Mensile € 5,00
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI
Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 1 gennaio-febbraio 2012
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GASTROENTEROLOGIA nuovi dati sull’associazione tra IPP e rischio di fratture ALLERGOLOGIA rinite allergica e asma come unica patologia respiratoria CONGRESSI le novità nella prevenzione CV e dell’ictus dal meeting dell’AHA RAPPORTO allarme dal Ministero sul consumo d’alcol in Italia
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anno XXXVIII - gennaio-febbraio 2012 Mensile di formazione e informazione per il Medico di famiglia
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Periodico della M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Tel./Fax 024390952 info@medicoepaziente.it
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Medico e paziente n. 1
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IN QUESTO NUMERO
SOMMARIO
Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 1 gennaio-febbraio 2012
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GASTROENTEROLOGIA nuovi dati sull’associazione tra IPP e rischio di fratture ALLERGOLOGIA rinite allergica e asma come unica patologia respiratoria CONGRESSI le novità nella prevenzione CV e dell’ictus dal meeting dell’AHA RAPPORTO allarme dal Ministero sul consumo d’alcol in Italia
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Fonte: www.loweryourheartrisk.org
LETTI PER VOI
p 10 ALLERGOLOGIA
RINITE ALLERGICA E ASMA COME ESPRESSIONE DI UN’UNICA PATOLOGIA RESPIRATORIA Indicazioni per un approccio terapeutico globale
Dal momento che le patologie allergiche respiratorie interessano più di un organo, sia in concomitanza che in successione, a livello diagnostico e terapeutico è importante considerarle in termini globali Gennaro D’Amato
p 16 PREVENZIONE
RISCHIO CARDIOVASCOLARE Gli strumenti per valutarlo negli adulti asintomatici Linee guida AHA 2010 - Carte europee e italiane
Le opzioni da tempo disponibili per la valutazione del rischio cardiovascolare sono strumenti essenziali per la prevenzione: gli adulti asintomatici a rischio intermedio ne rappresentano l’obiettivo principale
a cura della Redazione
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p REUMATOLOGIA OSTEOPOROSI Il “peso” dell’aderenza sull’efficacia terapeutica Uno dei principali problemi sanitari, ad altissima prevalenza, in crescita e con costi non più sostenibili. Questo è l’identikit dell’osteoporosi secondo l’OMS
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a cura della Redazione
MEDICO E PAZIENTE
1.2012
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SOMMARIO
p 28 ESPERIENZE IN MEDICINA
GENERALE LA PREVENZIONE DEL CA.DEL COLON-RETTO NELLO STUDIO DEL MEDICO DI FAMIGLIA I risultati di un trial condotto in Liguria
Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) Il Ca. del grosso intestino è una delle principali cause di decesso da neoplasia nei Paesi occidentali. In Italia si contano da 20 a 30mila nuovi casi all’anno Testata volontariamente sottoposta a certificazione di tiratura e diffusione in conformità al Regolamento CSST Certificazione Editoria Specializzata e Tecnica Per il periodo 01/01/2011 - 31/12/2011 Periodicità: mensile (sei uscite) Tiratura media: 40.500 Diffusione Media: 40.342 Certificazione CSST n° 2011-2246 del 27/02/2012 Società di revisione: REFIMI
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Comitato scientifico Prof. Vincenzo Bonavita Professore ordinario di Neurologia, Università “Federico II”, Napoli Dott. Fausto Chiesa Direttore Divisione Chirurgia Cervico-facciale, IEO (Istituto Europeo di Oncologia) Prof. Sergio Coccheri Professore ordinario di Malattie cardiovascolari-Angiologia, Università di Bologna Prof. Giuseppe Mancia Direttore Clinica Medica e Dipartimento di Medicina Clinica Università di Milano - Bicocca Ospedale San Gerardo dei Tintori, Monza (Mi)
Luigi Pio Miglio, Giulia San Romé, Roberto Zunino
p 32 SEGNALAZIONI DALLE AZIENDE
AZIONE MIRATA, EFFICACIA E TOLLERABILITÀ PER UN GIUSTO APPROCCIO ALLE INFEZIONI DEL CAVO ORO-FARINGEO
p 34
CONGRESSI
AHA Scientific Session
12-16 novembre 2011 - Orlando, Florida (USA)
72° Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia 10-12 dicembre 2011 - Roma
p 36
FARMINFORMA
p 44 IL RAPPORTO DEL MINISTERO SUL CONSUMO DI BEVANDE ALCOLICHE IN ITALIA ALCOL: ALLARME PER LE ABITUDINI DI GIOVANI E ADOLESCENTI
Periodicamente, in base alle indicazioni della Legge 125/2001, il Ministero della salute pubblica un Rapporto al Parlamento sul consumo di alcol in Italia da parte delle varie fasce di popolazione, e sui pericoli per la salute che possono derivare da abitudini e stili di vita sbagliati
Dott. Alberto Oliveti Medico di famiglia, Ancona, C.d.A. ENPAM
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MEDICO E PAZIENTE
1.2012
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LETTI PER VOI DIABETE DI TIPO II
EXENATIDE NELLA FORMULAZIONE “ONCE WEEKLY” MOSTRA UN’EFFICACIA SOVRAPPONIBILE AL TRATTAMENTO STANDARD CON METFORMINA NEL CONTROLLO GLICEMICO, IN PAZIENTI DIABETICI NAÏVE: I RISULTATI DELLO STUDIO DURATION-4 £
Exenatide (analogo del GLP-1) appartiene alla famiglia degli incretino-mimetici, una classe di farmaci innovativi nella terapia del diabete di tipo 2, che si è andata sempre più affermando nel corso di questi ultimi anni. Nel 2011, l’Ema ha approvato una nuova formulazione, a rilascio prolungato, dell’exenatide che prevede un’unica somministrazione sottocutanea (sc) settimanale (l’approvazione dell’Fda è arrivata alla fine dello scorso gennaio); tale decisione si basa su un ampio programma di studi regi-
EPIDEMIOLOGIA
strativi denominato DURATION, di cui fa parte anche il DURATION-4, che è stato da poco pubblicato su Diabetes Care. Lo studio “head to head” ha valutato il profilo di efficacia e sicurezza di exenatide “once weekly” (ExOW) rispetto alla monoterapia con tre dei farmaci maggiormente impiegati nella terapia iniziale del diabete di tipo 2, metformina (MET), pioglitazone (PIO) e sitagliptin (SITA), in 820 pazienti diabetici naïve nei quali il controllo glicemico con dieta ed esercizio fisico
si era rivelato inadeguato. Il trial randomizzato in doppio cieco, della durata di 26 settimane, prevedeva quattro bracci paralleli di trattamento: ExOW 2 mg/ settimana+placebo per os (248 pz.), MET 2 g/die+placebo sc (246 pz.), PIO 45 mg/die+placebo sc e SITA 100 mg/die +placebo sc (163 pz. ciascuno). I partecipanti avevano al basale valori medi di HbA1c dell’8,5 per cento, di peso corporeo di 87 kg, di glicemia a digiuno di 9,9 mmol/l e una durata di malattia pari a 2,7 anni. I risultati hanno mostrato una sostanziale equivalenza tra ExOW e MET per quel che riguarda la riduzione dei valori di HbA1c (-1,53 vs. -1,48, P=0,620) e variazioni rispetto al basale osservate con gli altri due trattamenti di -1,63 (P=0,328) per PIO e -1,15 (P<0,001) per SITA. Emerge dunque un miglior controllo
£
Oltre ai noti danni sulle vie respiratorie e sul sistema cardiovascolare, lo smog tipicamente presente NELLE DONNE ANZIANE, L’INQUINAMENTO nelle aree metropolitane potrebbe avere ripercussioni ATMOSFERICO URBANO SEMBRA negative anche a livello cerebrale, accelerando il decadimento cognitivo. A questo rischio sembrerebbero DELINEARSI ANCHE COME POTENZIALE essere maggiormente esposte le donne. È quanto FATTORE DI RISCHIO PER IL DECLINO emerge da un ampio studio prospettico che è stato condotto tra gli altri anche dall’Agenzia per la proteCOGNITIVO zione ambientale statunitense in collaborazione con il Rush University Medical Center. Obiettivo dello studio era valutare la possibile correlazione tra esposizione a lungo termine a particolato fine e non, nello specifico PM 2,5 e PM 2,5-10, e il rischio di declino cognitivo. Allo scopo è stata analizzata una popolazione del Nurses’Health Study Cognitive Cohort che includeva oltre 19mila donne con età compresa tra 70 e 81 anni. Esistevano al riguardo già alcuni dati pubblicati in letteratura, anche se poco conclusivi. I ricercatori hanno valutato l’esposizione recente (1 mese) e quella a lungo termine (7-14 anni) al particolato, basandosi sui dati registrati dall’Agenzia per la protezione ambientale in Stati contigui degli USA; dati che a loro volta tenevano conto di diversi fattori, quali altitudine, ventosità, presenza di strade interurbane. La funzione cognitiva è stata valutata mediante test condotti nella popolazione di studio e successivamente ripetuti per 3 volte a intervalli di circa 2 anni. I risultati hanno messo in luce come l’esposizione prolungata ad alti livelli sia di PM 2,5-10 che di PM 2,5 comportava un più rapido declino cognitivo. Per un incremento pari a 10mcg/m3 del PM 2,5-10 e del PM 2,5, si registrava nell’arco di 2 anni un peggioramento nel global cognitive score, espresso in unità standardizzate, pari a 0,020 (CI 95 per cento) e 0,018 (CI 95 per cento), rispettivamente. Come sottolineato dagli Autori, l’esposizione a livelli di PM superiori a 10 mcg/m3 equivaleva dal punto di vista cognitivo a un invecchiamento di 2 anni. In prospettiva, vale la pena di riflettere su queste indicazioni soprattutto considerando che il declino cognitivo rappresenta un fattore di rischio per le demenze in generale, e nello specifico per l’Alzheimer, e che l’inquinamento ambientale è un fattore modificabile su cui è possibile intervenire. Weuve J, Puett RC, Schwartz J et al. Arch Intern Med. 2012; 172 (3): 219-27
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MEDICO E PAZIENTE
1.2012
Bronc
glicemico associato a pioglitazone, ma questo effetto positivo si accompagnava a un aumento di peso (effetto noto associato alla terapia con glitazoni) di 1,5 kg. Con le altre opzioni terapeutiche studiate, si manifestava un calo ponderale dell’ordine dei 2 kg per ExOW e MET e -0,8 kg per SITA. Nei pazienti trattati con ExOW i maggiori eventi avversi sono stati nausea (11,3 per cento) e diarrea (10,9 per cento), mentre episodi di ipoglicemia grave non sono stati riportati per nessuno dei trattamenti in studio. In conclusione, exenatide nella formulazione “once weekly” dimostra un profilo sovrapponibile alla metformina sotto il profilo di efficacia e sicurezza nel controllo glicemico, ma sembra superiore rispetto al sitagliptin. In realtà, dal punto di vista del controllo glicemico, i risultati migliori sono stati raggiunti con pioglitazone, anche se in parallelo si è manifestato un aumento ponderale. Exenatide OW potrebbe rappresentare quindi una promettente opzione per i pazienti con DT2 mai trattati e con storia di malattia abbastanza recente. Inoltre si tratta del primo trattamento antidiabetico settimanale e questo si potrebbe tradurre in un impatto positivo concreto sull’aderenza alla terapia. Russell-Jones D, Cuddihy RM, Hanefeld M et al. Diabetes care 2012; 35 (2): 252-8
Fibrillazione atriale
Due nuovi studi presentano dati in apparenza discordanti sull’associazione tra dabigatran e rischio di infarto del miocardio £
L’estensione delle indicazioni di dabigatran etexilato per la prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica in pazienti adulti con fibrillazione atriale (FA) non valvolare con uno o più fattori di rischio è stata salutata con grande favore dalla comunità medica. Erano infatti 50 anni che mancavano novità in quest’ambito terapeutico per gli anticoagulanti orali. Tuttavia, dai risultati di RE-LY, lo studio registrativo per la nuova indicazione, era emerso un “segnale” sul rischio di IM associato all’assunzione del farmaco. Due trial di recente pubblicazione hanno approfondito la questione, giungendo a risultati solo in parte discordanti. Il primo è una sottoanalisi dello studio RE-LY che ha preso in considerazione i dati di tutti gli eventi ischemici verificatisi durante la sperimentazione oltre a quelli del sottogruppo di pazienti con malattia coronarica: i risultati mostrano un aumento, anche se non significativo, di IM nei gruppi dabigatran (110 e 150 mg) rispetto a warfarin, ma non un aumento degli eventi ischemici complessivi (3,16, 3,33 e 3,41 per cento, rispettivamente nei tre gruppi;
HR vs. warfarin 0,93 e 0,98 per dabigatran 110 e 150 mg, rispettivamente; IC 95 per cento); il beneficio netto offerto dal nuovo farmaco è risultato inoltre maggiore di quello offerto dal warfarin: gli eventi che definivano questo parametro si sono infatti verificati con un tasso di 7,34, 7,11 e 7,91, rispettivamente per i tre gruppi. Il secondo è una metanalisi condotta su 7 studi randomizzati (tra cui lo stesso RE-LY) dove dabigatran era impiegato nel trattamento di diverse patologie e confrontato con più agenti terapeutici. Si è evidenziato un, pur basso, ma significativo incremento del rischio di IM e sindrome coronarica acuta (SCA) associato a dabigatran rispetto agli agenti usati come controllo (OR 1,33; IC 95 per cento 1,03-1,71; P=0,03). In un commento, però, gli stessi Autori evidenziano come il beneficio clinico offerto dal farmaco nella FA sia netto. Hohnloser SH, Oldgren J, Yang S et al. Circulation doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.111.055970 Uchino K et Hernandez AV. Arch Intern Med. Doi: 10.1001/archinternmed.2011.1666
Medico e Paziente
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LETTI PER VOI GASTROENTEROLOGIA
NUOVI DATI SUPPORTANO LA RELAZIONE TRA USO PROLUNGATO DI IPP E AUMENTO DEL RISCHIO DI FRATTURE SOPRATTUTTO ALL’ANCA E NELLE DONNE IN POSTMENOPAUSA FUMATRICI O EX-FUMATRICI £ L’associazione tra impiego di inibitori di pompa protonica (IPP) e incidenza di fratture è un tema molto discusso negli ultimi anni, e nel 2010 ha portato l’Fda alla decisione di inserire nel foglietto illustrativo di tali farmaci (anche OTC) la specifica che l’uso ad alte dosi e per un periodo prolungato potrebbe aumentare il rischio di fratture vertebrali, all’anca e al polso. A ulteriore conferma arrivano ora i dati di un ampio studio, da cui emerge come nelle donne in postmenopausa che hanno usato IPP per almeno due anni il rischio di frattura all’anca è del 35 per cento superiore rispetto alle “non
utilizzatrici”. Della popolazione del Nurses’ Health Study, 79.899 donne in postmenopausa, sono stati raccolti i dati sull’uso di IPP e sulla presenza/ assenza di altri fattori di rischio per frattura ogni due anni (dal 2000 al 2008). Nell’arco di un follow up di 565.786 persona/anni sono state registrate 893 fratture all’anca; il rischio assoluto tra le “utilizzatrici regolari” di IPP è risultato 2,02 eventi/1.000 personeanni, e quello tra le “non utilizzatrici” di 1,51. Dal confronto tra utilizzatrici per almeno 2 anni e non utilizzatrici è emerso un HR di 1,35 (CI 95 per cen-
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to 1,13-1,62), e il valore aumentava in funzione della durata di utilizzo (P per trend <0,01). La correlazione è stata confermata anche dopo aggiustamento per alcuni fattori di rischio ed è risultata indipendente dalla patologia per cui erano usati gli IPP. Un dato significativo riguarda la sottopopolazione di fumatrici/ex-fumatrici, dove l’impiego di IPP comportava un aumento fino al 50 per cento del rischio di frattura; nessuna relazione tra IPP e fratture era invece osservata in chi non aveva mai fumato. Il legame tra impiego prolungato di IPP e rischio di fratture deve essere considerato per il “massivo” impiego di tali farmaci e per il significativo impatto sanitario e socio-economico delle fratture osteoporotiche. Khalili H, Huang ES, Jacobson BC et al. BMJ 2012; 344: e372; doi: 10.1136/bmj.e372 (published 31 January 2012)
La cervicalgia costituisce probabilmente una delle condizioni più frequenti per cui venga richiesto un consulto medico. Secondo LA MANIPOLAZIONE VERTEBRALE le stime, infatti, circa il 70 per cento dei soggetti sperimenta dolore cervicale almeno una volta nel corso della vita. In molti casi la causa È UN APPROCCIO RAZIONALE all’origine non viene identificata, per cui la cervicalgia viene classifiPER IL DOLORE CERVICALE ACUTO cata come di natura meccanica. O SUBACUTO, CON BENEFICI Il dolore cervicale compromette significativamente la produttività e le relazioni sociali. Ciononostante al momento non esiste una strategia SUPERIORI A QUELLI DEL terapeutica ben codificata, e molto spesso i pazienti per alleviare il TRATTAMENTO FARMACOLOGICO dolore ricorrono ai chiropratici o agli osteopati. In questo contesto si colloca lo studio pubblicato da un gruppo di ricercatori statunitensi, ANCHE NEL LUNGO PERIODO condotto per valutare l’efficacia a breve e lungo termine di tre diversi approcci per la cura del dolore cervicale acuto e subacuto: la manipolazione vertebrale (SMT), il trattamento farmacologico (FANS e/o paracetamolo, come terapia di prima linea) e un programma di esercizi riabilitativi da eseguire a domicilio associato ad alcuni consigli. I partecipanti, 272 pazienti con età tra 18-65 anni e dolore cervicale di natura meccanica da 2 a 12 settimane, sono stati randomizzati a uno dei tre trattamenti in studio per 12 settimane. Endpoint principale era la valutazione-percezione del dolore a 2, 4, 8, 12, 26 e 52 settimane dalla randomizzazione. Tra gli ouctome secondari vi erano il livello di disabilità, l’impiego di farmaci, il grado di soddisfazione, lo stato di salute globale e gli effetti collaterali. Per il dolore, la SMT ha mostrato un profilo di efficacia significativamente superiore al trattamento farmacologico dopo 8, 12, 26 e 52 settimane (P ≤0,010); anche gli esercizi riabilitativi domiciliari si sono rivelati, alla 26a settimana, più efficaci rispetto alla terapia con farmaci. Un trend analogo è stato riscontrato anche nella valutazione degli endpoint secondari. Nonostante lo studio non fosse condotto “in cieco”, dai risultati di questo confronto diretto emerge che la manipolazione vertebrale può essere considerata come una scelta razionale nell’approccio al paziente con dolore cervicale, i cui effetti si mantengono anche nel lungo periodo. A medio termine, un’alternativa potrebbe essere rappresentata da un programma di riabilitazione per il paziente da eseguire a domicilio.
