Anno 38 - 24 Maggio 2014 - Numero 21
Settimanale indipendente di informazione
euro 0,50
di Francesco Fotia
Prevenzione della criminalità con focus sulla delinquenza organizzata e sull’immigrazione dedita al crimine PAROLE SANTE
LIBRI
Dal legno Giovani della Sila ai pregiati e pennelli, dalle vini regionali neoavanguardie all’arte elettronica di Pietro De Leo
I frutti della Calabria in Vaticano e nelle basiliche romane
I fenoeni artistici che hanno caratterizzato la Calabria
II
sabato 24 maggio 2014
Partner da non perdere Si rafforzano i legami tra l'Unical e la Croazia
Bagaglio culturale sempre più pesante Il prorettore dell’Università della Calabria, Guerino D’Ignazio, ha incontrato l’ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia, Damir Grubisa. Erano presenti all’incontro anche il responsabile dell’Uoc Relazioni esterne e Comunicazione, Francesco Kostner, l’addetto stampa, Francesco Montemurro, e il responsabile dell’ufficio speciale Relazioni internazionali, Giampiero Barbuto. Il diplomatico, che ha tenuto un seminario sul tema: “La Croazia nell’Ue e il contributo al processo di integrazione”, è stato ospite del dottorato in Politica, Cultura e Sviluppo del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’ateneo di Arcavacata. «Sono molto lieto di porgerle il saluto di benvenuto anche a nome del rettore, Gino Mirocle Crisci - ha detto D’Ignazio all’ambasciatore Grubisa, che tra l’altro è anche docente di Politica Comparata - rettore che auspica un rafforzamento dei rapporti tra la nostra istituzione scientifica e quelle del suo Paese. La Croazia - ha aggiunto D’Ignazio - benché sia l’ultimo paese in ordine di tempo ad essere entrato nell’Unione europea, può dare un contributo notevole sia per il rafforzamento del processo di integrazione di questa realtà che per il rafforzamento delle relazioni dell’Europa con il Mediterraneo». D’Ignazio, infine, ha invitato il diplomatico croato al convegno internazionale sul Mediterraneo “Un mare di culture”, che l’Università della Calabria ha programmato per il 24 e 25 ottobre prossimi. Ha preso la parola, a questo punto, l’ambasciatore croato, che si è detto «lieto di trovarsi in Calabria, una regione ovunque conosciuta non solo per le sue ricchezze storiche e culturali e per la bellezza dei luoghi, ma anche per la reputazione europea e mondiale dell’Unical». Il professor Grubisa ha ripercorso brevemente le tappe che hanno portato il suo Paese nell’Unione europea, «tra difficoltà soggettive e oggettive di non poco conto», ma ha espresso soddisfazione per «la conclusione di un processo che vede oggi la Croazia parte integrante dell’Europa e convinta interprete dei suoi fondamentali principi culturali, politici ed economici». Brubisa ha sottolineato, ancora, come «i rapporti tra Italia e Croazia rappresentino un esempio di relazioni tra paesi europei» e «il sostegno che l’Italia ha sempre assicurato alla Croazia, incoraggiandone il processo di
Il prorettore della Università della Calabria Guerino D’Ignazio ha incontrato l’ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia, Damir Grubisa
trasformazione democratica e approvando per prima il trattato di adesione all’Unione europea». L’ambasciatore Grubisa, inoltre, ha ricordato l’importanza riconosciuta dalla Croazia alla minoranza etnica italiana (oltre 27 mila persone) e ai cittadini di madrelingua (oltre 50 mila) del nostro Paese, che hanno anche la possibilità di eleggere un proprio rappresentante in Parlamento. «Lo studio della lingua e della cultura italiana» - ha detto tra l’altro il diplomatico - è molto diffuso in Croazia e ben cinque università (Zagabria, Fiume, Pola, Zara e Spalato) hanno corsi di Italianistica molto seguiti dagli studenti. Senza contare poi - ha aggiunto Grubisa - che quasi tutte le opere classiche italiane sono state tradotte in croato, tra le quali anche Il Principe di Macchiavelli, curato direttamente da me. A questo non secondario elemento dato - ha proseguito l’ambasciatore - si unisce il fatto che l’Italia è il nostro primo partner economico e che i vostri turisti sono i secondi visitatori, dopo quelli tedeschi, della Croazia». Grubisa, infine, si è detto certo che le relazioni tra la Croazia e l’Italia potranno ulteriormente migliorare, grazie alla collaborazione tra l’Università della Calabria e gli atenei croati, auspicando che, grazie ad una serie di interventi recentemente approvati dal Governo del suo paese, «possano registrarsi presto concreti benefici sia sul piano della ricerca che delle opportunità per gli studenti e i laureati, italiani e croati, di rafforzare il proprio bagaglio di conoscenze e di esperienze». Al termine dell’incontro, il prorettore D’Ignazio ha donato all’ospite un gadget raffigurante il simbolo dell’Università e una copia della rivista di divulgazione scientifico-culturale dell’ateneo “Superstringhe”.
sabato 24 maggio 2014
III
A far del bene... Zagarise inaugura nuovi locali nella scuola Paolo Emilio Tulelli
Solidarietà a lucido L’amministrazione comunale di Zagarise, alla presenza del comitato provinciale Unicef di Catanzaro, che ha patrocinato l’iniziativa, e delle locali autorità civili, militari e religiose, ha inaugurato dei nuovi locali nella scuola Paolo Emilio Tulelli. La manifestazione, tenutasi nella prima parte della giornata presso i locali del Centro di informazione turistica, è stata introdotta dall’assessore comunale alla Cultura, Adele Guzzetti, ed ha visto coinvolti tutti i bambini e il corpo docente della scuola interessata. Dopo il prezioso contributo offerto dal mini sindaco del Consiglio comunale dei Ragazzi, Pancrazio Catalano, e di alcune sue piccole colleghe di studio, che hanno stimolato i presenti con una serie di interventi sul tema della giornata, sono intervenuti nell’ordine: Antonietta Ferrazzo, dirigente dell’Istituto comprensivo di Sersale, di cui Zagarise fa parte; l’assessore ai Lavori pubblici di Catanzaro, Giuseppe Vitale, presente nella veste di direttore dei lavori di ristrutturazione dell’edificio; il parroco don Antonio Ranieri; il sindaco del comune presilano, Pietro Raimondo. Come giusto compimento e a sintesi dei contributi presentati nel corso dei lavori è intervenuta la presidente dell’Unicef di Catanzaro, Annamaria Fonti Iembo, che si è complimentata per le attività svolte dalla dirigenza scolastica e da tutto il corpo docente della scuola, oltre a lodare l’azione amministrativa del sindaco Raimondo e dell’assessore Guzzetti per l’importante lavoro svolto in favore dei bambini di Zagarise. Al termine della prima parte della manifestazione, tutti i presenti hanno partecipato gioiosamente al taglio del nastro, che ha sancito l’attesa inaugurazione dei nuovi locali della scuola di Zagarise. Il progetto di recupero dell’istituto scolastico Tulelli è stato reso possibile grazie ad un finanziamento ministeriale erogato a favore del Comune di Zagarise, nell’ambito del progetto su sicurezza, prevenzione, riduzione del rischio e vulnerabilità degli elementi non strutturali. Grazie all’impegno del sindaco uscente, Pietro Raimondo, Zagarise è stato uno dei sei comuni della provincia di Catanzaro ad
La presidente Unicef di Catanzaro, Annamaria Fonti Iembo, si è complimentata per le attività svolte dalla dirigenza scolastica e da tutto il corpo docente della scuola
entrare nel piano stralcio del programma straordinario ministeriale per interventi su edifici scolastici. Il Comune, tra l’altro, ha ottenuto per questo intervento conservativo e innovativo il finanziamento più alto, con un ammontare di ben 550.000 euro. Lo stesso edificio è stato beneficiario anche di un finanziamento regionale per la realizzazione di un impianto fotovoltaico dell’ammontare di 105.000 euro. Peraltro, per merito del lavoro certosino svolto congiuntamente da tutta l’amministrazione comunale, che ha fortemente creduto nella bontà del progetto preliminare, grazie all’abolizione dei costi dell’energia elettrica e agli introiti che deriveranno dalla vendita dell’energia in eccesso prodotta dall’impianto, il Comune otterrà un consistente risparmio, quantificabile in decine di migliaia di euro. Per la realizzazione dell’impianto sono stati impiegati pannelli fotovoltaici di ultima generazione che saranno in grado di garantire una produzione di energia annua pari a 33.000 Kwh. Insomma: un altro giorno di festa per tutta la comunità e un altro brillante risultato portato a compimento dal Comune di Zagarise.
