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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XLI n. 2 - 2015
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DIABETE inquadramento clinico delle complicanze epatiche UROLOGIA nuovo paradigma di trattamento per le IVU nella donna MALATTIE INTESTINALI quanto “pesa” la familiarità nel profilo di rischio PSICHIATRIA il potenziale degli allucinogeni nella prevenzione dei suicidi
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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012
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DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
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CLINICA
Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico
>s Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
TERAPIA
Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci
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Le novità dal Congresso dei neurologi americani
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I farmaci in fase avanzata di sviluppo per la SM
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Medico e paziente n. 2 anno XLI - 2015 Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia
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DIRETTORE RESPONSABILE Antonio Scarfoglio
IN QUESTO NUMERO
SOMMARIO
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© 2010 by National Park of Cilento and Vallo di Diano
LETTI PER VOI
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p 6
REDAZIONE Anastasia Zahova
La sauna si rivela un prezioso alleato della salute cardiovascolare (e non solo), con effetti sulla riduzione del rischio di eventi maggiori “dose-dipendenti”
PREVENZIONE
Progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Segreteria di redazione Concetta Accarrino Hanno collaborato a questo numero: Antonio Cicione Rocco Damiano Alessandro Mantovani Giuseppe Paolisso Piera Parpaglioni Giovanni Targher Giacomo Zoppini
GASTROENTEROLOGIA Malattie infiammatorie intestinali: uno studio sull’intera popolazione della Danimarca valuta il peso della familiarità nella determinazione del profilo di rischio
UROLOGIA Nelle donne con disturbi della minzione e UTI ricorrenti, l’impiego di alfa1-bloccanti si rivela un intervento promettente sotto il profilo di efficacia-sicurezza
PSICHIATRIA L’uso di sostanze allucinogene non sembra comportare disturbi di natura psicologica, e anzi potrebbe avere un ruolo nella prevenzione dei suicidi nelle persone a rischio
p 8
MALATTIE DEL METABOLISMO DIABETE MELLITO E COMPLICANZE EPATICHE Epidemiologia, diagnosi e trattamento
La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) rappresenta attualmente la causa più comune di epatopatia cronica sia nella popolazione generale che in quella affetta da diabete Alessandro Mantovani, Giovanni Targher, Giacomo Zoppini
MEDICO E PAZIENTE
2.2015
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Registrazione del Tribunale di Milano n. 32 del 4/2/1975 Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura. Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) I dati sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’Editore “M e P Edizioni Medico e Paziente” per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Ai sensi dell’art. 7 D. LGS 196/2003 è possibile in qualsiasi momento e gratuitamente consultare, modificare e cancellare i dati o semplicemente opporsi al loro utilizzo scrivendo a: M e P Edizioni Medico e Paziente, responsabile dati, via Dezza, 45 - 20144 Milano. Comitato scientifico Prof. Vincenzo Bonavita Professore ordinario di Neurologia, Università “Federico II”, Napoli Dott. Fausto Chiesa Direttore Divisione Chirurgia Cervico-facciale, IEO (Istituto Europeo di Oncologia) Prof. Sergio Coccheri Professore ordinario di Malattie cardiovascolari-Angiologia, Università di Bologna Prof. Giuseppe Mancia Direttore Clinica Medica e Dipartimento di Medicina Clinica Università di Milano - Bicocca Ospedale San Gerardo dei Tintori, Monza (Mi) Dott. Alberto Oliveti Medico di famiglia, Ancona, C.d.A. ENPAM
COME ABBONARSI A MEDICO e PAZIENTE
MEDICO E PAZIENTE
p 16 PREVENZIONE
DAI TELOMERI UNA CONFERMA PER LA DIETA MEDITERRANEA I risultati di uno studio condotto nell’ambito del Nurses’ Health Study La lunghezza delle sequenze di DNA alle estremità dei cromosomi si riduce durante l’invecchiamento, ma il fenomeno può essere almeno in parte modificato con lo stile di vita e l’alimentazione. Presentiamo i risultati dell’analisi di migliaia di casi dal Nurses’ Health Study
TELOMERI E LONGEVITÀ Le direzioni future della ricerca Intervista a Giuseppe Paolisso Per comprendere meglio quale direzione seguiranno le ricerche sull’associazione telomeri-invecchiamento pubblichiamo un’intervista a Giuseppe Paolisso, che su questo tema ha effettuato uno studio, apparso su Plos One Piera Parpaglioni
p 22 UROLOGIA
LE INFEZIONI URINARIE NELLA DONNA Evidenze cliniche per un nuovo paradigma di trattamento Le infezioni delle vie urinarie rappresentano un serio problema di salute con alti costi per la società. Nelle donne sono comunemente trattate con antibioticoterapia prolungata. Gli effetti avversi e la crescente antibioticoresistenza richiedono un cambio di strategia preventiva Rocco Damiano, Antonio Cicione
p 26
Abbonamento annuale sostenitore MEDICO E PAZIENTE € 30,00 Abbonarsi è facile: w basta una telefonata 024390952 w un fax 024390952 w o una e-mail abbonamenti@medicoepaziente.it
2.2015
Piera Parpaglioni
p 20 PREVENZIONE
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SOMMARIO
FARMINFORMA
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la nuova versione del sito e n i l n o www.medicoepaziente.it cambia volto!
