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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XL n. 1 - 2014
1
Terapia con levotiroxina le condizioni che ne alterano l’assorbimento Cardiopatie occulte nei giovani atleti l’importanza dello screening Congressi i 40 anni dell’Oncologia medica italiana Sanità dall’AIFA i consigli per “evitare” le cure miracolose
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SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico
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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012
Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con
6
CLINICA
DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
MP
Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico
>s Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
TERAPIA
Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci
>s Domenico D’Amico
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64° AAN ANNUAL MEETING
Le novità dal Congresso dei neurologi americani
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I farmaci in fase avanzata di sviluppo per la SM
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anno XL - 2014 Mensile di formazione e informazione per il Medico di famiglia
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Direttore Responsabile Antonio Scarfoglio
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Medico e paziente n. 1
in questo numero
sommario
Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XL n. 1 - 2014
1
TERAPIA CON LEVOTIROXINA le condizioni che ne alterano l’assorbimento CARDIOPATIE OCCULTE NEI GIOVANI ATLETI l’importanza dello screening CONGRESSI i 40 anni dell’Oncologia medica italiana SANITÀ dall’AIFA i consigli per “evitare” le cure miracolose
MP
Direttore Commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 Redazione Anastasia Zahova Progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Segreteria di redazione Concetta Accarrino Hanno collaborato a questo numero: Irma Battipaglia Salvatore Benvenga Diletta Bolognesi Massimo Bolognesi Filippo Crea Piera Parpaglioni Roberto Vita
p 8
letti per voi
p 12 Cardiologia
Il ruolo del microcircolo nelle malattie cardiovascolari Cenni di fisiopatologia, diagnosi, prognosi, terapia
Le arterie coronarie epicardiche (vasi di conduttanza) rappresentano solo un segmento del circolo coronarico, includente anche pre-arteriole e arteriole (vasi di resistenza), che costituiscono il microcircolo coronarico, oggetto di numerosi studi negli ultimi decenni in quanto possibile responsabile di alterazioni del flusso coronarico e di alcuni conseguenti quadri clinici
Irma Battipaglia, Filippo Crea
p 20 Endocrinologia
Terapia sostitutiva nell’ipotiroidismo Assorbimento e malassorbimento della levotiroxina sodica
La levotiroxina sodica (L-T4) è tra i farmaci più usati in Italia essendo al settimo posto nella classifica dei trenta principi attivi più consumati nel periodo 2008-2012, secondo il rapporto dell’Osservatorio sull’impiego dei medicinali (OsMed) dell’Agenzia italiana del farmaco
Salvatore Benvenga, Roberto Vita
Medico e Paziente
>>>> 1 .2014
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Registrazione del Tribunale di Milano n. 32 del 4/2/1975 Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura. Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG)
Testata volontariamente sottoposta a certificazione di tiratura e diffusione in conformità al Regolamento CSST Certificazione Editoria Specializzata e Tecnica Per il periodo 01/01/2012 - 31/12/2012 Periodicità: mensile (sei uscite) Tiratura media: 40.500 Diffusione Media: 40.400 Certificazione CSST n° 2012-2333 del 27/02/2013 Società di revisione: REFIMI Medico e paziente aderisce a FARMAMEDIA e può essere oggetto di pianificazione pubblicitaria I dati sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’Editore “M e P Edizioni Medico e Paziente” per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Ai sensi dell’art. 7 D. LGS 196/2003 è possibile in qualsiasi momento e gratuitamente consultare, modificare e cancellare i dati o semplicemente opporsi al loro utilizzo scrivendo a: M e P Edizioni Medico e Paziente, responsabile dati, via Dezza, 45 - 20144 Milano.
Comitato scientifico Prof. Vincenzo Bonavita Professore ordinario di Neurologia, Università “Federico II”, Napoli Dott. Fausto Chiesa Direttore Divisione Chirurgia Cervico-facciale, IEO (Istituto Europeo di Oncologia) Prof. Sergio Coccheri Professore ordinario di Malattie cardiovascolari-Angiologia, Università di Bologna Prof. Giuseppe Mancia Direttore Clinica Medica e Dipartimento di Medicina Clinica Università di Milano - Bicocca Ospedale San Gerardo dei Tintori, Monza (Mi) Dott. Alberto Oliveti Medico di famiglia, Ancona, C.d.A. ENPAM
Come abbonarsi a medico e paziente
Medico e paziente
p 24 Medicina dello sport
Screening delle cardiopatie occulte nei giovani atleti L’importanza dell’anamnesi e della diagnostica di imaging
La morte cardiaca improvvisa (MCI) in un giovane atleta è un evento raro, ma catastrofico. L’esercizio fisico agisce come trigger per la MCI nei soggetti affetti da misconosciute patologie cardiovascolari
congressi
XV Congresso nazionale AIOM, 11-13 ottobre 2013 – Milano
PASSATO, PRESENTE e FUTURO dell’ONCOLOGIA MEDICA ITALIANA
p 28
Farminforma
p 30
sanitànews
p 32
Notizie dal web
• Tumore al seno e vitamina D • Uno spazio on line dedicato all’ultimo Congresso nazionale SIN • L’edizione 2013 de “I numeri del cancro in Italia” scaricabile in formato pdf
Abbonamento annuale sostenitore Medico e paziente € 30,00 Abbonarsi è facile: w basta una telefonata 024390952 w un fax 024390952 w o una e-mail abbonamenti@medicoepaziente.it
1.2014
Diletta Bolognesi, Massimo Bolognesi
p 26
Abbonamento annuale ordinario Medico e paziente € 15,00
Numeri arretrati € 10,00
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sommario
Modalità di pagamento 1 Bollettino di ccp n. 94697885 intestato a: M e P Edizioni srl - via Dezza, 45 - 20144 Milano 2 Bonifico bancario: Banca Popolare di Milano IBAN: IT 70 V 05584 01604 000000023440 Specificare nella causale l’indirizzo a cui inviare la rivista
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letti per voi Cardiologia
Le cellule staminali cardiache come nuovo marker per la prognosi dei pazienti sottoposti a bypass coronarico: i risultati di uno studio italo-statunitense £ Le cellule staminali cardiache custodiscono il “segreto” per riprendersi dopo un infarto o recuperare dopo un intervento di bypass coronarico. Sono questi i risultati di uno studio condotto da cardiologi dell’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma in collaborazione con i colleghi del Brigham and Women’s Hospital e Harvard Medical School di Boston, e pubblicato su Circulation. Queste cellule “ripara-cuore” non funzionano nello stesso modo in tutti i pa-
zienti, ed è per questo che in circa un terzo dei casi dopo un intervento di bypass coronarico non si osserva una ripresa ottimale della funzione cardiaca e analogamente dopo un infarto o l’inserimento di un pacemaker biventricolare. Nella pratica questo significa che le staminali cardiache potrebbero divenire un determinante predittivo per la prognosi di un paziente reduce da un intervento di bypass coronarico e, forse, in un prossimo futuro potrebbero anche diventare il bersaglio di nuove terapie per potenziare
il naturale processo autoriparativo del miocardio. Dato che finora non si conosceva il motivo delle marcate differenze nella prognosi di pazienti con cardiomiopatia ischemica, tutti trattati nello stesso modo, i ricercatori hanno ipotizzato che alla base ci fosse un fattore “intrinseco”, identificandolo nella riserva di staminali che ciascun paziente possiede. Sono stati studiati 38 pazienti, sovrapponibili per età, stato generale di salute, e per l’insieme di fattori che possono influenzare la prognosi, che sono stati sottoposti a procedura interventistica di bypass coronarico. Durante l’intervento è stata eseguita una microbiopsia cardiaca isolando così le cellule staminali cardiache presenti. Le staminali sono state studiate, e in particolare è stato misurato il loro “potere replicativo”. Sono
£ Secondo un recentissimo studio la vitamina D avrebbe le potenzialità per ridurre la progressione e la gravità della sclerosi multipla (SM), in pazienti con un primo episodio suggestivo di Sclerosi multipla: i livelli malattia (CIS, sindrome clinicamente isolata). La carenza di vitamina di vitamina D come fattore D è una condizione di frequente riscontro nei pazienti affetti da predittivo precoce di attività e SM, tuttavia finora non era stato indagato il possibile ruolo dello status vitaminico nell’evoluzione e progressione della patologia. progressione della malattia A colmare tale lacuna arrivano questi nuovi risultati, ottenuti in pazienti che erano iscritti al trial BENEFIT (Betaferon/Betaseron in Newly Emerging Multiple Sclerosis for Initial Treatment) tra il 2002 e il 2003, studio che mirava a confrontare l’efficacia di un trattamento precoce, rispetto a uno tardivo, con interferone beta-1b in soggetti con CIS. Obiettivo della ricerca era valutare se i livelli di 25-idrossivitamina D (25 (OH)D), un marker dello status vitaminico, potessero influire in qualche misura sull’evoluzione verso la forma clinicamente definita di malattia. Sono stati sottoposti ad almeno un dosaggio della 25 (OH)D 465 pazienti con CIS, e 334 hanno ripetuto l’esame a 6 e 12 mesi. I partecipanti sono stati seguiti per 5 anni, con valutazione clinica e di imaging (RMN). I parametri scelti come outcome erano rappresentati dal riscontro di nuove lesioni attive, di aumento del volume delle lesioni T2 pesate e dalla variazione del volume cerebrale, come anche dal tasso di ricadute e dal livello di disabilità, quest’ultimo misurato con lo score EDSS (Expanded Disability Status Scale). Dall’analisi dei dati è emerso che valori più elevati di 25 (OH)D in fase iniziale si rivelavano predittivi di una ridotta attività di malattia e di una progressione più lenta. Un incremento di 20 ng/ml nei valori medi di 25 (OH)D entro i primi 12 mesi si traduceva in un tasso di riscontro di nuove lesioni attive ridotto del 57 per cento, in un tasso di ricadute ridotto del 57 per cento, in una riduzione del 25 per cento dell’aumento annuale del volume delle lesioni T2 pesate, e in una diminuzione annuale di 0,41 per cento nella perdita di volume cerebrale. Un trend sovrapponibile è stato confermato per dosaggi della 25 (OH) D effettuati dopo 12 mesi e la progressione e attività della SM da 24 a 60 mesi. Da una sottoanalisi, in cui i livelli di 25 (OH) D sono stati usati come variabili scomposte, è emerso come valori maggiori o uguali a 20 ng/ml per più di 12 mesi erano forti predittori di ridotta disabilità all’EDSS nei 4 anni successivi. Dato che bassi livelli di vitamina D sono comuni e possono essere facilmente e in modo sicuro aumentati con la supplementazione orale, questi risultati possono contribuire a ottenere risultati migliori, in termini di progressione e disabilità nel lungo termine, per molti pazienti affetti da SM. Neurologia
Ascherio A, Munger KL, White R et al. JAMA Neurol, published online January 20, 2014. Doi: 10.1001/ jamaneurol.2013.5993
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Medico e paziente
1.2014
stati misurati quindi la velocità di crescita, il tempo di raddoppio, la lunghezza del telomero, l’attività telomerasica, e l’espressione del recettore per l’insulinlike growth factor-1. I valori di questi parametri sono stati messi in relazione con variabili cardiache anatomico-funzionali, e cioè spessore di parete, volume e diametro della camera, rapporto tra massa ventricolare e volume della camera, e frazione di eiezione. Le misurazioni sono state effettuate prima e a 12 mesi dall’intervento. Una significativa correlazione è stata osservata tra gli indicatori di efficienza delle staminali e l’anatomia cardiaca. Un rimodellamento ventricolare negativo non si osservava
laddove le cellule staminali presentavano un’importante riserva di crescita. Mentre un declino del potere replicativo di tali cellule correlava con un assottigliamento della parete, dilatazione della camera e diminuzione della funzione di eiezione. Secondo gli Autori dunque, vi è una chiara associazione tra efficienza replicativa delle staminali cardiache e miglioramento della funzione cardiaca dopo bypass. Laddove queste cellule si moltiplicano in modo efficiente, la ripresa contrattile del cuore dopo l’intervento era eccellente. D’Amario D, Leone AM, Iaconelli A et al. Circulation 2014; 129: 157-72
DERMATOLOGIA
NESTED MELANOMA, UNA VARIANTE DI NUOVA DEFINIZIONE. DIAGNOSI DIFFERENZIALE CON IL NEVO GIUNZIONALE E IL MELANOMA A DIFFUSIONE SUPERFICIALE £ Un sottotipo di melanoma, con un quadro clinico e istopatologico che può trarre in inganno, è stato definito solo di recente. Si tratta del nested melanoma. All’osservazione clinica si presenta come una lesione piana, di forma asimmetrica, con pigmentazione irregolare, un diametro di 5-10 mm, su una cute fortemente danneggiata dal sole, tutte caratteristiche altamente suggestive di melanoma. Anche la dermoscopia rivela una struttura composita, con punti e globuli irregolari, pigmentazione irregolare e talvolta un reticolo pigmentato atipico, tutti indicativi di melanoma. L’esame istopatologico invece mostra nidi di melanociti lungo la giunzione dermoepiteliale, solo una lieve atipia citologica e, talvolta, rare cellule melanocitiche che diffondono nell’epidermide, ovvero il quadro tipico di un nevo giunzionale benigno durante l’infanzia e l’adolescenza, mentre mancano del tutto le caratteristiche istopatologiche del melanoma. La prova che queste lesioni melanocitiche siano proprio varianti di mela-
noma è data da due test molecolari, l’ibridazione genomica comparativa su microarray (array-CGH) e l’ibridazione fluorescente in situ (FISH), che svelano la presenza di alcune aberrazioni cromosomiche tipiche del melanoma. A fare il punto su questa entità patologica di recente definizione è un editoriale su Jama Dermatology, che accompagna uno studio italiano con l’esposizione di alcuni casi clinici. È probabile che in passato questo sottotipo di melanoma sia stato erroneamente diagnosticato come nevo benigno, salvo (in rari casi) sviluppare metastasi, poiché il tumore può essere sia un melanoma in situ, sia un melanoma rapidamente invasivo. Due caratteristiche cliniche da tenere presenti ai fini della diagnosi di nested melanoma: il fatto che si manifesti di solito su una cute fortemente danneggiata dal sole e che i soggetti interessati abbiano un’età superiore ai 60 anni. (P.P.) Garbe C, Metzler G. JAMA Dermatology 2013; 149: 905-6. Longo C, Zalaudek I, Piana S et al. JAMA Dermatology 2013; 149: 941-5.