La scuola di Zagarise
IV
sabato 24 maggio 2014
Parlerne non basta mai... Incontro svoltosi presso la sala "De Cardona" della Bcc Mediocrati di Rende
Stalking un agguato mentale di Francesco Fotia
Prevenzione della criminalità, messa in sicurezza dei centri urbani con focus sulla delinquenza organizzata e su quella parte dell’immigrazione dedita al crimine, stalking e violenza di genere
Prevenzione della criminalità, messa in sicurezza dei centri urbani con focus sulla delinquenza organizzata e su quella parte dell’immigrazione dedita al crimine, stalking e violenza di genere, ma anche progetti futuri e rudimenti di criminologia e soprattutto buona letteratura; il tutto riunito in un unico incontro che si è svolto venerdì 23 maggio presso la sala “De Cardona” della Bcc Mediocrati di Rende, e che si è protratto per l’intera giornata. Il titolo dell’evento, “Stalking un agguato mentale”, spiega bene quale sia stato il fulcro attorno al quale ha ruotato un consistente numero di interventi e relazioni tenuti da professionisti di comprovata validità: sono stati presenti infatti Antonio Bruno Tridico, sostituto procuratore della Repubblica, Maria Teresa Rotiroti e Francesca Tedesco, autrici del libro ...58 rami di nocciolo spezzati, presentato nel corso della giornata e Luigi Bigagnoli, criminologo forense. Ha moderato Patrizia Nicotera, responsabile del progetto Free-Fly del centro “Ascolto donna” dell’Asp di Cosenza, e impegnata da sempre nel sostegno alle donne e ai giovani in difficoltà. Proprio la donna, e lo stalking, sono il fulcro del mondo di ...58 rami di nocciolo spezzati, scritto da Maria Teresa Rotiroti e Francesca Tedesco e presentato per la prima volta a Cosenza. Un libro delicato, che racconta dei sentimenti e delle aspirazioni dell’altra metà del cielo, delle sottili gioie e delle paure, della grande forza che ogni donna deve avere sin dalla nascita. Dalla lettura del libro, inoltre, si evince anche la formazione, non solo professionale, delle due autrici, provenienti dal mondo dell’assistenza sociale e dell’insegnamento all’interno della casa circondariale di Catanzaro. «Noi donne - hanno spiegato Rotiroti e Tedesco - impariamo dalle esperienze della vita, anche da quelle più intimamente legate al territorio in cui si vive, quanto importante sia il riconoscimento del nostro ruolo nella società. Bisogna avere consapevolezza di sé stesse e all’occorrenza, come scriviamo anche nel libro, avere il coraggio di dire cose difficili. Noi donne, tutte, questo coraggio lo abbiamo». Ma il tono femminile di ...58 rami di nocciolo spezzati si coglie, di pagina in pagina, anche dall’attenzione e dalla delicata passione con la quale si guarda alle difficoltà dell’essere genitore: «Il mestiere più duro del mondo, - commentano le autrici - per farlo occorre una smisurata grandezza di cuore, forza d’animo e capacità di darsi senza chiedere nulla in cambio. Non è un qualcosa che si può insegnare né imparare, occorrono semplicemente braccia allenate che sanno aprirsi per abbracciare con tutto il calore di cui si dispone». Ad editare ...58 rami di nocciolo spezzati è stata Rosellina Arturi, giornalista e guida della agenzia giornalistica e di stampa Adt Group press editori di Cosenza. Una scelta, la sua, figlia di un preciso impegno: la giornalista, infatti, è da tempo impegnata nel sensibilizzare, sopratutto i più giovani, sulla violenza di genere attraverso l’organizzazione di incontri e la pubblicazione di numerosi documenti. È stata la stessa Arturi a volere fortemente il titolo dell’incontro “Stalking, un agguato mentale”: «Perché si tratta di un vero e proprio attentato - ha spiegato - pianificato e messo in atto continuativamente da quando iniziano le vessazioni. Lo stalking e la violenza di genere sono un’emergenza dalla quale si deve uscire diffondendo cultura, e premiando quelle iniziative che possono dare una mano a tutte le donne a uscire da quello che, senza ombra di dubbio, è un vero e proprio incubo». È sicuramente il caso di ...58 rami di nocciolo spezzati, un libro, come scrive l’editrice nella prefazione scritta “da donne che scrivono da donne”. Si tratta di un reato purtroppo molto presente nella nostra società, che ogni anno colpisce decine di migliaia di persona.
Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale stalking, fino al 2012, su un campione di quasi diecimila persone vittime, tra i 17 e gli 80 anni il 70% circa si è rivelato essere donna: un dato che non ci sorprende. Nel 55% dei casi lo stalker è stato il partner: un coniuge dal quale ci si è separati, un ex fidanzato o ex compagno. Il persecutore, nel 5% dei casi è un familiare, nel 15% si tratta invece di perso-
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V
Parlerne non basta mai...
Dall’alto: il sostituto procuratore Bruno Tridico, Francesca Tedesco e Maria Teresa Rotiroti e Patrizia Nicotera
ne che frequentano lo stesso ambiente della vittima: un collega di lavoro, un compagno di classe. Nel 25% dei casi esaminati lo stalker è un vicino di casa. La denuncia è sicuramente importante per evitare il reiteramento del reato, anche se nel 30% dei casi in cui è stata regolarmente presentata la denuncia lo stalker ha proseguito nella sua azione. Ma, dicono le statistiche, denunciare è fondamentale
perché utile a prevenire la deriva della stalking, e cioè l’aggressione fisica quando non la sua estrema conseguenza, l’uccisione della vittima. Il 20% delle morti causate da relazioni finite erano state infatti precedute proprio da atteggiamenti di stalking. Di tutto ciò, e della vigente normativa sullo stalking, si è parlato con il sostituto procuratore Tridico nel corso della prima parte della giornata. Comportamenti di sopraffazione causati dalla considerazione dell’altro (o meglio sarebbe dire dell’altra), cui si attribuisce il valore di un oggetto da possedere. Una subcultura che, basta leggere i dati sopra, penalizza soprattutto l’universo femminile. Nel corso del pomeriggio, inoltre, sono state analizzate le dinamiche comportamentali dello stalker e della vittima, e si è fatta luce sul legame che si viene a creare tra i soggetti anche grazie alle preziose testimonianze di chi è stata vittima di persecuzione, subendone le pericolose influenze emotive. Contestualmente è stato annunciato anche l’avviamento di un corso di formazione specialistico in “Scienze forensi, criminologiche ed investigative”, organizzato dall’associazione formativa Arché di Cosenza, presieduta da Patrizia Nicotera. L’obbiettivo del corso, è stato illustrato, è quello di creare figure altamente specializzate in grado di operare sul campo. «Possiamo ritenerci molto soddisfatti per essere riusciti ad attivare questo corso di formazione altamente specialistico, al termine del quale i partecipanti riceveranno il titolo di criminologi, qualifica spendibile in tutta la Comunità europea - ha dichiarato la presidente Nicotera, che è anche la coordinatrice del corso di formazione in Scienze Forense. I partecipanti - ha sottolineato - sono stati ventisette e sono medici, avvocati, insegnanti e psicologi che, con questo nostro seminario, hanno potuto interloquire direttamente con le vittime di stalking confrontandosi con le tutele legali e l’esperienza di criminologi esperti».
Presenti Antonio Bruno Tridico sostituto procuratore della Repubblica, Maria Teresa Rotiroti e Francesca Tedesco, autrici del libro “...58 rami di nocciolo spezzati”
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sabato 24 maggio 2014
Una scossa alla germanistica italiana A Castrovillari iniziativa dell’Associazione italiana di cultura classica
Il gusto della bellezza per non perdere felicità sto di Leonardo Di Va
«Il Faust nacque con il mio Werther; lo portai nel 1775 a Weimar con me. L’avevo scritto su carta da lettere senza una cancellatura perché mi guardavo bene dallo scrivere una riga che non fosse come doveva e non fosse destinata a durare». Così si esprimeva il grande poeta tedesco il 10 febbraio 1829, come si legge in Eckermann Colloqui con il Goethe. Queste parole fanno riflettere e suscitano un senso di disappunto se non di amarezza in noi che assistiamo alla diffusione di libri confezionati, di durata effimera, merce usa e getta, pubblicizzata, purtroppo, da midia corrivi e insinuanti, nei confronti dei quali il pubblico dei lettori spesso non riesce a difendersi.
