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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XLI n. 1 - 2015
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Scompenso cardiaco effetti protettivi del consumo moderato di alcol Diabete tipo 2 l’algoritmo AIFA-SID-AMD per una gestione personalizzata Fisiologia il ruolo del rene nell’omeostasi glicemica Formazione la riforma delle scuole di specializzazione in medicina
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SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico
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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012
6
DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
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Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con
CLINICA
Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico
>s Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
TERAPIA
Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci
>s Domenico D’Amico
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Medico e paziente n. 1 anno XLI - 2015 Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia
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Periodico della M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Tel./Fax 024390952 info@medicoepaziente.it
Direttore Responsabile Antonio Scarfoglio Direttore Commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 Redazione Anastasia Zahova Progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Segreteria di redazione Concetta Accarrino Hanno collaborato a questo numero: Anna Solini, Arturo Zenorini
in questo numero
sommario
p 6
letti per voi
p 10 approfondimenti
DIABETE DI TIPO 2 Il nuovo algoritmo AIFA per una gestione personalizzata della malattia
L’algoritmo è uno strumento innovativo, di libero accesso ed è disponibile sul sito dell’Aifa. Non è riservato solo ai medici, ma è consultabile anche dai pazienti
a cura della Redazione
p 16 diabete di tipo 2
GLI SGLT2 INIBITORI Una promettente classe di farmaci per il trattamento del DT2 Nell’ambito della terapia del diabete di tipo 2, gli SGLT2 inibitori sono farmaci di recentissima introduzione. Si presentano con un meccanismo d’azione del tutto nuovo, che ha come bersaglio il rene
Anna Solini
p 20 fisiologia
Il ruolo del rene nel controllo dell’omeostasi glicemica e nel diabete di tipo 2 La comprensione dei meccanismi di riassorbimento del glucosio a livello del tubulo renale ha permesso lo sviluppo di nuove terapie per il diabete di tipo 2
>>>>
a cura della Redazione
Medico e Paziente
1 .2015
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Registrazione del Tribunale di Milano n. 32 del 4/2/1975 Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura.
p 22
Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG)
Si riduce la durata del percorso post-laurea, con la possibilità di svolgere la specializzazione anche sul territorio, al di fuori dei policlinici universitari
I dati sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’Editore “M e P Edizioni Medico e Paziente” per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Ai sensi dell’art. 7 D. LGS 196/2003 è possibile in qualsiasi momento e gratuitamente consultare, modificare e cancellare i dati o semplicemente opporsi al loro utilizzo scrivendo a: M e P Edizioni Medico e Paziente, responsabile dati, via Dezza, 45 - 20144 Milano. Comitato scientifico Prof. Vincenzo Bonavita Professore ordinario di Neurologia, Università “Federico II”, Napoli Dott. Fausto Chiesa Direttore Divisione Chirurgia Cervico-facciale, IEO (Istituto Europeo di Oncologia) Prof. Sergio Coccheri Professore ordinario di Malattie cardiovascolari-Angiologia, Università di Bologna Prof. Giuseppe Mancia Direttore Clinica Medica e Dipartimento di Medicina Clinica Università di Milano - Bicocca Ospedale San Gerardo dei Tintori, Monza (Mi) Dott. Alberto Oliveti Medico di famiglia, Ancona, C.d.A. ENPAM
Come abbonarsi a medico e paziente
Medico e paziente
Scuole di specializzazione Come cambia la formazione dei giovani medici
p 30 aifa
Rapporto Osmed 2014 Cresce (in modo contenuto) il consumo di farmaci, ma calano i costi I farmaci per le patologie cardiovascolari restano in vetta alla classifica dei medicinali più consumati nei primi nove mesi del 2014. Aumenta anche l’utilizzo di farmaci a brevetto scaduto: ecco i nuovi dati del rapporto Osmed
newssanità
p 29
Stati vegetativi Tanti percorsi di cura regionali, nonostante un’unica direttiva nazionale Riconoscimenti Il migliore ambiente di lavoro in Italia è Sanofi Pasteur MSD Organisation of European Cancer Institutes L’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, un’eccellenza europea
32 OncoStories Il dialogo, una tappa fondamentale nel percorso del paziente oncologico
Abbonamento annuale sostenitore Medico e paziente € 30,00 Abbonarsi è facile: w basta una telefonata 024390952 w un fax 024390952 w o una e-mail abbonamenti@medicoepaziente.it
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Farminforma
p 26 professione
Abbonamento annuale ordinario Medico e paziente € 15,00
Numeri arretrati € 10,00
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>>>>>>
sommario
Modalità di pagamento 1 Bollettino di ccp n. 94697885 intestato a: M e P Edizioni srl - via Dezza, 45 - 20144 Milano 2
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la nuova versione del sito e n i l n o www.medicoepaziente.it cambia volto!
Il nuovo sito si presenta come una galassia, che ha come centro la figura del Medico di Medicina generale. www.medicoepaziente.it non è un portale generico, e nemmeno la versione elettronica della rivista, ma un aggregatore di contenuti, derivanti da una pluralità di fonti, che possano essere utili al Medico di Medicina generale nel suo lavoro quotidiano.
www.medicoepaziente.it
info@medicoepaziente.it
letti per voi Epidemiologia
Negli adulti, il consumo moderato di alcol potrebbe avere effetti protettivi nei confronti dello scompenso cardiaco: i risultati di un braccio dello studio ARIC £
Le persone che consumano alcol in quantità moderate, fino a sette “drink” alla settimana hanno minore rischio di andare incontro a insufficienza cardiaca. Lo dimostrano i risultati di un ramo del noto studio Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) che sono giunti dopo un follow up di 24 anni. Non si tratta di risultati del tutto nuovi. Effetti benefici derivanti dall’assunzione di modeste quantità di alcol, specialmente vino, in persone
sane, sono stati più volte documentati in letteratura. Lo studio in questione, pubblicato sull’European Heart Journal, ha esaminato la relazione tra consumo di alcol e rischio di sviluppare scompenso cardiaco in 14.629 soggetti, senza malattia, di età media pari a 54 anni (45 per cento uomini e 74 per cento di etnia caucasica) residenti in North Carolina, Mississippi, Minnesota e Maryland. I partecipanti sono stati invitati a rispondere a un questionario
Prevenzione CV
strutturato, al basale e in successive 3 visite ogni 3 anni nel corso del follow up, che aveva lo scopo di valutare il consumo e il quantitativo di alcol. I ricercatori hanno definito un “drink” equivalente a 14 g di alcol (etanolo): 118 ml di vino contengono 10,8 g di alcol, 355 ml di birra ne contengono 13,2 g, e 44 ml di liquore 15,1 g. I partecipanti sono stati classificati in sei categorie: ex bevitori, astemi, quelli che bevono fino a 7 drink alla settimana, quelli che ne consumano meno di 14, tra 14 e 21 e più di 21 drink alla settimana. Durante il follow up 1.271 uomini e 1.237 donne hanno manifestato scompenso cardiaco. Dopo aggiustamento per molteplici fattori confondenti, l’analisi dei risultati ha mostrato che
£ Nei pazienti affetti da diabete di tipo 2, la prevenzione in termini di eventi cardiovascoNel diabete di tipo 2 è più efficace un lari e mortalità può essere più efficacemente normale trattamento antipertensivo perseguita con un trattamento antipertensivo che non attraverso un controllo glicemico inche un controllo glicemico aggressivo: tensivo. Lo dimostrano i risultati del trial ACi risultati di un follow up a 6 anni TON: in termini di mortalità si confermano i benefici di un’associazione ACE-inibitore/ dello studio Advance diuretico rispetto all’obiettivo di una glicata del 6,5 per cento. È questa, in sintesi, la conclusione che si può trarre dai risultati del recente follow-up a 6 anni dal trial Advance (Action in Diabetes and Vascular Disease: Preterax and Diamicron Modified Release Controlled Evaluation). In origine, il disegno fattoriale dal trial Advance aveva dimostrato che la combinazione di perindopril e indapamide (combinazione di ACEinibitore e diuretico) era in grado, rispetto al placebo, di ridurre la mortalità in questa popolazione di pazienti, mentre non aveva ottenuto lo stesso risultato – rispetto a un controllo glicemico standard - un controllo intensivo della glicemia mirato a conseguire un livello di emoglobina glicosilata (HbA1c) inferiore al 6,5 per cento. Dopo 6 anni gli stessi Autori della ricerca (coordinati da Sophia Zoungas e John Chalmers, entrambi del Boden Institute dell’Università di Sydney, Australia) hanno deciso di effettuare un follow-up invitando i partecipanti ancora in vita, allo scopo di verificare se gli effetti osservati si fossero mantenuti o meno. Gli end point primari, in particolare, erano costituiti dalla mortalità per qualsiasi causa e dagli eventi vascolari maggiori. Le caratteristiche di base sono apparse simili tra gli 11.140 pazienti che 6 anni prima erano stati sottoposti a randomizzazione e gli 8.494 soggetti che hanno preso parte al follow-up post-trial per una mediana di 5,9 anni (ai fini del confronto pressorio) e 5,4 anni (per il paragone relativo al controllo glicemico). Le riduzioni di rischio di decesso per ogni causa e per cause cardiovascolari che si erano osservate nel gruppo che aveva ricevuto un trattamento attivo antipertensivo si erano attenuate, ma erano ancora significative al termine del follow-up post-trial. I rapporti di rischio (hazard ratio) erano infatti passati da 0,91 (P =0,03) a 0,88 (P =0,04). Al contrario non si sono ancora notate differenze, al momento del follow-up, nel rischio di decesso per qualsiasi causa o per eventi maggiori macrovascolari tra i gruppi con controllo glicemico standard e intensivo, con hazard ratio identiche, pari a 1,00. Zoungas S, Chalmers J et al. New Engl J Med 2014; 371(15): 1392-406
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Medico e paziente
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rispetto agli astemi, negli uomini che consumavano fino a 7 drink/settimana il rischio di scompenso si riduceva del 20 per cento, e nelle donne del 16 per cento (per gli uomini HR 0,80, 95 per cento CI 0,68-0,94; P =0,006; per le donne HR 0,84 95 per cento CI 0,711,00; P =0,05). Tale relazione tuttavia non veniva evidenziata nelle classi di soggetti che consumavano più di 21 drink alla setimana, in cui tra l’altro è stato riscontrato un aumentato rischio di decesso (HR 1,47, 95 per cento CI 1,23-1,75 negli uomini; HR 1,89, 95 per cento 1,18-2,99 nlle donne). Nelle donne in particolare, anche un consumo tra 14 e 21 drink aumentava la probabilità di decesso (HR 1,87, 95 per cento CI 1,22-2,86). Tale rischio secondo gli Autori, è da attribuire a patologie quali cancro, cirrosi epatica, ma anche a comportamenti aggressivi e violenti. Il meccanismo alla base di questi risultati non è del tutto chiaro. L’alcol è una nota tossina cardiaca, e un’assunzione sostenuta porta a danneggiare il cuore conducendo allo scompenso. Un consumo moderato tuttavia porta a un effetto protettivo verso questa patologia, probabilmente perché abbassa il rischio di coronaropatie. In particolare alcuni studi avevano evidenziato in passato come vi sia un’azione positiva su alcuni fattori di rischio cardiovascolare, come colesterolo HDL, sensibilità all’insulina, funzione endoteliale. Gli Autori del lavoro precisano però molto chiaramente che esiste un legame tra la riduzione del rischio di sviluppare insufficienza cardiaca e l’assunzione moderata di alcol, ma ciò non significa che adottare questa abitudine porti necessariamente a un abbassamento del rischio. E soprattutto sottolineano che è compito del medico curante stabilire, anche in base alle raccomandazioni e linee guida attuali, il quantitativo ottimale di alcol per ciascun paziente considerando anche età e patologie concomitanti. Gonçalves A, Claggett B et al. Eur Heart J 2015; DOI: 10.1093/EURHEARTJ/ EHU514.