BPCO
SICUREZZA ED EFFICACIA EQUIVALENTI PER LE DUE FORMULAZIONI DIsponibili di TIOTROPIO £ Uno studio su oltre 17mila pazienti con BPCO, seguiti per una media di 2,3 anni, ha riscontrato un’equivalenza in termini di sicurezza e di efficacia per entrambe le formulazioni disponibili di tiotropio, l’inalatore a polvere secca HandiHaler e il più recente Respimat Soft Mist Inhaler. Sono stati confrontati tre dosaggi somministrati attraverso i due differenti dispositivi: Respimat 5 mcg in monosomministrazione giornaliera, oppure Respimat 2,5 mcg u.i.d. versus HandiHaler 18 mcg u.i.d. End point primari erano il tasso di mortalità da tutte le cause e il tempo di insorgenza della prima riacutizzazione. Non sono state riscontrate differenze fra i tre gruppi in relazione al rischio di morte (HR per Respimat 5 mcg. vs HandiHaler: 0,96; 95 CI: 0,84-1,09; HR per Respimat 2,5 mcg vs HandiHaler: 1,0; 95 CI: 0,87-1,14) e al rischio di prima riacutizzazione (HR per Respimat 5 mcg vs HandiHaler: 0,98; 95 CI: 0,93-1,03). Il tempo medio di insorgenza della prima riacutizzazione è stato di circa due anni per entrambe le formulazioni esaminate (756 giorni per Respimat 5 mcg e 719 per HandiHaler) e la proporzione di pazienti con una riacutizzazione è stata rispettivamente del 47,9 per cento con il primo dispositivo e del 48,9 con quello di confronto. Lo studio includeva soggetti con malattia cardiaca cronica, una popolazione rappresentativa dei pazienti con BPCO, e non ha riportato differenze significative nella mortalità per i soggetti con una storia di aritmie cardiache. L’incidenza di eventi CV maggiori è risultata simile nei tre gruppi (P.P.) Wise RA, Anzueto A et al. N Engl J Med 2013. DOI: 10.1056/NEJMoa1303342
Medico e Paziente
1.2014
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letti per voi Aterosclerosi
LE CALCIFICAZIONI CORONARICHE COME PREDITTORI INDIPENDENTI DI ICTUS NELLA POPOLAZIONE GENERALE £ Le calcificazioni coronariche (CAC), già identificate come potenti predittori di infarto miocardico (IM), si rivelano ora anche predittori indipendenti di ictus nei soggetti a basso o medio rischio CV, tra i quali consentono di riconoscere quelli con un rischio più elevato. È il risultato di uno studio, condotto su una coorte di 4.180 soggetti di età tra 45 e 75 anni, senza precedenti di ictus, di coronaropatia o di IM, valutati per eventi cerebrovascolari in un arco di circa 8-9 anni. La presenza di CAC, determinata con Electron Beam Computed Tomography, è stata analizzata come predittore
di ictus in aggiunta ai fattori di rischio CV riconosciuti. Sono stati registrati 92 eventi ictali. I soggetti incorsi in uno stroke avevano valori di CAC al basale significativamente più elevati degli altri (mediana 104,8 vs 11,2; P <0,001). Dopo analisi di regressione, le CAC sono risultate un predittore indipendente di ictus (HR 1,52 [95 CI: 1,19-1,92]; P =0,001) in aggiunta all’età (1,35 per 5 anni [1,15-1,59]; P <0,001), alla PAS (1,25 per 10 mmHg [1,14-1,37]; P <0,001) e al fumo (1,75 [1,07-2,87]; P =0,025). Il valore predittivo di CAC era evidente sia negli uomini sia nelle
donne, più forte nei soggetti ≤65 anni rispetto agli over 65, ed era indipendente dalla presenza di fibrillazione atriale. Le CAC erano in grado di discriminare il rischio di ictus soprattutto nei soggetti appartenenti alle categorie di rischio basso (<10 per cento) o intermedio (10-20 per cento) del Framingham risk score. La presenza di CAC, oltre a riflettere l’entità delle placche coronariche, sembra costituire anche un marker di malattia aterosclerotica sistemica, in grado di predire eventi vascolari anche al di fuori del distretto coronarico. In particolare, di predire gli eventi cerebrovascolari in modo indipendente dai fattori di rischio già noti. (P.P.) Hermann DM, Gronewold J et al. Stroke 2013;doi: 10.1161/STROKEAHA.111.678078
£
L’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico è fortemente legata al rischio di attacchi cardiaci e di angina. Tale Vivere nello smog aumenta pericolosa associazione si conferma anche se i livelli di “polveri velenose” nell’aria sono al di sotto degli attuali limiti consentiti in Eul’incidenza di eventi coronarici ropa. È l’allarmante risultato di uno studio, di recente pubblicazione, acuti: i risultati (poco condotto nell’ambito del più ampio progetto europeo ESCAPE, nato con l’obiettivo di quantificare i rischi per la salute legati all’inquiconfortanti) del progetto namento atmosferico. Secondo le stime attuali, le ben note polveri europeo ESCAPE sottili, provocherebbero 3,1 milioni di decessi nel mondo ogni anno, ma l’associazione tra esposizione a lungo termine all’inquinamento e incidenza di eventi coronarici rimane controversa, soprattutto in Europa. Nell’UE il limite annuale attualmente stabilito per le particelle con un diametro minore di 2,5 micron (PM 2,5) è di 25 microg/m3, di gran lunga superiore a quello adottato negli Stati Uniti (12 microg/m3). Lo studio prospettico qui presentato ha valutato gli effetti dell’inquinamento in 11 coorti, in Finlandia, Svezia, Danimarca, Germania e Italia, coivolgendo oltre 100.000 persone. I partecipanti, arruolati tra il 1997 e il 2007, non presentavano una storia di malattia cardiaca al basale, e sono stati seguiti per un periodo medio di 11,5 anni. Sono stati utilizzati modelli matematici per stimare le concentrazioni medie annuali di PM 2,5, PM10, particolato carbonioso (derivante per lo più dai fumi di combustione), NO, e l’esposizione al traffico nella zona di residenza di ciascun partecipante. In pratica, è stata costruita così una mappa dello smog personalizzata, sulla base della quale è stato possibile valutare la qualità dell’aria respirata nel corso di oltre un decennio di follow up. Nel complesso sono stati registrati 5.157 eventi coronarici. Dopo aggiustamento per altri fattori di rischio, tra cui comorbidità, stile di vita, caratteristiche socio-economiche delle persone sotto osservazione, i ricercatori hanno calcolato che un aumento annuale di 5 microg/m3 di PM 2,5 era associato a un aumento del 13 per cento del rischio di eventi coronarici (HR 1,13 CI 95 0,98-1,30) mentre per un aumento di 10 microg/m3 di PM10 il rischio era del 12 per cento (HR 1,12 CI 95 1,01-1,25). Soprattutto, e questo è forse il dato più significativo, lo studio sottolinea che sono state rilevate associazioni positive tra inquinamento atmosferico e rischio coronarico anche per valori inferiori all’attuale limite europeo annuale di 25 microg/m3 per il PM 2,5 e di 40 microg/m3 per il PM 10, mentre non sono state trovate significative relazioni con gli altri inquinanti presi in esame. Questo studio dunque ha una specifica rilevanza per la gestione della qualità dell’aria in Europa, supportando fortemente la necessità di revisione dei limiti attualmente raccomandati di particolato fine, al fine di salvaguardare e tutelare adeguatamente la salute della popolazione del Vecchio Continente.
Inquinamento atmosferico
Cesaroni G, Forastiere F, Stafoggia M et al. BMJ 2013; 348: f7412; doi: 10.1136/bmj.f7412
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Medico e paziente
1.2014
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cardiologia
Il ruolo del microcircolo nelle malattie cardiovascolari Cenni di fisiopatologia, diagnosi, prognosi, terapia
conduttanza) rappresentano solo un segmento del
triade angina da sforzo, test da sforzo positivo per ischemia miocardica e arterie coronarie angiograficamente normali (3).
circolo coronarico, includente anche pre-arteriole
AMV primaria
le arterie coronarie epicardiche (vasi di
e arteriole (vasi di resistenza), che costituiscono il microcircolo coronarico, oggetto di numerosi studi negli ultimi decenni in quanto possibile responsabile di alterazioni del flusso coronarico e di alcuni conseguenti quadri clinici
L’
aterosclerosi coronarica è la principale causa d’ischemia miocardica, tuttavia, circa il 50 per cento dei pazienti con angina presenta coronarie indenni all’angiografia. Negli ultimi 30 anni numerosi studi hanno dimostrato come in un gruppo di questi pazienti i sintomi possano essere dovuti a una disfunzione del microcircolo coronarico, condizione definita angina microvascolare (AMV) (1). Un’AMV causata da alterazioni strutturali e/o funzionali del microcircolo coronarico, che si manifesta nel contesto di specifiche malattie cardiache (per es. miocardiopatie) o sistemiche (per es. collagenopatie), viene definita AMV secondaria. Quando vi è una specifica e isolata
Irma Battipaglia, Filippo Crea Istituto di Cardiologia, Università Cattolica, Roma
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MEDICO E PAZIENTE
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disfunzione microvascolare coronarica (DMVC) parliamo di AMV primaria (2). Attualmente la diagnosi di AMV primaria è sostanzialmente di esclusione (diagnosi negativa), in quanto essa viene posta per l’assenza di una malattia coronarica ostruttiva e anche di uno spasmo dei vasi epicardici, oltre che di specifiche malattie cardiache o sistemiche in grado di causare angina. Questa definizione, tuttavia, ha portato a includere nella diagnosi di AMV gruppi eterogenei di pazienti. È stata pertanto avvalorata di recente l’importanza di una diagnosi positiva di AMV, posta ottenendo una dimostrazione della presenza di una DMVC. Inoltre, l’esordio clinico dell’AMV primaria ci permette di identificare una forma stabile e cronica e una forma instabile o acuta dell’AMV primaria (Figura 1). L’AMV stabile è la forma più studiata, caratterizzata dalla
La circolazione coronarica può essere suddivisa in tre compartimenti organizzati in serie. Il compartimento prossimale è costituito dai grossi vasi epicardici, con funzione conduttiva e assenza di resistenza al flusso ematico. Il compartimento intermedio è costituito dalle prearteriole (100-500 μm di diametro), responsabili di circa il 30 per cento della resistenza coronarica totale, la cui funzione principale è di mantenere in un range ottimale la pressione di perfusione all’origine delle arteriole e il cui tono è influenzato dalla pressione intravasale (autoregolazione miogenica), oltre che da fattori vasoattivi locali, circolanti o neurogeni. Il compartimento arterioso distale è rappresentato dalle arteriole (diametro <100 μm), responsabili di circa il 40 per cento della resistenza totale coronarica. Questi vasi costituiscono la sede della regolazione metabolica del microcircolo coronarico, infatti sono prevalentemente influenzati dai metaboliti delle cellule miocardiche, che li inducono a modificare il loro tono in modo da adattare il flusso coronarico alle richieste metaboliche del miocardio. Sin dalle prime descrizioni si è sospettato che il quadro anginoso dell’AMV fosse legato a una disfunzione dei piccoli vasi coronarici (<500 μm) non visibili alla coronarografia. L’origine ischemica microvascolare in questi pazienti, è sugge-
rita dall’occorrenza di alterazioni tipiche del tratto ST all’ECG da sforzo o anche durante le normali attività all’ECG dinamico sec. Holter, oltre che dalle immagini scintigrafiche da stress (ergometrico o farmacologico) che mostrano difetti reversibili della perfusione miocardica. Al contrario, agli studi ecocardiografici da stress non si evidenziano anomalie della cinetica ventricolare sinistra regionale o globale durante induzione di angina e sottoslivellamento del tratto ST (4), e ciò fece mettere in dubbio l’origine ischemica microvascolare della sindrome (5). Maseri et al., tuttavia, osservarono come la disfunzione microvascolare coronarica in questi pazienti è verosimilmente distribuita in modo parcellare nel miocardio, per cui le aree ischemiche risultano inframmezzate ad aree di tessuto normale o ipercontrattile, pertanto è improbabile che una regione miocardica mostri un’alterazione cinetica grossolana, rilevabile all’ecocardiogramma, durante ischemia. Una documentazione più convincente di ischemia è stata ottenuta in diversi pazienti evidenziando alterazioni metaboliche tipiche dell’ischemia miocardica, come produzione miocardica di lattato, desaturazione di ossigeno o riduzione del pH in seno coronarico (3). Una serie numerosa di studi ha concordemente evidenziato come molti pazienti con AMV presentino un’alterazione della funzione microvascolare coronarica, documentata anzitutto da un ridotto incremento del flusso coronarico in risposta a stimoli vasodilatatori, conseguenza di una ridotta capacità di dilatazione delle piccole arterie coronariche di resistenza. La disfunzione può riguardare sia la vasodilatazione endotelio-indipendente, ossia la risposta a stimoli (adenosina, dipiridamolo, papaverina) che agiscono rilasciando direttamente le cellule muscolari lisce della media delle piccole arterie di resistenza (6) sia la vasodilatazione endotelio-dipendente, ossia la risposta a stimoli (acetilcolina, cold pressor test) che agiscono determinando il rilascio di sostanze vasodilatatrici (in primo luogo NO) da parte dell’endotelio (7). La compromissione della funzione vasodilatatrice microvascolare coronarica è stata dimostrata con l’uso di metodiche differenti,
Figura 1
Presentazione clinica dell’AMV e principali diagnosi differenziali
Angina a coronarie normali Angina cronica/stabile
Angina acuta/instabile • Angina a riposo • Episodio singolo • Episodi ricorrenti • Angina ingravescente
• Angina da sforzo • Angina mista
Angina vasospastica
Angina vasospastica Tromboembolismo
AMV stabile
sia invasive (termodiluizione, gas washout, Doppler intracoronarico), sia non invasive (PET, RM, eco-Doppler transtoracico o con mezzo di contrasto). Alcuni studi, inoltre, hanno evidenziato come, almeno in alcuni pazienti con AMV, sia presente anche un’accentuata risposta vasocostrittrice del microcircolo coronarico, indicata dalla significativa riduzione del flusso coronarico a riposo in risposta a stimoli vasocostrittori (8). Le cause della DMVC rimangono poco note. Il ruolo dei comuni fattori di rischio cardiovascolare non è del tutto definito, ma i pazienti con AMV presentano un profilo di questi fattori di rischio ampiamente sovrapponibile a quello dei pazienti con malattia coronarica ostruttiva (9). Un’aumentata attività adrenergica è stata suggerita poter avere un ruolo patogenetico per la documentazione di un’accentuata risposta cronotropa e pressoria allo sforzo e per una ridotta variabilità della frequenza cardiaca. Altri fattori patogenetici probabilmente coinvolti nella disfunzione microvascolare della AMV comprendono un aumentato stato infiammatorio subclinico (rivelato da aumentati livelli di proteina C reattiva) (10),
AMV acuta/instabile
e un’aumentata prevalenza di insulinoresistenza (11). Un deficit estrogenico può svolgere un ruolo patogenetico di rilievo nelle donne, sulla base del rilievo epidemiologico che i pazienti con AMV sono spesso donne in stato premenopausale o menopausale (12). Infine, numerosi studi hanno mostrato come diversi pazienti con sindrome X presentino un’aumentata percezione dolorifica di stimoli cardiaci abitualmente innocui, quali la stimolazione elettrica intracavitaria (13) o l’iniezione di mezzo di contrasto nelle cavità cardiache o nelle arterie coronarie. Di recente, noi abbiamo evidenziato come questi pazienti presentino anche una ridotta “abitudine” centrale a stimoli dolorosi ripetuti (14).