Presentazione del “Faust” di Goethe èdito dalla delegazione castrovillarese
In tale contesto si può inserire l’iniziativa culturale della presentazione del Faust di Goethe èdito, all’inizio di quest’anno, dalla delegazione castrovillarese dell’Associazione italiana di cultura classica (Aicc), svoltasi a Castrovillari il 20 maggio, presso il Protoconvento francescano, alla presenza di studenti liceali, docenti, professionisti, cittadini provenienti anche dal circondario e da Cosenza. Ha relazionato sulla edizione di Castrovillari con traduzione e commento del grande germanista fiorentino Vittorio Santoli, morto nel 1971, la professoressa Barbara Di Noi, che insegna Storia della Lingua e letteratura tedesca alla Scuola per Mediatori linguistici “Carlo Bo” di Firenze. Ad aprire l’incontro è stato Mario Bozzo, che ha insegnato per molti anni di Italiano e latino presso il Liceo “Telesio”, formando tanti giovani, e presidente della Fondazione Carical, per la quale ha fondato il Premio per la Cultura mediterranea, giunto all’ottava edizione e che avrà luogo, a Cosenza, nel prossimo mese di settembre: è un premio importante, ormai affermato, che promuove lo scambio culturale tra i Paesi gravitanti sul Mediterraneo, al fine di fare di questo mare di antichissime tradizioni culturali e sociali un’opportunità per generazioni senza speranza, non di rado, come ben sappiamo, con un destino tragico di naufraghi concluso tra quelle acque. Bozzo ha esordito, sulla scia di Calvino, che classici e libri classici hanno ancora qualcosa da dire. Il Faust è un classico attuale. Oggi si punta sui saperi inutili, sui saperi, per così dire, professionalizzanti. Bisogna difendere L’utilità dell’inutile, come recita il titolo del libro di Nuccio Ordine, del quale la Delegazione ha discusso lo scorso 15 aprile: titolo che trova riscontro in un’espressione di Sartre, ha precisato Bozzo, che ha sottolineato il coraggio dell’Associazione castrovillarese nel perseguire tali finalità e che ha concluso il suo stimolante intervento, facendo riferimento all’opera goethiana: «La perdita del gusto della bellezza - ha detto - è perdita di felicità. Abbiamo bisogno di una nostra Margherita. La nostra Margherita è un nuovo umanesimo». Subito dopo è intervenuta Rosetta La Gamma, componente del Direttivo Aicc di Castrovillari, che ha tracciato un succinto profilo dell’attività didattica e scientifica di Di Noi, che laureatasi in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Firenze e dopo aver trascorso un anno a Tübingen come lettrice di Italiano, nel 1990 ha vinto una borsa quadriennale in germanistica presso l’Università Orientale di Napoli. Dal 1998 al 2006 ha ricoperto incarichi di insegnamento presso le Università di Pisa e di Cassino. Quest’anno ha conseguito l’abilitazione scientifica nazionale. Tra le sue pubblicazioni: una monografia rilkiana (Pisa 2001); una monografia di ampio respiro dedicata al poeta salisburghese Georg Trakl, Grotta e specchio. La dimensione orfica nella poesia di Georg Trakl; una breve monografia dedicata a Stefan Gorge traduttore di Baudelaire e una monografia su Kafka, In verità non so nemmeno raccontare... Memoria e oblio nella narrativa di Franz Kafka (Milano 2009). Una sua traduzione integrale del Castello è appena uscita presso la casa editrice milanese Mimesis, con postfazione di Franco Rella..
Copertina del libro e locandina dell’evento “targato” Aicc Sopra una delle studentesse interviene nel dibattito (foto Franco Iacoviello)
sabato 24 maggio 2014
Una scossa alla germanistica italiana
que inserendo Rembrandt in quest’ultima categoria. Là dove le opere classicamente composte di un Tiziano o di un Raffaello dimorano immote, riposanti in se stesse, in Rembrandt troviamo la suggestione del movimento. E questo movimento è affidato a una terza dimensione, che, per Simmel, è quella del Sublime. Di Sublime parla ripetutamente Santoli a proposito della scena dell’Evocazione dello Spirito della Terra, ove il sublime si oppone al Bello, e infatti l’aspetto dello Erdgeist è orrido, addirittura spaventoso». Questo è, senz’altro, l’aspetto più innovativo dell’analisi sgomitolata dalla relatrice della critica faustiana di Santoli e non potrà non catturare gli interessi, soprattutto, dei germanisti che si sono accostati e si accosteranno al commento dell’illustre studioso fiorentino.
Di Noi, con la sua rigorosa ed originale relazione, è entrata nel laboratorio critico di Vittorio Santoli, insigne germanista, oltre che comparativista e studioso di poesia popolare del secolo scorso. Ha detto, anzitutto, che «l’opera accompagnò Goethe lungo tutta la sua parabola creativa, praticamente dal 1771 fino a poco prima della morte, nel 1831. Nella sua incessante sperimentazione formale Goethe è in cerca di un linguaggio che gli permetta di uscire, in quella che Santoli chiama giustamente la grande crisi del Settecento tedesco, dalle secche dell’arido razionalismo. La linea interpretativa di Santoli è quella della scuola storicistica nel senso più nobile del termine, alla quale sarebbe forse il caso di ritornare, per riacquisire il senso della corposa concretezza dei testi letterari, inserendoli nei loro rapporti col tempo e con la cultura di cui sono figli, dopo troppo decenni di astrazioni strutturaliste e post-strutturaliste. Il metodo critico del Santoli fonde con sapiente equilibrio dato filologico e giudizio estetico; quest’ultimo sempre sorretto da un istinto stilistico infallibile, che gli permette di cogliere con sicurezza i dati formali alla luce del divenire storico, dello stratificarsi delle scuole e delle tendenze del gusto. Animato da un corretto spirito positivista, Santoli esorta i critici a partire dai fatti. E i fatti sono quelli di un’opera composita e moderna, se per moderno si intende mancante di un baricentro, di un principio strutturante unico, di un equilibrio organico delle parti fra loro e di queste col tutto. Di un’opera in definitiva policentrica». La relatrice ha richiamato, poi, l’attenzione sulla «temperie culturale ricostruita con pazienza amorevole, quasi filo per filo da Santoli nel suo commento, insuperabile soprattutto per quanto riguarda il primo monologo di Faust che, insoddisfatto della scienza e del sapere perseguito inutilmente, si dà alla magia per scoprire “ciò che tiene insieme intimamente il mondo”». In questa scena, come in quella della preghiera dell’Addolorata e di Margherita in Duomo, Goethe tocca, secondo Santoli, il sublime. Inoltre, nel Faust, osserva la studiosa, «come opera moderna e sentimentale, come Mistero inquadrato in una cornice provvidenziale che assicura a priori la salvezza, non c’è spazio per il tragico perché non vi è in fondo vera hybris. Nonostante Faust si agiti tanto, si agiti a blasfemo rinnegatore della pazienza e della virtù, c’è un Dio più in alto che tutto vede e tutto ha previsto nella sua infinita saggezza. La centralità che Goethe conferisce al tema dell’individuo, come grumo di forze in gran parte irrazionali, che aspira però a entrare in circolazione nel Tutto, giustifica lo spazio che la magia occupa nella scena in questione. Tale centralità non poteva sfuggire a Santoli, che d’altronde all’Università di Firenze era collega di Eugenio Garin, uno dei massimi indagatori della magia e del suo ritorno in Marsilio Ficino e Pico della Mirandola». La studiosa ha pure sottolineato l’attenzione riservata da Santoli alle fonti iconografiche. Al riguardo, Di Noi ha parlato di un aspetto molto interessante, che ha messo in luce per la prima volta, e cioè che «se Rembrandt per Goethe era stato effettivamente un modello, sebbene un modello iconografico», Santoli per penetrare nel segreto della scena Cucina della strega si è fatto ispirare da un’opera di critica d’arte, in particolare dal Rembrandt di Georg Simmel, uscito nel 1017 a Lipsia. «Simmel - osserva Di Noi - interpretava Rembrandt come era ovvio servendosi della dicotomia forma classica e meridionale versus informe/irrazionale/gotico/nordico, e dun-
Dopo la densa relazione, si è aperto il dibattito e uno spazio privilegiato è stato riservato ai liceali, che hanno posto diversi quesiti, provocando, con le risposte, si potrebbe dire una seconda relazione non meno interessante della prima. Maria Antonietta del Liceo scientifico ha chiesto qual è l’insegnamento della critica santoliana: «che il dato filologico e il giudizio estetico devono andare di pari passo», ha risposto la studiosa e ha aggiunto: «Santoli fa sì che questi testi parlino al cuore del lettore. La filologia è giudizio critico; se alcune parti sono allotrie, bisogna dirlo». Si è inserito in tale discorso il prof. Bozzo osservando che «la critica letteraria parte da Benedetto Croce, che ha insegnato a capire che cos’è la poesia».