Fibromialgia
I test di autovalutazione: un semplice (e rapido) strumento per individuare i sintomi cognitivi associati alla patologia £ La fibromialgia (FM) è una patologia di recente identificazione, che solo da poco è stata inserita nella categoria delle malattie reumatiche. Si manifesta come sindrome dolorosa cronica con tensione muscolare, ed è caratterizzata da un’ampia ed eterogenea pletora di sintomi, che vanno dalla rigidità generalizzata o localizzata, alla stanchezza e affaticamento, ai disturbi del sonno. Si manifesta tuttavia anche con cambiamenti dell’umore, disturbi d’ansia, difficoltà di concentrazione. Tanto che è stata coniata l’espressione “fibro fog” per identificare uno stato di “annebbiamento” derivante da diversi disturbi cognitivi, che spesso non emergono nella performance alle batterie standard di test cognitivi, ma che al contrario comportano disagi per il paziente in ambito lavorativo e nell’esecuzione delle attività quotidiane. Alcune stime indicano come il 50-80 per cento dei soggetti con FM presenti declino nella memoria di lavoro, nell’attenzione e nelle funzioni esecutive. La compromissione cognitiva è da poco stata inserita tra i criteri diagnostici ACR (American College of Rheumatology) per la FM, tuttavia l’alterazione delle funzioni cognitive viene molto spesso trascurata, individuata in ritardo e di conseguenza sottotrattata. Ciò è in parte dovuto alle difficoltà insite nell’esecuzione dei test neuropsicologici, e al tempo necessario all’interpretazione specialistica. Una possibile strada per ovviare a queste difficoltà è l’impiego di strumenti di autovalutazione da parte del paziente, che tuttavia possono essere afflitti da bias, specie in caso di concomitante sindrome depressiva. L’obiettivo del presente lavoro, condotto da ricercatori dell’Università di Torino, era duplice: analizzare la presenza di compromissione cognitiva in pazienti con FM e la relazione esistente tra presenza di tali compromissioni e riconoscimento/valutazione da parte dei pazienti, in confronto a un gruppo di soggetti sani. Trenta pazienti FM e 30 controlli sono stati sottoposti a valutazione clinica e neuropsicologica della memoria a breve e lungo termine, e di lavoro, della funzione esecutiva, e ad autovalutazione della compromissione cognitiva e dei sintomi ansiosi e depressivi. Per analizzare a fondo i processi esecutivi è stato utilizzato il modello di Miyake e coll. a 4 domini (flessibilità, inibizione, updating e accesso). Quale strumento di autovalutazione da parte dei pazienti è stato impiegato il FACT-Cog. L’analisi dei risultati ha confermato la presenza di compromissione dell’attenzione, della memoria a lungo termine, della memoria di lavoro e in altri processi esecutivi (in particolare flessibilità e updating) nei pazienti FM rispetto a quanto riscontrato nei controlli. Queste alterazioni sono state riportate dai pazienti indipendentemente dalla presenza di sintomi depressivi. Secondo gli Autori pertanto, l’impiego di questionari di autovalutazione nella pratica clinica potrebbe rappresentare un’utile opzione di screening delle alterazioni cognitive nella FM, e in molti casi potrebbe non essere necessario l’impiego di batterie complete di test neuropsicologici che richiedono un grosso dispendio in termini di tempo. Tesio V, Torta DME et al. Arthr Care&Res 2015; 67 (1): 143-50.
Medico e Paziente
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letti per voi Terapia del dolore
La formazione del personale medico migliora la gestione del dolore e l’appropriatezza terapeutica in pazienti anziani ricoverati in Medicina interna: i risultati dello studio multicentrico Domino-Fadoi £ La legge 38/2010 ha contribuito ad aumentare l’attenzione verso la terapia del dolore e l’accesso alle cure palliative da parte della comunità medica italiana. Ciononostante l’effettiva prevalenza di questo sintomo, così come la sua gestione nel paziente ospedalizzato, risultano ancora non ben definite. Il dolore cronico di natura oncologica e non, specialmente negli anziani rappresenta un sintomo rilevante. È importante pertanto conoscere come viene gestito il dolore in questa classe di pazienti per identificare i “punti deboli” su cui si può intervenire per migliorare l’iter dell’anziano con dolore. In questo contesto si colloca lo studio DOMINO, promosso e coordinato da Fadoi. Significativamente, lo studio è stato condotto nei reparti ospedalieri di Medicina Interna (MI), nei quali i pazienti sono quasi sempre anziani e polipatologici. In questi ambiti non è ben noto in che misura il sintomo dolore sia rilevato,
valutato e caratterizzato in termini di origine e intensità. È uno studio osservazionale retrospettivo multicentrico, che ha coinvolto 26 Unità operative di MI sul territorio nazionale. Lo studio si compone di tre fasi: la Pre fase prevede una raccolta dati di tipo retrospettivo riguardante le cartelle ospedaliere degli ultimi 100 pazienti consecutivi dimessi da ciascun centro partecipante, con lo scopo di individuare e analizzare i pazienti nei quali è presente il sintomo dolore e/o un suo trattamento specifico. Nella fase intermedia è stato realizzato un programma educazionale eseguito presso i centri partecipanti attraverso l’intervento di formatori esterni (con tecnica delle outreach visits). Lo scopo del programma educazionale è quello di diffondere in modo omogeneo alcune indicazioni derivate da linee guida. La fase Post, condotta a 6 mesi dalla formazione, ha previsto una seconda
raccolta dati di tipo retrospettivo con le medesime caratteristiche della fase Pre, che quindi aveva l’obiettivo di valutare gli effetti del programma formativo. Complessivamente sono state analizzate 5.200 cartelle cliniche, e il dolore è stato documentato nel 37,5 per cento dei pazienti. Dopo il programma di formazione, l’intensità del dolore è stata descritta in modo appropriato in una maggiore quota di pazienti (77,4 vs 47,8 per cento), e veniva monitorata molto più di frequente durante il ricovero. Anche la componente qualitativa (patogenesi, durata ecc.) è stata meglio descritta nella fase Post (75,4 vs 62,7 per cento). E, un dato significativo riguarda anche l’uso di oppioidi forti, che nella fase Post registravano un incremento del 73,3 per cento. In conclusione, il dolore è un sintomo presente in 4 su 10 pazienti ricoverati nei reparti di MI. La gestione di questo sintomo è risultata molto più appropriata in seguito all’attuazione di un programma di formazione. E in particolare, questo comporta che in una maggiore percentuale di pazienti venga adottata una terapia mirata, anche a base di oppioidi forti laddove necessario. Civardi G, Zucco F et al. Int J Clin Pract 2015; 69 (1): 33-40
o ic d e M il r e p iù p in to n e m u tr s Un o e Paziente, ic ed M i d to en m le Il supp iglia e Specialisti m fa i d i ic ed M a o destinat
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a e aggiorna Algosflogos inform patologie sulla gestione delle rapia del dolore te a ll su , ri la o ic rt osteo-a metabolismo osseo e sulle malattie del Medico e paziente
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Diabete di tipo 2 Il nuovo algoritmo AIFA per una gestione personalizzata della malattia Lo scorso 22 gennaio è stato presentato il nuovo algoritmo realizzato dall’AIFA in collaborazione con la Società italiana di diabetologia (SID) e l’Associazione medici diabetologi (AMD), per la gestione del diabete di tipo 2 (DT2). Si tratta di un innovativo strumento on line, disponibile ad accesso libero sul portale AIFA (www. agenziafarmaco.gov.it/it/content/modelloalgoritmo-terapia-diabete), quindi non solo riservato ai medici, ma anche ai pazienti, che permette di formulare un percorso per la definizione della terapia personalizzata per questa patologia. Come è stato evidenziato alla conferenza di presentazione, non si tratta di raccomandazioni o linee guida, quanto piuttosto di una guida per orientare medici e pazienti nell’individuazione della terapia farmacologica più adatta alle esigenze del singolo paziente, mutevoli nel corso del tempo e differenti da persona a persona. E anche lo “scheletro” di questo sistema online è una sorta di “work in porgress”, che potrà essere aggiornato di continuo, rispecchiando esso stesso quindi le mutevoli esigenze e condizioni del paziente e della malattia. Si tratta di un importante passo in avanti del nostro Paese nella lotta a questa patologia, che nel mondo ha ormai raggiunto dimensioni epidemiche, non risparmiando
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Medico e paziente
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neppure aree quali l’Africa e l’India. I dati dell’International Diabetes Federation (IDF) relativi al 2013 indicano valori poco confortanti: nel mondo complessivamente i diabetici sono 382milioni, e in meno di 25 anni potrebbero diventare oltre 590milioni. L’algoritmo AIFA-SID-AMD ha riscosso la piena approvazione anche da parte delle istituzioni. Il ministro Beatrice Lorenzin, in una nota sottolinea come “Il diabete rappresenta una malattia di alto interesse sociale, sia per l’impatto sulla vita relazionale della persona che per le notevoli conseguenze sulla società. È soprattutto l’impatto di tipo economico e sanitario che ha imposto la ricerca di percorsi organizzativi in grado di minimizzare il più possibile l’incidenza degli eventi acuti o delle complicanze invalidanti del diabete. Aspetto che richiede la collaborazione in primis di una fitta rete multidisciplinare di professionalità sanitarie, ma in particolar modo del paziente. Condivido pertanto non solo l’opportunità, ma anche la necessità di fornire agli operatori sanitari e ai pazienti una guida all’approccio individuale”. Il DT2 è una patologia complessa, per la quale abbiamo oggi a disposizione numerose classi di farmaci con target terapeutici differenti, alcune delle quali approvate pochissimo tempo fa.
A cura della Redazione
I numeri del diabete in Italia Per contestualizzare l’algortimo dell’AIFA, non possiamo non considerare innanzitutto i dati epidemiologici del diabete e l’impatto economico e sociale che ne deriva. Questi aspetti sono stati ben delineati dal prof. Enzo Bonora, presidente della SID, alla conferenza romana. Secondo i dati del 2012, il diabetici noti in Italia sono circa 3.750.000, di cui la maggioranza (3.600.000) sono affetti da DT2; questo in pratica significa che 1 persona su 16 è affetta dalla malattia e sa di esserlo. A questi valori vanno aggiunti però i dati sommersi, circa 1.250.000 persone diabetiche non diagnosticate. Complessivamente quindi possiamo considerare circa 5.000.000 di per-
sone. A questi dati certamente impressionanti, si aggiunge il fatto che il diabete è una patologia cronica di lunga durata, si manifesta in diverse fasi, che possono esordire anche in giovane età. La malattia infatti, passa dalla condizione di prediabete, al diabete conclamato che porta alle innumerevoli complicanze croniche associate e al danno d’organo terminale. L’iperglicemia come noto ha un impatto negativo “multiorgano” (occhio, nervi, cuore e vasi, rene, cervello, polmone, tubo digerente, apparato osteoarticolare). Le complicanze sono gravissime e disabilitanti. Basti pensare al fatto che il DT2 è la prima causa di cecità, è la maggiore causa di insufficienza renale e dialisi, è la prima causa di amputazione degli arti inferiori non traumatica, ed è concausa in una quota che varia dal 40 al 50 per cento, degli infarti e ictus. A titolo d’esempio possiamo citare questi dati, che certamente “non vorremmo conoscere, ma che non possono esse-
re ignorati”. Nel nostro Paese ogni 2 minuti una persona riceve diagnosi di DT2, ogni 7 minuti un diabetico ha un attacco cardiaco, ogni 26 minuti un diabetico sviluppa insufficienza renale, ogni 30 minuti un malato di diabete ha un ictus. La “black list” potrebbe continuare ancora, ma già questi numeri sono sufficienti per dare un’idea della complessità e dell’impatto in termini di riduzione dell’aspettativa di vita (Figura 1). A differenza di altre malattie croniche, contrassegnate anche esse da una prognosi sfavorevole, il diabete rappresenta quasi un caso a sé stante, come si può vedere in tabella 1.
Un impatto economico e sociale immane Non solo aspettativa di vita ridotta, ma anche qualità di vita scadente: per gestire la patologia, ai malati si richiedono nel corso della vita da 10 a 50mila azioni differenti.
Fonte: Franco et al. Arch Intern Med 2007; 167: 1145
Medico e Paziente
1.2015
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Tabella 1. diabete di tipo 2: una malattia “speciale” Malattia
Organi coinvolti
N. Parametri laboratorio
N. Esami strumentali
N. Classi farmaci
N. Specialisti coinvolti
Prognosi
Osteoartrosi
Scheletro
0
1
3
2
Favorevole
Patologia peptica
Stomaco
0
1
2
1
Favorevole
BPCO
Polmone
0
2
4
1
Può essere sfavorevole
Scompenso cardiaco
Cuore
1
2
6
1
Sfavorevole
Diabete mellito
Tutti
22
13
32
12
Sfavorevole
È una patologia che richiede un impegno quotidiano (dieta, esercizio fisico, assunzione di farmaci orali o iniettabili, autocontrollo della glicemia), con limitazione anche incisiva nello svolgimento delle abituali attività lavorative e sociali, ma necessita anche di periodici esami strumentali e di laboratorio, di visite mediche specialistiche. Ne deriva un peso economico importante (Figura 2), legato sia ai costi diretti, che a quelli indiretti personali, familiari, aziendali conseguenti alla perdita di produttività del paziente o del caregiver. Il costo delle ospedalizzazioni è ben più elevato di quanto calcolato con il sistema del rimborso in base alle tariffe DRG. Nel 2012, il ricovero ordinario di un diabetico è stato valorizzato con il sistema DRG, in circa 2.650 euro. La durata media di degenza è stata di 10,7 giorni. I dati del Ministero della Salute indicano che il costo reale di 1 giornata di degenza sia di circa 750 euro. Ebbene, il costo di una degenza di circa 10,7 giorni ammonterebbe a ben 8.000 euro, ovvero il triplo di quanto valorizzato con il DRG. Continuando ancora, sempre in riferimento al 2012, il costo reale della cura del diabete è dell’ordine dei 4mila euro per paziente/anno (di cui il 90 per cento è attribuibile alle complicanze e un 10 per cento alla gestione standard) che moltiplicato
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Medico e paziente
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per il numero dei diabetici (3,75 milioni) porta all’”autorevole” risultato di 15 miliardi di euro all’anno. A questi costi però vanno aggiunti i costi diretti personali (ticket per prestazioni non esenti, partecipazione alla spesa per alcuni farmaci, visite ecc.) non facilmente quantificabili, i costi indiretti legati all’assistenza, alla perdita di produttività ecc. stimati nell’ordine dei 12 miliardi di euro/anno. E infne, ma non per importanza ci sono i costi morali, legati alla ridotta qualità di vita, alla disabilità e alla premorienza, che sono incommensurabili. Ecco dunque cosa rappresenta il diabete oggi: un peso immane per la persona, la famiglia e la società.
