al termine degli incontri, a coloro che avranno frequentato almeno i 2/3 delle ore previste sarà rilasciato un attestato di partecipazione, mentre sia i direttori che i coristi esibiranno una breve performance che avrà il compito di mettere in evidenza i risultati del lavoro svolto.
Al termine degli incontri sia i direttori che i coristi esibiranno una breve performance che avrà il compito di mettere in evidenza i risultati del lavoro svolto
Un film girato a Ortì
Officina delle arti, parte il corso
‘U Fujdittu
Passi a suon di tango
Presso la sala parrocchiale di Ortì (Rc) è stato presentato al pubblico il film-documentario ‘U Fujdittu (Il folletto), tratto da un racconto di Nino Guarnaccia. La storia è una favola a lieto fine nella quale la protagonista, Nata (Angela Caridi), donna di carattere forte e combattivo, si trova sola ad affrontare le difficoltà del periodo della grande emigrazione, un tempo dove gli uomini si allontanavano dalla casa e dagli affetti per cercare fortuna in terre lontane, lasciando in paese le mogli con il gravoso peso della famiglia. «Nata era una di queste povere donne, a lei viene in aiuto ‘u fujdittu che attraverso diverse vicissitudini risolve tutte le sue difficoltà. Questo perNino sonaggio fantastico, Guarnaccia a quell'epoca, era di casa a Ortì, addirittura, si racconta che per alcune persone fosse persino di compagnia» sottolinea Guarnaccia. Il film-documentario è stato interamente girato nei pittoreschi Rioni di Ortì con attori del luogo, negli stessi rioni che furono già illuminati, nel 1951, dalle luci del cast cinematografico del regista Prestifilippo, quando girò il film Carne inquieta, tratto dal romanzo omonimo di Leonida Repaci, con Raf Vallone e Marina Berti.
Il sensuale ballo di matrice sudamericana, nonché filosofia di pensiero e di vita, il tango, entrerà nella magica cornice dell’Officina delle arti a Catanzaro, luogo assolutamente appropriato dove il ballerino avrà l’impressione di essere trasportato nei più famosi luoghi di culto argentini del tango. Il corso sarà articolato in lezioni di gruppo o si avrà l’occasione di prenotare delle lezioni private. Lezione di gruppo: 4 coppie minimo, 1 lezione a settimana della durata di 2 ore. Lezione privata: ogni lezione durata 90 minuti. Il corso sarà tenuto dal conosciuto M. Paolo Gaspari. Curriculum: Maestro federale Fids Coni, inizia il suo percorso nel mondo del tango nel 2002. Dal 2005 frequenta corsi con i migliori maestri internazionali ove approfondisce lo studio e la didattica dei vari stili di tango (milonguero, salon, nuevo). Frequenta lezioni di gruppo , private e seminari studiando i due ruoli con maestri quali: Lucila Cionci e Rodrigo “Joe” Corbata, Miguel Angel Zotto, Gustavo Rosas e Gisela Natoli, Mariano “Chico” Frumboli, Sebastian Arce e Mariana Montes, Ruben e Sabrina Veliz, Javier Rodriguez e Geraldine Rosas, Pablo Veron. Dal 2009 dopo aver sostenuto l’esame di abilitazione come maestro federale Fids, inizia ad insegnare a Rende ed a collaborare con altre scuole di danza della provincia di Cosenza. Dal 2008 inizia anche un percorso formativo fatto di approfonditi studi su tutta la musica tanguera dagli albori fino ai contemporanei ritmi elettronici. Tali studi lo hanno portato ad essere stimato come valente musicalizador in molti eventi tangueri a livello nazionale. Giorni ed orari si decideranno durante una riunione che precederà l’attivazione del corso stesso. Per informazioni e pre-iscrizione: officinadellearti.cs@gmail.com
Franco Vallone
sabato 13 aprile 2013
Col culto di Mia Martini Il quartiere San Lorenzo a Roma con i suoi suoni incanta la cantautrice cosentina Raffaella Scarpelli
Note che vanno incontro al “Domani”
“I miei fans romani” Raffaella Scarpelli è la seconda a destra
Incontriamo la cantautrice cosentina, Raffaella Scarpelli, di ritorno dalla sua bella esperienza romana e di presentazione del suo cd “Domani”, uscito in agosto in Calabria. Nel quartiere San Lorenzo, un quartiere famoso e notissimo per la varietà della gente, che vi risiede o transita, a un passo dall’Università La Sapienza, la sera si riempie di giovani, che nei locali affollano le tante presentazioni tra arte, libri e musica di artisti provenienti da tutta Italia. Un quartiere, che vive anche di locali a luci soffuse, in cui la vita è un fermento di attività culturali, che hanno lanciato altri grandi nomi del Cosentino, come lo scrittore Giuseppe Aloe, finalista premio Strega 2012 e che proprio in questo quartiere presentò un suo libro per la Giulio Perrone editore. Augurando lo stesso brillante futuro alla nostra cantautrice nostrana, ci facciamo raccontare la sua esperienza, che non fa che confermarci la visione giornalistica del quartiere, tra i più popolari di Roma, in cui incontrare artisti non è cosa da nicchia e salottiera, come per la nostra Bruzia cittadina, ma è momento di possibilità di “contaminazione” positiva delle esperienze artistiche, saggiando metodi e colori differenti. «Non è stato difficile conoscere nuove possibilità di contatto artistico nella Roma del fermento culturale, ci dice Raffaella Scarpelli, ho conosciuto una titolare di una radio web (web radio network), che mi ha intervistata, una bella novità per noi Calabresi. Una bella cosa, perché la gente ha ascoltato con attenzione e partecipato con vero interesse. Un lavoro che è molto piaciuto, soprattutto il brano che da il titolo all’album. Mi piace l’ambiente d’interesse da parte del pubblico, da parte degli altri artisti e che gratifica a priori anche in un momento critico». La sua passione inizia da piccolissima e “quando la banda passò, lei disse di sì” era ancora una bimba in braccio al papà e ballava a suon di clarino, piatti, tamburi e oboe. Visse la sua adolescenza, presso le Canossiane e iniziò, proprio in questo luogo, la sua formazione artistica, una delle suore si accorse del suo talento, poiché nell’ora di ricreazione si esibiva nelle imitazioni di Patty Pravo. «Contemporaneamente incominciai a scrivere dei testi miei e ancora oggi, basta un temporale, il rumore di un fiume a fare scaturire le mie canzoni. Ho un orecchio predisposto al suono, che poi è diventato brano musicale, nell’incontro con Alessandro Guido». Il dieci maggio sarà a Forio d’Ischia per una serata di tributo a Mia Martini, con una cover Stringi di più. «Ci tengo, Mia Martini, tutti i miei amici lo sanno è un culto, per cui non posso assolutamente mancare». Lucia De Cicco
Di ritorno dalla sua esperienza romana di presentazione del suo cd “Domani” uscito in agosto in Calabria
Dal jazz alla musica d’autore
In due è R(Evolution) (R)Evolution duo (Ernesto Astorino - chitarra - Fedele Astorino - fisarmonica) è un progetto che presenta un repertorio molto vario, una sorta di “world music” che va dal jazz tango (Astor Piazzolla, Richard Galliano) alla musica d’autore (Sting, Ennio Morricone), passando attraverso il latin e gli omaggi alla tradizione musicale calabrese e napoletana. Caratteristica di questo nuovo progetto, nato da un’idea di Ernesto e Fedele Astorino è il sound raffinato, le improvvisazioni presenti in ogni brano, gli arrangiamenti freschi ed eleganti arricchiti dall’effettistica che mostrano al pubblico il feeling e l’ “interplay” dei due musicisti, che hanno già al loro attivo collaborazioni importanti con maestri quali Salvatore Cauteruccio, Enzo Campagna, Salvatore Barbuscio, Angelo Sirufo. Una serata all’insegna della grande musica nella splendida cornice dell’Officina delle arti a Cosenza che si terrà il martedì 16 aprile.