...noi che assistiamo alla diffusione di libri confezionati, di durata effimera, merce usa e getta, pubblicizzata purtroppo da midia corrivi e insinuanti, nei confronti dei quali il pubblico dei lettori spesso non riesce a difendersi
Rispondendo a una domanda di Ilenia del liceo scientifico sull’importanza dell’edizione castrovillarese, Di Noi ha dato una risposta che ha suscitato il vivo compiacimento dei soci Aicc di Castrovillari: «Questo Faust - ha detto - ha dato una scossa alla germanistica italiana». La professoressa Anna Buonfrate ha chiesto quanto deve il Faust di Goethe a quello di Marlowe. Il poeta inglese ha influenzato indirettamente Goethe, in particolare nel secondo Faust relativamente alla dimensione teatrale, è stata la risposta. Poi, Flavio Giacomantonio, venuto da Cosenza, ha richiamato l’attenzione sulla difficoltà della lettura del Faust da individuarsi nella scaturigine della poesia dal profondo sentire dell’uomo ansioso di scoprire se stesso. Di Noi ha aggiunto che il Goethe, nel Faust, filtra, attraverso il suo sentire poetico, il presente, la crisi del presente. Ancora altri studenti hanno posto domande di taglio specialistico come Simone del Liceo classico, che ha chiesto se ci sia un nesso tra la tragedia di ispirazione greca Ifigenia in Taurine e il Faust. Soprattutto col secondo Faust c’è continuità, è la risposta: in particolare, Faust quando si ribella al mondo barbarico discopre il contatto con la tragedia. Francesco del Liceo scientifico sollecita la relatrice a soffermarsi sulla diffusione del Faust in Germania e in Italia. In Germania, l’opera fa parte, ovviamente, è stato risposto, del patrimonio culturale; in Italia, per merito di Croce e di Lukacs, ha avuto una vita duratura nel secondo Novecento. Carolina del Liceo classico ha voluto sentire sulla traduzione di Santoli l’opinione di Di Noi, la quale ha affermato che Santoli cerca di avvicinare il testo letterario al lettore, è un traghettatore. La traduzione di Santoli è viva, non cartacea. Infine, rispondendo a una domanda di Francesco del Liceo scientifico che ha chiesto cosa possa dire, oggi, il Faust a un giovane, ha affermato che lo Streben faustiano, il ‘tendere’ è qualcosa di peculiare, di tipico. Il Faust è un personaggio letterario che rivela una dimensione sociale, che è, senz’altro, un aspetto significativo. Dopo un dibattito ricco e stimolante, in aggiunta a una relazione articolata e profonda nelle argomentazioni, il pubblico non poteva non rimanere soddisfatto. Come pure l’Associazione, che ha ottenuto apprezzamenti per l’iniziativa editoriale in Germania, come, ad es., da parte del Direttore, dr. Joachim Seng, della Biblioteca della Casa di Goethe di Francoforte, e dal Sovrintendente della Pinacoteca di Berlino, dr. Roberto Contini; in Italia, ad es., da parte del docente di Letteratura tedesca presso l’Università Federico II di Napoli, Bernhard Arnold Kruse, e del Presidente Emerito della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi. A conclusione dell’incontro, l’associazione ha offerto, come ricordo particolare della memorabile giornata, a Mario Bozzo e a Barbara Di Noi, lo statere incuso d’argento dell’antica Sibari riprodotto l’anno scorso, per la prima volta, per iniziativa della Delegazione castrovillarese, dal giovane orafo di Castrovillari Francesco Scriva.
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Gli amici non se ne vanno Cartelloni da supermercato, LA MUSICA DI OGGI IN DEGRADO?
La musica è finita di Egidio Ventura
presidente associazione musicale Bequadro Lamezia Terme
Programmi ripetitivi, interpreti prevedibili, repertori limitati. Ormai ogni ‘stagione’ assomiglia a se stessa. Complice il potere (eccessivo) delle agenzie e di certe organizzazioni di concerto fondate sul baratto: qui suoni tu, là mio fratello. È triste pensare che ogni tanto bisogna selezionare la posta e liberare i cassetti stipati di programmi di sala, di depliant di festival, di brochure residuate da conferenze-stampa, di comunicati, di calendari di stagioni. Una volta era un lavoro necessario a fine anno (stagionale, s’intende: un giro a giugno un altro a settembre), oggi si può farlo con cadenze più ravvicinate. La ragione? La maggior parte di quel materiale patinato è inutile. Per capirlo, non occorrono ragionamenti sottili: basta sfogliare i documenti prima di “archiviarli” tra la carta da riciclare, per rendersene conto. L’infecondità è un dato di fatto, non un’opinione. È facilmente calcolabile sommando la ripetitività dei programmi, la prevedibilità degli interpreti, la limitazione del repertorio, la genericità delle presentazioni e (dove si possono ancora riconoscere) dei “percorsi” artistici. Ciò detto, non si vuole sostenere che domina solo una mediocrità ordinaria, ma che ogni stagione assomiglia a se stessa e a quella del vicino di campanile o di provincia o dell’anno precedente, secondo una sorta di aurea e tranquillizzante miscela di artisti e di musiche che fanno la felicità del pubblico pigro, delle agenzie artistiche che con una paio di tournée ben piazzate occupano i propri artisti per settimane, degli organizzatori che vogliano mettere all’incasso preventivo centinaia di abbonati sicuri e dei finanziatori che esigono - senza dichiararlo, per carità - che la sala sia sempre piena e a stomaco contento. Il fenomeno ormai è capillare e non ha nulla a che fare con i progetti di cooperazione (pensiamo agli originali cicli creati in Calabria. Parliamo di calendari concertistici che hanno rinunciato a qualsiasi motivazione artistica originale, che spesso si sono consegnati all’interessata esperienza dell’Amico di turno che ha continuamente elergito oboli per la realizzazione di quanto detto sopra. Felici di collaborare, agenzie e segretariati artistici (abbandonate le antiche velleità, il lodevole calmieramento dei compensi), si sono dedicati a più redditizio calmiere: quello del gusto del pubblico. E così, complice l’ignavia di molti responsabili artistici, si sono dedicati a firmare segretamente cartelloni unendo l’utile (cioè la parcella) al dilettevole (cioè il lancio o la promozione di artisti della casa), e contribuendo a dare un’ulteriore spallata alla credibilità di molti cartelloni, ridotti al rango di portaborse delle diverse organizzazioni di patrocinio artistico o fondati sul clientellismo più smaccato e caparbio (io ti ospito, così tu fai suonare nel tuo teatro mio fratello e la mia allieva che nell’occasione dirigerò io, e via mercanteggiando...).
È facilmente calcolabile sommando la ripetitività dei programmi, la prevedibilità degli interpreti, la limitazione del repertorio, la genericità delle presentazioni e (dove si possono ancora riconoscere) dei “percorsi” artistici
Ecco spiegata la sgradevole sensazione che ci accompagna a ogni inizio di stagione quando dietro la maggior parte dei calendari viene (la leggere (in) direttamente una sorta di mappatura del potere delle agenzie e di certe organizzazioni di concerto fondate sul baratto e direttamente il peso dell’incompetenza chi “firma” ufficialmente la locandina generale, e poi la presenterà con orgoglio agli abbonati e ai possibili sponsor. Dal punto di vista strettamente culturale, la maggior parte delle proposte sancisce la propria natura prioritaria di prodotto preconfezionato afferrato in un qualunque supermercato artistico. Avete presente? Sulle scaffalature, invece di scatolette ci sono gli esecutori divisi per ‘specializzazioni’: di qui i classici, di là i romantici, dietro i novecenteschi, dall’altro lato gli ecclettici, e poi in un angolo gli strumenti antichi o i maniaci delle integrali e via via a soddisfare le attese del pubblico medio. Pubblico da supermercato, appunto, che vuole Mozart suonato dal mozartiano, Verdi cantato dal cantante verdiano doc (come se ce ne fossero!), Rachmaninov eseguito dal pianista russo e Ravel da quello francese, Puccini diretto dall’italiano e Strauss dal tedesco. Al massimo, si può svariare con una serata alternativa (dai Beatles a Piazzolla, va sempre bene) o ammiccare con il look dell’interprete di turno che faccia parlare i giornali di “svecchiamento” del pubblico e dei programmi, e pontificare gli organizzatori di “nuovi spettatori” e di “aperture”: perché la
musica è senza confini. Così non si educa nessuno. Si farà piacere a qualcuno, forse: ma è triste pensare che in un tempo dominato dalle possibilità interplanetarie di ascoltare qualsiasi musica (e a ogni ora e in ogni angolo del globo), lo spettatore consapevole si debba accontentare di ciò che offre il mercato. E, soprattutto, che i direttori artistici se ne servano, invece di ‘approfittare’ della loro posizione privilegiata - e spesso dementata - per orientare il pubblico, per stuzzicare i musicisti con nuovi confronti, per rianimare la storia dell’interpretazione che a giudicare da quei depliant quasi tutti uguali rischia di non superare l’attuale stato cadaverico. Per pigrizia, paura e incompetenza di chi dovrebbe garantirne il rinnovamento e invece lavora per tenere in vita con accanimento terapeutico il vecchio.