PATOLOGIE OSTEOMUSCOLARI
Bronfort G, Evans R, Anderson AV et al. Ann Intern Med. 2012; 156: 1-10
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ALLERGOLOGIA
Rinite allergica e asma come espressione di un’unica patologia respiratoria INDICAZIONI PER UN APPROCCIO TERAPEUTICO GLOBALE DAL MOMENTO CHE LE PATOLOGIE ALLERGICHE RESPIRATORIE INTERESSANO PIÙ DI UN ORGANO, SIA IN CONCOMITANZA CHE IN SUCCESSIONE, A LIVELLO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO È IMPORTANTE CONSIDERARLE IN TERMINI GLOBALI
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a rinite allergica costituisce una patologia molto frequente, la cui importanza clinica è generalmente sottovalutata, per cui spesso non è adeguatamente diagnosticata e trattata. Esistono numerose evidenze sulle interazioni fisiopatologiche tra vie aeree superiori e inferiori, e numerose sono le osservazioni che la rinopatia allergica cronica possa influenzare, peggiorandole, le manifestazioni cliniche dell’asma. D’altra parte, la rinopatia presente nei soggetti asmatici tende a manifestarsi con una gravità maggiore rispetto a quella dei pazienti non affetti da asma. In effetti, dal momento che le malattie allergiche respiratorie interessano più di un organo, sia in concomitanza che in successione, è importante considerarle in termini globali, anche per quel che riguarda la strategia terapeutica. È stato infatti osservato che il trattamento adeguato della flogosi nasale,
Gennaro D’Amato Divisione di Malattie Respiratorie e Allergiche Azienda Ospedaliera ad Alta Specialità di Rilievo Nazionale “A. Cardarelli”, Napoli
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può contribuire a ridurre l’iperreattività bronchiale che insorge frequentemente in questi soggetti. UN PROCESSO INFIAMMATORIO UNICO La suddivisione delle vie respiratorie in superiori, dal naso al laringe, e inferiori, dalla trachea agli alveoli, è puramente convenzionale. Essendo organi cavi e “condotti” che permettono all’aria di raggiungere gli alveoli polmonari dove avviene lo scambio gassoso con il sangue, essi costituiscono in realtà un continuum anatomo-fisiologico funzionalmente strutturato. Negli anni recenti si sono approfondite le conoscenze sulle correlazioni tra vie aeree superiori e inferiori relativamente ad affezioni come quelle allergiche, che interessano, in concomitanza o in successione, i due tratti dell’apparato respiratorio. Alcuni anni fa venne coniata l’espressione “sindrome rino-bronchiale” per etichettare quadri patologici con caratteristiche prevalentemente infettive, rappresentate in genere da rinosinusiti croniche associate o seguite da
tracheobronchiti ricorrenti. Numerosi dibattiti si sono poi succeduti nel tentativo di focalizzare tale problematica, su come cioè l’infiammazione nasale, semplice o con sovrapposta infezione batterica, potesse indurre eventi patologici nelle vie aeree inferiori. Se cioè ci fosse dipendenza tra i due settori o non si trattasse piuttosto di un’unica patologia con espressioni flogistiche a vari livelli. Le conoscenze sono state progressivamente integrate con i risultati di ricerche sperimentali e cliniche sui rapporti tra patologie nasali e ostruzione bronchiale (siano esse manifeste o latenti), tra “clearance” mucociliare nasale e bronchiale e, quindi, tra coinvolgimento al processo infiammatorio dei due settori, superiore e inferiore, dell’apparato respiratorio. È stato evidenziato come la rinite e l’asma frequentemente insorgano contemporaneamente, e comunque sintomi nasali sono stati segnalati fino all’80 per cento dei pazienti asmatici, rispetto al 20 per cento circa della popolazione generale. È difficile stabilire se la rinite rappresenti la prima manifestazione di un’allergopatia respiratoria in un paziente che successivamente sviluppa asma o se la patologia nasale costituisca l’espressione di una sindrome che coinvolge sia le vie aeree superiori che quelle inferiori. L’ostruzione nasale derivante da una rinite allergica non curata adeguatamente potrebbe influenzare negativamente le basse vie aeree anche per il propagarsi
dell’infiammazione. Se sono coinvolti entrambi i settori, lo stato delle vie aeree superiori influenza quello del distretto inferiore, e la rinite del paziente con asma tende a peggiorare di più rispetto a quella dei pazienti senza patologia respiratoria inferiore. Inoltre, l’iperresponsività delle vie aeree nei riguardi di vari stimoli (allergeni solo nei soggetti atopici; stimoli aspecifici come, per esempio, gli irritanti chimici gassosi sia negli atopici che negli intrinseci) è presente ed evidenziabile non solo a livello bronchiale, ma anche a livello nasale. Nei pazienti asmatici con rinite, la qualità della vita è notevolmente peggiorata dai sintomi nasali e da problemi connessi, come la difficoltà nell’addormentamento, il peggioramento nella concentrazione e la conseguente limitata interazione sociale. PATOGENESI Le malattie allergiche respiratorie interessano più organi ed è importante considerarle in termini globali. Diversi studi hanno suggerito che la rinite precede frequentemente l’asma e che una disfunzione delle vie aeree superiori potrebbe essere un fattore predittivo per un successivo sviluppo di patologie delle vie aeree inferiori. La rinite e l’asma a substrato allergico sono collegati da diverse caratteristiche, come quelle di ordine fisiopatologico, immunologico e terapeutico. Il meccanismo fisiopatologico delle reazioni allergiche, e le conseguenti espressioni cliniche acute e croniche favorite dal substrato infiammatorio nelle vie aeree nasali dei soggetti che soffrono di rinite allergica, sono simili a quelle delle basse vie aeree negli asmatici. Molti pazienti con rinite allergica, che non hanno mai avvertito sintomi asmatici, presentano alle indagini laboratoristiche iperresponsività bronchiale alla stimolazione bronchiale con metacolina, specialmente durante le esacerbazioni della rinite allergica. È stato anche osservato che l’infiammazione delle vie aeree superiori induce
Tabella 1
Possibili meccanismi di interazione tra vie aeree superiori e inferiori A causa dell’ostruzione del naso e della conseguente difficoltà nella respirazione nasale, penetra nelle vie aeree inferiori l’aria inalata non depurata, non riscaldata, non umidificata e non arricchita in ossido nitrico (NO) La stimolazione delle terminazioni neurosensoriali delle vie aeree superiori, che nella rinite allergica sono caratterizzate da iperresponsività a vari stimoli, può indurre l’insorgenza di riflessi nervosi con effetto broncospastico Prodotti infiammatori di provenienza dalle vie aeree superiori possono penetrare nelle vie aeree inferiori per via retronasale con il muco che cola per gravità
un aumento della reattività bronchiale verso stimoli non specifici attraverso svariati meccanismi (Tabella 1). w Meccanismi immunopatologici e ruolo dei leucotrieni Mentre la rinite allergica è caratterizzata generalmente da integrità dell’epitelio respiratorio e da assenza di ispessimento della membrana basale, nell’asma possono essere rinvenute alterazioni epiteliali e sub-epiteliali con deposizione di collageno al di sotto della membrana basale. A parte queste differenze immunopatologiche, entrambi i disordini sono
caratterizzati da una risposta allergica simile e da una simile infiammazione allergica dell’epitelio e della sottomucosa. In sintesi, l’infiammazione delle mucose che si sviluppa dopo l’esposizione allergenica non è differente tra le vie aeree superiori e inferiori. Il processo flogistico allergico è un evento dinamico che coinvolge le cellule dell’epitelio respiratorio, le cellule che presentano l’antigene, e tra queste, in primis, quelle dendritiche, nonché le cellule effettrici dell’infiammazione allergica, in particolare mastociti, eosinofili e linfociti. In estrema sintesi
RINITE E ASMA: PECULIARITÀ w La rinite allergica è un problema sanitario globale che colpisce dal 10 al 40 per cento della popolazione w La sua prevalenza è in aumento w I costi socio-sanitari sono rilevanti w Pur non essendo una malattia grave, la rinite influisce sulla vita sociale e altera le prestazioni scolastiche e lavorative w In circa l’80 per cento dei pazienti asmatici è presente anche rinite w La rinite è un fattore di rischio per la comparsa di asma w Entrambe le patologie sono sostenute da un comune processo infiammatorio delle vie aeree w Trattando la rinite, migliora anche l’asma w Quando le due patologie coesistono è necessaria una strategia terapeutica combinata
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ALLERGOLOGIA Tabella 2
Effetti correlati all’azione antinfiammatoria degli antileucotrieni Riduzione degli eosinofili circolanti nel sangue periferico Riduzione dell’infiltrato eosinofilo a livello della mucosa respiratoria Inibizione del rilascio di una serie di mediatori e citochine Riduzione dei livelli di NO esalato Controllo dell’iperreattività specifica
possiamo ricordare che l’infiammazione allergica è caratterizzata da fenomeni quali, il reclutamento delle cellule infiammatorie, il loro accumulo e la loro attivazione a livello dei tessuti bersaglio della reazione allergica. La flogosi tende a persistere nel tempo, ed è regolata dal rilascio di diverse citochine e mediatori. L’attivazione dei mastociti stimola il rilascio di sostanze preformate, come l’istamina, così come di sostanze infiammatorie di neosintesi quali, in particolare, i cisteinil-leucotrieni (Cys-LT) e le prostaglandine. Queste sostanze sono responsabili patogeneticamente dei sintomi di rinite allergica che insorgono in seguito al contatto con l’allergene (Figura 1); è però l’infiammazione
cronica a costituire l’anomalia centrale che favorisce l’insorgenza e/o l’incremento dell’iperreattività delle vie aeree superiori e inferiori, che si osserva nella rinite allergica e nell’asma. Diversi studi hanno documentato elevate quantità di cisteinil-leucotrieni a livello bronchiale in pazienti con asma e a livello nasale nei soggetti con rinite allergica. Queste osservazioni avvalorano il ruolo comune di questi mediatori nella patogenesi delle due condizioni cliniche. Non solo, ma identificano i leucotrieni quali fattori cruciali nella flogosi allergica, supportando ulteriormente il concetto di continuum tra vie aeree superiori e inferiori. I Cys-leucotrieni svolgono molteplici at-
Il PESO SOCIALE ed ECONOMICO delle PATOLOGIE ALLERGICHE RESPIRATORIE Le allergopatie respiratorie, tra cui le sindromi rino-bronchiali, sono patologie a elevato impatto sociale ed economico tanto sugli individui affetti quanto sulle loro famiglie, sul sistema sanitario e sulla società. Esse comportano un notevole onere finanziario costituito dai costi diretti (spese mediche e ospedaliere, tra cui in particolare gli accessi, spesso impropri, in Pronto soccorso, spese per diagnostica e terapie in genere), e da costi indiretti (perdita di giornate lavorative, costi per misure di prevenzione ecc.) che gravano sulle scelte dei pazienti e sulla distribuzione delle loro risorse personali e familiari, in buona parte convogliate per sostenere le cure mediche necessarie al miglioramento della loro condizione di vita.
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tività biologiche, che variano in base al recettore stimolato. Per esempio, l’agonismo con il recettore Cys-LT1 comporta contrazione della muscolatura liscia bronchiale, aumento della produzione di muco, incremento della permeabilità vascolare, vasodilatazione, proliferazione delle cellule muscolari lisce e delle cellule epiteliali. Riguardo alla patogenesi dell’asma, è stato osservato come la somministrazione sperimentale di leucotrieni provochi broncospasmo e induca il reclutamento di eosinofili a livello della mucosa, iperproduzione di muco ed edema mucosale, iperreattività specifica e non. A livello nasale, i leucotrieni sono responsabili dell’iperproduzione di muco e della congestione nasale, causando vasodilatazione e infiltrazione leucocitaria. Il risultato finale di questi eventi è la comparsa del sintomo tipico della flogosi allergica a livello nasale, che è l’ostruzione. CENNI DI TERAPIA Una differenza importante tra i trattamenti farmacologici della rinite allergica e dell’asma è da ricondurre alle differenze nel controllo adrenergico nelle vie aeree superiori e inferiori, con gli agonisti alfa-adrenergici che agiscono come vasocostrittori nella rinite allergica e gli agonisti beta2-adrenergici che agiscono come broncodilatatori nell’asma. La terapia farmacologica della rinite allergica si fonda sostanzialmente sull’uso associato di antistaminici per via orale e di glucocorticoidi inalatori, oltre che, eventualmente, nei casi di monosensibilizzazione allergica, dell’immunoterapia specifica. La terapia con glucocorticoidi si combina, infatti, in maniera ottimale con gli antistaminici di ultima generazione come, in particolare, desloratadina, levocetirizina ed ebastina che si assumono per via orale. Utile è anche l’associazione di antileucotrienici, come il montelukast. Le terapie associate con glucocorticoidi e antistaminici, effettuate con continuità e tempi protratti, riescono a ridurre nel
w Gli antileucotrienici Il ruolo centrale dei leucotrieni nella patogenesi della malattia asmatica e della rinite allergica costituisce il razionale per l’impiego di antagonisti dei leucotrieni in terapia. Diversi studi hanno dimostrato un’azione antinfiammatoria degli antileucotrienici (Tabella 2), in particolare del montelukast (antagonista selettivo del recettore Cys-LT1). Le evidenze dimostrano la capacità del montelukast di ridurre la risposta broncospastica conseguente allo stimolo allergenico durante le fasi precoce e tardiva e di modulare l’infiammazione a carico delle vie aeree. In particolare quest’ultimo aspetto si esplica nella capacità della molecola di ridurre il numero di eosinofili circolanti. In numerosi studi è stata riscontrata l’efficacia del montelukast nella prevenzione dell’asma, anche in popolazioni pediatriche, in parallelo con una migliore compliance rispetto ad altri trattamenti disponibili (cromoni). Nei pazienti con asma, l’associazione della molecola ai corticosteroidi inalatori comporta un miglioramento aggiuntivo, con un impatto positivo anche sulla qualità di vita. È stato dimostrato inoltre, che l’aggiunta di montelukast al beta2-stimolante nell’asma è utile tanto quanto il raddoppio della dose di steroide (quindi con risparmio di effetti collaterali, di ICS e con azione anche sulla rinite). Possiamo citare i risultati dello studio COMPACT, che è stato condotto per valutare l’effetto dell’aggiunta di montelukast alla budesonide per via inalatoria 800 mcg/ die vs. il raddoppio della budesonide (da 800 a 1.600 mcg/die). Dal trial emerge in sintesi come nel sottogruppo di pazienti che presentavano sia asma che rinite allergica, l’aggiunta di monte-
Figura 1
I cisteinil-leucotrieni nella risposta allergica FASE PRECOCE
cisteinil-leucotrieni, prostaglandine, trombossani, istamina, eparina, proteasi, PAF
FASE TARDIVA
cisteinil-leucotrieni, citochine
Score sintomatologico
rinopatico i rischi di insorgenza di asma. Allorché l’asma è clinicamente evidente, la terapia va ovviamente integrata, a seconda della gravità, utilizzando farmaci di base e sintomatici in varia associazione tra loro, come glucocorticoidi inalatori e antileucotrienici, nonché broncodilatatori betaβ2-stimolanti.