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sabato 13 aprile 2013
Poesia e niente più A Vincenzo De Virgilio la Medaglia del Capo dello Stato per il giornalismo
Premi speciali “Merini” Il premio “Alda Merini”, importante appuntamento culturale catanzarese entra nella fase conclusiva. La consegna dei riconoscimenti si terrà, infatti, sabato 20 aprile, alle ore 11, nella Sala delle Culture dell'Amministrazione Provinciale di Catanzaro, alla presenza di numerosi poeti e giornalisti provenienti da tutte le regioni. Promosso dall'Accademia dei Bronzi e organizzato dalle Edizioni Ursini, con il partenariato della Camera di Commercio di Catanzaro e l'adesione dell'Amministrazione provinciale, dell'Assessorato comunale alla cultura, del M° orafo Michele Affidato, nonché del Gruppo Callipo e della società Culligan SpA, il premio, in sole due edizioni, è diventato il primo in Italia per numero di adesioni, ed è la prova tangibile di quanto oggi siano seguite le iniziative del sodalizio culturale catanzarese presieduto da Vincenzo Ursini. «Tutto questo - commenta Ursini - senza aver ricevuto un solo euro dagli enti pubblici, se se esclude l'adesione, come partner, della Camera di Commercio presieduta da Paolo Abramo». I nomi dei cinque finalisti della sezione riservata alla poesia inedita si conosceranno nei prossimi giorni. Intanto, l'Accademia dei Bronzi, dopo il premio assegnato a Pasquale Macrì, autore dell'opera “Alda Merini, i giorni della gioia” (quadro scelto per illustrare la copertina del volume “Mille voci per Alda”), ha definito i premi speciali da assegnare a giornalisti, scrittori o professionisti che con la loro opera, o il loro impegno nell'ambito del volontariato, interpretano i principi di libertà e solidarietà che ispirano l'attività del sodalizio culturale catanzarese. I premiati di questa edizione saranno: Vincenzo De Virgilio per il giornalismo, Franco Calabrò per la solidarietà e Maria Pia Furina, per la poesia. A Vincenzo De Virgilio l'Accademia dei Bronzi consegnerà la Medaglia del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, quale premio alla carriera, mentre a Franco Calabrò e a Maria Pia Furina saranno consegnate due artistiche targhe di argento realizzate dall'orafo crotonese Michele Affidato. Prima giornalista pubblicista e poi, dal 1974, professio-
Gli altri due premiati saranno Franco Calabrò e Maria Pia Furina
Vincenzo De Virgilio
nista, Vincenzo De Virgilio è stato, per 30 anni, caposervizio dell'Agenzia giornalisti Italia per la Calabria. Attualmente lavora per l'agenzia Asca. Ha collaborato con diversi giornali quotidiani, tra cui Il Globo. Per un servizio su S. Luca (Rc) ha ricevuto il premio “Corrado Alvaro”. Ideatore e fondatore del settimanale il Piccolissimo, «ha sempre sostenuto e diffuso la cultura calabrese,dice la motivazione - mettendosi a disposizione degli autori e delle associazioni di volontariato del nostro territorio. Giornalista d'altri tempi, che fa onore a Catanzaro e alla Calabria tutta».
Franco Calabrò è stato più volte in prima linea in azioni umanitarie, quale ufficiale medico a disposizione dello Stato italiano. Tra le altre, ha partecipato a Nassirya, in Iraq, alla missione "Antica Babilonia" dove, distintosi per coraggio, è stato premiato con l'elogio sul campo da parte del Comandante del contingente italiano. Il 2 giugno 2012, in occasione della Festa della Repubblica, è stato insignito dell'onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica per meriti umanitari. «Un medico - questa la motivazione - lontano dai clamori della stampa, ma vicino a chi ha bisogno delle sue cure e del suo Franco conforto».
Calabrò
Maria Pia Furina
La dottoressa Maria Pia Furina, dentista con la passione della scrittura, è invece una delle giovani promesse della narrativa e della poesia calabrese. Autrice del romanzo “Desy”, alla seconda edizione, si è già distinta in alcuni importanti premi letterari. «I suoi versi - dice la motivazione - sono il segno inconfondibile di una vita che non teme il dopo, e si muovono con cadenze forti e sinuose. Una scrittrice che darà sicuramente altre prove concrete delle sue ottime capacità linguistiche». «Il premio “Alda Merini”, - sottolinea Vincenzo Ursini - si conferma non solo come primo premio in Italia per numero di adesioni, ma soprattutto per la grande qualità delle opere partecipanti e per aver saputo diffondere al meglio, al di là dei confini nazionali, il nome della nostra regione».
