Voce ai giovani

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Anno 37 - 20 Luglio 2013 - Numero 29

Settimanale indipendente di informazione

euro 0,50

Unione e disunione. Al Palazzo Rinascimentale di Aieta la Summer school, per far crescere la coscienza europeista STRALCI DI STORIA

ALTOMONTE ROCK FESTIVAL

E San Francesco benedice le Due Sicilie

Conto alla rovescia per i Pink Floyd in streaming

di Ernesto Manna

A Paola la prima manifestazione Duosiciliana del Cosentino

Il repertorio della band britannica per la XIII edizione della kermesse


II

sabato 20 luglio 2013

Piccole, grandi pellicole

L’Attesa non è stata vana

Una standing ovation nella sala del cinema "Garden" gremita ha accolto la proiezione del l'ultimo cortometraggio per la regia di Marco Caputo

o di Pileria Pellegrin

Una standing ovation di diversi minuti nella sala del cinema “Garden” gremita ha accolto la proiezione de L’Attesa l’ultimo cortometraggio per la regia di Marco Caputo, scritto da Davide Imbrogno e prodotto dalla famiglia Barbieri di Altomonte. Il film racconta di un pubblicitario, interpretato da Paolo Mauro, in crisi esistenziale che vive a New York. Dopo essere rimasto folgorato da un quadro, appeso su una delle pareti di un ristorante newyorkese che riproduce il borgo medievale di Altomonte (Cs), si decide a intraprendere un viaggio. Un viaggio che lo porterà alla scoperta della sua terra d’origine, e soprattutto alla scoperta di sé. Con un cast di attori cosentini quali Giovanni Turco, Dario Brunori, Totonno Chiappetta ad eccezione degli statunitensi, Maryla Colandrea-Scotto e Josh William Gaspero, sotto l’attenta regia di Marco Caputo, il film propone ricercate scenografie ed ambienti di incredibile bellezza, la fotografia nel suo “interpretare la luce” e dare coerenza visiva alle riprese è connotata da un tocco d’autore particolare. Entusiasti a fine proiezione sia il regista Marco Caputo, sia l’autore Davide Imbrogno, sia gli attori, ma il più emozionato è apparso il produttore, Enzo Barbieri, che ha creduto in una iniziativa capace di unire l’arte alla valorizzazione del territorio. Le varie componenti del corto quali originalità e valore contenutistico, con un ritmo della narrazione da tenere incollati allo schermo ne fanno un lavoro cinematografico interessante. Non è facile costruire un film quasi completamente su un solo attore e il day by day del protagonista è scandito con lentezza, a voler fare respirare allo spettatore il senso di solitudine. Perché L’Attesa si concentra sul singolo, la società odierna infatti porta a sfuggire e a negare ogni tipo d’attesa, il tempo che si dedica alla riflessione ed al silenzio, condizioni necessarie per accedere alla dimensione dell’attesa e ristabilire il contatto ancestrale con essa, viene per lo più considerato “tempo perso”. Mentre la dimensione dell’attesa è priva della componente frenetica propria della nostra società: giornate interminabili, menti e corpi affaticati e stremati per lo più da ansie e preoccupazioni non sempre fondate, caos ovunque, in tutto questo quando trovare tempo per fermarsi ad attendere? Il film partecipa fuori concorso al Festival del cinema di Tropea, e nel corso dell’estate sarà proiettato durante il

Un pubblicitario in crisi esistenziale che vive a New York rimane folgorato da un quadro appeso su una delle pareti di un ristorante newyorkese che riproduce il borgo medievale di Altomonte (Cosenza)...

Festival del Mediterraneo di Altomonte. Nel tempo la poesia, la letteratura, l’arte sono stati gli unici strumenti in grado di raggiungere l’anima di un uomo e dar voce al desiderio dell’attesa poiché permettono all’umanità di esprimersi nella sua interezza, nella sua complessità e profondità. Poeti ed artisti hanno espresso e comunicato questa natura profonda dell’uomo, questo bisogno di attendere, hanno trasmesso l’apparentemente inspiegabile ansia di tante nostre giornate trascorse come se il cuore aspettasse qualcosa di grande. Cesare Pavese, scriveva: «Aspettare è ancora un’occupazione. È non aspettar niente che è terribile», ed anche che «lo stupore è la molla di ogni scoperta. Infatti, essa è commozione davanti all’irrazionale» (da Il mestiere di vivere, 27 novembre 1945). Ed è Franz Kafka ad esprimere la metafora del non senso della vita, in «una vita trascorsa senza altra aspettativa che l’attesa della morte». Le vicende di K. ne Il Castello rappresentano la proiezione dell’impotenza e delle frustrazioni dell’uomo moderno, il quale si trova schiacciato da una realtà che sfugge ai suoi criteri di valutazione. Il protagonista si sente ovunque solo e alienato, il suo rapporto con il mondo esterno è ormai completamente compromesso. In questa prospettiva, si è perduto il senso di ogni cosa. Per Kafka la ragione diventa così inutile: l’essere viene destrutturato fino a perdere la propria identità. Eppure l’attesa di Kafka non è diversa da quella di Vladimiro e Estragone in Aspettando Godot di Beckett, divenuto sinonimo di una situazione (spesso esistenziale) in cui si aspetta un avvenimento che dà l’apparenza di essere imminente, ma che nella realtà non accade mai. Attendono tutti e non smettono mai di sperare. Forse è proprio questa la loro più grande colpa. Non è un grido disperato quello che riecheggia ma come fa notare Camus, «è un immane grido di speranza». Anche Dino Buzzati riflette sulle attese: quelle cadenze interiori che hanno scandito il tempo del tenente Drogo (protagonista del Deserto dei Tartari) per poi accorgersi che si passa la vita nell’attesa di qualcosa, non sapendo che alla fine di tutte le attese, altro non c’è che la morte. Ma è l’attesa di un senso, del senso della vita, ad avere un fascino immenso: quasi come se gli si potesse andare incontro, prepararsi ad accoglierlo, gustarlo qua e là, in alcuni momenti e rimpiangerlo in altri. In quest’attesa vi è lo spazio per edificare enormi impalcature di significato, perché essa dà la possibilità di riflettere, di costruirsi o ricostruirsi. Un film L’Attesa che trova il suo compimento nella scoperta finale dell’autore di un segno, il segno dell’hic et nunc che appaga e stupisce, uno stupore che rende liberi.


sabato 20 luglio 2013

Giornate d’Europa - III edizione Al Palazzo Rinascimentale di Aieta, dal 22 al 27 luglio

Europa. Una, nessuna e centomila. Unione e disunione Torna nel Palazzo Rinascimentale di Aieta “Giornate d’Europa”, il progetto promosso dall’associazione “Centro Rinascimento” che ha come nucleo centrale la Summer school, giunta alla terza edizione. Il corso di approfondimento è rivolto a laureati e iscritti all’università che intendano effettuare un percorso formativo di alto profilo per la diffusione della cultura europeista. Le lezioni si svolgeranno dal 22 al 27 luglio presso il Palazzo Rinascimentale di Aieta, in provincia di Cosenza, una località di confine tra Calabria e Basilicata, un centro d’arte, di storia e di bellezze ambientali, affacciato sul Mediterraneo, tra Parco nazionale del Pollino e Mar Tirreno. I corsisti saranno coinvolti anche in un programma di escursioni che mira a far conoscere il territorio e le sue caratteristiche.

È altresì previsto il secondo ciclo di seminari sul Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), a cura del Dipartimento Programmazione nazionale e comunitaria della Regione Calabria. Partner del programma: la Fondazione Carical, il sodalizio svizzero Cercle de Coppet ed una serie di enti locali e territoriali (Regione Calabria, ente Parco del Pollino, Comune di Aieta). Il 27 luglio, nel salone del Palazzo Rinascimentale di Aieta, è previsto un meeting di chiusura alla presenza di autorità ed esperti sul tema centrale “Europa - Una, nessuna e centomila. Unione e disunione”.

Il progetto prende spunto dall’esperienza del “Gruppo di Coppet” che, agli inizi dell’800, attorno alle figure della grande letterata Anne Louise Germaine Necker, conosciuta come Madame de Staël, e di suo padre, Jacques Necker, ministro di Luigi XVI, delineò una visione moderna dell’Europa. L’idea di Europa del “Gruppo di Coppet” costituito da personaggi di primo piano dell’epoca come Constant, Sismondi, Byron, Shelley, Stendhal, Schlegel - è tuttora attuale e ancora da realizzare nei suoi aspetti più lungimiranti. Il laboratorio di pensiero europeista parte, dunque, dal basso: oggi da Aieta come allora da Coppet, due piccoli centri, luoghi di storia e cultura in cui, rispettivamente, il Palazzo Rinascimentale e il Castello di Madame de Staël-Necker, rappresentano l’eredità storica e l’attualità delle iniziative culturali. L’obiettivo è quello di far crescere la coscienza e la cultura europeiste e favorire l’integrazione tra Europa e Mediterraneo, Europa e regioni, Europa e Sud. La Summer school è promossa, per il terzo anno consecutivo, dall’associazione socio-culturale “Centro Rinascimento” in collaborazione con l’Università della Calabria - Dipartimento di Scienze politiche e sociali. E, per l’edizione 2013, con il patrocinio dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, il Centro interuniversitario campano di Lifelong learning e, ancora una volta, il Cercle de l’Europe de Coppet (Svizzera). Il corso si prefigge di formare i nuovi cittadini europei attraverso lezioni mirate a rafforzare l’idea di “Europa” sul tema, per la terza edizione, “Europa/Una, nessuna e centomila. Unione e disunione” e approfondimenti di: Istituzione e Diritti dell’Unione europea, Diritto regionale europeo, Economia, Politica economica, Demografia, Storia dell’Europa, Sociologia, Antropologia culturale, Diritti di cittadinanza. Il percorso di studio ha una durata di sei giorni ed è rivolto a iscritti o laureati presso un ateneo di uno dei Paesi europei con meno di 35 anni. Gli ammessi hanno risposto ad un Bando pubblicato nei mesi scorsi dall’associazione Centro Rinascimento.

Al termine della serata ci sarà la cerimonia di consegna del Premio Europa Rinascimento, con le pregevoli opere del maestro orafo Gerardo Sacco.

III


IV

sabato 20 luglio 2013

Cattedre che non vanno in vacanza Esami per docente con il professore Domenico Milito e il concetto di scuola pubblica attraverso la "Fnism"

Appuntamenti con la scuola

Il professore Domenico Milito Sotto, il logo della Fnism

nelli di Federica Monta

Si è svolto nei giorni 6 e 7 luglio 2013, presso l’Hotel Centro Congressi “La Principessa” di Campora San Giovanni in Amantea (Cosenza), il seminario inter-regionale residenziale di studio su “Strategie e tecniche di insegnamento per l’apprendimento efficace”, promosso da form@zione srl e dalla Fnism di Cosenza (Ente accreditato per la formazione presso il Miur). L’iniziativa si è configurata come corso di preparazione alle prove orali per il concorso per i docenti ed ha abbracciato quattro intense sezioni. Formatori esperti e relatori hanno trattato, nel rispetto del bando concorsuale, le discipline circa le cattedre di riferimento, nonché i fattori strategici e gli strumenti operativi per una didattica di qualità. Argomenti interessanti sono stati anche quelli relativi alla progettazione e all’organizzazione delle attività didattiche, competenze, moduli e ricerca. A completamento del seminario è stata simulata una lezione con richiamo alle tecniche della relazionalità positiva, della comunicazione e della gestione di classe. Esempi pratici, dunque, produzione di materiali didattici e approfondimenti presenziati da Domenico Milito, docente di didattica e pedagogia speciale presso l’Università della Basilicata, Carla Savaglio, dirigente dell’Istituto tecnico commerciale e Liceo scientifico tecnologico “G.Pezzullo” e Susanna Capalbo, Istituto comprensivo di Corigliano. Al termine del seminario è stato rilasciato, ai numerosi corsisti coinvolti, un attestato di partecipazione. L’istituzione scolastica rimane, però, sempre protagonista assoluta nel sistema formativo. “Insieme per migliorare la scuola” è stato, nel mese di maggio, tema di discussione presso il Salone degli Specchi della Provincia di Cosenza. Una nuova sfida e una nuova scelta, di natura strategica, sul piano della didattica. Domenico Milito, ha esposto le linee programmatiche in me-

Ad Amantea seminario inter-regionale residenziale di studio su “Strategie e tecniche di insegnamento per l’apprendimento efficace»

rito al miglioramento del servizio erogato dai soggetti impegnati nella formazione. «Occorre muoversi dalle differenziazioni della formazione - spiega - formali, non formali ed informali. L’intervento della scuola deve essere intenzionale, sistematico e al passo con la conoscenza informatica». La rimozione delle barriere relega, dunque, la scuola in una dimensione di qualità attribuendole quella “marcia in più” nemica della dispersione scolastica. «La scuola - prosegue - promuove lo sviluppo del senso critico e di responsabilità delle nuove generazioni perché si possa arrivare ad un sistema sinergico ed integrato». Un ruolo formativo non affidato, quindi, al caso né soggetto a condizionamenti, caldeggiato anche dall’assessore alla Cultura della Provincia di Cosenza, Maria Francesca Corigliano: «Operare nell’ambito dell’edilizia scolastica - dichiara - e ridimensionare la scuola rappresentano i principali interventi sul territorio». Se è vero che obiettivo ultimo di ogni processo formativo è quello di agire sui comportamenti, l’“equilibrio” tra metodi e contenuti sembra essere la risposta più impegnativa secondo Giuseppe Spadafora, docente presso l’Universitá della Calabria. «È necessario rivedere il concetto di scuola pubblica. Accompagnato al tema del territorio e della famiglia contemporanea produce democrazia e meritocrazia». Completamente nuova si presenta la problematica, con cui la scuola ha dovuto e deve ancora misurarsi. «La nuova sfida - spiega Gigliola Corduas, presidente nazionale Fnism, è restituire un senso alla scuola. Lo scopo è quello di formare personalità e di operare a livello nazionale( rispondendo ai costi della società) e territoriale (affrontando il problema della dispersione)». È l’apprendimento a veicolare i saperi che poi decidono i destini dell’uomo? La condivisione della “mission” da parte di chi opera nel mondo della scuola, è un’occasione, nel suo ventesimo anniversario, di raccolta di suggerimenti utili, valutazioni e confronti costruttivi. A voce ferma, quella di Domenico Milito e dei principali capisaldi della formazione, e con forza si ripropone l’importanza che hanno i “valori” in tempi di grandi mutamenti come quelli che stiamo vivendo.


sabato 20 luglio 2013

Da una Storia all’altra... A Paola la prima manifestazione Duosiciliana nel Cosentino. Per rivivere la gloria di un tempo