Challenge dell’antigene
1
3-4
8-12
24
Tempo dal challenge (ore)
Note: PAF, platelet-activating factor Fonte: modificata da Togias A. J Allergy Clin Immunol 2000; 105: S599-S604; Rachelevsky G. J Pediatr 1997; 131: 348-55; Rouadi P, Naclerio R. SRS-A to leukotrienes: The dawning of a new treatment. S. Holgate, S. Dahlen eds Oxford, England: Blackwell science, 1997; Creticos PS et al. New Engl J Med 1984; 31: 1626-30.
lukast al corticosteroide inalatorio abbia apportato un maggiore beneficio nella riduzione dell’ostruzione bronchiale in confronto al raddoppio della dose di budesonide. La spiccata attività antinfiammatoria è stata messa in evidenza da uno studio condotto in bambini affetti da rinite allergica perenne e asma da sforzo. Il trattamento della durata di 2 settimane con montelukast (5 mg/die) ha determinato un significativo calo dei marker dell’infiammazione quali, IL-4 e IL-13 rispetto al basale. C’è notevole evidenza, validata scienti-
ficamente da studi clinici controllati in doppio cieco, che l’uso di montelukast in pazienti che soffrono, oltre che di asma, anche di rinite, induca evidenti benefici non solo alle vie aeree inferiori, ma anche a quelle superiori (Tabella 3). In altri termini, i soggetti che presentano sintomi di entrambe le patologie vedono frequentemente ridursi non solo l’ostruzione bronchiale, ma anche quella nasale. E tale azione sembra essere potenziata nel caso in cui il montelukast venga associato agli antistaminici anti-H1, con
Tabella 3
Effetti di montelukast sulle vie aeree Riduzione del broncospasmo conseguente al challenge allergenico nelle fasi precoce e tardiva della risposta Modulazione dell’infiammazione Miglioramento aggiuntivo nell’asma in associazione con i corticosteroidi inalatori Riduzione dell’ostruzione nasale e bronchiale
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ALLERGOLOGIA un sinergismo d’azione. Gli antistaminici risultano più efficaci nel controllo dei sintomi nasali infiammatori, quali prurito, starnuti e rinorrea, mentre l’antileucotrienico avrebbe come bersaglio d’azione il controllo dell’ostruzione nasale (sintomo sul quale in generale gli antistaminici sono poco attivi). In uno studio pilota, il gruppo di Ciprandi ha esaminato gli effetti di questo sinergismo in 30 pazienti affetti da rinite allergica stagionale e asma intermittente. Il montelukast (10 mg/die) è stato associato per 2 settimane a desloratadina o a cetirizina. I risultati mostrano un buon controllo dei sintomi e della flogosi allergica, con un’azione antinfiammatoria clinicamente rilevante svolta dall’associazione dei due trattamenti. CONCLUSIONI Dal momento che le malattie allergiche interessano più di un organo, sia in concomitanza che in successione, è importante considerarle in termini globali. È stato infatti osservato che il trattamento adeguato della flogosi nasale con antinfiammatori topici, come i corticosteroidi inalatori, in associazione con un antileucotrienico, come il montelukast, e con un antistaminico anti-H1, è in grado di controllare la sintomatologia rinitica e di fornire una protezione anche sulla concomitante sintomatologia asmatica. L’approccio terapeutico ottimale, come peraltro suggerito nelle Linee guida ARIA (Allergic Rhinitis and its Impact on Asthma) e GINA (Global Initiative for Asthma), è comunque quello personalizzato, che tenga conto delle caratteristiche del singolo paziente e delle basi fisiopatologiche presenti. Un approccio polifarmacologico di associazione si delinea pertanto come un’opzione razionale in linea con queste indicazioni. Bibliografia • ARIA Workshop Group.World Health Organization. Allergic rhinitis and its
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PREVENZIONE
Preventive Cardiology and Lifesty
vegetables, regular alcohol consum activity) accounted for 90% of the po in men and 94% in women. Sim Greenland et al8 examined data from trials (n 122 458) and 3 prosp (n 386 915), reporting that 80% oped CHD and 87% of patients w coronary event had antecedent exp conventional cardiovascular risk fac dyslipidemia, hypertension, diabetes optimal levels of cardiovascular ri behaviors at 50 years of age demon advantage and only a 5% and 8% lif CVD for men and women, respectiv data and other recent reports discoun that only 50% of CHD is attributab factors, and suggest that a more rigo the lifestyle behaviors that promote to reduce the burden of atherosclero
RISCHIO CARDIOVASCOLARE Gli strumenti per valutarlo negli adulti asintomatici Figure 1. Mortality rates from coronary heart disease and stroke, rate of uncontrolled blood pressure, and prevalence of high cholesterol from 2004 to 2008. Reproduced from LloydJones et al.3
LINEE GUIDA AHA The 2010 - ofCARTE EUROPEE Lifestyle and Mortality in Coro importance risk factors in the development of CVDE ITALIANE
One review of prospective cohort s has received increased attention over the past decade. In controlled trials among patients with addition, along with cardioprotective medications, the roles to provide evidence for a prognostic of lifestyle interventions, psychosocial factors, air pollution, eventi associati alla malattia aterosclero- 12 Effect dietary recommendations. LE OPZIONI DA TEMPO DISPONIBILIdietary PER LA VALUTAZIONE DEL patterns, physical inactivity, low cardiorespiratory tica, e di predisporre quindi interventi cessation, higher levels of physical fitness, obesity, cardiac rehabilitation, and inflammation have alcohol consumption varied from a 2 mirati (box a pag. 21). RISCHIO CARDIOVASCOLARE SONObeen STRUMENTI ESSENZIALI better elucidated as modulators of CVD and as targets all-cause mortality.della For individual d Basate su un lavoro di revisione for education, behavioral interventions, and policy aptoo limited to provide reliable effect PER LA PREVENZIONE: GLI ADULTI ASINTOMATICI RISCHIO letteratura proaches to improvingA health. Newer statin drugs, in partic- che va da marzo 2008 ad estimates reflect the true value, they aprile 2010, e sui principi dell’evidenza ular, which markedly decrease and increase low-density mortality reductions reported for lo INTERMEDIO NE RAPPRESENTANO L’OBIETTIVO PRINCIPALE clinica, le Linee guida sono rivolte in lipoprotein and high-density lipoprotein cholesterol, respec -blockers, and angiotensin-conver tively, have been heralded as a potential breakthrough to modo specifico aiafter pazienti ai the medici AMI.12eOn other hand, there 5 Consider prevent initial and recurrent atherosclerotic events. nordamericani. showing that alcohol consumption i following key reports ofsono the 2000s. raccomandazioni focalizzate Molti fattori di rischio sono statiare proposti a disponibilità di strategie di in- the Le overall harms well known: addic malattia tervento sempre più efficaci per sull’analisi iniziale dell’adulto apparen- come predittori diand motor cardiovascovehicle accidents.13 One l Risk Factors as Antecedents of Cardiovascular that low(CHD) to moderate alcohol consum (Figura ridurre l’incidenza delle malattie temente sano, al fine di stimare la seve- lare (CVD) e coronarica Disease: Debunking the Only 50% Myth with an increased risk of cancer in w del suo rischio di andare incontro a 1). Perché un nuovo fattore di rischio cardiovascolari nella popolazione, e Therità INTERHEART study examined the risk factors associper prevenire o ritardare Figura 1 ated with first AMI in 52 countries, including 15 152 cases Cigarette Smoking, Mortality, la manifestazione di un and 14 820 controls.6 Collectively, 9 risk factors (abnormal Secondhand Smoke evento nelle persone ad Lo lipids, schema mettehypertension, in relazione i fattori di rischio, la progressione smoking, diabetes mellitus, abdominal A landmark study of 50 years of obs alto rischio, rende la stipsychosocial variables, econsumption of fruits anddi prevenzione British physicians found that, on avera dellaobesity, malattia cardiovascolare il tipo di intervento ma del livello di rischio individuale un passaggio Figure 2. Risk factor fram sempre più importante Prevenzione sion of cardiovascular dis Secondo evento dell’opera di prevenvention interventions. Illus secondaria primary, and secondary p zione. Con l’obiettivo environmental modulators Primo evento di assistere il medico in access; the built environm Malattia clinica questo processo diagnotives; and locations where Angina, IMA, scompenso cardiaco made (eg, personal, famil Prevenzione stico e nelle decisioni da congestizio, arteriopatia Cardiovascular health ma primaria assumere durante il per-
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periferica, ictus, morte improvvisa
Malattia subclinica
Disfunzione ventricolare sinistra, stenosi carotidea, calcificazioni coronariche, disfunzione endoteliale, disfunzione autonomica, ischemia miocardica, aritmie, placche vulnerabili, potenziale trombogeno
Fattori di rischio Tradizionali
Non tradizionali
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}
include the American Hea Simple 7 (smoking status cal activity, healthy diet s blood pressure, fasting pl cotherapies (eg, aspirin, tensin-converting enzyme cated, and coronary revas appropriate. MI indicates Prevenzione CHF, congestive heart fai arterial disease. di base
}
Età, storia familiare, fumo, ipertensione, Stress psicosociale, inquinamento Downloaded from circ.ahajournals.org by on May 26, 2011 dislipidemia, diabete, sedentarietà, obesità atmosferico, infiammazione, altri (?)
Fonte: modificato da Franklin BA, Cushman M. Circulation 2011
a cura della Redazione (p.p.)
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Fa tt
corso, l’American College of Cardiology Foundation (ACCF) e l’American Heart Association (AHA) hanno pubblicato a fine 2010 le Linee guida per la valutazione del rischio cardiovascolare negli adulti asintomatici (1).
ori ch amb e i ie nfl nt uis ali co e c no ar su dio lla va sa sco lut la e ri
L
sia considerato utile, è necessario che studi molteplici su grandi numeri dimostrino un’associazione indipendente con il rischio, dopo la correzione per il peso di altri fattori già noti. INDICAZIONI DI METODO Il primo passo della valutazione del soggetto asintomatico consiste nella stima dell’indice di rischio globale con una delle carte in uso (Framingham Risk Score o altre, Tabella 1) e nella conoscenza della sua storia familiare. Queste raccomandazioni di Classe I, semplici e non costose, determinano le successive strategie da intraprendere. I soggetti a basso rischio secondo questa prima valutazione, non richiedono esami ulteriori e la loro gestione si limita di solito a interventi sullo stile di vita. Quelli classificati ad alto rischio (CHD
nota o rischio coronarico equivalente) sono candidati a una prevenzione intensiva, e ulteriori esami non aggiungerebbero benefici. Si può dire che il fulcro delle Linee guida siano soprattutto i soggetti a rischio intermedio, nei quali indagini appropriate possono consentire una migliore definizione del rischio. La Classe IIa indica gli esami per i quali è stato dimostrato che il beneficio supera i rischi e i costi. Nella Classe IIb sono compresi gli esami per i quali l’evidenza di efficacia è meno robusta, ma che possono essere utili in gruppi selezionati di pazienti. Gli esami inclusi in Classe III non sono raccomandati per l’approccio all’adulto asintomatico, in quanto non c’è evidenza di benefici nell’ulteriore definizione del rischio, secondo le valutazioni della commissione ACCF/AHA.
Inoltre, gli esami inseriti in questa classe possono essere meno facilmente disponibili nella routine clinica, o richiedere ulteriore standardizzazione della metodica, o implicare rischi potenziali (esposizione a radiazioni, stress psicologico in assenza di miglioramenti sostanziali della strategia terapeutica).
Le RACCOMANDAZIONI ACCF/AHA 2010 per la valutazione dell’ADULTO ASINTOMATICO 1. Indice del rischio globale y CLASSE I • Tutti gli adulti asintomatici senza una storia clinica di CHD dovrebbero essere valutati con una carta del rischio globale che consideri molteplici fattori di rischio tradizionali (Framingham Risk
Tabella 1
Confronto tra alcuni indici di rischio globale coronarico e cardiovascolare FRAMINGHAM
SCORE
PROCAM (Uomini)
REYNOLDS (Donne)
REYNOLDS (Uomini)
Ampiezza del campione
5.345
205.178
5.389
24.558
10.724
Età (anni)
da 30 a 74 (M:49)
da 19 a 80 (M:46)
da 35 a 65 (M:47)
>45 (M:52)
>50 (M:63)
12
13
10
10,2
10,8
Età, sesso, rapporto colesterolo totale/ HDL, fumo, pressione sistolica
Età, colesterolo LDL, colesterolo HDL, fumo, pressione sistolica, storia familiare, diabete, trigliceridi
Età, HbA1C (con diabete), fumo, pressione sistolica, colesterolo totale, colesterolo HDL, hsCRP, storia di genitori con IM in età <60 anni
Età, pressione sistolica, colesterolo totale, colesterolo HDL, fumo, hsCRP, storia di genitori con IM in età <60 anni
CHD fatale
IM fatale/non fatale o morte improvvisa cardiaca (CHD e CVD combinate)
IM, ictus ischemico, rivascolarizzazione coronarica, morte cardiovascolare (CHD e CVD combinate)
IM, ictus, rivascolarizzazione coronarica, morte cardiovascolare (CHD e CVD combinate)
www.heartscore. org/pages/welcome. aspx
www.chd-taskforce. com/coronary_risk_ assessment.html
www.reynoldsriskscore.org
www.reynoldsriskscore.org
Follow up medio (anni)
Fattori di rischio considerati
Età, sesso, colesterolo totale, colesterolo HDL, fumo, pressione sistolica, farmaci antipertensivi
Endpoints
CHD (IM e morte per CHD)
Indirizzi internet
http://hp2010. nhlbihin.net/ atpiii/calculator. asp?usertype=prof
Fonte: 2010 ACCF/AHA. J Am Coll Cardiol 2010
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PREVENZIONE Score o altre, Tabella 2). Questo indice è utile per combinare le misurazioni dei singoli fattori in un’unica stima quantitativa del rischio, e per mettere a fuoco l’obiettivo degli interventi preventivi. 2. Anamnesi familiare y CLASSE I • In tutti gli adulti asintomatici si dovrebbe ricercare una storia familiare di malattie CV aterotrombotiche. 3. Test genetici y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • Esami del genotipo non sono raccomandati per la valutazione del rischio di CHD negli adulti asintomatici. 4. Valutazione di lipoproteine e apolipoproteine y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • Il dosaggio di parametri lipidici come lipoproteine, apolipoproteine, dimensioni e densità delle particelle, non è raccomandato negli adulti asintomatici. 5. Dosaggio dei peptidi natriuretici y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • Questi marker sono utili nel predire l’insufficienza cardiaca, ma non sono raccomandati negli adulti asintomatici. 6. Misurazione della proteina C-reattiva y CLASSE IIa • Negli uomini con età ≥50 anni e nelle donne con età ≥60 anni, con valori di colesterolo LDL <130 mg/dl, che non ricevano un trattamento per la dislipidemia, o una terapia ormonale sostitutiva, o con immunosoppressori, e che non presentino segni clinici di CHD, diabete, malattia renale cronica, malattie infiammatorie severe o controindicazioni all’uso di statine, la misurazione della proteina C-reattiva (PCR) può essere utile per selezionare i pazienti da avviare eventualmente alla terapia statinica. y CLASSE IIb • Negli uomini con età ≤50 anni e nelle donne con età ≤60 anni, asintomatici e con un rischio intermedio, la misura-
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zione della PCR può essere ragionevole per valutare il rischio cardiovascolare. y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • Negli adulti asintomatici ad alto rischio, l’esame non è raccomandato. • Non raccomandato anche in uomini e donne a basso rischio, al di sotto dei 50 anni di età. 7. Misurazione dell’emoglobina A1C (HbA1c) y CLASSE IIb • Negli adulti asintomatici senza diagnosi di diabete, può essere ragionevole il dosaggio dell’emoglobina A1C per valutare il rischio cardiovascolare. 8. Valutazione della microalbuminuria y CLASSE IIa • Negli adulti asintomatici con ipertensione o diabete, è ragionevole eseguire l’analisi delle urine per la ricerca della microalbuminuria. y CLASSE IIb • Anche negli adulti asintomatici a rischio intermedio senza ipertensione o diabete, può essere ragionevole la ricerca della microalbuminuria. 9. Valutazione della fosfolipasi A2 associata alle lipoproteine y CLASSE IIb • La misurazione di questo parametro può essere ragionevole per meglio definire il rischio cardiovascolare negli adulti asintomatici a rischio intermedio. 10. Elettrocardiogramma a riposo y CLASSE IIa • L’esecuzione di un ECG a riposo è ragionevole per la valutazione di adulti asintomatici con ipertensione o diabete. y CLASSE IIb • Un ECG a riposo può essere preso in considerazione anche per gli adulti asintomatici non ipertesi o diabetici. 11. Ecocardiografia transtoracica y CLASSE IIb • L’ecocardiografia per la valutazione
di ipertrofia ventricolare sinistra può essere considerata negli adulti asintomatici e ipertesi. y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • L’esame non è raccomandato per la valutazione del rischio di CHD negli asintomatici non ipertesi. 12. Misurazione dello spessore intima-media carotideo y CLASSE IIa • La misura ecografica dello spessore intima-media carotideo (CIMT) è ragionevole per stimare il rischio cardiovascolare degli adulti asintomatici a rischio intermedio. 13. Valutazione della dilatazione flusso-mediata dell’arteria brachiale y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • Lo studio ecografico della dilatazione flusso-mediata dell’arteria brachiale (indice di disfunzione endoteliale) non è raccomandato negli adulti asintomatici. 14. Metodiche di valutazione della rigidità arteriosa y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • Le valutazioni della rigidità arteriosa fuori da un ambito di ricerca clinica non sono raccomandate negli adulti asintomatici. 15. Valutazione dell’indice cavigliabrachiale y CLASSE IIa • La misurazione dell’indice pressorio caviglia-braccio (utile per la diagnosi di arteriopatia periferica) è ragionevole per la valutazione degli adulti asintomatici a rischio intermedio. 16. Elettrocardiogramma da sforzo y CLASSE IIb • Un elettrocardiogramma da sforzo può essere considerato negli adulti asintomatici a rischio intermedio (inclusi gli adulti sedentari che intendano iniziare un programma di attività fisica vigorosa), in particolare se si presta attenzione a marker non-ECG, come la ridotta capacità di esercizio.
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PREVENZIONE 17. Ecocardiografia da stress y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • Non è indicato negli adulti asintomatici a rischio basso o intermedio (è usato primariamente per la valutazione cardiaca avanzata di sintomi sospetti di CHD e/o per la valutazione prognostica di pazienti con malattia coronarica riconosciuta, o per la valutazione di soggetti con valvulopatia cardiaca nota o sospetta). 18. Imaging di perfusione miocardica (MPI) y CLASSE IIb • L’MPI da stress può essere considerato per la valutazione avanzata del rischio CV degli adulti asintomatici con diabete, o con evidente storia familiare di CHD, o quando precedenti esami suggeriscano un rischio elevato di CHD, come per esempio un calcium score (CAC) ≥400. y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • Non è indicato nei soggetti asintomatici a rischio basso o intermedio. 19. Valutazione delle calcificazioni coronariche (Calcium score) y CLASSE IIa • L’esecuzione di una TAC per valutare la quantità di calcio presente nelle coronarie (CAC) è ragionevole negli adulti asintomatici a rischio intermedio (rischio a 10 anni del 10-20 per cento). y CLASSE IIb • Può essere ragionevole nelle persone con rischio da intermedio a basso (6-10 per cento a 10 anni). y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • Non è raccomandata nei soggetti a basso rischio (<6 per cento a 10 anni). 20. Angio TAC y CLASSE IIII: NESSUN BENEFICIO • Non è raccomandata negli adulti asintomatici. 21. Imaging delle placche con risonanza magnetica y CLASSE III: NESSUN BENEFICIO • Non raccomandato negli adulti asintomatici.
