Anno 37 - 19 Ottobre 2013 - Numero 42
Settimanale indipendente di informazione
euro 0,50
di Pierfrancesco Greco
Incontro a Reggio Calabria con Annamaria Palummo presidente Uici: «Serve prevenzione condivisa e sensibilità» IO, DETECTIVE
AMMINISTRAZIONE CHE NAVIGA
Per tre giorni Cosenza torna a tingersi di giallo
Nati in Rete per fare rete Questa è cittadinanza attiva
di Francesco Fotia
Al festival l’opportunità di conoscere tanti autori italiani del mistero
Da una pagina facebook alle “stanze” del Comune di Cosenza
II
sabato 19 ottobre 2013
L’Unical non dimentica nessuno Cerimonia di premiazione in memoria di Maria Rosaria Gentile, dipendente dell’Univeristà
“L’amore è un seme...” Non è stato semplicemente un premio “alla memoria”. Sarebbe, infatti, riduttivo relegare l’iniziativa che s’è svolta allo University club, “ L’amore è un seme...”, in memoria di Maria Rosaria Gentile, alla sfera delle commemorazioni postume; in questo caso, di una dipendente dell’Università della Calabria. Il premio - nelle intenzioni degli organizzatori (Bruna Adamo, Antonella Bevilacqua, Paola B. Helzel, Valentina. A. Mascali e Filippo Naccarato) ha inteso rappresentare, proprio per ricordare al meglio l’impegno e la passione di Maria Rosaria Gentile, una sorta di momento di riflessione finalizzato all’accrescimento morale, umano e professionale del personale tecnico amministrativo dell’ateneo. Un obiettivo certamente centrato dalla manifestazione, soprattutto grazie alle emozioni e agli stimoli positivi che essa è riuscita ad offrire ai tanti che vi hanno preso parte. Il Premio “L’amore è un seme...” è stato articolato in due sessioni: la prima, ha puntato a mettere in luce il comportamento del dipendente che meglio ha saputo interfacciarsi con i bisogni degli studenti, dando il giusto valore alle relazioni interpersonali; la seconda, ha voluto esaltare le capacità artistico-letterarie dei dipendenti dell’Università della Calabria. L’iniziativa - che ha goduto del patrocinio del CrucUnical - ha visto premiati per la prima sessione: Gianluca Scarpelli e Caterina Vetere, designati vincitori ex aequo da un Comitato di studenti; per la seconda sessione (Arti figurative), invece, hanno vinto Eugenio Li Preti (Premio scultura, con l’opera “La Catapulta”) e Teresa Trocino (Premio pittura, “Manufatto in decoupage”). Il premio Poesia, invece, è andato a Lorella De Buono con la lirica “La danza dell’esistenza”. All’iniziativa, moderata da Francesco Kostner, oltre a docenti, studenti e numerosi colleghi di Maria Rosaria, hanno partecipato il pro rettore, Gino Mirocle Crisci, l’ex direttore amministrativo, Bruna Adamo, e monsigmor Giuseppe Agostino, arcivescovo emerito di Cosenza-Bisignano. Tutti hanno ricordato, non senza commozione, la figura di Maria Rosaria Gentile; in particolar modo la sua straordinaria capacità di confrontarsi con gli studenti e la grande dignità nell’affrontare una lunga malattia che l’aveva debilitata nel corpo ma non nella capacità di rapportarsi agli altri con amore, sincerità e disponibilità.
Il premio rappresenta una sorta di momento di riflessione finalizzato all’accrescimento morale, umano e professionale del personale tecnico amministrativo dell’ateneo
sabato 19 ottobre 2013
III
Già ristampa dopo appena 3 settimane Il professor Nuccio Ordine dell'Unical ospite sabato di Fabio Fazio a "Che tempo che fa" invitato per presentare il suo fortunatissimo libro
L’utilità dell’inutile in tv
È una notizia importante, anche per uno studioso del calibro di Nuccio Ordine, conosciuto e tradotto in tutto il mondo: L’utilità dell’inutile, l’ultimo libro che ha scritto per i tipi di Bompiani, sarà uno dei “pezzi forti” della puntata di sabato, 19 ottobre, di “Che tempo che fa”, il seguitissimo e prestigioso contenitore socio-culturale condotto da Fabio Fazio su Rai 3 (il programma inizia alle ore 20.10). Il “faccia a faccia” con il noto conduttore televisivo conferma l’attenzione che l’agile ed efficace volume di Nuccio Ordine ha ricevuto immediatamente anche in Italia: la Bompiani, infatti, lo ha appena ristampato a distanza di sole tre settimane dalla pubblicazione e prima ancora dell’apparizione delle recensioni in preparazione su quotidiani nazionali e Tv. Il successo de L’utilità dell’inutile, in verità, era annunciato. Dopo lo straordinario exploit in Francia nello scorso gennaio (il volume è balzato al 17 posto dei libri più venduti nella saggistica con tre edizioni in 9 mesi) e l’accoglienza dei grandi quotidiani europei (il direttore de ‘Le Monde des Livres’, Jean Birnbaum, gli ha dedicato il primo editoriale del 2013, mentre due articoli sono apparsi su ‘El Pais’, uno dei quali a firma di Fernando Savater), era scontato che il docente di Letteratura italiana dell’Università della Calabria, facesse centro anche nel nostro Paese. Numeri e riscontri di tutto rispetto ai quali debbono aggiungersi le traduzioni del libro in catalano e castigliano (novembre 2013) e quelle in greco, coreano e brasiliano, programmate per il 2014 e il 2015. Ma perché tanto interesse per L’Utilità dell’inutile? Le considerazioni che impegnano Nuccio Ordine nelle poco più di 250 pagine di cui si compone il libro, hanno certamente il loro peso. Ma è anche lo stile semplice e accessibile con cui l’autore si esprime a fare la differenza. Attraverso le riflessioni di grandi filosofi e di celebri letterati (da Platone a Bruno, da Aristotele a Kant, fino a Kakuzo Okakura e García Márquez), infatti, Ordine mostra come l’ossessione del possesso e il culto dell’utilità finiscano per inaridire lo spirito, mettendo in pericolo non solo le scuole e le università, l’arte e la creatività, ma anche alcuni valori fondamentali come la “dignitas hominis”, l’amore e la verità. «In una società in cui l’utile (ciò che produce profitto) sembra dettare legge in ogni ambito della nostra vita - afferma Ordine - mi è sembrato opportuno ricordare che l’inutile (quei saperi che non producono guadagno) è molto più utile dei soldi. L’unica occasione che abbiamo, come esseri umani, di diventare migliori ce la forniscono l’istruzione, la ricerca scientifica, i classici, i musei, le biblioteche, gli archivi, gli scavi archeologici: e non è un caso che la scure dei governi e della crisi si abbatta purtroppo proprio su quelle cose ri-
Numeri e riscontri di tutto rispetto ai quali debbono aggiungersi le traduzioni del libro in catalano e castigliano e quelle in greco, coreano e brasiliano, programmate per il 2014 e il 2015
tenute inutili. Attraverso la parola dei classici, dall’antichità ai nostri giorni - spiega ancora Ordine - ho voluto mostrare l’utilità dell’inutile e l’inutilità dell’utile (quante cose “inutili” ci vengono imposte come ‘utili’?). La logica commerciale del profitto non solo sta progressivamente distruggendo l’istruzione (trasformando le scuole e le università in aziende e gli studenti in clienti), ma ha talmente inaridito lo spirito a tal punto da rendere disumana l’umanità». Per lo studioso di Bruno «non è possibile, in nome della crisi, espropriare le classi più deboli della loro dignità, sopprimere senza colpo ferire i posti di lavoro, i contributi per i disabili e gli ammalati. Basta leggere Il Mercante di Venezia di Shakespeare per capire cosa possa significare ridurre l’uomo a merce e tagliare la carne viva per pagare il debito. E tutto ciò avviene, mentre solo la corruzione costa all’Italia più di 150 miliardi all’anno. Non sarebbe meglio tagliare la carne viva dei corrotti anziché quella degli operai licenziati e degli ammalati?». Ordine è convinto che «proprio quei saperi considerati inutili sono l’unica forma di resistenza alla dittatura del profitto. Con i soldi tutto si può comprare: parlamentari, giudici, successo. L’unica cosa che con in soldi non si compra è il sapere: la cultura dell’inutile ci insegna che il sapere non si acquista ma si conquista con uno sforzo personale che nessuno può fare al nostro posto. La letteratura, l’arte, la musica, la ricerca scientifica di base - conclude Ordine - ci insegnano che l’umanità per diventare più umana ha bisogno di esaltare la gratuità e il disinteresse. Educare i giovani ai saperi inutili significa offrire loro una possibilità per diventare cittadini consapevoli, in grado di amare il bene comune, rinunciando agli egoismi e all’avidità che ormai dettano legge grazie al culto del profitto».
Nuccio Ordine
IV
sabato 19 ottobre 2013
Responsabilità collettiva Incontro con Annamaria Palummo, presidente regionale dell’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, in vista del convegno “Azioni e prospettive per la prevenzione della cecità e la riabilitazione visiva in Calabria”
Luce sul buio della cecità eco di Pierfrancesco Gr
«Un’analisi approfondita concernente la realtà della cecità e della minorazione visiva in genere, volta alla definizione particolareggiata del contesto medico, politico, giuridico, volontaristico e antropologico ove elaborare lo sviluppo di quelle risposte, di quelle soluzioni concrete e durature, verso cui anelano le esistenze di coloro i quali vivono la loro quotidianità nel buio; non solo nel buio dei loro occhi, ma soprattutto, nel buio dell’atra indifferenza, della crepuscolare superficialità e dell’ombrosa approssimazione, attraverso cui la società delle immagini e dell’apparenza si relaziona con coloro i quali sono esclusi dalla “visione” abbagliante di modelli valoriali e stereotipi comportamentali ottenebranti lo sguardo collettivo verso tutte quelle problematiche, di carattere sociale, che una matura collettività, fondata sulla solidarietà e sulla sussidiarietà, dovrebbe coraggiosamente affrontare e proficuamente risolvere». Ha decisamente le idee chiare Annamaria Palummo, presidente regionale dell’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, nell’illustrarci, per sommi capi, gli elementi teoretici che saranno dialetticamente circostanziati, nella giornata di sabato 19 ottobre, a Reggio Calabria, presso Palazzo Campanella, nell’auditorium “Calipari” del Consiglio regionale della Calabria, ove, dalle 9.30 in poi, si svolgerà il Convegno scientifico “Azioni e prospettive per la prevenzione della cecità e la riabilitazione visiva in Calabria”. Una tavola rotonda di studio e proposta, promossa dal Consiglio regionale calabrese della Uici e dal comitato calabrese della Iapb, i cui contenuti saranno resi maggiormente pertinenti alle summenzionate questioni da diverse e articolate relazioni, nell’occasione, portate all’attenzione, dei partecipanti al convegno in questione, da Giuseppe Castronovo, presidente nazionale Iapb, da Giovanni Scorcia, ordinario dell’Università di Catanzaro, dal professor Filippo Cruciani, docente aggregato Università “La Sapienza” di Roma e dall’avvocato Giorgio Rognetta, consulente giuridico Uici. «Un dibattito certamente copioso di argomentazioni significative - afferma la presidente Palummo -, che, unitamente a quella delle autorità politiche regionali e provinciali, registrerà la presenza dei dirigenti nazionali e regionali, tra cui la sottoscritta, dell’associazione medesima, i quali porteranno il loro saluto al consesso in avvio dei lavori, che saranno moderati dal dottor Giorgio Neri, giornalista. Invitiamo caldamente voi tutti, soci, operatori della stampa e cittadini in generale, ad essere presenti a tale importante evento, che sarà focalizzato su una tematica attualissima, avente insita un’incommensurabile rilevanza socio-culturale, oltre che scientifica; il simposio, in particolare, sarà particolarmente interessante, soprattutto, in considerazione dell’approccio che verrà preso in esame, rispetto alle azioni di metodologia oftalmica nella nostra Regione, senza trascurare la complessità dei paradigmi concettuali che si elaborano sulla categoria di ciechi e falsi ciechi. Questioni, queste, tra esse diverse e tuttavia legate da un comune elemento precipuo, ovvero la salvaguardia dei diritti e delle dignitose prospettive di esistenza dei portatori di handicap visivo, nonché la tutela della salute della vista, in un’ottica abbracciante l’orizzonte dell’intera collettività, inerentemente a cui, con costanza, tutti i giorni, l’Uici e l’Iapb fanno presidio, soprattutto rispetto alla possibilità di rendere universale l’accesso alla prevenzione, perché con la prevenzione evitiamo la cecità, evitiamo l’ipovisione e garantiamo una qualità di vita a tutti, dai bambini agli adulti». In questo senso, l’organizzazione, con un messaggio diretto alla collettività nel suo complesso e veicolato (come in occasione della Giornata mondiale della vista, celebrata lo scorso 10 ottobre) attraverso le scuole, quindi tramite tutte le istituzioni, patrocina l’attiva-
In programma sabato 19 a Reggio Calabria, presso Palazzo Campanella, il presidente ci offre uno sguardo d’insieme sulla situazione inerente alla realtà della disabilità della vista nella nostra Regione e alle azioni intraprese, e da intraprendere
zione d’iniziative di ampio respiro, scevre da limiti di tempo e spazio. «Al riguardo - prosegue la Palummo - , i comitati provinciali, dalla Iapb, in collaborazione con l’Unione italiana dei ciechi, tutti i giorni, attraverso i gabinetti oculistici che sono nelle provincie, ma anche attraverso le unità mobili, fanno in modo che anche in quei luoghi, dove è difficile che ci sia un presidio fisico, si arrivi con un oculista, con un nostro volontario, capace di portare assistenza e attenzione ai cittadini, sensibilizzandoli sull’importanza della prevenzione. Prevenzione, di cui, come spiegano gli oculisti, esistono varie tipologie: la prevenzione primaria, che tende essenzialmente ad
Annamaria Palummo: «Serve prevenzione e condivisa sensibilità» Annamaria Palummo presidente Regionale Uici
sabato 19 ottobre 2013
Responsabilità collettiva
Palazzo Campanella sede Consiglio regionale che ospiterà il Convegno scientifico organizzato dall'Uici
evitare che la malattia si possa manifestare, ma anche la prevenzione secondaria e quella terziaria, volte a diagnosticare il più precocemente possibile una patologia e guarirla o, almeno, evitare, eventualmente, le sequele che possono essere sommamente pericolose per la vista. È necessario, quindi, avere consapevolezza del valore da dare alla prevenzione, che deve iniziare fin dai primissimi giorni di vita, e proseguire negli anni seguenti, con visite periodiche e con l’adozione di stili di vita congrui alla salvaguardia del benessere degli occhi. In questo senso - evidenzia la nostra ospite, una comune e matura presa di coscienza relativamente alle azioni preventive, deve trovare nelle istituzioni interlocutori disponibili a sentire e, è proprio il caso di dirlo, a vedere quali siano le esigenze dei cittadini, rispetto alla loro salute visiva, e di noi tutti, ciechi ed ipovedenti, relativamente all’assistenza, alla cura e, diciamolo, alla valorizzazione della nostra condizione, bisognosa di attenzione, da parte di tutti i settori della società, politica e civile che sia. Quell’attenzione, che va misurata in termini di quanti mezzi si mettono a disposizione per quest’azione di cura e di prevenzione; molto spesso, nell’affidarci alle strutture pubbliche, ovvero gli ospedali e i centri che si trovano nella nostra Regione e in tutte le Province, constatiamo la mancanza di un atteggiamento culturale e organizzativo rispetto all’effettiva capacità continuativa di un’azione preventiva, da concertare con tutti i soggetti preposti, quindi, scuola, famiglia e strutture pubbliche. La nostra organizzazione, l’Unione italiana ciechi, e la Iapb, tentano di fare questo, ma con mezzi molto scarsi, perché, essendoci delle leggi non finanziate, in Calabria, poi, diventa tutto più complicato. Ecco perchè sta tutto alla buona volontà dei soggetti; soggetti, che, purtroppo, devono essere, anche attraverso azioni analoghe a quella di sabato, un po’ sollecitati ad aiutarci, al fine di rendere la prevenzione, ma anche la cura e la riabilitazione, un’azione concreta, quotidiana, non limitata a interventi da attuare in situazioni critiche o a temi di cui parlare in occasione di iniziative particolari, come, appunto, il convegno in programma a Reggio Calabria. Un’iniziativa, questa, che deve essere, in ultima analisi, un’occasione privilegiata, per prendere coscienza, tersamente, in merito alla dimensione della cecità e dell’ipovisione, ponendo con forza l’accento sul carattere fondamentale di quelle pratiche e quelle dinamiche specifiche, tramite le quali è possibile evitare, o, quanto meno, adeguatamente trattare, fin dai primi giorni di vita, quello che tante nostre sorelle e tanti nostri fratelli, ciechi ed ipovedenti, tutti i giorni, fugano, ossia il fatto di vivere nel buio e il fatto di non avere avuto delle reali possibilità per prevenire malattie di estrema gravità. Una reale possibilità - conclude il presidente Annamaria Palummo - che, oggi come ieri, forse ancora più di ieri, trova viatico nella condivisa sensibilità».