E San Francesco benedice le Due Sicilie

...Da una Storia all’altra

La resa del Castello val bene un cippo di Ernesto Manna

Verrà posta una lapide a Reggio per commemorare l’elevazione del Tricolore per opera dei garibaldini il 21 agosto del 1860 Si è insediato a Palazzo San Giorgio il Comitato d’onore istituito dalla Commissione straordinaria per commemorare con l’apposizione di un cippo il 21 agosto 2013, la resa del Castello aragonese di Reggio Calabria ove il 21 agosto 1860 i garibaldini innalzarono il Tricolore dei Mille. Ritengo sia giusto commemorare ma altresì più importante che si cerchi a tutte le latitudini e per le opportune competenze cercare di restituire lo storico e prestigioso maniero alla città con gli adeguati restauri e al di là di avveniristici interventi che potrebbero minare la sua solidità e quella dell’area limitrofa. Nel corso degli anni, il castello è stato “vittima di attentati” alla sua bellezza e maestosità a mano di audaci e improvvidi progettisti fino a farne addirittura crollare una parte. Dopo il “risanamento” si è reso fruibile ai visitatori. Ma non basta! Il castello aragonese di Reggio Calabria è un vero gioiello e come tale deve essere custodito e valorizzato. Auspico, pertanto, che la Commissione straordinaria prenda a cuore anche le sorti della fortificazione, nostro indiscusso vanto, predisponendo un progetto complessivo di completamento dell’accessibilità e soprattutto di chiara destinazione d’uso compatibile con l’importanza del monumento. Per esempio, un luogo-laboratorio dedicato prevalentemente ai giovani in età scolare dove, con innovativi mezzi didattici, si può entrare nelle pieghe della lunga storia antica e medievale della città; laboratori didattici per bambini e ragazzi; cicli di conferenze e proiezioni legate a temi naturalistico-ambientali e relativi agli eventi sismici che più volte hanno trasformato la città trovando spazio anche per l’antico Osservatorio geofisico già ospitato per diversi anni al castello, ma tutt’ora, malgrado varie segnalazioni, ospitato e quasi occultato al 3° piano dei mercati comunali. Teresa Libri - socio fondatore di “Risveglio ideale”

Il Comitato Duosiciliano portando i propri simboli al cospetto del santo ha voluto riunificare quello che era il legame religioso con il grande Regno

Sabato 13 luglio si è svolta la prima manifestazione Duosiciliana nel Cosentino. Insieme a una folta rappresentanza dell’associazione, un gruppo di cavalieri, provenienti anch’essi dai dintorni della città bruzia, hanno sfilato entrando nel convento francescano di Paola per ricevere la benedizione ed onorare S. Francesco di Paola, santo patrono di un Regno, quello delle Due Sicilie, che permise alla nostra terra di mostrare la sua bellezza e ricchezza poi defraudata dagli eventi, tenuti nascosti anche nei libri di Storia... Il Cds (Comitato Duosiciliano) portando i propri simboli al cospetto del santo per la benedizione, ha voluto riunificare quello che era il legame religioso di un tempo con il grande Regno; infatti l’obiettivo primario di questa associazione è far conoscere e mettere alla luce i fatti realmente accaduti alla nostra terra affiché le nuove generazioni possano vedere con occhi diversi i valori e le ricchezze del nostro territorio e magari, perché no, lottare affinché possa ritornare glorioso come un tempo. L’iniziativa era guidata dal responsabile regionale del Cds Saro Messina e dal responsabile della provincia cosentina Gianfranco Rogato, i quali insieme ad altri illustri rappresentanti di altri movimenti anno illustrato ai presenti gli ideali che spingono a tenere alto il valore del nostro territorio, il tutto alla presenza del rappresentante del Comune di Paola che per l’occasione ha messo a disposizione l’auditorium comunale, un pezzo anch’esso di storia (convento di S. Agostino) accogliendo con entusiasmo l’evento e augurandosi che in futuro si possa continuare con altre iniziative del genere per far crescere sempre piu la conoscenza della nostra Storia.

V


VI

sabato 20 luglio 2013

Luoghi e personaggi Seconda parte La regione si è trovata, sovente, a fare da proscenio alla Storia con la "S" maiuscola

La Calabria di Garibaldi: speranza di ieri, necessità di oggi eco di Pierfrancesco Gr

Sopra, greco, testo dei decreti emessi da Garibaldi a Rogliano

Intanto anche a Cosenza gli ideali di libertà, messi temporaneamente a tacere, nel 1844, dagli schioppi echeggiati nel Vallone di Rovito, si ridestarono. Allorchè giunse a Cosenza la notizia che Garibaldi, dopo aver liberato il territorio reggino, era in procinto di marciare verso nord, una moltitudine di coraggiosi cittadini, si riunì davanti al Palazzo dell’Intendenza, inneggiando al Liberatore in Camicia Rossa. Il Monitore Bruzio così descrisse quei momenti: «La folla accalcata percorreva la città, che vedesi in un baleno illuminata a festa... La lieta novella si spande nei paesi circonvicini, ed ai lontani l’annunzia il telegrafo. Il dì seguente 24 agosto, la Provincia proclama unanimemente l’insurrezione, e al tocco delle campane, vecchi, giovani e fanciulli corrono alle armi». «Subito le autorità municipali - racconta Francesca Canino - dichiararono decaduto il Re Francesco II di Borbone, mentre i cittadini correvano a combattere nei campi organizzati nella provincia con un tale entusiasmo che preoccupò il comandante della brigata di Cosenza, il generale Caldarelli. Egli, dopo aver impegnato le sue forze nel Largo Santa Teresa su Colle Triglio e puntato i cannoni sulla città, il 27 agosto si arrese e si impegnò di non combattere più contro l’Unità d’Italia». Dopo la resa dell’esercito borbonico a Soveria Mannelli avvenuta il 30 agosto e il passaggio dei soldati borbonici nelle truppe garibaldine del generale Stocco, Garibaldi si avviò verso Rogliano, tra l’euforia della cittadinanza e dei contadini, speranzosi in un cambiamento radicale delle loro condizioni di vita e di lavoro; al riguardo, il De Cesare narra che, al momento del suo ingresso a Rogliano, il 31 agosto, «[...] Garibaldi cavalcava innanzi a tutti, circondato dai suoi aiutanti, dalle guide e da Vincenzo Morelli. Percorse una parte della strada a cavallo, e l’altra in una vettura postale, che si trovò per caso...». Dopo aver attraversato Carpanzano e Marzi, «[...] fu incontrato nel luogo dettola Serra, da tutto il popolo di Rogliano, e borghi vicini. Il Clero gli andò incontro col baldacchino. Si sparavano fucilate e mortaretti in segno di letizia. Carlo Morelli lo invitò a discendere dalla vettura, e gli offerse un cavallo, sul quale montò. L’ingresso in Rogliano fu memorando. Scese in casa Morelli e dal balcone parlò al popolo...».

A destra, targa commemorativa a Rogliano, su cui si legge: Da questa casa ove l’impeto generoso e la potenza organizzatrice di Vincenzo e Donato Morelli raccolsero la voce dei martiri e dei ribelli e disciplinarono le forze rivoluzionarie, Giuseppe Garibaldi il 31 agosto 1860 disse compiuto il voto di libertà e decretando l’affrancamento delle terre silane consacrava i diritti del popolo e le ulteriori rivendicazioni economiche

Giunto a Rogliano, Garibaldi nominò il Morelli (il quale, dopo essere stato, insieme a suo fratello Vincenzo, tra i protagonisti del 1848 cosentino, aveva accolto l’invito dei liberali napoletani a preparare la Calabria alla campagna garibaldina, promuovendo, nell’ottica di giungere ad un’Italia Unita, la nascita a Cosenza di un Comitato Centrale che avrebbe dovuto favorire l’insurrezione anche con il coinvolgimento dei rappresentanti del regime borbonico) Governatore della Provincia. Sorse quindi un governo provvisorio denominato ‘Governo generale della Calabria Citra’ che esercitò sul territorio il potere autonomo riconosciuto dal Re Vittorio Emanuele II. Da Rogliano, dal Palazzo Morelli, Garibaldi emanò, soprattutto, i famosi Decreti con cui ridusse il prezzo del sale, indispensabile per conservare gli alimenti e di difficile reperimento; abolì la tassa sul macinato per le granaglie, ad eccezione del frumento. Deliberò soprattutto che gli abitanti poveri di Cosenza e dei Casali potessero esercitare

Quella che cambia vite e prospettive dei Popoli, delle Nazioni, dei Continenti Così fu nel 1860 quando le nostre vallate costituirono idealmente e, soprattutto, fattualmente un fondamentale segmento di quel percorso che da Marsala condusse Garibaldi sul Volturno

gli usi civici di pascolo e semina gratuitamente nelle terre demaniali della Sila: «[...] In nome d’Italia - scrisse il Generale - gli abitanti poveri di Cosenza e Casali esercitino gratuitamente gli usi di pascolo e di semina nelle terre demaniali della Sila. E ciò provvisoriamente sino alla definitiva disposizione...». Era questo il provvedimento tanto atteso dalle massi rurali meridionali, che andava finalmente ad intaccare l’odiato predominio dei latifondisti; un’attesa che fu tra i fattori in cui trovò vigore il grande entusiasmo che accompagnò l’Eroe dei Due Mondi durante la sua marcia verso Napoli. «I cosentini, così come i calabresi in genere - evidenzia Francesca Canino -, afflitti da una povertà secolare e perciò desiderosi di terre, avevano riposto le loro speranze in Garibaldi. La figura del Nizzardo che combatteva per la liberazione dei popoli oppressi, l’eroe dei Due Mondi animato dagli ideali di libertà e amore per la Patria, portò una ventata di ottimismo tra i calabresi, stanchi ormai dei continui disordini per la questione silana. L’usurpazione delle terre demaniali in Sila segnava la vita dei contadini e per tutto l’800 essi subirono l’ambigua situazione che era venuta a crearsi: da una parte gli avvocati che rinviavano le sentenze di reintegra dei demani usurpati e dall’altra la stessa monarchia borbonica che gestiva con doppiezza la questione, controllando sia i contadini che i proprietari, al solo scopo di ottenere consensi. Qualche anno prima, esattamente nell’agosto del 1854, il commissario civile per gli affari della Sila, Pasquale Barletta, aveva pubblicato un Regolamento sulla divisione provvisoria dei demani silani tra Cosenza e i Casali. L’assegnazione fu compiuta tenendo conto della popolazione dei singoli comuni. Una suddivisione provvisoria stabilì le quote di uso per le famiglie indigenti, in base ai componenti del nucleo familiare. Barletta offrì una buona possibilità di lavoro ai contadini che occupavano i terreni o vi esercitavano abusivamente gli usi civici perché li ritenevano usurpati. Fu in questa situazione di crisi sociale, economica e politica che si inserì l’arrivo di Garibaldi in Calabria: se tra le classi sociali meno abbienti dilagava il malcontento causato dalla questione silana, da quella relativa ai beni ecclesiastici e dai pesanti dazi, tra la borghesia, invece, detentrice del potere amministrativo nelle province e nei comuni, si inseguiva la speranza della dissoluzione del regno borbonico per reimpadronirsi delle proprietà requisite dal commissario Barletta con il decreto del 1854». Dopo la sosta a Rogliano, Garibaldi partì verso le ore 18, proseguendo per Cosenza dove, alle ore 20 del 31 agosto del 1860, entrò tra la folla in festa per il suo arrivo, venendo accolto con tutti gli onori dalle autorità. Portato in braccio nel Palazzo del Governo, parlò dal balcone al popolo osannante. «Chi mai degnamente narrar - scriveva il Monitore Bruzio - potrebbe l’ingresso del Dittatore in questa Città? Ci contenteremo perciò di pochi cenni e diremo soltanto che la nostra provincia non fu seconda a nessun’altra nel festeggiare l’arrivo dell’Uomo straordinario, il cui cammino non fu che un continuo trionfo. Da Rogliano a Cosenza percorse die-


sabato 20 luglio 2013

VII

Luoghi e personaggi

ci miglia tra un popolo numeroso che da paesetti e villaggi era disceso sulla via per contemplare un istante l’aspetto del nostro Liberatore. Il giorno 31 agosto resterà nei nostri cuori perennemente scolpito quando verso un’ora di giorno, lo vedemmo giungere e come torrente sentimmo traboccarci la gioia d’ogni parte (...). Tutte le carrozze ornate di bandiere erano state ad incontrarlo, mentre la Guardia Nazionale, Legioni Calabre numerosissime schierate in bell’ordine, ed una folla di popolo mai vista, lo aspettavano col guardo raggiante di tripudio. E’ impossibile descrivere l’entusiasmo che suscitò il suo apparire. Entrato nel Palazzo del Governo salì le scale portato sulle braccia di onorandi cittadini. Chiamato dal popolo si affaccia dal balcone, e le grida di contento n’andavano a cielo. La vista di quegli armati corsi ad un cenno di Lui, di quel popolo foltissimo, di tante bandiere e lini agitati per l’aria, commosse il suo animo, né sapeva distaccarsi da quel luogo dove ritornò per tre volte. Canti e suoni per tutta la notte dettero alla città spettacolo novissimo e grande... Ringraziate, disse, da parte mia questa brava popolazione per l’accoglienza fattami e dite a tutti che son dolente di non aver potuto correre tutta la Città a cavallo» (Il Monitore Bruzio, Giornale Uffiziale della Calabria Citeriore, 1860). Particolarmente emozionante fu la visita che il Generale effettuò il primo settembre accompagnato dalla divisione Bixio e da molti cosentini, presso il Vallone di Rovito, ove i fratelli Bandiera e i loro compagni sacrificarono le loro esistenze sull’altare della libertà patria. «Era ben giusto versar lagrime pe’ Martiri della nostra redenzione - scriveva al riguardo il Monitore Bruzio -. Fu aperta la cassa di ferro che conteneva le ossa di que’ trapassati, si spiegò la loro bandiera. La divisione Bixio e gran parte del popolo recati al luogo dove fu consumato il misfatto, udirono le commoventi parole del Generale. E fino il sesso gentile prese parte all’universale commozione... Sì Donne Calabresi, voi ben meritate la stima delle altre sorelle italiane, per le quali ora sta per compiersi il vaticinio del gran poeta Recanatese: Così l’eterna Roma in duri ozii sepolta femmineo fato avviva un’altra volta». Dopo alcuni giorni Garibaldi lasciò Cosenza, riprendendo la marcia verso Castrovillari e, quindi, verso Napoli, ove un plebiscito avrebbe sancito l’Unità e l’indivisibilità dell’Italia, valore aulico, che ancora oggi cementa la nostra nobile identità nazionale, fondata sui valori di libertà e giustizia che animarono, in quel 1860, le gesta di Garibaldi e, circa 80 anni dopo, la lotta resistenziale. Purtroppo l’idealismo garibaldino fu tosto ridimensionato dalla miope “ragion di Stato” sabauda. I Decreti emanati dal Generale - racconta Francesca Canino - durante la sua permanenza a Rogliano crearono speranze tra i ceti poveri, un sogno che durò solo pochi giorni. Il decreto a favore degli abitanti poveri di Cosenza e dei Casali non fu mai attuato perché Morelli, con un altro decreto datato 5 settembre 1860, svuotò le disposizioni di Garibaldi. Il provvedimento non era ben visto dai grandi proprietari che mai avrebbero rinunciato alla difesa dei loro interessi. Cinque giorni dopo l’emanazione, infatti, lo stesso Morelli, appartenente al ceto dei possidenti, ridusse le zone concesse ai contadini per esercitare i diritti di pascolo e di semina e stabilì