sabato 24 maggio 2014
Per avvicinare i giovani ai pennelli I fenomeni artistici che hanno caratterizzato la Calabria. Dagli Anni '60 a oggi
Dalle neoavanguardie all’arte elettronica L’amministrazione comunale di Francavilla Marittima con l’assessorato alla Cultura Giancarlo Chiaradia organizza la presentazione del libro di Carmelita Brunetti giornalista storica e critica d’arte, Dalle Neoavanguardie all’arte elettronica. I fenomeni artistici che hanno caratterizzato la Calabria dagli Anni ‘60 a oggi. L’evento prevede non solo la presentazione del volume a cura dello scrittore Franco Dionesalvi, recentemente premiato dalla commissione cultura del Comune di Cosenza e autore del festival Invasioni, ma anche della presentazione, a cura della Brunetti, della nuova collezione di design della pittrice e illustratrice del Quotidiano della Calabria, Luigia Granata. L’evento è stato organizzato nell’aula magna della scuola “Corrado Alvaro” di Francavilla Marittima per far avvicinare i giovanissimi al mondo dell’arte contemporanea e far scoprire un mondo spesso ignorato dai giovani studenti. Dopo i saluti del sindaco di Francavilla Marittima Leonardo Valente e dell’assessore alla Cultura Giancarlo Chiaradia e della dirigente Maria Carmela Rugiano, parleranno del libro l’autrice e lo scrittore Franco Dionesalvi. Il libro ripercorre cinquant’anni di storia dell’arte vissuta in Calabria a partire dagli Anni ‘60 a oggi. Nelle pagine del saggio si incontrano i Maestri come Mimmo Rotella, Angelo Savelli, Antonio D’Agostino, Guerrieri, Carbone, e gli emergenti calabresi che si sono conquistati il mercato internazionale e nazionale. Con questa ricerca si è cucito un tassello di storia che la Calabria contemporanea non aveva. Il saggio è stato realizzato grazie alla disponibilità degli artisti che hanno accolto le interviste dell’autrice. Il libro è stato pubblicato da Falco editore e arricchito dalla prefazione di Stefano Ferrari, prezzo 15 euro, foto in bianco e nero. Distribuito dalle migliori librerie, Feltrinelli, Mondadori, Ubik. Sponsor della manifestazione, “Cuore di pasta” di Virginia e Angelo. “Cuore di pasta” offrirà una degustazione di pasta fresca ripiena con erbe officinali. Una gustosa pasta all’uovo nata da antiche tradizioni della Romagna-Toscana. Una arte culinaria che si incontra con il mondo dell’arte contemporanea per far regalare un buon gusto al palato oltre che alla vista. Il laboratorio di “Cuore di pasta” si trova presso il centro commerciale “I Pini” in contrada Imbreci, Villapiana Scalo (Cs). L’evento è organizzato dall’amministrazione comunale di Francavilla Marittima (Cs) Assessorato alla Cultura Giancarlo Chiaradia In collaborazione con l’Istituto comprensivo statale “Corrado Alvaro” coordinamento vice preside Zecca Per informazioni: Carmelita Brunetti e-mail: carmelita.arte@tiscali.it - cell: 3467620201
Presentazione delle nuove creazioni di Design di Luigia Granata a cura di Franco Dionesalvi e della giornalista e critica d’arte Carmelita Brunetti all’Istituto “Corrado Alvaro” sabato 31 maggio a Francavilla Marittima (Cs)
In occasione della notte europea
Emozioni al museo della Certosa di Serra Per il quarto anno consecutivo, anche i museo della Certosa di Serra San Bruno, partecipa all’evento europeo dedicato alla cultura museale. Il museo è rimasto aperto in via straordinaria e gratuita dalle 18:00 alle 24:00 di sabato scorso registrando un alta affluenza di visitatori locali e non. Durante la serata, presso la nuova sala polivalente del museo, l’Istituto musicale “Pietro Mascagni” ha presentato un incontro musicale con la “Fisaorchestra” di san Lucido ed il fisarmonicista Francesco Cassano, che hanno deliziato il pubblico (via via sempre più numeroso) con due ore di musica . La “fisorchestra” composta da otto giovanissimi e talentuosi musicisti: De Luca Francesco, Sanzone Settimo, Guglielmi Marco, Lenti Carmelo, sansone Raffaele, Naccarato Luigi, Sacco Pietro, e Tribinto Daniele; ha aperto la serata con l’Inno Nazionale Italiano proseguendo poi con una serie di arran-
giamenti dei più famosi brani Italiani, quali Nel blu dipinto di blu, Tu vo’ fa’ l’americano e colonne sonore come la La vita è bella di Piovani, particolarmente apprezzato il brano Serenità composto dal maestro Cassano per l’occasione. A seguire lo stesso maestro ha toccato gli animi dei presenti con l’esecuzione da solista di brani sacri e dei più celebri Tanghi composti per fisarmonica da Astor Piazzolla. La serata è stata presentata dal giovane e brillante direttore del Mascagni maestro Luca Amato, che con sapienza e simpatia ha condotto gli ascoltatori in questo viaggio musicale nella splendida cornice del monastero serrese. Soddisfazione è stata espressa dal dottor Fabio Tassone, Direttore del Museo, che si è complimentato con i musicisti e con l’Istituto Mascagni per aver dimostrato grande professionalità e serietà. Tassone ed Amato, hanno annunciato una convenzione tra Museo della Certosa e Istituto musicale “Pietro Mascagni”, dunque i due Istituti culturali insieme per la realizzazioni di interventi volti a promuovere la cultura, la musica e l’arte in generale. La serata si è conclusa con la visita del museo da parte dei ragazzi dell’orchestra che assieme alle loro famiglie hanno contribuito alla buona riuscita dell’evento.
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sabato 24 maggio 2014
Parole sante... I frutti della Calabria in Vaticano e nelle basiliche romane
Dal legno della Sila ai pregiati vini regionali di Pietro De Leo
Un forte legame tra Roma e il patrimonio ecclesiastico nei Brutii è attestato in alcune lettere di Papa Gregorio Magno
Uva di Calabria
I legni della Sila Un forte legame tra Roma e il patrimonio ecclesiastico nei Brutii è attestato in alcune lettere di papa Gregorio Magno riguardanti l’approvvigionamento e il trasporto a Roma - via mare (probabilmente dal porto di Vibo Valentia) - di travi di legno della Sila, da adoperare per i tetti delle basiliche dell’Urbe. In primo luogo va ricordata l’epistola che papa Gregorio inviò nel 599 ad Arechi I, duca longobardo di Benevento dal 591 al 641, pregandolo di agevolare, per quanto era in suo potere, il trasporto delle travi necessarie ai lavori di restauro della Basilica Vaticana, travi che erano state ricavate dalla “selva dei pini” dei boschi silani di proprietà della Chiesa nei Bruttii ancora occupati dai Bizantini. L’importanza del legname calabrese, non intaccabile dalle tarme e duraturo, emerge dal fatto che il papa coinvolse in tale attività personaggi di rango del mondo politico-amministrativo ed ecclesiastico, come il suddiacono Savino, rector del Patrimonio della Chiesa nei Brutii, e vescovi locali. Anche papa Sergio I ( 687-701) fece affluire dalla Calabria le travi di legno per la basilica di S. Paolo, analoghe a quelle rinvenute sul Celio nella Basilica Hilariana. Parimenti nel 714 papa Gregorio II, volendo restaurare la basilica di S. Lorenzo fuori le mura, inviò a Cosenza dei legati per sollecitare il vescovo Roffrido a far tagliare alcune travi della Sila e farle trasportare a Roma. Tale usanza continuò non solo in età medioevale, come risulta dalla documentazione relativa alla ricostruzione della Basilica Lateranense, dopo l’incendio del 1360, voluta da papa Urbano V, ma si protrasse anche in età moderna.
nata, al quarto capitolo dedicato alla fertilità della terra, p. Giovanni Fiore da Cropani: «Abbonda ...la Calabria di nobilissimi vigneti, ne’ quali è da vedersi qualunque delle uve che o produsse la natura , o coltivò l’arte. Io potrei contarne più spezie, e pure non so del rimanente: altre negre, altre rosse, altre bianche, altre indorate. Queste lunghe, quelle tonde, quelle adovate; queste grandi, quelle piccole, quelle mediocri, tutte però così belle al vedere e così delicate all’assaggiare, che sembrano uscire dal terrestre Paradiso...». Ciò, di fatto, altro non era che la conferma di quanto avevano già declamato in età classica il viandante greco Strabone (58 a.C. -21/25) nella Geografia e lo scrittore latino Plinio il Vecchio (23-79d.C) nella Naturalis historia tessendo le lodi di tanti vini del Brutium, e segnalando - si direbbe ante litteram - altrettante denominazioni d’origine controllata. Del resto la coltivazione dei vigneti era talmente intensa sin dall’età ellenistica che la regione fu detta “Enotria”, ossia: terra del vino. I vini pregiati di questo territorio - come testimonia una memorabile lettera di Cassiodoro indirizzata tra il 533/37 ad Anastasio, cancelliere della Lucania e del Brutium - insieme con il caciocavallo silano (silaneum caseum) dal gusto unico e dal sapore inconfondibile. erano particolarmente graditi alla mensa dell’imperatore ostrogoto Teoderico, e la loro produzione era affidata a criteri del tutto empirici, tramandati oralmente da ge-
I vini pregiati della Regione Insieme al legno e alle spezie di cui è dotata la Regione, anche i vini erano graditi e sorbiti non solo nella corte papale, ma giungevano altresì sulle lussuose mense imperiali e nobiliari. Risorse ben note sin dall’antichità, come scrisse nel II libro Della Calabria fortu-
La Basilica di San Paolo a Roma Accanto al titolo, Norman Douglas e Graham Green A destra, Papa Francesco
sabato 24 maggio 2014
Parole sante...