sabato 13 aprile 2013
L’importanza degli ambienti collettivi Biennale dello Spazio pubblico. Morano è tra i centri selezionati
Onore per il borgo Morano Calabro è tra i centri della Biennale dello Spazio pubblico 2013. Selezionato insieme a Napoli e Palermo, il rinomato borgo del Pollino ospiterà dal 19 al 21 aprile il laboratorio “Identità: lo spazio pubblico nei centri storici minori”. Si tratta - spiega un comunicato - di un viaggio nei comuni delle buone pratiche. Che coinvolge amministratori e cittadini, scuole e università, categorie professionali e imprenditoriali. «L’obiettivo - spiega il consigliere delegato all’Urbanistica presso la municipalità moranese, Rosanna Anele - è di costruire una rete di relazioni tra realtà disomogenee ma con le medesime problematiche, al fine di promuovere quanto di positivo e valido in esse si realizza, rafforzando la professionalità di tecnici e classi dirigenti che non rinunciano alla qualità del loro impegno». L’idea, semplice ancorché complessa nella molteplicità d’azione, mira essenzialmente a «conoscere e verificare le condizioni di salute del sistema degli ambienti collettivi, ossatura portante - secondo Anele - di ogni città degna di questo nome». In particolare, nei seminari che riuniranno nella patria dei De Cardona personalità provenienti da tutto il territorio nazionale, si tenterà di proporre modelli di recupero e rivalutazione degli spazi pubblici e, più specificamente, lo spirito del piano di riqualificazione e rigenerazione dell’abitato antico di Morano. Ampia, composita e articolata la scaletta della kermesse. Si comincia venerdì 19 aprile. Dopo l’accoglienza e la sistemazione nelle strutture ricettive locali, i partecipanti saranno scortati nel dedalo di stradine che caratterizzano il centro storico; quindi nel pomeriggio full immersion negli argomenti tecnici con autorevoli relatori ). Sabato 20, l’inizio delle attività è fis-
Insieme a Napoli e Palermo il rinomato centro del Pollino ospiterà dal 19 al 21 aprile il laboratorio “Identità nei centri storici minori”
Morano Calabro
sato per le ore 9. I saluti istituzionali precederanno i momenti di studio che seguiranno per tutta la giornata. Scambi d’esperienze tra differenti progettualità si dipaneranno per approdare in serata alle conclusioni e procedere al confronto dei risultati. Domenica 21, i convegnisti si trasferiranno a Civita. Ove terranno una tavola rotonda per discutere di risorse naturali e aree protette. Dopo la visita al centro storico, all’ecomuseo e alle gole del Raganello, la comitiva ritornerà a Morano per la chiusura dei lavori. Sede della manifestazione saranno, il chiostro di san Bernardino e Palazzo Scorza.
Progetto Lega navale-Area protetta Capo Rizzuto
Zampogna: attenzione dell’ente verso i comuni
Educazione ambientale
Non si isoli l’Aspromonte
L’area marina protetta “Capo Rizzuto” anche quest’anno, realizza, in collaborazione con la Lega Navale- sezione di Crotone, il progetto di educazione ambientale denominato “Servizi ed attività di educazione ambientale per le scuole”, VII edizione. «Il progetto - è spiegato in un comunicato stampa - ha preso il via il 18 febbraio scorso con un incontro svoltosi presso la Lega navale italiana di Crotone e ha visto presenti il dirigente dell’Amp, Antonio Leto, il presidente della Lega navale italiana di Crotone, Giovanni Pugliese, il coordinatore del progetto nonché componente del direttivo della Lni di Crotone, Gianni Liotti, e i dirigenti scolastici di istituzioni scolastiche delle scuole primarie e secondarie di primo grado di Crotone e provincia. La fase teorica - continua il comunicato - si è conclusa in questi giorni e ha previsto lezioni didattiche in aula a cura della biologa marina, Stefania Tammaro, e nozioni di vela, a cura di Giacinto Tesoriere della Lni di Crotone. Hanno preso il via le attività pratiche con visite all’Aquarium di Isola Capo Rizzuto, mentre il 26 aprile e il 29 centinaia di studenti parteciperanno all’iniziativa “Un mare da pulire”, rispettivamente sulle spiagge di Isola Capo Rizzuto (26 aprile) e Crotone (29 aprile), la manifestazione è aperta a tutti i cittadini che vogliono dare una mano a ripulire il litorale crotonese. Il programma del progetto prevede, inoltre, la visita all’impianto di raccolta, stoccaggio e smaltimenti dei rifiuti di Salvaguardia Ambientale-Sovreco, una giornata di giochi sulla spiaggia e a mare, patrocinata del Coni, visite ai fondali marini con il battello a fondo trasparente Eranusa. Il 3 giugno - si legge infine - nell’aula magna dell’Istituto Pertini è prevista la manifestazione conclusiva del Progetto». «Quest’anno - ha spiegato Liotti - sono oltre 500 gli studenti che aderiscono al progetto con grande entusiasmo ed interesse. La lega navale di Crotone è da sette anni in prima fila in questa iniziativa che vuole far avvicinare i giovani al mare e alle tematiche ambientali e che si sposa perfettamente con quanto previsto dal suo statuto».
L'ente Parco continua a dimostrare grande vicinanza e particolare attenzione ai Comuni aspromontani: in un momento di particolare criticità economica, l'importante somma stanziata dall'ente Parco per sostenere i progetti di valorizzazione del territorio di ciascuna amministrazione in base al piano pluriennale economico e sociale, è testimonianza di un nuovo rapporto di condivisione e supporto reciproco tra la Comunità del Parco che io rappresento e il commissario straordinario dell'ente, Antonio Alvaro. La scelta di Alvaro è la naturale concretizzazione di un percorso virtuoso portato avanti dal commissario e accolto con favore dal sottoscritto e dai componenti della Comunità del Parco, in cui le amministrazioni locali del territorio hanno vissuto da reali protagonisti, partecipando alla fase programmatica e esponendo, in taluni casi, idee e prospettive per il futuro dell'Aspromonte. E' importante che i finanziamenti stanziati dall'ente, così come stabilito nel corso delle ultime assemblee della Comunità, siano orientati a sostenere quegli interventi che mirino alla conservazione e alla valorizzazione delle ricchezze naturalistiche e paesaggistiche dell'Aspromonte, poiché siamo consapevoli che solo attraverso gli investimenti sulle risorse del territorio si può rilanciare l'immagine dell'Aspromonte anche in termini turistici. A nome della Comunità del Parco non posso che esprimere dunque grande compiacimento per la direzione intrapresa dall'ente Parco, ma soprattutto devo rimarcare come, il clima creato dal commissario Antonio Alvaro sia incentrato su una totale e continua collaborazione con i Sindaci del territorio, segnale evidente di una marcata volontà dell'ente di confrontarsi con gli attori principali della vita aspromontana, al fine di giungere alla definizione di scelte e percorsi condivisi per il raggiungimento degli obiettivi comuni. Giuseppe Zampogna presidente Comunità Parco Aspromonte
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sabato 13 aprile 2013
Disegno e scultura interagiscono Un’opera di Silvio Vigliaturo al Liceo “Vincenzo Julia” di Acri
L’albero della conoscenza Venerdì 19 aprile, a partire dalle ore 12, si terrà, presso il Liceo classico e scientifico “Vincenzo Julia” di Acri (Cs), un incontro tra gli studenti dell’istituto e due dei principali artefici delle iniziative espositive del Maca (Museo arte contemporanea Acri): Silvio Vigliaturo, artista, maestro del vetro e direttore artistico del museo e Boris Brollo, curatore e critico d’arte, che collabora con il Maca sin dalla sua nascita, nel 2006, e di cui ha curato la maggior parte delle mostre, tra cui, ultima in ordine di tempo, la personale del pittore Pino Chimenti, che aprirà sabato 20 aprile. Durante l’incontro verrà ufficialmente inaugurata l’installazione L’Albero della conoscenza, realizzata da Vigliaturo su richiesta degli studenti del Liceo Vincenzo Julia, desiderosi di inserire l’edificio che ospita l’istituto scolastico all’interno di un ideale percorso artistico, segnato dai lavori dell’artista di origine acrese, che si snodi attraverso i luoghi più importanti della città ai piedi della Sila, per giungere fino Maca. L’Albero della conoscenza è un’opera in cui disegno e scultura interagiscono per dare vita a una soluzione tanto efficace dal punto di vista dell’impatto visivo, quanto pregnante per ciò che riguarda il significato che essa veicola. La scultura in vetro di oltre 250 cm d’altezza, che costituisce il cuore dell’opera, coniuga astrattismo e figurazione per dare vita a un’esplosione cromatica di forme geometriche da cui nascono frutti e germogliano foglie. Le stesse che si ritrovano dipinte sulle pareti retrostanti l’albero e, ancora in vetro, adagiate ai suoi piedi. L’Albero della conoscenza è l’origine di qualunque forma di sapere, di ogni intelligenza e le foglie, che siano ancorate saldamente al tronco, tracciate sullo sfondo o gettate a terra, restituiscono la molteplicità di linguaggi, tutti degni d’ascolto, attraverso cui si manifesta e parla la conoscenza. «La pianta del sapere - ricorda l’artista agli studenti - è necessaria allo sviluppo delle coscienze e di un’etica sociale e civile che porti frutti da raccogliere e donare con generosità. La materia che compone l’opera, il vetro, indichi la trasparenza necessaria a voi uomini di domani e portatori sani del sapere del passato». Proprio il passato, quello dei grandi movimenti artistici di fine Ottocento, che tutt’oggi riverberano nella creatività contemporanea, sarà l’argomento centrale dell’intervento di Boris Brollo, che rintraccerà l’Origine del modernismo nei pittori macchiaioli, impressionisti, modernisti e appartenenti al movimento della Scapigliatura lombarda, tracciando un percorso che va dal 1860 fino all’avvento del cubismo.