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22. Pazienti con diabete mellito y CLASSE IIa • La valutazione delle calcificazioni coronariche è ragionevole nei diabetici asintomatici, di età ≥40 anni. y CLASSE IIb • Il dosaggio dell’emoglobina A1C può essere considerato per la valutazione del rischio CV degli adulti asintomatici con diabete. • L’MPI da stress può essere considerato per la valutazione avanzata dei diabetici asintomatici, o quando precedenti esami suggeriscano un rischio elevato di CHD, come per esempio un CAC ≥400. 23. Considerazioni specifiche per le donne y CLASSE I • In tutte le donne asintomatiche si dovrebbe valutare l’indice di rischio globale. • In tutte le donne asintomatiche si dovrebbe eseguire una anamnesi familiare per CVD. COMMENTI IN LETTERATURA Non mancano rilievi critici sull’impostazione e le scelte di queste Linee guida. Ne diamo qualche esempio. Una prima osservazione di carattere generale, riportata da Journal Watch (2), è che le raccomandazioni ACCF/ AHA riflettano un approccio piuttosto conservatore. La preminenza va ai fattori di rischio tradizionali, mentre minore evidenza e utilità clinica sono riconosciute alle valutazioni oggetto delle ricerche più recenti, dalla hsCRP a varie indagini strumentali e di imaging cardiaco, ai test genetici. L’assoluta mancanza di una valutazione dello stress e dei fattori psicosociali come componenti del rischio cardiovascolare è sottolineata da Autori italiani (Istituto Auxologico, Laboratorio di Ricerca in Psicologia) (3). Depressione clinica, stress mentale acuto e cronico, sentimenti di ostilità e di rabbia possono avere un gradiente di rischio paragonabile a quello di fattori tradizionali,
ed è noto che un’emozione improvvisa può scatenare una sindrome coronarica acuta in individui asintomatici, ma vulnerabili. Nonostante numerose evidenze supportino un’associazione significativa e indipendente tra i fattori psicologici e la patogenesi delle malattie cardiovascolari, gli estensori delle Linee guida non ne considerano alcuno e non forniscono motivazioni in merito. Un altro commento riguarda la scarsa utilità clinica attribuita alla valutazione di parametri di “invecchiamento” dei vasi come la rigidità arteriosa e la velocità dell’onda di polso (4), in contrasto con quanto riportato nelle Linee guida per l’ipertensione di European Society of Hypertension (ESH) e European Society of Cardiology (ESC). Si tratta di indagini non invasive, non costose e in grado di identificare un rischio cardiovascolare non svelato dai fattori tradizionali, alle quali studi prospettici e metanalisi recenti attribuiscono un elevato valore predittivo degli eventi cardiovascolari e della mortalità da tutte le cause. Una discrepanza è riscontrabile anche rispetto alle raccomandazioni della European Atherosclerosis Society (EAS) del 2010 sulla lipoproteina a, che consigliano la valutazione di questo parametro in tutti i soggetti a rischio intermedio o alto per CVD/CHD (5). Le presenti Linee guida, invece, inseriscono questo esame in Classe III, non attribuendo benefici aggiuntivi rispetto allo studio del profilo lipidico standard. Dal momento che le Linee guida ACCF/AHA prevedono revisioni annuali, è probabile che queste e altre osservazioni possano essere recepite nel prossimo futuro. L’ultimo punto delle Linee guida contiene considerazioni specifiche per le donne, limitate peraltro a ribadire le raccomandazioni iniziali di Classe I. Facciamo presente a questo proposito che l’AHA ha emanato nel 2011 un aggiornamento delle Linee guida per la prevenzione della malattia cardiovascolare nelle donne (6), alle quali si può fare riferimento per una più estesa trattazione dell’argomento.
PUNTI CHIAVE delle LINEE GUIDA w Un indice del rischio globale secondo una delle carte in uso dovrebbe essere ottenuto in tutti gli adulti asintomatici, insieme all’anamnesi familiare (raccomandazioni di Classe I). È “ragionevole” eseguire la prima valutazione a partire dai 20 anni di età e in seguito ogni 5 anni. w Nei soggetti a rischio intermedio in base all’indice di rischio globale, non vi sono secondo gli Autori benefici aggiuntivi con l’impiego di: test genetici, analisi avanzata del profilo lipidico, dosaggio del peptide natriuretico, misure della rigidità arteriosa, ecocardiografia da stress farmacologico, angio TAC, MRI per lo studio delle placche.
w La misurazione della proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hsCRP) è raccomandata per gli uomini di età ≥50 anni e per le donne di età ≥60 anni per stabilire se possano beneficiare di una statina in prevenzione primaria (Classe IIa); può essere ragionevole negli uomini di età ≤50 anni e nelle donne con età ≤60 anni se a rischio intermedio (Classe IIb); non è raccomandata per gli individui ad alto rischio e per quelli a basso rischio (Classe III). w La valutazione ecografica dello spessore intima-media carotideo è riservata agli individui a rischio intermedio, purché eseguita con idonea strumentazione e da operatori esperti (Classe IIa). La valutazione seriale non è raccomandata. w La valutazione delle calcificazioni coronariche (CAC) è riservata ai soggetti a rischio intermedio e ai diabetici di età ≥40 anni (Classe IIa). La valutazione seriale non è raccomandata.
La VALUTAZIONE DEL RISCHIO in Europa e in Italia GLI STRUMENTI PER CALCOLARE IL RISCHIO CV NEL VECCHIO CONTINENTE SONO STATI ELABORATI DA MOLTI ANNI ALL’INTERNO DI PROGRAMMI DI PREVENZIONE DI RICONOSCIUTA RILEVANZA
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a valutazione del rischio globale CV in Europa si avvale di strumenti specifici, calibrati sulle caratteristiche della popolazione locale. Riportiamo di seguito le peculiarità delle carte del rischio utilizzate a livello europeo. LE CARTE ESC In Europa, le carte per valutare il rischio cardiovascolare dei soggetti asintomatici sono state elaborate dalla Società europea di cardiologia (ESC). La valutazione dell’indice di rischio è stata stabilita a partire da una mole di dati molto ampia, derivata da studi prospettici europei ed è considerata predittiva per eventi CV aterosclerotici fatali nei 10 anni successivi. L’utilizzo delle carte del rischio si colloca all’interno del programma He-
artScore (www.heartscore.org) (Systematic COronary Risk Evaluation) mirato a supportare il clinico nel ridurre il rischio CV individuale dei pazienti. Le carte sono destinate alla popolazione con età compresa tra 40 e 65 anni. In base ai criteri europei, questo indice si basa su 6 fattori di rischio: genere, età, abitudine al fumo, pressione sistolica e colesterolemia totale. Le carte individuano 7 livelli di rischio (Tabella 2). Il valore soglia oltre il quale il rischio è definito alto è stato abbassato a “maggiore del 5 per cento” dal precedente “maggiore del 20 per cento”. Date le differenze che contraddistinguono i Paesi europei, sono state elaborate due carte: w per popolazioni a basso rischio, da utilizzare in Italia e Belgio, Lussemburgo, Grecia, Spagna, Svizzera;
w per popolazioni ad alto rischio, nei restanti Paesi. Le carte prevedono 4 categorie di soggetti: donne, uomini, fumatori, non fumatori; per ciascuna di esse una griglia permette di incrociare i dati relativi all’età, alla colesterolemia e alla pressione sistolica, fornendo direttamente il risultato; quest’ultimo è espresso in percentuale e indica il numero di eventi CV fatali che possono verificarsi nei 10 anni successivi. PER UNA CORRETTA INTERPRETAZIONE DELLE CARTE Le carte comprendono alcune specifiche atte a una loro migliore interpretazione. Il primo aspetto evidenziato è che esse possono risultare in una sovrastima del rischio in quei Paesi dove il tasso di mortalità CV è in diminuzione e, al contrario, possono esprimere valori più bassi di quelli reali laddove il tasso sia in crescita. Per ogni età, il rischio sembra essere sempre minore per le donne rispetto agli uomini, un dato che sembra in contraddizione con l’aumento di eventi CV nel genere femminile cui si assiste attualmente; un’attenta osservazione delle carte mostra infatti che il rischio per le donne è simile a quello degli uomini, ma rimandato alla decade d’età successiva. Il rischio può essere inoltre maggio-
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PREVENZIONE Tabella 2
Livelli di rischio dello “European Score” 15% e oltre 10% - 14% 5% - 9% 3% - 4% 2% 1% <1%
re di quello espresso dalla carta nei soggetti sedentari, obesi (specialmente con obesità addominale), o con forte familiarità per malattia CV, o in condizione di grave disagio sociale, o con diabete (quest’ultima condizione può aumentare di 5 volte nelle donne e di 3 negli uomini il rischio rispetto ai non diabetici) e, ancora, in caso di elevata trigliceridemia e bassa colesterolemia HDL, o nei soggetti con evidenza di aterosclerosi pre-clinica. Esistono anche delle carte che esprimono il rischio relativo: queste sono destinate a soggetti più giovani, tipicamente a basso rischio, affinché possano comunque giungere a una stima del loro rischio rispetto a soggetti di pari fascia d’età. LE CARTE ITALIANE Nel nostro Paese le carte del rischio rappresentano parte integrante del Progetto cuore (www.cuore.iss.it), un’iniziativa nata nel 1998 e coordinata dall’Istituto superiore di sanità volta a dare una stima epidemiologica, nonché valutare il rischio, delle malattie ischemiche del cuore nella popolazione. Le carte italiane offrono una stima della possibilità di andare incontro a un evento CV maggiore nei 10 anni successivi e si basano su 6 fattori di rischio: sesso, diabete, abitudine al fumo, età, pressione arteriosa sistolica e colesterolemia. È consigliata la valutazione del rischio CV attraverso la carta almeno: w ogni 6 mesi per chi abbia un rischio CV elevato (≥20 per cento),
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w ogni anno nei soggetti a rischio da Tabella 3 tenere sotto controllo con l’adozioClassi di rischio a 10 anni ne di uno stile di vita sano (rischio Carte italiane ≥5 per cento e ≤20 per cento), Rischio MCV VI >30% w ogni 5 anni nei soggetti a basso rischio (<5 per cento). Rischio MCV V 20% - 30% Le carte sono suddivise in 4 cateRischio MCV IV 15% - 20% gorie, donna diabetica, donna non Rischio MCV III 10% - 15% diabetica, uomo diabetico, uomo non diabetico, ciascuna delle quaRischio MCV II 5% - 10% li è ulteriormente distinta in base Rischio MCV I <5% all’abitudine al fumo. Una volta individuata la carta appropriata, si identifica il decennio d’età corrispondente (40-49, 50-59, 60-69) BIBLIOGRAFIA e, come visto per le carte europee, si incrociano i valori degli altri fattori di 1. Greenland P, Alpert JS, Beller GA et al. rischio. Il risultato è espresso in 6 cate- 2010 ACCF/AHA guideline for assessment gorie (Tabella 3). of cardiovascular risk in asymptomatic Le carte si utilizzano su donne e uomini adults: a report of the America College of d’età compresa tra 40 – 69 anni che Cardiology Foundation/American Heart non abbiano avuto precedenti eventi Association Task Force on Practice GuiCV; non possono essere utilizzate in delines. J Am Coll Cardiol 2010; 56: e50gravidanza e non possono essere ap- 103. plicate per valori estremi dei fattori di 2. Foody JM. Cardiovascular risk asrischio: pressione >200 o <90 mmHg; sessment in asymptomatic adults. colesterolemia totale >320 o <130 http//:cardiology.jwatch.org/misc/board_ mg/dl. Gli esami di glicemia e colestero- about.dtl#aFoody. lemia non devono avere più di 3 mesi. 3. Manzoni GM, Castelnuovo G, Proietti Pressione arteriosa sistolica e colestero- R. Assessment of psychosocial risk factors lemia sono suddivisi in quattro e cinque is missing in the ACCF/AHA guideline intervalli, rispettivamente. for assessment of cardiovascular risk in Per quanto concerne l’abitudine al fu- asymptomatic adults. J Am Coll Cardiol mo, si definisce fumatore chi fuma re- 2011; 57: 1569-70. golarmente ogni giorno, anche se solo 4. O’Rourke MF. Guidelines for assessment of cardiovascular disease in life insurance. una sigaretta. PUNTEGGIO INDIVIDUALE Per una valutazione più precisa del rischio CV si può utilizzare il “punteggio individuale”, uno strumento che, a differenza delle carte, considera valori continui per alcuni fattori di rischio (età, colesterolemia totale, HDL-C, e pressione arteriosa sistolica) e include anche la terapia anti-ipertensiva, considerando in questo modo che il valore pressorio rilevato non è quello naturale e anche il fatto che la sua necessità indica un’ipertensione di vecchia data. Le carte del rischio e il punteggio individuale possono così offrire risultati leggermente diversi.
J Am Coll Cardiol 2011; 57: 1570-1. 5. Nordestgaard BG, Chapman MJ, Ray K et al. Lipoprotein(a) as a cardiovascular risk factor: current status. Eur Heart J 2010; 31: 2844-53. 6. Mosca L, Benjamin EJ, Berra K et al. Effectiveness-based guidelines for the prevention of cardiovascular disease in women - 2011 update. A guideline from the American Heart Association. Circulation 2011; 123: 1243-62. 7. Franklin BA, Cushman M. Recent advances in preventive cardiology and lifestyle medicine. A themed series. Circulation 2011; 123: 2274-83. 8. www.heartscore.org 9. www.cuore.iss.it/valutazione/valutazione.asp
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REUMATOLOGIA
OSTEOPOROSI Il “peso” dell’aderenza sull’efficacia terapeutica UNO DEI PRINCIPALI PROBLEMI SANITARI, AD ALTISSIMA PREVALENZA, IN CRESCITA E CON COSTI NON PIÙ SOSTENIBILI. QUESTO È L’IDENTIKIT DELL’OSTEOPOROSI SECONDO L’OMS
T
ra le molteplici patologie cronico-degenerative che affliggono la nostra società, l’osteoporosi è una di quelle a maggiore impatto sanitario ed economico, e anche sociale. Sempre più spesso si utilizza l’espressione “epidemia silenziosa”, una formula che riassume con estrema efficacia i problemi che contraddistinguono l’osteoporosi, e cioè la sua enorme diffusione e la scarsa percezione che se ne ha. Questo sinergismo negativo si ripercuote in primis sul paziente, con incisiva compromissione della qualità di vita. Tale aspetto diventa ancora più evidente se oltre all’evento fratturativo in sé, consideriamo il dolore e le limitazioni funzionali che ne derivano. Altrettanto importante è il peso a livello dei Servizi Sanitari che probabilmente nel prossimo futuro non saranno più in grado di sostenere gli elevati costi dell’osteoporosi. Se fino a qualche decennio fa le malattie croniche e degenerative, come appunto l’osteoporosi, erano considerate un tributo obbligatorio al processo d’invecchiamento, negli ultimi anni la percezione, almeno a livello istituzionale, è cambiata, dando impulso allo sviluppo di mezzi di diagnosi precoce efficaci e affidabili come anche di trattamenti in grado di rallentare l’evoluzione della patologia. Ciononostante, l’osteoporosi resta nel
a cura della Redazione
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nostro Paese come anche a livello internazionale, sottodiagnosticata e sottotrattata. Nell’ambito della diagnosi e della prevenzione, un ruolo di primo piano è attribuito al Medico di Medicina Generale (MMG), cui spetta il compito di individuare e motivare i pazienti a rischio, e di monitorare i soggetti in terapia affinché quest’ultima venga seguita e in modo corretto. Quest’ultimo è un aspetto centrale nella gestione dell’osteoporosi. Infatti, l’aderenza rappresenta il requisito fondamentale per il successo terapeutico. UNA CRESCITA EPIDEMIOLOGICA CONTINUA Secondo l’Oms, nel mondo sono circa 75 milioni le persone con osteoporosi, di cui 5 milioni nel nostro Paese. Ogni anno si verificano circa 9 milioni di fratture osteoporotiche, e di queste la metà si contano nel continente americano e in Europa. Per l’Italia i dati indicano un’incidenza annuale di 90mila casi. Nei Paesi a elevato sviluppo socio-economico, il rischio di andare incontro a una frattura in siti osteoporotici nel corso della vita è dell’ordine del 30-40 per cento; un dato sovrapponibile a quello delle coronaropatie. Se poi andiamo a vedere l’evoluzione dell’incidenza, i dati mostrano un trend in costante e continua crescita. Dal 1990 al 2003, secondo le stime dell’Oms per esempio, le fratture della parte prossimale del
femore sono quadruplicate e le previsioni indicano che potrebbero arrivare a superare la soglia dei sei milioni nel 2050. Per l’Italia, possiamo citare i risultati di un recente studio (Lapi F et al., 2012), svolto in collaborazione con la Società italiana di Medicina Generale, che è stato condotto con l’obiettivo di stimare l’incidenza sulla base dei determinanti del rischio di fratture osteoporotiche a 5 anni in Medicina Generale, in una popolazione di soggetti con età compresa tra 50 e 85 anni. Allo scopo sono stati utilizzati i dati del registro Health Search, un database che raccoglie i dati anagrafici e clinici dei pazienti afferenti a 900 MMG distribuiti sul territorio. L’analisi è stata condotta in una popolazione di 271.121 soggetti, di cui 148.568 donne. Il tasso di incidenza a 5 anni (per 1.000 persone/anni) di una frattura osteoporotica è risultato per le donne 11,56 (11,33-11,77, CI 95 per cento) e per gli uomini 4,91 (4,75-5,07, CI 95 per cento). Il tasso di incidenza di fratture all’anca, sempre a 5 anni, è risultato 3,23 (3,11-3,34, CI 95 per cento) per le donne vs. 1,21 (1,121,28 CI 95 per cento) per gli uomini. È stato riscontrato inoltre, come i tassi fossero sovrapponibili nei due sessi nei soggetti fino ai 60 anni, per poi divergere in maniera significativa, con netto aumento (oltre 13 volte) per le donne nelle fasce di età più avanzata. Lo studio ha confermato inoltre come il sesso femminile, l’età avanzata, la storia di fratture, un BMI ≤20, l’uso di corticosteroidi, la presenza di osteoporosi siano i principali determinanti del rischio. Oltre a confermare l’elevata incidenza delle fratture osteoporotiche, che tende ad aumentare con l’età, l’importanza dello studio risiede nel fatto che si tratta di un trial “calato” nella pratica clinica e
L’ADERENZA AI TRATTAMENTI ANTI-OSTEOPOROTICI La mancata aderenza a una terapia prescritta si è delineata via via come un fenomeno in crescita le cui conseguenze sanitarie ed economiche stanno acquistando un peso sempre più rilevante per i sistemi del welfare. Anche per questo problema si è utilizzata l’espressione “epidemia silenziosa”, negli USA, dove la mancata aderenza pare essere responsabile di una quota variabile tra il 33 e il 69 per cento di tutti i ricoveri ospedalieri (Osterberg R et al., 2005), con una spesa sovrapponibile a quella degli incidenti stradali. Dai dati finora pubblicati emerge che per le maggiori patologie croniche, e nello specifico quelle caratterizzate da una sintomatologia non continua e da segni non evidenti al paziente, la durata di assunzione del trattamento tende a diminuire gradualmente, per interrompersi entro i primi sei mesi dalla prescrizione. Per quel che riguarda l’osteoporosi, da anni esistono trattamenti efficaci che sono in grado di ridurre il rischio di frattura. Tra questi, i bisfosfonati rappresentano indubbiamente la classe di farmaci più ampiamente utilizzata da circa 20 anni, con un profilo di efficacia-sicurezza ben studiato e documentato. Ciononostante l’incidenza delle fratture osteoporotiche è in costante aumento. Oltre all’invecchiamento della popolazione, vi sono altri fattori che determinano tale trend. Innanzitutto vi è il problema della diagnosi precoce: occorre infatti ottimizzare le strategie diagnostiche in modo tale da poter individuare tempestivamente i pazienti a rischio e quindi meritevoli di un trattamento precoce. Uno dei maggiori ostacoli tuttavia alla riduzione dell’incidenza di fratture è costituito dalla mancata aderenza da parte del paziente al trattamento antiosteoporotico prescritto. L’osteoporosi in sé come anche i trattamenti attuali sembrano racchiudere infatti tutti i determinanti di una scarsa aderenza: la
Figura 1
Probabilità di frattura a 2 anni in base alla copertura farmacologica in pazienti trattati con bisfosfonati 0,12 Probabilità di frattura
di fatto riflette la realtà della Medicina Generale nel nostro Paese.