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sabato 19 ottobre 2013
Appuntamento con la nostra Storia Seconda parte Tra il XVI e il XVII secolo, le vallate cosentine insanguinate dalle stragi anti-valdesi del 1561 costituirono una sorta di laboratorio del Cattolicesimo moderno
eco di Pierfrancesco Gr
L’esperimento calabrese nell’età della “riconquista cattolica”: una svolta epocale, per la Chiesa universale, sulle macerie di una “intollerabile diversità”.
L’esperimento calabrese [...] Esempi, quelli citati, che costituiscono solo una piccolissima parte delle innumerevoli prescrizioni “anti-ereticali”, che, dovevano essere lette ogni domenica in chiesa dai curati e dagli abati; prescrizioni, che violentarono, nel tempo, le ridimensionate e sventrate presenze valdesi superstiti, garantendo effetti diuturni alle sanguinose persecuzioni del 1561. Infine, per estrema cautela, il vicerè Don Parafan, diede incarico all’ormai tristemente noto inquisitore frà Malvicino di vigilare, raccogliere e far distruggere tutti i libri, i giornali ed ogni altro materiale di natura eretica, in ossequio all’Index librorum prohibitorum, che era stato già fatto pubblicare da papa Pio IV nel 1559. Nel 1592, le autorità locali di Guardia e San Sisto ottennero nuove ordinanze da Roma (emanate da Clemente VIII e che, nel Seicento, saranno fatte osservare con particolare severità), le quali in parte attenuavano le norme del 1561: da una parte, prendevano atto dell’impossibilità di far rispettare la proibizione di matrimoni fra ultramontani, dall’altra obbligavano ad abbandonare definitivamente il linguaggio provenzale in favore dell’italiano. In quegli anni ricominciarono le denunce per l’inosservanza dei divieti, le accuse di dissimulazione religiosa, gli arresti per coloro che, a San Sisto e Guardia, non osservano gli ordini del Sant’Uffizio. Proprio presso La Guardia, la roccaforte del Tirreno, rimasero o si stabilirono da altre zone numerosi di coloro che avevano abiurato, i coloni più agiati, gli orfani invenduti. Quella di Guardia era, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento ormai una piccola comunità, di circa 1.200 abitanti, quasi tutte famiglie nucleari di piccoli proprietari, che vivevano dei proventi derivante dall’allevamento del bestiame, dal lavoro nei campi, e, soprattutto, dalla coltura del baco da seta. Una esistenza sotto controllo, quella di quei superstiti; controllati nella loro quotidianità dalla famiglia feudale degli Spinelli e dal terribile Arcivescovo Costanzo, cugino dei feudatari, che guidò la diocesi per ben 27 anni (dal 1591 al 1617) e dai pochi vicini cattolici, che vivevano al loro fianco (ormai totalmente ammorbati dall’intolleranza controriformista, sempre pronti a spiarli e a riferire alle autorità del luogo comportamenti sospetti), gli ultramontani si trovarono confinati in un’esistenza alienante, ove il mondo risultava limitato al borgo di Guardia, che da luogo di libertà e tolleranza, divenne una sorta di “riserva” etnico-religiosa. Proprio a Guardia, venne istituta una chiesa parrocchiale per volontà dei feudatari Spinelli, con annessa una disposizione, volta a vietare ad ogni guardiolo la possibilità di aspirare alla funzione di parroco; elemento, questo, denotante la latente preoccupazione, permanente tra le autorità, connessa alla celata sopravvivivenza di sacche eretiche. Altro elemento significativamente indicativo di questo timore fu l’insediamento, per volontà degli Spinelli e dell’Arcivescovo di Cosenza
Michele Ghislieri Grande inquisitore durante il massacro dei Valdesi e, dal 1566 al 1572, Papa col nome di Pio V Nella pagina accanto llegoria della Chiesa trionfante sull’eresia con, sullo sfondo, il Concilio di Trento Qui sotto, lo stemma della Compagnia di Gesù
Costanzo, il 25 ottobre 1616, di un Convento dell’Ordine Domenicano, l’unico monastero istituito nel XVII secolo nella diocesi di Cosenza (poi soppresso da Gioacchino Murat in epoca napoleonica). Un convento, che era soprattutto un presidio dell’ortodossia cattolica in una realtà a cui si guardava ancora con sospetto; un “fortino” controriformista, le cui spese di costruzione, e di gestione, furono a carico dei valdesi, i quali avevano l’obbligo di dare «luogo, legna, acqua, docati 2.000 per la spesa della fabbrica». Il convento sarebbe stato un vero cappio al collo per gli abitanti di Guardia, i quali avrebbero visto aumentare, di anno in anno, le spese per il suo mantenimento (e che avrebbero raggiunto, nel 1736 la cifra di 19.495 ducati), per un giro di denaro che vide coinvolti da una parte i vessati valdesi, e dall’altra i rapaci domenicani, in combutta con gli Spinelli. Ai cittadini di La Guardia, insomma, non fu sufficiente l’aver abiurato: essi, i rinnegati, dovevano vivere appartati, sotto una speciale sorveglianza, secondo le direttive del Costanzo, il quale, per vigilare sulla vita quotidiana dei sospetti, per poter verificare che non si riunissero abusivamente e che nelle case vi fossero immagini sacre, aveva imposto, in alcuni decreti dell’inizio del Seicento, di fabbricare porte che si potessero aprire dall’esterno (ancora oggi visibili). Chiusi nelle loro case, con la prospettiva d’essere continuamente spiati dagli Spinelli e dagli inquisitori: questi gli aspetti attorno a cui si enucleò l’esistenza dei valdesi di Guardia ad inizio Seicento. In proposito, le ricerche sul funzionamento dell’Inquisizione in relazione alla presenza valdese dopo la strage, mostrano chiaramente come, a partire dalla fine del Cinquecento fu avviata una sorta di giurisdizione d’emergenza (peraltro caldeggiata, come si sarebbe palesato negli Anni ‘30 del Seicento, a Guardia, dai feudatari, desiderosi, soprattutto, di impossersarsi dei rimanenti beni dei valdesi), che sarebbe durata per tutto il Seicento. Ne è testimonianza una dettagliatissima lettera dell’arcivescovo di Cosenza Giovan Battista Costanzo, inviata ai cardinali romani nell’ottobre dell’anno 1600: «Si tiene sgagliardissimo sospetto che nell’esteriore solamente fingono quei popoli di essere catholici, ma che intrinsecamente, et per quanto possano scoprirsi fra di loro, stiano ancora oggi involti negli antichi loro errori». Sembrava dunque necessario dover tornare ad infliggere delle punizioni esemplari per poter ottenere qualche risultato: «Per osservanza degli ordini dell’ascoltar messa, sentir la predica, mandare i figliuoli alla scuola, et altri simili, io stimo che, oltre la pena del carcere, horamai da questa gente poco stimata e temuta sarebbe molto espediente metterci alcuna pena pubblica che avesse del vergognoso, non solo delle correggie al collo, o torcia in mano, ma anco di discipline o di collaro di ferro al collo, o di habitello o altra (cosa) simile». Feroci propositi, che oltre a originare, in Guardia, la perniciosa prassi del continuo controllo inquisitoriale attraverso gli spioncini ad apertura esterna, portò ad una complessiva accentuazione della pressione governativa ed ecclesiastica sui nuclei valdesi ancora abitanti in Calabria, angariati dalle predette ordinanze papali, ribadite altre volte durante il Seicento: nel 1608, nel 1628, nel 1637, nel 1672 (in seguito alle denuncie del cappellano di San Sisto e Vaccarizzo, inframezzate da momenti di ribellione, come (nel 1635) la sommossa della popolazione di Guardia contro il mar-
sabato 19 ottobre 2013
Appuntamento con la nostra Storia
le, del gennaio 1569. A detta di costui, le province calabresi, dopo le operazioni contro i valdesi e quelle contro i briganti della Sila (queste ultime, condotte nel 1563), «per gratia di N.S. stanno quiete di fuoriusciti, havendosi estirpari molti, et a quelli che sono remasti dato dal timore che non stanno in provincia o, se vi sono, stanno con infinita segretezza et senza damnificare persona nessuna. Oltre de ciò, per ordine de Sua Ecc.a si sono fatte infinite pace, alle quali mi sono affaticato per quiete di quelle provincie». Una pacificazione, che trovava sostrato, come già accennato, in una serie di valutazioni politico-strategiche elaborate nelle stanze del potere di Roma, Madrid e Napoli.