Un incontro tra gli studenti dell’istituto e due dei principali artefici delle iniziative espositive del Maca
La scultura di Silvio Vigliaturo
Formula 1, stage scuderia Toro rosso
Crotone, la settimana della cultura
L’Unical corre
I giorni dei libri e della musica
La scuderia Toro Rosso, il 9 aprile, lancia un programma che darà a 4 studenti e/o neolaureati dell’Unical la possibilità di effettuare uno stage retribuito e comprensivo di alloggio all’interno della scuderia Toro Rosso, a Faenza. «Si tratta - è scritto in un comunicato stampa - di un’occasione unica per costruire le basi di un futuro professionale in Formula 1. Le selezioni sono aperte a studenti e neolaureati. Lo stage in scuderia Toro Rosso inizierà il 1° luglio e terminerà il 15 ottobre (con una pausa estiva di due settimane). Toro Rosso riconoscerà un rimborso spese di 500 euro al mese (netti) ad ogni stagista scelto per i 4 diversi dipartimenti. Inoltre Toro Rosso metterà a disposizione degli stagisti anche un appartamento. Sky Italia riconoscerà un rimborso spese di 500 euro mese (netti) allo stagista scelto retribuito e comprensivo di alloggio, prevede un’ulteriore e preziosa esperienza sul campo: la partecipazione al Gp di Monza dove i 4 stagisti potranno non solo vivere tutta l’emozione di un gran premio di Formula 1, ma sperimentare anche sulla pista quello che è il lavoro di un team».
Presentazione di libri, musica, spettacoli teatrali in vernacolo, installazioni e performance artistiche. Questi gli ingredienti principali della “Settimana provinciale della Cultura 2013” messa in campo dagli assessorati alla Cultura di Provincia e Comune di Crotone, con la collaborazione della fondazione Odyssea, del Festival dell’aurora, della Pro loco di Crotone e dei Comuni di Cirò Marina e Petilia Policastro. È toccato all’assessore provinciale Giovanni Lentini illustrare il programma che si terrà da domenica 14 a lunedì 22 aprile. «La cultura è un fattore molto importante per l’uomo e per la società. Quest’anno - ha dichiarato Lentini - in assenza di una programmazione da parte del ministero abbiamo pensato di organizzare un programma di iniziative grazie alla disponibilità di scrittori, giornalisti, artisti, musicisti, attori, associazioni culturali. È un cartellone di proposte a bassissimo costo e, per questo, ringrazio quanti hanno aderito all’idea che unitamente al comune capoluogo abbiamo lanciato». Si inizia domenica 14 aprile alle ore 10,00 nel castello Carlo V con un’installazione artistica in tufo a cura dell’associazione Daridà (installazione che resterà per l’intera settimana); alle 11,30 è previsto il concerto della banda musicale “Città di Crotone”. Nel pomeriggio di domenica doppio appuntamento con i libri. Alle 17,00 nella sala conferenza della Lega navale italiana si terrà la presentazione del libro “Sex & Fb” monopensieri di una single ai tempi di Facebook della giornalista freelance Maria Francesca Rotondaro (edito da Giulio Perrone editore). Una guida molto simpatica che ha attirato l’attenzione di molti media ed anche di trasmissioni televisive di livello nazionale. La presentazione sarà curata dalla giornalista crotonese Marzia Collia ed aperta ad un dibattito per quanti parteciperanno. Sempre domenica 14 aprile, alle ore 18,30, presso la storica libreria Cerrelli si terrà la presentazione del cd “Mia sorella e le altre” di Luigi Negroni (piano/voce), Sasà Calabrese (contrabbassio), Alberto La Neve (sax).