w Diagnosi Per il cardiologo clinico sarebbe molto importante poter distinguere, tra i pazienti con angina da sforzo, quelli con AMV da quelli con stenosi coronariche ostruttive sulla base di soli dati clinici o test non invasivi. Abitualmente tuttavia non è in genere possibile farlo. In diversi casi però alcune caratteristiche del dolore toracico suggeriscono una diagnosi di AMV piuttosto che di coronaropatia ostruttiva,
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cardiologia in particolare una durata prolungata del dolore dopo l’interruzione dello sforzo e/o una lenta o incostante risposta ai nitrati sublinguali. Anche i test diagnostici abitualmente non aiutano nella diagnosi differenziale. Il test da sforzo infatti spesso non mostra differenze sostanziali di risultati tra pazienti con stenosi coronariche e quelli con AMV. D’altro canto, come detto, la scintigrafia miocardica mostra segni di alterata perfusione miocardica in circa la metà dei pazienti. Al contrario, un eco-stress (farmacologico o da sforzo) negativo per induzione di alterazioni cinetiche, globali o regionali, ventricolari, in presenza di angina e modificazioni del tratto ST, è fortemente suggestivo di un’origine microvascolare dei sintomi, anche se una forma di malattia coronarica ostruttiva lieve non può essere totalmente esclusa (15). Infine, la ripetizione del test ergometrico dopo somministrazione di nitrati sublinguali in pazienti con angina può aiutare a individuare pazienti con AMV (16). Infatti, la mancanza di un effetto sulle alterazioni ECG o anche, in alcuni casi, la più precoce comparsa di sottoslivellamento del tratto ST al test da sforzo eseguito dopo somministrazione di nitrati, rispetto a un test basale, è fortemente indicativa di un’origine microvascolare dei sintomi.
w Valutazione del microcircolo coronarico Esistono diverse metodiche, invasive e non, per studiare la funzione microvascolare coronarica. La funzione vasodilatatrice viene abitualmente indagata misurando l’incremento di flusso coronarico in risposta a uno stimolo vasodilatatore massimale non endotelio-dipendente, in genere adenosina o dipiridamolo. La funzione microvascolare coronarica endotelio dipendente può essere, d’altro canto, valutata misurando la risposta a stimoli che mediano il rilascio di sostanze vasodilatatrici (in particolare NO) da parte dell’endotelio, quali l’acetilcolina e il cold pressor test. Per una valutazione completa della funzione microvascolare tuttavia dovrebbe anche essere valutata la risposta vasocostrittrice a stimoli vasoattivi (per es. ergonovina, iperventilazio-
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ne o acetil-colina). Il metodo considerato più affidabile è il Doppler intravascolare coronarico. Tuttavia, esso non è del tutto esente da rischi ed è relativamente costoso, per cui non appare adatto per un impiego routinario. D’altro canto, sono oggi disponibili diverse metodiche non invasive che permettono di valutare in modo sufficientemente affidabile la funzione microvascolare coronarica senza esporre il paziente a rischi procedurali significativi. L’eco-color Doppler transtoracico è, tra queste, la metodica meno costosa, più facile da ottenere, soprattutto per valutazioni seriate. Con questa metodica viene misurata la velocità intracoronarica del flusso di base e dopo somministrazione di stimoli vasodilatatori (17). Un rapporto tra la velocità di flusso durante infusione EV del farmaco e quella basale inferiore a 2,0 è considerato diagnostico di DMVC, mentre valori tra 2,0 e 2,5 possono essere considerati borderline. Un limite della metodica è che lo studio può essere effettuato sulla sola arteria discendente anteriore sinistra, in quanto le arterie coronarie destra e circonflessa possono essere meno facilmente visualizzabili; inoltre, in alcuni pazienti la finestra ecografica non è ottimale per una valutazione affidabile del flusso coronarico. Altre metodiche non invasive per la valutazione del flusso coronarico, e quindi del microcircolo, sono la risonanza magnetica cardiovascolare e la tomografia cardiaca a emissione di positroni (PET). Tuttavia, sono anch’esse indaginose e costose, oltre che di limitata diffusione, attualmente più adatte e utilizzate a scopo di ricerca.
w Prognosi Tutti gli studi sui pazienti con angina e arterie coronarie indenni hanno dimostrato che la prognosi di questi pazienti, per quanto riguarda l’incidenza di eventi cardiaci maggiori (morte, infarto del miocardico, insufficienza cardiaca), è eccellente, essendo simile a quella della popolazione generale (18). In contrasto con l’ottima prognosi tuttavia il 20 per cento circa dei pazienti con sindrome X va incontro a un peggioramento del quadro clinico nel tempo, con episodi anginosi sempre più frequenti, prolungati e insorgenti an-
che a riposo, che diventano difficilmente trattabili (12). Notevole può essere, quindi, la compromissione della qualità di vita di questi pazienti (19), con importanti ricadute sul piano individuale, sociale ed economico. Da notare che studi recenti in popolazioni molto numerose di pazienti con angina microvascolare hanno evidenziato che la prognosi è meno favorevole di quanto pensato in passato, anche se migliore di quella di pazienti con aterosclerosi ostruttiva dei vasi coronarici epicardici, imponendo l’implementazione di un’attenta prevenzione cardiovascolare e di un attento follow-up.
w Terapia Oltre a un attento controllo dei fattori di rischio, l’obiettivo primario del trattamento dell’AMV è il controllo della sintomatologia anginosa (Figura 2). La strategia terapeutica in questi pazienti è mirata a migliorare la funzione del microcircolo o a ridurre la percezione del dolore toracico, nel tentativo di agire sui due meccanismi fisiopatologici principali della malattia. Purtroppo la maggior parte dei trattamenti è stata valutata su piccoli numeri di pazienti e spesso in studi non controllati, rendendo così difficile stabilirne la reale efficacia. I farmaci anti-ischemici rimangono la terapia da utilizzare come primo approccio, ma piuttosto spesso non ottengono risultati soddisfacenti. Per questo motivo sono state proposte diverse forme alternative di terapia. Beta-bloccanti. Alcuni studi hanno riportato un beneficio dei beta-bloccanti sui sintomi, sui risultati del test da sforzo e sugli episodi di sottoslivellamento del tratto ST all’ECG dinamico (20-22) in pazienti con sindrome X. Come regola generale, tra i farmaci anti-ischemici, i β-bloccanti andrebbero testati per primi in questi pazienti, soprattutto quando vi è evidenza di un aumentato tono adrenergico (per es. frequenza cardiaca elevata di base o all’ECG dinamico o aumento rapido della frequenza cardiaca e/o della pressione arteriosa al test da sforzo). Calcio-antagonisti. Questi farmaci possono migliorare il flusso coronarico nei pazienti con AMV in quanto causano dilatazione
Figura 2
Schema di approccio terapeutico nel paziente con angina microvascolare Farmaci anti-ischemici tradizionali • Beta-bloccanti • Ca2+-antagonisti • Nitrati Efficaci
Altri farmaci anti-ischemici
Persistenza angina
• Xantine • ACE-inibitori • Statine • Ranolazina • Estrogeni* • Altro
Forme alternative di terapia Persistenza angina
• Programmi riabilitativi • Spinal cord stimulation • Imipramina • Altro
Efficaci Continuare
Continuare
Note: *in pazienti donne in peri- o postmenopausa
anche dei piccoli vasi; la possibilità di un’attivazione adrenergica riflessa (soprattutto dei farmaci diidropiridinici) tuttavia, può contrastare questo effetto favorevole, causando sia vasocostrizione che aumento del consumo miocardico di ossigeno. Diversi studi hanno riportato effetti favorevoli dei calcio-antagonisti (verapamil, nifedipina, nisoldipina) sui sintomi e sui risultati dell’ECG da sforzo (23-25), mentre altri non hanno mostrato benefici su sintomi o episodi di sottoslivellamento del tratto ST all’ECG Holter, e dati controversi sono stati riportati anche sul flusso coronarico. I calcio-antagonisti, soprattutto verapamil o diltiazem, possono comunque costituire un’alternativa al β-bloccante come terapia iniziale, soprattutto in pazienti con soglia anginosa molto variabile. Nitrati. La nitroglicerina o l’isosorbide dinitrato per via sublinguale possono essere utilizzati nell’attacco anginoso. Tuttavia, in circa la metà dei casi l’efficacia è limitata. Nell’unico trial in cui un nitrato orale (isosorbide-5-mononitrato) è stato valutato in un piccolo numero di pazienti (20), gli effetti sono stati molto variabili e mediamente nulli. Derivati xantinici. I derivati xantinici (teofillina, bamifillina) agiscono come antagonisti dei recettori dell’adenosina, con un effetto anti-furto coronarico (effetto Robin Hood). Effetti favorevoli delle xantine sul test da sforzo in pazienti con AMV sono
stati riportati sia con la teofillina (26) che con la bamifillina (27); nell’unico studio che ha valutato l’effetto sui sintomi con terapia orale (28) tuttavia, i risultati sono stati piuttosto deludenti. Il reale ruolo di questi farmaci nella terapia cronica rimane quindi dubbio. Farmaci α-antagonisti. Questi farmaci potrebbero agire riducendo la vasocostrizione mediata dai recettori alfa-adrenergici. Studi con prazosina e doxazosina (ad azione periferica) o clonidina (ad azione centrale) non hanno tuttavia mostrato effetti clinici significativi (29), per cui il loro ruolo rimane circoscritto a singoli pazienti. Nicorandil. Questo farmaco agisce determinando l’apertura dei canali del potassio ATP-dipendenti e possiede anche effetti nitrato-simili. Somministrato endovena, il nicorandil ha migliorato le alterazioni ST indotte dallo sforzo in pazienti con AMV, e, somministrato per os, ha anche migliorato i sintomi anginosi (30). Il farmaco, tuttavia, non è disponibile in Italia. Trimetazidina. Questo farmaco può migliorare l’ischemia miocardica favorendo l’utilizzazione del glucosio, che ha una resa energetica più efficiente, piuttosto che degli acidi grassi, come fonte di energia. I risultati nei pazienti con AMV sono stati contrastanti (21), per cui il suo ruolo in questo contesto appare limitato. Ranolazina. La ranolazina è un farmaco anti-ischemico relativamente nuovo che
agisce inibendo la corrente tardiva del Na+ nei miocardiociti, con effetti favorevoli sul rilasciamento cardiaco, e quindi sulla funzione diastolica e il flusso coronarico subendocardico. In pazienti con AMV la ranolazina è stata testata in uno studio recente, mostrando effetti favorevoli sui sintomi anginosi e la qualità di vita (31). Essa sembra quindi una promettente opzione terapeutica in pazienti con AMV, anche se i dati andranno confermati in ulteriori studi. ACE-inibitori. Questi farmaci potrebbero migliorare la funzione coronarica microvascolare riducendo la produzione di angiotensina II, che ha notoriamente effetti vasocostrittori e pro-ossidanti. Non vi sono al momento studi che abbiano valutato l’effetto di questi farmaci sui sintomi di questi pazienti, tuttavia, in uno studio l’enalapril risultava migliorare la tolleranza per lo sforzo (32). Statine. Dati recenti hanno dimostrato che l’uso di statine può ridurre i sintomi e aumentare la tolleranza all’esercizio nei pazienti con AMV, probabilmente grazie al miglioramento della funzione endoteliale mediato dalla riduzione dello stress ossidativo (33). Questi farmaci andrebbero considerati soprattutto nei pazienti che presentano dislipidemia. Estrogeni. In uno studio, il 17beta-estradiolo è stato riportato ridurre significativamente gli episodi anginosi in donne in menopausa con AMV, sebbene non vi fosse evidenza di un miglioramento dell’ischemia al test da sforzo (34). L’effetto degli estrogeni tuttavia, può ridursi con il tempo (34). Inoltre, questi farmaci possono avere effetti clinici negativi a lungo termine, pertanto il loro utilizzo dovrebbe essere limitato a periodi circoscritti. Xantine. Oltre che come anti-ischemici, questi farmaci possono agire anche direttamente sul dolore ischemico per il loro effetto antagonista sull’adenosina, che, come detto, è il mediatore del dolore ischemico miocardico. Imipramina. L’imipramina inibisce la trasmissione del dolore viscerale e si è rivelata in grado di ridurre significativamente gli episodi anginosi in pazienti con arterie coronarie normali (35). Tuttavia, gli effetti collaterali possono essere significativi e la
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Specifiche miocardiopatie o patologie sistemiche possono causare alterazioni strutturali e/o funzionali del microcircolo coronarico responsabili di una DMVC e della conseguente sintomatologia anginosa. Questi quadri clinici rientrano nell’ambito dell’AMV secondaria.