chese di Fuscaldo e (nel 1638) l’uccisione del cappellano di San Sisto Matteo Rocco, a causa delle continue vessazioni. Accadimenti, questi, che sono indicativi in ordine alla duratura ossessione pervadente governanti spagnoli e il clero, afferentemente al problema delle minoranze meridionali e alla cancellazione delle diversità religiose e culturali. Un problema che caratterizzò la formazione dello Stato nella tradizione europea e cristiana e che fu vissuto drammaticamente in tutti gli Stati continentali nell’età della Riforma: fra tutti, l’impero spagnolo, che vi individuò un obiettivo fondamentale, fino a giocarvi tutte le risorse. Proprio in questa logica, la guerra e le stragi dei dissidenti valdesi non risolvevano il problema, anche perché la politica ferocemente cristiana del Re di Spagna non voleva la distruzione dei diversi, ma la loro conversione (un aspetto questo, da cui emerge la drammatica contraddizione degli orientamenti teocratici di Filippo, oscillanti tra lo sterminio generalizzato, la spietata persecuzione, l’irrinunciabile conversione). Ecco perché più importante dell’opera di repressione (che, come vedremo proseguì comunque, seppure in modo diverso, rispetto al giugno 1561) doveva essere quella della persuasione e della conquista culturale; nella perversa logica controriformistica delle autorità, le abiette operazioni militari condotte in Calabria, trovavano la loro giustificazione, oltre che nell’obiettivo di ferire mortalmente la capacità espansiva degli insediamenti valdesi colà presenti, nel fine di ricondurre all’ortodossia cattolica i sopravvissuti. Insomma, si era ucciso, torturato, messo al rogo, col fine di convertire, sull’onda del terrore indotto, coloro i quali, alla fine, sarebbero sopravvissuti all’inferno scatenato dai crociati. Un’opera, questa, a cui riservare tanto tempo e continua attenzione: se l’operazione militare era durata poche settimane, l’opera di indottrinamento e di cattolicizzazione sarebbe durata anni e, ai fini del suo successo, più che la feroce intolleranza, sarebbe risultata più proficua una repressiva comprensione, non esente da spunti autocritici, specie sull’inerzia e la corruzione dei ministri religiosi. Dal 1565, nelle tre metropoli della Calabria, si tennero nove sinodi, vertenti sulla questione dell’eresia. Le più notevoli innovazioni adottate durante quelle assemblee, riguardarono l’impulso che, dopo vari decenni di abbandono, venne ridato ai sacramenti e alle celebrazioni del sacrificio della Messa. Venne disposta la scomunica per i genitori che non avessero battezzato i figli entro i primi dieci giorni di vita. Si pose l’accento sulla frequenza della messa, da cui diversi fedeli si astenevano quando moriva qualche congiunto. Si prescrisse, per evitare tentazioni ai sacerdoti, che le donne venissero confessate nel confessionale. Naturalmente, in tutti i sinodi, si elevarono ferme ammonizioni sulla sorveglianza antiereticale, in particolare sulle conventicole poco ortodosse, nei confronti delle quali si stabilì di procedere severamente. Alla fine degli Anni sessanta, la questione eretica in Calabria, sembrò, alle autorità in via di soluzione. Una sensazione, questa, trovante motivazione anche nella quiete sociale allora vigente, che si coglie leggendo un brano del memoriale del Governatore regiona-
Trovò sperimentazione una commistione di orientamenti contro-riformistici nell’ambito dell’incontro-scontro fra le strategie inquisitoriali tradizionali, perorate dai domenicani, e quelle alternative dei missionari gesuiti, attorno a cui trovò strutturazione l’impianto di una realtà nuova
La sollecitudine che il Papa ed il Vicerè mostrarono, all’indomani della conclusione della crociata, in pratica con le macerie di Guardia e San Sisto ancora fumanti e con i roghi ancora accesi, nel porre un freno al furore del Malvicino e dei commissari governativi non deve indurre a credere ad un ravvedimento, ad un rimorso attanagliante le coscienze dei suddetti responsabili delle persecuzioni: il mutamento di strategia, oltre ad essere intrapreso per una questione “d’immagine” e col fine di smorzare lo sdegno di coloro i quali avevano preso coscienza delle nefandezze (per la verità, non tantissimi tra le masse cattoliche, innumerevolmente di più nel campo protestante, grazie al risalto dato alla vicenda, attraverso la pubblicistica, nel centro e nord Europa), risultò confacente ad un preciso percorso di riconquista religiosa e valoriale, contemplante accanto alle prigioni, alle lame, alle torri ed al fuoco, la predicazione persuasiva. Due strade convergenti: due, come gli orientamenti presenti nella Chiesa tridentina, la cui coscienza collettiva risultava scissa tra fiducia e diffidenza, mitezza e persecuzione. Orientamenti opposti, spesso conflittuali, entrambi tendenti al pentimento, da raggiungere attraverso strade diverse e, in alcuni casi, con prospettive diverse: se durante la crociata il pentimento era la dimensione in cui ricondurre gli eretici prima di scannarli, impiccarli o bruciarli, per farli «morire cattolicamente», dopo la strage, il pentimento e la conversione costituiva la precondizione ad un “recupero” esistenziale, oltre che spirituale di quelle donne e quegli uomini che, redenti (per così dire) dall’eresia, dovevano rientrare nella Chiesa cattolica per unirsi al gregge guidato dal pontefice romano e rendere gloria ai «trionfi della Chiesa». Il pentimento, era, insomma, il fine a cui tendevano tutti, sia, tanto per fare un esempio, i Domenicani (depositari della più intransigente logica inquisitoria), sia i Gesuiti (propensi all’ottimizzazione pastorale di fattori quali la mitezza, le penitenze segrete, la dolcezza nell’approccio interpersonale, accanto ai metodi “tradizionali”) ma con strategie diverse. Non era un’opposizione radicale: riguardava i mezzi, non i fini. Strategie, queste, che, in seno all’istituzione ecclesiastica, è possibile identificare nelle due succitate istituzioni tipiche della Controriforma, l’Inquisizione ed i Gesuiti, con, da una parte, giudici implacabili, come il domenicano Michele Ghislieri, sorveglianti e sospettosi, e dall’altra chierici, come padre Xavier, padre Croce, padre Rodriguez (che incontreremo a breve) i quali pur essendo parte dell’apparato inquisitorio, appartenevano ad una congregazione, la Compagnia di Gesù, appunto, allora nata da poco (contestualmente al fiorire dei numerosi ordini religiosi i quali, in quel periodo, diedero un forte stimolo alla restaurazione cattolica) che aveva fatto una scelta precisa a favore della confessione, quale mezzo attraverso cui difendere l’ortodossia, contrastare l’eresia e recuperare alla fede cattolica le sacche “toccate” dalla Riforma. Come già accennato, già nel giugno 1561, con la crociata ancora in corso, lo Xavier ed il Croce, iniziarono la loro opera tra gli ultramontani condannati, detenuti nelle prigioni di Cosenza e Montalto, allargando il loro raggio d’azione missionario quasi in concomitanza dell’arrivo nel Cosentino di Monsignor Del Fosso, incaricato da Pio IV di pacificare quelle terre e creare le condizioni favorevoli alla completa cattolicizzazione della provincia di Cosenza, ove, come i due gesuiti ebbero modo di rendersi conto, le idee riformate erano allignate anche per l’immoralità del clero ed in cui l’opera evangelizzatrice era necessaria non solo per convertire gli “eretici”, ma anche quei cattolici, che ormai disertavano regolarmente il culto, come osservò Padre Croce. Ai primi di settembre del 1561, dopo una permanenza di oltre due mesi, lo Xavier ed il Croce lasciarono la Calabria, mentre Monsignor Del Fosso proseguì la sua opera nella regione, con eccellenti risultati, ottenuti con la forza della persuasione, sino al 1563, quando si recò a Trento, dove inaugurò, con il discorso d’apertura, la terza sessione del Concilio.
continua...
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sabato 19 ottobre 2013
Amministrazione che naviga
Nati in Rete per fare rete Da una pagina facebook alle "stanze" del Comune di Cosenza: siglato un accordo nel segno della cittadinanza attiva Quando si dice fare rete “in” rete. Collaborare cioè con le istituzioni riunendo intelligenze e proposte a partire da una pagina creata su un social network. Nuovo esempio di cittadinanza attiva nei luoghi virtuali dove oggi, più facilmente, si manifesta la partecipazione delle persone alla vita politica, sociale, culturale. Loro sono i cosiddetti “sensisti”, amministratori e iscritti del gruppo facebook “Il senso del tempo, il valore di un posto. Cosenza”. L’istituzione in questione è il Comune, con il sindaco Mario Occhiuto e l’assessore alla Cultura Geppino De Rose che hanno accolto favorevolmente l’idea di un “gentleman agreement”, accordo magari anomalo, senza necessità di timbri, ma forse più sostanziale di altri, fra l’Ente e la pagina associativa che è visionabile sul social di Mark Zuckerberg. L’avvio dell’originale collaborazione è stato suggellato nel salone di rappresentanza di palazzo dei Bruzi, gettando le basi per una serie di iniziative che si svilupperanno lungo il solco dei caratteri identitari del gruppo che, dopo tre anni dalla sua costituzione, conta ormai un archivio consistente di scritti, foto, filmati, registrazioni e commenti attorno al vissuto della città. Il nome della pagina facebook, che tanto propositivo dibattito è riuscita a muovere, nome fra il significato profondo dello scorrere del tempo e quello del valore del luogo, Cosenza, è ciò che maggiormente ha colpito il sindaco Mario Occhiuto: «Il nostro incontro - ha detto nel corso della conferenza stampa - mi sembra importante per due ordini di motivi: il metodo diretto che riguarda i nuovi strumenti di comunicazione che danno la possibilità al sindaco di interagire con i cittadini, e poi il merito, perché questo gruppo ha una componente interessante con contenuti di rilievo». Mario Occhiuto si è soffermato sulle buone pratiche urbane che legano con un filo sottile, appunto, il senso del tempo al valore della città. «I centri storici - ha aggiunto il sindaco - sono un perfetto mix delle funzioni che esistevano una volta e alle quali si rifanno le buone pratiche urbane di ogni epoca». È toccato a Massimo Veltri, tra i fondatori del “Senso del tempo, il valore di un posto. Cosenza”, presentare in soldoni i termini dell’accordo col gruppo che ha all’attivo oltre 4mila iscritti: «Siamo
Nuovo esempio di cittadinanza attiva nei luoghi virtuali dove oggi, più facilmente, si manifesta la partecipazione delle persone alla vita politica, sociale e culturale
giunti alla conclusione - ha affermato il professore - che non siamo solo ‘un noi eravamo’, una pagina-nostalgia, bensì un insieme di gente che tiene a rinsaldare l’orgoglio cittadino da proiettare nel futuro attraverso idee da realizzare». Essenziale, in tal senso, sarà il coinvolgimento delle scuole e dei giovani. Fra le proposte attualmente congelate e in attesa di decisione, c’è quella, avanzata dallo stesso Veltri, di allargare il nome del “posto”, nel gruppo, da Cosenza a Cosenza-Rende, alias la fatidica area urbana che qualcuno vorrebbe lasciare sempre nel virtuale dei servizi mentre nella pratica è più che una realtà. Il guardare avanti degli iscritti, però, consiste essenzialmente nel non muoversi solo nella rete, all’interno del web, bensì anche al di fuori, e, fra le altre cose, attuare un format che valorizzi i tesisti che si laureano su argomenti che riguardano la città di Cosenza. «Nelle scuole - ha aggiunto Veltri - ci piacerebbe presentare immagini che esercitino nei ragazzi quel senso di appartenenza attivo, e non passivo, alla città». In cantiere, fra le proposte messe sul tavolo, una mostra nell’ambito degli eventi natalizi del Comune, dal titolo “Le case di Cosenza” (sull’evoluzione edilistica locale), un momento su ciò che ha rappresentato e rappresenta ancora la libreria Brenner prossima ai 60 anni e altre manifestazioni che tendano «a evidenziare questi movimenti spontanei sorti nella fase della crisi dei partiti, in cui la rete offre grande attenzione, ma evitando sempre strumentalizzazioni politiche, perché il fine è costruttivo». L’assessore alla Cultura Geppino De Rose non ha potuto far altro che rassicurare: «Ci dedicheremo subito a stilare un’agenda di attività. L’idea delle tesi su Cosenza, ad esempio, potrebbe essere inserita in un’apposita sezione nel rilancio della Biblioteca civica. Potremmo immaginarlo lì - ha affermato il delegato al sapere del sindaco Occhiuto - uno spazio che si riferisce all’approfondimento dei laureati su argomenti dell’area urbana cosentina. Siete per noi un serbatoio di idee - ha concluso De Rose rivolgendosi agli amministratori del gruppo - Ogni spunto sarà una risorsa».
sabato 19 ottobre 2013
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Trepidante attesa
Una band da tutto esaurito Modà in concerto lunedì. Catanzaro pronta per un evento da sold out! I Modà Sotto, nel corso dell’esibizione all’Arena di Verona In basso a sinistra, Maurizio Senese e Giorgio Panariello
di Francesco Fotia
Manca poco ormai, soltanto due giorni. Il momento che molti amanti della musica leggera italiana hanno atteso negli ultimi tre mesi è alle porte: lunedì sera, l’arena Magna Graecia di Catanzaro ospiterà il concerto dei Modà, che faranno tappa (unica) nel capoluogo calabrese per il “Gioia Tour”, dal nome del sesto album della band. Un’occasione da non perdere per migliaia di fan calabresi che stanno ancora assaltando botteghini e siti web per accaparrarsi uno degli ultimi posti per quello che sarà uno degli eventi più importanti per la musica dal vivo in Calabria, per questo autunno-inverno in corso. Il sold out, ormai marchio di fabbrica dei live dei Modà, è quasi scontato. Il gruppo, che con il singolo Se si potesse non morire ha conquistato il terzo posto nell’ultima edizione del Festival di Sanremo, appena dieci giorni fa ha dato prova una volta di più dell’enorme appeal che esercita sul pubblico, facendo registrare il tutto esaurito nelle date del dieci e undici ottobre all’Arena di Verona. L’evento catanzarese è stato voluto fortemente e organizzato dalla Esse Emme Musica, ormai una sorta di stella polare nel panorama dell’organizzazione di grossi eventi nella nostra regione. Un’azienda che può vantare nel proprio palmarès la presenza di alcune delle più importanti band e cantautori italiani: da Massimo Ranieri a Franco Battiato, passando per Francesco De Gregori, i Pooh o, lo scorso agosto, Marco Mengoni. A questi, la Esse Emme Musica - che l’anno prossimo festeggerà i venti anni di attività, può aggiungere gli spettacoli teatrali di Giorgio Panariello o Enrico Brignano. Cuore e cervello dell’azienda è Maurizio Senese, organizzatore di eventi che ha in gran parte realizzato la propria mission lavorativa: fare della Calabria una tappa d’obbligo anche per artisti di livello nazionale e internazionale. La sua avventura nel mondo dello spettacolo ha inizio ufficialmente nel 1994. Senese viene dal mondo di Miss Italia in Calabria, per il quale ha concorso a organizzare diverse edizioni. E’ in quei momenti che in lui prende corpo e matura l’idea di avvicinarsi ai grandi artisti e di portarli in una terra non sempre attrezzata ad ospitare eventi di massa. La sfida lo affascina e la affronta con un mix di tenacia e leggerezza. L’anno successivo si dà da fare come promoter e il suo primo successo è il concerto di Patty Pravo a Stalettì, in provincia di Catanzaro: la cornice è quella della Scogliera di Pietra Grande. I numeri che certificano la riuscita della serata sono incontrovertibili: sold out, tutto esauri-
L’arena Magna Graecia ospiterà il concerto del gruppo, che farà tappa (unica) nel capoluogo calabrese per il “Gioia tour” dal nome del sesto album della band
to. Ancora a Catanzaro l’anno successivo, Senese e la Esse Emme Musica fanno centro con altri tre concerti, presso il Pala Corvo. Artisti diversi, accomunati però dalla qualità e dalla risposta del pubblico: i Litfiba, Giorgia e Roberto Vecchioni. Ormai divenuta sinonimo di successo, la Esse Emme negli anni porterà in Calabria Elisa, Riccardo Cocciante, Fiorella Mannoia, Renato Zero, Renzo Arbore, Ivano Fossati, Mario Biondi, Claudio Baglioni e Biagio Antonacci, oltre a ospiti provenienti anche dall’estero, come Paul Young e Gloria Gaynor. Spettacoli che hanno fatto di Maurizio Senese un uomo orgoglioso del proprio lavoro e che, dopo tanti anni, può affermare che <<quando negli ultimi anni artisti di fama internazionale hanno parlato della nostra terra è perché noi siamo riusciti a farli esibire qui. E, cosa che tengo a sottolineare, senza l’ausilio di contributi pubblici>>.