sabato 13 aprile 2013
Su e giù con l’arte Francesco D’Agostino, la sua opera da Civita all’esposizione a Palazzo Arnone di Cosenza
L’artista itinerante di Lucia De Cicco
Una figlia attenta, Ivana D’Agostino, che presto presenterà a Palazzo Arnoni di Cosenza, una mostra con i dipinti del padre, Francesco D’agostino. La mostra che è stata presentata già nei primi di aprile presso l’Ecomuseo di Civita nel Cosentino, ha avuto come tema le celebrazioni del centenario della nascita dell’artista, che visse una grande parte della sua vita nel nostro territorio, “Francesco D’Agostino (1913-1990) un artista del Novecento” e in occasione della rievocazione storica della vittoria sui Turchi di Giorgio Castriota Scanderbeg, avvenuta nel 1466. Civita è una locazione non casuale per la presentazione di questo progetto itinerante, poiché è il paese di origine dell’artista. L’artista ha frequentato il liceo classico Bernardino Telesio, ma attraverso i suoi studi ha girato mezza Italia. «Una vita abbastanza itinerante, racconta la D’Agostino, che l’ha proiettato nell’osservazione diretta del mondo; autodidatta, mio padre non ha seguito corsi di formazione artistico - tradizionale, attraverso un’accademia, ma aveva un talento naturale e negli anni in cui è stato a Cosenza ha frequentato Enrico Salfi, su cui ho elaborato la mia tesi di laurea, ed era un pittore Cosentino, che aveva studiato a Napoli, allievo di Domenico Morelli, quest’ultimo sollecitava molto mio padre a seguire una sua vocazione artistica, frequentando gli ambienti vari, anche di teatro e di musica». Il centenario della nascita dell’artista crea la premessa per un’esaustiva ricognizione storica dell’operato dell’eclettico pittore, civitese di nascita, vissuto prevalentemente a Parma, sebbene abbia abitato per lunghi periodi anche a Napoli, Roma e Bari e che venne a contatto con grandi pittori del suo tempo, tra cui il pittore Napoleone
Opera di Francesco D'Agostino
«Mio padre autodidatta» racconta la figlia Ivana, in occasione del centenario della sua nascita
di cui la stessa conserva ritratti fatti alla madre. Il rapporto con il padre da parte della scenografa Ivana, fu molto forte tanto da condizionarne anche gli studi personali. In questa logica fatta di spostamenti e di arricchimento personale le Sedi espositive a cui si è pensato sono: Cosenza (Soprintendenza dei Beni culturali) Palazzo Arnone; Civita (Ecomuseo-ex palazzetto Castellano) Civita, insieme alla Sede espositiva scelta, in origine casa nativa di sua madre, Maria Castellano, danno concretezza all’incipit iniziale all’arte di D’Agostino, che a Civita e ai suoi dintorni ha dedicato numerosi quadri in epoche diverse. Oltre che dare prova delle diverse fasi della sua pittura, documentano anche i mutamenti subiti dal territorio nel tempo. Roma, probabile, all’abbazia di Grottaferrata, l’artista frequenta il ginnasio, e a Roma ha inizio la sua formazione classica; vi tornerà intorno al 1950 rimanendovi alcuni anni, utili per acquisire uno stile maturo tra influenze Novecento e Neo-espressioniste. A Roma l’artista, inoltre, ritorna a vivere dal 1984 al 1990, anno della sua morte. Parma, probabile sede sarà la fondazione Cariparma. Quando inizia la propensione di suo padre all’arte? «Già dall’età di quattro, cinque anni, attitudine per il disegno, ma già all’età di sedici anni acquarellava come un artista di talento anche se ancora in periodo formativo. Era autodidatta, nel senso che non frequentò l’accademia, ma era a contatto con grandi artisti e apprese l’arte direttamente sul campo. Oggi, la formazione tecnica è importante, ma il talento si misura attraverso l’esperienza di confronto con i grandi artisti, che formano e ambienti culturali a loro consoni». L’evento si conclude con un ciclo di conferenze sull’artista, da tenersi presso l’Università della Calabria, con la collaborazione di Associazioni culturali e gallerie private situate nelle città che saranno sedi espositive. Inerenti al progetto vi è anche la promozione di un profilo culturale e artistico, attraverso la valorizzazione della specificità culturale ed ambientale della Calabria e del Parco del Pollino, relazionandoli con l’Europa con un catalogo ragionato, che documenti la complessa produzione artistica di Francesco D’Agostino, corredato da saggi di approfondimento sulla sua arte e affidati a studiosi specifici di ogni singolo settore artistico.
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sabato 13 aprile 2013
Narrativa Respiro e odore di campagna
Con mio padre di Giuseppe Aprile
Non avevo tempo appena arrivavamo a Sannicola. Non davo tempo a mio padre che pur doveva sistemare il cavallo, separarlo dal carrozzino e portarselo dalla cavezza verso l’alto del viottolo che portava al piano dell’uliveto dove l’avrebbe spagliato e legato ad una pianta del solito posto che potevamo controllare da tutto il podere, dandogli corda molto lunga per mangiare l’erba fino alla conclusione del nostro lavoro che a volte finiva nella tarda mattinata, altre si protraeva nelle ore pomeridiane. Appena si arrivava ai piedi di Sannicola, laddove la strada faceva un bel largo dove potevamo lasciare il carrozzino, io non badavo ad altro. Saltavo come uno scoiattolo e subito mi immettevo nel viottolo che portava all’uliveto. Non certo perché avevo fretta di lavorare. La campagna era lavoro per i genitori ma diletto per i ragazzi che si sacrificavano lasciando il paese dei propri compagni e seguivano sul lavoro i genitori, ma al patto che non sarebbero stati impegnati per un lavoro qualsiasi e si sarebbero persi nella gioia del podere che percorrevano in lungo e in largo, per sopra e per sotto e nello spiazzo grande dove la terra era libera da cespugli impraticabili e di difficile percorrenza. Io a volte mi portavo la palla e giocavo da solo. Mai disponibile a sacrificarmi in una qualsiasi delle tante forme di lavoro che la campagna richiederebbe. Quando i genitori vanno in campagna, i figli difficilmente possono stare in paese a vagabondare, fuori da ogni loro controllo. Gioco sì, ma sotto i loro occhi vigili. Tanti genitori, però, portavano i figli per abituarli al lavoro che in un futuro avrebbero dovuto fare per campare la loro futura famiglia. Quando mio padre arrivava con il cavallo tenuto dalla corda della cavezza, io avevo già preso confidenza con gli alberi, il piano, i cespugli dominabili, le lucertole da inseguire. «Ti sei messo al lavoro?» diceva ironicamente mio padre. «Oggi ti farò lavorare, vedrai, devi cominciare anche tu ad abituarti. Troppo caramente ti stiamo tenendo io e tua madre; sbagliando. Sin da piccoli bisogna abituarsi ad amare il lavoro, e preferire la campagna al paese. Perchè così, quando sarete grandi, vi sentirete meno sacrificati lavorando. Il gioco è pure giusto, ma non può essere l’unico scopo della vostra vita anche se ragazzi con diritto a divertirvi» diceva sapendo che da un orecchio mi entrava e dall’altro mi usciva il suo discorso; quello che lui pensava di farmi sentire e capire. Io lo lasciavo parlare tanto pensavo che da grande mi sarei tenuto lontano dal lavoro massacrante dei campi. Che studiavo a fare, se no? Da una parte diceva di mandarmi a scuola per non farmi fare la vita sacrificata del contadino che lavorava sempre e senza mai vedere i soldi. Dall’altra mi faceva quei discorsi che tendevano ad appassionarmi al lavoro dei campi. Mi dava fastidio sentirlo anche contraddirsi. Ma pensavo ai fatti miei. Lui doveva lavorare sulla terra, non sapevo se per tutta la giornata o solo per la mattinata. Più presto si sarebbe sbrigato, meglio sarebbe stato. In quanto alla predica sua, restavo disinteressato o sentivo e non me ne fregava nulla di quello che diceva. Chissà quante volte i suoi genitori, quando lui era ragazzo come sono io oggi, gli avevano fatto prediche dello stesso tenore e lui non si sarebbe mai interessato! A me sembrava giusto che i figli facessero i figli, i genitori facessero i genitori. Nel cui ruolo potevano avere motivo tutti i discorsi. I genitori pensando di educare, i figli di far finta di essere sensibili, ma ognuno con la propria illusione. Quello che mio padre faceva non mi interessava nulla, durante la giornata. Non lo vedevo di certo nel suo fare. Io stavo per i fatti miei. Andavo in cerca di nidi di passero sugli alberi e curiosavo continuamente perchè ne vedessi qualcuno. La ricerca dei nidi mi faceva guardare intensamente sui rami degli utili tanto che, di essi, sapevo ogni forma ed ogni facciata. Tutte le pur grandi piante, erano sotto mia osservazione. Era bello guardarli, ammirarli, cercare tra i rami nidi ed altro. Era pure bello ammirare le loro forme, la piega che prendevano le loro cime al soffiare del pur minimo venticello d’estate, oltre che quando il tempo invocava tempesta e freddo, che era ben altra cosa. Cercavo palle di miele sui rami bassi di ulivo.