Riguardanti l’approvvigionamento e il trasporto a Roma - via mare (probabilmente dal porto di Vibo Valentia) - di travi di legno dell’altipiano da adoperare per i tetti delle basiliche dell’Urbe nerazione in generazione. È il caso del “moscato di Saracena” dal colore giallo ambrato, con delicato aroma, dolce, vellutato, caldo e gradevole, come recitano le fonti a partire da Plinio, che ricorda l’antenato di questo vino detto “balbino”: una qualità riconosciuta nell’ambito del Mediterraneo tra XIV e XV secolo, come scrive Federico Melis, a tal punto che i viaggiatori stranieri l’avrebbero segnalata nel loro “Grand Tour” tra XVII e XIX. Interessante, a tale proposito, quanto si legge ne Il Regno di Napoli in prospettiva di Giovanbattista Pacichelli (1634-1695), pubblicato postumo nel 1703. Dopo aver osservato che «si gode in questa Terra [della Saracena] un’aria molto perfetta, e la migliore della Provincia; il suo territorio - egli scrive - è per ogni parte prezioso, vago e dilettevole, irrigato dal fiume Garga e da altre belle e salutari acque, che dentro e fuori l’abitato formano molte fontane». E aggiunge subito: «... per parte della pianura produce ottimi grani, e tutte l’altre specie di vettovaglie, vini generosi: i migliori della Provincia...», tra cui ovviamente “il moscato dei saraceni”. Quel vino che George Gissing ricorda piacevolmente nel suo diario di viaggio By the Ionian Sea (1901), dopo averlo gustato nella sosta fatta a Sibari lungo il percorso della Magna Grecia, ma che sin dal sec. XVI era già presente sulla tavola dei Sommi Pontifici, come risulta all’epistolario del card. Guglielmo Sirleto (Stilo 1514 - Roma, 6 /10/1585), tràdito nel cod. Vat. Latino 6186. Nel periodo, infatti, in cui il Sirleto,
card. diacono di San Lorenzo in Panisperna, fu prima vescovo di San Marco Argentano (1566-1568) e poi di Squillace ( 1568-1575), si premurò di far spedire ogni anno dal porto di Scalea alla corte pontificia il vino rosso moscato di Saracena per i desserts e il vino bianco di Verbicaro per la celebrazione della Santa Messa. Una consuetudine che mantenne anche quando rientrò a Roma nella Curia Romana, come risulta dalle sue lettere, e fu trasmessa ai nipoti Marcello (1573-1594) e Tommaso Sirleto (5 settembre 1594-1601) suoi successori nella sede episcopale di Squillace. Suscita interesse la circostanza che Andrea Bacci, allora archiatra pontificio, nel saggio De naturali vinorum historia, stampato a Roma nel 1596, nel quinto libro, dopo aver lodato il vino chiarello di Cirella, i vini di Scalea, Belvedere e San Lucido, che si portavano a Roma, in particolare il cerasuolo, la vernaccia e il trebbiano, si sofferma a descrivere minutamente come si realizzava il moscatellum vinum, presente sulle tavole dei principi: un vino particolare che gli antichi chiamavano anche “greco”. Esso - annota il Bacci - veniva fatto in tre modi. E proprio il terzo modo che prevedeva la “bollittura” è quello che è stato sempre utilizzato a Saracena, come indicano non solo le fonti orali, ma anche quelle scritte da P. Fiore da Cropani a Leopoldo Pagano e altri autorevoli saggisti: si pensi a Norman Douglas che dopo il suo viaggio nella regione tra il 1907 e il 1911, postillava in Old Calabria: «quasi ogni villaggio ha il suo proprio tipo di vino ed ogni famiglia che si rispetti ha un metodo particolare di farlo, che si tramanda da generazione in generazione», tanto che suggeriva di rivolgersi al clero, che conosceva i segreti dei fedeli, per accertare quali fossero le produzioni di qualità e la ricetta del “moscato” prodotto a Saracena, paesino «famoso fin dai secoli passati per il suo vino», che a suo dire «si ottiene ancora dall’uva portata dai saraceni da Maskat». Il mosto, ottenuto vinificando malvasia e guarnaccia, è ricordato nel 1763 anche da Pietro Pompilio Rodotà nel III libro Dell’origine, progresso, e stato presente del Rito greco in Italia, dove ricorda che «ne’ giorni della settimana di resurrezione» la corte pontificia, dopo aver cantato l’Ufficio divino, si ristorava «con un sobrio bicchiere» di quel vino nel Portico di S. Venanzio della Basilica Lateranense, e innalzando i calici esultava «venite e fruiamo del vino e dei suoi preziosi unguenti». Per riaffermare questa secolare tradizione, celebrandosi il Giubileo del 2000, nel corso dell’udienza concessa il 24 maggio da Giovanni Paolo II ai rappresentati delle 180 aziende calabresi aderenti al Protocollo etico Giubileo delle imprese, ideato e realizzato per promuovere il turismo religioso nella Regione dal Bic Calabria -Sviluppo Italia, presieduto da Francesco Samengo, vennero offerti al Papa i migliori prodotti tipici locali, grazie all’interessamento del vescovo di San Marco Argentano mons. Domenico Crusco, successore del card. Sirleto in quella sede, di recente scomparso. Gli stessi che il 31 gennaio 2001 vennero esposti e presentati a Bruxelles, nella prestigiosa cornice del Parlamento Europeo, accompagnati dalla degustazione dei piatti tipici calabresi, per allargare gli orizzonti culturali del fare impresa nella “nostra regione”, come mise in risalto il parlamentare europeo prof. Giuseppe Nisticò. ex presidente della Regione Calabria accompagnato dal Premio Nobel per la medicina per il 2000, prof. Arvid Carlsson. Interessanti ed emozionanti ricordi, mentre la Calabria - nel V Centenario della nascita a Guardavalle del card. Sirleto, prefetto della Biblioteca Vaticana - attende Papa Francesco e il Parco Nazionale della Sila auspica di essere giustamente inserito nel patrimonio dell’Unesco.
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Voce ai poeti Una giornata tra pennelli e liriche d'amore
L’Unione cattolica artisti italiani di Corigliano Calabro è tra le sezioni che hanno aderito alla Giornata nazionale dell’arte
Fino in fondo al cuore L’Unione cattolica artisti italiani di Corigliano Calabro è tra le sezioni che hanno aderito alla Giornata nazionale dell’arte, promossa dall’Organizzazione nazionale, e che attraverso le sue rappresentanze sparse in oltre trenta città italiane hanno dato voce ai poeti e ai pennelli in una nuova forma di connubio. (Se è vero come è vero che la pittura è poesia che sta in silenzio e la poesia è pittura che parla). Per l’occasione, l’associazione ha organizzato in Santa Maria Maggiore, nel centro storico della cittadina ionica, una rassegna d’arte contemporanea, dedicata al Libro d’artista ma, ancora, più intimo come il diario d’artista, dal tema “Fino in fondo al Cuore” è un reading di liriche d’amore. L’evento si è svolto nella splendida cornice della chiesa matrice costruita nella seconda metà del X secolo dai Mauresi e dedicata al culto di Santa Maria Assunta della Platea. La Chiesa subì notevoli trasformazioni nel corso dei secoli (oggi appare un gioiello bianco in cui devozioni, mitologia e sacro purista, si mescolano tra di loro, in uno scenario che nasconde nell’abside
Vilma Perrone Sopra al titolo, Maria Credidio
un coro di legno datato e di raffinata bellezza quasi intatta). Alla rassegna hanno preso parte più di quaranta artisti visivi, poeti e musicisti, un itinerario fra arte poesia musica e spiritualità. Le opere esposte sperimentano diverse tecniche artistiche e nuovi linguaggi. Pagine, quindi, come opere d’arte; poesie visivamente sottolineate dalla pittura; citazioni su carta, su tela, su metallo, su pietra, su fotografia. Manipolazioni, reinvenzioni degli artisti stessi, evocando il dono dell’Amore quale espressione alta del sentimento più profondo dell’uomo, per attestare valori positivi e speranza per un mondo migliore. Gli artisti presenti: Maria Romeo, Antonio Strigari, Lucia De Cicco, Francesco M.T. Tarantino, Rosa Spina, Pierfrancesco Aversente, Andrea Biffi, Isidoro Esposito, Lucia Paese, Anna Casolaro, Giuliana Aversente, Rocco Regina, Giuseppina Irene Groccia, Nunzio De Marco, Daniela Torchia, Stanislao Donadio, Vilma Perrone, Gaetano Caira, Angela Gallo, Tiziana Mitri, Teresa Galasso, Rosa Leale, Elena Distefano, Loredana Aino, Maria Clemente, Fernanda Marzullo, Rossella Falabella, Giuseppe Donadio, Aurora Pietramala, Angelo Barillari, Antonella Vincenzo, Sonia Quercia, Domenico Terenzio, Massimiliano Manca, Rosa Arcidiacono, Franco Gallina, Giuseppe Spina, Cinzia Aino, Luigi Zangaro, Alla Dzhumeva. Sono intervenuti: don Santo Aquilino parroco di Santa Maria Maggiore, Mario Vicino storico dell’arte Deputazione di Storia Patria