La band... I Modà nascono nella periferia di Milano nel 2002. La formazione originaria è composta dal cantante Francesco Silvestre, detto Checco, Paolo Bovi alle tastiere e cori, Diego Arrigoni alla chitarra elettrica, Tino Alberti, chitarra acustica, Stefano Forcella al basso e Manuel Signoretto alla batteria. Ti amo veramente, del 2003, è il primo singolo che il gruppo propone a case discografiche e agenti. L’anno successivo partecipa a numerosi festival e serate in piazza, fino a registrare, nel 2006, il primo album, ancora col titolo Ti amo veramente. Seguiranno Quello che non ti ho detto, del 2008, e Sala d’attesa nel 2010. Nell’ottobre di quello stesso anno esce il famoso singolo La notte, insieme al cofanetto Le origini, che contiene le prime tracce della band e alcuni inediti. ìViva i romantici è l’album che segue la partecipazione al Festival di Sanremo 2011, dove i Modà suonano insieme ad Emma il brano Arriverà.
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sabato 19 ottobre 2013
Io, detective Tre giorni dedicati agli amanti del genere con l'opportunità di conoscere alcuni tra i più importanti autori italiani (e non solo) del mistero
Cosenza torna a tingersi di giallo di Francesco Fotia
Cosenza torna a tingersi di giallo un anno dopo il primo festival dedicato alla letteratura e alla fiction del mistero, del male, del crimine. Lo fa con una tre giorni di incontri dedicati agli amanti del genere, che avranno gradita opportunità di conoscere alcuni tra i più importanti autori italiani (e non solo) del brivido. A organizzare la manifestazione, anche quest’anno, la Provincia di Cosenza, attraverso l’assessorato alla Cultura coordinato da Maria Francesca Corigliano, sempre sensibile all’importanza della lettura come viatico per la crescita, non solo dei più giovani. «Per questa seconda edizione - ha dichiarato l’assessore - il festival, sotto la direzione artistica di Cristina Marra, è incentrato sul personaggio del detective, sulla psicologia che ne muove le scelte in campo professionale e privato, sul trascorso che ne ha forgiato il carattere. È un appuntamento al quale tengo in modo particolare, - ha proseguito - non solo per il favore incontrato lo scorso anno, ma perché ritengo che quello di leggere un buon libro, a qualunque genere esso appartenga, sia un piacere che nessuno dovrebbe negarsi e, al tempo stesso, un diritto. Leggere ci migliora tutti, profondamente. Anche per questo, in questa edizione avrà ampio spazio anche la protagonista al femminile». L’indagatore al centro dei romanzi presentati dunque; un tema, questo, che fa il paio con quello, altrettanto affascinante, caratterizzante la scorsa kermesse, dedicata invece a “Le città del mistero”, e maggiormente attenta ai luoghi divenuti scena del crimine: dalle campagne alle piccole città, dalle periferie alle grandi metropoli. “Io, detective” ha avuto inizio venerdì mattina, con l’inaugurazione presso l’auditorium Guarasci del Liceo classico “B. Telesio”. Dopo i saluti di Gerardo Mario Oliverio, presidente della Provincia di Cosenza, e Maria Francesca Corigliano, sono intervenuti diversi autori. Tra gli altri, lo scrittore e sceneggiatore Luca Poldelmengo, vincitore del Premio Crovi come migliore opera prima con Odia il prossimo tuo, Patrizia Debicke van der Noot, Margherita Oggetto e Marcello Simoni. A battezzare il festival, l’incontro con Luca Crovi, autore di Noir, istruzione per l’uso, una sorta di manuale essenziale della letteratura del crimine di tutto il mondo. L’ideale interlocutore per dare il via a una manifestazione pensata soprattutto per i più giovani. Gli studenti, inoltre, hanno avuto modo di conoscere anche Massimo Carlotto, fresco autore de Le vendicatrici, affascinante thriller “al femminile” con protagoniste quattro combattive donne. Ci è poi spostati presso il Palazzo della Provincia, dove è stata aperta la mostra “Il mio nome è Julia”, dedicata all’eroina di Julia - le avventure di una criminologa, edita dalla Sergio Bonelli editore, che ha fatto la sua comparsa nel 1998. Si è proseguito con “I nostri detective”, nel pomeriggio, un talk show con Flavio Insinna, Margherita Oggero e Luca Poldelmengo, con l’incontro con Massimo Carlotto e quello, alle 18,30 con Marcello Simoni, secondo posto al Premio Bancarella 2012 con Il mercante di libri maledetti. Ha chiuso la giornata la conversazione tra Maria Francesca Corigliano e il polivalente Flavio Insinna: attore, conduttore televisivo e autore di Neanche con un morso all’orecchio, un tenero e al tempo stesso umoristico racconto di vita vissuta. Questa mattina, ritorno presso il liceo Telesio, per incontrare Donato Carrisi, sceneggiatore per serie televisive, giornalista e scrittore che ha raggiunto il successo con Il suggeritore, opera in grado di vendere 1.000.000 di copie in tutto il mondo e premiato con il primo posto al Premio Bancarella 2009. Carrisi, che collabora anche con Il corriere della sera, è da poco tornato in libreria con L’ipotesi del male. A fargli compagnia, Maria Francesca Corigliano e Cristina Marra.
A organizzare il tutto, anche quest’anno, la Provincia di Cosenza, attraverso l’assessorato alla Cultura coordinato da Maria Francesca Corigliano
Alle dieci e mezza spazio ai più piccoli con il “Giallo kids: come nasce un libro giallo per bambini”, un incontro-laboratorio con Assunta Morrone e Jole Savino, rispettivamente autrice ed illustratrice di Io e Velazquez il giallo dell’insolito quadro. Incontri pomeridiani con Simone Montedoro (il capitano dei Carabinieri di “Don Matteo”), Maurizio De Giovanni, autore de La vipera e de I bastardi di Pizzofalcone, con annesso reading di Brunella Caputo. È stato definito elegante, ma anche schietto. Il suo romanzo Nei tuoi occhi, edito da Giano è ambientato a Copenaghen, Danimarca, terra dalla quale proviene anche lui: stiamo parlando di Jacob Melander, che proprio qui a Cosenza presenta la sua ultima fatica letteraria in anteprima nazionale, dopo aver già conquistato il successo già in diversi paesi. Seguirà il talk show con Simone Montedoro, dal titolo “Gialli in tv: il mio capitano Tommasi”. Il festival prosegue domenica mattina, presso la Sala degli Specchi del Palazzo della Provincia. Si tratterà di Detective e graphic novel nell’incontro con Sebastiano Vitella, autore di Requiem per due c. Italo Grimaldi commissario e con il grande Marco Soldi, fumettista e autore di disegni, tra gli altri, per Dylan Dog e delle copertine di “Julia”. Dalle quattro del pomeriggio ha inizio l’ultima serie di incontri: si apre con Cesare Bocci, conduttore televisivo e attore, e i suoi ospiti. Più tardi, l’incontro con Margherita Oggero e Patrizia Debicke. Alla cinque e mezza, per la sezione “crimini italiani”, appuntamento con Fabio Sanvitale e Vito Bruschini. Autore, que-
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Io, detective
Qui accanto, la locandina del programma Nella pagina accanto, la locandina autori e l’assessore Maria Francesca Corigliano Qui sopra, una delle copertine di “Julia” In basso, la locandina del “mistero” Sotto, Flavio Insinna
L’assesore si è dimostrata sempre sensibile alla importanza della lettura come viatico per la crescita, non solo dei più giovani
st’ultimo, di Educazione criminale, romanzo a metà fra la narrativa e la cronaca, che porta lo spettatore indietro nel tempo, in quello dell’età dello stragismo in Italia. Pierluigi Corazzi è lo scrittore che incontrerà il pubblico a partire dalle diciotto e trenta, prima di lasciare spazio al talk show conclusivo del festival, con Cesare Bocci. Tre giorni di cultura a Cosenza, per quello che può essere considerato in questo momento uno dei migliori festival per la letteratura di tutto il Mezzogiorno.
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Valori in scena A Reggio Calabria, all'Accademia Pentakaris, con lo spettacolo "Paolo Borsellino, essendo Stato", le emozioni dei giudici di Milano che diventano attori per amore della giustizia e dei diritti
Sipario alzato sulla legalità Operazione culturale voluta dall’ Osservatorio sulla ‘ndrangheta di Reggio Calabria con l’intento di utilizzare la forma dello spettacolo teatrale «quale impegno per risvegliare la voglia nelle persone di tirare su la testa e lottare»
I giudici interpretati dagli attori Oscar Magi e Ilio Mannucci Pacini
«Il teatro come strumento culturale di affermazione dei valori della legalità e dell'impegno civile, per combattere la cultura della violenza e della morte portata avanti in Italia da mafia e 'ndrangheta. E un modo per ribadire che la giustizia non è solo applicazione delle leggi, ma è difesa dei diritti di tutti, soprattutto dei più deboli, proprio come vuole la Costituzione italiana». È questo, il senso dato dal magistrato del tribunale di Milano, Oscar Magi, alla conferenza sullo spettacolo Paolo Borsellino, essendo Stato di cui è regista, tratto dal libro di Ruggero Cappuccio, tenuta venerdì 11 ottobre, nella sala conferenze dell'Accademia Pentakaris a Gallina di Reggio Calabria, nell'ambito del seminario sulle “Criminal economies” organizzato dalla Regione Calabria alla presenza del ministro dell'Interno Angelino Alfano, e condiviso dalla United nations Office on drugs and crime (Unodc). Una operazione culturale voluta dal presidente dell'Accademia Pentakaris, Martino Parisi, insieme con l'Osservatorio sulla 'ndrangheta di Reggio Calabria, con l'intento di utilizzare la forma dello spettacolo teatrale «quale impegno per risvegliare la voglia nelle persone di tirare su la testa e lottare, di confrontarsi e opporsi ai disvalori della 'ndrangheta con una cultura di valori positivi che alimenta soprattutto tra i giovani, la crescita civile e la maturazione sociale». E di estremo interesse è stato perciò, il racconto portato in scena, del viaggio tra i ricordi delle tantissime vittime di mafia che hanno scandito trent'anni di storia della Sicilia, misto alle esperienze, le immagini dell'isola, le riflessioni sulla giustizia, sulla lotta alla mafia e sul senso dello Stato, contenuti in un dialogo immaginario tra Giovanni Falcone, ed il suo amico Paolo Borsellino negli ultimi secondi di vita prima di morire assassinato a Palermo da un'autobomba nel luglio del 1992. Efficaci, infine, sono le soluzioni sceniche adottate dal giudice-regista Oscar Magi, come “il tappeto musicale” costruito con le canzoni di Rosa Balistreri e musiche di Mozart e Scarlatti. E soprattutto la scelta, in stile tragedia greca, del coro per rappresentare insieme i sentimenti di dolcezza e di dolore vissuti dalle donne siciliane rappresentate da quattro magistrati ed una giornalista, Monica Cavassa, Luciana Greco, Barbara Medagliani, Maria Bambino e Marica Orlandi. Lo spettacolo è stato rappresentato per la prima volta a Milano nel dicembre 2011, e successivamente a Genova, Trieste, Palermo, e nel giugno scorso a Reggio Calabria, suscitando ovunque forti emozioni «perché il copione e la messa in scena - ha dichiarato Mogi sono fatti con la passione di essere magistrati, avvocati, giornalisti, che vivono attorno al Palazzo di giustizia di Milano e in una regione dove è pesante l'influenza dei casati di 'ndrangheta». E scritto per trasmettere emozioni, «il senso di umanità della categoria», ha dichiarato il giudice milanese Ilio Mannucci Pacini che interpreta Falcone. «Una scelta - ha detto ancora Mogi - compiuta in coscienza e libertà. Il mio lavoro non è solo stare con la toga, ma fare teatro per raccontare la verità al pari dell'amministrare giustizia. Non ho avuto problemi ad espormi, perché facendo il giudice rivendico il mio essere persona che discute insieme di legge e di diritti». Il presidente dell'accademia Pentakaris Martino Parisi, a conclusione del dibattito, ha espresso parole di apprezzamento per lo spettacolo dal lato artistico, e quindi, perché valido esempio di azione civile contro la mafia. Infine, ha annunciato che è intenzione dell'associazione intitolare il salone conferenze della struttura artisticomusicale di Gallina, alla figura di monsignore Italo Calabrò, grande figura di sacerdote reggino e di uomo fortemente impegnato nel contrastare la mafia con l'impegno sociale e civile. Martino Parisi Filippo Praticò
sabato 19 ottobre 2013
Rassegna dedicata ai video di “famiglia” Federazione italiana dei Circoli del cinema Centro regionale della Calabria, in collaborazione con Unical
Corti di memoria. Segni privati (ma non troppo) La Federazione italiana dei circoli del cinema - Centro regionale della Calabria (Ficc), organizza la seconda edizione della rassegnaconcorso “Corti di memoria. Segni privati (ma non troppo)”. I video partecipanti, realizzati in ambito amatoriale, dovranno riguardare la sfera familiare/amicale, ma anche contenere tracce storicosociali e contestuali di evidente interesse collettivo. Verranno premiate le tre opere che, a insindacabile giudizio della giuria, mostreranno la migliore commistione tra gli aspetti privati raccontati e le esperienze e i valori sociali rievocati, con particolare riferimento alle minoranze etnico-linguistiche. In quest’ultimo caso i corti potranno essere incentrati sia sulle culture proprie delle minoranze locali territorialmente consolidate (grecaniche, albanesi, occitane, valdesi, ecc.) sia sulle tradizioni, gli usi e i costumi dei popoli di più recente immigrazione nel nostro Paese. Corti di memoria è realizzato in collaborazione con il dipartimento di Studi umanistici dell’Uncal e l’associazione culturale “Fata Morgana”. La fase finale della rassegna, con la proiezione e la premiazione dei video vincitori, si svolgerà si svolgerà all’interno del Campus di Arcavacata, presso la sala stampa dell’Aula Magna, lunedì 16 dicembre 2013 alle ore 15:00. CONDIZIONI DI PARTECIPAZIONE - Possono essere iscritti al concorso video di durata non superiore a 20 minuti (compresi gli eventuali titoli di testa e/o di coda) - La richiesta d’iscrizione al concorso deve essere inoltrata esclusivamente tramite la scheda di adesione, allegata al presente bando o scaricabile sui siti www.ficc.it e www.fatamorganacinema.it o richiesta alla mail centroregionale.calabria@ficc.it - Per essere ammessi al concorso sarà necessario inviare 5 copie del video esclusivamente su supporto dvd (indipendentemente dal formato originale) e in formato Mpg o Avi - Le 5 copie, unitamente alla scheda di adesione, dovranno essere recapitate, o consegnate a mano, entro le ore 13:00 di lunedì 9 dicembre 2013, al seguente indirizzo: Concorso “Corti di memoria” C/O ex dipartimento di Filosofia, cubo 18C, VI piano, Campus di Arcavacata, 87036 Rende (CS) - Per le opere che perverranno oltre tale data non farà fede il timbro postale. - I filmati partecipanti potranno essere in lingua anche diversa dall’italiano, purché siano, in tal caso, corredati da sottotitoli in lingua italiana - I plichi incompleti o non in regola con il presente bando non saranno ammessi al concorso - Il materiale inviato non sarà restituito - L’organizzazione del concorso non si assume alcuna responsabilità per gli eventuali danni che i materiali inviati potrebbero subire durante il trasporto - Una giuria d’esperti sceglierà i video ritenuti, a suo insindacabile giudizio, idonei a partecipare alla fase finale della manifestazione - Tra i video finalisti la giuria sceglierà tre video che risulteranno vincitori - I partecipanti cedono alla Federazione Italiana dei Circoli del Cinema/Centro regionale della Calabria il diritto a diffondere, per la promozione del concorso e senza scopo di lucro, i video in concorso ed il materiale promozionale eventualmente ad essi connesso - L’iscrizione è gratuita e implica l’accettazione del suddetto regolamento.