Appena si arrivava ai piedi di Sannicola, lì dove la strada faceva un bel largo dove potevamo lasciare il carrozzino, io non badavo ad altro Saltavo come uno scoiattolo e subito mi immettevo nel viottolo che portava all’uliveto
Scrutavo tra i cespugli certi tipi di fiori da ammirare o, qualche volta, da raccogliere. A seconda della stagione, trovavo qualcosa da fare e da vedere. Fiori nel mese di maggio, foglie dure e sparse in autunno quando gli alberi venivano sbattuti dal vento e spogliati dal loro fogliame; ed i rami restavano abbastanza spogli. Per quello che vedevo identificavo le stagioni del caso. C’era il tempo dell’origano dalle chiome bianche che emergevano dal verde dell’altra erba che veniva sovrastata. Io lo raccoglievo impegnando infinite ore per fare un bel mazzo da portare a casa e sfottere anche mio padre dicendogli che anch’io contribuivo a qualcosa utile per la famiglia. I mazzi di origano, infatti, li appendevamo ad un muro di casa dove si conservava una volta indurito al sole e per tutto l’anno lo usavamo per i pomodori fatti ad insalata, il pane condito con sopra di esso pomodori spalmati, per fare il salmoriglio in cui immergere la carne arrostita e ancora calda, e per in ogni pietanza che si prestava all’uso di erbe aromatiche. C’era il tempo degli asparagi che a Sannicola si trovavano in grande quantità. Io raccoglievo mazzi in modo rilevante scrutando tra le piante spinose che li producevano come virgulti nuovi che, se non raccolti, sarebbero stati, di fatto il rinnovarsi di quelle piante spinose. E così avveniva pure per ogni tipo di frutto che in tute le stagioni venivano prodotti dagli alberi maestosi di Sannicola. La mia vita, a Sannicola la passavo per mangiare frutti a non finire, salendo sugli alberi con molta abilità e scioltezza, raccogliendo origano ed asparagi o l’erba “sulla” di cui sceglievamo i gambi più teneri per metterli sotto i denti e masticarli succhiando il nettare gustosissimo che producevano. Ricordo i fichi che avevano due stagioni: una cosiddetta prima mano che era la produzione delle primizie decisamente più tenere che si chiamavano gotte, ed una seconda propria dei fichi che si producevano in quantità notevole. Pochissime gotte e ceste intere di fichi potevamo raccogliere. Io, per stare lontano il più possibile anche da ogni forma di lavoro, quando salivo su una pianta, stavo a non finire anche per dar tempo a mio
sabato 13 aprile 2013
Narrativa Il carrozzino col cavallo disegno di Renato Bagnaresi
padre di sgobbare con zappa, roncola, falce, scure. Mangiavo che ad ogni volta che scendevo riguardavo la pianta e godevo nel verificare che non avevo lasciato sopra, alcuno dei frutti maturi. E mio padre, che sapeva dei miei vizi, se la godeva perché in fondo lui era molto contento al sapere che ero con lui, sotto i suoi occhi, lontano dal paese, per lui, luogo di vizi e per i nulla facenti. «In campagna» diceva spesso «male che vada, mangi, ti diverti bene, godi, prendi buona aria, stai lontano da cattive compagnie, eviti di abituarti a non fare niente e stare disponibile per ogni attività che un cattivo compagno ti offre. Il non aver nulla da fare è il motivo che produce vizi al contrario della virtù. In campagna c’è natura, vita, quello che serve alla vita e che educa davvero secondo natura; si ha tutto da guadagnare mentre il paese si ha tutto da perdere» diceva; e precisava: «Questo non è ragionamento da noi contadini, ma è naturale e vale per tutti!». «Per vivere bene» finiva «bisogna vivere secondo quanto si impara nella campagna che è vita vera». Erano una musica i colpi della scure di mio padre, che si abbattevano sui tronchi di quercia o di ulivo. Ed ogni tanto mi chiamava per assicurarsi che ero lì, non lontano da lui; che non mi facevo male, che non avevo bisogno di nulla. Ed il suo chiamare era essenziale per entrambi noi. Ci sentivamo assieme, compagni, amici, affettuosamente legati. Anch’io ogni tanto prendevo una scusa e lo chiamavo, volevo assicurarmi che stesse bene, che non si facesse male, che proseguisse tranquillo nel suo fare. E lasciavo il luogo in cui ero e mi avvicinavo a lui per vederci, tranquillizzarci che tutto procedesse per il meglio. Ed era meraviglioso saperci sani e salvi, contenti e in compagnia.
La campagna era lavoro per i genitori ma diletto per i ragazzi che si sacrificavano lasciando il paese dei propri compagni e seguivano sul lavoro i genitori, ma al patto che non sarebbero stati impegnati a lavorare
Ricordo pure la rigogliosità di certe piante che davano frutti belli a vedersi oltre che buoni da mangiare. Molte piante erano ricche di frutti, belli, che davano un senso di maestosità alla pianta stessa. Eguale e dello stesso effetto della fase della fioritura. Quanto era bello vedere le piante dei rossi di arancio e mandarini, gialli di limoni e limoncelli, di verde olivastro delle prugne, delle verdi pere che a maturazione diventavano tendenti al giallognolo; e, poi, i sorbi dell’inverno, l’uva tra i pampini verdi del vigneto! Quanto era bello in piano giallo di spighe di grano, il giallo delle ginestre infiorate, i rossi vivi del papavero, il bianco ed il giallo delle margherite che crescevano a prati grandi e infiniti e sotto il ronzare delle api ed il voli di farfalle, il verde dell’erba che formava il prato, il rossastro dei fiori di sulla stesa dove pascolavano capre e pecore ed agnelli, i misti colori di tanti praterie dove crescevano erbe e fiori di molteplici qualità, e forme e tanto variopinti di colori! Anche l’inverno aveva la sua gioiosa bellezza e la sua meravigliosa maestosità. Tanti contadini amano elogiare il tempo invernale della campagna. Tutto è ovvio nella vita sulla terra. Nulla ci è da estraneo. Gli alberi dispiegano i propri rami all’incalzare delle vento spesso come bandiere sventolanti, la pioggia cade e fa la sua parte di bellezza non solo di danni e spesso di rovine. Ci sono tanti che godono più sotto un temporale che sotto il sole d’estate. Quando le fiumare scendono rovinosamente verso il mare e il vento sradica rami dagli alberi in tempesta, e tutto sembra steso sotto l’imbrunire della sera turbolenta e sotto pioggia incessante, e guardi verso il mare, le campagne assolate e piene di vento e di fulmini e le acque della fiumara lambiscono gli orti sui loro argini non sempre protetti dai muri di sostegno o comunque dal cuore dell’uomo che ha inventato tanti sistemi protettivi contro le acque che scorrono verso il piano declinante verso il mare, violente e devastanti, è tutta la natura viva, palpitante, urlante e gioiosa all’un tempo, rumoreggiante e ululante come il canto della gente e il cinguettio estivo degli uccellli e tutto il coro differenziato della voce degli animali tutti, nessuno escluso e lo svolazzare nel cielo degli ultimi volatili in via verso terre diverse, è la natura che sta in noi e con noi, dentro cui si svolge l’epopea della nostra esistenza umana. Il sole del mare, sulla spiaggia di piena estete, non è più bello della tempesta che, invece, ci fa sentire più impegnati dentro le vicende fisiche e materiali della natura che non è fatta di alcune cose sole, ma è tutta densa di fatti e di valori, di colori e di voci, di attività tutte espressioni di positività e comunque di essenzialità, che tutte insieme costituiscono la evoluzione della loro grandezza e della loro specificità. L’uomo per essere tale deve capire la natura, immedesimarsi in tutti i suoi aspetti, ritenerla sempre sua compagna e suo amato scenario di vita. Siamo tutt’uno con la natura. Nulla di essa può considerarsi estraneo a noi. Tutto di noi è un pezzo e una voce di essa. I calabresi vivono la natura, loro autentica identità.