0,11 0,10 0,09 0,08 0,07 0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
0,9
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MPR Note: MPR, medication possesion ratio; CI al 95 per cento Fonte: modificata da Siris ES et al. Mayo Clin Proc 2006; 81: 1013-22
patologia è cronica, asintomatica fino al momento dell’evento fratturativo, tipica del paziente anziano; le terapie sono a lungo termine, prevedono modalità di assunzione complesse, possono essere associate con eventi avversi e il paziente non percepisce benefici immediati. A conferma vi sono i dati secondo cui quasi il 50 per cento dei pazienti abbandona il trattamento entro i primi 12 mesi dalla prescrizione (Varenna M, Sinigaglia L, 2009; Kothawala P et al., 2007; Cramer JA et al. 2007). w Gli effetti di un’aderenza inadeguata La conseguenza più evidente di una mancata assunzione dei farmaci antifratturativi è l’aumento prevedibile delle fratture, delle ospedalizzazioni e dei costi correlati. Oltre naturalmente a un peggioramento della qualità di vita del paziente. Come riportato in un lavoro di Varenna M e coll., pubblicato nel 2009 su Reumatismo, numerosi studi osservazionali hanno dimostrato che l’assunzione di bisfosfonati per periodi inferiori a 6 mesi non modifichi in alcun modo il rischio di frattura. Valutando la riduzione di tale rischio in un periodo di 24 mesi e utilizzando come variabile dell’aderenza la percentuale di coper-
tura farmacologica, uno studio di Siris ES et al. (2006) ha dimostrato come la probabilità di frattura inizi a diminuire per una copertura farmacologica di almeno il 50 per cento, e che oltre questa soglia il rischio fratturativo diminuisce in maniera lineare all’aumentare del grado di aderenza (Figura 1). w Quali soluzioni per ottimizzare l’aderenza Alla luce del negativo impatto che ha la scarsa aderenza terapeutica, nel corso degli ultimi anni si è cercato di individuare possibili soluzioni per questo problema. Innanzitutto sono fondamentali il ruolo del medico e l’informazione al paziente: il curante dovrebbe spiegare la natura della patologia e il tipo di trattamento, come anche motivare il soggetto ad attenersi alla prescrizione e rispettarla. E questo dovrebbe essere fatto in incontri più frequenti, non più “scanditi” esclusivamente dal ripetersi degli esami densitometrici. Una corretta informazione in parallelo alla motivazione rappresentano requisiti fondamentali per garantire un’adeguata aderenza terapeutica. Alcuni studi infatti mostrano come la disinformazione o la cattiva informazione sui farmaci siano una frequente
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REUMATOLOGIA Figura 2
Effetto di clodronato 200 mg i.m. ogni 14 giorni sulla BMD p<0.01
Incremento della BMD rispetto al basale (%)
4,0
3,9% 3,0
p<0.05
p<0.05
2,7% 2,0
2,8% p=NS
1,9% 1,0 0,0
p=NS p=NS
1,6%
1,2%
1 anno 2 anni Colonna lombare
1 anno 2 anni Collo femorale
1 anno 2 anni Femore totale
Note: i risultati derivano da uno studio in cui 30 donne con osteoporosi postmenopausale sono state trattate con clodronato 200 mg i.m. ogni 14 giorni per 2 anni; BMD, bone mineral density. Fonte: Frediani B. Clin Drug Investig 2011; 31: 43-50
causa di abbandono della terapia. Possibili soluzioni al problema dell’aderenza vengono inoltre continuamente fornite anche dalla ricerca farmaceutica che permette di offrire opzioni terapeutiche sempre più vantaggiose, che da un lato tendono a semplificare le modalità di assunzione dei bisfosfonati e dall’altro a limitarne gli effetti collaterali, soprattutto quelli a livello gastrointestinale (GI). La sicurezza GI a lungo termine dei bisfosfonati è un tema molto discusso. I bisfosfonati nelle formulazioni per os possono causare erosioni esofagee anche gravi. Il rischio di tali eventi è stato contenuto con l’introduzione delle formulazioni a dosaggio settimanale o mensile, e anche attraverso una scrupolosa osservanza delle norme di assunzione (peraltro assai complesse) di questi farmaci. Ma se da un lato le formulazioni mensili hanno permesso di arginare il problema della sicurezza GI, dall’altro, come dimostrano i dati, non hanno apportato i benefici sperati in termini di aderenza. Molte donne infatti allo scadere del mese, si dimenticano di assumere il bisfosfonato. Emerge dunque come la “costruzione” di una terapia su misura debba essere un obiettivo prioritario nell’approccio al paziente con osteoporosi. In questa prospettiva, nei soggetti in cui la somministrazione
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orale di bisfosfonati risulta difficile da gestire, un’opzione vantaggiosa potrebbe essere costituita da clodronato nella formulazione intramuscolare, di cui peraltro oggi è disponibile un nuovo dosaggio (200 mg). In questo caso il piano di terapia prevede un’iniezione ogni 14-28 giorni, e i vantaggi per i pazienti sono significativi. Clodronato 200 mg, come clodronato 100 mg, è indicato non solo per il trattamento, ma anche per la prevenzione dell’osteoporosi postmenopausale. Inoltre, il nuovo dosaggio (200 mg i.m.) garantisce la stessa efficacia del 100 mg con metà delle iniezioni. Oltre agli effetti positivi sull’osso (Figura 2), vi è il vantaggio di sole due iniezioni mensili che garantiscono peraltro un assorbimento del farmaco pari al 100 per cento. E questo indipendentemente dalle sostanze ingerite. Ricordiamo per esempio, come l’assorbimento di alendronato possa essere ridotto anche del 60 per cento, se si assume in concomitanza un caffè oppure un succo d’arancia. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE I bisfosfonati rappresentano attualmente la terapia più diffusa per l’osteoporosi, garantendo un evidente riduzione del rischio fratturativo e un migliora-
mento della densità minerale ossea. Le formulazioni orali presentano alcuni limiti che come abbiamo visto possono ripercuotersi pesantemente sull’aderenza e di conseguenza inficiare l’efficacia terapeutica. In analogia ad altre patologie croniche maggiori, anche per l’osteoporosi gli esperti concordano sull’attuazione di un approccio personalizzato, al fine di migliorare l’aderenza al trattamento. E in tal senso, la formulazione i.m. di clodronato si rivela un’opzione interessante. Anche se non vi sono dati che ne dimostrano la superiore efficacia rispetto ad altre molecole della stessa classe, gli effetti antinfiammatori e antidolorifici (utili nei soggetti con osteoartrosi concomitante) in parallelo alla somministrazione ogni due settimane fanno del clodronato un’opzione vantaggiosa in termini di tollerabilità e nell’ottica di migliorare l’onerosa questione dell’aderenza terapeutica. Bibliografia 1. Assessment of osteoporosis at the primary health level. Report of a WHO scientific group, 2007. 2. Lapi F et al. Assessing 5-year incidence rates and determinants of osteoporotic fractures in primary care. Bone 2012; 50: 85-90. 3. Varenna M, Sinigaglia L. L’aderenza al trattamento dell’osteoporosi: una questione aperta. Reumatismo 2009; 61(1): 4-9. 4. Osterberg R, Blaschke T. Adherence to medication. New Engl J Med 2005; 353: 487-97. 5. Kothawala P et al. Systematic review and meta-analysis of realworld adherence to drug therapy for osteoporsis. Mayo Clin Proc 2007; 82: 1493-501. 6. Cramer JA et al. A systematic review of persistance and compliance with bisphosphonates for osteoporosis. Osteoporosis Int 2007; 18: 1023-31. 7. Siris ES et al. Adherence to bisphosphonates therapy and fracture rates in osteoporotic women: relationship to vertebral and nonvertebral fractures from 2 US claims databases. Mayo Clin Proc 2006; 81: 1013-22. 8. Dalle Carbonare L, Zanatta M. Il profilo del clodronato nel trattamento dell’osteoporosi. GIOT 2011; 37: 288-94 9. Frediani B. Effects of two administration schemes of intramuscular clodronic acid on bone mineral density: a randomized, open-label, parallel-group study. Clin Drug Investig 2011; 31: 43-50
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ESPERIENZE in MEDICINA GENERALE
La prevenzione del Ca. del colon-retto nello studio del Medico di famiglia I RISULTATI DI UN TRIAL CONDOTTO IN LIGURIA IL CA. DEL GROSSO INTESTINO È UNA DELLE PRINCIPALI CAUSE DI DECESSO DA NEOPLASIA NEI PAESI OCCIDENTALI. IN ITALIA SI CONTANO DA 20 A 30MILA NUOVI CASI ALL’ANNO
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n Italia l’incidenza di cancro del colon-retto è di 60-90 nuovi casi per anno per 100.000 abitanti (95,68 per il sesso maschile, 62,08 per quello femminile nel 2010). I fattori di rischio sono: età oltre i 50 anni, storia familiare di neoplasie del colon-retto, storia personale di pregressa resezione di CCR o di polipi adenomatosi, o lunga storia di colite ulcerosa o di colite di Crohn. Quasi tutti i CCR si sviluppano su polipi benigni adenomatosi che nascono e crescono nel colon per anni prima di diventare maligni. I polipi solo occasionalmente danno sintomi, generalmente un sanguinamento; in prevalenza sono silenti e vengono scoperti durante uno screening o nel corso di un esame dell’intestino fatto per altri motivi. Questa sequenza adenoma-carcinoma offre un’opportunità unica di prevenzione secondaria, che non è possibile per la maggior parte delle altre neoplasie. INDICAZIONI PER LO SCREENING La ricerca del sangue occulto (SOF) su
Luigi Pio Miglio*, Giulia San Romé**, Roberto Zunino* *MMG Asl 4 Regione Liguria, **MMG in formazione Regione Liguria
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tre campioni di feci raccolti nel corso di tre defecazioni consecutive o su unico campione con il recente metodo immunologico, seguita da colonscopia in caso di positività del test, ha dimostrato di ridurre la mortalità per CCR. Gli svantaggi di questa strategia sono che i test disponibili non sono in grado di svelare molti polipi e alcuni tumori, e che alcune persone con test positivo, si dovranno sottoporre inutilmente a una colonscopia in assenza di CCR e di polipi adenomatosi. Lo screening per il CCR e per i polipi deve essere proposto a tutti, uomini e donne senza fattori di rischio, a cominciare dall’età di 50 anni. Ai soggetti con parenti di primo grado con cancro o polipi adenomatosi del colon come anche ai soggetti a basso rischio, dovrebbe essere raccomandato uno screening a partire dai 40 anni. Il SOF rappresenta, a oggi, il test di screening più facilmente eseguibile su larga scala, perché non invasivo e poco costoso. Esso ha un elevato valore predittivo (VPP): nei soggetti con test positivo, la frequenza di carcinomi e adenomi ad alto rischio è rispettivamente del 6,3 e 25,8 per cento. Si pensi che il VPP della mammografia è circa del 10 per cento. Altro elemento di screening importante
è la familiarità per CCR: essa incide per il 20 per cento dei casi e interessa una quota limitata di popolazione (circa il 10 per cento). Quindi ha un impatto limitato in termini di controllo della malattia, tuttavia la raccolta e la conoscenza del dato anamnestico rappresentano una prerogativa del Medico di famiglia, per puntare verso un’azione preventiva ancora più mirata ed efficace. La valutazione degli aspetti istologici architetturali è finalizzata al riconoscimento di una significativa componente villosa, essendo tale tipo di architettura correlata al potenziale di trasformazione maligna del polipo e, soprattutto, di sviluppo di lesioni adenomatose colorettali sincrone e/o metacrone. L’adenoma tubulare, villoso e tubulovilloso sono gli istotipi più frequenti; meno frequenti e derivati dalla coesistenza di caratteristiche diverse nella stessa formazione sono i polipi misti iperplastico-adenomatosi e i cosiddetti adenomi serrati. La displasia è graduata in lieve, moderata e severa. L’accorpamento in due sole categorie, “basso grado” (lieve e moderata) ed “alto grado” (severa) trova tuttavia ragione nella scarsa riproducibilità della distinzione tra lieve e moderata. L’ESPERIENZA DEI MMG LIGURI Scopo del lavoro è la valutazione dell’utilità di uno screening per la prevenzione del carcinoma del colon-retto, durante la normale attività ambulatoriale del Medico di Medicina generale
Figura 1
I dati complessivi dello studio SOGGETTI SOTTOPOSTI A SCREENING 945
SOF negativo
SOF positivo
Colonscopia
770
72
103
(MMG), mettendo a confronto i dati che 2 MMG hanno raccolto separatamente. L’esperienza presentata infatti, è stata portata a termine su iniziativa spontanea degli Autori, a Santa Margherita Ligure e Sestri Levante, in provincia di Genova, sui propri pazienti. Lo studio inoltre è stato condotto prima che partisse lo screening regionale che comunque a oggi, sta interessando solo due delle cinque Asl in cui è strutturata la Liguria. MMG1. A 530 soggetti (234 M, 296 F) visitati in ambulatorio per diversi motivi nell’arco di circa 4 anni, di età <49 anni (59 pz.), compresa tra 49 e 71 anni (312 pz.) e >71 anni (159 pz.) viene proposto il SOF su tre campioni o, in presenza di familiarità (6 soggetti)
e/o sintomatologia, direttamente la colonscopia totale (CT). Si sottopongono a SOF 403 soggetti su 482 (83,6 per cento). Totale dei soggetti valutati: 451 (SOF 403 + CT 48) Dei 371 soggetti con SOF negativo, 35 hanno comunque effettuato una CT, risultata positiva per lesioni a basso rischio (DBG, displasia di basso grado) in 9 casi. Su 32 soggetti con SOF positivo, 24 sono stati sottoposti a CT con riscontro di 5 displasie di basso grado, 3 lesioni ad alto rischio (DAG, displasia di alto grado) e 6 CCR. Hanno eseguito direttamente una CT 48 pazienti, tra i quali 11 per familiarità con diagnosi di 14 displasie di basso grado, 2 displasie di alto grado e 4 CCR. MMG 2. Screening proposto a soggetti
Figura 2
Pazienti con SOF negativo: risultati della colonscopia TOTALE SOF ESEGUITI 842
SOF negativo
770
Colonscopia
65
Negativi
Positivi
53
12
Tutte lesioni a basso rischio
Gli effetti della RIMOZIONE COLONSCOPICA DEI POLIPI sulla mortalità a lungo termine: i risultati di un recente studio americano
w L’impatto della rimozione dei polipi adenomatosi sulla mortalità per cancro colorettale nel lungo periodo è stato valutato in un recentissimo studio statunitense che è apparso sul prestigioso New England Journal of Medicine (Zauber AG et al. NEJM 2012; 366: 687-96). I dati sono stati ottenuti in 2.602 pazienti, che nell’ambito del National polyp study, fra il 1980 e il 1990 erano stati sottoposti a una colonscopia con riscontro di un polipo che era stato rimosso. Nella popolazione analizzata, sono stati registrati 1.246 decessi per ogni causa e 12 per cancro colorettale. Sulla base delle stime di prevalenza nella popolazione generale, gli Autori hanno calcolato che le morti per cancro colorettale sarebbero state ben 25,4 nel caso in cui i pazienti non si fossero sottoposti colonscopia e polipectomia; in pratica un numero doppio rispetto a quello riscontrato nello studio. Questo dato suggerisce pertanto una riduzione della mortalità associata alla polipectomia colonoscopica dell’ordine del 53 per cento. Come sottolineato dagli Autori in conclusione, i risultati avvalorano ulteriormente l’importanza della colonscopia, accompagnata da eventuale polipectomia, nell’ambito della prevenzione del carcinoma colorettale e della mortalità correlata.