Raccogliere la sfida del diabete Avere la conoscenza esatta di quanto il diabete comprometta la vita di così tante persone e delle rispettive famiglie dovrebbe permettere di pianificare meglio strategie di prevenzione, diagnosi e cura, soprattutto di prendere decisioni sull’allocazione delle risorse e la definizione delle priorità dei vari interventi a livello nazionale, regionale e locale. Come sottolineato dal prof. Bonora, il diabete ha lanciato una sfida che può essere fatale per l’individuo e destabilizzante per la società. La sfida va raccolta con adeguate conoscenza, consapevolezza
e saggezza da parte delle persone con la malattia, dei loro familiari, dei medici, specialisti e MMG, degli altri operatori sanitari che collaborano nella cura, dei decisori, e dei politici. “È una sfida da vincere tutti insieme oppure che tutti perderemo”. L’algoritmo messo a punto da AIFA, SID e AMD rappresenta in tal senso un’importante risposta. Sempre più evidenze dalla letteratura degli ultimi anni, enfatizzano l’importanza di un approccio individualizzato al trattamento del DT2, sia in termini di obiettivo glicemico che di opzioni terapeutiche, al fine di ridurre la mortalità e l’incidenza di complicanze. In considerazione della crescente disponibilità e varietà di farmaci ipoglicemizzanti, l’algoritmo si propone di fornire agli operatori sanitari e ai pazienti una “guida” all’approccio terapeutico individuale il più possibile aggiornata e di facile utilizzo. Il tutto nell’obiettivo di armonizzare le più recenti evidenze scientifiche con la necessaria appropriatezza prescrittiva e il rispetto della rimborsabilità sostenibile a carico del SSN.
Come nasce l’algoritmo Le caratteristiche dell’algoritmo sono state ben illustrate da Luca Pani, direttore generale dell’AIFA. Innanzitutto sebbene lasci la decisione finale al giudizio clinico, secondo quanto
indicato dalle principali linee guida e società scientifiche, l’algoritmo ha lo scopo di presentare le diverse opzioni terapeutiche nell’ambito di quanto rimborsato dal SSN. In tal senso l’algoritmo è uno strumento di appropriatezza prescrittiva. I farmaci non rimborsati o in corso di definizione non sono stati inclusi nell’algoritmo. Alcune classi di farmaci sebbene inserite nell’algoritmo prevedono limiti alla rimborsabilità in alcune circostanze. Altra nota significativa è la condivisione della decisione terapeutica con il paziente al fine di migliorare l’aderenza alla terapia. Per costruire l’algoritmo sono state utilizzate le linee guida internazionali (ADA, EASD, IDF) e nazionali (standard di cura SID-AMD), le metanalisi citate nei suddetti documenti, le pubblicazioni su riviste “peer review”. Entriamo nell’algoritmo L’algoritmo (disponibile in versione
flash player sul sito dell’AIFA) si divide in tre sezioni: la prima è dedicata a individuare l’obiettivo glicemico attuale del paziente, la seconda e la terza a orientare la scelta della terapia. Per misurare il target glicemico è necessario verificare la percentuale di emoglobina glicata (HbA1c) presente nel sangue che riflette i valori di glicemia degli ultimi mesi e consente di prevedere eventuali complicanze micro- e macrovascolari del diabete. Livelli di HbA1c strettamente vicini al 7 per cento hanno dimostrato di ridurre l’incidenza per esempio di patologie retiniche, nefrologiche e del sistema nervoso e, se mantenuti sin dalla diagnosi, anche delle complicanze macrovascolari a lungo termine. Sono pertanto raccomandati per la maggior parte dei pazienti adulti con DT2. Livelli di HbA1c meno stringenti (per esempio <8 per cento) unitamente all’obiettivo essenziale di evitare le ipoglicemie, sono invece da preferire nei pazienti più anziani, fragili e
con malattia avanzata o complicata. Ne consegue che il target glicemico, oltre a differenziarsi a seconda dei pazienti, vada riconsiderato nel corso del tempo anche nel singolo individuo. La base su cui tuttavia si inserisce l’approccio terapeutico è la modifica delle abitudini di vita e il mantenimento di uno stile di vita sano. Come ha ricordato Luca Pani, ricorrere periodicamente all’esercizio fisico e tenere sotto controllo il peso sono aspetti da adottare e incoraggiare anche nel prosieguo della malattia. Nel caso in cui queste misure da sole siano insufficienti a raggiungere o mantenere il target glicemico individuato, va intrapresa prontamente o modificata la terapia farmacologica. La scelta della terapia va “cucita” sulla base delle caratteristiche del paziente con il quale è opportuno condividere la decisione terapeutica, al fine di migliorare il più possibile l’aderenza al trattamento. Il
Fonte: Osservatorio ARNO Diabete. SID-CINECA, 2012
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coinvolgimento attivo del malato è una sorta di perno su cui si inserisce l’aderenza e la compliance al trattamento stesso. L’algoritmo è sviluppato per pazienti con neo diagnosi e/o non ancora in trattamento farmacologico; tuttavia è possibile utilizzarlo anche nel caso di pazienti già in terapia ipoglicemizzante accedendo direttamente in corrispondenza del punto più vicino a quest’ultima. Il passaggio a ogni step successivo dell’algoritmo è previsto qualora il target desiderato di HbA1c non sia stato raggiunto alla dose massima tollerata della terapia in atto sino a quel momento. Ovviamente, il sistema può anche essere percorso al contrario nel caso in cui le mutate condizioni cliniche suggeriscano una riduzione dell’attuale terapia. L’individuazione del trattamento è possibile anche in presenza di pazienti eventualmente intolleranti o che presentino controindicazioni associate all’uso della metformina, il farmaco di scelta per la cura del DT2. Un sistema complesso, ma solo in apparenza Abbiamo più volte sottolineato la complessità della patologia diabetica, e l’algoritmo chiaramente ne tiene conto. Non dovrebbe meravigliare dunque il fatto che anziché una semplice flow chart, ci si trovi davanti un “albero pluriramificato”. L’algoritmo deve permettere infatti la gestione di una malattia complessa e mutevole, ma in modo personalizzato, laddove anche le caratteristiche del singolo cambiano con l’evoluzione della malattia, e nel tempo. Per impostare la terapia, il target glicemico da solo non è sufficiente. Le principali società scientifiche sottolineano con forza come la personalizzazione della terapia deve andare oltre il semplice obiettivo glicemico (valutando per esempio il rischio di ipoglicemie), inseren-
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do ulteriori variabili ed elementi di complessità. Ecco dunque i motivi per cui il medico, consultando l’algoritmo si troverà di fronte a diversi diagrammi di flusso, che gli permetteranno di trovare quale sia l’obiettivo glicemico preferibile per il suo paziente diabetico e cardiopatico, così come quale farmaco o combinazione di farmaci siano preferibili in quel caso in base al rapporto beneficio/rischio. È chiaro che gli snodi e le ramificazioni possibili sono centinaia, ma il medico in realtà, per un paziente, ne dovrà percorrere solo alcuni. Si tratta comunque di un sistema in fieri, che quindi potrà essere “ritoccato” e aggiornato sulla base del riscontro ottenuto dal suo utilizzo nella pratica clinica. Il sistema, come evidenziato da Luca Pani, presenta anche dei limiti. Il gap principale deriva dall’evidenza relativamente limitata nella scelta di particolari opzioni o combinazioni di farmaci; in ragione della notevole disponibilità di principi attivi, non tutte le opzioni/combinazioni sono state adeguatamente confrontate in studi head-to-head. È un problema già evidenziato dalle principali linee guida in materia che, in mancanza di prove di efficacia comparativa su outcomes maggiori di lungo termine, orientano a considerare altri benefici dei singoli principi attivi, in primo luogo la possibilità di ridurre le ipoglicemie, lasciando la scelta del farmaco al medico. L’algoritmo può quindi guidare tra le opzioni disponibili e attualmente rimborsate, riportandole tutte nella massima trasparenza. Ma la decisione finale su quale strada seguire spetta al medico.
In conclusione L’algoritmo è un chiaro segnale di risposta positiva alla sfida lanciata dal diabete nel nostro Paese. Si pone come strumento di traspa-
renza e di supporto all’utente per la gestione della terapia, sulla base di quanto rimborsato in Italia. Il coinvolgimento attivo delle società scientifiche nell’individuazione in progress di criteri di appropriatezza sempre più orientati verso trattamenti di migliore efficacia, consentirà inoltre di rendere la raccolta dei dati in real life da parte dei Centri prescrittori, più fruibili e di qualità. A tal proposito il prof. Antonio Ceriello, presidente dell’AMD, ha sottolineato come “L’algoritmo terapeutico per il diabete mellito di tipo 2 realizzato da AIFA, con la collaborazione di AMD e SID è la chiara testimonianza della collaborazione possibile tra Autorità regolatoria e società scientifiche per perseguire l’obiettivo comune dell’appropriatezza delle cure. Un obiettivo che è utile non solo al sistema sanitario, ma anche a medici e cittadini, perché permette un miglior utilizzo delle risorse. Di fronte al progressivo invecchiamento della popolazione e all’aumento del carico delle patologie croniche, infatti, non è più pensabile dare tutto a tutti. D’altro canto, non è neanche ipotizzabile limitare, per meri fini economici, l’impiego delle innovazioni terapeutiche. Oggi, per curare il diabete, disponiamo di 10 classi di farmaci; sappiamo che quanto prima affrontiamo con le cure farmacologiche la malattia, tanto migliori saranno i risultati nel medio e lungo termine; abbiamo imparato a non pensare solo alla glicemia della persona, ma alla persona con diabete nel suo complesso, al suo stile di vita, alle sue eventuali fragilità: la terapia deve essere personalizzata e individualizzata”.
I contenuti presentati in questo articolo, e le relazioni di Enzo Bonora, Antonio Ceriello e Luca Pani sono interamente consultabili, con accesso libero, sul sito dell’AIFA.
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diabete di tipo 2
Gli SGLT2 inibitori Una promettente classe di farmaci per il trattamento del dT2 Nell’ambito della terapia del diabete di tipo 2, gli sglt2 inibitori sono farmaci di recentissima introduzione. Si presentano con un meccanismo d’azione del tutto nuovo, che ha come bersaglio il rene
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l diabete tipo 2 (T2DM) è una malattia cronica progressiva associata a un’alta morbidità e a una prematura mortalità cardiovascolare. La sua prevalenza è in continuo, allarmante aumento; si è stimato che, nel 2013, 382 milioni di persone al mondo fossero portatori di T2DM noto, e diventeranno quasi 600 milioni entro i prossimi 20 anni (1). Quasi tutti i farmaci anti-iperglicemizzanti attualmente disponibili presentano alcune limitazioni, quali il meccanismo d’azione insulino-dipendente (che ne condiziona una progressiva perdita di efficacia), il rischio di ipoglicemia, l’induzione di un aumento di peso. Gli SGLT2 inibitori, una nuova classe di farmaci per il trattamento del T2DM disponibile anche in Italia a partire dai prossimi mesi, sono caratterizzati da un innovativo meccanismo d’azione che mette per la prima volta il rene al centro della scena non come sede della temibile complicanza che tutti cerchiamo di fronteggiare ogni giorno, ma come strumento per il trattamento della malattia, e presentano caratteristiche cliniche di estremo interesse, quali un meccanismo d’azione completamente insulino-indipen-
A cura di Anna Solini Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Università di Pisa
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dente, un’efficacia clinica che include effetti benefici sul peso corporeo e sulla pressione arteriosa, un’eccellente tollerabilità (2, 3).
Cenni sul meccanismo d’azione Il rene partecipa in modo significativo all’omeostasi del glucosio; infatti, oltre a filtrare e riassorbire la quota di glucosio introdotta con la dieta, contribuisce alla sua produzione endogena nello stato postassorbimento, partecipando alla gluconeogenesi in ragione del 15-20 per cento, tutto prodotto dalla corticale. In condizioni normali, la maggior parte del glucosio filtrato a livello del glomerulo è riassorbito nella prima parte del tubulo (segmenti S1/ S2) dal cotrasportatore di tipo 2 (SGLT2), espresso quasi esclusivamente nel rene. Il glucosio rimanente dopo questa prima estrazione, circa il 10 per cento da dati ottenuti nell’animale, è riassorbito dal cotrasportatore di tipo 1 (SGLT1) della superficie luminale delle cellule epiteliali della pars recta, a livello del segmento S3 del tubulo prossimale (4, 5). Questi trasportatori, che presentano una notevole complessità strutturale, hanno il compito di trasferire le due molecole dal lume all’interno del citoplasma delle cellule tubulari attraverso un meccanismo
secondario di trasporto attivo a livello dell’orletto a spazzola. Al polo opposto della cellula, cioè a livello della membrana basolaterale, il GLUT2 trasferisce a sua volta la molecola di glucosio dallo spazio intracellulare all’interstizio e al torrente circolatorio attraverso un meccanismo di trasporto facilitato, con l’intervento di una Na/K ATPasi. Nel soggetto normale, quindi, la glicosuria è assente, almeno fino a quando non viene superata la cosiddetta “soglia renale”, che si situa intorno ai 180 mg/dl di glucosio plasmatico. Nel paziente diabetico, l’espressione degli SGLT2 è, verosimilmente, aumentata (6); di conseguenza, la soglia renale è più alta rispetto al soggetto non diabetico, e ciò implica che la glicosuria non compare fino a quando la glicemia non supera abbondantemente i 180-200 mg/dl. In linea teorica, quindi, cosa ci si dovrebbe attendere bloccando questi trasportatori? Che, del glucosio filtrato, poco o nulla venga riassorbito e, conseguentemente, una massiccia quota di esso venga escreto. Questo è esattamente il meccanismo d’azione degli SGLT2 inibitori, che impediscono il riassorbimento tubulare del glucosio determinando una glicosuria “forzata”, che compare anche per glicemie inferiori alla soglia renale (7, 8). Questo è schematicamente illustrato nella Figura 1. Da quanto sinora detto, appare evidente come l’efficacia terapeutica di questi composti sia sostanzialmente condizionata da due parametri: la concentrazione plasmatica di glucosio e il grado di funzione renale, cioè la velocità di filtrazione glomerulare (9). Non appena la glicemia, per effetto del trattamento con SGLT2 inibitori, scende, si riduce il carico di glucosio filtrato dal rene, con un calo conseguente dell’entità della glicosuria stessa. In questo senso, questa
classe di farmaci mette quindi in atto una sorta di autoregolazione del proprio effetto che riduce al minimo il rischio di ipoglicemie.