Verso la liberazione di una terra e di un popolo la cui fiducia nel cambiamento era destinata ad infrangersi all’indomani della Spedizione dei Mille, con l’arrivo delle truppe e dei governanti piemontesi

che questo esercizio non poteva impedire ai proprietari di far valere le proprie ragioni. I contadini rimasero nella loro storica miseria nonostante i tentativi di ribellione che si susseguirono. Con il nuovo Regno ricominciarono le lotte contadine e i fautori subirono una repressione durissima. Nel 1876 il Parlamento legittimò le usurpazioni silane, riconoscendo i possessori di fatto. Il passaggio di Garibaldi, atteso e acclamato, rivoluzionario da un punto di vista politico e sociale per i cambiamenti che intendeva attuare in favore della popolazione cosentina, fu vanificato da un figlio di quello stesso popolo, che si adoperò immediatamente affinchè tutto rimanesse come era sempre stato", in linea con la politica moderata sabauda e secondo quella filosofia vividamente tratteggiata dal Tomasi di Lampedusa nel suo “Gattopardo”. Così, quell’Unità, tanto faticosamente ed eroicamente conquistata, dopo aver inebriato di speranzoso entusiasmo le popolazioni contadine del Mezzogiorno, deluse le aspettative di progresso civile che l’arrivo di Garibaldi, delle camicie rosse, imbevute da un idealismo scintillante, aveva suscitato ivi suscitato; quel Garibaldi, quelle camicie rosse, quegli ideali che rimasero anch’essi delusi dal corso lungo il quale mosse i primi passi l’Italia Unita, alla cui causa essi, i Mille, avevano dato il contributo decisivo, enucleatosi tra sangue e sacrifici inenarrabili; sacrifici verso cui i sabaudi non mostrarono alcun segno di gratitudine o considerazione; sacrifici che essi tradirono, marginalizzando Garibaldi e i suoi eroi, considerati potenzialmente “pericolosi” per l’indirizzo annessionistico-moderato (e non costituente-progressista) caratterizzante il progetto politico unitario imposto al Sud e al movimento democratico nazionale dai piemontesi all’indomani della battaglia del Volturno. Un metodo, quello perseguito dai piemontesi, di chiaro stampo cavouriano, ovvero volto a preservare e promuovere, oltre che le prerogative delle classi baronali meridionali, gli interessi piemontesi, a scapito di quelli del Sud, che negli anni seguenti al 1860 andò incontro ad un inesorabile decadimento economico di cui pagarono le conseguenze le classi popolari, le cui condizioni di vita, già precarie sotto i Borbone, non migliorarono con i Savoia, i cui funzionari politici e militari si impegnarono in una solerte “piemontesizzazione” dei territori annessi, creando le condizioni ideali al proliferare del fenomeno brigantesco, di fronte al quale il governo di Torino si mostro solo capace di adoperare, letteralmente, il ferro ed il fuoco, adottando, cioè, misure unicamente di stampo ferocemente repressivo, che contribuirono a rendere più profondo quel solco sociale, culturale, economico ancora oggi discriminante il settentrione ed il meridione d’Italia. Una situazione, insomma, ben lontana da quella che aveva spinto Garibaldi e le sue camicie rosse ad affrancare il mezzogiorno dal giogo della tirannia borbonica. Quel Garibaldi, quelle camicie rosse che, da lì a due anni, proprio nella nostra terra, in Calabria, sull’Aspromonte, in una giornata di fine agosto del 1862, si sarebbero trovate anch’esse sotto il fuoco, per nulla “amico”, dei bersaglieri savoiardi, venendo colpite, ferite (come nel caso di Garibaldi, raggiunto durante il breve scontro, da due pallottole, che gli si conficcarono nell’anca sinistra e nel malleolo destro), abbattute, nel loro proposito di completare, con la liberazione di Roma, l’opera rivoluzionaria rimasta incompiuta due anni prima, dalle sentinelle di uno status quo ormai acquisito e fondato su un ordine socio-politico di stampo conservatore, in cui non poteva più esserci spazio per quei valori che, soltanto alcuni mesi prima, avevano permesso a pochi uomini, guidati da un Nizzardo caparbio e idealista, di compiere un’impresa incredibile: incredibile come la raggiunta Unità; incredibile come le speranze che essa generò; quelle speranze di cui le nostre terre Calabre, la nostra Nazione Italica, a oltre 150 anni di distanza, attendono ancora il pieno coronamento. Oggi, più di ieri, una necessità, più che una speranza!

Frontespizio di un opuscolo celebrativo del soggiorno di Garibaldi a Cosenza Accanto al titolo, Thomas Nast - Disarmo delle truppe borboniche a Soveria - 1860 Qui a sinistra Giuseppe Garibaldi


VIII

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Celebrazioni post-unitarie L’Unità d’Italia non è la conseguenza solo dell’epopea garibaldina, ma ha anche vissuto processi di colonizzazione che hanno lasciato processi una traccia profonda nel subconscio collettivo del Mezzogiorno

La dichiarazione dello stato di guerra al Sud di Oreste Parise

Ricorre fra qualche settimana il centocinquantesimo anniversario della promulgazione della La legge 1409 del 1863. Dal nome del suo promotore è diventata famosa, o sarebbe meglio definirla famigerata, come legge Pica, dal titolo stringato di “Legge sul brigantaggio”. Una norma stringata, composta di soli nove brevi articoli, con i quali si sospendeva la democrazia nel Mezzogiorno. In pratica si dichiarava lo stato di guerra, per cui non per i reati connessi in qualche modo con il brigantaggio venivano sottoposti al codice militare di guerra con le sue approssimazioni e misure draconiane. Si trattava dell’inizio di quella legislazione eccezionale, che è tuttora in vigore, in forma diversa e mitigata, per i reati di mafia. Sulla base di tale legge, nelle province «infestate dal brigantaggio» la competenza in materia di reati di brigantaggio passava ai tribunali militari. Una legge immediatamente successiva individuava questi territori nelle Provincie di Abruzzo Citeriore, Abruzzo Ulteriore II, Basilicata, Benevento, Calabria Citeriore, Calabria Ulteriore II, Capitanata, Molise, Principato Citeriore, Principato Ulteriore e Terra di Lavoro. Erano passati più di tre anni dall’impresa garibaldina, ma il Paese era tutt’altro che unito, considerato che più di un terzo del suo territorio era ancora in armi a combattere contro i soprusi e le angherie imposte alle popolazioni meridionali. Nella relazione Massari, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta istituita per indagare sul fenomeno, si legge: «Il brigantaggio che da tre anni contrista le provincie continentali del mezzodì dell’Italia, è conseguenza esclusiva del cangiamento politico avvenuto nel 1860, oppure questo cangiamento è stato soltanto un’occasione dalla quale lo sviluppamento del brigantaggio è stato determinato? È indubitabile che mentre in alcune provincie il brigantaggio è infierito ed ha raggiunto terribili proporzioni, come, a cagion d’esempio, in Capitanata ed in Basilicata, in altre, come le Calabrie, o non ha allignato affatto, o tutto al più si è astretto in angusti limiti. Le prime cause del brigantaggio sono le cause predisponenti. E prima fra tutte, la condizione sociale, lo stato e economico del campagnuolo, che in quelle provincie appunto, dove il brigantaggio ha raggiunto proporzioni maggiori, è assai infelice. Quella piaga della moderna società, che è il proletariato, ivi appare più ampia che altrove. Il contadino non ha nessun vincolo che lo stringa alla terra. La sua condizione è quella del vero nullatenente, e quand’anche la mercede del suo lavoro non fosse tenue, il suo stato economico non ne sperimenterebbe miglioramento. Dove il sistema delle mezzerie è in vigore, il numero dei proletari di compagna è scarso; ma... Nella provincia di Reggio Calabria difatti, dove la condizione del contadino è migliore, non vi sono briganti. Nelle altre due Calabrie, la provincia di Catanzaro e quella di Cosenza, le relazioni tra contadini e proprietari sono cordiali, e quindi allorché questi invocano l’aiuto di quelli per difendere la proprietà e la sicurezza sono certi di conseguirlo. Nelle provincie dove lo stato economico, la condizione sociale dei campagnuoli sono assai infelici, il brigantaggio si diffonde rapidamente, si rinnova di continuo, ha una vita tenacissima; mentre in quelle dove quello stato è più tollerabile, dove quella condizione è comparativamente migliore, il brigantaggio suol essere frutto d’importazione, né può, manifestandosi, oltrepassare certi limiti, e quando sia stato una volta disfatto non risorge con tanta facilità». La legge doveva avere una durata limitata dalla data della sua approvazione, il 15 agosto del 1863, fino alla fine dello stesso anno. Si ricordava il precedente del generale Charles Antoine Manhès, incaricato da Gioacchino Murat a domare la insurrezione antifrancese. Anche a Manhès erano stati dati poteri eccezionali e agì con una

Un secolo e mezzo fa il Parlamento italiano approvava la Legge Pica, inaugurando una legislazione straordinaria che non è ancora completamente superata

ferocia inaudita che in soli sei mesi riuscì a portare a termine il suo compito, lasciando sul terreno migliaia di morti e il ricordo sinistro di una crudele repressione della rivolta popolare contro l’occupazione straniera. L’analogo comportamento tenuto dai contadini spagnoli nello stesso periodo contro Giuseppe Bonaparte, cui il fratello aveva assegnato il trono, fu considerata una rivolta popolare e assurta a uno degli eventi della lotta per l’indipendenza, mentre nel Sud d’Italia fu sbrigativamente bollata come un fenomeno delinquenziale e classificata sbrigativamente come brigantaggio. L’epopea garibaldina aveva avuto successo poiché il Sud consegnò le proprie sorti nelle mani del generale, nella speranza di poter avere giustizia sociale e una democratizzazione dello Stato. L’esercito borbonico non fu sconfitto sul campo di battaglia, ma si rifiutò di combattere poiché gli errori del governo borbonico avevano spezzato il legame con i suoi sudditi. Ma la nuova realtà era molto peggiore di quella che avevano lasciato alle spalle. Il nuovo governo unitario intendeva semplicemente sopprimere qualsiasi segno dell’antico regno e ridurlo nella condizione di colonia. Quello che con linguaggio burocratico venne definito come piemontesizzazione era un processo di occupazione manu militare del Mezzogiorno, che fu spogliato delle sue tradizioni e delle sue ricchezze. Il brigantaggio post-unitario è stato un vasto e diffuso movimento di rivolta popolare, una rivolta contro la politica fiscale del nuovo governo, molto più feroce ed oppressiva di quella spagnola del vicereame, o francese del periodo murattiano, l’introduzione della leva obbligatoria, la perdita di autonomia e della propria identità, il liberismo selvaggio che distrusse la nascente industria dell’ex Regno delle Due Sicilie, l’occupazione da parte dei piemontesi di tutti gli incarichi nelle amministrazioni pubbliche, la difesa dell’ordine costituito con la legittimazione delle occupazione delle terre da parte della nuova borghesia agraria, che si ritrovò alleata con il nuovo ordine sabaudo. Alla protesta popolare si erano associate bande criminali, tutti i condannati liberati durante la spedizione dei mille, i diseredati e i miserabili di ogni risma che approfittavano del disordine per cercare una improbabile via di riscatto sociale con il delitto. Ma nella maggioranza dei casi si trattava di un vasto sollevamento politico privo di capi e di un preciso piano di azione. Un movimento disperato che vedeva di fronte a sé un futuro senza speranza. Invece di dare una risposta sul piano politico e sociale, l’unica forma di intervento su di carattere repressivo, classificando tutti gli insorti come delinquenti. Si iniziò con la proclamazione dello stato d’assedio nell’estate del 1862, la legge Pica dell’anno successivo e la dura repressione della transumanza di qualche mese più tardi. L’intero ex Regno delle Due Sicilie erano stato posto nelle mani dei militari, sospendendo ogni democrazia e ogni comportamento civile. Molto spesso il loro comportamento fu arbitrario e disumano, calpestando qualsiasi principio di etica civile e militare. Correttamente si era individuato nel mondo rurale il teatro della rivolta, e nei contadini i criminali da colpire non perché soggetti a condizioni di vita insopportabili, ma per la loro indole votata al delitto, come attestavano le ricerche antropomorfiche dell’autorevole studioso Cesare Lombroso. Il cranio di Giuseppe Villella, un brigante del vibonese testimoniava che l’indole criminale era conseguenza della conformazione del suo cranio, caratteristica della gente bruzia e, con stupefacente generalizzazione, delle popolazioni meridionali. Nonostante la temporaneità dichiarata, la legge restò in vigore fino al 31 dicembre del 1865, lasciando sul campo migliaia di morti vittima di abusi e di comportamenti del tutto arbitrari da parte dei militari. Una lotta impari, iniqua che vedeva da una parte il generale


sabato 20 luglio 2013

Celebrazioni post-unitarie vocò una dura reazione con migliaia di morti e deportati, come attestato dalle relazioni della Prefettura dell’epoca che si possono consultare nell’Archivio storico di Cosenza. Luigi Miceli, deputato di Longobardi, fu uno dei pochi a protestare contro questo atto di inciviltà, come in precedenza aveva coraggiosamente sostenuto che il re d’Italia doveva assumere il nome di Vittorio Emanuele I, e non continuare la numerazione piemontese, per sottolineare che l’Italia doveva essere un nuovo stato e non l’estensione coloniale del Regno di Sardegna. Luigi Miceli sostenne che la risposta al brigantaggio doveva essere il miglioramento della vita dei contadini meridionali e non la loro punizione per la rivolta per le misere condizioni in cui versavano e sollecitò una divisione dei demani e dei beni di manomorta, nonché una legge sulla Sila.