La severità della DMVC nei pazienti affetti da tale patologia è stata vista essere un predittore indipendente del deterioramento clinico a lungo termine e della morte per cause cardiovascolari. (38,39). Studi recenti, basati sull’utilizzo della RMN cardiaca e sull’evidenza di late gadolinium enhancement (LGE) come marker di fibrosi miocardica, hanno sottolineato l’influenza che l’ischemia miocardica, e la conseguente fibrosi miocardica, possa avere sull’outcome clinico (scompenso cardiaco e mortalità cardiaca e globale) nei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica (sulla base di questi studi un aumento dello LGE alla RMN cardiaca è tra gli indicatori di un aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa, da aggiungere ai classici fattori di rischio nei pazienti affetti da tale patologia (40). Interessante il dato recentemente emerso in base al quale i pazienti con mutazioni nei geni codificanti per miofilamenti sarcomerici sono caratterizzati da una più marcata DMVC e fibrosi miocardica rispetto ai pazienti con genotipo negativo (41).
w Cardiomiopatia ipertrofica
w Cardiomiopatia dilatativa
Sin dalle prime descrizioni della malattia l’ischemia miocardica è stato un elemento riconosciuto, anche se sottostimato, nella fisiopatologia della cardiomiopatia ipertrofica. Infatti spesso, in questi pazienti sono presenti sintomi e segni di ischemia miocardica nonostante il comune riscontro di coronarie indenni all’angiografia. Diversi anni fa sono state dimostrate la presenza di difetti di perfusione alla miocardioscintigrafia e l’aumentata produzione di lattati nel seno coronarico durante pacing atriale nei pazienti affetti da cardiomiopatia ipertrofica (37). Inoltre, negli ultimi 20 anni, numerosi studi hanno evidenziato in tali pazienti una riduzione della riserva di flusso coronarico dovuta alla DMVC. In particolare, la compromissione della riserva di flusso coronarico non è confinata al segmento ipertrofico del miocardio ventricolare, ma coinvolge anche altre sedi, in linea con la teoria di un rimodellamento diffuso delle arteriole intramurali, confermato dai rilievi autoptici.
La presenza di DMVC in molti pazienti con cardiomiopatia dilatativa è suggerita dalla frequente comparsa di angina, che talvolta precede i segni e sintomi di scompenso cardiaco, ed è supportata anche dall’evidenza di difetti di perfusione miocardica e di asinergie regionali durante stress test, nonostante la documentazione di coronarie indenni (42). Numerosi studi hanno descritto una severa riduzione della riserva di flusso coronarico in pazienti con cardiomiopatia dilatativa (43-47). In questo scenario fisiopatologico la DMVC può essere diffusa oppure coinvolgere solo alcune regioni miocardiche, aree di aumentato metabolismo anaerobico del glucosio agli studi PET (48-49). La questione che rimane inconclusa è se la DMVC sia parte della malattia oppure subentri tardi come conseguenza dello scompenso cardiaco. In effetti diversi meccanismi possono essere responsabili della DMVC, tra cui la significativa ipertrofia eccentrica del VS e/o la dilatazione e la compressione extravascolare dovuta
qualità della vita non viene sempre migliorata, per cui essa andrebbe considerata solo in casi particolari. Stimolazione elettrica spinale. La stimolazione elettrica spinale modula la trasmissione del dolore dal cuore alla corteccia cerebrale e può anche migliorare l’ischemia miocardica influenzando l’attività adrenergica. Studi effettuati su pazienti con tipica AMV hanno mostrato come la stimolazione elettrica spinale migliori i risultati del test da sforzo e in un nostro studio, abbiamo inoltre dimostrato un miglioramento a lungo termine dei sintomi e della qualità di vita nella maggior parte dei pazienti con AMV refrattaria a varie forme di terapia (36).
AMV secondaria
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all’aumentata pressione di riempimento ventricolare. Inoltre, nonostante l’evidenza di anomalie funzionali del microcircolo in genere non sono state riportate anomalie strutturali arteriolari in questi pazienti, sebbene secondo dati recenti possano esserci modifiche strutturali in vasi di diametro <50 µm. Indipendentemente dal significato patogenetico della DMVC nella cardiomiopatia dilatativa, la sua presenza contribuisce significativamente alla evoluzione della malattia, inducendo foci di ischemia miocardica e quindi di necrosi e fibrosi, substrato sia della progressiva disfunzione contrattile sia dell’aritmogenicità della malattia.
w Stenosi aortica Nei pazienti con stenosi aortica i meccanismi della DMVC sono complessi e derivano innanzitutto dalla significativa ipertrofia ventricolare sinistra. Studi animali sperimentali hanno rilevato un’inversione del normale rapporto flusso coronarico subendocardico/subepicardico (che in condizioni normali è di circa 1,2:1); i meccanismi coinvolti nella DMVC sono: 1) una riduzione del tempo di riempimento coronarico diastolico (49), 2) un aumento della pressione di riempimento ventricolare e della pressione intramiocardica durante la diastole (che compromettono soprattutto la perfusione selettiva del subendocardio), 3) una ridotta densità capillare, confermata da studi post-mortem che non hanno rilevato, al contrario di quanto avviene nella cardiopatia ipertensiva o nella cardiomiopatia ipertrofica, alterazioni strutturali aggiuntive responsabili della DMVC, quali l’ipertrofia della media o la fibrosi perivascolare (50). Recenti studi hanno dimostrato che la riduzione della riserva di flusso coronarico in questi pazienti è strettamente correlata all’area valvolare aortica e al ridotto tempo di perfusione coronarica, piuttosto che all’aumento della massa ventricolare sinistra (51). È possibile che simili alterazioni della perfusione miocardica siano una delle cause del deterioramento della funzione ventricolare sinistra spesso riportato in pazienti con stenosi aortica.
w Amiloidosi cardiaca La presenza di angina microvascolare tal-
volta può rappresentare il primo segnale della presenza di una malattia infiltrativa complessa sistemica. Uno di questi quadri clinici è dato dall’amiloidosi, che quando coinvolge il cuore sancisce per i pazienti una prognosi infausta. I depositi di amiloide a livello cardiaco rappresentano un processo progressivo e devastante che porta a scompenso cardiaco congestizio, angina, aritmie. L’amiloidosi cardiaca si classifica sulla base della proteina coinvolta in primaria, secondaria (reattiva), senile sistemica, ereditaria, atriale isolata, emodialisi-relata (quadri clinici con prognosi differente). La diagnosi di amiloidosi cardiaca viene stabilita indirettamente tramite reperti ecocardiografici e di RMN suggestivi di amiloidosi e tramite una conferma istologica di amiloidosi in tessuti non cardiaci o direttamente dalla biopsia endomiocardica. I pazienti con amiloidosi cardiaca lamentano principalmente sintomi correlati allo scompenso cardiaco destro e sinistro. Infatti, in aggiunta al danno meccanico i depositi di amiloide inducono uno stress ossidativo che deprime la funzione contrattile dei miocardiociti, oltre a modificare la composizione della matrice extracellulare. In ogni caso un numero consistente di pazienti con amiloidosi cardiaca primaria riferisce dolore toracico tipico sostanzialmente provocato da una DMVC. Infatti, i depositi di amiloide tipicamente risparmiano i vasi epicardici, mentre il coinvolgimento dei vasi intramiocardici è presente nel 90 per cento dei pazienti con amiloidosi cardiaca primaria (52). I depositi di amiloide si hanno dapprima a livello della media e poi, con la progressione della malattia, coinvolgono avventizia e intima, causando raramente un’ostruzione severa, ma determinando un coivolgimento microvascolare diffuso che porta a numerosi foci di ischemia, microinfarti e fibrosi, responsabili di disfunzione contrattile e aritmie. Inoltre, lo stress ossidativo che caratterizza questa patologia causa ridotta disponibilità di NO, produzione di perossinitriti, disfunzione endoteliale arteriolare e apoptosi a carico delle cellule endoteliali coronariche. Studi clinici hanno dimostrato una ridotta riserva di flusso coronarico in pazienti con amiloidosi primaria e angina (53-54).
Tuttavia l’impatto della DMVC sulla prognosi nei pazienti con amiloidosi è ancora poco noto, come non è noto se interventi finalizzati a ridurre i depositi di amiloide siano in grado di migliorare la DMVC.
w Angina stabile Un’origine microvascolare dell’angina in pazienti con coronaropatia aterosclerotica ostruttiva stabile può essere sospettata nei pazienti con angina prolungata o angina scarsamente responsiva ai nitrati sublinguali (aspetti clinici spesso osservati nei pazienti con AMV). LA DMVC può essere sospettata anche nei pazienti in cui i sintomi anginosi sono più severi di quanto atteso in base alla severità della stenosi coronarica. Infine, un’origine microvascolare dei sintomi può ipotizzarsi nei pazienti con soglia anginosa notevolmente variabile, sebbene questo possa essere altresì giustificato dalla presenza di “stenosi dinamiche”. Pertanto, considerando che fino al 30 per cento dei pazienti avrà persistenza di angina e/o stress test positivi per ischemia inducibile per una DMVC nonostante una rivascolarizzazione miocardica efficace, la rivascolarizzazione miocardica dovrebbe essere la strategia scelta in tutti i pazienti ad alto rischio (rischio di morte CVS annuo >2 per cento) sulla base dei risultati degli stress test e/o in pazienti con angina refrattaria alla terapia medica (inclusi farmaci aventi come target la DMVC).
w Ostruzione coronarica microvascolare in corso di IM con sopraslivellamento del tratto ST Nell’ambito di uno STEMI, la DMVC è una conseguenza fisiopatologica specifica, che avviene subito dopo la ricanalizzazione dell’arteria infart-related. In alcuni pazienti (dal 5 al 50 per cento a seconda degli studi e del metodo utilizzato per la diagnosi (55)) infatti, l’angioplastica primaria può ottenere la rivascolarizzazione del vaso epicardico ostruito, ma non la riperfusione miocardica, condizione nota come “no-reflow”, attualmente più nota come ostruzione microvascolare (MVO). Numerosi studi hanno evidenziato come la MVO abbia un forte impatto negativo sulla prognosi, giungendo ad annullare il
beneficio potenziale dalla PCI primaria (56-62). Infatti, pazienti con MVO presentano una più alta prevalenza di: 1) complicanze post-infartuali precoci (aritmie, versamento pericardico, tamponamento cardiaco, scompenso cardiaco precoce); 2) rimodellamento sfavorevole del ventricolo sinistro; 3) ri-ospedalizzazioni tardive per scompenso cardiaco; 4) mortalità. Studi nell’uomo hanno identificato quattro meccanismi patogenetici principali responsabili della MVO: 1) embolizzazione aterotrombotica distale, 2) danno ischemico, 3) danno da riperfusione, 4) suscettibilità individuale del microcircolo coronarico. La diagnosi di MVO può definirsi al momento stesso dell’angioplastica primaria (flusso TIMI <3 o flusso TIMI 3 con MBG 0-1), oppure successivamente, utilizzando approcci non invasivi (risoluzione del tratto ST all’ECG a 60-90 minuti dopo la PCI primaria, ecocardiografia con contrasto, RMN cardiaca). In particolare, le tecniche di imaging forniscono una valutazione più diretta della perfusione miocardica.
w Sindrome di Takotsubo Infine un’intensa vascocostrizione coronarica è la probabile causa della sindrome di Takotsubo caratterizzata da una grave disfunzione contrattile, anche se transitoria, delle regioni apicali. Da notare che in questo caso la vasocostrizone del microcircolo, diversamente da quanto accade nell’AMV è sufficientemente intensa da causare alterazioni funzionali (63).