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ESPERIENZE in MEDICINA GENERALE Figura 3
Pazienti con SOF positivo: risultati della colonscopia TOTALE SOF ESEGUITI 842
SOF positivo
72
Colonscopia
64
Negativi
Positivi
15
49
DBG: 21 DAG: 16 CCR: 12
Note: DBG, displasia di basso grado; DAG, displasia di alto grado; CCR, carcinoma del colon-retto
di età >50 anni o >40 anni, in presenza di familiarità. Si sottopongono a SOF 439 pazienti (217 M, 222 F). Soggetti sottoposti direttamente a CT: 55. Totale dei soggetti valutati: 494. Soggetti con SOF negativo 399: 30 hanno comunque effettuato una CT, risultata positiva per displasia di basso grado in 3 casi.
I soggetti con SOF positivo sono risultati 40, tutti sottoposti a CT che ha portato alla diagnosi di 16 displasie di basso grado, 13 displasie di alto grado e 6 CCR. Sono stati sottoposti direttamente a CT 55 pazienti con riscontro di 5 displasie di basso grado e 3 di alto grado. w Discussione La Figura 1 riasume i dati complessivi
Figura 4
Pazienti con familiarità o sintomi aspecifici: risultati della colonscopia
Bibliografia
Screening
451
Colonscopia
103
Negativi
Positivi
75
28
DBG: 19 DAG: 5 CCR: 4
Note: DBG, displasia di basso grado; DAG, displasia di alto grado; CCR, carcinoma del colon-retto
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dello studio. Un risultato molto importante è l’alta adesione allo screening, se a proporlo è il Medico di famiglia: infatti, nel caso del MMG1 si è avuta un’adesione allo screening superiore all’80 per cento, a fronte di circa il 30 per cento a livello nazionale. Per quel che riguarda nello specifico la Liguria, il programma regionale copre al momento attuale, come già sottolineato, 2 Asl su 5; la media dell’adesione relativa alla popolazione afferente all’Asl 4 è del 41 per cento. Complessivamente lo screening effettuato su 945 soggetti, per la maggior parte asintomatici e/o con familiarità positiva, ha portato alla diagnosi di 52 lesioni a basso rischio, 21 lesioni ad alto rischio (trattati per via endoscopica) e 16 CCR (5 trattati per via endoscopica) (Figure 2, 3, 4). Questi dati, oltre ad avvalorare l’elevato valore predittivo del SOF, confermano l’importanza della prevenzione del CCR anche fatta durante la normale attività ambulatoriale del MMG, con significative ricadute economiche e di salute pubblica. Si evidenzia tuttavia, la criticità di uno screening esteso a tutta la popolazione e ripetuto nel tempo, che allo stato attuale solo la struttura pubblica è in grado di assicurare; in questo processo, il MMG deve comunque rivestire un ruolo di primo piano, sia per la conoscenza del paziente (anamnesi familiare!) che per l’elevata adesione allo screening, se a proporlo è proprio il Medico di famiglia stesso.
1. Vettorazzi M. Cogo C. Screening oncologici: considerazioni critiche. DsF 2005; 5: 220-3 2. Zanetti R. Et al. Il cancro in Italia 1993-1998: i dati di incidenza dei Registri Tumori. Roma 2002 3. Lynch HT de la Chapelle A. Hereditary colorectal cancer. N Engl J Med 2003; 348: 919-32 4. Zorzi M et al. Lo screening colorettale in Italia: survey 2004. Osservatorio Nazionale Screening Quarto Rapporto. Firenze 2005
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SEGNALAZIONI dalle aziende
AZIONE MIRATA, EFFICACIA e TOLLERABILITÀ per un giusto approccio alle INFEZIONI del CAVO ORO-FARINGEO
L
a mucosa delle prime vie aeree (rino-oro-faringea) è
inizia appena dopo la nascita. Ma la mucosa rino-oro-faringea
costantemente esposta all’azione di agenti esterni po-
rappresenta anche il sito di prima replicazione di diversi virus
tenzialmente dannosi, veicolati dall’aria inspirata o dagli
e batteri patogeni che possono poi diffondere ad altre parti
alimenti, e rappresenta una fondamentale linea di difesa delle
dell’organismo, ciò che spiega la presenza di un “organo”
vie respiratorie più profonde e dell’organismo tutto. Le infezioni
linfatico, l’anello di Waldeyer, distribuito sulle tonsille faringea,
acute sono tra i più comuni stimoli lesivi a suo carico e deter-
palatina e linguale, che ha la funzione di neutralizzare questi
minano una risposta infiammatoria come primo meccanismo
microrganismi. Le infezioni delle vie aeree superiori sono molto
di difesa, con un quadro clinico caratteristico. In questi casi,
comuni: accanto alle faringiti, alle tonsilliti e alle faringo-tonsilliti,
risulta particolarmente utile poter disporre di uno strumento
che sono tra le più frequenti cause di patologia acuta e il 10-
che abbia efficacia antibatterica e antidolorifica locale, in
15 per cento dei motivi che spingono a consultare il MMG,
modo da ridurre la flogosi e da impedire un’evoluzione della
compaiono le laringiti e, nel bambino, l’adenoidite acuta (a
patologia che costringa all’uso di antibiotici e farmaci sistemici,
carico delle tonsille faringee), che può estendersi alle tonsille
più aggressivi.
palatine e può cronicizzare, così come nell’adulto avviene per
Risponde bene a questa esigenza Bornilene, una particolare
altre affezioni a carico del tratto respiratorio superiore.
formulazione spray che unisce all’efficacia antibatterica del suo
Si tratta di condizioni di grande rilevanza sociale ed epide-
principio attivo, xibornolo, l’azione antalgica del clorobutanolo.
miologica, per la grande rapidità di diffusione all’interno delle
La necessità dell’appropriatezza
comunità: queste infezioni sono causa di assenza scolastica o dal lavoro nel 30-50 per cento degli adulti e nel 60-80 per
L’impiego di un antisettico locale, laddove sia possibile, assu-
cento dei bambini in età scolare; sotto i 5 anni, addirittura l’80
me un particolare interesse alla luce del fenomeno crescente
per cento delle patologie è di natura infettiva e, nella gran parte
e di portata mondiale della resistenza batterica agli antibiotici.
(il 61 per cento di queste), a carico delle vie respiratorie.
L’uso eccessivo e inappropriato di questi farmaci ha infatti creato uno dei problemi sanitari più stringenti dell’attualità:
Il ruolo di un’efficace azione locale
l’emergenza di ceppi batterici resistenti alla gran parte o a tutti
La terapia delle infezioni del cavo oro-faringeo si basa più spes-
gli antibiotici esistenti. È il caso dello S. aureus meticillino-
so sull’impiego di antibiotici in associazione ad antinfiammatori
resistente (MRSA), responsabile di molte infezioni ospedaliere,
e antisettici. Particolarmente importante, specie nelle fasi inizia-
dei ceppi di M. tuberculosis multiresistenti, ma anche di batteri
li, l’uso di farmaci efficaci a livello locale: questo aiuta a evitare
a diffusione più larga, come gli streptococchi e diversi Gram
uno stato infiammatorio protratto che può favorire la diffusione
negativi.
dell’infezione o l’instaurarsi di sovrainfezioni, anche da parte di
Le infezioni del cavo orale
germi opportunisti come la Candida albicans, costringendo a trattamenti antibiotici/antimicotici sistemici incisivi e prolungati.
Come avviene per tutti i distretti anatomici a contatto con
Attivo in questo senso e utilizzato da lungo tempo è lo xiborno-
l’ambiente esterno, anche in questa zona la presenza di mi-
lo, un monoterpene che è presente in natura nelle piante e la
crorganismi è normale, con una colonizzazione microbica che
cui attività nei confronti di diversi microrganismi è documentata
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dalla letteratura. Xibornolo ha infatti dimostrate proprietà batteriostatiche e battericide verso batteri Gram positivi (Staphi-
Figura 1 Efficacia
lococcus aureus, Streptococcus pyogenes o beta-emolitico,
di xibornolo vs tetraciclina e placebo*
3
Xibornolo
Streptococcus faecalis e Streptococcus pneumoniae) e alcuni Gram negativi, come l’Haemophilus influenzae. Si tratta dei
Tetraciclina
tratto respiratorio. Degno di nota il fatto che xibornolo è efficace anche sugli stafilococchi penicillino-resistenti, perché la sua azione non è contrastata dalla produzione batterica di penicillinasi. Nei confronti dei virus, pur non avendo effetto protettivo se l’agente patogeno è già all’interno della cellula, xibornolo ha mostrato di esplicare un effetto virulicida da contatto verso il
Punteggio di miglioramento
microrganismi più spesso chiamati in causa nelle infezioni del
2
Placebo 1 0 = immodificato 1 = leggermente migliorato 2 = migliorato 3 = molto migliorato
virus influenzale e il Myxovirus multiformis. Xibornolo ha inoltre un’attività fungistatica nei confronti di Candida albicans, della quale inibisce la crescita. Queste proprietà, unite alla sua spiccata affinità per la mucosa del tratto respiratorio, dove raggiunge concentrazioni che gli conferiscono efficacia antibatterica, rappresentano un aspetto importante per l’utilizzo clinico di xibornolo e il razionale del suo
0 1
2
3
4
5 Giorni
Note: * nel trattamento di infezioni stagionali delle vie aeree superiori non gravi. Fonte: Scaglione F. Giorn. It. Mal. Tor. 2009.
impiego nelle infezioni delle prime vie respiratorie.
Bornilene
La sua efficacia nel bambino con affezioni febbrili batteriche
Queste caratteristiche di xibornolo sono state abbinate a una sostanza ad azione antidolorifica topica, il clorobutanolo, e sfruttate in una formulazione in sospensione spray per mucosa orale a dosaggio controllato, il Bornilene. Un aspetto particolarmente importante della formulazione è relativo alle proprietà fisico-chimiche della sospensione spray. Questa ha infatti una spiccata tissotropia, caratteristica che consente una migliore nebulizzazione del prodotto, che può così distribuirsi uniformemente sulla mucosa, e favorisce la mucoadesività: in questo modo aumenta l’assorbimento di xibornolo e l’azione antalgica del clorobutanolo è prolungata. La confezione munita di beccuccio erogatore permette inoltre di indirizzare il getto nebulizzato proprio dove serve. Bornilene è indicato come coadiuvante nel trattamento delle infezioni e degli stati infiammatori della sfera faringea (faringiti, laringiti, rinofaringiti, tonsilliti acute e croniche) causate da germi sensibili allo xibornolo. Igiene locale pre- e post-operatoria. Adiuvante e antisettico nella pratica dentistica. La quantità di sospensione erogata è controllata da una valvola metrica pre-dosata; la dose consigliata è di 4-6 nebulizzazioni faringee al giorno a intervalli regolari. Il farmaco è in fascia C e necessita di prescrizione medica.
delle prime vie aeree sostenute da germi Gram positivi, parimenti al suo profilo di tollerabilità, è stata evidenziata da diversi studi clinici. Uno, in particolare, ha confrontato la molecola con eritromicina, entrambe alla dose di 40 mg/kg/die, mostrando per i due farmaci un’attività comparabile su tutti i parametri considerati; unica eccezione l’assenza di C. albicans nell’esame colturale da tampone faringeo del gruppo trattato con xibornolo, presente invece nel gruppo eritromicina. Diversi studi di efficacia clinica sono stati condotti anche nel trattamento delle infezioni delle alte vie respiratorie dell’adulto: xibornolo ha mostrato, per 4-6 nebulizzazioni/die in pazienti con faringite, tonsillite e faringo-laringite, efficace azione batteriostatica e sul dolore; nella formulazione in collutorio ha diminuito il dolore e prevenuto episodi di sovrainfezione della loggia tonsillare nel decorso post-operatorio di tonsillectomia; ancora, uno studio in doppio cieco di confronto con tetracicline e placebo ha mostrato, dopo 5 giorni di terapia per os, efficacia simile per i due farmaci e significativamente maggiore del placebo (Figura 1); anche nel trattamento delle bronchiti croniche riacutizzate xibornolo ha evidenziato efficacia d’azione, riducendo la quantità di escreato, il numero medio di leucociti e il valore della VES, con un esame colturale sull’espettorato senza crescita batterica nel 90 per cento dei casi. Xibornolo, inoltre, ha dimostrato di essere ben tollerato.
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C ONGRESSI
AHA Scientific Session - 12-16 novembre 2011 - Orlando, Florida (USA)
PREVENZIONE, tema portante dell’appuntamento americano dedicato alle MALATTIE CARDIOVASCOLARI e all’ICTUS
T
emi portanti del Congresso 2011 dell’American Heart Association sono stati la prevenzione delle malattie cardiache e dello stroke. Tra i tanti trial “in anteprima”, molto attesi quelli relativi a due nuovi antitrombotici nella prevenzione dell’ictus dopo sindrome coronarica acuta (SCA). Protagonista del primo è stato rivaroxaban, un inibitore orale del fattore Xa. Lo studio, ATLAS ACS 2 TIMI 51, ha arruolato più di 15mila pazienti con storia recente di SCA, randomizzati a 2,5 o 5,0 mg b.i.d. di rivaroxaban o placebo per una media di 15 mesi, oltre alla terapia antipiastrinica standard (ASA più clopidogrel, 93 per cento dei pazienti, o ASA solo). Complessivamente, rivaroxaban riduceva il rischio composito di decesso CV, IM o stroke, che rappresentava l’endpoint primario composito d’efficacia, del 16 per cento e aumentava gli episodi di sanguinamento, ma non quelli fatali; il massimo bilancio tra benefici e sicurezza era mostrato dal dosaggio più basso. Lo studio ha messo in luce l’importanza del dosaggio dell’anticoagulante nel post SCA e l’aggiunta di rivaroxaban a un dosaggio molto basso può rappresentare una nuova strategia di trattamento in questi pazienti. Di segno negativo invece i risultati del secondo trial, TRACER, che hanno mostrato come il nuovo antipiastrinico orale vorapaxar, capostipite della classe degli antagonisti del recettore per la trombina (PAR-1 antagonisti), non riduca la mortalità o gli eventi cardiaci gravi nei soggetti con SCA, mentre aumenta significativamente il rischio di sanguina-
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mento, incluse le emorragie intracraniche, con un’interazione significativa tra vorapaxar, clopidogrel (terapia standard) e un basso peso corporeo. Il trial, condotto su quasi 13mila pazienti di 37 Paesi, è stato interrotto nel gennaio 2011 dopo una prima revisione di sicurezza che ha mostrato un eccesso di emorragie intracraniche in pazienti con precedente storia di stroke che assumevano il farmaco. Anche lo studio AIM HIGH, di cui sono stati presentati i risultati, è stato interrotto precocemente, nel 2011, perché la niacina a rilascio prolungato in studio non mostrava benefici nei confronti dell’endpoint primario (riduzione aggiuntiva di eventi CV), mentre aumentava il rischio di stroke ischemico, nei pazienti con dislipidemia e storia di malattia CV in trattamento con statine. Il trial aveva arruolato 3.414 soggetti con storia di malattia CV, bassi livelli ematici di HDL-C ed elevati di trigliceridi. Tutti i partecipanti erano in terapia standard con simvastatina 40-80 mg die, ed erano randomizzati a niacina a rilascio prolungato, in dosi gradualmente crescenti fino a 2.000 mg/die o placebo. Nel campo della FA, sono stati presentati gli attesi risultati finali dello studio PALLAS, interrotto nel luglio scorso per eccesso di eventi CV nei pazienti con FA permanente in trattamento con dronedarone. Lo studio, randomizzato in doppio cieco verso placebo condotto su gruppi paralleli di pazienti con età ≥65 anni e FA da almeno 6 mesi più almeno un fattore di rischio per eventi vascolari maggiori, era stato disegnato per valutare il trattamento con dronedarone 400
mg b.i.d. I 3.236 partecipanti sono stati seguiti per un periodo medio di 3,5 mesi. Il primo dei due endpoint principali, ovvero incidenza di eventi CV maggiori (stroke, tromboembolismo sistemico, IM, morte cardiovascolare) si è verificato in più del doppio dei pazienti in trattamento attivo (2,7 vs. 1,2 per cento, HR 2,29 IC 95 per cento 1,34-3,94; p =0,002); il secondo endpoint principale, ospedalizzazione per cause CV o morte per tutte le cause, è occorso invece in circa il doppio dei pazienti in trattamento rispetto al placebo (7,8 vs. 4,1 per cento; HR 1,95, IC 95 per cento 1,45-2,62; p <0,001). L’aumento dei decessi era dovuto principalmente a un aumento di eventi CV per aritmia; l’aumento di ospedalizzazioni dallo scompenso. Terminiamo questa rassegna necessariamente breve con i risultati dello studio ADOPT, che ha valutato su 6.528 pazienti l’efficacia e la sicurezza di apixaban (inibitore orale del fattore Xa) 2,5 mg b.i.d. rispetto a enoxaparina (40 mg/ die) nella prevenzione della trombosi in pazienti a rischio. Lo studio ha evidenziato che una tromboprofilassi protratta con apixaban (30 gg.) non riduce il rischio di TEV rispetto al più breve trattamento (6-14 gg.) con enoxaparina (2,71 vs. 3,06 per cento di eventi nei due gruppi rispettivamente; p=0,44). I tassi di sanguinamento maggiore sono risultati più alti nel gruppo apixaban rispetto al gruppo enoxaparina (0,47 vs. 0,19 per cento, rispettivamente; p=0,04). Lo studio ha tuttavia evidenziato l’importanza della tromboprofilassi dopo le dimissioni ospedaliere.