Figura 1
Schema che riassume il meccanismo d’azione degli SGLT2 inibitori
Efficacia clinica La classe degli SGLT2 inibitori ad alta selettività include, tra gli altri, dapagliflozin, canagliflozin, empagliflozin, ipragliflozin ed ertugliflozin. L’uso clinico di dapagliflozin, canagliflozin ed empagliflozin è già stato approvato negli USA, in molti Paesi dell’Unione Europea e in Australia. Questi composti hanno dimostrato una buona efficacia nel ridurre sia la glicemia a digiuno che la glicemia postprandiale; ciò si traduce in una riduzione media della HbA1c dello 0,60,8 per cento (10). L’efficacia è documentata in un’ampia gamma di pazienti, dai neo-diagnosticati in cui il farmaco è stato somministrato in monoterapia a quelli in cui è richiesto un potenziamento del trattamento già in atto per un insoddisfacente controllo metabolico. Essi possono essere usati da soli o in add-on a qualunque altro farmaco ipoglicemizzante: la loro efficacia è stata confermata da studi in cui sono stati utilizzati in associazione alla metformina, al pioglitazone, a diverse sulfaniluree, ai DPP-IV inibitori e agli analoghi del GLP-1, nonché all’insulina. La combinazione SGLT2 inibitori-insulina presenta particolari vantaggi, perché questi farmaci, oltre a contribuire a migliorare il compenso, stabilizzano il fabbisogno insulinico e riducono il peso corporeo (11). Un aspetto clinicamente rilevante della loro azione risiede anche nella cosiddetta “durability”, cioè nel fatto che la riduzione della HbA1c osservata negli studi a medio termine (24 settimane) si mantiene nei follow up fino a 4 anni, suggerendo una particolare utilità di questi farmaci nel controllo glicemico a lungo termine.
w Effetti sul peso corporeo Abbiamo prima fatto cenno a effetti clinici
sia una riduzione effettiva della massa grassa, responsabile di almeno due terzi del calo di peso; inoltre, in un sottogruppo di pazienti che avevano ricevuto dapagliflozin rispetto a placebo, in uno studio della durata di 24 settimane, è stata anche effettuata una misurazione precisa del tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo mediante NMR, documentando una riduzione significativa del tessuto adiposo in entrambi i distretti nei pazienti che avevano assunto dapagliflozin (14).
w Effetti sulla pressione arteriosa
ancillari esercitati da questa innovativa classe di farmaci; tra questi, l’effetto sul peso corporeo è particolarmente interessante. Gli SGLT2 inibitori sono in grado di indurre un calo ponderale significativo nella maggior parte dei pazienti trattati. Osservando le riduzioni medie di peso ottenute in una serie di trial pre-registrativi condotti con canagliflozin, usato in monoterapia o come add-on a metformina, sulfaniluree, pioglitazone, insulina, si evidenzia un calo ponderale costante, descritto in tutti gli studi, che si aggira in media tra i 2 e i 3,5-4 Kg (12). L’effetto è sostanzialmente analogo con tutte le molecole della classe. Un aspetto rassicurante di questo effetto sul calo di peso è quello del mantenimento nel tempo: anche in questo senso, i dati sembrano essere incoraggianti, con una media di -3,6 Kg a due anni (13). Oltre a far perdere calorie (attraverso l’induzione della glicosuria), gli SGLT2 inibitori agiscono sostanzialmente come dei diuretici osmotici; si potrebbe quindi pensare che gli effetti benefici sul peso corporeo siano sostanzialmente attribuibili a questo. Alcuni studi hanno però documentato, mediante la determinazione della composizione corporea, come vi
Un altro effetto non trascurabile per rilevanza clinica, ancora una volta legato al peculiare meccanismo d’azione, è quello di abbassare in modo rilevante la pressione arteriosa (15). Le riduzioni medie descritte nei vari studi sono di 3,5-5 mmHg per la sistolica e 1,5-2 mmHg per la diastolica, e questo è vero sia quando il farmaco è usato in monoterapia che quando è impiegato in add-on ad altri agenti ipoglicemizzanti; ad esempio, nello studio CANVAS, con la dose massima di canagliflozin aggiunta all’insulina, si sono avuti effetti altrettanto netti quando corretti per il placebo. È interessante notare come questo effetto terapeutico si mantenga anche in pazienti che già godono di un buon controllo pressorio, e avvenga in assenza di qualsiasi effetto significativo sulla frequenza cardiaca. Una recentissima metanalisi, che comprende 27 trials clinici randomizzati con quasi 13.000 partecipanti (16), ha cercato di approfondire il rapporto tra pressione arteriosa e SGLT2 inibitori, valutando anche la presenza di un’eventuale curva doserisposta. L’uso degli SGLT2 inibitori si associa a una riduzione significativa (−4,0 mmHg (95 per cento CI −4,4, −3,5) della pressione sistolica rispetto al basale, e questa riduzione è analoga negli studi placebo-controllati e in quelli vs il comparator attivo. Le stesse conclusioni possono essere tratte per la diastolica (−1,6 mmHg;
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diabete di tipo 2 Tabella 1
Effetti clinicamente rilevanti e potenziali controindicazioni all’uso degli SGLT2 inibitori Caratteristiche cliniche e vantaggi
Possibili limitazioni all’uso
Escrezione urinaria del glucosio in eccesso
Ridotta efficacia nei pazienti con CKD
Perdita di peso per perdita di calorie
Aumento delle infezioni genito-urinarie
Effetti sulla PA
Cautela nell’uso in pazienti anziani e disidratati
Somministrazione orale Azione insulino-indipendente Non rischio rilevante di ipoglicemia Uso attraverso l’intero algoritmo di trattamento
95 per cento CI −2,2, −1,0). È importante inoltre sottolineare che, come effetto di classe, l’uso di questi farmaci non si associa a un aumento di incidenza di ipotensione ortostatica. Un aspetto a mio avviso molto interessante della cinetica e del meccanismo d’azione di questi composti riguarda il fatto che, mentre la loro efficacia come anti-iperglicemizzanti è stretta funzione, oltre che della glicemia, della funzionalità renale, ed è quindi ridotta in presenza di una rilevante riduzione del filtrato glomerulare, l’effetto antipertensivo si mantiene di entità intatta anche nei pazienti con danno renale moderato. Alcuni lavori, in realtà, sembrano indicare un’efficacia antipertensiva in qualche modo più accentuata in questi pazienti (quasi -6 mmHg per la sistolica) (17); questo suggerisce la coesistenza di altri meccanismi antipertensivi non ancora completamente chiariti. Ad esempio, l’aumentata escrezione urinaria di glucosio determina una modesta diuresi osmotica, che può ridurre il volume intravascolare, che viene però riportato alla normalità (con l’intervento, quindi, di meccanismi compensatori) durante una SGLT2 inibizione prolungata. Questi effetti sono analoghi a quelli osservati con il diuretico tiazidico, il cui uso, nelle fasi iniziali, si associa a una riduzione del volume plasmatico dell’8-12 per cento. Questa azione simil-tiazidico sembra essere confermata dal modesto aumento dell’attività reninica plasmatica
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e delle concentrazioni sieriche di aldosterone. Per quanto riguarda la capacità degli SGLT2 inibitori di influenzare l’andamento di altri fattori di rischio cardiovascolare, gli effetti di questi farmaci sui lipidi plasmatici non appaiono ancora ben definiti. La maggior parte dei trials clinici non riporta un andamento significativamente diverso del profilo lipidico rispetto al placebo; sono stati tuttavia descritti una riduzione dei trigliceridi (-2,0, -5,5 per cento) e un lievissimo, incostante aumento del colesterolo HDL e del colesterolo LDL (18). Un altro effetto clinico positivo è, invece, la ricorrente riduzione dei livelli plasmatici di acido urico, correlata a una sua aumentata escrezione frazionale.
Tollerabilità e sicurezza di impiego Il primo cardine della sicurezza di questi farmaci, anche in pazienti con ridotta funzione renale, è il bassissimo rischio di ipoglicemie a cui si va incontro usandoli. Una recente metanalisi, che analizza studi dove questi farmaci sono usati in monoterapia e come add-on, documenta un OR nettamente favorevole agli SGLT2 inibitori (19). Abbiamo già sottolineato come la piena efficacia degli SGLT2 inibitori richieda una buona funzionalità renale; d’altronde, pur nell’ambito di una efficacia limitata, l’uso
di questi farmaci non interferisce sulla funzione renale. Ad esempio, uno studio ha specificamente valutato a un anno l’uso di due dosi di canagliflozin in pazienti con diabete tipo 2 e ridotto GFR, documentando una efficacia del farmaco, rispetto al placebo, nella riduzione in valore assoluto della HbA1c, nella percentuale di soggetti che raggiungevano il target di HbA1c<7 per cento, nelle variazioni della glicemia a digiuno e nella riduzione del peso corporeo; tutto a fronte di una buona tollerabilità del farmaco (20). Questo dato è confermato dall’analisi globale dei risultati ottenuti con i tre principali SGLT2 inibitori nei pazienti con malattia renale cronica; filtrato tra 60 e 30 ml/min: essi mantengono una certa efficacia terapeutica, un certo effetto sul peso corporeo, una capacità pressochè inalterata di ridurre la pressione arteriosa sistolica, dato questo di non trascurabile importanza in pazienti quasi tutti portatori di ipertensione arteriosa, correlato praticamente obbligato di una funzionalità renale compromessa. Nell’ambito delle esperienze cliniche sinora disponibili (quindi di durata medio-breve), gli SGLT2 inibitori sono generalmente molto ben tollerati. Gli effetti indesiderati più comuni sono quelli attesi in relazione al loro meccanismo d’azione, che induce una glicosuria protratta: cioè infezioni del tratto genito-urinario (21, 22). In realtà, il modesto ma significativo aumento di incidenza si registra a carico delle infezioni genitali, attribuibili prevalentemente a germi opportunistici Per quanto riguarda le infezioni urinarie, esse hanno una eziologia da germi comuni, sono più frequenti nelle donne e interessano soprattutto pazienti predisposti, ad esempio donne con anamnesi positiva per infezioni del tratto genito-urinario o in epoca post-menopausa. Inoltre l’incidenza si riduce con il protrarsi del trattamento, probabilmente per lo sviluppo di fenomeni di adattamento. Queste infezioni rispondono al trattamento standard e non determinano significativi dropout. Non sono state osservate differenze significative nell’incidenza di infezioni del tratto urinario superiore. In relazione al loro effetto diuretico, sono stati segnalati modesti aumenti dell’ematocrito (dell’ordine di +2 per cento); questo
suggerisce cautela nell’utilizzo di questi farmaci in pazienti a rischio di potenziale disidratazione (21). Altre considerazioni da fare sulla maneggevolezza e sul sicuro impiego di questi farmaci, alcuni ancora in relazione alla funzione renale, riguardano gli effetti sul metabolismo fosfo-calcico: si osserva un lieve aumento del paratormone, ma questo non si traduce in una diversa incidenza di fratture nei pazienti trattati rispetto ai controlli.
Conclusioni La possibilità di avere a disposizione una classe di farmaci che, oltre alla glicemia, sia in grado di esercitare un effetto rilevante anche su altri fattori di rischio cardiovascolare è una promettente opportunità. Gli SGLT2 inibitori, oltre all’azione antiiperglicemizzante esercitano una serie di effetti clinici ancillari che possono contribuire a ridurre il profilo di rischio dei pazienti con diabete di tipo 2, migliorando la glucotossicità (con tutto ciò che ne consegue) senza interferire con la funzione β-cellulare; saranno naturalmente necessari anni e una lunga esperienza postregistrativa per capire se e quanto questi effetti possano davvero tradursi in una riduzione del rischio cardiovascolare in questi pazienti.