Stralci dei primi articoli della Legge Pica (nove articoli in tutto) e della firma in calce del Re d’Italia

Cialdini con un esercito ben addestrato di 120.000 uomini, con armi e mezzi militari, dall’altra migliaia di contadini inermi, le cui armi più temibili erano pugnali, pistole e “duebotti”, ma che combatterono con un eroismo incredibile contro un nemico che sapevano superiore e coscienti di non avere alcuna possibilità di vittoria. È stata una carneficina condotta con metodi arbitrari e disumani che provocò un numero maggiore di morti di tutte le guerre di indipendenza messe insieme. Fatta eccezione per la carneficina della prima guerra mondiale di qualche decennio dopo, quando ignari contadini furono condannati al macello delle trincee alpine per immolarsi in nome di un ideale di cui ancora non comprendevano il significato. Secondo Giuseppe Massari: «Nelle Calabrie il brigantaggio o non esiste affatto, oppure è faccenda d’assai poco momento: tutte le volte che esso ha osato levare il capo, le popolazioni calabresi non hanno affidato ad altro fuorché a loro medesime la cura di combatterlo e di annientarlo; in guisa che la Commissione recandosi nelle Calabrie non avrebbe potuto far altro se non significare i sensi della più calda ammirazione verso quei coraggiosi e patriottici abitanti, e quali come in agosto 1860 secondarono vigorosamente il moto nazionale senza temere le migliaia di soldati borbonici che stanziavano nelle loro contrade, così dopo non hanno mai tollerato che il suolo calabro venisse contaminato dalla presenza di orde brigantesche». In realtà la rivolta popolare in Calabria fu vasta e generalizzata e pro-

La Commissione Massari fu di tutt’altro avviso. «La sicurezza dello Stato meglio tutelata, le numerose vittime risparmiate attestano che la severa punizione di pochi fu pietà a molti ed alla patria, come crudele a molti ed alla patria sarebbe stata la pietà usata ai pochi. Nell’enunciare questi principi e nel riconoscere che la pena di morte debba essere applicata ai reati di brigantaggio la maggioranza della Commissione non intende, o signori, che non vi abbia ad essere gradazione di codesti reati, e che tutti indistintamente abbiano ad essere puniti dall’estremo supplizio. La gradazione è necessaria e per conformarsi ai dettati della giustizia e per conservare alla pena la sua efficacia. Un miserabile che, sospinto dall’amor di bottino o da paura, siasi ascritto ad una comitiva di malfattori, ma che non ha fatto altro se non scorrere la campagna, e quando ha incontrato la forza ha gettate le armi, non potrebbe essere assoggettato alla stessa pena che colpirebbe Ninco Nanco, loro di tante brutture e di tanti misfatti. Ad alcuni di noi, a dir il vero, pareva che il solo fatto di avere appartenuto ad una banda armata costituisca reato da essere punito di morte, e che le circostanze attenuanti fossero temperamento sufficiente a tutelare in ogni caso le ragioni della giustizia e dell’umanità; ma alla maggioranza è sembrato che il dichiarare reo di morte chiunque abbia fatto parte di bande armate fosse severità eccessiva, e che non conferirebbe allo scopo, poiché chiunque in un momento di trascorso si fosse arruolato in una comitiva, persuaso di non poter più riscattare la vita, si studierebbe di venderla cara e si darebbe a percorrere la carriera del delitto senza ritegno, perché senza speranza. In conformità adunque di questo avviso noi vi proponiamo che la pena di morte debba essere pronunciata dai tribunali militari a carico dei briganti colti in flagranza di resistenza alla forza pubblica, e che negli altri casi di complicazione con delitti comuni, nei quali è d’uopo conformarsi alle prescrizioni del Codice penale ordinario. La penalità che nei casi ora accennati può essere con maggior vantaggio surrogata alla morte è la deportazione in isole lontane. L’efficacia di questa pena ci è stata commendata da pressoché tutti gli onorandi magistrati e giureconsulti che abbiamo interrogato. Tutti ci hanno fatto riflettere che alla intrinseca efficacia di questa pena si aggiunge nel caso speciale di cui trattiamo, quella che deriva dall’indole delle popolazioni meridionali, affezionatissime al proprio suolo, invaghite del proprio cielo, ritrose oltre ogni credere al pensiero dell’allontanamento dal tetto natio. Il solo annunzio di questa nuova penalità cagionerebbe uno spavento salutare e fruttifero. La efficacia della pena crescerà col crescere della distanza; la deportazione alle isole di Tremiti non produrrebbe effetti così decisivi come quelle in terre lontane e di là dai mari. Nel novero dei colpevoli da condannarsi alla deportazione a vita od a tempo, con lavori forzati o senza, tutto ciò secondo le circostanze accertate del delitto, si vogliono comprendere i componenti della banda armata che non furono colti in flagranza, i complici, le spie, i manutengoli dei briganti e tutti coloro senza il cui concorso non sarebbe potuto sussistere, né procedere alle opere consuete di saccheggio, di uccisione, di devastazione». La legge Pica, fra fucilazioni, morti in combattimento e arresti, eliminò da paesi e campagne circa 14.000 briganti o presunti tali: fino a tutto il dicembre 1865, si ebbero 12.000 tra arrestati e deportati, mentre furono 2.218 i condannati. Nel solo 1865, furono 55 le condanne a morte, 83 ai lavori forzati a vita, 576 quelle ai lavori forzati a tempo e 306 quelle alla reclusione ordinaria. Le azioni del brigantaggio continuarono fino a tutto il 1870, per esaurirsi quasi spontaneamente poiché i contadini avevano perso anche la speranza e iniziò il grande esodo oltreoceanico. Quello che non riuscirono ad ottenere con la forza, i piemontesi lo ottennero con la disperazione: la deportazione volontaria di massa, che privò il Mezzogiorno delle sue energie migliori.

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Riconoscimento tanto atteso

A un passo dall’Unesco La Sila sempre più vicina alla candidatura come Riserva della biosfera, patrimonio dell'umanità Ancora un passo avanti ad opera del Parco Nazionale della Sila per la candidatura della Sila a Riserva della Biosfera del Programma MAB Unesco quale patrimonio dell'umanità. Con il convegno, svoltosi presso il Centro Visite "Cupone" di Camigliatello Silano, con la partecipazione di quattro assessori regionali, Michele Trematerra (Agricoltura e Foreste), Alfonso Dattolo (Urbanistica e Governo del Territorio), Giacomo Mancini (Bilancio e Programmazione), Francesco Pugliano (Politiche dell'Ambinte), il Parco Nazionale della Sila ha incamerato il sostegno finanziario e politico della Regione Calabria per il Progetto Mab Unesco. Apprezzamenti e sostegno che sono arrivati pure da parte dell'inviato del ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Mauro Sorbelli, componente anche del Comitato Nazionale Unesco, che si è dichiarato fiducioso del riconoscimento del prestigioso titolo dell'Unesco, che significherebbe per il territorio del Parco e per tutto il territorio attiguo un volano di sviluppo e di crescita economica e sociale a livello di promozione occupazionale per gli effetti turistici- ambientali, culturali e storici. La candidatura del Parco della Sila avendo già superato la fase preliminare di valutazione - ha sottolineato la Presidente, Sonia Ferrari - è di estrema importanza l'avvio di alcune attività strategiche che implica l'attivo coinvolgimento del territorio, beneficiario delle straordinarie opportunità di sviluppo sociale ed economico che ne deriverebbero. Di tutto questo la comunità del Parco non ne ha ancora preso coscienza piena ed è per questo, che sono state programmate durante questa estate, per essere concluse nel prossimo mese di settembre, con la firma di un protocollo d'intesa, vari incontri ed iniziative locali con i sindaci dei comuni rientranti nell'area del Parco, mirate a creare interesse, partecipazione e conoscenza dei benefici derivanti dalla candidatura. E' toccato al direttore, Michele Laudati, fare il punto sulla situazione del Parco della Sila alla luce della candidatura del Programma

Sostegno arrivato da parte dell’inviato del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, Mauro Sorbelli che si è dichiarato fiducioso sull’arrivo del prestigioso titolo

Mab Unesco, che ha comportato un grosso lavoro progettuale ed elaborativo avviato nel 2010 secondo le linee di intervento previste dal nuovo POR 2014/2020, secondo il quale è necessario ed opportuno svolgere attività di sollecitazioni del territorio prevedendo azioni di animazione rivolte agli stakeholders, alla Regione Calabria, alle Università e alle collettività, alle associazioni di categoria, imprenditoriali, datoriali e sindacali. Come in passato, anche nel workshop odierno, questi soggetti hanno avuto modo di confrontarsi tra di loro pensando , come ha sottolineato il Direttore Laudati, all'Area Vasta del Parco comprendendo tutti i comuni limitrofi, individuata come zona transition, o altrimenti dette aree di cooperazione, prettamente deputate ad attività di sviluppo socioeconomico e prevedono la possibilità di svolgere funzioni territoriali multiple improntate allo sviluppo sostenibile. Si pensi che tra comuni adiacenti ed esterni al Parco l'influenza della caratteristica transitino arriverebbe a Nord fino a Cassano allo Jonio, mentre a Sud fino a Sellia Marina - Cropani. Da Est ad Ovest si toccherebbero i Comuni di Cosenza e quelli della fascia presilana per arrivare fino a Campana - Rossano. Le disposizioni del Ministero dell'Ambiente sono che le aree transition possono contenere un'ampia varietà di attività e progetti in cui le comunità locali, gli enti di gestione, i ricercatori, le associazioni di categoria, le organizzazioni non governative e gli altri portatori di interessi economici lavorino insieme per la gestione e lo sviluppo sostenibile delle risorse dell'area. Tutto questo può significare crescita occupazionale e sviluppo economico nell'ambito di questo vasto territorio, argomenti ampiamente ripresi durante le tre fasi di discussione del workshop "Man and the Biospere":Le opportunità di sviluppo socio - economico legate al riconoscimento a riserva della biosfera; Il MAB: prospettive socio - economiche; Il Mab: prospettive ambientali ed urbanistiche. F.b.


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Socializzazione, gioia e spensieratezza A San Vincenzo La Costa la prima edizione della Festa del pane

All’insegna della mietitura La comunità di San Vincenzo La Costa si è ritrovata nei pressi del suo centro storico, in via Prati, per celebrare in forma partecipata la festa del grano promossa dalla Commissione consiliare alla cultura in stretta collaborazione con la locale sezione della Proloco. La Festa, nella sua prima edizione, sostenuta dall'amministrazione comunale di San Vincenzo La Costa, guidata dal sindaco, Aristide Filippo, è stata pensata e realizzata nelle forme più tradizionali partendo dalla mietitura del grano ad opera di vecchi contadini e contadine del posto, allietati dalla presenza di giovani e ragazzi che non hanno fatto mancare la loro gioia e la partecipazione, condividendo canti e dialoghi del tempo sotto lo sguardo attento di un pubblico incuriosito ed interessato nell'assistere al legamento delle fasce di grano, le così dette "gregne", come al caricamento delle stesse sui carri trainati da coppie di buoi e trasportati sull'aia per essere accatastati nella forma della "timugna", pronte per essere immesse nella trebbia ricavando da una parte i chicchi di grano e dall'altra le balle di paglia ben legate, lettiera futura per gli stessi animali e concime di crescita per le piante. Come, altrettanto, pieno di fascino si può dire sia stata la fase di vettovagliamento dei lavoratori contadini adibiti alla mietitura e trebbiatura del grano, ad opera delle donne, con il cosiddetto "mursieddru", in cui ci si rifocilla insieme scambiando battute e momenti di socializzazione spensierata e gioiosa. L'arrivo della trebbia sull'aia e la lavorazione delle fasce di grano ha costituito il momento di maggiore attrattività da parte del pubblico

Pensata e realizzata nelle forme più tradizionali partendo dal lavoro dei campi ad opera di vecchi contadini e contadine del posto

intervenuto per rinverdire ricordi del passato o conoscere una tradizione antica sconosciuta alle nuove generazioni, figli delle innovazioni tecnologiche, delle quali anche il mondo dell'agricoltura se n'è impregnato. Argomenti e valori approfonditi nel corso di un dibattito svoltosi a lato dell'aia, moderato dal giornalista, Franco Bartucci, con la partecipazione del Sindaco di San Vincenzo La Costa, Aristide Filippo, del Presidente dell'Ordine Provinciale di Cosenza degli Agronomi e Forestali, Lina Pecora, dell'Assessore Provinciale AGL Caccia e Pesca,, Diana Biagio, del presidente dell'Associazione dottori in scienze agrarie e forestali, Mario Reda. Varie testimonianze e contributi di idee che hanno portato alla proposta di promuovere su quel territorio altre feste celebrative sul pane, sul vino e sull'olio per dare valore al settore agricolo dell'area che merita attenzione e sostegno a favore dei produttori, messi in crisi dalla situazione economica e sociale del nostro Paese, così della nostra Regione. Nella circostanza sono stati restituiti al loro ambiente naturale alcuni rapaci curati presso il Centro Recupero animali selvatici di Rende. Si è trattato di 3 allocchi e 2 civette. La festa, organizzata dal sig. Giovanni Cariati e dalla signora Lucia in ricordo di Franco e Anna Cariati, è poi proseguita e conclusa con degli intrattenimenti di musiche popolari e con stand gastronomici di prodotti tipici locali e relativa degustazione. Franco Bartucci

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Tra passione e follia Parola (e racconti) di Rubens Lanzillotti

Là fuori è una guerra di Francesco Fotia

Una libreria piena di gente, l’età media che non supera i venticinque anni, un giovane scrittore cosentino che da anni ormai nuota nel caos affatto calmo della capitale; di fianco a lui ci sono un giornalista, un’attrice e un musicista. È la presentazione di Là fuori è una guerra, opera prima di Rubens Lanzillotti, che, dopo il doppio incontro avvenuto nelle scorse settimane a Roma, martedì sera ha tenuto a battesimo il suo libro, gentilmente ospitato dalla Mondadori di Piazza XI Settembre, a Cosenza. A discutere con l’autore ventiquattrenne, Igino Camerota e Rossella Gaudio, che ha prestato la sua voce alla lettura di alcuni passi tratti dallo scritto: un viaggio nelle oscure vite di sette personaggi legati tra loro dalla passione e dalla follia, dalla disperazione e da un disagio che si trasforma sempre in schegge di dolore acutissimo. In Là fuori è una guerra, edito dalla “giovane” ma competente Giulio Perrone Editore, c’è la Roma che l’autore ha conosciuto: lontana dalle cartoline sognate e spedite dai turisti, e invece soffocante in tutta la sua grandezza; una città opprimente nella sconfinatezza delle sue periferie, al punto da assomigliare a una gabbia dalla quale evadere. Per andare dove? A Londra, il portafogli dell’Inghilterra, per molti destinata a restare un lontano cassetto dei sogni che in troppi hanno già sognato. Dalla lettura dei passi si evincono, al tempo stesso, la delicatezza dello sguardo di Rubens e la sua scritturata tagliente e diretta, in grado di arrivare al cuore delle cose con la forza di descrizioni mai banali, profonde, che si accumulano compenetrandosi per regalare infine l’immagine psichica cristallizzata di un mondo e di alcuni stati della mente che si possono raccontare soltanto per metafore. Allegorie, che parlano dell’amore e dell’odio, del sesso e della morte, lasciando che il lettore viaggi nei meandri bui dell’inconscio e del pensiero umano, restando però fortemente ancorato a una realtà, quella di oggi, che, irrispettosa, fagocita tutto ciò che la abita; specie le anime più delicate. Igino Camerota, in uno dei suoi commenti lo ha definito «complicato» e «simbolico», dal difficile approccio se non ci si riesce a staccare da certi blockbuster letterari pieni zeppi di trame facili e accomodanti, ma che, una volta accettata la rottura del “tacito patto” tra

Un momento della presentazione del libro Sopra, la copertina

Esordio letterario dello scrittore cosentino Nel suo libro c’è la Roma che l’autore conobbe lontana dalle cartoline sognate e spedite dai turisti, e invece soffocante in tutta la sua grandezza

autore e lettore, si lascia leggere e apprezzare. E dà da pensare. Esattamente il tipo di lavoro che, probabilmente, Rubens aveva in mente nei mesi di stesura del libro, se per sua stessa ammissione non è mai stato interessato a quella «letteratura replicante e a quelle fotocopie sempre uguali a se stesse che, stringi stringi, parlano sempre delle stesse cose per potere vendere». Un’idea che l’autore rifiuta, e alla quale sostituisce la concezione di un’arte che possa aiutarci a «svuotarci di cose che non sono nostre, ma che ormai ci sono entrate dentro».