Il nuovo sito si presenta come una galassia, che ha come centro la figura del Medico di Medicina generale. www.medicoepaziente.it non è un portale generico, e nemmeno la versione elettronica della rivista, ma un aggregatore di contenuti, derivanti da una pluralità di fonti, che possano essere utili al Medico di Medicina generale nel suo lavoro quotidiano.
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LETTI PER VOI PREVENZIONE
LA SAUNA SI RIVELA UN PREZIOSO ALLEATO DELLA SALUTE CARDIOVASCOLARE (e non solo), CON EFFETTI SULLA RIDUZIONE DEL RISCHIO DI EVENTI MAGGIORI “DOSE-DIPENDENTI” £ La sauna fa bene al cuore, oltre che alla mente, e il tempo speso tra i “bagni di vapore” è sicuramente un tempo ben speso. Queste indicazioni emergono da uno studio finlandese. In Finlandia, l’abitudine della sauna è uno stile di vita a cui pochi rinunciano, e che già in passato ha mostrato benefici sulla salute cardiovascolare (CV), in diverse ricerche. Ulteriori conferme arrivano ora da questo ampio studio prospettico che ha coinvolto oltre 2.300 uomini, di età 42-60 anni, per un arco temporale di 18 anni. Tra i partecipanti sono stati registrati 190 casi di morti cardiache improvvise,
281 di coronaropatie fatali, 407 di malattie CV fatali e 929 decessi per qualsiasi causa. Il rischio CV diminuisce con l’aumentare del numero di sessioni settimanali di sauna. Rispetto a chi entra in sauna una volta a settimana, per due o tre sessioni i valori di rischio scendono del 22 per cento per le morti cardiache improvvise, del 23 per cento per le coronaropatie, del 27 per cento per le malattie CV e del 24 per cento per la mortalità in generale. Per i soggetti che praticano da 4 a 7 sessioni, il calo è ancora più evidente, pari, rispettivamente, al 63, 48, 50 e 40 per cento. Anche la
durata sembra avere un peso. Ogni sessione dura al massimo una ventina di minuti e le temperature arrivano fino a 110°C. Rispetto a chi trascorre meno di 11 minuti in sauna, il rischio di morti cardiache improvvise è del 52 per cento più basso in quelli che praticano sessioni di almeno 19 minuti. Un trend simile è stato riscontrato per le coronaropatie e per le malattie CV fatali, ma non per la mortalità generale. Naturalmente servono studi più approfonditi per confermare i risultati anche in gruppi di popolazione differenti, ma nel frattempo la raccomandazione sembra essere che più bagni di calore si fanno, più il benessere aumenta. E dunque, anche la sauna rientra in uno stile di vita virtuoso per mantenere il cuore in salute. Laukkanen T, Khan H et al. Jama Intern Med 2015; doi: 10.1001/jamainternmed.2014.8187
£ Parenti di primo, secondo e terzo grado di persone affette da malattia infiammatoria intestinale (IBD) hanno MALATTIE INFIAMMATORIE un significativo aumento del rischio di sviluppare la malattia. Sono queste le conclusioni di uno studio danese di INTESTINALI: UNO STUDIO SULL’INTERA recentissima pubblicazione. La familiarità nelle IBD non POPOLAZIONE DELLA DANIMARCA è nuova: i dati indicano un aumento della probabilità di malattia nei parenti di primo grado dei pazienti, tuttavia VALUTA IL PESO DELLA FAMILIARITÀ le dimensioni di questo aumento e il rischio per i parenti NELLA DETERMINAZIONE DEL PROFILO più lontani non è al momento noto. In questo contesto si colloca lo studio danese che ha voluto approfondire il DI RISCHIO rischio fino alla terza generazione di parentela. Sono stati esaminati i dati sull’intera popolazione della Danimarca negli anni 1977-2011, circa 8,3 milioni di persone, tra cui 45.780 soggetti con IBD. Nel caso di parenti di primo grado di pazienti affetti da morbo di Crohn (CD) è stato trovato un tasso di incidenza per la stima del rischio relativo (IRR) di 7,77 (CI 95 per cento 7,05-8,56). L’IRR diminuiva per i parenti di secondo (2,44) e di terzo grado (1,88). L’aumento del rischio di colite ulcerosa (UC) è stato meno pronunciato per i parenti di persone che presentavano il morbo di Crohn. Tra i pazienti UC, l’IRR era 4,08 (CI 95 3,814,38) per i loro parenti di primo grado, 1,85 per i parenti di secondo grado, e 1,51 per i parenti di terzo grado. L’aumento del rischio nei parenti di pazienti con UC è risultato meno pronunciato rispetto ai casi di CD. In conclusione, gli Autori sottolineano come fino al 12 per cento delle persone con CD e al 9 per cento di quelli con UC hanno un parente con la stessa malattia. Il rischio per i membri della famiglia è risultato particolarmente elevato per i parenti più giovani, il che potrebbe suggerire come anche l’ambiente condiviso possa contribuire in qualche misura a questo rischio, oltre naturalmente a fattori genetici. Si tratta comunque di valori di rischio relativi e calcolati in una specifica popolazione. In ogni caso, questo lavoro dimostra che il rischio di malattia infiammatoria intestinale è significativamente aumentato fino al terzo grado di parentela dei pazienti colpiti dalla patologia, con valori più pronunciati tra i soggetti più giovani. Attualmente sono in corso studi internazionali su questo tema, che se confermeranno i dati danesi, potranno dare indicazioni preziose sull’individuazione precoce di queste patologie.