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fisiologia
Il ruolo del rene nel controllo dell’omeostasi glicemica e nel diabete di tipo 2 la comprensione dei meccanismi di riassorbimento del glucosio a livello del tubulo renale ha permesso lo sviluppo di nuove terapie per il diabete di tipo 2
F
ino a qualche anno fa, nel contesto clinico del diabete il rene era considerato quasi esclusivamente come sede di danno d’organo, e la nefropatia diabetica rappresentava il principale punto di interesse. Nel corso degli ultimi anni la ricerca si è orientata verso una migliore comprensione dei meccanismi di regolazione dell’omeostasi glicemica. Si tratta di un processo articolato dato dall’interazione costante tra pancreas, fegato, muscoli, adipociti e sistema endocrino. In questo network di regolazione, il rene è entrato a farvi parte solo in tempi recentissimi. Il rene interviene nella regolazione dei livelli di glucosio (Glu) attraverso tre pathway differenti: gluconeogenesi a livello della corticale del rene; uptake di Glu e glicolisi a livello della midollare; riassorbimento di Glu a livello del tubulo prossimale (Tabella 1). In questo spazio, pubblichiamo una sintesi di una review apparsa online su Medscape (Andrianesis V, Doupis J. Expert Rev Clin Pharmacol 2013; 6: 519-39), focalizzando l’attenzione sul riassorbimento del glucosio a livello tubulare, dal momento che proprio questo meccanismo è divenuto il target terapeutico dei farmaci, noti come SGLT2 inibitori, di recente approvazione
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da parte degli Enti regolatori statunitense ed europeo, e che, come si vede in dettaglio nell’articolo curato dalla dottoressa Anna Solini, stanno aprendo nuove prospettive nella terapia del diabete.
Fisiologia del riassorbimento tubulare Il riassorbimento di Glu a livello dei tubuli renali è cruciale nell’omeostasi glicemica. In condizioni fisiologiche, la molecola di Glu viene filtrata dalla membrana capillare glomerulare, e in conseguenza tutto il quantitativo di Glu nel sangue passa dalla capsula di Bowman nei tubuli. Se la concentrazione plasmatica normale è pari a 1 g/l, e la velocità di filtrazione glomerulare (GFR) è di circa 180 l/die, il quantitativo di Glu filtrato è di circa 180 g/die (ovvero 125 mg/min). Idealmente, il Glu filtrato non viene escreto con le urine. E dunque, i tubuli hanno la capacità di riassorbire più di 180 g di Glu/die. Questo meccanismo è reso possibile grazie all’azione di diversi meccanismi di trasporto, risultanti dalla presenza e combinazione di proteine con funzione di trasportatori secondari attivi per il Glu e di processi di diffusione passiva. I cotrasportatori SGLT (proteina di trasporto sodio glucosio) Na+/D-Glu (trasporto secondario attivo) sono localizzati sulla membrana luminale delle cellule tu-
bulari. L’energia necessaria per il trasporto del Glu contro gradiente elettrochimico (cioè dal lume verso la cellula) deriva dalla diffusione di ioni sodio (Na+). All’interno della cellula, le basse concentrazioni di sodio e il potenziale elettrico negativo, che appunto permettono la diffusione di Na+ attraverso la membrana luminale della cellula tubulare, sono garantiti e mantenuti da un’ATPasi Na+-K+ dipendente. Questa proteina con funzione di trasportatore attivo è situata a livello basolaterale della cellula epiteliale tubulare e ricava l’energia necessaria per trasportare gli ioni Na+ dalla cellula agli interstizi cellulari, dall’idrolisi di ATP (l’ATP si trasforma in ADP, con rilascio di energia). Grazie a questo meccanismo appunto, i livelli intracellulari di Na+ sono tenuti bassi e il potenziale elettrico negativo. Una volta nella cellula, il Glu fuoriesce attraverso la membrana basolaterale, attraverso un meccanismo di diffusione facilitata. Tutti questi passaggi sono illustrati in figura 1.
I trasportatori del glucosio Le proteine con funzione di trasporto implicate nel meccanismo di riassorbimento tubulare del Glu appartengono a due famiglie: gli SGLT, cotrasportatori Na+-D-glucosio, localizzati a livello dell’orletto a spazzola della cellula tubulare, e gli GLUT, trasportatori del Glu, che agiscono con un meccanismo di trasporto facilitato, localizzati a livello della membrana basolaterale della cellula tubulare. Gli SGLT sono presenti in due isoforme, SGLT2 e SGLT1. Di queste, a livello tubulare la più importante è SGLT2, ed è localizzata prevalentemente a livello del
tubulo prossimale. Essa è responsabile del riassorbimento di circa il 90 per cento di Glu; il restante 10 per cento è riassorbito da SGLT1 a livello del segmento S3 del tubulo prossimale. SGLT2 è presente esclusivamente nel rene, mentre SGLT1, sebbene presente nel rene, è principalmente espressa nell’intestino tenue (sede in cui facilita l’assorbimento di Glu introdotto con gli alimenti). Il sistema di trasporto del Glu è molto efficiente, ma se i livelli di Glu superano i 180 mg/dl (la cosiddetta soglia renale), il sistema arriva a saturazione, e si manifesta glicosuria. Nei soggetti sani, è stata osservata una piccola variabilità interindividuale per quanto riguarda questo limite; e comunque tale soglia risulta essere significativamente più alta nei pazienti con diabete di tipo 2 con aumentato riassorbimento di Glu a livello renale probabilmente in virtù di un aumento dell’espressione dei trasportatori SGLT2 e GLUT. Questo è stato documentato in studi in vitro eseguiti su colture di cellule renali tubulari, isolate da pazienti diabetici. Questo tipo di risposta maladattativa in
pratica, significa che la glcosuria si manifesta solo a livelli plasmatici ben al di sopra dei 180 mg/dl. In teoria dunque, bloccando il riassorbimento renale di Glu e inducendo la comparsa di glicosuria, è possibile diminuire i livelli plasmatici di Glu e quindi ridurre la glucotossicità. Questo meccanismo però potrebbe determinare ipoglicemia. Tuttavia, alcuni studi (DeFronzo et al. 2011; Wright et al. 2007) condotti in pazienti affetti da glicosuria renale familiare, una rara condizione genetica legata a una mutazione nel gene che codifica per SGLT2 (SCL5A2), non hanno riscontrato episodi di ipoglicemia o altri effetti clinici gravi, nonostante i soggetti presentassero livelli importanti di glicosuria. Tali osservazioni hanno “spinto” la ricerca verso l’inibizione di SGLT2 come possibile target terapeutico nel diabete di tipo 2. L’inibizione di SGLT1 non è stata considerata un target potenzialmente idoneo, dal momento che il malassorbimento a livello intestinale di glucosio e galattosio porta a diarrea osmotica, una condizione particolarmente disabilitante. Questo peraltro è stato con-
Figura 1
Il meccanismo di riassorbimento del glucosio a livello del tubulo prossimale Il modello illustra la cellula del tubulo, la localizzazione e le modalità con cui avviene il trasporto del glucosio ATPasi
2 K+ 3 Na+ Na+
interstizi cellulari
glucosio glucosio
GLUT2
lume
SGLT2
Fonte: Peene B, Benhalima K. Ther Adv in Endo and Metab 2014; 5(5): 124-36
Tabella 1
Omeostasi del glucosio: il contributo renale Gluconeogenesi Filtrazione Riassorbimento Consumo Note: ciascuno di questi processi può essere alterato nel diabete di tipo 2, diventando un potenziale bersaglio per nuove terapie.
fermato in studi condotti su pazienti che presentavano una mutazione genetica che portava all’inattivazione di SGLT1.
Gli inibitori SGLT2 Il primo inibitore SGLT2 è di origine naturale ed è la florizina, un glicoside isolato da un chimico francese nel 1835 dalla corteccia del melo. Inizialmente questa sostanza è stata studiata per le sue proprietà antipiretiche, e solo dopo è stato osservato che la sua assunzione era in grado di indurre glicosuria. Tuttavia, la florizina mostrava effetti inibitori sia nei confronti di SGLT2 che di SGLT1, e ciò ne precludeva l’impiego nell’uomo. Gli studi su modelli animali erano risultati molto promettenti, e tra la fine del 1980 e l’inizio del 1990 è stato osservato che la molecola somministrata a topi con diabete portava a una riduzione della glicemia e dell’insulino-resistenza, come anche a un miglioramento nella funzionalità delle cellule-beta. Sono stati prorio questi primi passi nella ricerca di base ad aprire la strada verso la messa a punto di inibitori specifici e selettivi per SGLT2, e attualmente in commercio vi sono tre molecole, che sono state autorizzate più o meno nello stesso periodo, tra il 2012 e il 2014: dapagliflozin, canagliflozin ed empagliflozin (quest’ultimo approvato dall’Ema lo scorso anno). Queste tre molecole sono altamente selettive per SGLT2 (verso SGLT1 rispettivamente empagliflozin >2.500 volte, dapagliflozin >1.200 volte e canagliflozin >250 volte).
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ARIAD Pharmaceuticals
Nuova opzione di trattamento per le forme aggressive di leucemia
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a leucemia mieloide cronica (LMC) colpisce in Europa circa 7mila nuovi pazienti ogni anno. Nel 2013, in Italia i soggetti affetti da LMC sono stati 7.881, con un’incidenza di nuovi casi del 12 per cento ovvero 930 pazienti. La LMC è caratterizzata da una produzione eccessiva e non regolata di globuli bianchi a causa di un’anomalia genetica che produce la proteina BCR-ABL. In seguito alla fase cronica di produzione eccessiva di globuli bianchi, l’evoluzione della malattia conduce a fasi più aggressive definite fasi accelerata e blastica. La leucemia linfoblastica acuta (LLA) Ph+ è un sottotipo di leucemia linfoblastica acuta con cromosoma Ph+ che produce BCR-ABL, e ha un decorso più aggressivo della LMC. Se fino agli anni Novanta la malattia risultava spesso mortale, ora può essere controllata grazie a farmaci intelligenti. Tuttavia, per quella parte di pazienti che non risponde alle terapie attualmente disponibili (inibitori delle tirosin-chinasi) la patologia può rivelarsi fatale. Merita di essere segnalato quindi ponatinib (Iclusig®), un nuovo farmaco di recente approvazione da parte dell’Aifa, indicato per la LMC e per la LLA Ph+. La molecola è efficace in pazienti con LMC che si trovano nella
fase cronica, accelerata o blastica e sono resistenti o intolleranti a dasatinib o nilotinib, e per i quali il successivo trattamento con imatinib non è clinicamente appropriato, oppure in pazienti nei quali è stata identificata la mutazione T315I. Inoltre, è indicato per il trattamento della LLA Ph+ in soggetti resistenti o intolleranti a dasatinib e per i quali il successivo trattamento con imatinib non è clinicamente appropriato, oppure in pazienti nei quali è stata identificata la mutazione T315I. Lo studio PACE ha dimostrato risposte solide e durevoli nei malati con LMC in fase cronica, con oltre l’80 per cento dei pazienti che dopo due anni continuavano a rispondere positivamente al farmaco. Dati più recenti dello studio mostrano una sopravvivenza complessiva dell’82 per cento a 36 mesi, che varia a seconda della gravità della patologia e della fase in cui essa viene trattata. Ponatinib è l’unico farmaco che agisce su una mutazione genetica particolarmente aggressiva, la T315I, e che è in grado di agire su tutte le altre mutazioni clinicamente rilevanti, garantendo un’aspettativa di vita elevata. Il nuovo farmaco rappresenta quindi una risposta concreta per quei pazienti che finora avevano speranze di cura molto limitate.
Lilly
Ca. gastrico avanzato: ok dell’Ema per ramucirumab come terapia di seconda linea
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o scorso 16 gennaio l’Ema ha concesso l’autorizzazione all’immissione in commercio per ramucirumab negli adulti, in combinazione con paclitaxel, per il trattamento dell’adenocarcinoma della giunzione gastroesofagea (GEJ) o gastrico in stadio avanzato dopo la chemioterapia e come monoterapia in questa indicazione per i pazienti per cui il trattamento in combinazione con paclitaxel non è adeguato. La molecola ha ottenuto la designazione di farmaco orfano. Ramucirumab è un antiangiogenico, antagonista del recettore 2 per il VEGF. L’angiogenesi VEGF-mediata è coinvolta nella patogenesi di diverse malattie, compreso il carcinoma gastrico in stadio avanzato.
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La decisione dell’Ema si basa sui risultati di due studi internazionali, randomizzati, in doppio cieco e controllati con placebo di fase III: RAINBOW e REGARD. RAINBOW (665 pazienti) ha valutato ramucirumab in combinazione con paclitaxel per l’adenocarcinoma GEJ o gastrico avanzato dopo chemioterapia, mentre REGARD (355 pazienti) ha valutato ramucirumab come monoterapia nella stessa indicazione. Diversi studi sono in corso o in programma per la sperimentazione di ramucirumab, anche in combinazione con altre terapie oncologiche, per il trattamento di altre forme di tumore. “Si tratta di una significativa novità in un campo, come quello del carcinoma gastrico, in cui da molto
tempo non si sono registrate significative evoluzioni dal punto di vista terapeutico” ha commentato all’incontro di presentazione del farmaco, Carmine Pinto, presidente nazionale dell’AIOM. “Ramucirumab agisce con un nuovo meccanismo angiogenetico rispetto ai farmaci già esistenti perché strutturato per inibire in maniera diretta l’angiogenesi, ovvero la formazione di nuovi vasi sanguigni che apportano sangue alle cellule tumorali; è un farmaco intelligente, quindi, che agisce in maniera specifica sul recettore di tipo 2 del fattore di crescita dell’endotelio vascolare e inibisce la segnalazione a valle coinvolta nella formazione e nel mantenimento del sistema vascolare che alimenta il tumore”.
la nuova versione del sito e n i l n o www.medicoepaziente.it cambia volto!