GIURIA Faranno parte della giuria: Tiziana Bagnato (giornalista); Loredana Ciliberto (presidente Associazione Culturale “Fata Morgana” e Responsabile organizzativo del concorso); Roberto De Gaetano (docente di Filmologia); Giorgio Lo Feudo (docente di Semiotica del testo presso l’Università della Calabria e coordinatore Ficc-Calabria); Bruno Roberti (docente di Stili di regia).
INFO centroregionale.calabria@ficc.it http://www.ficc.it (Centro Regionale della Calabria) www.fatamorganacinema.it (Eventi) Seguici su Facebook: “F.I.C.C. Calabria” e “Associazione culturale Fata Morgana”
PREMI Una selezione dei video finalisti sarà proiettata pubblicamente durante la manifestazione finale del concorso - Al primo, secondo e terzo classificato sarà consegnato il Premio “Corti di memoria 2013”. Ai primi tre classificati sarà inoltre offerta la circuitazione presso i circoli FICC e l’inserimento nei programmi delle rassegne organizzate dall’associazione culturale “Fata Morgana” per il 2014.
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La ricetta della bellezza Nuove tecniche per il benessere, ce le racconta Maria Nevini
Ossigeno per vivere meglio nelli di Federica Monta
Maria Nevini, professionista della bellezza e del benessere, da sempre studia e mette in pratica i segreti di una pelle sana e di un corpo a prova di stress. Convinta che i momenti dedicati a sé stessi siano indispensabili per sopravvivere alla frenesia della vita di questi giorni, Maria, nel suo centro benessere Masagiù di Rende, ha creato un magico mondo fatto di essenze benefiche e tecnologie all’avanguardia, ospitalità e professionisti del relax e della bellezza che non smettono mai di apprendere nuovi trucchi del mestiere. I massaggi sono all’ordine del giorno nel suo regno; ce ne sono di diversi tipi, provenienti da tradizioni molto differenti tra loro, e tutti adatti ad agire su particolari patologie e zone del corpo. L’esperienza acquisita nella sua ventennale carriera, l’ha portata a conoscere numerose tecniche, o presunte tali, che promettevano di “riportare indietro nel tempo”, che garantivano il ritrovamento, o per alcuni il raggiungimento, della bellezza. A volte nuove tecnologie e metodologie hanno mantenuto la parola data, altre volte no. C’è però un agente benevolo, l’ossigeno, che oggi può essere impiegato in modo innovativo garantendo risultati eccezionali. Negli ultimi tempi il trattamento con ossigeno puro è stato messo al centro dell’attenzione grazie all’utilizzo che, pare, ne faccia una regina pop come Madonna. Ce ne ha parlato Maria, che quest’oggi darà modo ai suoi ospiti di misurarne gratuitamente l’efficacia. «Si tratta - spiega - di una tecnica oggi usata da numerose dive dello star system hollywoodiano: si chiama Re-Oxy, ed è figlio di una scrupolosa ricerca Re-Age. L’indagine fatta da esperti della cura della pelle ha scoperto che l’uso di ossigeno puro concentrato abbinato all’ozono è assolutamente eccellente per trattare proprio le particolari problematiche epidermiche. Questo grazie alle qualità dell’ossigeno, che, come sappiamo, è alla base di tutte le reazioni metaboliche di ogni cellula del corpo umano, nonché per la nostra stessa vita. Il trattamento che offriamo oggi in prova gratuita sfrutta l’ossigeno come agente di rallentamento dell’invecchiamento cutaneo, mediante la stimolazione del metabolismo. Inoltre - prosegue - esso è utilissimo al fine di combattere stress e stanchezza, portatori anche loro del decadimento delle cellule cutanee. Tra le qualità dell’ossigeno e i benefici portati da questo trattamento innovativo c’è anche la capacità di aumentare i livelli di energia, rafforzare il sistema immunitario e contrastare i danni causati dallo smog che, seppur invisibile, si annida nei nostri centri. L’ossigeno - spiega ancora Nevini - è altresì in grado di veicolare i principi attivi negli strati della pelle, anche all’interno di quelli più profondi. Grazie a questa qualità di non poco conto, il trattamento a base di ossigeno rappresenta una valida e sana alternativa ai trattamenti estetici, a volte decisamente fastidiosi, che si servono di aghi, come ad esempio il botox e la mesoterapia. I suoi benefici riguardano naturalmente anche il viso, per il quale aumenta la microcircolazione locale donando vitalità alle cellule responsabili della produzione degli elementi plastici della pelle: fibrina, elastina, collagene, glicosaminoglicani. Un effetto benefico che si riscontra a vista d’occhio, perché la pelle diventa più forte e tonificata, illuminando il volto. Ultimo, ma non in ordine di importanza, beneficio che l’ossigeno può apportare è l’azione anticellulite e modellante che svolge sul corpo, per il quale elimina le tossine, riduce la ritenzione idrica e stimola la circolazione venosa e linfatica. Tramite questo processo si riduce visibilmente il raggio delle fastidiose smagliature. I prodotti che diamo modo a chi sia interessato di provare sono appositamente pensati per essere combinabili con l’azione dell’ossigeno iperbarico, che veicolando in profondità i principi attivi apporta alla pelle luminosità, tono e un immediato effetto lifting. Una nuova tecnologia che - conclude - consigliamo assolutamente di provare». Quando il benessere e la bellezza vanno a braccetto con tecnologia e professionalità...
Agente benevolo che oggi può essere impiegato in modo innovativo garantendo risultati eccezionali
Da sinistra a destra e dall’alto verso il basso la sequenza di una seduta
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La ricetta della bellezza
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Tele in continua ricerca Si conclude la fortunata stagione artistica del pittore rendese Antonio Oliva
Antonio Oliva nell’esecuzione della sua opera
Cristo e case bianche su San Fili Con un “Notturno calabro”, opera n° 2587, Antonio Oliva si aggiudica il 2° Premio nell’estemporanea di pittura a San Fili con una tecnica mista su tela cm 100x70x4. Un Premio che è alla sua decima edizione, ma che ritorna dopo anni di silenzio. Importante per una località che rappresenta uno dei luoghi più incantevoli della provincia di Cosenza. Una massa di case bianche, tipicamente in stile mediterraneo, che si adagiano su un promontorio, che sembra affacciarsi a valle, imponente e gigante. Il premio è organizzato dalla Proloco con il tema “I paesaggi, gli scorci, usi e costumi di San Fili”. Si deve rilevare che l’estemporanea di pittura è una tradizione di San Fili che ebbe un periodo lunghissimo prima che la Proloco ne portasse avanti la paternità, rispolverando con un nuovo vigore. Questo premio finisce una stagione fortunata d’impegni per il pittore rendese. Una stagione che si termina con una buona posizione in un premio importante della tradizione Sanfilese? Fortunatamente devo ammettere di sì, è stato un periodo molto produttivo. Ho vinto quattro volte il primo premio a Belmonte Calabro, Cosenza; a Brognaturo nel Vibonese; a Mangone, Cosenza; a Galatro nel Reggino. E altri secondi premi importanti tra cui San Fili e Terranova da Sibari, Cs che prevedeva un progetto scultorio per una piazza dedicata a Falcone e Borsellino. Poi una grande gratificazione viene dal ricevere un premio della critica a San Calogero nel Vibonese. Notevole, poiché economicamente è tra i più gratificanti e seri della Calabria. Oltre alla targa o pergamena che sono documenti importanti per ogni artista, naturalmente ricevere dei premi in denaro aiuta l’attività personale. Che cosa bolle in pentola per la nuova stagione? Una personale, che sia il resoconto di tutto ciò che è stata la mia esperienza in quest’ultimo anno. Una sorta di biografia personale. Sperando, come per l’anno passato, di collaborare con la Provincia di Cosenza, ed esporre presso il “Museo delle arti e dei mestieri”. Per il momento è solo un’idea con nulla di definito. Che cosa andrai a sintetizzare nella tua personale come esperienza vissuta? Quest’anno è stato importante su come guardare al futuro. Una ricerca di un futuro non inteso come cambiamento della tecnica pittorica, ma come ambientazione dei soggetti verso il nuovo. Questa idea mi sovviene da uno dei premi vinti, quello di Brognaturo dal titolo “Progetto futuro”. La prospettiva è di proiettare l’uomo nella dimensione futura , che non è quella reale della crisi che viviamo, ma di esporlo a un pensiero talmente positivo e rivoluzionario che vuole essere un “colpo di spugna” a questo periodo grigio della nostra società. Mi avvalgo anche nelle opere di un’esperienza diretta
Si aggiudica il 2° premio nella estemporanea di pittura a San Fili con una tecnica mista su tela Premio alla sua decima edizione, ma che ritorna dopo anni di silenzio
che proviene dall’avere visitato tutte le maggiori città d’arte Italiane ed estere, che mi hanno dato tanto, a partire dai musei alle mostre più importanti dei grandi pittori. L’opera che ha vinto il secondo premio nell’estemporanea di San Fili... È uno scorcio della Chiesa matrice del paese, l’opera è forte nel suo cromatismo, ho concentrato il colore nelle terre, come la terra di siena e l’ocra. I colori che ho scelto rispecchiano ciò che i miei occhi hanno visto attorno al dipinto, riportando solo l’antico attorno, e tralasciando l’architettura moderna delle abitazioni. Ciò per far ricordare le nostre radici all’occhio che osserva. La scelta è ricaduta proprio su questa chiesa, perché dopo tanti anni sono terminati i lavori di restauro della stessa e che le danno ancora più bellezza di quanta già ne avesse. Mi attrae il campanile che visto fuori dalla città, rende tutta la sua maestosità e potenza. Ciò rimanda subito visivamente a quanto fu importante la cultura Sanfilese tanto da rispecchiarsi anche nei suoi monumenti. Una cittadina dai forti legami e dalle ferme tradizioni, ma un attaccamento ai propri talenti. La chiesa rispecchia tutto ciò che è l’appartenenza al luogo. Nella pittura classica e contemporanea, quali sono i tuoi maestri di riferimento? Devo premettere che secondo me l’arte contemporanea non fa altro che evolversi sui grandi del passato. L’arte classica del passato soprattutto Italiana e che influenza l’arte mondiale e contemporanea. Tra i contemporanei però ci sono alcuni nomi: William Adolphe Bouguereau, Nicolas Poussin, Arnold Böcklin, René Magritte. Tra i dipinti più che le sono rimasti in mente per vari motivi... Uno in particolare, “Il Cristo”, che ha girato tanto in varie collettive dell’Associazione di cui prima facevo parte. Solo però nel momento in cui è stato esposto alla Provincia nella collettiva di pittori “Arti visive” è stato venduto e acquistato dalla signora Norma Marano e donato al Duomo di Pedace nel Cosentino, trovando una bellissima collocazione, ciò è gratificante.
La sua evoluzione artistica... È stata molto sofferta, però la ricerca continua della tecnica che imprimo sulla mia tela mi ripaga tantissimo e mi invoglia a continuare questo percorso, mi sento soddisfatto. La tecnica che uso abbraccia l’espressionismo, utilizzo le terre (ossidi) che sono materia che mi avvicina alle mie radici, l’ho detto già, ma palpare la terra miscelarla alle tempere o agli acrilici, che distribuisco con l’olio in strati progressivi mi dona quella la potenza plastica, che paragona l’immagine a un graffito. LdC
sabato 19 ottobre 2013
Seconda edizione "Mammechemamme" per le famiglie
Pronto, Tata?