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Endocrinologia
Terapia sostitutiva nell’ipotiroidismo Assorbimento e malassorbimento della levotiroxina sodica La levotiroxina sodica (l-t4) è tra i farmaci più usati in italia essendo al settimo posto nella classifica dei trenta principi attivi più consumati nel periodo 2008-2012, secondo il rapporto dell’osservatorio sull’impiego dei medicinali (osmed) dell’agenzia italiana del farmaco (1)
N
ella pratica clinica la L-T4 è impiegata come trattamento sostitutivo dell’ipotiroidismo o come trattamento TSH-soppressivo (per esempio nei pazienti tiroidectomizzati per Ca. della tiroide). L’ipotiroidismo, ovvero una condizione di deficit di ormone tiroideo, è nella quasi totalità dei casi primario cioè da causa tiroidea. Le due cause nettamente più frequenti di ipotiroidismo primario sono la tiroidite autoimmune (di Hashimoto), oppure la tiroidectomia. Raramente l’ipotiroidismo è secondario o terziario, ovvero la ridotta funzione tiroidea è conseguenza della ridotta stimolazione della tiroide rispettivamente da parte dell’ipofisi (TSH) o dell’ipotalamo (TRH) [2]. Secondo lo Whickham Survey, l’incidenza annuale di ipotiroidismo è 3,5 su 1.000 individui, con una preponderanza del sesso femminile su quello maschile (7:1) [3]. L’incidenza annuale della tiroi-
Salvatore Benvenga, Roberto Vita Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Messina, Messina
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dite di Hashimoto in Sicilia e Calabria è aumentata di 14 volte dal 1975 al 2005, passando da 30 a 484 casi/anno [4]. Sovrapponibile è l’incidenza annuale di tiroidite di Hashimoto con diagnosi citologica (490 casi/anno) [5]. Ogni anno in Italia vengono effettuate più di 40.000 tiroidectomie [6]. La terapia dell’ipotiroidismo si basa sull’uso della L-T4, la quale da sola è sufficiente a ripristinare uno stato di eutiroidismo, ovvero di normalizzazione dei livelli circolanti di ormoni tiroidei e TSH. Infatti, dopo iniziali entusiasmi [7], non è stata ancora dimostrata definitivamente la superiorità del trattamento combinato con L-T4+L-T3 [8]. Tuttavia, non è stato ancora chiarito se tale terapia sia più efficace della sola terapia con L-T4 in alcuni pazienti (geneticamente predisposti) o in alcune condizioni come l’ipotiroidismo post-chirurgico [9]. La L-T4 sodica è assunta tradizionalmente come compresse per bocca, e dopo la sua dissoluzione in presenza di un pH gastrico acido, viene assorbita nel duodeno (40 per cento) e nel digiuno (30 per cento). In condizio-
ni ottimali, l’assorbimento della L-T4 è mediamente del 70 per cento circa, con un picco massimo entro la seconda ora dall’ingestione, e si riduce significativamente (63 per cento) negli “over 70” [10].
Condizioni di ridotto assorbimento della L-T4 Qualsiasi condizione patologica o sostanza interferente con la fase di dissoluzione gastrica della L-T4 o con la sua successiva fase di assorbimento, riduce in modo variabile la quantità di L-T4 che arriverà nella circolazione sistemica. Bach-Huynh et al. hanno dimostrato che la somministrazione della L-T4 a digiuno la mattina è preferibile rispetto a quella assieme alla colazione o al momento di coricarsi la sera [11]. Infatti, nella scheda tecnica del farmaco, è consigliato di “assumere [la compressa] con un sorso d’acqua al mattino, preferibilmente a digiuno” (04.02 - posologia e modo di somministrazione). Tuttavia esistono individui in cui per motivi non noti non basta far assumere la compressa di L-T4 a digiuno 20-30 minuti prima di colazione. Tale condizione, detta di “ritardato assorbimento della L-T4” è superata consigliando l’assunzione della L-T4 almeno 60 minuti prima di colazione (in alcuni casi anche più di due ore), a seconda di quando si verifica il picco di assorbimento di tale principio attivo [12].
w Patologie del tratto GI Le patologie del tratto GI più frequenti che alterano l’assorbimento della L-T4 sono la gastrite (da H.Pylori, atrofica autoimmune) [13], la malattia celiaca [14], l’intolleranza al lattosio (eccipiente in alcune formulazioni in compresse di L-T4)
[13,15], le parassitosi intestinali [16] e la chirurgia bariatrica (bypass digiuno-ileale, bypass gastrico, gastroplastica, diversione biliopancreatica) [17].
w Farmaci Il numero di farmaci che interferiscono con l’assorbimento della L-T4 è crescente (Tabella 1). Tali farmaci agiscono generalmente o riducendo la dissoluzione della L-T4 aumentando il pH gastrico, oppure limitandone l’assorbimento attraverso l’epitelio intestinale, legandosi stabilmente con essa e quindi sequestrandola. Particolarmente frequente è la cosomministrazione di L-T4 e degli inibitori di pompa protonica. Questi ultimi sono tra i farmaci più diffusi, essendo al quinto posto nella classifica dei trenta principi attivi più consumati in Italia nel periodo 2008-2012 [1].
w Bevande Bevande come il caffè [18], il caffè d’orzo [19] e il succo di pompelmo [20] interferiscono con l’assorbimento della L-T4 con meccanismi in parte sconosciuti. Il caffè ne riduce l’assorbimento sia dal punto di vista quantitativo (circa del 30 per cento), sia ritardandolo di 40 minuti circa [18].
w Discussione Il malassorbimento della L-T4, che va distinto dalla condizione di pseudomalassorbimento, ovvero di mancata aderenza alla terapia, è alquanto sottostimato soprattutto negli anziani, in cui è frequente la poli-farmacoterapia e, come detto sopra, l’assorbimento della L-T4 si riduce rispetto all’età giovanile-adulta. L’atteggiamento comune è quello di aumentare il dosaggio della L-T4 per ottenere un valore di TSH nel target terapeutico. È stato dimostrato che la posologia della L-T4 va aumentata del 35 per cento in caso di concomitante assunzione di un inibitore di pompa protonica [21], e del 100 per cento nel caso di resine a scambio ionico [22]. Ciò però predispone il paziente al rischio di sovradosaggio, il quale si verificherà quando il paziente sospenderà il farmaco interferente senza avere ridotto la posologia della L-T4. Le ripercussioni del sovradosaggio della L-T4 saranno soprattutto a livello
Tabella 1
Farmaci che interferiscono con l’assorbimento della L-T4 e meccanismo d’azione noto o proposto Principio attivo
Antagonisti del recettore istaminico H2 (cimetidina, ranitidina ecc.) [28] Idrossido di Al/Mg [18]
Principali indicazioni terapeutiche
Meccanismo di interferenza con la L-T4
Ulcera gastro-duodenale, malattia da reflusso gastroesofageo, gastrite, sindrome di Zollinger-Ellison
Aumento del pH gastrico
Pirosi, iperacidità
Sequestrante
Inibitori di pompa protonica [29]
Ulcera gastro-duodenale, malattia da reflusso gastroesofageo, gastrite, sindrome di Zollinger-Ellison
Aumento del pH gastrico
Sucralfato [30]
Ulcera gastro-duodenale, malattia da reflusso gastroesofageo, gastrite
Sequestrante
Carbonato di calcio [31]
Ipocalcemia
Sequestrante
Sali di ferro (solfato/ gluconato ferroso) [32]
Anemie da carenza di ferro
Sequestrante
Picolinato di cromo [33]
Supplemento dietetico
?
Acidi biliari sequestranti (resine a scambio ionico: colestiramina, colestipol, colesevelam) [28,34]
Dislipidemie, prurito da colestasti
Sequestrante; riduzione circolo enteroepatico
Ezetimibe [33]
Ipercolesterolemia
Sequestrante
Iperpotassiemia
Sequestrante
Chelanti il fosforo (carbonato di lantanio, sevelamer cloridrato) [34,35]
Iperfosfatemia da insufficienza renale cronica in pazienti dializzati
Sequestrante
Raloxifene [36]
Osteoporosi post-menopausale
?
Supplemento dietetico
Sequestrante
Polistirene sodico sulfonato [35]
Isoflavoni di soia [37]
Fonte: tratta da Thyroid Diseases, F. Monaco, CRC press, cap.30 Thyroid and Drgus, pagg. 482-483 [27]
cardiovascolare, ed esse possono essere particolarmente pericolose nell’ anziano. Un’altra strategia è quella di posticipare l’assunzione di altri farmaci, della colazione e del caffè. Ciò sembra efficace in alcune condizioni [19], ma può conciliarsi male con le abitudini dello stesso paziente.
Nuove formulazioni di L-T4 Allo scopo di superare questi problemi è stata introdotta da qualche anno in
Italia una nuova formulazione, liquida, in cui la L-T4 contenuta è solubilizzata in etanolo al 96 per cento e glicerolo all’85 per cento. La L-T4 così solubilizzata è assorbita direttamente a livello intestinale, bypassando la fase di dissoluzione gastrica che è obbligatoria per le compresse tradizionali. L’assunzione concomitante di un inibitore di pompa protonica, pur aumentando il pH gastrico, non altererebbe quindi l’assorbimento della L-T4 [23]. In maniera analoga, sembra che
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Endocrinologia la formulazione liquida di L-T4 riduce significativamente i valori di TSH anche in quella quota di pazienti in cui non si riesce a individuare la causa di malassorbimento della L-T4 [24]. Un’altra formulazione, presumibilmente disponibile in Italia nel corso di quest’anno è quella in capsule molli, in cui la L-T4 è dissolta in glicerolo ed è ricoperta da un guscio di gelatina. In vitro è stato dimostrato che la L-T4 contenuta nelle capsule molli, viene assorbita meglio rispetto alle tradizionali compresse [25]. In vivo è stato messo in evidenza che le capsule molli vengono assorbite meglio delle compresse di L-T4 anche se assunte contestualmente al caffè [26]. Concludendo, numerose condizioni patologiche e farmaci possono interferire con l’assorbimento della L-T4. Il già avviato sviluppo di nuove formulazioni, permetterà in futuro di aumentare significativamente la quota di principio attivo che raggiunge la circolazione sistemica, e pertanto di ridurre al minimo il dosaggio del farmaco somministrato, raggiungendo i valori target di TSH.
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Medicina dello sport
Screening delle cardiopatie occulte nei giovani atleti L’importanza dell’anamnesi e della diagnostica di imaging La morte cardiaca improvvisa (MCI) in un giovane atleta è un evento raro, ma catastrofico. L’esercizio fisico agisce come trigger per la mci nei soggetti affetti da misconosciute patologie cardiovascolari
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na diversità di patologie tra cui la cardiomiopatia ipertrofica, le anomalie coronariche congenite, la displasia aritmogena del ventricolo destro, la cardiomiopatia dilatativa, la dissezione aortica a causa di sindrome di Marfan, la miocardite, la malattia valvolare e i disturbi elettrici (sindrome di Wolff-Parkinson-White, sindrome del QT lungo, sindrome di Brugada), così come la commotio cordis rappresentano le cause più comuni di MCI. Dato che il risultato di letali malattie CV non è reversibile, se non in pochi casi, misure efficaci devono essere indirizzate a ridurne il carico. Di questo si occupa la medicina sportiva attraverso l’identificazione e stratificazione degli atleti a rischio di MCI grazie allo screening medico sportivo.
Attività fisica e morte cardiaca improvvisa: quale relazione L’attività fisica è un riflesso dello stato di salute e rispecchia la qualità della vita
Diletta Bolognesi*, Massimo Bolognesi** *MedicinaTerritoriale – Corsista in Medicina Generale, Asl 112 Cesena (FC) **Medicina Generale interna, Centro di Cardiologia dello sport, Cesena (FC)
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di un individuo e della società. Essa può spiegare la difficoltà delle persone nel comprendere il drammatico evento della MCI che accade durante la pratica sportiva, come consecutivamente si è verificato nel 2003 e 2004 sui campi di calcio nazionali e internazionali (1). Quando si cerca di stabilire una correlazione tra attività fisica e incidenza di MCI dobbiamo rivolgere la nostra attenzione agli aspetti preventivi e in particolare alla storia anamnestica dei soggetti praticanti sport. L’esercizio fisico può essere visto come un paradosso (3); infatti praticare attività fisica regolare e continua fornisce un fattore protettivo nella prevenzione primaria e secondaria della malattia arteriosa coronarica a causa della progressiva diminuzione della placca ateromasica, miglioramento del profilo lipidico e riduzione dei livelli pressori. Viceversa, alcune malattie cardiache specifiche, spesso occulte, possono contribuire all’insorgenza di aritmie durante lo sforzo, le quali rappresentano un fattore trigger per la MCI (3). L’associazione tra malattie CV insospettabili e la MCI negli atleti non è una coincidenza. La morte cardiaca improvvisa non è limitata agli atleti competitivi e si diffonde anche ai soggetti praticanti attività sportive a scopo ludico ricreativo (5). La MCI è la principale causa di mortalità nei giovani atleti durante l’esercizio fisico
ed è scatenata dallo sforzo esaustivo e prolungato nei soggetti portatori di anomalie CV misconosciute e occulte (4-7).