GASTROENTEROLOGIA
Moller Trier F, Andersen V et al. Am J Gastroenterol 2015; 110: 564-71; doi: 10.1038/ajg.2015.50
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MEDICO E PAZIENTE
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UROLOGIA
Nelle donne con disturbi della minzione e UTI ricorrenti, l’impiego di alfa1-bloccanti si rivela un intervento promettente sotto il profilo di efficacia-sicurezza £
I disturbi della minzione nelle donne sono un problema diffuso e si accompagnano spesso a infezioni ricorrenti del tratto urinario (UTI). La minzione disfunzionale è caratterizzata da anomalie nello svuotamento della vescica in soggetti sani dal punto di vista neurologico, in cui si osserva un aumento dell’attività dello sfintere esterno durante la minzione volontaria. Per questa classe di pazienti, le opzioni terapeutiche sono limitate. Il biofeedback si sta rivelando promettente, ma fortemente condizionato dalla motivazione del paziente stesso. Questo studio italiano è stato condotto per valutare gli eventuali benefici derivanti da una terapia con alfa1-bloccanti. Il razionale, oltre che sulla provata efficacia di questi farmaci nell’uomo, si basa sull’esistenza di recettori alfa in sedi extraprostatiche, in particolare nella muscolatura del trigono vescicale, che sarebbero responsabili dello svuotamento incompleto della vescica. Lo studio ha coinvolto 155 donne che sono state assegnate a 4 gruppi di intervento: il gruppo 1 prevedeva riabilitazione con biofeedback uroflussimetria, il gruppo 2 terapia con tamsulosin (0,4 mg/die) per 3 mesi, il gruppo 3 biofeedback+tamsulosin e il gruppo 4 nessun trattamento. Tutte le pazienti sono state seguite per 1 anno. Nelle donne del gruppo 3 si è osservato un aumento della velocità media del flusso urinario e della durata del flusso, e un aumento del volume minzionale, mentre diminuiva il residuo urinario postminzionale. Inoltre si è riscontrata una riduzione della pressione media di chiusura uretrale e della massima pressione di chiusura. In tutti i gruppi di intervento infine sono calate le UTI e il trend si è confermato stabile durante il follow up. I risultati ottenuti sembrano molto promettenti, e pertanto nelle donne con disturbi della minzione e UTI ricorrenti la combinazione di tamsulosin e biofeedback si delinea come potenziale intervento terapeutico sia sotto il profilo dell’efficacia che della sicurezza.
PSICHIATRIA
L’USO DI SOSTANZE ALLUCINOGENE NON SEMBRA COMPORTARE DISTURBI DI NATURA PSICOLOGICA, E ANZI POTREBBE AVERE UN RUOLO NELLA PREVENZIONE DEI SUICIDI NELLE PERSONE A RISCHIO £
LSD, mescalina, psilocibina sono composti noti per i loro effetti allucinogeni. La ricerca scientifica su queste sostanze è stata quasi del tutto interrotta, specialmente negli Stati Uniti dove il “ciclone” costruito intorno al fenomeno degli allucinogeni portò a severe leggi, intorno agli anni Sessanta, che segnarono anche la fine della ricerca su queste sostanze. Al di là delle esperienze mistiche e del significato religioso e culturale che si può attribuire agli allucinogeni, dal punto di vista clinico finora non sono stati documentati effetti dannosi indotti dal loro uso a livello cerebrale o di altri organi, nemmeno comportamenti di “addiction”. Sul medesimo numero del Journal of Psychopharmacology sono stati pubblicati due lavori, molto ampi, che hanno valutato gli effetti e le conseguenze a livello di salute mentale derivanti dall’utilizzo di allucinogeni. Nello specifico, le sostanze prese in esame sono state quelle “classiche”, ovvero LSD, mescalina e psilocibina. Il primo lavoro di Autori norvegesi ha coinvolto 135mila adulti scelti a random tra la popolazione statunitense, di cui quasi 19.300 avevano fatto uso in passato di allucinogeni. L’obiettivo era esaminare la relazione tra utilizzo di tali sostanze nel corso della vita e salute mentale. Ebbene, dopo aggiustamento per fattori sociodemografici, uso di altre droghe e depressione nell’infanzia, i risultati hanno evidenziato che non vi era un’associazone significativa tra l’aver fatto uso di allucinogeni e aumento della probabilità di aver sperimentato disturbi mentali, ideazione suicidaria o comportamenti suicidari. Proprio a questo argomento si collega l’altro lavoro, di Hendricks PS e coll., dell’Università dell’Alabama, secondo cui tra i soggetti che hanno dichiarato di fare uso di allucinogeni, sembra emergere tendenzialmente un minor livello di disagio psicologico, nonché meno pensieri e tentativi di suicidio. La popolazione studiata in questo caso era costituita da 190mila adulti che avevano preso parte al National Survey on Drug Use and Health, nel periodo 2008-2012. L’uso di sostanze allucinogene nel corso della vita correlava con un minore rischio, espresso come odds ratio, di aver sperimentato momenti di disagio psicologico (OR 0,81), pensieri suicidari nel corso dell’anno precedente o pianificazione suicidaria (OR 0,86 e 0,71 rispettivamente) come anche tentativi di suicidio (OR 0,64). Viceversa tutti questi outcome correlavano positivamente, con un aumento significativo del rischio, con l’utilizzo di altre droghe classificate come pesanti. Secondo gli Autori, i risultati ottenuti dovrebbero portare a riconsiderare le sostanze allucinogene, auspicando una ripresa della ricerca sui possibili benefici terapeutici di tali composti, in particolare nell’ambito della prevenzione del suicidio, che rimane tuttora una delle cause principali di decesso tra i pazienti psichiatrici e per la quale disponiamo di limitate opzioni di prevenzione.