Il nuovo sito si presenta come una galassia, che ha come centro la figura del Medico di Medicina generale. www.medicoepaziente.it non è un portale generico, e nemmeno la versione elettronica della rivista, ma un aggregatore di contenuti, derivanti da una pluralità di fonti, che possano essere utili al Medico di Medicina generale nel suo lavoro quotidiano.
www.medicoepaziente.it
info@medicoepaziente.it
Novo Nordisk
Terapia del diabete: con insulina degludec si abbassa il rischio di ipoglicemie Le ipoglicemie rientrano tra le complicanze più frequenti associate al trattamento farmacologico del diabete, sia nel caso di terapia con insulina che con farmaci orali. Gli episodi ipoglicemici sono anche i più temuti da parte dei pazienti e dei familiari (specie se a essere diabetici sono i bambini). Questo emerge anche da uno studio internazionale recentemente condotto, lo studio DAWN2 (Diabetes Attitudes Wishes and Needs), realizzato da una collaborazione tra i più autorevoli organismi internazionali impegnati nella lotta al diabete, con il contributo non condizionato di Novo Nordisk. DAWN2 è un’indagine svolta per analizzare il punto di vista dei malati di diabete, e mettere a fuoco i bisogni non ancora soddisfatti in questi pazienti. Sono stati coinvolti più di 15mila soggetti (pazienti, familiari e operatori sanitari) in 17 Paesi tra cui l’Italia. La paura di un episodio di ipoglicemia, che nelle sue manifestazioni meno gravi è riconoscibile da alcuni sintomi tra cui palpitazioni, tremore, ansia, giramento di testa, confusione, fino alla perdita di coscienza, e nel caso degli episodi ipoglicemici notturni, compromissione della qualità del sonno, preoccupa nel nostro Paese in media 6 malati su 10 (oltre 2 milioni di diabetici), e oltre il 60 per cen-
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to dei loro familiari. Questo dato peraltro trova conferma in tutti i Paesi che hanno preso parte allo studio. Questi temi hanno fatto da filo conduttore a un incontro per la stampa, che si è svolto a Milano lo scorso 29 gennaio, in occasione della presentazione della nuova insulina degludec. I dati dello studio DAWN2 evidenziano come (un dato prevedibile) la percentuale di episodi di ipoglicemia sia più elevata nelle persone in terapia con insulina rispetto ad altri farmaci. E anche la quota di persone che teme tali episodi è più elevata: nel caso sepcifico degli episodi notturni abbiamo il 62 per cento di chi è in cura con insulina e il 45 per cento di chi prende altri farmaci; per i familiari rispettivamente il 72 verso il 57 per cento. “Il fatto che i familiari siano più preoccupati dei malati non deve stupire”, ha commentato all’incontro Antonio Nicolucci, della Fondazione Mario Negri Sud. “E deriva principalmente dal fatto che i familiari conoscono meno la malattia e sono meno coinvolti nella gestione quotidiana della stessa”. Un aspetto che emerge molto chiaramente dallo studio è l’impatto emotivo della malattia: il rischio di ipoglicemia genera paura e ansia. “Il diabete non comporta solo il rischio di gravi complicanze a cuore, reni, occhi, ma ha un forte impatto emotivo e psicologico su chi ne soffre e i suoi familiari”, ha precisato Nicoletta Musacchio, degli ICP di Milano. “La nostra attenzione di diabetologi oggi si sta, e dovrebbe esserlo sempre più, indirizzando non solo alla cura della malattia, ma al prendersi cura della persona. È necessario maggiore impegno sugli aspetti educativi e sulla scelta di modalità di trattamento e impiego di farmaci più adatti alle esigenze di chi abbiamo
davanti, considerando non solo la malattia, ma la sua fragilità nel complesso, e farmaci ad esempio, che siano, come la nuova insulina degludec, flessibili nella somministrazione e con minori effetti indesiderati, quali le ipoglicemie”. Ma veniamo al farmaco (Tresiba®), disponibile anche nel nostro Paese e rimborsabile dal SSN in classe A. Insulina degludec è un analogo basale dell’insulina, frutto dell’ingegneria molecolare, che si caratterizza per la lunga durata d’azione, superiore alle 42 ore, e per un effetto metabolico distribuito uniformemente nel corso della giornata. Il suo meccanismo d’azione, che si traduce in un deposito sottocutaneo nel punto di iniezione, con un costante e lento rilascio del principio attivo, consente una ridotta variabilità di assorbimento e garantisce un profilo glicemico più stabile. Si ha così una significativa riduzione delle ipoglicemie. Negli studi principali, gli episodi notturni sono stati ridotti del 36 per cento in pazienti con DT2 mai trattati con insulina, e del 25 per cento in pazienti con DT1, rispetto a insulina glargine. L’estensione a due anni di questi studi conferma tali risultati. Il controllo glicemico si mantiene nel tempo e l’ipoglicemia notturna si riduce rispetto a glargine del 43 per cento nei pazienti naïve con DT2, e del 25 per cento nei pazienti DT1. Un altro vantaggio di insulina degludec deriva dalla flessibilità nell’orario di somministrazione giornaliera. La routine è importante nel management del diabete, ma nel caso non fosse possibile somministrare il farmaco esattamente alla stessa ora, degludec è flessibile nell’orario, con un intervallo minimo di 8 ore e un massimo di 40 tra le iniezioni. Tale flessibilità non ne compromette l’efficacia e l’azione protettiva nei confronti del rischio ipoglicemico.
Recordati-Orphan Europe
teva
Progressi nella terapia della neutropenia da chemioterapici
L
a neutropenia rappresenta una concreta minaccia per i pazienti in chemioterapia per tumori solidi o ematologici. L’abbassamento delle difese immunitarie, derivato dalla “chemio”, comporta una diminuzione dell’efficacia della terapia antitumorale e compromette lo stato di salute generale del paziente. Questi temi sono stati al centro di un media tutorial che si è tenuto a Milano, lo scorso 17 novembre organizzato da Teva Italia, allo scopo di divulgare una corretta informazione non solo per medici e infermieri, ma anche per i giornalisti. La neutropenia può causare il ritardo, l’interruzione o la diminuzione della dose del chemioterapico e impattare negativamente sul risultato finale delle cure. Una più frequente ospedalizzazione, la consapevolezza di un precario equilibrio immunitario e la modifica del prefissato schema chemioterapico creano paure, ansia e depressione nei pazienti e nei loro familiari. In ambito terapeutico, vi sono sempre più evidenze a sostegno dell’efficacia dei fattori stimolanti le colonie granulocitarie (G-CSF), nel ridurre l’intensità e la durata della neutropenia. Recentemente, alla classe dei G-CSF si è aggiunta una nuova opzione ad azione prolungata, frutto della ricerca Teva in oncologia.
Un progetto per rendere visibile la malattia di Wilson
U
no spazio virtuale di formazione e dialogo per i medici, ma anche per i pazienti diventa il punto d’incontro per conoscere la malattia di Wilson. Si tratta di una patologia rara, in Italia ci sono circa 1.500 casi, che si caratterizza per un accumulo di rame nel fegato (e in altri organi, come il SNC). La malattia di Wilson è ancora poco conosciuta e diagnosticata. Il riconoscimento è spesso reso difficoltoso dato che la malattia epatica (infiammazione e fibrosi) evolve in modo asintomatico, e quando il morbo si presenta, i segni clinici non sono esclusivi. La diagnosi è importante, perché una volta individuata la malatta può essere trattata farmacologicamente in maniera efficace. È importante quindi conoscerla. La realizzazione di una piattaforma online (www.malattiadiwilson.info), voluta fortemente dall’Associazione nazionale Malattia di Wilson, e creata con il contributo di Fox Channels, Recordati e Orphan Europe, rappresenta un modo concreto per avvicinare la classe medica alla patologia, e per sostenere i pazienti. Una sezione è dedicata alle linee guida per la diagnosi e la terapia; vi è anche un’area per l’ECM e un forum di discussione. L’area per i pazienti offre informazioni sui centri di cura e sulle iniziative dell’Associazione.
Gedeon Richter
IEO
Nuove strategie per vincere la lotta al tumore del polmone
Una svolta nel trattamento (medico) dei fibromi uterini
I
fibromi uterini sono i tumori benigni più frequenti dell’apparato riproduttivo nelle giovani donne. La chirurgia, molto spesso radicale (isterectomia), finora rappresentava l’approccio di elezione, soprattutto nel caso di fibromi di dimensioni importanti. In questi ultimi casi infatti, i sintomi possono essere particolarmente invalidanti e compromettere la qualità di vita; per esempio, sanguinamento mestruale abbondante, dolore addominale, anemia, ansia, depressione, e sofferenza durante i rapporti sessuali. È importante segnalare che anche nel nostro Paese è disponibile una terapia medica in grado di controllare efficacemente i sintomi e di ridurre il volume dei fibromi. Si tratta di ulipristal acetato 5 mg (Esmya®), che appartiene a una nuova classe di molecole, i modulatori selettivi del recettore del progesterone (SPRMs). Il farmaco già dopo 1 settimana si è mostrato in grado di ridurre il sanguinamento in oltre il 90 per cento delle donne trattate, e le dimensioni dei miomi, in parallelo a un profilo di tollerabilità decisamente migliore rispetto ai farmaci finora utilizzati (con poco successo), gli agonisti del GnRH, per il trattamento dei fibromi.
L
e prospettive dei pazienti affetti da tumore al polmone possono cambiare. È una sfida che l’Istituto Europeo di Oncologia, di Milano ha raccolto lanciando il “Programma Polmone”. È un progetto innovativo e significativo nell’ambito di questo “big killer”, che coniuga le competenze cliniche e gli strumenti di imaging, con la chirurgia e la ricerca genetica al fine di ridurre al minimo la tossicità delle cure, mantenendone al contempo il massimo dell’efficacia, anche negli stadi più avanzati. Se fino a qualche tempo fa, in assenza della diagnosi precoce, oltre il 70 per cento dei tumori veniva scoperto in fase avanzata e inoperabile e si caratterizzava per una prognosi infausta, ora le nuove tecniche diagnostiche permettono di battere sul tempo la malattia. Oggi, se individuato precocemente, il tumore può essere operato in maniera conservativa in oltre l’80 per cento dei casi, garantendo una sopravvivenza che può arrivare anche all’85 per cento. All’interno del “Programma” è stata avviata una linea di ricerca “Chemio-free” con l’obiettivo di disegnare per ciascuno stadio della malattia, anche il più avanzato, una strategia terapeutica volta a minimizzare l’uso della chemio, a favore dei nuovi trattamenti intelligenti, a bersaglio molecolare.
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Professione
Scuole di specializzazione Come cambia la formazione dei giovani medici Si riduce la durata del percorso post-laurea, con la possibilità di svolgere la specializzazione anche sul territorio, al di fuori dei policlinici universitari
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opo aver ricevuto il via libera da parte del Ministero dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca, il provvedimento sulla riorganizzazione delle scuole di specializzazione in medicina, lo scorso 4 febbraio è stato controfirmato anche dal Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. E dunque entra in vigore già a partire da questo anno accademico. Un provvedimento atteso dai giovani medici da tempo, le prime “voci” di una riforma infatti, risalgono al 2011. Nella nota del Ministero si legge: “Il provvedimento diminuisce mediamente di un anno la durata dei percorsi di studio nelle scuole di specializzazione, rendendo più aderente la normativa italiana a quella stabilita in ambito comunitario. Questo consentirà ai giovani medici di fare prima il loro ingresso nel mondo del lavoro, rendendoli, al contempo, più competitivi all’interno dei Paesi dell’Unione europea. Tale riduzione riguarda circa un terzo delle scuole di specializzazione sulle 55 restanti dopo il previsto accorpamento di 5 scuole e la soppressione di quelle di Medicina aeronautica e spaziale e di Odontoiatria clinica generale. Il Decreto prevede, tra l’altro, per la scuola di specializzazione in chirurgia generale e per quella in neurochirurgia un percorso di studi della durata di 5 anni a fronte dei 6 anni fino a oggi previsti.