Là fuori è una guerra, forse, in fondo è proprio questo: un’opera che ambendo a penetrare in profondità nei cuori si candida a essere una delle tappe del percorso di epurazione ideale di cui l’uomo contemporaneo ha bisogno. Per farlo, il giovanissimo scrittore si è servito qui anche del cinema e della musica, sue grandi passioni. Nel libro si trovano infatti riferimenti a Magnolia e, di rimando, all’America oggi di Altman, a Will hunting e a gemme della musica come House of the rising sun. Proprio le note, nella prima cosentina del libro, hanno fatto da corollario alla presentazione dell’opera, alternandosi ai commenti e alla lettura dei passi: così, accompagnato dal contrabbasso di Federico Mari, Rubens, chitarra acustica alle mani e una voce che non bisogna del microfono, ha regalato ai presenti altri momenti del suo essere un artista a trecentosessanta gradi, con l’esecuzione di quattro canzoni legate alle trame di Là fuori è una guerra. Per lui un ritorno alla musica dal vivo nella cara Piazza XI Settembre, dove più o meno dieci anni fa si esibiva con uno dei gruppi allora più amati dagli adolescenti cosentini nati alla fine degli Anni ‘80, e del quale era frontman: i Killer machine. Il tempo passa, cambiano i gusti, le ambizioni e le strade per realizzarle; non cambia però il bisogno di darsi al mondo creando, parole, note o suoni che siano, realtà parallele entro le quali stare meglio e riflettere, in compagnia di chi non si accontenta più, o non si mi è mai accontentato, delle “letterature replicanti” e della “talent music”. Con buona pace delle fotocopisterie dell’arte seriale.


sabato 20 luglio 2013

XIII

Doni preziosi Cerimonia di donazione, del "Fondo Goffredo Gambarara"

I fratelli Gambarara

Unical la biblioteca si arricchisce Cresce il legame di Daniele Gambarara, ordinario di Filosofia del linguaggio, e della sua famiglia con l’Unical. Dopo la donazione alla Biblioteca di Area Umanistica dell’Università (Bau) della sua personale collezione dedicata a Ferdinand de Saussure, si è aggiunta, con il consenso del fratello Gabriele e della sorella Emanuela, una raccolta di libri di storia dell’arte (antica, moderna, contemporanea, con molte splendide edizioni di strenne bancarie, e alla storia contemporanea), curata dal proprio padre, Goffredo, che come Fondo costituirà per gli studenti dell’Università e non solo un punto di richiamo di forte interesse, in quanto di valore unico e straordinario, per una consultazione di conoscenza e crescita culturale. Il Fondo Goffredo Gambarara, con oltre cinquecento volumi di difficile reperibilità, unitamente alla collezione dedicata a Ferdinand de Saussure e dei suoi allievi costituirà un motivo di crescita del valore librario della stessa biblioteca. La cerimonia di donazione, avvenuta all’interno della Biblioteca alla presenza del direttore del dipartimento di studi umanistici, Raffaele Perrelli, dello stesso Gambarara e dei suoi congiunti, si è caratterizzata per una breve introduzione della direttrice della Biblioteca, Gabriella Donnici, ma soprattutto per dei contributi e testimonianze portate dalla presidente della Biblioteca, Carmela Reale, e di Giovanna Capitelli, associato di Storia dell’arte moderna presso l’Università della Calabria. «Grazie alla donazione della famiglia Gambarara, la Biblioteca di Area umanistica dell’Università della Calabria - ha detto Capitelli si arricchisce di un cospicuo fondo di volumi di storia dell’arte, letteratura artistica e odeporica, di pregevoli edizioni in facsimile, di storia materiale e della cultura, che rappresenterà negli anni a venire uno stimolo concreto - un’indicazione di ‘buona pratica’ da non lasciarsi sfuggire - a incrementare aree del patrimonio librario del nostro Ateneo altrimenti scarsamente rappresentate nel sistema bibliotecario della regione. I volumi raccolti da Goffredo Gambarara, dirigente della Banca nazionale dell’agricoltura, lettore sapiente e appassionato, non costituiscono semplicemente un’addizione alla sezione dedicata alla Storia dell’arte della nostra biblioteca che pure si dota così di numerosi numeri di catalogo rari e di grande utilità per i nostri studenti - bensì compongono, nel loro insieme, una testimonianza vivida, e finanche entusiasmante, di una stagione per molti versi irripetibile dell’editoria d’arte italiana». I volumi sono stati in larga parte pubblicati tra gli Anni ‘60 e ‘80 dello scorso secolo, raccolti da un uomo colto e sensibile verso la cultura del mondo dell’arte, pur essendo stato Goffredo Gambarara un alto dirigente di un istituto bancario italiano che può essere considerato a tutti gli effetti un “amico” dell’Università della Calabria. «La biblioteca di Goffredo Gambarara è il segno - ha detto la presidente della Biblioteca di Area Umanistica, Carmela Reale - di un passaggio di testimone ai figli, il segnale-guida della via di accesso al sapere: l’amor di libro che si fa insegnamento ed eredità civile. Parlare quindi di gratitudine della Biblioteca per il dono e per ciò che la volontà di Daniele Gambarara ha permesso che si realizzasse, per il suo significato di attaccamento all’Università che da tanti

Volumi di storia dell’arte, letteratura artistica e odeporica, di pregevoli edizioni in facsimile, di storia materiale della cultura, che rappresenterà uno stimolo a incrementare aree del patrimonio dell’ateneo

anni lo vede docente, per la sua fede nella missione e nelle potenzialità della Biblioteca stessa, per la speranza di futuro che i libri sempre dischiudono non è del tutto sufficiente e tuttavia significativamente indispensabile». Daniele Gambarara, di fronte alla moglie, Magritte, alla sorella Emanuela ed al fratello Gabriele, nonché colleghi e alcuni allievi laureati in Scienze della comunicazione e conoscenza a lui legati in un rapporto di stima ed amicizia, si è esposto parlando della donazione come un progetto pedagogico chiamandolo “progetto 2.0”, per segnare il passo, rispetto ad un’Italia di un altro secolo che ha scommesso tanto sull’educazione ma che oggi, in quelle forme, non può tornare. Parla del suo papà ed è cosciente della validità della donazione fatta alla Biblioteca dell’Università della Calabria, quale strumento e leva d’emancipazione culturale e sociale. È toccato poi al presidente dell’associazione internazionale “Amici dell’Università della Calabria”, Bonifati, costruttore dell’Università, dare delle informazioni sulla figura di Goffredo Gambarara legandolo alla fase di partenza di realizzazione della struttura ponte e dei cubi previsti dal progetto Gregotti. «La mia società (Bocoge, ndr), all’epoca - sono le parole del presidente Aldo Bonifati - era cliente della Bna e, in considerazione della brevità dei tempi, per ottenere una fidejussione pensai di rivolgermi direttamente a Goffredo Gambarara, amministratore delegato della Banca, il quale accettò di rilasciarmi la richiesta fidejussione di 180 milioni. Era una fidejussione elevatissima in rapporto al capitale sociale della società e, quindi, di non facile accoglimento da parte degli istituti di credito. Senza la sua approvazione non avrei avuto la possibilità di procedere alla stipula del contratto. Ricordo che al termine dell’incontro, nel salutarci mi guardò negli occhi e mi disse: “Bonfati io ho molta stima e fiducia in Lei e le prometto che, se ne avrà bisogno, l’aiuterò anche in futuro, perché le confesso che è anche mio desiderio vedere ultimata l’opera da Lei intrapresa. E sa perché? Perché all’Università della Calabria insegna mio figlio Daniele e desidero anch’io, come voi, vederla completata”. Ed oggi, voi, Daniele, Emanuela, Gabriele, con la donazione di questi preziosi volumi, facenti parte della sua grande biblioteca, avete materializzato l’amore del vostro caro ed indimenticabile genitore per questa nostra Università». È bello sapere e sono sentimenti profondamente umani che un uomo colto come Goffredo Gambarara, per amore nei confronti del proprio figlio, abbia dato il suo contributo nella nascita del campus universitario di Arcavacata, legando sentimenti a sogni di una terra in cui a primeggiare fossero valori legati alla cultura, alla formazione ed alla conoscenza, segno di sviluppo e crescita economica e sociale, in cui questo figlio, per un quarantennio, si è speso con onestà e passione in un progetto educativo e di ricerca nel rispetto del ricordo ed esperienza della propria madre anch’essa docente ed insegnante, testimone di valori per essere sulle strade del mondo “maestri di vita”. Franco Bartucci, portavoce associazione internazionale “Amici dell’Università della Calabria”


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sabato 20 luglio 2013

Ricordi come macigni Premio “Pacchero d'argento” a suor Carolina Iavazzo, collaboratrice del sacerdote ucciso dalla mafia

Pensando a don Pino Puglisi Tra gli ulivi della chiesa madre, a Castiglione Cosentino si è svolta la cerimonia di consegna del Pacchero alla ‘ndrangheta, l’iniziativa promossa dal laboratorio politico culturale “La Calabria che non c’è”, presente il portavoce Marco Amantea, con il patrocinio della Commissione regionale contro la ‘ndrangheta, presieduta da Salvatore Magarò, ideatore del premio, in collaborazione con il Comune di Castiglione Cosentino. La seconda serata dell’edizione 2013 del Pacchero d’argento, ha visto protagonista suor Carolina Iavazzo, la collaboratrice di don Pino Puglisi, che continua l’opera del sacerdote ucciso dalla mafia, a Bovalino dove è sorto un centro di solidarietà, aggregazione e assistenza dedicato proprio a don Puglisi. Le note di “Esultate giusti”, intonate dal Coro a cappella diretto dal maestro Gianfranco Cambareri, del conservatorio di musica Fausto Torrefranca di Vibo Valentia, guidato da Antonella Barbarossa, hanno introdotto la conversazione, moderata dal giornalista Salvatore Bruno. A premiare suor Carolina l’arcivescovo di Catanzaro e Squillace, mons. Vincenzo Bertolone che ha patrocinato la causa di beatificazione di don Pino Puglisi, conclusasi lo scorso 25 maggio allo stadio di Palermo. Sul potere dei segni si è soffermato mons. Bertolone che ha sottolineato l’importanza di iniziative simboliche come questa «perché dice - sono la testimonianza di come il bene possa prevalere sul male. Le forze di polizia, le azioni repressive da sole non bastano se non cambia il cuore dell’uomo». E poi ha posto l’accento sull’esigenza di «assumere, ognuno, la responsabilità del bene comune». Nella battaglia contro le mafie «la Chiesa - dice - ha fatto tanto ma deve fare ancora molto. Il nostro compito è quello di stimolare le coscienze e formare galantuomini». Riflessioni di stringente attualità si sono alternate a momenti di profonda commozione scaturiti dal ricordo di don Puglisi nella testimonianza di suor Carolina che ha vissuto l’assedio della mafia nel quartiere Brancaccio a Palermo e la resistenza opposta dal sacerdote antimafia, fino al tragico epilogo. «Quando è morto don Pino - ricorda suor Carolina - la sensazione forte è che tutto fosse finito». Poi, però, ritorna la speranza e la convinzione che anche la morte di un uomo non è vana se si continua sul solco da lui tracciato. E lei, napoletana «che - come ama dire - viene dalla camorra, è passata dalla mafia e si trova ora a vivere in una terra di ‘ndrangheta», non ci ha pensato due volte a continuare l’opera iniziata con don Pino Puglisi, in Calabria, dove - dice «esiste un ricco patrimonio di umanità che ha bisogno di essere indirizzato e sostenuto affinché non intraprenda le strade dell’illegalità». E poi la denuncia, chiara, essenziale senza gli “orpelli” del linguaggio diplomatico o del politichese, proprio come sa e può fare una donna che ha scelto di stare dalla parte degli ultimi, sempre e comun-

A premiarla l’arcivescovo di Catanzaro e Squillace Vincenzo Bertolone che ha patrocinato la causa di beatificazione del sacerdote conclusasi lo scorso 25 maggio allo stadio di Palermo


sabato 20 luglio 2013

Ricordi come macigni

Pronti ad accogliere i migranti

San Procopio apre le sue porte A centro pagina in basso, suor Carolina tra Salvatore Magarò e mons. Bertolone riceve il premio Qui a sinistra con alcuni volontari del Centro “Puglisi” di Bovalino Sotto, il pubblico sul sagrato della Chiesa Madre di Castiglione C.

que, nelle periferie dimenticate delle città, lontano dalle oscurità della Chiesa di Roma. Sollecitata dalla domanda del giornalista suor Carolina denuncia «l’assenza dello Stato e delle Istituzioni e anche di qualche sacerdote. Il terzo settore - dice - è tagliato fuori». Ma poi torna il ricordo di don Puglisi a rischiararle il viso e lo cita: «Se ognuno fa qualcosa abbiamo fatto molto» e poi si affretta ad aggiungere: «Io non ho fatto niente per meritare questo premio, faccio solo il mio dovere». Presenti alla cerimonia, oltre al primo cittadino di Castiglione Cosentino, Antonio Russo, che ha aperto la manifestazione con un intervento di saluto, anche i sindaci di Bianchi, Longobucco, Marano Principato, Montalto Uffugo e i rappresentanti della provincia di Cosenza dell’Associazione nazionale Carabinieri.

Da sinistra Bruno, Amantea, Russo, Iavazzo, Magarò, Bertolone Nella pagina precedente, in basso, Magarò e suor Carolina con il coro del maestro Cambareri

La proposta era giunta per voce del Prefetto di Reggio Calabria, Vittorio Piscitelli, accogliere un gruppo di migranti, che, a seguito dello smantellamento della tendopoli di San Ferdinando, si sarebbero ritrovati senza collocazione di alcun tipo. I cittadini di San Procopio ne hanno discusso e hanno deciso, dichiarandosi pronti ad accogliere nel territorio del proprio comune quattro/cinque migranti. L’occasione di confronto è giunta grazie alla seduta del consiglio comunale, che il sindaco della città, Eduardo LambertiCastronuovo, in nome della democrazia partecipata, ha voluto aprire al contributo dei suoi concittadini e del parroco, don Carmelo Suraci, affinché fossero gli stessi cittadini ad esprimere la propria scelta. Della decisione, presa all’unanimità dalla cittadinanza, il sindaco ha quindi informato, tramite missive, il prefetto reggino e il presidente della Provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Raffa. I locali che accoglieranno i migranti saranno messi a disposizione dall’amministrazione comunale e verranno, infatti, forniti delle strutture necessarie, letti e cucina, che saranno acquistate coi fondi messi a disposizione dall’amministrazione provinciale, come già preannunciato dal capo di gabinetto, Domenico Bagnato. «San Procopio è un paese da sempre votato all’accoglienza», ha commentato il sindaco, «e i miei concittadini, come presupponevo, dopo aver ricevuto da me ampie garanzie in merito, derivanti dalla conoscenza dei soggetti, si sono dimostrati all’altezza della loro fama, aprendo le loro braccia per accogliere i fratelli più sfortunati; ma San Procopio è anche oasi di legalità, per cui cura dell’amministrazione comunale sarà di vigilare costantemente affinché ogni comportamento sia consono e cristallino».