per la Calabria, l’assessore alla Cultura Tommaso Mingrone del comune di Corigliano Calabro (Maria Credidio). Un’occasione che è stata preparata in collaborazione dell’associazione “Bottega degli hobbies” di Castrolibero, Cosenza, responsabile la professoressa, artista e poetessa, Vilma Perrone. Vilma è una donna che appare di grande umiltà e nella realtà lo è davvero, ha una associazione, che si occupa di tante cose, dal sociale all’artigianato, dalla poesia alle collettive ed estemporanee di pittura, ma ha un sogno nel cassetto quello di fondare una casa diurna di accoglienza per gli anziani, dare loro ciò che in tanti anni di esperienza da insegnante ha imparato, e comunicato ai suoi studenti una parte del suo meraviglioso mondo di colori e aiutarli, come dice lei, al ricordo, ad esercitare quella memoria, che con l’età inevitabilmente viene a cedere il passo alla dimenticanza. Vincitrice, inoltre, di premi di poesia in campo internazionale e non solo nazionale, abbandona a lungo questo sogno per dedicarsi ad altro, finché un giorno non si mette sulla sua strada, ciò che lei definisce una musa, che le fa prendere un’agenda, la sua, dove sono scritte, anche in dialetto pugliese, di Lecce, tante meravigliose poesie, dedicate alla famiglia, all’amore, a Dio. Di Maria Credidio, artista, a parlare lasciamo che sia una poesia, a lei dedicata da un poeta straordinario, un gigante, dietro i cui occhialini rotondi si celano occhi da buono, ma di chi, ahi, perdendo un bene prezioso, ha imparato il senso vero dello stare al mondo, come Pessoa: l’Amore. Quello carnale, viscerale, assoluto, cui un giorno tornare in un ideale platonico: ‹‹(...)Inciampo nei paesaggi di canne di alghe di spume/E cado come angelo ferito intrappolato in un vico/ in attesa che mi travolga lo scorrere del fiume/E mi soccorra il tempo col volto dell’eterno amico/Ho visto nel tuo mondo qualcosa che mi aspetta/E son qui a chiederti di svelarmene gli arcani/ (…)» (da Disturbi del cuore, “Omaggio” a Maria Credidio, pittrice di F. Tarantino). Una giornata di conoscenza, in cui la voglia di fare arte ha preso il sopravvento sulle bravure personali, la voglia di essere visibili e farsi conoscere, un dono come l’ha definito il sacerdote della chiesa matrice, donato, non per caso ma, figlio di anime in cui ancora traspare intatto il fanciullo, la voglia di sognare. Le opere tutte bellissime meriterebbero uno spazio così come le voci dei poeti, scegliamo però le due voci principali quella delle presidenti delle due associazioni Maria e Vilma, due spiriti diversi, la prima più pacata nei gesti, di profonda spiritualità e la seconda di grande vivacità intellettiva e vitalità che traspare da ogni suo gesto. Due donne due storie diverse, lo stesso amore l’arte e la voglia di fare di questo dono terreno fertile per comunità di sognatori. L’arte, aggiunge Maria Credidio durante la serata, per ognuno di noi consiste nel capire dal centro dello spirito i tesori e fu anche il discorso che Paolo VI tenne agli artisti nella Cappella Sistina, il 7 maggio 1964. La relazione, che fa il professore Mario Vicino, si è soffermata, maggiormente, nella descrizione della mirabile chiesa matrice e che volle essere un omaggio alla bellezza del luogo gentilmente concesso dal suo sacerdote don Aquilino. Un incanto di parole che hanno non solo arricchito la conoscenza storica delle opere, ma anche soffermandosi sul senso della poesia e la figura del poeta. Lucia De Cicco
sabato 24 maggio 2014
Pillole di fede Passaggio molecolare di anime in ascesa verso un Oltre
Orizzonti in divenire di Lucia De Cicco
Presentato nei giorni scorsi a Castrolibero, “Orizzonti in divenire”, ovvero quando la pittura è poesia silenziosa e la poesia è pittura che parla, dell’artista già docente di disegno, Rocco Regina, sulle cui opere pittoriche (che sono state in mostra dal 17 al 20 maggio scorso presso la biblioteca Corrado Alvaro di contrada Andreotta) il poeta e scrittore, nonché studioso di filosofia e teologia, Francesco M. T. Tarantino, ha composto splendide liriche. Il tutto in una cornice colorata, con geometrie, che celano paesaggi e molecole d’incanto cellulare, strade che portano all’oblio di vite spezzate tra pianeti, che immobili accolgono anime, che vagano in cerca di un ristoro o di un passaggio all’Oltre. Il colore che domina nelle immagini è il giallo e la pittura è un intreccio tridimensionale tra alti e bassirilievi scultorei. Promosso dalla “Bottega degli hobbies” di Castrolibero e partenariato dall’amministrazione Comunale, hanno partecipato la delegata alla cultura consigliera Yleana Illuminato e l’assessore al sociale Sabrina Pacenza, con il supporto del sindaco Giovanni Greco, attento osservatore del suo territorio, il quale continua una linea già intrapresa nella precedente amministrazione, quella della promozione del bello e dell’utile, per un territorio sempre in movimento e in crescita come Castrolibero, alle porte della città Bruzia. Ne hanno discusso con gli autori, Francesco Aronne, giornalista e critico letterario, il professore di storia dell’arte Mario Vicino, la presidente della Biennale di arte contemporanea Magna Grecia Maria Credidio, la docente e critico letterario Maria Teresa Armentano, ha finito la serata la presidente dell’associazione, organizzatrice dell’evento, e docente di arte, Vilma Perrone. Agli autori in finale il rispondere alle domande del pubblico e lo spiegare di questo incontro fortunato tra arte e poesia. Per caso, Tarantino, vede Regina, che dipinge per strada uno stormo di uccelli, che sono abbattuti dalla ferocia dell’uomo e dalla sua mania di possedere l’imponderabile e il ciò che vive libero nella natura, anime, che sfuggono e cui si spezza le ali. Pensa di proporgli di unire le due aspirazioni artistiche, che si può definire operazione riuscitissima, perché il lavoro sta avendo molto successo a livello nazionale. “Orizzonti in divenire” si è aggiudicato il 2° premio inter-
Quando la pittura è poesia silenziosa e la poesia è pittura che parla
nazionale città di Bitonto e ottenuto una targa di riconoscimento nella Regione Calabria, all’interno del premio Farina, per il valore del volume e che sarà consegnato il 1° di giugno prossimo a Roseto Capospulico. Del testo afferma l’Ucai di Corigliano Calabro in una nota diramata mezzo stampa: «Straordinario libro d’arte. Questo libro rivela quanto il connubio di arti visive e poesia sia una forma di espressione dello spirito in grado di ampliare la percezione dei concetti espressi nelle opere». Concetto largamente ripetuto nella relazione del professor Mario Vicino, partendo dalla poetica di Orazio, passando per il sommo poeta Dante con riferimento al poeta, forse più grande, Baudelaire. La prefazione del testo è stata curata dal critico letterario Francesco Aronne, in cui si legge: «Sommovimenti sismici non intenzionali, che scuotono a intervalli irregolari e con incostanti magnitudo aree racchiuse in dimenticati poligoni di un antico suolo a meridione (...) Rocco Regina sembra interrogarsi sull’azione della luce in altre angolazioni della diffrazione dell’iride ed ecco che la risposta (...) va cercata nelle coloratissime ed inedite ali che l’artista dispiega fendendo l’aria circostante col suo nuovo percorso (...) Tarantino con i suoi versi induce il lettore a varcare la porta dell’oltre indicando, nell’osare possibilità percettive inusuali e non ordinarie». Vi starete chiedendo, leggendo, se nell’arte di Regina c’è anche un riferimento alla musica? Certo! Nell’opera: Pianoforte. «Un ripetersi, ha affermato la professoressa Armentano, di termini con la stessa radice a sottolineare un’atmosfera magica, che circonda l’opera d’arte, tasti neri, che si alternano a strisce colorate convergenti al centro in un alone di luce che cattura l’occhio distratto dal nero incombente e da un azzurro che si propaga in un crescente. La sensazione della sonorità in un accordo, che risuona oltre lo spazio circostante e propagandosi invade l’anima. È la musica che alimenta le fantasie e amplifica i sogni e il ritmo cui abbandonarsi per essere trasportati lontano nel tempo e ritornare bambino in luoghi che (l’artista) non avrebbe dovuto abbandonare, uno stato d’innocenza che prevaleva sull’ostilità del mondo (...). La forza dell’immagine, dell’emozione travolge l’anima e la introduce in un’atmosfera sospesa ed esaltante di un evento sublime e inimmaginabile».