C O N G R E S SI
72° Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia - 10-12 dicembre 2011 - Roma
ATTENZIONE AI GIOVANI e GESTIONE “GLOBALE” DEL PAZIENTE sono i temi della CARDIOLOGIA ITALIANA per il futuro
A
lla fine dello scorso anno nella Capitale si sono riuniti i maggiori specialisti di cardiologia, e non solo, in occasione del Congresso SIC (Società italiana di cardiologia). Numerosi sono stati i temi e gli spunti di riflessione. Di seguito presentiamo una sintesi degli argomenti di maggiore interesse per il Medico di Medicina generale.
w La crisi economica si riflette anche sul cuore degli italiani Ansia di perdere il posto di lavoro, la preoccupazione dei grandi cambiamenti economici e del sistema pensionistico sono alcuni dei fattori di rischio emergenti per le cardiopatie. “Noi cardiologi” ha sottolineato Salvatore Novo, presidente del Congresso, in occasione della conferenza stampa di presentazione, “vediamo sempre più italiani alle prese con ‘batticuori’ legati a stati ansiosi. E poi ci sono le forti emozioni: basti pensare alle scommesse che stanno aumentando, alle aspettative che un pensionato mette nel ‘gratta e vinci’ al quale tutte le mattine affida il suo futuro”. Uno scenario preoccupante che però si sovrappone a una situazione già problematica dal punto di vista della salute cardiovascolare (CV). Le patologie CV restano infatti tuttora la prima causa di decesso nel nostro Paese, seguite dai tumori. A conferma vi sono anche i recenti dati dell’Istat sulle cause di decesso: su 581.470 decessi ben 225.588 sono stati provocati da malattie del sistema circolatorio e 172.783 da tumori. La prevenzione dunque resta il perno su
cui agire. Una prevenzione a 360 gradi che coinvolga non solo i cardiologi, ma anche specialisti di altre aree, e soprattutto il Medico di Medicina generale. Il Congresso rappresenta un occasione importante in tal senso, in cui il dialogo e il confronto sono impostati nell’ottica di migliorare la prevenzione, la diagnosi, la terapia e l’assistenza del paziente cardiologico. Il paziente deve essere considerato in toto, e non solo dal punto di vista cardiologico. Per impostare una gestione ottimale e personalizzata delle patologie CV è necessario conoscere le caratteristiche soggettive e le eventuali comorbilità, peraltro assai frequenti nel cardiopatico. È una visione olistica in cui il paziente cardiologico è considerato in tutte le sue sfaccettature, che vanno dagli interventi ultraspecialistici alla valutazione e cura delle comorbidità così frequenti e sempre più importanti nel condizionare la prognosi del paziente cardiologico. “L’impegno della SIC non si limita, però, solo a una diffusione di conoscenze tra gli addetti ai lavori”, ha sottolineato il prof. Novo. “È necessaria una sensibilizzazione verso una migliore ‘cultura cardiologica’ che investa la società civile, ma anche le Istituzioni”.
w I dati allarmanti sui giovani E proprio nella prospettiva di una maggiore sensibilizzazione sulla prevenzione cardiologica, sono stati presentati i risultati di un’iniziativa che la Fondazione italiana cuore e circolazione onlus ha svolto nel contesto di un protocollo d’intesa con il Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca. Si tratta di uno screening cardiologico effettuato su oltre 4mila studenti delle scuole in Calabria, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Toscana e Veneto. Se analizziamo i risultati, emerge un quadro sconvolgente: su cento ragazzi apparentemente sani 19 hanno rivelato di avere anomalie elettrocardiografiche meritevoli di approfondimento diagnostico. Una distribuzione preoccupante riguarda i fattori di rischio: 13 giovani su cento avevano familiarità per malattie cardiovascolari, 18 su cento hanno dichiarato di fumare, 11 su cento di abusare di alcol e 6 su cento di fare uso di sostanze stupefacenti. Servono dunque maggiori strumenti di informazione e di sensibilizzazione rivolti in particolar modo ai giovani, e in questo contesto nell’ambito del Congresso SIC, la Fondazione italiana cuore e circolazione onlus ha organizzato diversi eventi. Possiamo ricordare per esempio, l’allestimento di un gazebo in cui veniva distribuito materiale informativo e vi era la possibilità di parlare con specialisti cardiologi. “In un momento storico in cui la precarietà delle Istituzioni alimenta la disgregazione e le distanze con i giovani”, ha spiegato Francesco Fedele, presidente della Fondazione italiana cuore e circolazione onlus, “la Fondazione ribadisce la sua volontà di arrivare proprio al cuore dei nostri ragazzi”. “Ascoltiamo il cuore dei ragazzi”: è questo il messaggio chiave che nel prossimo futuro dovrebbe guidare la scelta delle strategie di sensibilizzazione e prevenzione nel nostro Paese.
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NOVARTIS
LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA: NILOTINIB COME TERAPIA DI PRIMA LINEA ANCHE IN ITALIA
S
i avvicina sempre più l’ambizioso traguardo di “cura della malattia” nei pazienti affetti da leucemia mieloide cronica (LMC). Lo scorso 24 gennaio, in un incontro con oltre 300 specialisti ematologi, che si è tenuto a Napoli, è stata comunicata l’approvazione anche nel nostro Paese di nilotinib (Tasigna, Novartis) come trattamento di prima linea nei pazienti adulti affetti da LMCPh+. Si tratta di un ulteriore passo in avanti verso la guarigione definitiva, un percorso peraltro già avviato qualche anno fa con l’introduzione (nel 2001) del predecessore imatinib. Gli inibitori delle tirosin-chinasi hanno rappresentato una svolta nella terapia dei pazienti con LMC, tanto che la sopravvivenza in 10 anni è balzata dal 20 all’80 per cento. In particolare, l’uso di
imatinib ha modificato la durata delle tre fasi di malattia, prolungando la fase cronica a scapito di quella accelerata e blastica. Il risultato è stato appunto l’aumento significativo dell’aspettativa di vita. E questi risultati potrebbero migliorare con l’introduzione in terapia di nilotinib, che rispetto all’imatinib presenta una maggiore affinità e selettività di legame per il sito della tirosin-chinasi Bcr-Abl. I risultati ottenuti nello studio di fase III ENESTnd, su cui si basa l’approvazione del farmaco, dimostrano la superiorità di nilotinib rispetto a imatinib nell’ottenere percentuali significativamente più elevate di risposta molecolare non solo maggiori, ma anche complete e nel ridurre in modo significativo la progressione di malattia. “Anche il follow up a 36 mesi ha confermato come il trattamento con nilotinib
garantisca risposte molecolari complete”, ha commentato il prof. Giuseppe Saglio, dell’Università di Torino all’incontro di Napoli “che raggiungono il 30 per cento a tre anni nei pazienti trattati con nilotinib (300 mg x2/die) rispetto al 15 per cento che si ottiene con imatinib 400 mg/die. Questo target è quindi raddoppiato nei pazienti trattati con nilotinib e ciò è importante perché oggi sappiamo che questo è il presupposto per avere sempre una maggiore percentuale di pazienti che potranno prima o poi smettere la terapia e considerarsi definitivamente guariti. Avere a disposizione delle terapie che riescano a ‘svezzare’ i pazienti dal trattamento senza provocare una ripresa della malattia è fondamentale non solo per il paziente, ma anche per il sistema sanitario”.
DAIICHI-SANKYO
IPERTENSIONE: ARRIVA L’ASSOCIAZIONE FISSA SARTANO-CALCIOANTAGONISTA
L’
Italia si avvicina sempre più all’Europa con l’introduzione in commercio della prima associazione fissa di due antipertensivi, olmesartan medoxomil+amlodipina (Sevikar, Daiichi-Sankyo). Nonostante esista un ampio ventaglio di opzioni, tuttora la terapia dell’ipertensione è subottimale, con un’ampia quota di pazienti sottotrattati o non trattati. Se ne è parlato in occasione del lancio del nuovo farmaco, in un incontro per la stampa medico-scientifica che si è tenuto a Roma lo scorso 1 febbraio. In Italia, la quota annua di popolazione che “entra” negli ipertesi supera i 385mila casi. Di questi, circa 55mila non sono trattati e 148mila non sono
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trattati efficacemente. Tra i pazienti che ricevono una terapia, un’ampia frazione, oltre 153mila, risulta non aderente alla terapia. “L’ipertensione”, ha sottolineato all’incontro il prof. Massimo Volpe, presidente Siia (Società italiana ipertensione arteriosa), “contribuisce fortemente ad aumentare il rischio cardiovascolare. Pur tuttavia a fronte di un’ampia disponibilità di trattamenti antipertensivi, solo il 25 per cento dei pazienti italiani ipertesi raggiunge i target di controllo pressorio, anche a causa di una bassa aderenza alle terapie. Il nuovo farmaco grazie alla combinazione fissa di due antipertensivi ha dimostrato di poter migliorare la compliance, perché semplifica il regime
terapeutico, riducendo il numero di compresse da assumere, che attualmente nei pazienti medio-gravi può raggiungere 3 o 4 al giorno. In questa prospettiva, una più stretta collaborazione fra specialisti e MMG è fondamentale per portare nel medio periodo al 70 per cento la quota di pazienti ipertesi con un controllo pressorio ottimale: un obiettivo ambizioso, ma necessario”. L’associazione fissa avrebbe anche un positivo impatto economico sul sistema sanitario. Il costo dell’associazione fissa è minore rispetto ai due farmaci singoli, e sulla base del costo annuale della terapia si stima un risparmio pro capite dell’ordine del 79,7 per cento (e complessivo fino a 4 milioni di euro).
ABC
DOXOFILLINA, UN CAPOSALDO NELLA TERAPIA DELLA BPCO, ANCHE NEI CARDIOPATICI
N
onostante siano molecole di “lunga data”, ancora oggi le teofilline continuano ad avere un significativo impatto nella gestione delle patologie respiratorie, prima fra tutte la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), tanto che le Linee guida internazionali ne assegnano un ruolo di rilievo nella terapia di fondo a partire dal secondo stadio. Tra le diverse molecole, la doxofillina (Ansimar®), un derivato xantinico, è probabilmente la più “innovativa” ed è dotata di una caratteristica maneggevolezza, tanto da essere definita una “novofillina” (Page CP. Doxofylline: a “novofylline”. Pulm Pharmacol Ther 2010; Aug; 23(4): 2314. Epub 2010 Apr 7). Numerosi studi nel corso degli ultimi anni hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza della doxofillina, cui si associano significativi effetti broncodilatatori, ma anche antinfiammatori. Il suo profilo di sicurezza ha infatti mostrato
un’importante riduzione degli effetti sul sistema nervoso centrale, gastrointestinale e in particolare, cardiovascolare. Tale selettività d’azione è sostenuta dalla scarsa interazione della molecola con i recettori dell’adenosina, ma soprattutto dall’insignificante interazione con tutte le isoforme note delle fosfodiesterasi (PDE). In particolare la non affinità per l’isoforma PDE3, presente sul tessuto cardiaco e vascolare, rende ragione della sicurezza della doxofillina anche in pazienti cardiopatici e trattati con antiaritmici. Alle già molteplici pubblicazoni in letteratura si aggiunge anche un recentissimo studio (Wang T et al., 2011) multicentrico, randomizzato in doppio cieco, di confronto tra doxofillina e tiotropio inalatorio. Il trial è stato condotto in 127 soggetti con BPCO stabile moderata o severa, che sono stati trattati con tiotropio bromuro inalatorio (18 mcg/die) o doxofillina (0,2 g x2/die) per 12 e 24
JOHNSON & JOHNSON
Una campagna per conoscere i sintomi oculari delle allergie
L’
arrivo della primavera coincide per molte persone con la comparsa dei primi sintomi dell’allergia, a livello nasale e molto spesso oculare. Lacrimazione e prurito oculare che accompagnano la congiuntivite allergica sono tra i sintomi più evidenti e quelli a maggiore impatto sulla qualità di vita del paziente e sulla produttività, ma sono anche forse i più sottovalutati. “Occhio all’allergia” è una nuova iniziativa, che nasce proprio con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione, ma anche gli oculisti, sull’importanza dei sintomi allergici oculari. La campagna è promossa dall’Associazione italiana di aerobiologia ed è sostenuta da Levoreact Oftalmico, e prevede il coinvolgimento degli oculisti e dei farmacisti. Presso gli studi degli oftalmologi sarà disponibile materiale informativo per il paziente; per il medico invece è stato realizzato un booklet dedicato. Per informazioni e approfondimenti è anche possibile consultare il sito web www. meteopolline.it.
settimane. Le valutazioni dei parametri di funzionalità respiratoria (FEV1, FEV1/ FVC %, distanza percorsa in 6 minuti di camminata) sono state eseguite sia a 12 che a 24 settimane. L’analisi di tutti i dati ha mostrato per entrambi i trattamenti il miglioramento dei parametri di valutazione spirometrica e di benessere soggettivo dei pazienti. Nella popolazione studiata, la doxofillina per via orale ha mostrato la non inferiorità terapeutica rispetto al tiotropio bromuro inalatorio. Anche il profilo di sicurezza di doxofillina è risultato sovrapponibile a quello del tiotropio bromuro, con differenze non significative dal punto di vista statistico. La vasta letteratura internazionale conferma, quindi, come la doxofillina per via orale sia ancora oggi un’opzione efficace e sicura, anche in pazienti con comorbilità cardiaca e in politerapia, con un profilo di costo-efficacia ampiamente dimostrabile.
MSD UN LIBRO PER RACCONTARE IL VISSUTO DEI PAZIENTI AFFETTI DA MICI Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino colpiscono in Italia circa 200mila persone, per lo più giovani tra i 20 e i 35 anni, ma restano ancora poco conosciute e sottodiagnosticate. La diagnosi è complicata dall’aspecificità dei sintomi, comuni ad altre condizioni. Sono patologie ad altissimo impatto sulla qualità di vita del paziente, e ora per la prima volta un libro-intervista racconta il vissuto dei pazienti (Il fuoco dentro, Daniela Minerva, Ed. Springer). Un vissuto complicato, segnato da pesanti limitazioni nella vita di tutti i giorni, che però ha avuto una svolta con l’introduzione delle terapie biologiche innovative, come infliximab (Remicade, MSD) che ne è il capostipite. Con le nuove terapie è possibile intervenire sulla progressione di malattia, evitando l’accumulo di danni all’intestino, e riducendo il numero di ricoveri e interventi chirurgici. Il Chmp dell’Ema ha di recente approvato l’uso di infliximab anche nei pazienti pediatrici, nella fascia di età 6-17 anni, con malattia attiva di grado severo non responder alle terapie tradizionali.
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MUNDIPHARMA-VIVERE SENZA DOLORE
SERVE MAGGIORE INFORMAZIONE SUL DOLORE CRONICO
L
a “legge sul dolore” (n. 38 del 15 marzo 2010) ha dato una svolta nel nostro Paese, “obbligando” i medici a prendersi cura del dolore, qualunque ne sia la causa. Ma com’è cambiata la realtà dei pazienti con dolore? E soprattutto i pazienti conoscono la legge e hanno avuto la possibilità di accedere a un Centro specialistico? A queste domande ha cercato di dare risposte concrete l’associazione Vivere senza dolore, che nel 2011 ha promosso la campagna nazionale CU.P.I.DO, realizzata con un grant incondizionato di Mundipharma. In 14 città italiane sono stati promossi incontri in piazza per i cittadini con specialisti del dolore. Questi incontri sono stati la base per la realizzazione di un’indagine i cui risultati sono stati presentati a metà dello scorso gennaio. In totale sono stati inter-
pellati 1.830 soggetti. È stata riscontrata una prevalenza del dolore cronico pari al 67,3 per cento. Nella quasi totalità dei casi (93,4 per cento) il dolore non era di natura oncologica, e il più comune è stato quello associato all’artrosi (oltre il 45 per cento dei pazienti). Per quel che riguarda la terapia, è risultato che circa la metà delle persone con dolore non si rivolgeva a uno specialista, ma il dato più significativo è che solo meno della metà dei soggetti avesse un trattamento in corso, che era rappresentato da un FANS nel 40 per cento circa dei pazienti. Gli oppioidi deboli o forti venivano utilizzati solo nel 6,9 per cento dei casi, e questo nonostante l’intensità del dolore fosse classificata come moderata-severa. In oltre la metà dei soggetti, a prescrivere la terapia è il MMG, e solo
MSD DIABETE: SITAGLIPTIN PER I PAZIENTI CON INSUFFICIENZA RENALE MODERATA E SEVERA Nel diabete, il rischio di compromissione renale aumenta con la durata di malattia e circa un terzo dei pazienti è a rischio di svilupparla. Un’importante novità riguarda l’ipoglicemizzante sitagliptin (Januvia, MSD), l’inibitore della DPP4 che ha di recente ottenuto il via libera della Commissione europea per l’utilizzo nei diabetici con insufficienza renale moderata o grave. Sitagliptin può essere utilizzato senza limitazioni anche nei pazienti con malattia renale terminale che necessitano di emodialisi o dialisi peritoneale. Si tratta di condizioni la cui gravità non rende consigliabile l’utilizzo di molti ipoglicemizzanti orali e l’insulina rappresenta, il più delle volte, l’unica alternativa terapeutica disponibile. L’autorizzazione è in realtà un’estensione dell’impiego del farmaco, già indicato, infatti, per i pazienti con insufficienza renale lieve. Sitagliptin è stato il primo inibitore della DPP4 a essere approvato, con il maggior numero di indicazioni nell’UE e un profilo di sicurezza e tollerabilità dimostrato da un’ampia letteratura e dall’esperienza “reallife”. Essa è anche l’unica incretina indicata e rimborsata in Italia come terapia aggiuntiva all’insulina o in monoterapia nei pazienti per i quali la metformina non è appropriata per controindicazioni o intolleranza.
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il 5,8 per cento ha affermato di rivolgersi a un terapista del dolore. L’impatto di queste scelte si è rivelato particolarmente negativo, tanto che oltre l’80 per cento dei pazienti giudica l’approccio al dolore poco o per niente efficace. Poco confortanti sono anche i risultati ottenuti per quanto riguarda il livello di informazione: oltre il 70 per cento (70,3) dei cittadini ha dichiarato di non conoscere le legge sul dolore e i suoi contenuti. Altro aspetto messo in evidenza da parte degli intervistati è la difficoltà a individuare una struttura specializzata per la cura del dolore (secondo il 72,1 per cento dei pazienti). Nel complesso, l’indagine delinea una situazione con molti “gap”. E questo, nonostante vi sia una legge ritenuta la più avanzata a livello europeo.