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sabato 20 luglio 2013

Sete di cultura L'anteprima si svolgerà domenica 28 luglio alle ore 20 presso l'Antico Sedile della cittadina tirrenica

Aspettando il “Tropea Festival” Conto alla rovescia per "Aspettando il Tropea festival", vetrina di presentazione di uno dei sei grandi eventi che fanno parte del cartellone unico "Calabria terra di festival", finanziato con i fondi Por e sostenuto dall'assessorato alla Cultura della Regione Calabria, diretto da Mario Caligiuri. L'anteprima si svolgerà domenica 28 luglio alle ore 20 presso l'Antico Sedile della cittadina tirrenica, e costituirà un frizzante prologo condotto da Pasqualino Pandullo, in cui sono previsti gli interventi di Mimmo Gangemi e Carmine Abate, firme illustri della letteratura contemporanea e recenti vincitori del Premio letterario Tropea, il primo in Italia ad avere adottato il formato ebook. Con loro ci saranno Gilberto Floriani, direttore artistico del Tropea festival Leggere&scrivere, oltre che al vertice del Sistema bibliotecario vibonese, e Maria Faragò (direttore artistico del Tropea festival Leggere&Scrivere). Saluti ed introduzione alla serata da parte del sindaco Gaetano Vallone e conclusioni a cura dello stesso Caligiuri, cui si deve il merito di aver concretizzato negli ultimi mesi il "Libro verde per la lettura", una delle iniziative di maggior impatto propiziate dal presidente della Regione Giuseppe Scopelliti, per invertire il trend negativo che la Calabria ha sempre mantenuto fino a qualche mese fa. La seconda edizione del Tropea festival Leggere&Scrivere, invece è prevista dal 24 al 29 settembre prossimi, con un cartellone trasversale e multidisciplinare, per ribadire le caratteristiche di unanime consenso che ne hanno segnato il debutto. La grande novità di quest'anno è costituita dal focus mirato in tre differenti sezioni che andranno ad ampliare le prospettive ed il significato di un cartellone i cui ultimi, definitivi dettagli stanno per essere chiusi proprio in queste ore: "Una regione per leggere" (diretta da Gilberto Floriani), sarà più legata agli approfondimenti ed al territorio, "Parabole, narrazioni in corso" (diretta da Maria Faragò), si rivolge alla contemporaneità e al digitale, mentre la sezione "Premio Tropea" (diretta da Pasqualino Pandullo), sarà al servizio di uno dei più autorevoli riconoscimenti nazionali, i cui finalisti per l'edizione 2013, sono Benedetta Palmieri (I Funeracconti, ed. Feltrinelli), Vito Teti (Il patriota e la maestra, ed. Quodlibet) ed Edoardo Albinati (Vita e morte di un ingegnere, ed. Mondadori). Il Tropea festival Leggere&scrivere, arrivato alle soglie della sua seconda edizione, ha tra i suoi obiettivi quello di consolidare la validità di una formula complessa ed avvincente che prevede un mix ben calibrato fra varie forme di cultura: letteratura, teatro e musica, parola scritta e riflessione in digitale, elementi che gli hanno valso

Un frizzante prologo condotto da Pasqualino Pandullo in cui sono previsti gli interventi di Mimmo Gangemi e Carmine Abate

il plauso di media ed addetti ai lavori, non solo per le grandi personalità nazionali ed internazionali che ne hanno animato le giornate, ma anche per la collaborazione di altre importanti realtà dello stesso ambito come il Festivaletteratura di Mantova e Pordenone Legge, che saranno a Tropea per assistere alle fasi salienti del festival con i loro più eminenti rappresentanti. Nel quadro di una articolata strategia turistica, che pone al centro del suo potenziale le bellezze incontaminate di Tropea, il festival si propone dunque, di valorizzarne anche il comprensorio con varie altre proposte inserite nel format pensato per questo scopo degli Itinerari culturali vibonesi, originali viaggi percettivo-cognitivi, alla scoperta di un territorio ricco di attrattività e carico della storia e dei patrimoni culturali meno conosciuti delle piccole realtà locali, poste finalmente in contatto e confronto con importanti circuiti nazionali. Legittima la soddisfazione di Caligiuri: «Se ogni calabrese - ha ribadito - fosse consapevole della quantità e qualità degli eventi che caratterizzano l'offerta culturale della nostra regione, la sua stessa percezione del territorio in cui vive e lavora si modificherebbe in maniera sostanziale e costruttiva. Formulo i miei più proficui auguri a tutti i festival che fanno parte del circuito di eccellenza lanciato in accordo con la volontà del presidente Scopelliti».

Premio giornalistico nazionale per la laureata Unical Bruna Larosa

Premiata la voce che loda la bellezza La giornalista Bruna Larosa, laureata all'Università della Calabria in Scienze politiche, ha vinto il premio giornalistico nazionale "La voce della bellezza", istituito da Art'è, fondazione Marilena Ferrari, con un articolo intitolato: "L'agricoltura ecocompatibile del Parco del Pollino". L'affermazione della Larosa è avvenuta al termine di una durissima selezione tra oltre 450 contributi, presentati da ogni parte d'Italia, e dopo che il suo pezzo era entrato nella rosa dei cinque finalisti. «È una soddisfazione enorme sul piano professionale - afferma la giornalista - ma per me ha assunto un' importanza particolare anche perché è stata

l'occasione, davanti alla commissione del premio e a tanti colleghi, per parlare positivamente della Calabria, regione che amo profondamente, e dell'Università in cui mi sono formata». Apprezzamento ha espresso anche il rettore dell'Università della Calabria, Giovanni Latorre: «È una bella sorpresa - ha detto - che in qualche modo appartiene anche al nostro Ateneo, dove la dottoressa Larosa ha studiato con profitto. Oggi questa nostra laureata comincia a raccogliere i primi frutti di una carriera che Le auguro possa essere ricca di ulteriori momenti di gratificazione e di riconoscimento delle sue qualità».


sabato 20 luglio 2013

Altomonte Rock festival XIII edizione seguita in streaming da tutto il mondo

Conto alla rovescia per i Pink Floyd Sarà il repertorio del mitico gruppo britannico dei “Pink Floyd” a caratterizzare l’edizione 2013 della kermesse musicale Altomonte Rock festival, giunta al suo XIII appuntamento. Quest’anno la manifestazione sarà organizzata sabato 27 luglio 2013 dall’associazione Mosaico, presso il noto Teatro “Costantino Belluscio” e trasmessa per la prima volta in diretta streaming per permettere a tutti gli amanti della musica rock di seguire i “New Collura” da tutto il mondo. Dopo il notevole successo delle edizioni precedenti del Festival di Altomonte, iniziativa che si è oramai imposta nel panorama delle manifestazioni estive, riconosciuta e apprezzata sia in tutta Italia che all’estero per aver selezionato oltre mille gruppi rock, quest’anno si annuncia con questo clamoroso evento dedicato interamente, appunto, allo storico gruppo dei “Pink Floyd”, che tante emozioni hanno regalato, con le esibizioni della Tribute band “New Collura” di Potenza. La manifestazione altomontese, presentata a stampa e televisioni, presso il Salone degli Stemmi della Provincia di Cosenza, ha visto gli interventi del direttore artistico Giulio Pignataro, dell’Assessore Provinciale allo Sport, Turismo e Spettacolo Pietro Lecce, del’Assessore allo Sport, Ambiente e Politiche Giovanili di Altomonte Antonio Piraino, che ha rappresentato il Sindaco di Altomonte Giampietro Coppola ed alcuni dei componenti di gruppi degli anni scorsi che verranno premiati nell’ambito del festival, come il cantautore Giuseppe Medaglia del gruppo Music Man Mimmo Mazza del gruppo Dispetto. L’assessore Lecce, nel portare il saluto del presidente Mario Oliverio, ha esplicitato il sostegno convinto alla manifestazione altomontese che rappresenta un fiore all’occhiello tra le tante manifestazioni estive. «In un territorio dove non è facile e per nulla scontato continuare a mantenere in piedi eventi come questo, si deve riconoscere il meri-

Quest’anno la manifestazione sarà trasmessa per la prima volta in diretta streaming Una kermesse che si è ormai imposta nel panorama estivo

to al direttore artistico ed al suo staff per come abbiano saputo, per 13 anni, perpetuare un appuntamento di grande stile ed energia, idoneo a segnare il destino di una cittadina che sempre più offre, attraverso iniziative pregnanti, stimoli attrattivi di forte richiamo turistico. Se in molti decidono di passare le vacanze ad Altomonte è proprio perché richiamati da una serie di pregevoli eventi. Tutto ciò crea indotto e dà respiro all’economia locale. Scegliere poi il gruppo storico del Pink Floyd per il festival è stata una scelta felice che celebra un momento musicale di alto livello. Ma quello che interessa come spirito del Rock festival di Altomonte è anche la possibilità, come vetrina di tutto rispetto, offerta alle giovani band emergenti di farsi conoscere e di poter essere proiettate nel panorama musicale». Dell’organizzazione generale del festival e della sua esperienza in tanti anni di precedenti edizioni messe in cantiere ha parlato con dovizia di particolari il direttore Giulio Pignataro, sottolineando il grande sforzo operato avvalendosi anche di sponsor per dare lustro e contenuto all’evento. Il Festival rock di Altomonte, che anche nelle passate edizioni aveva dedicato diversi omaggi alle band rock Europee, avrà questa unica ma importante band che eseguirà live le più belle canzoni del gruppo Inglese. Il gruppo dei “New Collura” si esibirà in una magistrale riproposta, meticolosamente e attentamente curata dal chitarrista Nicola Tancredi e dal tastierista Raffaele Digiglio nei minimi particolari. Una rielaborazione dei brani riproposti con fedeltà straordinaria e decisamente sorprendente, esattamente così come i mitici maestri del rock li hanno eternati sul supporto audio. Durante la Conferenza Stampa è stato proiettato un video che ripercorre la storia e la carriera artistica del gruppo inglese. Altri componenti del gruppo sono: Antonio Colangelo (basso elettrico, freetles), Franco D’aranno (batteria acustica, percussioni), Antonio Darino (voce solista e coro), Mariagrazia Raggi (voce solista e coro),Teresa Disisto (voce solista e coro) e Anna Lavieri (voce solista e coro).

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sabato 20 luglio 2013

A Santa Severina Campus Afam 2013, il Conservatorio “Tchaikovsky” di Nocera Terinese ospita gli Efm trio

Note a ritmo incalzante Sicuramente uno dei numerosi appuntamenti di rilievo, degno di grande attenzione il concerto del trio calabrese Efm trio, che farà alzare il livello culturale del campus organizzato dal Conservatorio di musica Tchaikovsky di Nocera Terinese. Lunedì 23 luglio presso la città d’arte di Santa Severina (Kr), si esibiranno uno dei gruppi musicali più originali e interessanti che emerge con prepotenza ed intelligenza nell’asfittico mondo musicale calabrese, dimostrando che non esistono barriere tra i diversi generi musicali. Mostrando rare versatilità e capacità strumentali, il progetto è un contenitore che si permette di shakerare suoni e generi musicali: tra il latino e il jazz, in un continuo gioco tra ritmi incalzanti e armonie interessanti il cui risultato è come un cielo sereno da cui improvvisamente arriva un temporale. Questo è ciò che contraddistingue in modo inequivocabile ed ineguagliabile il gruppo Efm trio, facendo della loro musica un marchio di fabbrica per il sound, la singolarità dei suoni, strumentali, in una riuscitissima commistione tra lo stile latino e quello afroamericano, offrendo una combinazione che non permette di annoiarsi all’ascolto. La formazione del progetto in co-produzione con Lamezia Jazz festival denominato “Sueno latino” sarà composta da Egidio Ventura al pianoforte, Franco Marino al basso e Massimo Russo alla batteria. I 3 musicisti hanno partecipato a numerosi festival: Piazza Jazz (En) - Peperoncino Jazz festival (Cs), Altomonte “Di...vino in jazz” (Cs), La Sosta (Rc), Il Moro jazz club (Sa), Per...Bacco jazz club (Ta), Yachting Kroton club (Kr), Caruso jazz cafè (Fi),Cotton club (Roma), Catalani jazz cafè (Me), Ionadi jazz (Vv), Teatro Rendano (Cs), The Brass jazz club - La Cartiera (Ct), Provincia di Crotone (Kr), Lamezia jazz (Cz), Jazz Loci (Cz), Osteria jazz club “Quattro venti” (Ta), La Fioreria (Rc), Country club “Le Querce jazz” (Cz), Rumori mediteranei (Rc), Round midnight jazz club (Sa), Lizard Messina, Jazz & vento (Cortale - Cz), Kroton Jazz festival. Hanno collaborato con F. Bosso, P. Matino, A. Flora, S. Regina, R. Marques, J. Garrison, G. Rosciglione, C. Cannon, M. Giammarco, G. Munari, S. Chimenti, R. Spadoni, G. Bianchetti, S. Donati, E. Fioravanti, S. Kambè, Sal Genovese, M. Marzola, G. Jackson, Chicago Beau, O. Maugeri, M. Tamburini, S. D’Anna, S. Di Grigoli, Tony Julio, G. Di Lella, l’Orchestra ritmico-sinfonica della Rai di Roma,Gianni Ferrio, Bruno Canfora, Marcello Rosa, D. e F. Piana, Pippo Matino, Daniele Scannapieco, Gegè Telesforo, Dom Famularo, Benny Greb, Rob Hirons, Amit Chatterjee. Ha collaborato assiduamente con la Sidma (Società italiana di musicologia afroamericana) diretta da Stefano Zenni. Nel campus internazionale di Alta formazione artistica e musicale, riconosciuta e apprezzata nel territorio nazionale, a parte il concerto si intercaleranno 2 giorni di Master class di jazz tenuti dagli stessi musicisti sopracitati, consentendo di creare una struttura didattica solida, per coloro che vorranno approfondire le conoscenze del jazz. Il tentativo del Conservatorio “Pyotr Ilych Tchaikovsky” è quello di volere avvicinare gli universi della classica e del jazz per favorire la nascita di un nuovo modo di intendere e comunicare la musica agli addetti ai lavori e alla platea. I suoi protagonisti provengono da un’alta formazione classica e sarà proprio la loro approfondita conoscenza ad aiutare i giovani allievi nel percorso di scoperta e di trasformazione personale, conformemente alle proprie attitudini, senza disperdere il grandioso bagaglio culturale del nostro passato. Pertanto ci sono i presupposti giusti per far partorire una collaborazione tra le due strutture quella del Conservatorio insieme al Festival internazionale Lamezia Jazz. Concludendo, una formazione preposta alla realizzazione che presto diventa una presenza significativa sia nel territorio calabrese. Il Conservatorio “Pyotr Ilych Tchaikovsky” di Nocera Terinese offre la possibilità di presentare domanda di ammissione per l’anno accademico 2013/2014 che prevede tre tipologie di corsi: corsi preaccademici: questi corsi, definiti anche corsi di formazione di base, sono utili a fornire, una formazione strutturata, organizzata per periodi di studio e livelli di competenza, con l’obiettivo di formare le

L’Efm trio

Uno dei gruppi musicali più originali e interessanti che emerge con prepotenza e intelligenza nell’asfittico mondo musicale calabrese, dimostrando che non esistono barriere tra i diversi generi musicali

competenze adeguate per l’ingresso ai corsi accademici di primo livello, per l’ammissione è prevista una prova attitudinale a scelta dello studente. Diploma accademico di I livello (triennio): percorso ordinamentale di livello universitario che sostituisce gli ultimi tre anni previsti dal vecchio ordinamento, è un percorso a crediti di durata triennale, con prova finale che porta a conseguire un diploma triennale equivalente alla laurea, la prova di ammissione prevede, oltre a una prova pratica strumentale, anche dei test predisposti a verificare competenze musicali. Da quest’anno l’offerta è ampliata con i corsi di: Jazz, Pianoforte jazz, Basso elettrico jazz, Saxofono jazz, Chitarra jazz, Tromba jazz, Batteria e percussioni jazz. Diploma accademico di II livello (biennio specialistico): percorso sperimentale di livello universitario che permette agli studenti già in possesso di diploma di Conservatorio (vecchio ordinamento) o Diploma accademico di I livello, di proseguire e completare gli studi musicali già compiuti, con l’acquisizione di ulteriori e specifiche competenze specialistiche negli ambiti interpretativo e compositivo. Anche qui l’offerta è ampliata con il corso specialistico di jazz e linguaggi musicali del nostro tempo.