Lo screening cardiovascolare Tutti i maggiori organismi medici e sportivi raccomandano lo screening cardiovascolare preliminare allo sport agonistico (6-8). In particolare in Italia, i medici dello sport eseguono di routine esami fisici di screening precompetitivo allo scopo di garantire la salute e la sicurezza dell’atleta. Malgrado le posizioni degli organismi internazionali non sia univoca sull’inclusione o meno dell’EGC nello screening, è assolutamente importante per il medico sportivo considerare i dati e gli elementi che possono far sospettare la presenza di una patologia cardiaca, cercando di identificare opportunamente i soggetti ad alto rischio. I trattamenti e le terapie per le malattie CV ampiamente disponibili possono portare a una prevenzione significativa della morbilità e della mortalità.
w Anamnesi familiare Di recente, Ranthe e coll. (9) hanno divulgato i risultati di un vasto studio epidemiologico controllato sui componenti familiari, relativo alle vittime di MCI nella popolazione danese. Questi Autori hanno identificato tutte le vittime di MCI di età tra 1 e 35 anni, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2006, e hanno confrontato prospettivamente i rapporti di incidenza standardizzati (SIR) delle malattie CV nei parenti di primo e secondo grado con quelli della popolazione di base. Negli 11 anni di follow-up, il SIR è stato il più alto tra i parenti di primo grado di età <35, nei quali il rischio di cardiomiopatia e
aritmia ventricolare era, rispettivamente, del 17,91 e 19,15. Il rischio di MCI nei parenti era più alto entro il primo anno a seguito della SCD (SIR =11,13). I risultati di questo studio hanno dimostrato l’importanza di una scrupolosa e adeguata anamnesi familiare nello screening. Sebbene la maggior parte dei giovani atleti che soffrono di eventi cardiaci siano asintomatici prima dell’arresto cardiaco, vi è un piccolo sottogruppo di soggetti che presenta segni e sintomi allarmanti (10). Mentre le risposte a molti elementi della storia personale sono soggettive e dipendono fortemente dall’aderenza o dalla capacità di comprendere la natura medica delle domande, la storia familiare di MCI in un soggetto di età <35 anni è più concreta e identificabile. Tali soggetti devono essere sottoposti a una valutazione cardiaca più completa con accertamenti di secondo e terzo livello per identificare la potenziale malattia cardiaca letale. Per quanto riguarda la strategia di screening utilizzata, è assolutamente prioritario conoscere la storia personale e familiare, e i criteri interpretativi relativi agli aspetti specifici dell’elettrocardiogramma dell’atleta che possono aiutare nell’individuazione dei soggetti a rischio di morte cardiaca improvvisa. Il riconoscimento precoce della malattia può portare alla riduzione del rischio relativo attraverso una gestione medica appropriata. All’uopo sono stati proposti vari questionari anamnestici, abbastanza completi (11). Sfortunatamente, si conosce poco circa il valore predittivo positivo e negativo di tali domande di screening, e domande troppo generiche rischiano di ottenere un alto tasso di risposte falsopositive. Negli Stati Uniti, sia l’American Heart Association sia la Pre-Participation Physical Evaluation Monograph consigliano di chiedere agli atleti informazioni circa la storia familiare di problemi cardiaci o di morte improvvisa tra i parenti di età <50 anni (2). L’obiettivo dell’indagine sulla storia familiare nell’impostazione dello screening cardiovascolare negli sportivi è identificare gli atleti che hanno un maggior rischio di aver ereditato un disturbo cardiovascolare (come una cardiomiopatia o una canalopatia). Un
limite di età più stretto può migliorare la specificità di queste domande senza perdere la sensibilità principale. Visto che lo screening cardiovascolare supera le linee guida di consenso ed è orientato verso raccomandazioni guidate più dall’evidenza, sembra che Ranthe e coll. abbiano fornito un buon punto di partenza per rendere le domande sulla storia familiare più accurate. La storia familiare di MCI nei parenti di età <35 anni merita quindi estrema attenzione (12). Ne consegue che la storia familiare degli atleti rappresenta il primum movens verso una scrupolosa indagine clinica, condotta con tutti gli strumenti e metodiche di imaging cardiovascolare oggi a nostra disposizione, oltre agli esami di primo livello cardiovascolare tra i quali una notevole importanza riveste l’elettrocardiogramma a riposo e durante test da sforzo massimale (13).
w Indagini strumentali In effetti, oggi non mancano i mezzi a nostra disposizione per identificare gli atleti a rischio di incorrere in un evento drammatico come la MCI, per cui una preliminare e corretta anamnesi familiare è basilare per individuare i soggetti ad alto rischio CV da sottoporre a un’ottimale stratificazione del rischio di MCI attraverso le più moderne metodiche di imaging cardiovascolare, tra le quali innanzitutto la risonanza magnetica (14-15). La presenza di fibrosi intra-miocardica e l’eterogeneità del tessuto miocardico sono collegate allo sviluppo di aritmie ventricolari minacciose e /o letali, che rappresentano la principale causa di MCI. Pertanto, la risonanza magnetica cardiaca è una modalità di imaging non invasiva che visualizza e quantifica il danno miocardico attraverso la visualizzazione delle aree di fibrosi, che sfuggono ad altri esami di imaging come l’ecocardiografia o la tomografia computerizzata. Ciò consente di delineare il suo valore additivo per identificare i pazienti a più alto rischio di morte cardiaca improvvisa.
Bibliografia 1. Pigozzi F et al. Preparticipation screening for the detection of cardiovas¬cular abnormalities
that may cause sudden death in competitive athletes. J. Sports Med 2003; 37: 4-5. 2. Maron BJ et al. Recommendations and considerations related to preparticipation screening for cardiovascular abnormalities in competitive athletes: 2007 Update. Circulation 2007; 12: 1643-55. 3. Pérez AB et al. Guías de prática clínica de la Sociedad Española de Cardiologia sobre la actividad física em el cardiópata. Rev Esp Cardiol 2000; 53: 684-726 4. Harmon KG et al. Incidence of sudden cardiac death in national collegiate athletic association athletes. Circulation 2011; 123: 1594–600. 5. Suárez-Mier MP, Aguilera B. Causes of sudden death during sports activities in Spain. Rev. Esp. Cardiol 2002; 55: 347-58. 6. Ljungqvist A et al. The International Olympic Committee (IOC) consensus statement on periodic health evaluation of elite athletes, March 2009. Clin J Sport Med 2009;19:347–65. 7. Corrado D et al. Cardiovascular pre-participation screening of young competitive athletes for prevention of sudden death: proposal for a common European protocol. Consensus statement of the Study Group of Sport Cardiology of the Working Group of Cardiac Rehabilitation and Exercise Physiology and the Working Group of Myocardial and Pericardial Diseases of the European Society of Cardiology. Eur Heart J 2005; 26: 516–24. 8. Dvorak J et al. Development and implementation of a standardized precompetition medical assessment of international elite football players—2006 FIFA World Cup Germany. Clin J Sport Med 2009; 19: 316–21. 9. Ranthe MF et al. Cardiovascular disease in family members of young sudden cardiac death victims. Eur Heart J 2013; 34: 503–11. 10. Drezner JA et al. Warning symptoms and family history in children and young adults with sudden cardiac arrest. J Am Board Fam Med 2012;25: 408–15. 11. American Academy of Family Physicians, American Academy of Pediatrics, American College of Sports Medicine, American Medical Society for Sports Medicine, American Orthopaedic Society for Sports Medicine, American Osteopathic Academy of Sports Medicine. Preparticipation physical evaluation. 4th edn. Elk Grove, Illinois: American Academy of Pediatrics, 2010. 12. Asif IR, Drezner JA. Detecting occult cardiac disease in athletes: history that makes a difference .Br J Sports; 092494 Published Online First: 26 April 2013 13. Drezner J. Standardised criteria for ECG interpretation in athletes: a pratical tool. Br J Sports Med October 2012; 46:i6-i8 14. AlJaraoudi WA et al. Role of CMR Imaging in Risk Stratification for Sudden Cardiac Death. JACC, Volume 6, Issue 3, March 2013 15. Lee DC, Golberger JJ. CMR for Sudden Cardiac Death Risk Stratification. Are we there yet ? IACC. 2013; 6 (3): 345-348.
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C O NGRESSI XV Congresso nazionale AIOM, 11-13 ottobre 2013 – Milano
Passato, presente e futuro dell’Oncologia medica italiana
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l XV congresso nazionale dell’Associazione italiana di oncologia medica oltre a rappresentare un momento fondamentale di aggiornamento nell’ambito delle patologie tumorali, è stato l’occasione per celebrare i 40 anni dell’Associazione. Una lunga storia che è cominciata nel lontano 1973, nella cornice dell’Istituto nazionale dei Tumori, dove un gruppo di pionieri fondava l’Associazione, probabilmente inconsci del fatto che l’oncologia italiana avrebbe percorso tanta strada, portando a raggiungere molti traguardi e successi. Numerosi gli appuntamenti del Congresso che oltre a fare il punto sull’epidemiologia, la terapia e la ricerca, hanno celebrato il passato e i fondatori con la realizzazione di una mostra fotografica che ripercorre i momenti salienti della storia dell’AIOM. “Il Congresso del quarantennale”, ha spiegato il presidente Stefano Cascinu “costruisce un ponte ideale fra passato e futuro. Quest’anno è infatti previsto il rinnovo delle cariche per il Consiglio Direttivo nazionale, per i Direttivi regionali, per il Working group Giovani oncologi, e per la prima volta, per il Working group infermieri. Le elezioni costituiscono un momento decisivo di confronto interno per qualsiasi società scientifica e guardano ai possibili indirizzi futuri”. Il presente è ben fotografato dall’edizione 2013 de “I numeri del cancro in Italia”. È il censimento ufficiale
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che l’AIOM realizza in collaborazione con AIRTUM e che delinea le dimensioni dell’universo “tumori”.
Garantire l’appropriatezza nella cura
I dati epidemiologici più significativi
I dati sono un punto di partenza per riflettere su come orientare le strategie assistenziali e di cura dei pazienti oncologici. “Questi dati”, spiega Cascinu “sono di fondamentale importanza per far sì che sia l’evidenza scientifica a guidare le scelte di sanità pubblica, sia a livello nazionale che regionale, nonché per valutare l’impatto delle attività di prevenzione, di diagnosi precoce e di prevenzione delle complicanze e delle recidive, anche con l’obiettivo di strutturare al meglio l’offerta dei servizi”. Il volume dunque, come evidente già nelle passate edizioni, si conferma uno strumento indispensabile per tutte le figure professionali impegnate nelle patologie tumorali, ma anche per le Istituzioni, in quanto costituisce una guida per il futuro. È evidente che la progressiva contrazione delle risorse economiche imponga delle scelte, ma queste scelte vanno ponderate e valutate in modo razionale e richiedono riforme strutturali. I tagli indiscriminati dei posti letto, che avvengono senza una valutazione epidemiologica delle patologie a maggiore impatto, non fanno altro che penalizzare i malati. Il principio dell’appropriatezza della cura, e questo emerge al Congresso
Il volume è scaricabile on line (si veda anche la rubrica Notizie dall’web) in formato pdf, quindi non ci dilungheremo sul dettaglio dei dati, ma presentiamo le considerazioni più significative che emergono dal censimento. Ed ecco un primo dato che spicca fra tutti: aumenta il numero di italiani che si è lasciato il cancro alle spalle. Nello specifico cresce del 10 per cento la quota di uomini guariti a 5 anni dall’identificazione della neoplasia. Oggi in Italia, quasi 3 milioni di persone vivono con una precedente diagnosi di tumore: nel 2006 erano poco più di 2 milioni, mentre nel 1993 erano 1,5 milioni. La sopravvivenza a 5 anni viene raggiunta nel 57 per cento dei casi. Il numero atteso di nuove diagnosi registrate nel 2013 è di 366mila, 2mila in più rispetto all’anno precedente, di cui il 55 per cento negli uomini e il 45 per cento nelle donne. La forma di tumore più frequente è quella del colon-retto, seguita dal Ca. alla mammella, del polmone, della prostata. La mortalità complessiva più elevata si registra per il tumore del polmone, con 34mila decessi stimati.
CONGRESSI AIOM, deve essere sempre perseguito, e non può essere negato dalla spending review. A questo si collega anche l’appello lanciato dagli oncologi riuniti a Milano, riguardante la disponibilità dei farmaci innovativi, in tutta Italia. In alcune Regioni, i ritardi dovuti all’ulteriore approvazione di questi trattamenti nei Prontuari terapeutici regionali rischiano di compromettere la qualità delle cure. Ma i pazienti non devono e non possono più aspettare e gli oncologi, che ogni giorno lottano in prima linea contro il cancro, sono preoccupati. E chiedono infatti che sia subito applicato senza modifiche il Decreto Balduzzi (Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158) che stabilisce l’immediata disponibilità dei trattamenti innovativi in tutte le Regioni dopo il giudizio positivo dell’AIFA, senza attendere l’approvazione delle singole commissioni regionali e provinciali, e il successivo inserimento nei Prontuari terapeutici regionali, che vanno profondamente ripensati. In Italia i farmaci oncologici rappresentano il 25 per cento della spesa ospedaliera per i medicinali, ma incidono solo sul 4 per cento dell’intera nosocomiale. Non solo. Le uscite per i farmaci oncologici sono rimaste sostanzialmente stabili negli ultimi anni, passando da 1,390 miliardi di euro nel 2008, a 1,550 nel 2010, a 1,530 nel 2011. È quindi necessario agire sulle zone “grigie” dell’inappropriatezza. Basti pensare che vi sono terapie di non comprovata efficacia che costano ogni anno al sistema circa 350 milioni di euro, il peso delle visite di controllo è pari a 400 milioni, quello dei marcatori tumorali ad alcune decine di milioni. Dall’autorizzazione europea di un farmaco alla delibera che ne permette l’immissione in commercio in Italia, trascorrono in media dai 12 ai 15 mesi. E ulteriori ritardi sono determinati dai tempi di latenza per la messa a disposizione a livello regionale dopo le approvazioni degli enti regolatori internazionali e nazionali. “È inaccettabile”, ha sottolineato il prof. Francesco De Lorenzo, presidente della
Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) “che nel nostro Paese ancora perdurino difformità di accesso alle terapie. Ci auguriamo che la conversione in legge del provvedimento del Ministro Balduzzi ne mantenga il principio cardine: l’abolizione del terzo livello, regionale, di valutazione. Sono sufficienti le approvazioni da parte dell’ente regolatorio europeo e italiano. Questo decreto ristabilisce il principio costituzionale di tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. I malati di tumore hanno diritto, per la grave patologia da cui sono affetti, di ricevere sempre, e ovunque residenti, la migliore terapia possibile, nel rispetto del principio di uguaglianza”.