ASTRAZENECA
Uno studio per comprendere il rischio cardiaco nelle donne
L’
infarto miocardico (IM) femminile spesso viene sottovalutato e le donne erroneamente si considerano immuni dal rischio cardiaco. Ma la realtà è ben diversa tanto che l’IM nelle donne si manifesta spesso con maggiore gravità rispetto agli uomini e ha una mortalità associata superiore. Secondo alcuni studi la maggiore incidenza di mortalità nelle donne è ascrivibile al minore ricorso all’angioplastica, e questo potrebbe dipendere da fattori quali, il tempo (le donne arrivano più tardi in ospedale perché tendono a sottovalutare il dolore e inoltre hanno una soglia di sopportazione più elevata degli uomini), l’età (a causa della protezione degli estrogeni le donne entrano tardi nell’area di rischio cardiovascolare) e l’elevata mortalità in ospedale a pochi gorni dall’evento. Per indagare le differenze tra uomo e donna, e per comprendere meglio le cause dell’IM femminile, la Società italiana di cardiologia invasiva ha da poco completato l’arruolamento dei pazenti per lo studio OCTAVIA. I primi risultati, attesi nella seconda metà dell’anno, potranno già dare preziose indicazioni sulle differenze di genere e sull’impostazione del trattamento specifico per le donne.
SIN
Arrivano le Linee guida per le nefropatie destinate al MMG
U
n’importante novità nella gestione delle patologie renali è stata presentata nel nostro Paese, poco prima della celebrazione della Giornata mondiale del rene (lo scorso 8 marzo). Si tratta del primo documento sulla diagnosi precoce delle nefropatie destinato non solo agli specialisti, ma anche ai Medici di medicina generale. Le Linee guida sono state realizzate dalla SIN (Società italiana di nefrologia) con il coordinamento dell’Iss. Il documento si articola in 29 punti e ha lo scopo di facilitare l’individuazione da parte del MMG dei pazienti a rischio, e di quelli con fase iniziale di malattia. Un punto centrale è il riconoscimento delle malattie renali ancora prima che sia rilevabile una riduzione della funzione renale. La diagnosi precoce può infatti contrastare l’evoluzione verso la dialisi e la comorbilità cardiovascolare, ma può soprattutto arrestare situazioni iniziali di danno renale e lo sviluppo di malattia cronica progressiva. A disposizione del medico vi sono strumenti semplici, specifici e poco costosi quali, l’esame delle urine e la valutazione della creatininemia, dal cui esito dipende l’eventuale iter successivo. Le Linee guida con il coinvolgimento diretto del MMG potranno permettere di arrivare alla diagnosi in tempi più brevi in modo da procrastinare per quanto possibile il ricorso alla dialisi, e questo è significativo se si considera che nel nostro Paese circa il 13 per cento della popolazione presenta un moderato grado di insufficienza renale.
ProStrakan
Fentanyl “ad hoc” per il dolore oncologico episodico
N
ei pazienti oncologici, l’intervento ottimale per il controllo del dolore episodico intenso (DEI), ben diverso dal dolore di fondo che si può tenere “a bada” costantemente, dovrebbe essere semplice, rapido e non troppo prolungato. Infatti il DEI insorge più volte nella giornata, nell’arco di secondi o minuti e dura circa mezz’ora, con un’intensità da tutti definita “insostenibile”. Gli oppiacei abitualmente usati non hanno efficacia in questi casi, e poi la somministrazione richiede la presenza di un medico o di un infermiere. Una svolta quindi è rappresentata da fentanyl nelle formulazioni compressa sublinguale e spray nasale, che raggiungono in breve tempo il circolo ematico e garantiscono il controllo rapido dell’attacco. Oltre all’efficacia, le nuove formulazioni si caratterizzano per la facilità e praticità di assunzione.
Novartis disponibile il trattamento orale per la sclerosi multipla Un importante passo in avanti è stato compiuto nella terapia della sclerosi multipla (SM). Anche nel nostro Paese infatti è disponibile a partire dallo scorso febbraio fingolimod, un farmaco innovativo che si assume per os. Fingolimod è indicato per i pazienti con SM recidivante-remittente ad alta attività di malattia nonostante il trattamento con interferone beta o nei pazienti con SM recidivante-remittente grave a rapida evoluzione. L’approvazione di fingolimod deriva da un ampio programma di studi in cui, nei pazienti trattati, la molecola ha dimostrato di ridurre il tasso annuale di ricadute fino al 61 per cento rispetto a quanto osservato con interferone beta-1a i.m.
IL RAPPORTO DEL MINISTERO SUL CONSUMO DI BEVANDE ALCOLICHE IN ITALIA
Alcol: allarme per le abitudini di giovani e adolescenti Periodicamente, in base alle indicazioni della Legge 125/2001, il Ministero della salute elabora un Rapporto per il Parlamento sul consumo di alcol in Italia da parte delle varie fasce di popolazione e sui pericoli per la salute che possono derivare da abitudini e stili di vita sbagliati. Il fenomeno del “binge drinking” è ormai un comportamento consolidato anche nel nostro Paese
L’
ultimo Rapporto, realizzato in uno specifico progetto finanziato dal CCM del Ministero della Salute e dall’Istituto superiore di sanitàCNESPS-Osservatorio nazionale alcol, è stato presentato nel dicembre 2011 ed è scaricabile dal sito del Ministero dal febbraio scorso. Del Rapporto, ci è sembrato importante rilanciare l’allarme per le nuove modalità con cui adolescenti e giovani fanno uso delle bevande alcoliche; per questo riportiamo dal documento ministeriale ampi stralci che chiariscono l’evoluzione e l’impatto sulla salute del consumo di alcolici nelle fasce più giovani della popolazione.
lll UN NUOVO TREND I più recenti dati rilevati sui consumi alcolici e i modelli di consumo del nostro Paese consolidano la percezione di un avvenuto passaggio dal tradizionale modello mediterraneo, con consumi quotidiani e moderati, centrati prevalentemente sul vino, a un modello più articolato, che risente sempre più dell’influsso culturale dei Paesi del Nord Europa, pur restando ancora legato, soprattutto fra i soggetti più anziani, alle tradizionali bevande alcoliche e abitudini di consumo. Il decennio 2000-2010 ha visto in particolare la crescita fra i giovani e i giovani-adulti dell’abitudine al con-
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sumo, oltre che di vino e birra, anche di superalcolici, aperitivi e amari, che implicano spesso consumi lontano dai pasti e con frequenza occasionale. L’aumento dei consumi fuori pasto è stato rilevante nel decennio, sia tra gli uomini che tra le donne, che hanno registrato un aumento quasi pari a quello degli uomini; il consumo fuori pasto si è particolarmente radicato tra i più giovani e i giovanissimi: nella fascia di età 18-24 anni i consumatori fuori pasto sono passati dal 33,7 al 41,9 per cento e tra i giovanissimi di 14-17 anni dal 14,5 al 16,9 per cento. Tra le ragazze di quest’età nell’ultimo quindicennio la quota di consumatrici fuori pasto si è quasi triplicata. Anche il “binge drinking”, modalità di bere di importazione nordeuropea che implica il consumo di numerose unità alcoliche in un breve arco di tempo, si è ormai diffuso stabilmente a partire dal 2003, registrando un costante aumento in entrambi i sessi, e nel 2010 ha riguardato il 13,4 per cento degli uomini e il 3,5 per cento delle donne. Complessivamente, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, il 25,4 per cento degli uomini e il 7,3 per cento delle donne di età superiore a 11 anni, circa 8.600.000 persone, consumano alcolici senza rispettare le indicazioni di consumo delle agenzie di sanità pubblica, esponendosi a rischi alcol-correlati.
lll I COMPORTAMENTI DI CONSUMO A RISCHIO Per una corretta valutazione del rischio connesso all’assunzione di bevande alcoliche è necessario tener conto di parametri quali le quantità assunte, la frequenza del consumo, la concomitanza con i pasti, la capacità di smaltire l’alcol in relazione al sesso e all’età, la tollerabilità dell’alcol in relazione alle condizioni di salute, l’assunzione di farmaci o altre situazioni, oltre al contesto in cui avviene il consumo di bevande alcoliche. Un consumo di alcol al di fuori dei parametri appropriati può infatti creare danni acuti, conseguenti allo stato di intossicazione etilica e ubriachezza occasionale, oppure cronici, conseguenti a un uso persistente e frequente di quantità non moderate di alcol, con grave impatto sanitario e sociale. Tenendo conto di tali parametri si possono individuare alcune categorie di consumatori a rischio, che è necessario monitorare attentamente al fine di valutare gli interventi necessari per contenere i possibili danni per il singolo e per la società. I consumatori fuori pasto. Tra le nuove abitudini che si stanno consolidando in Italia in concomitanza o in alternativa al tradizionale modello di consumo mediterraneo, basato sul
I consumatori “binge drinking”. Con l’espressione binge drinking si fa riferimento all’abitudine di consumare in una sola occasione e in un tempo ristretto eccessive quantità di alcol (convenzionalmente 6 o più bicchieri di bevande alcoliche, ma comunque in quantità molto al di sopra delle proprie caratteristiche di tolleranza). Si tratta di un comportamento mutuato
dai Paesi del Nord Europa, che si è consolidato nel nostro Paese prevalentemente tra i giovani, ma sempre più anche tra gli adulti, soprattutto tra i maschi, e secondo l’Istat è ormai un dato stabile dal 2003. Tra i giovani esso ha spesso una genesi collettiva, di gruppo, e implica una volontà di bere fino ad arrivare all’ubriachezza e all’intossicazione alcolica, con episodi sempre più frequenti di coma etilico, soprattutto tra i giovanissimi. Il binge drinking comporta un serio pericolo per la salute del singolo indi-
viduo, ma ha un impatto anche sulla vita relazionale, lavorativa, familiare e affettiva, oltre a esporre a gravissimi rischi di incidenti stradali, lavorativi o domestici. Nel 2010, il 13,4 per cento degli uomini e il 3,5 per cento delle donne di 11 anni e più hanno dichiarato di aver consumato, almeno una volta negli ultimi 12 mesi, 6 o più bicchieri di bevande alcoliche in un’unica occasione, in percentuali che variano a seconda del genere e della classe di età. Le percentuali di binge drinkers di en-
Figura 1. Prevalenza di consumatori a rischio per genere e classe di età (anno 2010) 60 Maschi
50
47,4
Femmine
40,3
40 %
consumo quotidiano e moderato di vino ai pasti, il consumo fuori pasto si è recentemente diffuso sopratutto tra i giovani, spesso in contesti di aggregazione giovanile destinati alla socializzazione e al divertimento. I consumatori di vino o alcolici fuori pasto sono stati nel 2010 il 25 per cento della popolazione di età superiore a 11 anni, con una marcata differenza di genere (maschi 36,6, femmine 14,2 per cento). L’analisi per classi di età mostra che la prevalenza aumenta dall’età di 11-15 anni fino a raggiungere i valori massimi a 18-24 e 25-44 anni negli uomini (48,5 e 46,9 per cento, rispettivamente) e a 18-24 anni nelle donne (35 per cento), per poi diminuire fino ai valori più bassi, rilevabili tra gli ultra 75enni (maschi 17,9 per cento, femmine 3,3 per cento). In tutte le classi di età, le percentuali di consumatori fuori pasto di sesso maschile risultano superiori a quelle di sesso femminile, a eccezione della classe di età 11-15 anni (per la quale esiste il divieto di somministrazione nei locali), in cui le differenze tra maschi e femmine sono minime, e della classe di età 16-17 anni, in cui le differenze non raggiungono la significatività statistica. Nel corso del decennio 2000-2010 la prevalenza dei consumatori fuori pasto di età uguale o superiore a 14 anni è significativamente aumentata sia fra gli uomini (passati dal 35,1al 37,8 per cento) che tra le donne (passate dal 12,4 al 14,6 per cento). Peraltro, nel corso degli ultimi anni del decennio, tra gli uomini i valori sono rimasti pressoché stabili e tra le donne si rileva una diminuzione di 1,1 punti percentuali tra il 2009 e il 2010.
30 20
24,6
20,2
15,2 12,0 11,5
10 0
25,4
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11-15
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16-17
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45-64 25-44 classi di età
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75+
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≥11
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IL RAPPORTO DEL MINISTERO SUL CONSUMO DI BEVANDE ALCOLICHE IN ITALIA Tabella 1. Prevalenza dei consumatori di alcolici fuori pasto nella classe di età 14-17 anni, nel periodo 1995-2010
Maschi Femmine
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12,9
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17,1
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24,2
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22,7
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6
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17,4
14,6
trambi i sessi sono minime al di sotto dell’età legale (maschi1,6, femmine 1,5 per cento) e crescono rapidamente fino a raggiungere i valori massimi tra i giovani 18-24enni (maschi 23,3, femmine 9,7 per cento); oltre questa fascia di età le percentuali diminuiscono, pur rimanendo su valori ragguardevoli, e raggiungono i valori minimi nelle classi di età oltre i 75 anni (maschi 3,3, femmine 1,1%). La percentuale di binge drinkers di sesso maschile è statisticamente superiore a quella di sesso femminile in ogni classe di età a eccezione di quella al di sotto dell’età legale, dove sono simili le percentuali di maschi e femmine che praticano questo comportamento. A partire dal 2003, anno in cui per la prima volta il fenomeno è stato analizzato dall’indagine Istat Multiscopo sulle famiglie, la prevalenza dei binge drinkers è significativamente aumentata sia tra gli uomini (+1,6 punti percentuali) che tra le donne (+0,7 punti percentuali). Tra gli uomini a partire dal 2005 si è registrata una diminuzione delle percentuali fino all’anno 2008, quando la prevalenza è tornata ad aumentare, con un incremento nel corso dell’ultimo anno pari a 1 punto percentuale. Anche tra le donne tra il 2005 e il 2008 si è registrata una riduzione della prevalenza delle binge drinkers, seguita poi da un nuovo incremento, anche se di andamento più lineare rispetto agli uomini. I consumatori a rischio (criterio ISS). L’Istituto superiore di sanità da anni si avvale di un indicatore in grado di analizzare il fenomeno del consumo a rischio tenendo conto delle differenze legate al sesso e all’età dell’individuo. Sulla base di tali indicazioni sono da
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considerare consumatori a rischio i maschi che superano un consumo quotidiano di 40 g di alcol contenuti in una qualsiasi bevanda alcolica (2-3 unità alcoliche standard) e le femmine che superano un consumo quotidiano di 20 g (1-2 unità alcoliche standard). Sono altresì da considerare a rischio gli anziani e i giovani di 16-18 anni il cui consumo supera l’unità alcolica giornaliera, gli adolescenti al di sotto dell’età legale (16 anni) che non si astengono totalmente dall’alcol e coloro che consumano grandi quantità di alcol in un arco di tempo limitato (binge drinkers). La figura 1 mostra la prevalenza di consumatori a rischio secondo il criterio Iss, nelle diverse fasce di età.
lll I CONSUMI E I MODELLI DI CONSUMO NELLA POPOLAZIONE GIOVANILE Il 54,3 per cento dei ragazzi e il 42 delle ragazze di età compresa tra 11 e 25 anni ha consumato almeno una bevanda alcolica nel corso del 2010. In entrambi i sessi si registra una flessione dei consumatori rispetto al 2009, pari a 4,3 punti percentuali per i maschi e a 2,4 per le femmine. Né tra i maschi né tra le femmine si registrano differenze delle percentuali di consumatori delle diverse bevande alcoliche. Tra i ragazzi la percentuale più elevata di consumatori si registra per la birra (46,1 per cento), seguita da aperitivi alcolici (36,8) e vino (31,9); tra le ragazze le percentuali più elevate di consumatrici si registrano, senza differenze statisticamente significative, per la birra e gli aperitivi alcolici (28,3 e 28,9, rispettivamente) seguite da vino (20 per cento), superalcolici (17,3) e amari (11,9).
I consumatori al di sotto dell’età legale Nella classe di età 11-15 anni, per la quale le agenzie di sanità pubblica prescrivono la totale astensione dal consumo di alcol, ben il 13,6 per cento degli intervistati (maschi 15,2, femmine 12 per cento) dichiara di aver bevuto almeno una bevanda alcolica nel corso dell’anno e deve pertanto essere considerato a rischio secondo il criterio Iss. Nel 2010 comunque la prevalenza di questi giovani consumatori risulta in calo rispetto ai valori registrati nel 2009. Tra i ragazzi, il 5,3 per cento dichiara di aver bevuto vino, il 10,5 birra, il 6,8 aperitivi alcolici, il 2,1 amari e il 3,2 superalcolici. Le percentuali non risultano statisticamente diverse tra le coetanee di questa fascia di età per nessuna bevanda (vino 3,5; birra 7,2; aperitivi alcolici 6; amari 1,1; super alcolici 1,9). I giovani di questa classe di età che hanno consumato bevande alcoliche lontano dai pasti sono stati il 4,8 per cento (6,3 nel 2009), e quelli con consumi binge drinking sono 1,5 per cento (1,8 per cento nel 2009). Per il decennio 2000-2010 l’Istat ha rilevato la forte crescita dei giovani consumatori fuori pasto, particolarmente evidente nella fascia di età 18-24 anni in cui la prevalenza è passata dal 33,7 al 41,9 per cento. Molto elevata e preoccupante risulta nel decennio anche la crescita dei consumatori fuori pasto tra i più giovani. Prendendo in considerazione la fascia di età 14-17 anni (Tabella 1), si rileva che i consumatori fuori pasto sono passati dal 16,8 al 19,11 per cento tra i maschi e dal 12,2 al 14,6 per cento tra le femmine. In queste ultime, poi, la prevalenza delle consumatrici fuori pasto si è quasi triplicata tra il 1995 e il 2009.