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sabato 24 maggio 2014
Il racconto
Poche le cose urgenti fatte e un tempo a disposizione sempre più ristretto
Una vita che fa morire di Giuseppe Aprile
Con passare degli anni si accorgeva ogni giorno di più che da una parte aveva fatto pochissimo delle cose urgenti da fare, dall’altra il tempo che gli rimaneva da vivere diventava sempre più ristretto e poco utile a fare quanto oramai gli sarebbe stato possibile perché aveva imparato continuamente e sapeva tanto. Molto era stato determinato dal suo essere costretto dalla voglia di fare che contrastava sempre con le sue possibilità di realizzazione. Da piccolo era proteso ad imparare, farsi una vita, affrontare il futuro. Da giovane la via intrapresa era tutta protesa a sviluppare le sue doti di pensiero e di azione. Tutta la sua fanciullezza è stata una voglia di diventare qualcosa e qualcuno: non sapeva che cosa, ma operava guardando al domani. Dopo la prima fase di giochi e trastulli spensieratamente, gli venne in mente di cominciare a pensare al domani quando avrebbe dovuto svolgere un mestiere per guadagnarsi la vita economicamente e per applicare le sue doti secondo la tendenza della propria persona. Il primo pensiero di un giovane era di trovarsi un lavoro che gli avrebbe garantito il sostentamento economico facendosi pure una famiglia. Ha protratto al massimo il tempo dei giochi e dei divertimenti, ma presto gli venne l’idea che per vivere avrebbe dovuto imparare un mestiere, un’arte, procurarsi un lavoro stabile. La scuola è stato il campo più grande e ricco dove la sua mente avrebbe potuto fare di più e meglio. Non c’erano possibilità di lavoro retribuito, al suo paese, una volta che la campagna era oramai diventata ragione di fatica immensa senza retribuzione permanente e con pochissimo guadagno. Per tutti i figli benestanti, la scuola era il rifugio generale. Tutti a scuola, comunque o in campagna. Trascorreva il tempo senza una sua grande e programmata utilizzazione. Lui, Peppe, aveva intrapreso gli studi presso una scuola di Locri. La fatica degli studi tardava ad alleggerirsi. Non amava la scuola, purtroppo. Studiava più per fare contenti i suoi genitori che per la voglia di imparare. Non amava studiare ai primi tempi, pur comprendendo che lo studio sarebbe stato un fatto immenso, dove avrebbe potuto fare di più e illimitatamente. Alla scuola non c’era un mestiere da apprendere, anche se gli era stato imparato che c’erano i mestieri con cui avrebbe potuto fare una scelta a secondo delle possibili convenienze future per guadagnare il denaro e vivere degnamente; costruirsi una famiglia. Tutto preso dai problemi della vita quotidiana e dal fare degli altri, grandi e piccoli, genitori e figli, tardava a capire quello che poi, verso la fine della sua esistenza, ha capito potendo solo prendere coscienza della vastità dei saperi e delle possibilità di fare -ed anche delle necessità di fare-. Il tempo gli trascorreva e lui restava spesso afflitto da dubbi, incertezze, cosa da spiegarsi, ragionamenti sulla vita e sui rapporti sociali. La scuola non gli spiegava gran che. Solo qualche professore si faceva apprezzare, ma con risultati relativi. Osservava il vivere degli altri, la quotidianità di chi gli stava vicino, l’evolversi della vita nel paese in cui era nato e nel quale viveva. Durante la giovinezza ognuno pensa solo riferendosi in tutto e per tutto alle cose quotidiane e solo un sogno faceva per il futuro: che fosse garantito dal denaro necessario per vivere. Pietro di Pasquale Brancatisano aveva un futuro solamente legando il tutto al modo di vivere del padre: lavori massacranti ma con soddisfazione perchè era dedito al lavoro e non aveva mai preso l’abitudine di legarsi ai piaceri della vita. Continuava a guardare il gregge al pascolo, ad accudire ai suoi biosogni, a fare dei più e del meglio per la sua giornata che restava come quella del padre per sempre. Pasquale Brancatisano, il padre, anche ora che è diventato vecchio assai e senza più vista sufficiente. Lo trovai l’altro giorno, dopo circa sei mesi che non lo vedevo, nel suo orto a zappare, dissodare le terra, togliere, come sempre, pietre da essa per renderla coltivabile. Ed era contento, non desiderava altro che continuare il lavoro di sempre per recuperare terra a quelle zone scoscese, in forte pendio, dove un fazzoletto di terra costava giorni di sacrificio.
Preso dai problemi della vita quotidiana tardava a capire quello che poi, verso la fine della sua esistenza, ha capito potendo ormai solo prenderne coscienza
«Vedo le pietre per abitudine e per abitudine riesco a pulire la terra piantandovi. Per abitudine riesco a tenermi in piedi con il bastone, a zappare ogni tanto un pezzo di terra che ora vedete assai pura, produttiva, capace di far fruttare ogni cosa che io metto dentro ad essa con la radice» mi dice sentendomi, più che vedendomi se non come una ombra. E continua: «la mia vista non è più quella di una volta. Nessuno pensa che alla mia venerabile età di novantadue anni ho più piacere nella sofferenza del mio lavoro di sempre, che se stesso seduto a casa, magari sdraiato su una comoda poltrona. Non fatevi mai vincere dal desiderio del riposo» mi dice. E mi offre lezioni di vita parlandomi, dicendosi fiero della sua vita di lavoratore, di come ha saputo costruire e portare avanti la famiglia. Pietro, il figlio, lo accompagna in campagna, a Prestio, con la sua auto e poi sparisce. Sale verso le montagne dove tiene un gregge assai numeroso e per tutta la giornata ci lavora con esso. Non conosce soste. Provvede al pascolo per ore interminabili, custodisce gli animali ad ogni fine giornata, li lascia sistemati e tranquilli prima di tornarsene a casa e, passando dall’orto di Prestio, prendere il padre e dargli un passaggio per il ritorno a casa, dopo l’amato lavoro. Tutto l’appezzamento di terreno è stato ricavato togliendo pietre con la zappa, falciando l’erba esistente, poggiandosi sempre verso il basso, curvo, pieno di acciacchi e grandi stanchezze, ma fiero del suo operare. Pietro lo lascia la mattina e o prende la sera sulla sua auto. Sa che il padre non riesce a starsene a casa, che per lui l’unico riposo accettabile è la fatica. Lo stare sul lavoro e senza riposo se non quando proprio non ce la fa. «Voi pensate» mi dice, «che sto faticando e non vedo l’ora di riposare? Non è così, vi dico. Io voglio stare qui, sulla terra, curvo, attac-
sabato 24 maggio 2014
Il racconto
cato alla fatica che amo; senza di che non sarei più io. Voglio lavorare, ricavare qualcosa dalla terra che è la vera nostra ragione di vita. La terra dà da mangiare a tutti noi che la dobbiamo amare. Chi non lavora non sta tranquillo. Chi non ama il lavoro di campagna, va ritento un deviato. La fatica si accoppia alla vera contentezza, alla felicità: è felicità, l’unica felicità possibile e vera. A me il lavoro degli uffici non piace, anche se capisco che per come è strutturata la società, anche quel tipo di lavoro ha una sua funzione. Ma a me, dentro un ufficio mancherebbe l’aria, Voglio stare all’aperto, se piove o c’è il sole, se fa caldo o fa freddo, comunque sia la giornata. Conta amare la campagna, voler lavorare e sapere che se si vuole lavorare si lavora e la stanchezza non si sente. Se uno non ama il lavoro, è sempre stanco, ossia infelice, seccato. Non vive». Pietro ama il padre come la terra. Gli vuole un bene infinito. Sa che dal padre ha ereditato tanta passione per il gregge, per la campagna, per la vita antica dei sacrifici e del lavoro massacrante. E dice: «Più massacrante è, e più amo il lavoro. Se non mi stanco, non mi sacrifico, non provo soddisfazione. La gente tende ad evitare la fatica ed il maltempo. Io amo entrambe le cose e odio le giornate in cui non posso produrre la mia fatica. Io ho imparato da mio padre, da quersto vecchierello che anche ora, all’età dei novant’anni e più, è arzillo, non si riposa mai, non vuole stare a casa, vuole portato sulla terra a fare quello che ha sempre fatto, da giovane e sempre. Non ci sono più uomini di questo stampa» conclude. Davvero la vita sembra spesso negare una esistenza da vivi. Il massacro di lavoro sulla terra, sembra avere condannato la persona a starsene continuamente curvato tra le zolle, tendente a dissodare terra e scoscesi, disposto ad ogni sacrificio pur di vivere così, impe-
«Voi pensate» mi dice, «che sto faticando e non vedo l’ora di riposare? Non è così, vi dico. Io voglio stare qui, sulla terra, curvo, attaccato alla fatica che amo; senza non sarei più io!»
gnato, sempre pronto a rinnovare il suo impegno, a continuare la sua giornata tra stenti e curvato sul manico della zappa. Pasquale Brancatisano sa che la terra rende giovani, vivi, allenati, affaticati ma contenti di essere. Ho trovato Pasquale Brantatisano intento a zappare, piantare, curare ogni minimo particolare sulla terra che lui ha strappato alla collinetta davanti a lui e recentemente comprata per rendere più grande il suo appezzamento di terrenocce viene denominato Prestio. La moglie gli è morta recentemente. Catuzza, così si chiamava, è stata curata a dovere da lui, dal figlio, dalla brava nuora. Negli ultimi anni della sua vita stette molto male. Aveva bisogno di tutto. Anche per mangiare non era più autonoma. Era una donna che per tutta la vita aveva assecondato l’intera famiglia ed ora aveva il giusto premio: nella vecchiaia era accudita alla meglio, con grande affetto. «Sono stati lunghi anni quelli che le abbiamo dedicato per tenerla in vita, aiutarla, farle ogni forma di assistenza» dice Pasquale. «Ed il figlio Pietro» continuando, «ha fatto quanto ha potuto,. Curandolo, senza mai fiatare, senza mai accusare stanchezza e difficoltà, Sempre con pazienza, con amore, con grande disponibilità. È stato un vero figlio, riconoscente. Contrariamente a come sono tanti giovani d’oggi che si scansano ogni forma di fatica. I giovani d’oggi spesso fanno finta di niente anche quando i genitori hanno bisogno di aiuto per superare la propria vecchiezza. Pietro no, Pietro è stato assai delicato con la propria madre e l’ha accudita, l’ha aiutata, le ha dato grande soddisfazione curandola con il sorriso sempre sulle proprie labbra e senza mai accusare alcun fastidio. Un vero figlio».
(continua...)
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