Johansen PØ, Krebs TZ. J Psychopharmacol 2015; 29(3): 270-9; Hendricks PS, Thorne CB et al. J Psychopharmacol 2015; 29(3): 280-8
Minardi D, Pellegrinelli F et al. Int J Urol 2015; 22: 115-21
MEDICO E PAZIENTE
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MALATTIE DEL METABOLISMO
DIABETE MELLITO e COMPLICANZE EPATICHE EPIDEMIOLOGIA, DIAGNOSI E TRATTAMENTO LA STEATOSI EPATICA NON ALCOLICA (NAFLD) RAPPRESENTA ATTUALMENTE LA CAUSA PIÙ COMUNE DI EPATOPATIA CRONICA SIA NELLA POPOLAZIONE GENERALE CHE IN QUELLA AFFETTA DA DIABETE
I
l diabete mellito (DM) è diventato un importante problema di salute pubblica: 347 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di diabete e, secondo stime della WHO, sarà la settima causa di morte nel 2030 (1,2). Attualmente, la prevalenza di diabete tipo 2 in Italia è tra il 5-7 per cento. Il diabete riduce l’aspettativa di vita di quasi 6 anni e le principali cause di morte sono le complicanze cardiovascolari, infettive e lo sviluppo di neoplasie (2). Tuttavia, l’eccesso di mortalità non è spiegabile soltanto dalle complicanze ricordate e, recentemente, un numero sempre maggiore di evidenze ha documentato un aumentato rischio di morte per malattie epatiche nei diabetici rispetto alla popolazione generale (1-5). La malattia epatica cronica riconosce diverse eziologie, tra cui quella alcolica, da farmaci, da tossici, virale, autoimmune e metabolica (1-4). Di tutte queste, la steatosi epatica non alcolica (NAFLD, Non-alcoholic Fatty Liver Disease) rappresenta attualmente la causa più comune di epatopatia cronica nella pratica clinica sia nella popolazione generale che in quella affetta da diabete (1-4). La
A cura di Alessandro Mantovani, Giovanni Targher, Giacomo Zoppini
Sezione di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo, Dipartimento di Medicina, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona
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MEDICO E PAZIENTE
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diagnosi di NAFLD si basa sul riscontro di steatosi epatica, documentata mediante imaging e/o biopsia, in soggetti con anamnesi negativa per eccessivo consumo alcolico (convenzionalmente viene accettato un consumo alcolico giornaliero inferiore a 20 grammi/die per le donne e inferiore a 30 grammi/die per gli uomini) ed esenti da altre cause note di epatopatia cronica (1-4). Dal punto di vista istopatologico, la NAFLD comprende uno spettro di condizioni che includono la steatosi semplice, la steatoepatite non alcolica (NASH, non-alcoholic steatohepatitis) e la cirrosi che può talvolta evolvere verso l’epatocarcinoma (HCC) (1-4). Negli ultimi anni diversi studi hanno dimostrato che i diabetici con NAFLD hanno un elevato rischio di sviluppare le forme più severe di NAFLD e le sue complicanze rispetto alla popolazione generale con un conseguente aumento della mortalità per malattie epatiche (1-4). Inoltre, un numero sempre maggiore di evidenze suggerisce che la NAFLD si associa non solo a un’aumentata morbidità epatica, ma anche a un’aumentata morbidità e mortalità cardiovascolare (2-4). In questa breve rassegna verrà discusso il ruolo del diabete nella malattia epatica cronica, con particolare riferimento alla NAFLD, essendo essa la causa più comune di epatopatia cronica nella pratica clinica. Verrà inoltre fatto un accenno sulle strategie diagnostiche e terapeutiche attualmente disponibili per la NAFLD nei pazienti affetti da diabete.