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Il provvedimento valorizza ancora di più, rispetto al passato, l’obiettivo professionalizzante delle scuole di specializzazione; infatti prevede che almeno il 70 per cento della formazione dovrà essere dedicato allo svolgimento di attività pratiche e che le stesse potranno essere espletate non solo nelle università, ma anche nei presidi ospedalieri e nelle strutture territoriali del Servizio sanitario”.
lll La specializzazione, non oltre i 5 anni Un cambiamento importante quello delle specializzazioni mediche dunque, che oltre all’adeguamento della formazione nel nostro Paese a quello comunitario è anche finalizzato a razionalizzare i costi delle stesse scuole di specializzazione, che sono coperte da borse di studio, e a “investire” il potenziale risparmio derivante per agevolare l’accesso dei nuovi laureati alle stesse. Finora i giovani rischiavano di perdere molto tempo, anche un anno, prima di poter intraprendere il percorso della formazione post-laurea. Si prevede che i risparmi derivanti dalla riforma, potranno servire ad aumentare il numero delle borse per le scuole di specializzazione, oggi circa 5mila a fronte di circa 10mila laureati in Medicina all’anno. Secondo il Ministero della Salute, i risparmi dovrebbero consentire di finanziare 700 borse di studio in più. Vediamo però che cosa cambia in pratica per un giovane appena laureato che si affaccia sulla strada della specializzazione. Accorpamento. Due scuole sono state eliminate quelle di Medicina aerospaziale e Odontoiatria clinica generale, e alcune sono state accorpate, e nel
complesso delle 57 esistenti, ora ce ne sono 50. L’accorpamento riguarda Medicina tropicale (che insieme a Malattie infettive si chiamerà Malattie infettive e tropicali), Chirurgia dell’apparato digerente, che confluisce in Chirurgia generale, Neurofisiopatologia (l’attività confluisce in Neurologia), Biochimica clinica, che assumerà la denominazione di Patologia clinica e biochimica clinica, e Tossicologia medica, che confluisce in Farmacologia (la nuova scuola si chiamerà Farmacologia e tossicologia clinica). Inoltre, è stata soppressa la previsione relativa alla scuola in Psicologia clinica, dato che dal 2006 tale scuola è disciplnata da un decreto specifico. Durata dei percorsi. Altro punto di novità riguarda la durata dei percorsi formativi. Non ci sono più scuole della durata di 6 anni, e la formazione si articola in 3, 4 e 5 anni. Per alcune scuole non ci sono state variazioni in tal senso; resta invariato per esempio il percorso per quanti intendano specializzarsi in Chirurgia orale, Odontoiatria pediatrica, Ortognatodonzia (3 anni), Farmacia ospedaliera (4 anni), Medicina interna, Oncologia medica, Pediatria, Chirurgia pediatrica, Medicina d’emergenza-urgenza, Ginecologia e ostetricia, Urologia (5 anni). Anche la specializzazione in Anestesia e rianimazione e terapia intensiva è confermata per la durata di 5 anni, ma cambia denominazione, diventando Anestesia rianimazione, terapia intensiva e del dolore. Solo due scuole passano da 6 a 5 anni: Chirurgia generale e neurochirurgia, mentre moltissime passano da 5 a 4 anni; tra queste per esempio, possiamo citare Malattie dell’apparato cardiovascolare, Malattie dell’apparato respiratorio, Geriatria, Neurologia, Nefrologia, Reumatologia, Malattie dell’apparato digerente (la “vecchia” Gastroenterologia).
lll La specializzazione ora anche sul territorio La riforma non riguarda solo la durata dei corsi di specializzazione, ma anche “la sede”. Attualmente la pratica viene
Critici i giovani dell’Anaao Pubblichiamo il comunicato stampa redatto lo scorso 5 febbraio, dei giovani aderenti ad Anaao Assomed, uno dei principali sindacati dei medici, in cui si evidenzia la buona base di partenza della riforma, ma anche parecchie lacune e nodi da sciogliere. Il fatto che il Ministero della Salute abbia controfirmato il decreto del MIUR su un riordino delle scuole di specializzazione medica atteso da anni, è una notizia positiva. Finalmente, si pone rimedio, almeno in parte, all’errore di programmazione, uno dei tanti, commesso nel 2005. Un momento così tanto atteso dai giovani colleghi da sapere già di vecchio. Ma le buone notizie finiscono qui. Non solo perché il riordino è ancora parziale, lasciando la durata di alcuni corsi ben al di sopra dello standard europeo, prolungando un parcheggio di cervelli funzionale alla moltiplicazione delle cattedre, sordo alle esigenze occupazionali dei giovani e indifferente di fronte alle carenze nei ranghi del Servizio Sanitario Nazionale. Ma, soprattutto, perché MIUR e Salute comunicano, con segnali di fumo, al mondo intero che l’incremento di circa settecento contratti atteso, non si sa da quando, sia la risposta salvifica allo smottamento organizzativo e professionale della formazione medica. E che il sistema delle reti formative e dei crediti professionalizzanti sia il nuovo che avanza. Svanito l’imbuto tra numero chiuso, non per il TAR, del corso di Laurea e numero di posti nelle scuole di specialità, riempito da migliaia di camici bianchi senza lavoro e senza formazione. Dissolta, come per incanto, la fastidiosa sensazione che i medici specializzandi siano la forza lavoro a basso costo necessaria alla effettuazione dei volumi di attività che consentono la sopravvivenza delle strutture a direzione universitaria. Nel suo discorso di insediamento il presidente della Repubblica ha posto grande attenzione al disagio giovanile, inteso soprattutto in termini di mancata occupazione, e ha indicato “quella” una “mancanza” da superare. Chi condivide il suo messaggio dovrebbe evitare inutili demagogie e ammettere che la formazione medica richiede un serio cambiamento, di verso e di paradigma, come da tempo, non da soli, andiamo chiedendo. Settecento contratti in più, senza neanche sapere da quando partono, sono certo meglio di niente, ma ne occorrono almeno tremila in più per gli anni accademici a venire, da assegnare attraverso una graduatoria unica nazionale che ponga fine alla macchinosità di quella in essere. E, soprattutto, occorre un sistema formativo di stampo europeo che garantisca il diritto a completare l’iter formativo per tutti coloro che si laureano in Medicina, in un rapporto che sia di lavoro, sia pure finalizzato alla formazione per gli anni necessari. Il Governo non esiti ad osare. Basta agli equilibrismi tra chi vuole fare il gattopardo e chi vuole lavoro decapitalizzato, da pagare al massimo ribasso. Proviamo a pensare ai giovani, che non meritano questo trattamento, e al futuro della sanità pubblica.
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Professione esercitata quasi esclusivamente negli ospedali/policlinici universitari. L’idea della riforma è quella di estendere tale pratica anche negli ospedali del territorio che dovranno accreditarsi con specifiche molto rigorose. Su questo punto le Regioni hanno espresso giudizio favorevole, e intendono collaborare attraverso il finanziamento di borse di studio per gli specializzandi. I neolaureati potranno vedere quindi ampliate le strutture presso cui scegliere di affrontare il percorso di specializzazione. Questo punto comunque è ancora da definire, e si attende al momento la stesura del testo definitivo. In generale, la proposta di estendere la specializzazione sul territorio è stata accolta in maniera positiva, tuttavia alcune perplessità sono state sollevate dai Presidi e dal personale docente delle Facoltà di medicina. Lo scetticismo riguarda in particolare modo il rischio che gli specializzandi trovandosi negli ospedali del territorio, possano essere usati da “tappabuchi” per le carenze del personale, svilendone così la formazione.
lll Soddisfatti i “Giovani Medici” Il via libera alla riforma è stato accolto con entusiasmo da parte dei medici del Segretariato italiano giovani medici (SIGM), associazione che ha partecipato in modo attivo alla definizione della riforma stessa. In un comunicato SIGM si legge: “Esprimiamo soddisfazione a nome delle migliaia di giovani medici specializzandi e aspiranti tali che, ormai dal 2011, attendevano un più volte annunciato, e quanto mai opportuno, riordino della formazione medica specialistica. La nostra Associazione ha contribuito alla definizione della riforma, cercando di suggerire soluzioni innovative, su tutte, la valorizzazione delle reti formative integrate tra università, ospedali e territorio, da individuare anche sulla base di indicatori di qualità assistenziale. Altra importante innovazione è rappresentata dalla Scuola di Medicina delle Comunità e delle Scienze delle Cure Primarie, che, se si avrà il coraggio di
superare le logiche di parte, potrebbe tradursi da subito in un percorso sperimentale in tutte le Regioni, tale da permettere di avere finalmente medici specialisti a supporto delle cure primarie. Sulla razionalizzazione dell’offerta formativa probabilmente si sarebbe potuto osare di più, ma intanto incassiamo il risultato che per molte tipologie di scuole verrà ridotta la durata in maniera da rendere tali percorsi più funzionali e consentire l’accesso al mondo del lavoro in tempi più brevi, allineandoci in larga parte con gli standard UE. Altre scuole, la cui durata non varierà, acquisiranno comunque competenze formative aggiuntive. Adesso bisognerà lavorare sull’applicazione della riforma presso ciascuna università, garantendo la possibilità per parte degli specializzandi in corso, iscritti ai primi anni, di optare per il percorso ridotto per quelle scuole interessate dalla riduzione di durata”. Il percorso è appena iniziato dunque, e ora non resta che la “prova su strada”.
Aggiornamento dei LEA: ecco le novità Ai primi febbraio sono stati presentati i nuovi Livelli essenziali di assistenza (LEA) e il nomenclatore per le protesi. Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, illustrando il documento, lo ha definito “un lavoro enorme, poderoso, che avrà un costo di 415 milioni di euro”. “Si tratta – ha spiegato il Ministro – di un progetto inserito nel budget 2014-2016 previsto nel Patto per la Salute, che è stato possibile fare con 415 milioni e non con 1 miliardo che avevamo preventivato. Questo perché c’è stata una compensazione: molte innovazioni erano già state inserite nel sistema e tante Regioni si erano aggiornate da sole. D’altra parte abbiamo fatto un lavoro di eliminazione di prestazioni obsolete. Ma affinché il meccanismo funzioni, le Regioni dovranno fare un lavoro di monitoraggio serio su bandi e gare, soprattutto per le protesi”. Tra le novità c’è l’introduzione di vaccini, come quello anti-meningococco, anti-pneumococco,
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anti-HPV e quello per la varicella. Nell’area dell’assistenza specialistica e ambulatoriale ora figurano anche l’adroterapia, il laser per la degenerazione maculare senile e le indagini diagnostiche per la celiachia. Sono state introdotte nuove malattie croniche, ovvero endometriosi, BPCO, rene policistico autosomico dominante, osteomielite cronica, malattie renali croniche e sindrome da talidomide, e circa 110 malattie rare. Entrano nei Lea anche la ludopatia e, per la prima volta, l’area della neuropsichiatria infantile, incluso l’autismo. Nell’ambito dell’assistenza domiciliare vengono inclusi gli ausili informatici di comunicazione e controllo ambientale, applicazioni di domotica, ausili per la mobilità personale. Altro punto di rilievo è rappresentato dalle indagini prenatali (bi-test e tri-test, e alcune tecniche di diagnosi genetica). È inoltre previsto l’ingresso dell’epidurale per il parto, e della fecondazione assistita, eterologa e omologa.
sanitÀ lStati vegetativi
Tanti percorsi di cura regionali, nonostante un’unica direttiva nazionale
A
nche se in Italia c’è un’unica direttiva nazionale, nelle singole regioni i pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza seguono percorsi terapeutici e di cura anche molto diversi. Sono questi in estrema sintesi i dati che emergono dal Progetto INCARICO, coordinato dall’Irccs “Carlo Besta” di Milano. Il merito di questo progetto è legato alla realizzazione di una mappatura, la prima, di 2.542 strutture dedicate a questi pazienti, in diverse regioni con l’indicazione dei posti letto relativi e ha validato tre checklist utili per monitorare i nodi e i flussi nei servizi dei percorsi nella fase acuta, post
acuta e degli esiti. In Italia le persone in stato vegetativo sono circa 3.000 mentre mancano dati certi di quanti pazienti siano in stato di minima coscienza. Tuttavia, è possibile stimare che siano almeno tre volte tanti, circa 10.000. Il progetto è stato realizzato a partire dal 2012 in collaborazione con i centri di riferimento di 11 regioni, le 29 associazioni dei familiari de La Rete e della Federazione Nazionale delle Associazioni Trauma Cranici, il Centro dell’Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica, la Regione Lombardia e la Regione Emilia Romagna. Tutte le regioni che hanno partecipato dimostrano
news
di aver recepito, seppur con modalità differenti, le indicazioni presenti nell’Accordo Stato-Regioni. Emerge, tuttavia, la necessità di semplificare la normativa: infatti, per applicare una linea guida nazionale 11 regioni hanno ben 106 norme legislative locali. Un dato di rilievo è la diversa durata media dei tempi di ricovero: per la fase acuta si va da 18 giorni di ricovero in Liguria a 102 in Piemonte. Sebbene influenzati da numerose variabili, questi dati indicano anche da regione a regione organizzazioni di cura molto diverse. Il progetto nazionale INCARICO offre gli strumenti necessari per tradurre i risultati della ricerca in azioni concrete per una presa in carico efficace e giusta su tutto il territorio nazionale e rispondere in modo da supportare i pazienti con disordini della coscienza e le loro famiglie in tutto il percorso di cura.
l Organisation of European Cancer Institutes
L’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, un’eccellenza europea l Riconoscimenti
Il migliore ambiente di lavoro in Italia è Sanofi Pasteur MSD
F
iducia reciproca, valore e attenzione verso le persone, qualità del rapporto tra colleghi: sono questi i pilastri su cui si fonda Sanofi Pasteur MSD e che la fanno diventare il migliore ambiente di lavoro in Italia. L’azienda produttrice di vaccini si è aggiudicata il primo posto nella categoria piccole e medie imprese del Great Place to Work®, guadagnando il titolo di “Best Workplace 2015”. Il riconoscimento è stato attribuito in una serata di gala che si è svolta lo scorso 17 febbraio, presso la Triennale di Milano e che ha visto le “35 Migliori Aziende in cui lavorare in Italia” ritirare il titolo.