I “long term survivors” e la necessità di un nuovo modello organizzativo I pazienti sopravvissuti al cancro sono sempre più in aumento, come testimoniato dai dati. Si apre quindi un capitolo a parte nell’assistenza e monitoraggio di questi soggetti. Il paziente con una storia di neoplasia presenta condizioni cliniche che richiedono una sorveglianza specifica, in quanto si trova in una situazione di diversità rispetto al soggetto “guarito” che ne impedisce il ritorno a una vita normale. Oltre al rischio di recidiva, la complessità del follow up in questa classe di pazienti è legata per esempio, alla tossicità tardiva dei trattamenti integrati, alle comorbidità tipiche dei soggetti anziani e fragili, e al rischio di una seconda neoplasia. Si tratta di problematiche che dimostrano la necessità di presidiare questo settore della medicina oncologica e richiamano l’attenzione sull’importanza di dare risposte concrete a una domanda di salute pubblica, spesso disattesa. Le diverse sfaccettature nel profilo del paziente sopravvissuto evidenziano bene come la pratica del follow up richieda l’integrazione di diverse competenze e di soluzioni organizzative articolate. Il contributo della medicina territoriale
andrebbe valorizzato, diventando un riferimento per la maggior parte delle neoplasie, con un’integrazione-cooperazione virtuosa tra diverse strutture.
Tumore al rene metastatico: due farmaci con efficacia sovrapponibile Il tumore a cellule renali è la forma più frequente di cancro renale, ed è un nemico subdolo, che spesso non da segni della sua presenza se non quando in fase avanzata. Infatti oltre il 30 per cento dei pazienti presenta metastasi al momento della diagnosi, e un ulteriore 40 per cento le svilupperà nei successivi due anni. Ma per i pazienti affetti da questa temibile forma di carcinoma vi è ora un’opzione terapeutica in più, e soprattutto una possibilità per un trattamento su misura. Uno studio (Motzer RJ et al. N Engl J Med 2013; 369: 72231) per la prima volta ha confrontato efficacia e tollerabilità dei due farmaci inibitori della tirosin-chinasi attualmente disponibili, pazopanib e sunitinib, dimostrando che sono entrambi strumenti validi da poter utilizzare come terapia in prima linea. Il trial ha randomizzato 1.110 pazienti con Ca. renale metastatico a cellule chiare (mai trattati) a terapia con pazopanib (800 mg/die in regime continuo) oppure con sunitinib in cicli di 6 settimane (50 mg/die per 4 settimane, seguite da 2 settimane di stop). L’analisi ha dimostrato la non inferiorità di pazopanib rispetto a sunitinib per quando riguarda la sopravvivenza libera da malattia. Inoltre, i due farmaci sono risultati sovrapponibili in termini di sopravvivenza complessiva. Anche se l’analisi dei dati relativi alla safety e all’impatto sulla qualità di vita, porta in leggero vantaggio il pazopanib. Questi risultati in pratica, sottolineano l’affidabilità di entrambi i farmaci; naturalmente nella pratica clinica sarà il curante a stabilire quale delle due molecole meglio si adatta al profilo di ogni singolo paziente.
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IBSA
Acido ialuronico una molecola particolarmente versatile
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pesso quando parliamo di acido ialuronico, lo associamo immediatamente alle nuove frontiere della dermoestetica. Le proprietà anti-age di questa molecola sono ben note, ma confinare l’acido ialuronico esclusivamente all’ambito estetico è senza alcun dubbio riduttivo. Essa trova infatti molteplici applicazioni in diversi ambiti clinico-terapeutici. Nella chirurgia oftalmica, per la produzione di lacrime artificiali nel trattamento della sindrome dell’occhio secco e come soluzione viscoelastica nella chirurgia della cataratta. Nella chirurgia otologica come rigenerante delle membrane timpaniche forate:
l’applicazione di acido ialuronico stimola la formazione di tessuto cicatriziale. Anche nelle infiammazioni e lesioni ulcerose della bocca, come afte e stomatiti, o nel trattamento di ustioni di secondo e terzo grado, esistono terapie a base di questa molecola. In reumatologia e ortopedia poi, l’acido ialuronico viene utilizzato come terapia intrarticolare, non solo come lubrificante del liquido sinoviale, ma anche per il suo ruolo protettivo dei tessuti, limitando la penetrazione di radicali liberi ed enzimi proteolitici. In campo urologico infine, l’acido ialuronico in sinergia con altre sostanze svolge un’importante
Sanofi
SIFI
L’eccellenza in oftalmologia è “made in Italy”
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toria, tradizione, innovazione: sono queste le chiavi del successo di una società, nata quasi 80 anni fa a Catania, e diventata oggi un leader nel settore dell’oftalmologia, non solo nel nostro Paese, in grado di fornire ai medici gli strumenti adatti per gestire un’ampia gamma di patologie oculari. Grazie a due diverse aziende produttrici, SIFI S.p.A. e SIFI MedTech, il Gruppo propone un insieme completo di soluzioni, dagli strumenti diagnostici alle terapie mediche e chirurgiche. Attualmente il Gruppo conta più di 360 dipendenti, raggiunge un fatturato di circa 40 milioni di euro, e investe circa il 12 per cento dei ricavi in R&D. La vocazione all’internazionalizzazione ha portato l’azienda ad ampliare la propria presenza sui mercati esteri. L’eccellente livello qualitativo dei prodotti SIFI, mantenutosi costante nel tempo, unito a un’estrema attenzione per la corretta comunicazione medico-scientifica e per i programmi educazionali, ha permesso all’azienda di acquisire un’immagine riconosciuta a livello mondiale. Attualmente, il portfolio di SIFI SpA comprende più di 50 formulazioni farmaceutiche, in parte proprietarie e in parte prodotte su licenza.
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funzione antinfiammatoria e riparatrice nei confronti dell’urotelio. Tra le diverse molecole disponibili sul mercato, segnaliamo quella utilizzata nei prodotti IBSA in quanto risponde a elevati standard qualitativi. Un processo produttivo multifasico, particolarmente all’avanguardia, partendo dalla fermentazione batterica e attraverso stadi di filtrazione e purificazione, permette di ottenere un prodotto finito altamente purificato, privo di contaminazioni di derivazione animale; si elimina così un potenziale rischio allergico e/o di trasmissione di agenti patogeni (per esempio virus, prioni).
Nasce una nuova Divisione dedicata agli off patent
L
o scorso 20 gennaio Sanofi ha annunciato la costituzione di una business unit Off Patent, per la gestione del portfolio dei farmaci originatori a marchio Sanofi e degli equivalenti della divisione Zentiva, lanciata in Italia nel 2011. Gli off patent sono i prodotti che hanno perso la copertura brevettuale e comprendono sia i farmaci equivalenti sia le specialità di riferimento, da cui sono stati creati i generici alla scadenza del brevetto. La nuova “unit” comprende farmaci “brand leader” che vanno dall’area cardiovascolare al sistema nervoso centrale, dalla medicina interna alla terapia del dolore, e gli equivalenti Zentiva, soggetti agli stessi rigorosi standard qualitativi dei farmaci originali, in grado di soddisfare i medesimi requisiti di efficacia e sicurezza e che rappresentano un’alternativa accessibile e di qualità per i pazienti e i sistemi sanitari. Obiettivo della nuova divisione è quello di offrire a farmacisti, medici specialisti, MMG e pazienti un’ampia gamma di soluzioni terapeutiche e prodotti in grado di rispondere alle esigenze specifiche, sia in termini di efficacia terapeutica sia di sostenibilità economica; naturalmente tutti garantiti da un eccellente standard qualitativo. Sanofi è la prima azienda che si presenta al mercato con una divisione interamente dedicata agli off patent. In Italia, Sanofi ha cinque insediamenti industriali destinati alla produzione di farmaci in tutto il mondo. Quattro di essi producono sia gli originatori Sanofi sia gli “uguali” a marchio Zentiva: Origgio (Varese), Garessio (Cuneo), Scoppito (L’Aquila) e Anagni (Frosinone).
Gilead
Bristol-Myers Squibb – Pfizer
Apixaban rimborsabile in Italia anche nei pazienti con FA non valvolare
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pixaban, anticoagulante orale inibitore diretto del fattore Xa, sviluppato da Bristol-Myers Squibb/ Pfizer, a partire dallo scorso 7 gennaio è rimborsato dal SSN anche per la prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica negli adulti affetti da fibrillazione atriale non valvolare (FANV), che presentino uno o più dei seguenti fattori di rischio: un precedente ictus o un attacco ischemico transitorio (TIA), età pari o superiore ai 75 anni, ipertensione, diabete mellito, scompenso cardiaco sintomatico. Apixaban, già disponibile per la profilassi del tromboembolismo venoso in chirurgia ortopedica, è stato in grado di ridurre in modo significativo il rischio di ictus, embolia ed emorragie, e di ridurre il tasso di mortalità da tutte le cause. L’estensione terapeutica è stata autorizzata dalla Commissione Europea nel novembre 2012 alla luce del favorevole profilo di efficacia-sicurezza, emerso dai risultati degli studi di fase III ARISTOTLE e AVERROES, in cui sono stati valutati circa 24.000 pazienti con FANV, all’interno del più ampio programma di studio clinico completo mai condotto finora in questa popolazione di pazienti. Gli studi hanno valutato l’efficacia e la sicurezza del farmaco non solo rispetto alle terapie standard a base di antagonisti della vitamina K come warfarin, ma anche, per la prima volta, rispetto all’aspirina. Apixaban prevede un’assunzione due volte al giorno, non richiede il monitoraggio dell’INR e non comporta restrizioni alimentari.
Amgen-Dompé
Si chiude con successo la collaborazione tra i due Gruppi
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opo 16 anni di collaborazione si è conclusa lo scorso 24 gennaio la joint venture tra il gruppo Amgen e il gruppo Dompé. La fine della partnership, che ha contribuito in questi anni a rafforzare il ruolo dell’innovazione biotecnologica nel nostro Paese, è avvenuta in totale accordo tra i due Gruppi e rappresenta per entrambi un nuovo punto di partenza nel processo di consolidamento strategico nel settore delle biotecnologie. L’operazione è stata concordata sulla base di un’opzione già presente nei termini contrattuali siglati in precedenza.
Infezione da HCV: nuova opzione di terapia orale
L
o scorso 20 gennaio la Commissione Europea ha concesso l’autorizzazione per l’immissione in commercio delle compresse da 400 mg di sofosbuvir (Sovaldi®), un analogo nucleotidico inibitore della polimerasi, in monosomministrazione orale giornaliera, per il trattamento dell’infezione cronica da epatite C in soggetti adulti, in associazione con gli antivirali ribavirina e interferone pegilato alfa. L’autorizzazione giunge in seguito a un processo di valutazione accelerato da parte dell’EMA e consente la commercializzazione di sofosbuvir in tutti e 28 Paesi dell’UE. Sofosbuvir è stato studiato su tutti i genotipi dell’HCV 1-6. L’efficacia è stata dimostrata nei pazienti con HCV di genotipo 1 (solo pazienti naïve al trattamento), 2, 3 e 4, compresi i pazienti in attesa di trapianto di fegato e i pazienti con co-infezione da HCV/HIV-1. I dati clinici a supporto dell’impiego di sofosbuvir nei pazienti con genotipi 5 e 6 sono al momento limitati.
Farmacovigilanza
Il PRAC dell’EMA raccomanda la sospensione d’uso per Protelos e Osseor (ranelato di stronzio)
A
i primi di gennaio scorso, il Comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza (PRAC) dell’EMA dopo una prima revisione ha comunicato la raccomandazione per la sospensione dell’autorizzazzione per l’immissione in commercio per Protelos/Osseor (ranelato di stronzio). Il farmaco indicato per il trattamento dell’osteoporosi severa, era stato già sottoposto a una revisione a seguito della segnalazione di un aumento del rischio cardiovascolare, che aveva portato a una restrizione nelle indicazioni d’uso. La nuova decisione, arrivata all’inizio di quest’anno, giunge dopo un’attenta e ulteriore valutazione del profilo rischio/beneficio. L’utilizzo del farmaco comporta un significativo aumento del rischio cardiaco, e di altri effetti sfavorevoli: è emerso che ogni 1.000 pazienti l’anno, ci sono oltre 4 casi gravi di eventi cardiaci (inclusi gli infarti) e oltre 4 casi di trombi o ostruzioni dei vasi sanguigni rispetto al placebo. Inoltre, il farmaco è associato a gravi reazioni cutanee, disturbi di coscienza, attacchi epilettici, infiammazioni del fegato e riduzione dei globuli rossi. Il ranelato di stronzio è autorizzato in Europa per il trattamento dell’osteoporosi severa nelle donne che hanno superato la menopausa e in chi è ad alto rischio di frattura della schiena e dell’anca. Rispetto ai suoi benefici, il farmaco ha inoltre mostrato di avere un modesto effetto sull’osteoporosi, prevenendo 5 fratture non spinali, 15 fratture spinali e 0,4 fratture dell’anca ogni 1.000 pazienti l’anno. Mettendo a confronto quindi rischi e benefici, il Comitato ha deciso di raccomandarne la sospensione. Decisione che ora sarà valutata dal CHMP dell’EMA, che dovrebbe rendere nota la sua opinione finale a breve.