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Passeggiate estive con l’arte San Domenico e gli artisti di "Proiezione Calabria"

In-chiostro... a colori È stato allestito nel chiostro di san Domenico di Cosenza un evento dal titolo “Proiezione Calabria, in-chiostro...a colori” lo scorso 11 luglio per l’inaugurazione e con la presenza delle autorità del Comune di Cosenza, cui è seguita l’assegnazione di 10 critiche sulle opere degli artisti firmate dall’architetto, Carmen Ignoto e che ha voluto la manifestazione come presidente di Proiezione Calabria, in collaborazione con il sindaco della città, architetto Mario Occhiuto. Ogni artista ha avuto a disposizione il suo spazio, dove si sono potute ammirare le opere sull’Astrattismo e quelle sulla vetrofusione. Con un lavoro tecnico su S. Domenico che è stato allestito nella Sala Consilina, insieme a due opere sacre dipinte dalla stessa Ignoto e un’opera in bassorilievo di Roberto Mancuso. Gli artisti partecipanti e provenienti da ogni parte della Calabria sono stati: Elena Distefano, Maria De Santo, Barbara Lio, Pino Grosso, Fabrizio di Dipignano, Raffaele Mazza, Maria Lecce, Franco Paternostro, Nico di Cosenza, Rita Canino, Andreina Cassalia e con opere di grande rilievo artistico. Sono seguite altre due giornate dal 12 al 13 luglio con la possibilità di visitare le opere sia di mattina sia nel tardo pomeriggio. Carmen Ignoto ha fondato la sua associazione tre anni fa, con la sorella Maria Grazia. Mentre stanno lavorando a Bruxelles nell’ufficio finanziamenti europei, decidono di fondare qualcosa con l’arte, che sia diversa dalle altre associazioni e per poi collegarla con la notizia scritta e l’immagine delle telecamere, che sono importanti per ogni svolgimento delle attività artistiche. Infatti, la telecamera diventa il simbolo dell’associazione a volerne sottolineare l’utilità e la necessità. Lo scopo dell’associazione è valorizzare il centro storico, delle cittadine in cui è ospitata, le piazze o i beni culturali, come chiostri, castelli, chiese. I pittori sono attorno alle quarantotto unità e partecipano a vari progetti artistici con le Province della Calabria. L’ultimo “Arti visive” con la Provincia di Cosenza, cui hanno partecipato sette artisti. A un progetto della Provincia di Reggio Calabria, l’architetto Ignoto ha partecipato con la pittrice Francesca Perina. La manifestazione al chiostro di San Domenico, nasce da una sua idea, ci descrive i particolari? L’ho ideata interamente, e l’architetto Cuconato ha accettato la mia richiesta e inoltrata al sindaco di Cosenza, a fronte di una domanda del 21 maggio scorso. E in una settimana ci siamo presi l’impegno, con l’associazione, di portare avanti questa manifestazione artistica e per dare motivo di un’estiva passeggiata serale ai cosentini che sono stati numerosi nel visitare il chiostro, che è magnifico, e per vedere le nostre creazioni ci ha reso particolarmente orgogliosi. Si è recata nella giornata del 16 luglio presso la sede comunale per un incontro con il Sindaco Occhiuto... Sono stata ricevuta dal Sindaco e l’associazione ha donato lui due opere da me dipinte, di cui una riproduce il castello di Cosenza. Una tegola in decoupage di Elena di Stefano e una scultura del violino di Pino Grosso. Il tutto con lo scopo di parlare dello stato dei beni artistici e dell’attività della mia associazione. Un’ora per discutere di futuri progetti, come mostre in ambienti culturali e valorizzare i beni del centro storico. Ho iniziato proprio a San Domenico, perché, avevo condotto un lavoro tecnico in un esame universitario, ventuno anni fa, pianta, prospetti e sezione e particolari della Chiesa domenicana. Ed era arrivato il momento di coinvolgere tutti gli artisti in questo lavoro tecnico, allestendo anche lavori di natura sacra, San Francesco da Paola e due Madonne. Quanti artisti hanno preso parte alla manifestazione? Undici artisti dei quarantotto dell’Associazione e poi altri esterni, tre in totale. Programmi futuri... Proiezione Calabria continuerà sulla strada della promozione degli eventi artistici e per dare spazio alla cultura della città bruzia. Perché ci credo e anche dall’incoraggiamento che è derivato da quest’ultima manifestazione. Tante le attestazioni di stima dal Ministero dei Beni culturali, Sovraintendenza Regione Campania e Puglia e sono stata contattata da due funzionari dei Beni culturali di Milano che si sono congratulati con me, che senza chiedere finanziamenti, ho realizzato tutto gratuitamente. Ora mi è stata richiesta una manife-

Evento a Cosenza, dove si sono potute ammirare le opere su Astrattismo e vetrofusione Con un lavoro tecnico su S. Domenico che è stato allestito nella Sala consilina, insieme a due opere sacre dipinte da Carmen Ignoto e un’opera in bassorilievo di Roberto Mancuso

La consegna dell’opera di Carmen Ignoto Il Casstello di Cosenza al sindaco Occhiuto

stazione bis a settembre, dieci giorni, per il successo ottenuto. La mostra è stata visitata da almeno 200 persone, che hanno firmato il registro delle presenze. Un successo quindi per questa iniziativa che compatibilmente con i miei impegni tecnici non ha potuto durare di più, considerando anche il periodo di alta stagione estiva in cui si va incontro e con lo spopolamento delle città. L.d.C.


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sabato 20 luglio 2013

Il racconto Sotto le maestose querce di Sannicola

La raccolta delle ghiande di Giuseppe Aprile

I maiali ingordi erano rimasti custoditi nel porcile, ad annusare e bere frettolosamente abbondante brodo sempre arricchito con zucche a pezzi, fichi secchi e bucce di fichidindia. La ghianda, a differenza delle olive che richiedono mesi, si raccoglie in due, massimo tre giorni. Quella mattina ero particolarmente allegro. Un bel sole splendeva nel cielo e la giornata si presentava assai bella. Non era come al tempo delle ulive che quasi mai si possono raccogliere in pace, godendo di un tempo mite e piacevole. La raccolta delle olive presuppone una sfida difficile con la pioggia, il vento, il maltempo in genere. La ghianda si raccoglie in due giorni, massimo tre, anche se le querce sono grandissime, individuando al meglio le giornate per cui nessuno capita sotto pioggia o vento. Mia madre diceva sempre che stare sotto la quercia era pericoloso perché questo tipo di albero attira i fulmini. Nel paese si ricorda da sempre il povero Giommo Furfaro che, mentre stava a pascolare la propria capretta, venne sorpreso da un temporale. Per ripararsi si mise proprio sotto una grande quercia, nella contrada Petti, e un lampo lo fulminò senza pietà. Il ragazzo venne sepolto in un angolo all’entrata del cimitero, sotto un filare di cipressi, sotto una lapide di marmo con su scritto soltanto il suo nome nel mentre i suoi, vinti dal dolore, non vollero più sapere del paese e se ne andarono in Canada. Per loro il paese è dove ha perso la vita il loro figliolo ed hanno provato tanto odio per esso fino al punto che lo vollero lasciare per sempre. Si tratta di contadini che vivevano con il ricavato della terra di contrada Petti che coltivavano quotidianamente e dove avevano fatto dimora per la maggior parte del tempo della propria vita. La contrada Petti era stata la loro gioia e il loro dolore. Da allora sono passati cinquant’anni ma non sono tornati mai più al paese. Petti, la mitica collina del paese, dove tutti hanno avuto un proprio pezzo di terra, è nota perché produceva del buon vino, essendo terra in altura ed esposta al sole. Il vino dei Petti è rimasto assai desiderato. Tanto che ancora oggi lo ricordano con nostalgia. Il cavaliere Giuseppe Attisani scrisse una bella poesia dal titolo “Mio dolce colle Petti”, esaltando il buon vino che vi si produceva, assieme al sacrificio dei contadini del paese che ogni giorno zappavano la terra e producevano ogni ben di Dio. Non c’era famiglia che non ricavava l’olio, gli agrumi, fichi, mandorle, ogni genere di frutta che era assai gustosa. Si tratta di una collina grande, soprastante il paese, sui cui fianchi lo stesso paese si adagia esposto al sole e come una balconata nella cui relativa lontananza si ammirava il grande specchio azzurro del mare Ionio, a volte rigato da barche di pescatori che si distinguevano abbastanza bene, nitidamente quando il tempo era buono e il cielo sereno. Sannicola era la parte finale di quella meravigliosa parete di collina sulla cui sommità, come un piccolo altopiano, ci stava la contrada Petti. Proprio nelle coste della collina verdeggiavano le querce che producevano la ghianda per i maiali che venivano allevati per il periodo di Carnevale quando venivano ammazzati e tutti mangiavano la carne fatta salsiccia, soppressate, capicolli o come frittole, ossa da spolpare, interiora del maiale che venivano consumate per l’occasione o inviate ad amici vicini, a parenti o conservate per l’inverno. La carne dei maiali era particolarmente gustosa proprio perché allevati quasi esclusivamente con la ghianda, resti di frutta e cereali della contrada Petti oltre che con zucche e fichidindia che invece crescevano in abbondanza pure nelle zone della marina. La marina del paese era una grande distesa di piano, irrigata dall’acqua proveniente per lo più dalla fiumara di Condojanni e organizzata per venire divisa da un apposito impiegato in modo che tutti i piccoli proprietari potessero averla nelle ore più disparate della giornata per innaffiare i loro fazzoletti di terra. A mio padre capitava che l’acqua poteva averla sempre nelle ore notturne. E ci andavamo, in perfetto orario, con il carrozzino tirato dal solerte e fedele cavallo.

A differenza delle olive che richiedono mesi, si raccolgono in due, massimo tre giorni Mia madre diceva sempre che stare sotto la quercia era pericoloso perché questo tipo di albero attira i fulmini

Non potevamo pensare mai e poi mai che gli uomini avrebbero rinnegato un passato di lavoro nei campi, sotto gli ulivi, sulla propria terra...

A Sannicola, quella mattina, ci arrivammo di buon’ora. Mio padre e mia madre avevano calcolato che ci saremmo potuti sbrigare nel corso della giornata, purché avessimo lavorato sodo. Non avevamo da raccogliere la ghianda in definitiva. Si trattava di raccogliere quella caduta per maturazione, con il contributo di quel poco di venticello che era sventolato nelle giornate precedenti, e sarebbe stata sufficiente per almeno venti giorni per comodo di famiglia. Al maia-


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Il racconto

le, infatti, non si dava solo ghianda e per quelli di amici e parenti sarebbe bastato dividere anche un sacco intero per il momento. Sotto le querce di Sannicola, soprattutto sotto una in particolare, quella posta in alto, sul sentiero della collinetta che faceva anche da confine con il vicino massaro Mario, sarebbe bastato lavorare sodo durante la mattinata e ne avremmo raccolto tanta da riempire tre sacchi interi. Certo la parte più faticosa era quella di portarla in strada

A sera avremmo avuto i sacchi pieni caricati sul carretto ed avremmo potuto tornare a casa dove un aiuto per scaricarli lo avremmo trovato tra gli amici o i passanti che sempre si mettono a disposizione per aiutare chi ne ha bisogno C’è un senso di solidarietà tra tutti i paesani, per questo; l’aiuto dell’uno con l’altro è un rito meraviglioso che accomuna tutti quanti Tutti accorrono con grande piacere e sorridenti quando ce n’è bisogno