L’
Istituto Nazionale dei Tumori (INT) di Milano è ben noto come realtà all’avanguardia nella cura dei tumori. A conferma è anche l’ottenimento del prestigioso certificato OECI di accreditamento qualitativo per la cura, per la ricerca e la formazione erogate come “Comprehensive Cancer Center”, attestazione che posiziona l’INT fra i Centri leader a livello europeo. La comunicazione ufficiale del raggiungimento di tutti gli standard qualitativi in ambito oncologico è arrivata dopo una prima fase in cui, circa due mesi fa, l’Istituto aveva ottenuto la denominazione di “Comprehensive Cancer Center” dall’Organisation of European Cancer Institutes (OECI), network che riunisce 70 centri di cura e ricerca sui tumori in Europa. Nel 2002, l’OECI ha lanciato un programma di accreditamento e classificazione degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs) europei, puntando a fornire ai malati di cancro, in tutta Europa, parità di accesso alle cure secondo i più elevati standard qualitativi e aiutare gli Irccs europei nell’implementazione di un sistema di qualità per le cure oncologiche, da realizzare attraverso parametri di eccellenza e avvalendosi di un sistema di revisione tra pari. La certificazione verrà consegnata ufficialmente il prossimo giugno e attesta il raggiungimento dei 264 standard qualitativi peculiari per l’oncologia.
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AIFA
Rapporto Osmed 2014 Cresce (in modo contenuto) il consumo di farmaci, ma calano i costi I farmaci per le patologie cardiovascolari restano in vetta alla classifica dei medicinali più consumati nei primi nove mesi del 2014. Aumenta anche l’utilizzo di farmaci a brevetto scaduto: ecco i nuovi dati del rapporto Osmed
A
rriva puntuale all’inizio dell’anno, il resoconto dell’Aifa sull’andamento del consumo dei farmaci, con il Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sull’impiego di medicinali (Osmed) 2014 che analizza la situazione nel periodo che copre i mesi da gennaio a settembre. In tale periodo la spesa farmaceutica nazionale totale (pubblica e privata) è stata pari a 19,9 miliardi di euro, di cui il 75,6 per cento è stato rimborsato dal Servizio sanitario nazionale (SSN) (Tabella 1). La spesa farmaceutica territoriale pubblica è stata pari a
8.769 milioni di euro (circa 144 euro pro capite), con una riduzione di 1,7 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tale riduzione è da attribuire principalmente al calo del 3,3 per cento della spesa farmaceutica convenzionata netta, che è controbilanciata dall’aumento del 3,3 per cento della spesa per medicinali di classe A erogati in distribuzione diretta o per conto. Anche nel 2014 si riscontra una crescente incidenza del 13,6 per cento, sulla spesa convenzionata, della compartecipazione a carico del cittadino, rispetto al 12,7 per cento del
Tabella 1. Come si compone la spesa farmaceutica nel periodo gennaio-settembre 2014 Spesa (milioni di euro)
%
∆% (14/13)
Spesa convenzionata lorda
8.244
41,5
-2,4
Distribuzione diretta e per conto di fascia A
2.314
11,6
3,3
Classe A privato
905
4,6
0,0
Classe C con ricetta
2.210
11,1
-1,8
Automedicazione (farmacie pubbliche e private)
1.727
8,7
-0,5
Asl, Aziende ospedaliere, RIA e penitenziari*
4.475
22,5
10,3
Totale
19.875
100,0
1,2
Note: *al netto della spesa per i farmaci erogati in distribuzione diretta e per conto di fascia A Fonte: Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale gennaio-settembre 2014. Roma: Agenzia italiana del farmaco, 2015.
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2013. L’ammontare complessivo della spesa per compartecipazioni a carico del cittadino sui farmaci di classe A è risultato pari a 1.121 milioni di euro, in aumento di 4,4 per cento rispetto all’anno precedente, dovuto principalmente all’incremento della quota a carico del cittadino eccedente il prezzo di riferimento per i medicinali a brevetto scaduto, mentre è stata osservata una riduzione del ticket fisso per ricetta. Il ticket per confezione con un valore di spesa pari a 411 milioni di euro ha pesato per il 36,7 per cento, mentre la quota a carico del cittadino eccedente il prezzo di riferimento per i medicinali a brevetto scaduto ha inciso per il restante 63,3 per cento (Figura 1).
lll L’andamento regionale Le tre regioni che hanno fatto registrare la spesa farmaceutica convenzionata di classe A-SSN più elevata sono state la Campania (168,2 euro pro capite), la Puglia (163,1) e la Calabria (160,2). Al polo opposto, troviamo le province autonome di Trento e Bolzano (108,1, 96,9) e l’Emilia Romagna (104,1). I valori in queste ultime si assestano ben al di sotto della media nazionale calcolata, pari a 135,3 euro. In tutte le regioni, a eccezione di Marche e provincia autonoma di Bolzano è stata osservata una riduzione della spesa, e le diminuzioni maggiori sono state riscontrate in Sicilia (-12 per cento), in Umbria (-5,5 per cento) e in Lombardia (-5,3 per cento). Anche la spesa per i farmaci da automedicazione ha subito un calo in tutte le regioni a eccezione di Molise
e Campania; i maggiori decrementi sono stati osservati in Sicilia (-4,8 per cento), Lazio (-4,6) e Piemonte (-4,3). L’analisi della relazione tra spesa e consumi erogati in regime di assistenza convenzionata, mostra che la Basilicata è la regione che consuma mediamente di meno (rispetto alla media nazionale), spendendo di più. L’Umbria invece è l’unica regione in cui si registra un consumo medio superiore alla media nazionale, con una spesa media inferiore.
Figura 1. Andamento della spesa farmaceutica in Italia nel periodo 1985-2014
lll I farmaci più prescritti I farmaci per il sistema cardiovascolare si confermano al primo posto per consumo, ma, per la prima volta, vengono preceduti per spesa pubblica dai farmaci antineoplastici e immunomodulatori. Gli ACE-inibitori sono i più prescritti in regime di assistenza convenzionata, seguiti dai sartani e dalle statine. La seconda categoria più prescritta rimane quella dei farmaci dell’apparato gastrointestinale e metabolismo. Gli inibitori di pompa si confermano al primo posto per quantità prescritte e spesa. Tra gli antidiabetici, aumenta l’erogazione da parte delle strutture pubbliche e diminuisce quella dell’assistenza convenzionata per gli inibitori della dipeptidil-peptidasi 4, le insuline ad azione lunga e i biguanidi e sulfonamidi in associazione. I farmaci per il sangue e gli organi emopoietici si collocano al terzo posto per prescrizione e al quinto per spesa complessiva. Gli antiaggreganti piastrinici sono i più prescritti nella distribuzione attraverso le farmacie, seguiti dall’acido folico e derivati. Al quarto posto per prescrizione troviamo i farmaci per il sistema nervoso centrale. In regime di assistenza convenzionata gli antidepressivi sono la categoria più utilizzata, primi fra tutti gli SSRI. Tra i farmaci antidolorifici ad azione centrale, si registrano incrementi nel consumo degli alcaloidi naturali dell’oppio e degli altri oppiacei. Nell’ambito dei farmaci per il sistema respiratorio, la quinta categoria, sul versante delle farmacie territoriali, an-
Note: * Stimato sulla base dell’andamento dei primi 9 mesi. ∧ Comprensiva della spesa farmaceutica convenzionata (a lordo del pay-back e sconto) e della distribuzione diretta e per conto di fascia A-SSN, incluse le compartecipazioni a carico del cittadino. ∧∧ Spesa strutture sanitarie pubbliche (a lordo del pay-back) al netto della distribuzione diretta e per conto di fascia A-SSN Fonte: Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale gennaio-settembre 2014. Roma: Agenzia italiana del farmaco, 2015.
tiasmatici adrenergici e altri antiasmatici sono i primi in termini di consumi, e gli anticolinergici e i glucocorticoidi in termini di spesa; rilevanti gli incrementi sia dei consumi sia della spesa degli altri antiasmatici per uso sistemico nell’ambito delle prescrizioni da parte delle strutture pubbliche. Un dato che merita di essere segnalato è il calo nel consumo di antibiotici in regime di assistenza convenzionata. Liguria, Toscana e la provincia autonoma di Bolzano sono le regioni in cui si sono registrate le riduzioni maggiori.
lll Cresce il consumo di farmaci a brevetto scaduto I farmaci a brevetto scaduto rappresentano oltre la metà della spesa convenzionata, un dato in crescita rispetto al 2013 del 6,6 per cento, e il 70,4 per cento delle dosi consumate giornalmente (DDD), in crescita rispetto al 2013 dell’11,9 per cento. La percentuale di spesa per i farmaci equivalenti è stata pari a 28,8 per cento del totale dei farmaci a brevetto scaduto. Complessivamente i primi
venti principi attivi a brevetto scaduto rappresentano il 50 per cento dei consumi, in termini di DDD, di tutti i farmaci a brevetto scaduto. Pantoprazolo e lansoprazolo (sceso al secondo posto nel 2014) sono i principi attivi a maggiore spesa, con 217,5 e 189,2 milioni di euro. L’utilizzo dei medicinali a brevetto scaduto cresce, specialmente in Molise (+21,9 per cento) e nella provincia autonoma di Trento (+17,3 per cento) che sono risultate le regioni con maggiore incremento rispetto al 2013. Il consumo medio più elevato di questa categoria di farmaci si registra in Emilia Romagna (73,9 per cento), Umbria (73,6 per cento) e provincia autonoma di Bolzano (73,1 per cento), mentre Lazio (67,4), provincia autonoma di Trento (68,1) e Calabria (68,6) sono le regioni con i livelli più bassi. L’Emilia Romagna (56,9 per cento), la Toscana e l’Umbria (55,7 per cento) sono le regioni con la maggiore quota di spesa per medicinali a brevetto scaduto, mentre la minore incidenza è stata registrata in Lombardia (47,7 per cento), Valle d’Aosta (48,6 per cento) e Sardegna (48,7 per cento).
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sanitÀ
l OncoStories
Il dialogo, una tappa fondamentale nel percorso del paziente oncologico
N
on solo terapie ed esami diagnostici, ma anche comunicazione e dialogo. Il valore della parola ha un significato molto importante nella vita di un paziente tumorale, e nel suo percorso di cura. L’attenzione su questo deve essere alta, soprattutto oggi dato che l’aspettativa di vita dei pazienti oncologici è fortemente aumentata: si stima che in Italia almeno 2.800.000 persone convivano con la malattia. A tutti loro è dedicata la campagna nazionale OncoStories che nel corso del 2014 ha toccato diverse città italiane e numerosi centri di oncologia sul territorio. La campagna è organizzata da Salute Donna onlus in collaborazione con la Società italiana di psicooncologia (SIPO), e con il supporto di MSD Oncology. Nella tappa
milanese, vi ha preso parte attiva l’Istituto Nazionale dei Tumori del capoluogo lombardo, che da sempre è impegnato nel promuovere il valore curativo della relazione tra medici e pazienti durante la malattia. Aumenta l’aspettativa di vita dei pazienti e aumentano anche le persone che devono fare i conti con la chemioterapia, e soprattutto con i suoi insidiosi effetti collaterali. L’obiettivo di OncoStories è quello di incoraggiare medici e pazienti a parlare apertamente di tutti i problemi che possono insorgere durante la chemio e che spesso non vengono adeguatamente affrontati durante le visite e i controlli, tra questi appunto gli effetti collaterali, che possono avere un impatto devastante sulla vita lavorativa e
Tutto è possibile…Insieme
I
l progetto OncoStories trova ispirazione nel cortometraggio “Insieme” che è stato presentato anche alla Settantesima edizione del Festival del Cinema di Venezia e al Festival del Cortometraggio di Roma. È un film diretto da Annamaria Liguori e interpretato da Giorgia Wurth, Euridice Axen, Nicolas Vaporidis e Monica Scattini (da poco scomparsa, Ndr). Liberamente ispirato a una storia vera, narra del rapporto tra due sorelle, di cui una affetta da tumore e in chemioterapia. Ed è proprio in questo rapporto che nasce la forza trainante per affrontare il percorso a ostacoli della malattia e della cura. Affrontare insieme questo viaggio dà a Laura, la protagonista malata, il doppio della forza e del coraggio di vivere, senza chiudere le porte a un eventuale amore. Insieme, anche gli attimi più difficili possono diventare gli attimi più belli. E soprattutto, per sconfiggere la malattia non bisogna avere paura di parlare con gli altri. Il cortometraggio è visibile sul sito www.nonausea.it
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di relazione. I dati di una ricerca condotta da Salute Donna e SIPO evidenziano come la chemio condiziona la gestione delle attività domestiche quotidiane e lavorative in oltre il 60 per cento dei casi e la vita sessuale quasi nel 64 per cento. “Alcuni aspetti e problemi della quotidianità del paziente che convive con la malattia possono sfuggire al medico, concentrato sulla cura del cancro. Il progetto OncoStories vuole contribuire ad abbattere il muro dei silenzi che spesso si instaura tra medico e paziente”. Così lo ha definito Annamaria Mancuso, presidente di Salute Donna Onlus. “Reticenze reciproche a volte impediscono di affrontare aspetti importanti della malattia, come problemi legati agli effetti collaterali dei trattamenti chemioterapici che possono avere un impatto drammatico sulla qualità di vita delle persone affette da tumore”. Nella relazione medico-paziente il dialogo può rappresentare una risorsa importante per affrontare la malattia e mantenere una buona qualità di vita durante il percorso di cura. Sono numerose le iniziative che la Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori promuove in tale ottica. Tra queste per esempio, possiamo ricordare i corsi Ulisse e Itaca, dedicati ai pazienti adulti e organizzati insieme a clinici e psicologi e l’ambulatorio Gioco-Parola che aiuta i genitori malati a trovare le parole giuste per parlare con i propri figli: si parte dal presupposto che la malattia non deve essere nascosta e che i ragazzi sono e hanno risorse eccezionali a condizione che li si aiuti a capire con amore e fiducia.