EPIDEMIOLOGIA DELLA NAFLD NEI PAZIENTI CON DM Gli studi oggi disponibili mostrano che la NAFLD ha raggiunto proporzioni quasi epidemiche, rappresentando attualmente la principale causa di epatopatia cronica in diverse parti del mondo. Pur con vari limiti metodologici, si stima che la prevalenza di NAFLD sia compresa fra il 20 e il 30 per cento nella popolazione generale adulta e che vari tra il 45 e il 75 per cento nei pazienti con diabete tipo 2 (1-4). Ad esempio, il Valpolicella Heart Diabetes Study, in cui sono stati arruolati circa 3.000 pazienti ambulatoriali con diabete tipo 2, ha riportato una prevalenza di NAFLD, diagnosticata mediante ecografia epatica, di circa 70 per cento. Nella coorte di 900 diabetici tipo 2 anziani dell’Edimburgh type 2 diabetes study, Williamson et al. hanno rilevato una prevalenza della NAFLD attorno al 45 per cento. Recentemente, in un interessante studio condotto su un campione di 103 pazienti sovrappeso/ obesi con diabete tipo 2 e valori di transaminasi nella norma, Portillo Sanchez et al. hanno documentato che la prevalenza di NAFLD, diagnosticata mediante risonanza magnetica in spettroscopia (1H-MRS), era del 76 per cento. È interessante notare che questi Autori hanno inoltre documentato una prevalenza molto elevata di NASH alla biopsia epatica: più della metà dei pazienti con steatosi epatica alla 1H-MRS aveva
un quadro istopatologico compatibile con NASH. Questi dati, pertanto, confermano ulteriormente l’elevata prevalenza di forme progressive di NAFLD nei pazienti con diabete tipo 2. Come abbiamo precedentemente accennato, è noto infatti che la presenza di diabete mellito di per sé conferisce una maggiore probabilità di sviluppare NASH, cirrosi ed epatocarcinoma, ed è stato inoltre stimato che i pazienti diabetici hanno una prevalenza di fibrosi avanzata e cirrosi che è almeno 3 volte superiore rispetto ai non diabetici (1-4). Tale rischio incrementa ulteriormente se i pazienti sono anche obesi (1-4). I dati di Portillo Sanchez et al. confermano inoltre che i livelli circolanti delle transaminasi sono marcatori poco sensibili di NAFLD/ NASH e che gli attuali valori di normalità delle transaminasi, spesso utilizzati da diversi laboratori, dovrebbero essere rivisti. Attualmente sono ancora pochi i dati in letteratura riguardo alla prevalenza della NAFLD nel diabete tipo 1. L’impatto epidemiologico della NAFLD e della sindrome metabolica sembrano ormai aver coinvolto anche questa popolazione di pazienti, dal momento che la prevalenza della sindrome metabolica è in progressiva crescita nei diabetici tipo 1 (attestandosi attorno al 30-40 per cento dei pazienti in età adulta), anche se rimane sensibilmente inferiore rispetto a quanto osservato fra i pazienti con diabete tipo 2. Recenti studi, compresi quelli del nostro gruppo, hanno documentato che oltre il 45 per cento dei pazienti adulti affetti da diabete tipo 1 hanno NAFLD.
IMPATTO DEL DIABETE NELLA PROGRESSIONE DELLA NAFLD VERSO FORME PIÚ AVANZATE C’è un grande interesse in letteratura riguardo l’impatto del diabete sulle complicanze epatiche e sulla prognosi nei pazienti con epatopatia cronica. Come mostrato in Tabella 1, in quasi tutti gli studi il diabete sembra essere un predittore indipendente di progressione di NAFLD e di sviluppo delle sue complicanze. Diverse evidenze indicano che il diabete tipo 2, l’obesità e la resistenza insulinica sono tra i più importanti fattori di rischio per la progressione della NAFLD verso la
fibrosi avanzata e la cirrosi. Tra l’altro, è noto che la presenza di epatopatia cronica è in grado di condizionare sfavorevolmente la prognosi del diabete tipo 2 (1-4). Nel Verona Diabetes Study il rischio di morte per cause epatiche (principalmente dovute a cirrosi) era molto più elevato nella coorte di 7.148 diabetici tipo 2 rispetto a quello della popolazione generale e superiore al rischio di morte per cause cardiovascolari. Tali risultati sono stati successivamente confermati in altre ampie casistiche internazionali. Di recente, utilizzando un ampio database amministrativo sulle principali cause di decesso riportate nei certificati di morte di tutti i soggetti residenti nella regione Veneto, il nostro gruppo ha dimostrato che i pazienti affetti da diabete avevano un rischio più del doppio di morire per cause epatiche rispetto alla popolazione generale (5). Utilizzando il tasso standardizzato di mortalità (SMR), abbiamo osservato che i diabetici avevano un SMR di 2,55 per cause epatiche e che tale rischio coinvolgeva tutte le principali cause di epatopatia: l’abuso alcolico (SMR 2,25), le epatiti virali (SMR 2,17) e le cause non-alcoliche e non virali (SMR 2,86), che possiamo largamente attribuire alla NAFLD (5). Il ruolo del diabete nella NASH e nella fibrosi è stato inizialmente valutato in pazienti che sono andati incontro alla chirurgia bariatrica (2). La prevalenza di diabete in questi studi era compresa tra il 14 e il 28 per cento, e la sua presenza risultava essere un predittore indipendente di NASH e fibrosi avanzata (2). Per esempio, Younossi et al. in uno studio di coorte che ha coinvolto 132 pazienti con diagnosi istologica di NAFLD, hanno riportato che i pazienti diabetici avevano un aumentato rischio di cirrosi e morte per cause epatiche rispetto a quelli non diabetici (2). In un recente studio che ha coinvolto 328 pazienti adulti asintomatici, il 16,5 per cento aveva una diagnosi di diabete tipo 2 (2). Nell’intera coorte la prevalenza della NAFLD era del 46 per cento e quella della NASH del 12 per cento, ma nei pazienti con diabete la prevalenza della NAFLD e della NASH erano ancora più elevate, risultando rispettivamente del 74 e del 22 per cento (2). Inoltre è interessante far notare
che recentemente alcuni studi trasversali hanno suggerito che anche la familiarità per diabete è un predittore indipendente di NASH nei pazienti non diabetici con NAFLD (2). Attualmente, i dati sulla storia naturale della NAFLD nel paziente con diabete tipo 1 sono pressoché assenti. Tuttavia, in uno studio recente condotto su una coorte di pazienti con diabete tipo 1 e tipo 2 che avevano eseguito una biopsia epatica, Harman et al. hanno dimostrato che il diabete tipo 1 si associava a un rischio elevato di sviluppare complicanze epatiche severe (quali cirrosi e ipertensione portale) e che tale rischio era perfino sovrapponibile a quello dei pazienti con diabete tipo 2, quando i due gruppi di pazienti venivano confrontati a parità di durata di diabete e obesità. Recentemente, ampi studi di coorte hanno inoltre documentato che esiste una forte associazione tra diabete tipo 2, NAFLD/ NASH e rischio di sviluppare HCC (1-4). È noto infatti che la prevalenza di HCC nei pazienti con NAFLD è di circa lo 0,5 per cento e che aumenta a quasi il 3 per cento nei pazienti con NASH (1-4). Diversi studi hanno suggerito che queste prevalenze sono ancora più elevate nel paziente con diabete e NAFLD. Come mostrato dalla Tabella 1a -1b, la presenza di diabete è in grado di aumentare di 2-3 volte il rischio di sviluppare HCC (1-4).
DIAGNOSI, GESTIONE E TERAPIA DELLA NAFLD I recenti “Standard italiani per la cura del diabete mellito 2014”, elaborati dalle società SID e AMD, raccomandano l’esecuzione di test di funzionalità epatica nei diabetici con sospetta steatosi e/o epatopatia cronica da altre cause (6). Alla luce dell’elevata prevalenza della NAFLD nel diabete e delle sue importanti complicanze epatiche (ed extra-epatiche), riteniamo che la NAFLD debba essere sempre esclusa in tutti i pazienti con diabete tipo 2 e nei pazienti con diabete tipo 1 quando sono presenti le caratteristiche della sindrome metabolica. segue a pag 12
MEDICO E PAZIENTE
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MALATTIE DEL METABOLISMO Principali studi che hanno valutato l’impatto del diabete nella progressione della NAFLD e nello sviluppo delle sue complicanze
Tabella 1a.
AUTORE
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TIPO E POPOLAZIONE DELLO STUDIO
de Marco et al. Diabetes Care 1999; 22: 756-761
Studio longitudinale: 7.148 pazienti diabetici tipo 2. Follow-up: 5 anni
Younossi ZM et al. Clin Gastroenterol Hepatol 2004; 2: 262-265
Studio longitudinale: 132 soggetti con NAFLD, di cui il 33% con diabete
Adams LA. J Hepatol 2005; 42: 132-138
Studio longitudinale: 103 soggetti con NAFLD, di cui il 42% con diabete. Followup: 3,2 anni
Ekstedt M et al. Hepatology 2006; 44: 865-873
Studio longitudinale: 129 soggetti con NAFLD. Follow-up: 13,7 anni
Angulo P et al. Hepatology 2007; 45: 846-854
Studio crosssectional: 733 pazienti con NAFLD
Harrison SA et al. Gut 2008; 57: 14411447
DIAGNOSI DI NAFLD
OUTCOME
AGGIUSTAMENTI
RISULTATI
Età, sesso
Il rischio di morte per cause epatiche era molto più elevato nella coorte di diabetici tipo 2 rispetto a quello della popolazione generale (SMR di 2,5 per cause epatiche e di 1,3 per cause cardiovascolari nei diabetici)