Nei giorni scorsi, nella sala degli Stemmi di palazzo della Provincia di Cosenza, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della seconda edizione del corso di Formazione professionale per assistenti domiciliari all’infanzia e la cerimonia di consegna degli attestati per le giovani, in totale quindici, che hanno partecipato alla prima edizione del corso nella stagione scorsa. Erano presenti la responsabile dell’associazione “Mammechemamme”, e promotrice del corso di formazione, Cecilia Gioia, l’assessore Provinciale alla Formazione professionale, Giuseppe Giudiceandrea, il responsabile del Servizio Piano e programmi del Settore provinciale Formazione professionale, Giuseppe Fiordalisi, la dottoressa Le Piane, ha moderato Giusy Gucceri. Sono stati invitati alla conferenza il direttore del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università degli Studi della Calabria, Raffaele Perrelli, che però trattenuto da altri impegni non ha preso parte alla giornata, ma che la presidente di “Mammechemamme” tiene a ringraziare per avere dato la nuova disponibilità, a ospitare presso il suo dipartimento, il corso di formazione nella nuova stagione. Ha preso parte alla cerimonia anche una delle direttrici degli asili convenzionati con l’associazione, dove le apprendiste “tate” hanno svolto il tirocinio. Una sala gremita da tutte le ragazze che hanno preso parte al corso, che è stato autofinanziato dalle stesse. Un corso quello di “Mammechemamme”, professionale, e che rilascia un titolo riconosciuto a livello provinciale, regionale, nazionale ed europeo. Necessario, perché previsto nel pacchetto base che dà la Provincia, ci dice la responsabile Cecilia Gioia, nel corso di formazione è stato prevedere delle ore di Inglese, di Diritto, di Informatica e di Sicurezza del lavoro. I docenti, tutti qualificati, sono interni all’associazione, facendo parte del direttivo, ma sono stati previsti anche dei docenti esterni come per la formazione della sicurezza sul lavoro. Per un totale di 450 ore, con insegnamenti obbligatori di 101 ore, l’area psicopedagogica di 121, l’area socioeducativa di 108 e quella pratica educativa di 120 ore e che si sono tenute presso le aule messe a disposizione dell’Unical. «Oltre al pacchetto base che ci ha dato la Provincia noi, ci dice Cecilia Gioia, abbiamo previsto ambiti di formazione specifiche, come le aeree psicopedagogiche, tenute dai nostri psicologi interni, compresa me stessa, specializzata psicoterapeuta cognitivo comportamentale e Erica Gallo, psicoterapeuta sistemico familiare o della famiglia. Una counseling, Ilaria Latino, l’assistente sociale Samuela Chindavo, Lindara Nobre come educatrice, Alessia Russo per la lingua inglese, Giorgio Misasi per il Diritto, Antonio Cirasa per l’Informatica, Carmine Brescia igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro».
Nella sala degli Stemmi del Palazzo della Provincia di Cosenza conferenza stampa di presentazione del corso di Formazione professionale per assistenti domiciliari all’infanzia e cerimonia di consegna degli attestati per le giovani che hanno partecipato nella stagione scorsa
Il corso si è tenuto tra venerdì e sabato. In più erano previste le ore per il tirocinio presso le strutture prese in convenzione e che hanno aderito al progetto, nei territori della provincia, Castrovillari e Morano. La Provincia entra nel progetto impegnandosi nel riconoscimento del titolo professionale e nell’inserimento delle qualifiche nel registro provinciale dove le famiglie possono accedere e usufruire del servizio della “Tata riconosciuta”. Il prossimo corso per tate sarà convenzionato con l’Aisage (Associazione infermieri specializzati in area critica ed emergenza) che rilascerà, un tesserino, alle stagiste sul pronto intervento e insegnerà l’uso del defibrillatore. Il corso partirà in novembre e sono aperte le iscrizioni scaricando il modulo che si trova nel sito mammachemamme.org oppure telefonando ai numeri 393 5150628/339 2284461. Il costo del corso di formazione sarà rateato e in esso inserito da questa edizione anche quello di puericultrice. Alla fine del percorso formativo si sosterrà un esame diviso in due giornate con una commissione esterna, che sarà scelta dalla Provincia di Cosenza. “Mammachemamme” ha in programma un’altra iniziativa la prima giornata si è già tenuta ieri 18 ottobre, ma per la giornata di oggi 19 ottobre “Il corso di formazione per il sostegno e la formazione dell’allattamento al seno” oltre alle ore di ascolto presso la Casa delle culture di Cosenza con un’esperta la dottoressa Anna Domenica Mignuoli, che si terranno a partire dalle 8,30 prevede anche nella serata dalle ore 16,30, in piazza Kennedy, un pomeriggio all’insegna del divertimento per mamme e bambini. LdC
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sabato 19 ottobre 2013
Il racconto Quinta parte
Per far rinascere e vivere un’epoca d’oro
Nella terra di origine a qualsiasi costo di Giuseppe Aprile
I grandi protagonisti del processo unitario tra le confederazioni, sono stati Carniti, Trentin, Benvenuto, Morese, Bentivogli, Morelli, Storti, Ravizza, Pagani, Marcone ed altri. Personalmente ho sempre avuto l’idea che dentro la Uil, che con Giorgio Benvenuto che veniva dalle grandi esperienze unitarie dei metalmeccanici costituendo la grande e indimenticabile triade con Bruno Trentin e Pierre Carniti, prima o poi sarebbe scoppiata la reazione della vecchia Uil della scissione ed decisamente protesa ad impedire l’unità con la punta di diamante Raffaele Vanni fischiato sonoramente e in giusta abbondanza. A Reggio Calabria era caratteristica la sigla Uil che era il rovescio di etichetta da Cisl, con dentro una minuta componente sindacale repubblicana utilizzata per la funzione di alcuni dirigenti (Mimmo Chirico, Rocco Laganà) che comunque non avevano espresso forza per trasformare la Cisl in fatto da confederazione, ed un minima componente socialdemocratica facente capo ai validi ed operosi Mico Triveri e Pietro Mafrici che dovevano accontentarsi di svolgere un loro lavoro nel rispetto obbligato alla dirigenza, con sprazzi di autonomia quasi totalmente priva di forza; dirigenza che restava assoluta nelle mani di tale Bruno Saiaci, capo della Cisl che dominava con due sue cognate fedelissime, i fedelissimi collaboratori Gennaro Santucci ed il maresciallo Minniti, ed il figlio Gino che dirigeva il forte Patronato Ital, assieme all’onesta e operosa moglie Ada Romeo. Toccherò questa fase più in là, che approfondirò a tempo debito, quando andrò a ricordare il momento determinante di una mia scelta storica illuminata dall’intelligente e significativa visione di Giorgio Benvenuto teso a tentare di cambiare la Uil del passato. Per il momento resta la necessità di mantenere la barra della mia coscienza, della mia attenzione e dei miei ricordi, tra dolenti e non, al dire delle cose che si devono sapere per interpretare bene, capire meglio la storia del ramo di fondo delle organizzazioni dei lavoratori italiani ora che non si possono più trascurare le immediate necessità del momento e si deve costruire il domani sulla base dell’esperienza vera di quanto fin’ora avvenuto ed evitando inutili fantasie e mediocri segnalazioni polemiche, sicuramente non portatrici di buone strade future. Non mi stancherò mai di affermare, sia pure forse senza certezze del valore in prospettiva per quanto mi propongo, tre fasi che ho vissuto nella mia vita sindacale alle quali attribuisco il valore che prescinde dalla visione e dal fatto personale che pur c’è, come in tutte le cose e per tutti i protagonisti della storia, della cultura, della filosofia, della poesia, della musica e di ogni altra forma di attività sociale. La mia iniziale militanza dentro la Cisl con l’aiuto determinante di Giovanni Lazzeri, considerato una cima alta del sindacalismo italiano e reggino, ossia della mia terra d’origine e nella quale ho dato e do tutto me stesso. La mia determinante formazione al Centro Studi di via della Piazzola, la scuola sindacale di Firenze, sotto la guida impareggiabile della cultura dei protagonisti e guide sindacali del tempo migliore, - epoca d’oro - del migliore sindacalismo italiano, degli assistenti - Costantini, Lazzareschi, Romagnoli, La Porta, Domenico Valcavi - in uno con i miei compagni di corso; i ventuno già nominati e in me sempre presenti ed operanti. Dell’oggi parlerò dopo, quando servirà e mi sarà facilitato il compito di innescare le valutazioni determinanti per l’oggi ed il futuro. Fino ad allora, è inevitabile un silenzio di tomba, come si dice, Un silenzio che alla fine si rivelerà assai produttivo e sicuramente significativo. Si capirà meglio del perché dell’attuale mia scelta. «Non si scrive tanto per scrivere» e per «fare storia fine a se stessa»; che non sarebbe possibile in questa materia di ordine assolutamente primario in vista di quanto serve per trasformare la crisi italiana in ripresa definitiva di democrazia costituzionale e di diritto, secondo quanto infallibilmente a noi è stato demandato dai protagonisti del-
La rappresentanza dei lavoratori in Italia e in ogni parte del mondo è dove si vanno costruendo le società di diritto, popolari, rispetto ai soprusi, alle dittature, ai domini di gruppo
la Carta Costituzionale della nostra Repubblica. Fatto di unità vera e di democrazia senza aggettivi. Dicevo che il linguaggio costruito dai protagonisti del processo unitario del sindacato italiano e della storia della nostra democrazia repubblicana, è la stella polare del mio lavoro e della mie riflessioni; almeno questo ho capito che sto facendo. La rappresentanza dei lavoratori, in Italia e in ogni parte del mondo dove si vanno costruendo le società di diritto, popolari, rispetto ai soprusi, alle dittature, ai domini di gruppo e di persone del passato, è materia che non consente altro che giustezza di valutazioni, maturazione di idee formatesi nella storia reale della vita, strade sicure e dove il meglio dell’uomo si esprime compiutamente. Non valgono quelli che vengono ritenuti limiti di età e cambiamento dei tempi. Ognuno è chiamato a fare la sua parte e non deve mai rinunciare. L’uomo, dal primo all’ultimo giorno della sua vita, è cosa che nessuno ha diritto di mandare fuori dal campo. E «mai rinunciare!» aggiungo. Qualunque sia il giudizio dominante o le regole contemporanee del gioco. Io registro che ci sono giovani inutili e vecchi intramontabili e insostituibili. Gli uni raramente fanno il gioco degli altri. Ma la verità è monumentale. Avviene, tanto per dirne un’altra, che si usa pensionare troppo presto i lavoratori e si valorizzano troppo tardi i giovani. Tanti periodi importanti della nostra vita vengono catalogati come roba da mettere da parte. È profondamente sbagliato. Le idee camminano per qualunque età dell’uomo e delle donne. E mai si possono buttare, come si fa in grandi maggioranze, da parte; mai si possono trascurare perchè considerati inservienti. Conosco anziani che hanno una capacità di sapere, di dire, di riflettere che la società non deve evitare. E tanti ragazzi crescono precocemente o, comunque, vanno valorizzati secondo l’età vera che hanno, non secondo opinioni sociali o di scuola. Nel sindacato, al Centro Studi cisl di S.Domenico di Fiesole, ho imparato che la licenza elementare basta per fare l’uomo e che nella maggior parte dei casi la cultura delle altre scuole diventa nebbia che condiziona l’essere umano o comunque lo depista dall’orizzonte di cui è capace e dalla via che saprebbe percorrere.
sabato
19 ottobre 2013
Il racconto
È stato in quella fase -poi dimenticata, lo voglio anticipare- che s’è scoperto quello che poi avrebbe dovuto rappresentare pensiero cruciale di un grande sindacato come rappresentanza di fondo del sindacato nei confronti delle controparti, ma soprattutto anche nei confronti del governo che doveva, che deve passare dal ruolo di mediazione ad altro ruolo. La scoperta che la scala mobile serviva a poco rispetto al controllo ed alla difesa del salario, ha portato poi alla cessazione sua, senza novità di rilievo ed altro. Perché in politica non si ha mai una visione generale delle cose. Qui sta al massimo livello l’inconcludenza della rappresentanza politica e del ruolo del massimo organo nazionale che dovrebbe legiferare e fare politiche giuste nel mentre fa da tappabuchi dove i buchi sono più grandi di ciò a cui si pensa di rimediare! Vito Scalia aveva un dire interessante. E diceva: il governo deve sapere che le riforme non li può fare da solo. Ci siamo noi, i sindacati che hanno diritto a partecipare alle trattative, perché nessuno più e meglio di noi sa cosa sono i problemi economici dei lavoratori e la questione dei bilanci in famiglia, del pubblico e del privato. «Sia chiaro» concludeva, «ci vogliono le riforme e il confronto con noi sindacato come base per elaborarle ed applicarle». «Senza riforma scade l’importanza della contrattazione», sosteneva. E su questo, in verità, non c’era alcuna differenza tra le componenti -la unitaria e l’antiunitaria- del sindacato. Tutti d’accordo. Dove “cascava l’asino” e sorgevano le differenziazioni, le contrapposizioni tra tesi e le problematiche del tempo? Che non tutti davano alla costituzione di un sindacato unitario, l’importanza determinante perché il confronto tra le parti ed i governi richiedevano i lavoratori uniti, forti, con rappresentanza senza equivoci e senza divisioni. Vale a dire che il problema di fondo era quello dell’unità sindacale come strumento di rafforzamento e qualificazione dei lavoratori.
Ho sentito un giorno, a Firenze, un comizio di Vito Scalia, allora segretario della cisl confederale, segretario aggiunto, mi sembra, quindi numero due della organizzazione, che la maggior parte di noi biasimava perché era il simbolo degli antiunitari, di coloro che dentro il sindacato guidavano le forze che si battevano per impedire il successi del processo unitario. M’è rimasta impressa l’idea fondamentale sul tema di fondo di quel periodo in merito ai problemi dei lavoratori. Le riforme che il sindacalismo confederale, ma per maggior merito dei settori unitari e industriali, aveva scoperto dopo le analisi approfondite di alcuni elementi nella contrattazione di categoria con le controparti datoriali (voglio chiamarle così, anche se allora erano più efficacemente definite “padronali”- non a torto- ) tra cui il fatto che le conquiste economiche in fabbrica venivano poi vanificate dall’aumento dei prezzi in ogni settore della vita. Che serve, si diceva giustamente, la contrattazione aziendale, nazionale, tra parte e controparte, quando poi nei fatti si dà credito alla mediazione governativa che di fatto in sede di contrattazione finge di tare al di sopra delle parti e poi, nel sociale, nulla fa per mantenere equilibrio nei costi dei beni? Cento lire in più del contratto di categoria, venivano annullate dal costo maggiore dei trasporti, delle medicine, dei servizi, del mercato dei beni di consumo ad ogni livello. Venne fuori, ed il sindacato questo merito l’ha abbondantemente acquisito, che senza che nella società operasse una legge ed un comportamento governativo in grado di evitare dislivelli e sperequazioni, le conquiste categoriali contrattuali, venivano vanificate dai costi in una società dove anche la “scala mobile” veniva resa innocua e tutt’altro che strumento di difesa del potere di acquisto del salario. La scala mobile, che era un istituto che per un certo tempo difendeva il potere di acquisto tra un contratto e l’altro, non aveva evitato che la conquista di cento lire con il contratto, quindi dentro la fabbrica, restasse dello stesso valore nella società. Dicevamo: «Che mi serve conquistare l’aumento nella fabbrica quando nella società la controparte, che ha più potere dei lavoratori, si paga di più l’affitto casa, il pane, la pasta, il vestiario, il pullman, il treno, l’automobile, la corrente elettrica?». E si facevano lunghi discorsi per riflettere su questo argomento, su come i lavoratori venivano sempre discriminati e sottomessi al potere dei potenti.