dove l’avremmo caricata sul carrozzino, questo sì! Il difficile sarebbe stato più questo che la fatica per raccoglierla! Eravamo soltanto io, mio padre e mia madre. Mia sorella era rimasta a casa per non lasciare la casa disabitata per l’intera giornata dove comunque lei avrebbe potuto accudire ai soli lavori casalinghi: pulizia della casa, lavaggi di stoffe e capi di vestiario, di lenzuola, di coperte e per i ricami soliti che venivano fatti nei ritagli di tempo, seduta al sole sul pianerottolo dell’uscio. Tre erano le querce grandi, quelle che solitamente producono ghiande in quantità che vale la pena raccogliere. Poi c’erano quelle più piccole, in crescita, che solo fra tanti anni sarebbero state attenzionate per la raccolta. Sul posto siamo arrivati subito. Un salto dal carrozzino arrivato ai piedi della collina, dove solitamente lo lasciavamo portando via il cavallo che veniva legato, con corda lunga per mangiare l’erba di molto terreno, come le capre, ad un albero di ulivo e via, su fino a sopra, per cominciare a raccogliere senza perdere tempo, col pensiero rivolto alla bella giornata, alla fatica che ci avrebbe aspettato, e lo sguardo tra la terra piena di ghiande sparse e il paesello meraviglioso di Portigliola che ci stava davanti, a mezza altezza tra l’anonima fiumara e la cima della dirimpettaia collina che degradava sempre più lontana verso il mare e il litorale ionico. I sacchi non li riempivamo interamente. E chi avrebbe avuto la forza di portarli a destinazione se non solo a metà? Lì sotto, poi, al piano di strada dove avevamo lasciato il carrozzino, avremmo scaricato la ghianda di un mezzo sacco per fare intero l’altro e poterlo lasciare caricato senza troppa fatica; secondo la nostra portata. A sera, con questo sistema, avremmo trovato i sacchi pieni, caricati ed avremmo potuto tornare a casa dove un aiuto per scaricarli lo avremmo trovato tranquillamente tra gli amici o i passanti che sempre si mettono a disposizione per aiutare chi ne ha bisogno. C’è un senso di solidarietà tra tutti i paesani, per questo; l’aiuto dell’uno con l’altro è un rito meraviglioso che accomuna tutti quanti. Tutti accorrono con grande piacere e sorridenti quando ce n’è bisogno. Dai fianchi della collina su cui è disposto il nostro podere che si chiama Sannicola, il mondo sottostante e quello di fronte costituiscono un paesaggio di grande meraviglia: bello, verdeggiante, rigato dalla fiumara che d’estate è una grande riga di letto bianco, come un serpente che striscia attraverso tante curve verso il mare, asciutto, con pietre luccicanti e arena finissima, con piccole zone fiorite di ciuffi di giunco, e fiori di ginestra come nelle colline, con visibili rigagnoli provocati da piccole sorgenti che durano anche nella grande stagione estiva e di una asciutta, spesso centrale, che serpeggia fin laggiù, verso la lontana riviera dove tutto si disperde nelle acque del mare Ionio, dove tutto il letto della fiumara passa sotto i ponti della vecchia strada nazionale e si unisce alla sabbia della spiaggia e si sposa con il mare azzurro e spumoso. Raccogliendo la ghianda si parlava tra di noi, si facevano programmi futuri, si diceva dell’uno e dell’altro; i genitori approfittavano per impartirmi lezioni di vita, educarmi, farmi sapere quanto mi sarebbe servito per meglio affrontare i problemi della vita. Era l’eterna preoccupazione dei genitori di allora! L’educazione dei figli, il trasmettere la propria conoscenza, le proprie esperienze, i propri saperi. Per quei tempi la vita sarebbe rimasta sempre eguale, sempre con gli stessi ritmi, le stesse vocazioni umane, gli stessi esempi per educare, imparare, fornire ai figli il sapere dei genitori. Non potevamo pensare mai e poi mai che la stessa ghianda un giorno non sarebbe servita più, che quelle colline stupende un giorno sarebbero state abbandonate, inservibili, luoghi selvatici, dove felci e agavi avrebbero preso il posto degli alberi da frutta e da coltivazione per il bene degli esseri umani. Le campagne sarebbero state abbandonate e gli uomini avrebbero rinnegato un passato di lavoro nei campi, sotto gli ulivi, sulla propria terra. Nessuno avrebbe mai pensato che ragioni di nuova vita e nuovi sistemi produttivi avrebbero reso, in un futuro sia pure lontano, inservibile la proprietà, gli allevamenti famigliari del bestiame. L’industria avrebbe prodotto concimi, mangime per gli animali anche se le carni non sarebbero state più al naturale come sempre. Il consumismo avrebbe stravolto la tradizione di sempre e tutto sarebbe diventato altra cosa. Non più ghiande ma sacchi di cibi industriali per tutti gli animali; non più tante olive ma olio di semi vari, non più la campagna naturale ma il prodotto industriale che avrebbe invaso cuore e menti della persona umana. Restano indelebili i ricordi di allora, quando si mangiava carne vera, cibi sani, si condiva con olio di oliva, e si stava a contatto diretto con la natura.

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sabato 20 luglio 2013

Pillole di fede

Guarda cosa tolgo dal sacchetto Debora Falcone e Lucia Mazzeo

Abbiamo incontrato una vera e propria appassionata e artigiana del riciclo di Lucia De Cicco

L’artigiano del Temporary store, del centro storico cosentino, riserva tante sorprese, che vanno dalle attitudini artistiche a quelle spirituali e con la grande capacità di riciclare vere emozioni e di sostituirle a percorsi di vita faticosi, tortuosi e dispensatori di menti altrove. Il riciclaggio, infatti, è una delle attività artigianali più attuali e divertenti e che consiste nel prendere materiali come la plastica e pezzi di sartoria e creare oggetti, gioielli, cappelli e lampade per appassionati e non solo del genere. Abbiamo incontrato in questo nostro viaggio, che da un poco conduciamo a spasso per il corso Bernardino Telesio, una vera e propria appassionata e artigiana del riciclo. Ex attrice, alla nascita della sua prima bambina, comprende la necessità di cedere il passo a una vita più adatta ai tempi di un neonato. Lei si chiama Debora Falcone e con sua madre, Enza Garritano e l’amica Lucia Mazzeo, conduce dei laboratori artigianali di breve durata per chi ha voglia di affacciarsi al riciclo o anche ad altre tipologie come il macramè collaborando con altri artigiani. Al momento è da Natale che si tengono workshop solidali, per bambini e adolescenti delle Case famiglia della Città bruzia. Perché, Debora, proprio l’arte del riciclo? All’inizio era un hobby e mi appassionava il trasformare la spazzatura in oggetti preziosi o di arredo. Con il tempo la passione ha preso piede, fino ad arrivare alle esposizioni e utilizzare l’opportunità del temporary store, aprendo una piccola bottega in cui non solo si espone alla vendita, ma si realizzano le opere. Nel riciclo io amo il principio della trasformazione. Ciò che cerchiamo di fare in piccolo non è solo stuzzicare la creatività e mutare il punto di vista, ma fare passare anche il messaggio che ci si può trasformare. Se si può trasformare una bottiglia di plastica, presa nella spazzatura, che cosa possiamo fare alla mia vita? Basta mutare il punto di vista sul negativo, che è importante, in un moneto di crescita, soprattutto nell’adolescente, che sono attualmente i destinatari dei nostri laboratori. Il percorso esperimento dei laboratori ci piacerebbe portarlo avanti da settembre in poi, cercando nuovi metodi perché i ragazzi ci si legano particolarmente e noi ci affezioniamo ai loro. Ci stiamo lavorando! Bello è anche il portare in giro quest’arte. Siamo presenti con l’esposizione “Ricicrea” in un negozio a Roma, i Verdi a Rossano ci hanno chiesto se vogliamo utilizzare uno spazio espositivo e saremo ospiti in una manifestazione sempre Rossano solo sul riciclo e la differenziata. Quali sono i materiali da riciclo che maggiormente sono utilizzati? Dalle bottiglie di plastica alle stoffe, dalle cialde del caffè ai barattoli di latta. Non c’è però un oggetto specifico, ma sono a volte degli oggetti che sono buttati, particolarmente belli e in cui si avverte un qualcosa di trasformabile e sono conservati per poterli utilizzare. In realtà esiste una lista di oggetti, che noi abbiamo chiamato il cassonetto magico, ma, a volte, ci sono anche oggetti nuovi, che sono portati da persone con la speranza di aiutarci, questa cosa è dav-

Debora Falcone guida a Cosenza dei laboratori artigianali solidali rivolti alle Case famiglia, unendo la creatività al volontariato

vero bella perché la persona entra nel processo creativo. Si sentono partecipi di ciò che facciamo e cambiano il punto di osservazione sull’oggetto, che non è più un qualcosa da buttare, ma è un qualcosa che le artigiane del riciclo possono trasformare. I laboratori solidali, rivolti alle Case Famiglie della zona, come nascono? Nascono in occasione del Natale, in collaborazione del già assessore alla solidarietà, Alessandra De Rose, che appoggiò l’idea di far realizzare qualcosa ai ragazzi delle Case Famiglie, invece, di dare il solito regalo natalizio. Così, in quell’occasione hanno partecipato ai laboratori i bambini di Santa Teresa del Bambin Gesù con i ragazzi dell’oratorio di San Gaetano, poi sono seguiti i ragazzi della Divina Provvidenza e l’Istituto delle Vergini. Realizzando regali a Natale, poi per il Carnevale e festa della mamma nel laboratorio che prendeva il nome di “Laboratorio riciclo solidale. La solidarietà nella solidarietà”. Mentre il laboratorio estivo in cui facciamo cose diverse è mirato a una mostra finale, si chiama “Arti e mestieri” e sono lavori più complessi per attrezzi e materiali e per stimolare la creatività e regalare chissà un percorso lavorativo a dieci ragazzi dai tredici anni in sù. Un percorso di fede, il suo, che nel tempo si è “trasformato” passando dalla forma del Cattolicesimo a quella del Buddismo... Nasco a Santa Tersa, con l’Azione cattolica. Anni bellissimi, fatti di liturgie domenicali, di ritiri e di gruppo. Ci si ritrovava sempre davanti alla chiesa, punto di riferimento forte e di ritrovo anche quando i cancelli erano chiusi. Siamo cresciuti in quella chiesa e il ricordo è forte e importante. Succede che con il trasferimento a Roma, all’inseguimento della mia carriera artistica di attrice, ci si allontana, in seguito forse al fattore età con un grande momento di solitudine, in cui ho avvertito la necessità di riflettere. Sono dodici anni che sono buddista, incontrando una persona, che mi ha parlato della pratica della trasformazione, principio di causa ed effetto. Il buddismo che pratico è quello di Nichiren Daishonin, monaco Giapponese e l’organizzazione che frequento è la Soka Gakkai, presente in 192 nazioni e territori del mondo con oltre 12milioni di membri e con l’obiettivo di creare una società pacifica, che valorizzi ogni persona, attraverso al diffusione della cultura umanistica. La sua carriera di attrice quando s’interrompe? Con la nascita di mia figlia. Io ho fatto un bel percorso teatrale di laboratori e dopo le scuole superiori mi sono iscritta all’Accademia teatrale in Calabria e da lì l’avvio. Trasferendomi a Roma ho lavorato con Arnoldo Foà e come assistente di produzione per Massimo Lopez per due anni e mezzo e in uno spettacolo con il regista, Mariano Regillo. Con l’arrivo della mia bambina, il mio hobby ha preso più importanza della voglia di continuare il percorso teatrale, che è fatto di tanti spostamenti, dello stare sempre in giro e sentirsi dire tanti no nei provini e non è cosa facile, ci vuole molto carattere. Io adesso creo indipendentemente dal giudizio del cliente. Ogni oggetto ha il suo destinatario e pure se a volte può non piacere, sono certa che prima o poi arriverà il suo proprietario.


sabato 20 luglio 2013

Dare una zampa Partito il progetto di educazione sanitaria "Animale e anziano: stimolo alla voglia di vivere" promosso dall'assessorato alla Sostenibilità ambientale del Comune di Cosenza

Un colpo di coda alla solitudine Estate da vivere alla Città dei ragazzi a Cosenza

Divertimento al cubo

Partito il progetto di educazione sanitaria “Animale e anziano: stimolo alla voglia di vivere”, promosso dall’assessorato alla Sostenibilità ambientale del Comune di Cosenza, in collaborazione con il servizio veterinario dell’Asp e il centro diurno anziani di Donnici. Dal 19 luglio, durante i quattro incontri programmati con i veterinari dell’Asp e gli educatori cinofili, i frequentatori del centro di aggregazione si avvicinano ai temi della tutela degli animali d’affezione e della lotta al randagismo. Tra i vari argomenti : scelta dell’animale da adottare, doveri dei proprietari e diritti degli animali, prevenzione delle malattie degli animali, buone pratiche di comportamento e “pet therapy”. Il programma del progetto è stato presentato in un incontro preliminare, in cui sono intervenute la dottoressa Polino, medico veterinario dell’Asp, la dottoressa Rovito, vice dirigente dei centri anziani comunali e un’educatrice cinofila accompagnata dal cane Lulù. L’obiettivo è avvicinare gli anziani agli animali di affezione per innescare un rapporto di reciproco benessere. La presenza di animali nei centri per anziani è importante e capace di produrre effetti benefici soprattutto a livello psicologico e sociale. Prendersi cura del proprio animale aiuta a combattere la depressione e la solitudine, aprendo alla socializzazione e stimolando l’attività fisica. Durante gli incontri, gli ospiti del centro potranno portare con sé i propri animali domestici, al fine di mettere in pratica quanto appreso. Parte del progetto, è anche la conoscenza della realtà del canile sanitario di Donnici, dove poter incontrare un futuro amico a quattro zampe da accogliere con sé.

Quattro incontri con i veterinari dell’Asp e gli educatori cinofili. I frequentatori del centro di aggregazione si avvicinano ai temi della tutela degli animali d’affezione e della lotta al randagismo

Proseguono le attività di Intrattenimento estivo della Città dei ragazzi del Comune di Cosenza, gestite, per l’edizione 2013, da tre diverse organizzazioni: “Don Bosco”, cooperativa sociale che coordina le attività del cubo giallo; “La Cooperativa delle donne”, che coordina le attività del cubo azzurro- ludoteca; “Teca”, società che coordina le attività del cubo rosso. Positivo il bilancio relativo alle prime quattro settimane: circa 300 risultano essere complessivamente i bambini e le bambine che hanno inteso aderire ai dodici diversi percorsi educativi attivati e che alternano attività ludiche a laboratori d’arte, corsi di teatro a laboratori di riciclo creativo o ecosostenibilità ambientale, attività motorie e sportive a redazioni giornalistiche e televisive. Tutte attività mirate all’acquisizione di nuovi strumenti relazionali e cognitivi, in un clima improntato all’ascolto, allo scambio, al confronto, alla socializzazione, alla sperimentazione e, infine, al sano e meritato divertimento. Nuove attività, inoltre, andranno ad arricchire la programmazione prevista fino al 2 agosto. In particolar modo, presso il cubo azzurro, oltre alle consuete attività ludiche e creative, prenderà il suo avvio il progetto di educazione alimentare “Fruttincittà”, che, con l’ausilio di pediatri e nutrizionisti e forte di una intensa alleanza educativa con le famiglie, coinvolgerà i bambini in giochi, degustazioni e merende collettive esclusivamente a base di frutta di stagione. Sempre secondo la programmazione prevista dal cubo azzurro, i bambini e le bambine potranno aderire alle attività promosse dallo Scopri Cosenza: due ore in giro per la nostra città, accompagnati da autorevoli guide turistiche che illustreranno ai nostri piccoli cittadini tutti i tesori e le bellezza artistiche di Cosenza. Il cubo giallo quest’anno ha dato vita a due prodotti editoriali importanti: il “Tg dei ragazzi” e la “Voce dei ragazzi”, rispettivamente notiziario e giornalino, che vengono realizzati settimanalmente e prevedono la partecipazione esclusiva dei ragazzi frequentanti che possono dare vita alla loro idee, alle loro passioni e sperimentarsi giornalisti e conduttori avendo l’opportunità di rielaborare personalmente notizie di attualità in modo da essere stimolati alla comprensione di quello che accade intorno a loro, superando l’indifferenza che spesso si riserva a ciò che è estraneo e lontano dal proprio mondo. Quest’anno inoltre è stato avviato il laboratorio “Costruisci una fiaba” che permette di affrontare i più svariati argomenti sfruttando la materia dei sogni, dei desideri e delle emozioni senza barriere; altra attività che suscita molto interesse da parte dei ragazzi è quella teatrale che permette di sviluppare capacità comunicative, percettive, relazionali ed espressive. Al cubo rosso l’intrattenimento estivo è in movimento: qui si praticano le attività motorie e sportive, intese come momento educativo teso al miglioramento dei processi fisici e mentali; queste si alternano ai giochi popolari, che favoriscono l’aggregazione e la cooperazione fra bambini e ragazzi, ai giochi con la danza che stimolano il linguaggio del proprio corpo e le sue potenzialità creative, ai laboratori creativi intesi come spazio espressivo, finalizzato allo sviluppo della creatività attraverso la sperimentazione di materiali e tecniche.

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