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sabato 13 aprile 2013
Pillole di fede Attenzione per se stessi con la penna di Laura Carnabuci
Scrivere curando corpo e mente
Qui a destra Maria Laura Carnabuci
di Lucia De Cicco
Maria Laura Carnabuci è una scrittrice per diletto, e testimone di fede. Nata in Sicilia ha vissuto lì la sua adolescenza, sposata vive in Calabria con la sua famiglia ed è autrice di un testo che ripercorre la sua vita Siciliana, i suoi amori, la spensieratezza degli anni che furono. La scrittura assieme ad una intensa attività fisica diventano il mezzo, per questa scrittrice dell’emozione intimistica, del prendersi cura di se stesse, coltivando corpo e mente. «Per anni, ci dice, ho scritto in maniera molto privata non facendo leggere a nessuno le mie riflessioni. A un certo punto del percorso ho pubblicato, un paio di anni fa, un testo con un titolo onomatopeico, che ricorda il fruscio del traghetto sullo stretto di Messina. Carico di esperienza di donna comune diretta a altre donne, nel testo, la possibilità della vita attraverso l’impegno di cura e di carico dei genitori anziani, che mi portano tutte le settimane in Sicilia dove risiedono. Il tempo del viaggio è un tempo di grazia che mi ha permesso di viverlo in modo introspettivo, verso un ritorno al mio passato, alla bambina che ero e la donna di oggi e ai miei sogni di una donna matura. Dando importanza ai sentimenti, sale della vita e che ci legano al tessuto di cui siamo fatti noi stessi, il nostro territorio e il sociale, forte, anche, nel sentire le cose della vita. Soddisfazioni che hanno fermate le mie emozioni e che parlano della mia terra, di me e delle cose che sento». In cantiere un libro che la stessa definisce diverso dal precedente col titolo Vento di-vento, gioco significativo di parole. «Il titolo soprattutto si riallaccia alle ultime pagine in cui questo vento, che passa e spazza parte di noi apre la voglia di fermare un qualcosa ed ecco che la scrittura fissa quelle cose che inevitabilmente sarebbero destinate a sbiadire. L’essenza vera della persona non muore mai nella scrittura e rende fermo il nostro pensiero». Questo testo è una raccolta di poesie intervallate da parti in prosa. Il quale affronterà il tema del vento in chiave semiseria e non scientifica e puntando l’obiettivo sugli effetti della personalità umana e le sue relazioni con l’altro con l’esterno. Da molti anni dal 1990 ha abbracciato un impegno religioso in un movimento mondiale, che si chiama cursillos di cristianità, arrivato trentacinque anni fa nel
La scrittura assieme ad una intensa attività fisica diventano il mezzo, per questa scrittrice dell’emozione intimistica, del prendersi cura di sé coltivando la materia e l’impalpabile
Cosentino con monsignore Trabalzini, allora vescovo di Cosenza e che fece egli stessi esperienza nella città di Rieti. «Tutto nasce da un ritiro, piccolo corso di cristianità, che mi ha inclusa in questo movimento. Attraverso i carismi personali andiamo verso i gruppi e i movimenti, che sono in seno alla Chiesa cattolica. Esso è un corso di tre giorni, che offre la possibilità di rivedere la vita e la dimensione concreta di quanto il Signore sia vicino a noi. I ritiri sono diversi per donne e uomini, che non si trovano mai assieme. E alcune volte sono di coppia, ma sono separate in locazioni diverse e unite solo nell’ultima sera. A proporre il cursillo all’esterno sono gli stessi aderenti, che si impegnano a prendersi in carico delle potenziali vertebre di evangelizzazione negli ambienti. Alla fine dei tre giorni c’è il quarto giorno, che dura tutta la vita. Scendiamo dal monte, dove abbiamo vissuto un momento di grazia, molto vicino al Signore e da quel momento inizia l’apostolato nelle difficoltà di tutti i giorni, in famiglia, comunità e lavoro. È un nuovo modo di vivere la vita con la convinzione che accanto a noi c’è Cristo». Il cursillo è tenuto da due gruppi, uno religioso e l’altro composto da laici. I religiosi tengono il “rotolo” dei messaggi. Il rotolo è definito così, poiché venivano anticamente scritti su fogli arrotolati quei messaggi di cui si dava lettura durante gli incontri. Perché i termini usati durante il cerimoniale sono in spagnolo? «Poiché esso Nasce in Spagna con vasta diffusione nel mondo e sono davvero tante le diocesi in cui esiste il movimento. Difatti nel momento in cui un cursillo si tiene in una Diocesi, le altre, in tutto il mondo pregano per essa. Infatti, nell’ultima edizione che si è tenuta il sette aprile scorso sono arrivati tanti messaggi di sostegno alle sorelle, che vivevano quel momento, offrendo intenzioni. Il cursillo è molto diffuso nei paesi del sud America, anche Papa Francesco in Argentina ha fatto l’esperienza del cursillo. Ed è molto favorevole al movimento, Ciò lo ha espresso in una lettera diretta al responsabile Italiano dei Cursilli». All’interno dei gruppi è necessaria molta manodopera per reggere un imponente movimento e i laici offrono il loro impegno nei gruppi di lavoro, la Carnabuci è nel gruppo delle intendenze, che organizza momenti di preghiera nel promuovere il sostegno ai cursilli nel mondo e che vivono i tre giorni. Nel mondo ci sono altri servizi che gestiscono la vita dello stesso, dal ritiro all’organizzazione.