La vita del sindacato era un problema che interessava tutti Lavoratori e non Il sindacato non doveva essere una parte, un partito, uno strumento che operasse per la tutela di una categoria solamente
La vita del sindacato era un problema che interessava tutti. Lavoratori e non. Il sindacato non doveva essere una parte, un partito, uno strumento che operasse per la tutela di una categoria solamente. Doveva essere intesa come una rappresentanza che sapeva come, alla fine, il problema dell’uno fosse il problema dell’altro. Non doveva esserci un sindacato che intendesse i problemi dei lavoratori come fatto inscindibile dai problemi del resto della società. Tutta la gente forma uno Stato dove una questione è fortemente legata all’altra. «Ecco il ruolo delle riforme!» dicevamo in coro, unanimemente, tutti gli allievi, tutti i lavoratori, tutta le gente. Era la dimostrazione che le divisioni erano e sono sempre strumento per favorire una classe sull’altra, una categoria sull’altra, un territorio sull’altro. Che i politici fanno scientificamente e senza scrupoli. La ragione che lasciava il sindacato in lotta per la sua vita, era dovuta alle influenze delle forze contrastanti nella società e nella politica. Ma che fosse una grande medicina utile per tutta la società, era ed è indiscutibile. Pensando alle problematiche che vivevo nelle realtà meridionali, mi veniva da piangere. Non lo facevo perché ho sempre avuto l’idea che il pianto fosse debolezza, non propria dell’uomo che, invece, deve vivere con coraggio e pronto ad affrontare tutti i problemi che a lui si presentano. Il Sud è stato sempre debole come sindacato e come società politica. Perché? È presto detto. E questo dimostra pure una contraddizione che con il passare degli anni s’è espressa sia in politica che in ogni forma di rappresentanza sociale. Nel Sud ci sono campagnoli, disoccupati, gente a cui serve la Previdenza Sociale, giovani senza lavoro e nelle scuole di ogni ordine e grado; gente bisognosa e mai autonoma, sempre limitata. Non ci sono operai, dipendenti di aziende industriali e le stesse campagne agricole vivono di isolamenti, senza politiche di difesa dei governi, senza programmi nazionali cui affidare un proprio disegno di sviluppo. E, però, numericamente abbiamo città e regioni ad alta densità abitativa. E ci sono grandi regioni e città che hanno poca gente autonoma e libera e tanta suddita, debole. Grandi regioni come la Sicilia, la Campania, finivano per avere enormità di rappresentanze numeriche e invadenze dentro le organizzazioni dove spesso la rappresentanza e la maggioranza o la minoranza sono fatti numerici e non entità qualitative; quindi le linee congressuali risentivano di debolezze dovute a ragioni precarie che consentivano il predominio di politiche deboli e inconcludenti a danno di quelle utili ed importanti. Una volta, in un convegno, ai primi tempi della mia attività sociale, ebbi a sostenere: «Non è Milano che deve diventare Reggio Calabria, è Reggio Calabria che deve diventare Milano». Una verità che resta sempre attuale anche se, in presenza di crisi e di cattiva politica, è avvenuto forse diversamente. Non del tutto e definitivamente il contrario, ma sicuramente vicini ad una realtà simile, se non eguale.
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sabato 19 ottobre 2013
Non ci si può fermare
Più spazio a donne e giovani, maggiore apertura verso la società
Rotary tra bilanci e nuovi progetti Nuove povertà ed emergenze sociali, caduta dei valori, dilagare dell’individualismo e dell’ opportunismo: difronte a quanto accade nella società di oggi, il ruolo, pur ultracentenario, del Rotary appare quanto mai attuale nel suo fondarsi sul servizio disinteressato verso i più sfortunati. Ma non ci si può fermare. Occorre, anzi, andare ancora oltre. Aumentare numero e qualità delle proprie azioni ed apportare gli opportuni aggiustamenti di direzione appare imprescindibile per ogni Club. Il President Day, seminario dei presidenti del distretto 2100, tenutosi a Villa Fabiano a Rende, è stato così dedicato ai temi della membership e della leadership, per trovare insieme la rotta migliore da tenere per mantenere ed accrescere l’effettivo e per affermare con forza il patrimonio valoriale del Rotary. Molto spazio è stato riservato, già nella relazione introduttiva del governatore Maria Rita Acciardi, alla necessità alla presenza dei giovani e delle donne. La componente femminile è ancora anacronisticamente in forte minoranza. Il distretto 2100, che copre Calabria, Campania e parte della Basilicata ed è uno dei più vasti in Italia con circa 4.000 soci e 87 Club, ne conta solo il 13%, ma addirittura -e la cosa ha suscitato non poco stupore- oltre a diversi Club senza neanche un socio donna, ve n’è pure uno dove la presenza femminile non è tuttora ammessa! La Acciardi ha poi parlato del Club ideale. «Non si può essere autoreferenziali, dobbiamo comunicare. Dire cosa facciamo ed essere interlocutori del sociale. Dobbiamo essere essere protagonisti con le nostre idee e le nostre proposte nei confronti della politica. E soprattutto investire nei giovani, nei programmi pensati per loro e per formare la nuova classe dirigente, non solo per il Rotary, ma per la società. Si devono dare speranze ai giovani, che sono stati estromessi dalla governance del nostro Paese. Puntiamo sul merito, sui talenti, sull’etica per ricostituire quel tessuto connettivo che è la classe dirigente di un Paese». Sempre per i giovani è stata ricordata anche la proposta scaturita dalla recente Assemblea a loro dedicata a
Così gli 87 Club progettano i prossimi mesi e una proposta per le tragedie del Mediterraneo
Ravello, che prevede un “tutoraggio attivo” di ciascun Club verso un ragazzo, in modo da accompagnarlo verso un futuro più sereno ed evitare che se ne parta verso altri luoghi più ospitali. Grande attenzione - e non poteva essere diversamente- anche per i fenomeni migratori e le tragedie del Mediterraneo. Il Past Governor Francesco Socievole ha al proposito lanciato la proposta che i Club dei territori più interessati dall’affluenza di extracomunitari chiedano alle autorità di affidare al Rotary e ad altre associazioni come Charitas o Croce rossa, gli edifici espropriati alla ‘ndrangheta e alla camorra. «Noi -ha detto- ci impegniamo ad attivare la Rotary Foundation per attrezzare questi punti d’appoggio con cucine e letti ed a gestirli al meglio prevedendo la presenza di medici, legali, insegnanti». Le altre relazioni sono state tenute da Mario Giannola, Pdg, Assistente R.I; Guido Parlato, Pdg Coordinatore Azione Interna; Aniello Montano, docente dell’Università di Salerno; Giuseppe Viale, Direttore eletto del Rotary International; Salvatore Striano, Presidente della Commissione Distrettuale Norme, Statuti e Regolamenti. Si è quindi aperto il dibattito, nel corso del quale è stato ricordato con orgoglio che due soci, Antonio Policicchio del Club di Rogliano e Giancarlo Susinno del Club Cosenza Nord, hanno fatto parte del progetto internazionale che ha portato alla scoperta del bosone, la “particella di Dio”, per la quale è stato assegnato giorni fa il Nobel per la fisica. Il Presidente del Club Cosenza Nord Tonino Bove ha preannunciato un incontro interclub durante il quale il prof. Susinno racconterà la bella avventura vissuta prima al Cern di Ginevra e poi tra i cubi di Arcavacata. Le linee-guida del lavoro dei prossimi mesi, così come scaturite al termine degli interventi e del dibattito, sono state infine sintetizzate dal Governatore Acciardi in una mozione. Tra i punti più importanti: ideare ed agire in modo da migliorare la qualità della vita delle comunità e perseguire il bene comune; far conoscere sempre meglio all’esterno il Rotary e le sue battaglie; promuovere i diritti e i doveri di cittadinanza di ogni uomo; impostare idee ed azioni finalizzate a valorizzare il capitale sociale di ogni territorio; coniugare lo sviluppo sostenibile con l’ etica e la responsabilità sociale attraverso forme partecipative e la comunicazione; mettere in gioco interventi concreti a favore dei giovani; ridare vita ad espressioni valoriali e dimensioni altruistiche in coerenza con valori rotariani.
sabato 19 ottobre 2013
XXI
Giorno di festa e gioia Una cerimonia preceduta a Paola, nel santuario di San Francesco, e nei vari conventi appartenenti all’Ordine dei Minimi sparsi in Italia, Spagna, Filippine, Messico, Canada ed in altre località di questo mondo, da veglie di preghiera e cerimonie religiose. Un processo di beatificazione iniziato dal postulatore, padre Alfredo Bellantonio, e proseguito dal 2004 da padre Ottavio Laino, entrambi dell’Ordine dei Minimi.
Modello di carità e impegno Papa Francesco ha ricordato in piazza San Pietro la cerimonia di beatificazione di tanti martiri spagnoli uccisi durante gli Anni trenta con la repressione anticristiana Due padri postulatori molto impegnati con altre cause di figure in odore di Santità della Famiglia dell’Ordine dei Minimi, a cominciare dal processo di beatificazione del Venerabile padre Bernardo Maria Clausi, di San Sisto dei Valdesi (San Vincenzo La Costa), raccogliendo segnalazioni di grazie e miracoli, oltre che costruire i momenti più virtuosi della sua vita; nonché della causa di canonizzazione del Beato Nicola Saggio da Longobardi, già alla fase Romana avendo superato la Consulta Medica a pieni voti. La Chiesa è in festa e l’Ordine dei Minimi esulta per la beatificazione delle Serve di Dio, Maria di Montserrat (al secolo: Giuseppina Pilar Garcia Solanas) con le otto compagne, suore professe dell’Istituto delle Minime scalze di San Francesco di Paola, e Lucrezia Garcia Solanas, laica, vedova, uccise, in odio alla fede, a Barcellona (Spagna) il 23 luglio 1936, dalle milizie anarchiche e antiecclesiali. È un avvenimento che coincide con i 500 anni dalla beatificazione di San Francesco, avvenuta il 7 luglio 1513 ad opera di Papa Leone X; nonché con il 26° anniversario del riconoscimento delle Virtù eroiche del venerabile padre Bernardo Maria Clausi, proclamate, con decreto del beato Giovanni Paolo II, emanato l’11 dicembre 1987. Sono le prime monache Minime ad essere beatificate e i loro nomi sono ormai ben noti in terra di Spagna per essere venerate in memoria di un esempio e una testimonianza religiosa e umana straordinaria: madre Montserrat (Giuseppina, Pilar Garcia y Solanas), madre Margherita Alacoque di San Raimondo (Raimonda, Emanuela, Carmen Ors y Torrent), madre Maria dell’Assunzione (Dolores, Antonia, Vincenza Vilaseca y Gallego), suor Maria della Mercede (Mercedes, Gioacchina, Giuseppa Mestre y Trinchè), suor Maria di Gesù (Vincenza Jordà Martì), sorella Giuseppa del Purissimo Cuor di Maria (Giuseppa, Rosalia, Fiorentina Panylla Doménech), sorella Trinità (Teresa, Dolores, Martina Rius y Casas), sorella Maria Enrichetta (Maria di Montserrat, Teresa, Raimonda Ors y Torrents), sorella Filomena (Anna, Rosa, Teresa Ballestra y Gelmà), donna Lucrezia Maria dell’Assunzione Garcia Solanas. «Nella loro testimonianza, Cristo ci mostra - ha sottolineato il postulatore del processo di beatificazione, padre Ottavio Laino - un modello di carità, di preghiera e di impegno, di vita spesa fino al dono totale di sé nella vita consacrata e nel martirio, nella speranza di essere anche noi, nelle situazioni quotidiane e nella scoperta costante della nostra vocazione, testimoni autentici e credibili del suo Vangelo». Ma è il correttore generale dei Minimi, frate Francesco Marinelli, che ci chiarisce meglio il significato di tale evento: «Nell’anno del-
Immaginetta raffigurante le dieci martiri dell’Ordine minimo di San Francesco di Paola
Circostanza che ha visto la proclamazione a beate della Chiesa di dieci monache martiri dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola uccise nel 1936 nel Monastero di Gesù-Maria di Barcellona
la fede in cui siamo invitati ad un’autentica e rinnovata conversione, la Chiesa quale Madre premurosa ci dona queste dieci sorelle come ulteriore modello con cui confrontarci nel nostro continuo rinnovamento di vita. La Famiglia minima che vive nella gloria di Dio si arricchisce di queste nuove figure di santità che sulle orme del Santo della penitenza in ogni tempo non mancano di incarnare il vangelo nel continuo rinnovamento del cuore con una vita sobria e orientata alle cose celesti». Nel suo intervento non sono mancati gli apprezzamenti al postulatore padre Ottavio Laino che ha vissuto con intensità l’iter della causa di beatificazione facendo emergere la forza disarmante della fede di queste donne. «Dio risponde all’assurdità del male in ogni tempo e in tutte le sue forme - ci dice ancora il correttore generale dei Minimi - con il suscitare uomini e donne concrete che con la loro vita rispondono al male con il bene. Le nostre martiri insieme ai tanti cristiani che nella prima metà del XX secolo subirono gli orrori del comunismo in Spagna esprimono tale risposta di bene, memori dell’impegno loro affidato dal suo fondatore San Francesco di Paola di pregare per la pace che è una santa mercanzia che si compra a caro prezzo, in questo caso con la vita e nel nome di Gesù Cristo Benedetto». Per l’intera comunità dell’Ordine dei Minimi di primo, secondo e terzo ordine è giorno di festa e gioia per il lieto evento e perché la figura di San Francesco di Paola appare sempre più come porto di accoglienza per un percorso di fede ed amore nella carità indicata da Gesù come valore primario. Franco Bartucci
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asabato 19 ottobre 2013
Pillole di fede di Lucia De Cicco
Quaranta terziari dell’Ordine secolare Carmelitano, dalla Calabria in viaggio verso Bari, per l’apertura dell’anno pastorale con il convegno per religiosi e laici dell’Ordine della Provincia napoletana dei Carmelitani, provinciale è il padre Enrico Ronzini. Il convegno che si è tenuto il 12 ottobre nella parrocchia di Santa Maria delle Vittorie ha avuto come tema centrale la figura di Santa Teresa D’Avila, che parla attraverso il “Cammino di perfezione” con le sue consorelle, monache, dando insegnamenti e istruendole al Vangelo. Nel convegno dal titolo “Il Cielo è dentro di te” ogni relatore ha affrontato secondo un tema assegnato la complessa teologia di Teresa D’Avila. Ha introdotto i lavori Concetta Piacente, dopo i saluti del Provinciale.