Istologica
Cirrosi, mortalità totale ed epatica
Età, BMI e presenza di cirrosi
La presenza di diabete era associata a un aumentato rischio di mortalità totale (RR aggiustato 3,30, 95% IC 1,76-6,18) ed epatica (RR aggiustato 22,83, 95% IC 2,97175,03)
Istologica
Progressione della fibrosi
BMI, presenza di fibrosi al baseline
Nel 37% dei soggetti si è verificata una progressione della fibrosi. La presenza di diabete al baseline era un predittore indipendente di fibrosi avanzata (p =0,007)
Non è stato possibile differenziare le diverse cause di epatopatia
Mortalità
Istologica
La progressione della fibrosi si è verificata nel 41% dei soggetti. La presenza di insulino-resistenza durante il follow-up era associata a un rischio maggiore di fibrosi avanzata. Tuttavia la prevalenza di diabete non è stata determinata al baseline
Progressione della fibrosi, mortalità
L’età, la glicemia a digiuno, il BMI, la conta piastrinica, l’albumina sierica e il rapporto AST/ALT erano predittori indipendenti di fibrosi avanzata
Istologica
Fibrosi avanzata
Età, BMI, piastrine, transaminasi, albumina
Studio crosssectional: 827 pazienti con NAFLD, di cui il 35% con diabete
Istologica
Fibrosi avanzata
BMI, transaminasi
Fraccanzani AL et al. Hepatology 2008; 48: 792-798
Studio trasversale: 458 soggetti con NAFLD, di cui il 10% con diabete
Istologica
Fibrosi avanzata
Il diabete era un predittore indipendente di fibrosi avanzata (OR 1,8; 95% IC 1,4-2,3)
Rafiq N et al. Clin Gastroenterol Hepatol 2009; 7: 234-238
Studio longitudinale: 173 soggetti con NAFLD/NASH, di cui il 28,9% con diabete
Istologica
Mortalità
Età, etnia, transaminasi
Predittori indipendenti di mortalità erano la presenza di NASH, diabete tipo 2, età avanzata, bassi livelli di albumina e alti livelli di fosfatasi alcalina
Hossain N et al. Clin Gastroenterol Hepatol 2009; 7: 1224-1229
Studio trasversale: 432 pazienti con NAFLD, di cui il 29% con diabete
Istologica
Fibrosi avanzata
Sesso, etnia, transaminasi
Predittori indipendenti di fibrosi avanzata erano il diabete e livelli aumentati di transaminasi
Argo CK et al. J Hepatol 2009; 51: 371-379
Metanalisi: 10 studi longitudinali, 221 soggetti con NASH Follow-up: 5,3 anni
MEDICO E PAZIENTE
2.2015
Istologica
Fibrosi avanzata
Il BMI, il rapporto AST/ALT e la presenza di diabete erano predittori indipendenti di fibrosi avanzata
Solo l’età e il grado di infiammazione al baseline erano predittori indipendenti di fibrosi avanzata durante il follow-up. L’obesità, il diabete e l’ipertensione non erano predittori indipendenti.
Principali studi che hanno valutato l’impatto del diabete nella progressione della NAFLD e nello sviluppo delle sue complicanze
Tabella 1b.
AUTORE
Porepa L et al. CMAJ 2010; 182: E526-531
TIPO E POPOLAZIONE DELLO STUDIO
Studio longitudinale: 2.497.777 soggetti, di cui 438.069 con diabete neodiagnosticato
Adams LA et al. Am J Gastroenterol 2010; 105: 1567-1573
Studio longitudinale: 337 diabetici, di cui 116 con NAFLD Follow-up: 10,9 anni
Williams CD et al. Gastroenterology 2011; 140: 124-131
Studio longitudinale: 328 pazienti asintomatici, di cui il 16,5% con diabete
Nakahara T et al. J Gastroenterol 2014; 49: 1477–1484
Studio trasversale: 1.365 soggetti giapponesi con diagnosi istologica di NAFLD, di cui il 47,3% con diabete
Herman DJ et al. Hepatology 2014; 60: 158-168
Zoppini G et al. Am J Gastroenterol 2014; 109: 1020-1025
Studio longitudinale: 57 diabetici tipo 1, di cui il 53% NAFLD, e 144 diabetici tipo 2
Studio longitudinale: 167.621 soggetti diabetici tipo 2 Follow-up: 3 anni
DIAGNOSI DI NAFLD
OUTCOME
Anamnestica
AGGIUSTAMENTI
RISULTATI
Complicanze epatiche: cirrosi, insufficienza epatica e trapianto di fegato
Età, ipertensione arteriosa, dislipidemia, malattia cardiovascolare, urbanizzazione
L’incidenza di sviluppare complicanze epatiche era 8 per 10.000 persone/anno tra i soggetti con diabete neo-diagnosticato e 4 per 10.000 persone/anno tra i non diabetici. Inoltre il diabete era un predittore indipendente di complicanze epatiche (HR aggiustato 1,77, 95% IC 1,68–1,86)
Ecografica e/o istologica
Mortalità
Età, sesso, fumo, durata di diabete, obesità, dislipidemia, ipertensione arteriosa, neoplasia, infarto del miocardio, farmaci
Nella coorte di pazienti con NAFLD, le principali cause di morte erano i tumori, le complicanze epatiche e la malattia cardiovascolare