sabato 13 aprile 2013
La ricerca fa luce
Sclerosi multipla facciamo chiarezza
Lo studio Zamboni rigettato dal progetto Cosmo
di Lucia De Cicco
Si è tenuto a Cosenza, nella sala Quintieri del ridotto del teatro Rendano, lo scorso 6 aprile, il convegno di presentazione del progetto Cosmo. Un progetto con la finalità di chiarire alcuni dubbi, poiché recenti studi condotti fuori dalla medicina ufficiale hanno mandato in crisi decine di ammalati di sclerosi multipla. A presentare i risultati l’Aism di Cosenza, con la partecipazione del direttore responsabile del progetto, Mario Alberto Battaglia, che abbiamo sentito riguardo al risultato del Cosmo. «A suo tempo era stato affermato da un ricercatore italiano, Zamboni, che il 100% delle persone con sclerosi multipla aveva delle malformazioni venose e i sani non le presentavano. Poco tempo dopo, uno studio americano aveva verificato che solo il 65% delle persone con sclerosi multipla presentava questa malformazione e solo il 35% dei sani l’aveva. Altri studi successivi hanno dato risultati diversi, che vanno dallo 0% al totale 100%. La persona con la patologia si trova disorientata; e non sapendo se intervenire oppure no, si è reso necessario condurre un imponente progetto che chiarisse i dubbi definitivamente: il progetto denominato Cosmo. Una ricerca scientifica sul tema è stata presentata a Lione al Congresso mondiale della Sm dello scorso ottobre e siamo in attesa di pubblicare i risultati su una rivista scientifica». Che metodo è stato usato per condurre l’indagine? «È una ricerca multicentrica, condotta in vari centri da persone esperte e formate. È condotta in cieco, che vuole dire che la persona che esaminava era allo scuro dell’anamnesi del paziente su cui operava, se fosse affetto d malattia, oppure perfettamente sano. I risultati sono stati letti da altri esperti secondo il metodo in cieco. Il risultato di tutto questo è che la malformazione chiamata Ccsvi è presente nel 3% degli affetti di sclerosi multipla, ma anche la stessa percentuale si ripete per i sani e in altri affetti da malattie neurologiche e non c’è differenza significativa in termini scientifici». Allora cosa si è dimostrato? «Che non ha senso fare interventi, è ovvio; e che la ricerca non si ferma; andrà anche a dimostrare se l’intervento correttivo può essere utile in quel 3% dei casi. Uno studio in cieco americano ha dimostrato che eseguire l’intervento non ha risolto il problema. Di fronte a questi risultati è ovvio che le persone con sclerosi multipla debbono fare le loro considerazioni. Sappiamo che in Italia si sono verificati interventi di questo tipo che devono, invece, essere autorizzati all’interno dei comitati etici per cautela eliminando il rischio anche a lungo termine». La posizione dell’Italia nella ricerca? «Siamo al terzo posto per il finanziamento alla ricerca scientifica, dopo Canada e Usa. Ecco, che, dunque, sta all’Italia dare risposte sulla ricerca diretta alla sclerosi multipla e sulle terapie non solo farmacologiche, ma anche sintomatiche fino alla riabilitazione, perché si deve garantire la qualità della vita del soggetto affetto dalla patologia, dal momento che la stessa colpisce, prevalentemente, giovani tra i venti e i quarant’anni e convivono per decenni con la stessa e che hanno il diritto di vivere fino infondo con dignità la loro vita». Erano presenti, alla giornata di studio anche Enzo Sanzaro, dirigente medico della neurologia dell’ospedale di Vittoria, Ragusa, che ci ha illustrato in sintesi il progetto Zamboni sulla insufficienza cronica cerebro spinale. I malati affetti da sclerosi multipla, secondo questa definizione, pare abbiano quasi nella totalità dei casi questo tipo di sindrome, che consiste nella riduzione del passaggio di sangue nel-
Un progetto con la finalità di diradare le nebbie poiché recenti studi condotti fuori dalla medicina ufficiale hanno mandato in crisi decine di ammalati
Maria De Luca direttivo Aism Cosenza
le vene, causando un ristagno a monte. Angelo Ghezzi ha studiato, direttamente, i casi clinici: «Nello studio Cosmo che è stato condotto per verificare la correlazione tra l’anomalia venosa e la Sm. Una correlazione che all’epoca della pubblicazione di questo studio diede una forte scossa al mondo politico-scientifico internazionale; lo studio si era rivelato all’epoca molto interessante e ci portava anche a considerare altre strade come quella di una componente vascolare della malattia. Ciò che era un dibattito divenne presto un movimento, che portava nella direzione del dovere credere che chi non affermasse il progetto quasi non affermava il progresso della medicina stessa e con una forte pressione da parte dei media. La malattia è autoimmune e il sistema vascolare è piuttosto distante da quello neurologico, si doveva fare una rotazione precisa e capire se la componente fosse presente. Lo studio fa giustizia della perplessità, che ne seguì sia nei medici ricercatori sia negli ammalati». Ha moderato Attilio Sabato, con la presenza dei dirigenti dell’Aism cosentino.
Presentazione del libro di Lucia De Cicco
Un Canto d’Amore per l’Aism Il ricavato della presentazione del libro della giornalista Lucia De Cicco, Canto d’amore dell’Aletti editore, presentato nella chiesa del Carmine di Cerisano è stato devoluto quasi per intero all’Aism (Associazione italiana sclerosi multipla), in occasione della presentazione del progetto Cosmo, tenutosi nella città bruzia nella mattinata precedente l’evento. Ospite d’onore della serata, la poetessa Maria De Luca del direttivo dell’Aism cosentina, affetta essa stessa dalla patologia e che ha illustrata l’opera dell’associazione e tenuto una lezione sul valore della poesia, per l’autore e per la società. A moderare l’incontro, il presidente del forum della associazioni di Castrolibero, Antonietta Greco. Con un concerto introduttivo della mezzosoprano, Sabrina De Rose, accompagnata al piano da Annalisa D’Astoli, nell’Ave Maria di Shubert e l’Aveverum di Mozart. Seguito dall’Ave Maria di Caccini eseguito dalla soprano drammatico, Esterina Muraca di Lamezia Terme. Presente anche il parroco di San Lorenzo Martire, don Vivian Carol Etoulo, la maestra di formazione e insegnate in pensione del Toc (terzo ordine carmelitano) Lametino, Emma Palazzo. A chiudere l’autrice del libro e Marisa Scaramella con brani della liturgia mariana, eseguiti con il clarino. L’evento è stato ospitato dalla congrega della Beata Vergine del Monte Carmelo di Cerisano e con l’approvazione, gioiosa, così ha affermato la stessa durante al presentazione, della sua giovanissima presidente, Antonella Fioravante. A declamare nel reading poetico, l’attrice Raisa Ines Fortunato.
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