Il Cielo dentro di te
Teresa D'Avila, dottore della Chiesa, donna, amica e attenta osservatrice dei suoi tempi
Interessante l’intervento di Rosanna Sabatiello sulla figura della Santa, donna e monaca e il fascino e l’attrattiva del testo “Cammino di perfezione”, Emilio Guerriero, sulla finalità dell’orazione e della vita contemplativa, requisiti essenziali per la vita di preghiera, Fiorenza Ingrosso, che con vivacità e dialogo diretto a tutti i convenuti ha guardato con attenzione al tema dell’umiltà, requisito per la preghiera nel cammino senza paura, Rosetta Pullia del Terzo Ordine di Lamezia Terme, che ha esposto sul tema della preghiera come raccoglimento e quiete, Nino De summa sul gran segno di discernimento: il perdono, amor e timore di Dio. Teresa D’Avila (che lo ricordiamo, è dottore della Chiesa) in monastero prende il nome di Teresa di Gesù, vissuta nel 500, dotata di un pensiero e capacità di riflessione profonda, ancora oggi rimane per noi motivo di approfondimento nel tentativo di andare di là delle apparenze, buon inizio per qualsiasi laico, che vuole comprendere la teologia di Teresa nel Carmelo. Il titolo “Il Cielo è dentro di te”, ci rimanda immediatamente (anche per occhi profani) a un Cristianesimo che appare una filosofia rivoluzionaria, un tentativo di fare appello alla propria volontà per rientrare in se stesso. Nella relazione della Sabatiello, emerge con grade forza Teresa anche donna e di fede giovane, stranamente attuale per quel tempo, una fede euforica e di grande fascino che si concreta in un canto di gioia attraverso il pregare. «L’incontro con la donna Teresa mi ha inquietato, dice la Sabatiello, era una donna di grande femminilità e di laicità» per lei non esistevano timori e nel testo “Cammino di fede” emerge una forza ascetica e mistica. La Sabatiello inquadra Teresa perfettamente nel secolo in cui viveva e di grande cambiamento e con l’avanzare della religione protestante. Lei era testimone di quella forza, che porta a lottare per ciò in cui si crede, lotta per affermare il suo credo e così attualizzando, oggi, dovremmo lottare per la nostra cultura, perché il cattolicesimo è anche questo. «Teresa era determinata, dice la Sabatiello, determinata nel cercare il bene e agiva con urgenza e passione». In Teresa non ci sono atteggiamenti nichilistici, semplicemente era attenta al mutamento del suo tempo, l’impegno europeo con Carlo V, gli attacchi dell’Inquisizione e l’Indice dei libri proibiti. Erasmo da Rotterdam con il suo Elogio della follia, la denuncia dei conflitti interni alla chiesa, in cui il battesimo diventa la fonte unica della salvezza. Nel capitolo diciannove del Cammino di perfezione il pensiero di Teresa insiste nel rivolgersi alle sue consorelle sulla libertà, per fare ciò usa un linguaggio informale e semplice (ciò per non urtare il maschile, dominante ieri come oggi nella Chiesa) ed è proprio in ciò che consiste la sua vera forza. Il suo dialogare è asciutto e materno, disinvolto e amante dell’amicizia ma sempre corrispondente all’obbedienza. Chi è il Dio di Teresa? Il Dio che detronizza un dio statico, espressione di quella staticità che caratterizzava gran parte della Chiesa, poiché Teresa avverte che solo un Dio libero può liberare. Esseri cattolici e universali significa esserlo direttamente e non per procura, conclude la Sabatiello, un uomo autentico è quello che vive tra eros e patos. La relazione di Fiorenza Ingrasso ci ha portati nel senso dell’umiltà, ancora oggi oggetto di tanti equivoci, ma che in Teresa d’Avila diventa lo scacco matto al Re, l’anima umile non ha da dimostrare nulla se non la sua qualità maggiore, perché Dio non resiste a que0sta
Convegno nella parrocchia di Santa Maria delle Vittorie Tema centrale la figura della Santa che parla attraverso il “Cammino di perfezione” con le sue consorelle dando insegnamenti e istruendole al Vangelo Il Terzo ordine carmelitano della Calabria Sopra, un momento del convegno a Bari del Terzo ordine carmelitano della Provincia napoletana
essenziale virtù, che ci fa liberi, non attaccati alle cose materiali, che ci portano a lamentare. Altro passo importante è l’umiltà nel passaggio del testimone ai giovani, mai puntare i piedi su ciò che Teresa chiama «Preminenze» da lei stessa definite «una peste», poiché spesso difendiamo i nostri diritti dimenticando quelli che sono i nostri doveri. Altro importante passaggio consiste in un’umiltà, che deve resistere al male salvo che nell’eccezione dell’accusa ingiusta e dello scandalo. In Rosetta Pullia, Teresa emerge nella preghiera e nella contemplazione e in quelle che sono le due anime importantissime, base della spiritualità Carmelitana, Marta e Maria, servizio e ascolto. Interessanti i riferimenti al pensiero di don Tonino Bello sull’attivismo orante del laico e che porta adottato dai Carmelitani a essere una comunità orante nel mondo. «Teresa invita a pregare, oralmente e mentalmente, perché non sappiamo l’ora in cui saremo chiamati. I due elementi della preghiera sono l’acqua che disseta e il fuoco dello Spirito. L’acqua che lava e il fuoco che ci riveste del desiderio cristiano. La Chiesa ha la necessità non di persone che si vogliono bene, ma di persone che siano autentiche e nel capitolo 35 Teresa rivolgendosi alle sue consorelle afferma “ecco non basta che fate ciò che vi ho detto, ma prendete il Vangelo e fate tutto ciò che Gesù ci ha insegnato” vero esempio di espressione mariana che ritroviamo nelle nozze di Cana». Ultimo e importante passaggio della relazione è partito da questa domanda: Come diventare persone oranti? La comunità invita allo stare in amicizia, ma essa si basa su un rapporto autentico e libero. Questo passaggio è essenziale e si riallaccia alla relazione di Emilio Guerriero, che afferma: in Teresa c’è umiltà e povertà l’Elogio della povertà da contrapporre a quella di Erasmo da Rotterdam, sulla follia e che si basa su tre presupposti, l’amore reciproco, il distacco dalle cose e dalle creature e la vera libertà, poiché «l’amante perfetto è colui che si addolora se l’amato non progredisce nella perfezione». Ciò porta dritti alla forza più grande del cristiano e cattolico che è il perdono, argomento affrontato da De Summa. Esso è il vero dono di guarigione per Teresa, poiché il pozzo che è dentro di noi deve sempre attingere in noi stessi nella consapevolezza della nostra scelta. La vita che abbiamo davanti nel quotidiano è sì, una battaglia e si deve essere pronti a combattere come guerrieri per l’affermazione dei valori, poiché chi ama davvero, apprezza tutto ciò che è buono e ciò che risiede dentro di noi e che è sempre più importante di ciò che si è commesso. Tuttavia, così come amare non è cosa immediata anche il perdono richiede costanza e accortezza, ma mai interrompere la relazione con l’altro non troveremmo il filo della comprensione della Verità.
sabato 19 ottobre 2013
XXIII
Patrimonio storico in vetrina L'ottava edizione di Aurea, Borsa del turismo religioso e delle aree protette, che si aprirà il prossimo 24 ottobre nel Santuario di San Francesco di Paola
Luoghi sacri da scoprire Il santuario di Paola
Accoglienza immigrati
La Chiesa reggina scende in campo A circa due anni e mezzo dalla ricorrenza del sesto centenario della nascita di San Francesco di Paola (27 marzo 2016), la Regione Calabria si prepara al meglio alle celebrazioni di tale avvenimento, mettendo in campo azioni in grado di sostenere concretamente il ricco patrimonio religioso, unitamente a quello storico, culturale, architettonico e paesaggistico ad esso connesso. «L’ottava edizione di Aurea, Borsa del turismo religioso e delle aree protette, che si aprirà il prossimo 24 ottobre nel Santuario di San Francesco di Paola, oltre a costituire un’importante occasione per puntare i riflettori sulla grande figura del Patrono della Calabria, rappresenta, ancora una volta, una forte acitazione per gli amministratori e gli operatori calabresi, affinché prestino maggiore attenzione al settore del turismo religioso che, nonostante tutto, continua a reggersi dignitosamente». A dichiararlo è padre Rocco Benvenuto, rettore del Santuario di San Francesco di Paola, che così prosegue: «Tutti debbono lavorare, però, in grande sinergia, per poter raggiungere, in tempi brevi, il grande obiettivo di fare di questa regione una delle principali mete del turismo religioso in Italia. Ecco perché, mentre il programma religioso per la ricorrenza del 2016 va prendendo forma secondo alcune innovative linee guida, la nuova edizione calabrese della Borsa del turismo religioso e delle aree protette si pone all’attenzione di tutti i soggetti interessati come una grande opportunità. Non solo per promuovere il ricco patrimonio religioso, culturale e storico di cui dispone la Calabria, ma anche per dare un sostegno agli operatori del settore. Un obiettivo non difficile a raggiungersi, se - conclude Padre Rocco - maggiore attenzione sarà posta nei confronti della permanenza del viaggiatore per fede». Una scelta strategica di promozione economica del territorio, che rimette in vetrina tutto il grande patrimonio storico, culturale e naturalistico della Calabria. Un evento molto atteso, fortemente voluto dal presidente Giuseppe Scopelliti, che dal 24 al 26 ottobre prossimi consentirà agli operatori della Calabria di promuovere l’offerta turistica a 50 buyer nazionali ed internazionali, oltre ai tanti giornalisti della stampa specializzata invitati a scoprire i luoghi sacri di questa meravigliosa terra.
«Una sollecitazione per gli amministratori e gli operatori calabresi affinché prestino più attenzione al settore del turismo religioso che, nonostante tutto, continua a reggersi» A dichiararlo è padre Rocco Benvenuto, rettore del Santuario
La recente, dolorosissima tragedia in mare di centinaia di migranti nelle acque di Lampedusa non è altro che l'evento più eclatante date le proporzioni - di una lunghissima serie di eventi simili, che si consumano ormai da diversi anni. Al punto che per molti è diventato un fatto quasi normale, spiacevolmente ineluttabile, più o meno come le guerre o la fame nel mondo. Né manca - anche a livello di autorevoli esponenti della politica nazionale - chi continua a esprimere al riguardo posizioni assurde e inaccettabili, come inaccettabile è il concetto di "reato di clandestinità". La chiesa reggina, da sempre fortemente impegnata a fianco degli ultimi, ha preso atto di come, sempre più frequentemente, gli sbarchi di profughi provenienti dall'Africa e dal Medio Oriente e, dunque, in fuga da zone di guerra e aventi diritto di asilo, non riguardino più soltanto Lampedusa, ma anche il resto della Sicilia e le coste della Calabria, compresa la nostra provincia. Per questo diverse realtà ed associazioni della Diocesi hanno costituito un"Coordinamento ecclesiale di pronto intervento", con l'intento di dare insieme un contributo il più efficace possibile in situazioni di emergenza. Ne fanno parte, fino ad oggi, la Caritas, Migrantes, la Comunità di S. Egidio, la Comunità Papa Giovanni XXIII il Centro d'ascolto S. Agostino, le suore Scalabriniane, la Comunità di Vita Cristiana, il Masci, l'Agesci,il Moci, il Gris. L'idea di fondo è quella di essere disponibili rispetto alle esigenze che le istituzioni competenti, a partire da Prefettura e Protezione Civile, individueranno volta per volta. Ma anche di portare, in situazioni così estreme quali la temporanea permanenza di profughi in strutture della nostra provincia, qualcosa che risponda al nostro specifico e ai bisogni più intimi che ogni essere umano porta con sé, bisogni di natura affettiva, psicologica, spirituale. Dunque, cibo, acqua, vestiti, scarpe, coperte … ma anche schede telefoniche e cellulari, approcci di ascolto e di dialogo, momenti di serenità per i bambini, dove possibile piccoli momenti di preghiera. A tal fine il coordinamento ha chiesto l'accreditamento presso la Prefettura perché coloro che ne fanno parte possano essere ammessi all'interno delle strutture di accoglienza primaria; visto che - è bene tenerlo presente - si tratta sempre di situazioni molto complesse e delicate, specie per le implicazioni di natura sanitaria, di sicurezza e di ordine pubblico. Va infine detto che, emergenze a parte, si sta anche pensando a un orizzonte più ampio, perché la nostra città possa dare, in un futuro non lontano, un'accoglienza stabile a quanti fra gli immigrati ne hanno bisogno. Coordinamento ecclesiale di pronto intervento Rc