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news
sanitÀ
l AIFA
Cure miracolose: in una guida i consigli per “smascherarle”
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l ricorso a terapie non sperimentate, o poco sperimentate e non in maniera adeguata, conta numerosi precedenti nella storia, ma anche casi assai attuali. Per esempio possiamo citarne alcuni quali il metodo Di Bella in ambito tumorale, il metodo Zamboni in ambito neurologico (vedi notizia correlata) o il recentissimo caso di Stamina. L’avvento di internet, strumento di utilizzo su ampia scala, ha amplificato ulteriormente un fenomeno, che in realtà è insito nella natura umana, e cioè la propensione dell’uomo stesso a voler credere che esista una panacea per qualsiasi patologia, e quindi va ricercata e trovata. Il tema delle cosiddette cure miracolose è assai complicato, ed è arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza. Ecco perché l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha pubblicato una guida che affronta la tematica, con l’obiettivo di dare le informazioni corrette per poter distinguere le cure “vere” da tutti quei rimedi, al di fuori dei canali della scienza medica, a cui vengono attribuite virtù eccezionali senza che vi sia alcuna evidenza scientifica a supporto. “Non ho nulla da perdere a provarlo” è il titolo della versione italiana ufficiale della guida per i pazienti realizzata da Sense About Science; è stata tradotta e adattata dall’AIFA, che ritiene fondamentale mettere a disposizione dei pazienti, in particolare quelli affetti da gravi patologie, strumenti adeguati che permettano loro di riconoscere i trattamenti basati sulle prove scientifiche da quelli privi di presupposti rigorosi. Nella brochure vi sono indicazioni su come accostarsi all’infinita
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quantità di notizie di medicina che ogni giorno invadono i media, per dare la possibilità ai lettori di riconoscere le informazioni e le affermazioni corrette riguardanti nuove scoperte, terapie o cure, e distinguerle da quelle relative a “cure e metodi alternativi e miracolosi”. I lettori troveranno inoltre, un ampio elenco di fonti autorevoli e testi divulgativi, riguardanti tutto il mondo della medicina e della ricerca scientifica. La brochure si
può consultare e scaricare liberamente in formato pdf dal sito dell’AIFA, www.agenziafarmaco. gov.it.
l Sclerosi multipla e CCSVI
I risultati conclusivi dello studio CoSMo smentiscono l’associazione
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on esistono rapporti tra alterazioni del flusso ematico dei vasi del collo, condizione nota con l’acronimo CCSVI, e la sclerosi multipla (SM). Sono queste le conclusioni definitive dello studio CoSMo. I risultati sono arrivati dopo un lavoro che è durato circa 2 anni, e ha visto coinvolti 35 Centri italiani e 1.767 soggetti (1.165 pazienti con SM, 226 pazienti con patologie neurodegenerative e 376 controlli sani). La CCSVI (insufficienza venosa cronica cerebrospinale) è risultata rara nei pazienti SM e si osserva con una frequenza simile sia nei soggetti sani che nei pazienti affetti da patologie neurodegenerative diverse dalla SM. Valori di prevalenza dunque assai simili, che sembrano chiudere un capitolo che in questi ultimi tre anni ha catturato l’attenzione, non senza controversie, della comunità scientifica internazionale, delle associazioni di pazienti, e dei media. “Lo studio CoSMo è stato un’importantissima esperienza di alleanza fra comunità scientifica e le persone con SM per dare una risposta certa a una domanda complessa”, commenta il prof. Giovanni Luigi Mancardi, dell’Università di Genova uno degli autori dello studio. “Con uno sforzo notevole, in poco tempo, la risposta è stata fornita, risolvendo definitivamente un problema non secondario per la comunità di studiosi e di pazienti. Ora le nostre energie devono essere impiegate nelle usuali direzioni, che non sono mai state abbandonate, in particolare sulla comprensione dei meccanismi della malattia e sulle terapie che ne possono modificare il decorso”. Lo studio CoSMo, che si contraddistingue per il grande impegno profuso, il rigore scientifico e la professionalità, rappresenta un concreto esempio dell’eccellenza della ricerca scientifica italiana nel campo della SM, una ricerca al fianco dei malati e volta a offrire loro risposte concrete.
sanitÀ
news
l XII Rapporto di Cittadinanzattiva sulla cronicità
La malattia: un lusso per le persone che lavorano
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vere una o più patologie croniche o rare, oppure occuparsi di un familiare malato oggi sembra essere un lusso che gli italiani non possono più “concedersi”. I sono diventati via via sempre più insostenibili per un numero maggiore di pazienti e familiari. Il risultato di questa situazione diventa davvero estremo, dal momento che i malati non solo non si curano in modo adeguato, ma addirittura tendono a nascondere la propria condizione nell’ambito lavorativo. Questa è la fotografia poco confortante del nostro Paese, che emerge dal XII Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità, dal titolo “Permesso di cura”, che è stato presentato a Roma all’inizio di quest’anno, dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva. “Ritardare o rinunciare alle cure necessarie, perdere il posto di lavoro, confrontarsi con la crisi dei redditi familiari e con le discriminazioni regionali nell’accesso alle prestazioni socio-sanitarie è ciò che vivono sulla propria pelle i cittadini grazie ad anni di politiche di disinvestimento del welfare e di erosione dei diritti. Non possiamo accettare che per “fare cassa” si continui a smantellare il SSN o peggio ancora a svendere i diritti dei cittadini alla salute, al lavoro e all’inclusione sociale”, ha sottolineato Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato e responsabile del CnAMC di Cittadinanzattiva, alla presentazione del Rapporto. L’84 per cento delle associazioni dichiara che i pazienti non riescono a conciliare l’orario di lavoro con le esigenze di cura e assistenza, al punto che nel 63 per cento dei casi hanno ricevuto segnalazio-
ni di licenziamenti o mancato rinnovo del rapporto lavorativo per le persone con patologie croniche e invalidanti, e nel 41 per cento dei casi per i familiari che li assistono. Il 60 per cento ha riscontrato difficoltà nella concessione dei permessi retribuiti, il 45 nella concessione del congedo retribuito di due anni, il 49 evita di prendere sul lavoro permessi per cura, il 43 per cento nasconde la propria patologia e il 40 per cento si accontenta di svolgere un lavoro non adatto alla propria condizione professionale. I costi dell’assistenza sociosanitaria sono talmente elevati, che non si può rischiare di perdere il posto di lavoro. Oltre la metà delle persone ritiene troppo oneroso il carico assistenziale, specie in termini economici, non garantito dal SSN. Ecco qualche numero: le spese medie annuali per una badante si aggirano sui 9mila eu-
ro, la retta in strutture residenziali supera i 7mila euro, l’adattamento dell’abitazione, in caso di necessità particolari, comporta una spesa media di oltre 3.700 euro. Se a questi aggiungiamo le spese per riabilitazione, attività fisica, diete, protesi o ausili particolari, farmaci o integratori non rimborsabili l’onere è davvero insostenibile. E chi non riesce a sostenere un tale peso, circa l’80 per cento di chi è in cura, rinuncia alla riabilitazione, al monitoraggio della patologia, all’acquisto di farmaci non rimborsati. In pratica si è obbligati a rinunciare a cure adeguate, compromettendo ulteriormente il proprio stato di salute e la qualità di vita: una sorta di circolo vizioso che coinvolge pazienti e familari, da cui per il momento non sembrano esserci vie d’uscita, o quanto meno la strada da percorrere appare lunga e tortuosa.
l InfluNet
L’andamento della stagione influenzale 2013/2014
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iamo nel pieno della stagione infuenzale, e quindi pubblichiamo un aggiornamento dei dati, della rete di sorveglianza InfluNet, sull’andamento dell’infezione. I dati sono stati registrati nell’ultima settimana del mese di gennaio. Continua l’ascesa della curva epidemica delle sindromi influenzali. Il livello di incidenza totale è pari a 5,22 casi per mille assistiti. La fascia di età più colpita è quella dei bambini al di sotto dei 5 anni in cui si osserva un brusco aumento del livello di incidenza pari a 16 casi per mille assistiti. Il livello di incidenza raggiunto finora è inferiore a quello osservato nelle precedenti stagioni. Il numero di casi stimati nella settimana di riferimento è pari a circa 310.000, per un totale dall’inizio della sorveglianza, di circa 1.717.000 casi. Le regioni più colpite sono Campania, Molise, Marche, Sardegna e Val d’Aosta.
Medico e Paziente
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notizie dal web Tumore al seno Nelle forme HER2-positive, la supplementazione con vitamina D in associazione alla chemioterapia determina un impatto favorevole sul decorso della malattia www.vitaminad.it Il carcinoma mammario HER2-positivo (Human Epidermal Growth Factor Receptor 2-positivo) è molto temuto perché particolarmente aggressivo e presenta caratteristiche peculiari, che lo distinguono da altre forme di carcinoma mammario; per esempio, ha una progressione più rapida, un’età di insorgenza precoce (sono colpite in larga misura anche le donne in età fertile tra i 30 e i 45 anni), una risposta ai trattamenti chemioterapici differente, e nel complesso una prognosi sfavorevole. Uno studio recentemente presentato (Zeichner et al. Abstract P609-02) al San Antonio Breast Cancer Symposium (10-14 dicembre 2013 San Antonio,Texas, USA) e recensito sul sito www. vitaminad.it evidenzia come la vitamina D possa svolgere un ruolo positivo nel decorso della malattia. Nello specifico, le donne con Ca. della mammella HER2-positivo che ricevono supplementi di vitamina D durante la chemioterapia sembravano avere outcome migliori rispetto a quanto osservato nelle donne non supplementate. L’analisi retrospettiva è stata condotta su 300 pazienti che sono state sottoposte a terapia con trastuzumab tra il 2006 e il 2012. Nelle donne che in associazione alla chemioterapia avevano ricevuto vitamina D, la sopravvivenza media senza la malattia era di 32,6 mesi rispetto a 25,5 mesi per le donne non supplementate con vitamina D (P =0,022); in pratica le donne “supplementate” avevano una riduzione del 64 per cento del rischio di perdere lo status di “disease free”. L’importanza dei risultati risiede nel fatto che sono i primi a dimostrare un ruolo positivo della vitamina D in questa temibile forma di tumore mammario. Alcune precedenti evidenze avevano già riscontrato un’associazione positiva tra vitamina D e cancro al seno, e ora sarà compito della ricerca futura indagare meglio il meccanismo che sottende tale relazione.
www.neurologiaitaliana.it Uno spazio on line dedicato all’ultimo Congresso nazionale SIN La redazione di Medico e paziente e della Neurologia italiana ha realizzato alcune video interviste a specialisti neurologi, nell’ambito del congresso della SIN (Società Italiana di Neurologia) che si è tenuto a Milano dal 2 al 5 novembre 2013. Le interviste sono pubblicate sul sito internet della Neurologia italiana (www.neurologiaitaliana.it). I temi approfonditi riguardano l’approccio terapeutico nell’epilessia di prima diagnosi (prof. Gaetano Zaccara, direttore UO Neurologia, Asl 10 di Firenze), i recenti progressi nella applicazione della deep brain stimulation (DBS) nella malattia di Parkinson (prof. Alberto Priori, professore di Neurologia, Università degli Studi di Milano), e la problematica dell’ictus nel giovane adulto (prof. Roberto Sterzi, AO Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano).
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Medico e paziente
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www.aiom.it L’edizione 2013 de “I numeri del cancro in Italia” scaricabile in formato pdf La collaborazione tra l’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) e l’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) è ormai consolidata e fruttuosa. A ulteriore prova di questo sodalizio, esce il nuovo volume de “I numeri del cancro in Italia”, il terzo, che ci offre una panoramica dettagliata ed esauriente dei dati sull’oncologia nel nostro Paese. Il volume è scaricabile on line, in formato pdf, sul sito www.aiom. it. Molti gli aspetti e gli indicatori analizzati di interesse, con l’obiettivo di rispondere a quesiti diversi, che servono a completare il quadro attuale della malattia “tumore” nel nostro Paese. L’incidenza, la mortalità, la sopravvivenza e la prevalenza affrontano facce diverse dello stesso fenomeno, del quale si cerca di capire l’andamento rispetto al passato, e di prevederne il futuro. Il volume di quest’anno non solo contiene aspetti di continuità con le precedenti edizioni, come l’aggiornamento dei dati, ma anche alcune novità. Tra queste per esempio segnaliamo l’inserimento di alcune parti riguardanti i tumori dell’esofago, dell’utero e il melanoma. Inoltre, è stata introdotta una sezione dedicata al cancro nei pazienti immunodepressi. Il volume è stato realizzato da AIOM e AIRTUM, in collaborazione con il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie del Ministero della salute (CCM).