Ecografica e/o istologica
Prevalenza di NAFLD e NASH
Istologica
Fibrosi avanzata
Istologica
Anamnestica
Complicanze epatiche: cirrosi, ipertensione portale
Mortalità
Nell’intero campione la prevalenza di NAFLD e NASH era rispettivamente del 46% e 12%. Nei diabetici, la prevalenza della NAFLD era del 74% e quella di NASH del 22% Età, sesso, BMI, ipertensione arteriosa, dislipidemia
La presenza di diabete si associava a un aumentato rischio di fibrosi avanzata (HR aggiustato 2,38, 95% IC 1,6-3,55)
Età e obesità
I pazienti con diabete tipo 1 avevano un elevato rischio di sviluppare complicanze epatiche severe; tale rischio risultava sovrapponibile a quello dei pazienti con diabete tipo 2 quando i due gruppi venivano confrontati a parità di durata di diabete, obesità e altri fattori confondenti
Età, sesso
I diabetici avevano un aumentato rischio di morire per cause epatiche rispetto alla popolazione generale (SMR 2,55); tale rischio coinvolgeva tutte le principali cause di epatopatia: l’abuso alcolico (SMR 2,25, 95% IC 1,98–2,54), le epatiti virali (SMR 2,17, 95% IC 1,90–2,47) e le cause non alcoliche e non virali (attribuibili in gran parte alla NAFLD) (SMR 2,86, 95% IC 2,65–3,08)
Note: HR, hazard ratio; IC, intervallo di confidenza; NAFLD, non-alcoholic fatty liver disease; NASH, non-alcoholic steatohepatitis; OR, odds ratio; RR, rischio relativo; SMR, tasso standardizzato di mortalità.
MEDICO E PAZIENTE
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MALATTIE DEL METABOLISMO Principali studi che hanno valutato il trattamento farmacologico nei pazienti con NAFLD
Tabella 2a.
AUTORE
DIMENSIONI DEL CAMPIONE
Parker HM et al. J Hepatol 2012; 56: 944-951
Lindor KD et al. Hepatology 2004; 39: 770-778
Leuschner UF et al. Hepatology 2010; 52: 472-479 Uygun A et al. Aliment Pharmacol Ther 2004; 19: 537-544 Haukeland JW et al. Scand J Gastroenterol 2009; 44: 853-860
DIABETE TIPO 2
355
166
185
36
0%
48
27%
segue da pag 9
Gli enzimi epatici (AST, ALT e GGT) sono indicatori poco sensibili e non specifici di NAFLD e quindi non dovrebbero essere usati come unico strumento di screening per la NAFLD (2-4). Infatti, la maggior parte dei pazienti con NAFLD ha livelli di enzimi epatici che sono nella norma o solo lievemente alterati, considerando che valori di AST e ALT <50 U/l rappresentano a oggi i valori di normalità per molti laboratori (2-4). Per tale motivo, diversi Autori hanno proposto di ridurre i valori di normalità delle transaminasi, suggerendo, ad esempio, valori di ALT <19 U/l nelle donne e <30 U/l negli uomini, per aumentare la probabilità di escludere la presenza della NAFLD (2-4). L’ecografia epatica ha una buona accura-
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MEDICO E PAZIENTE
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TIPO DI INTERVENTO FARMACOLOGICO
DISEGNO DELLO STUDIO E FOLLOW-UP
ENZIMI EPATICI
IMAGING
Omega 3 PUFA: 0,8-13,7 g/die
Metanalisi di 9 studi. Followup: 6 mesi
Riduzione significativa dei valori di ALT e AST
Riduzione significativa del grasso epatico (ecografia, 1H-MRS)
UDCA: 13-15 mg/kg/die
Studio randomizzato controllato contro placebo Follow-up: 24 mesi
Nessun miglioramento di ALT, AST e GGT
Nessun miglioramento della NASH e della fibrosi
UDCA: 23-28 mg/kg/die
Studio randomizzato controllato contro placebo Follow-up: 18 mesi
Nessun miglioramento di ALT e AST; riduzione dei valori di GGT
Nessun miglioramento della NASH e della fibrosi
Metformina: 1,7 g/die
Studio randomizzato controllato contro placebo Follow-up: 6 mesi
Riduzione significativa dei valori di ALT e AST
Riduzione significativa del grasso epatico (ecografia)
Nessun miglioramento del grado di infiammazione e di fibrosi
Metformina: 2,5-3 g/die
Studio randomizzato controllato contro placebo Follow-up: 6 mesi
Nessun miglioramento significativo di ALT e AST
Nessuna riduzione del grasso epatico (TC)
Nessun miglioramento della NASH
tezza diagnostica per definire la presenza di steatosi di grado lieve-moderato (avendo dimostrato una sensibilità e specificità rispettivamente dell’85 e 95 per cento quando l’infiltrazione di grasso epatico alla biopsia è superiore al 30 per cento), è un’indagine relativamente poco costosa e può aiutare i clinici a escludere anche altre patologie epatiche oltre che a identificare eventuali segni precoci di cirrosi e ipertensione portale (2-4). Pertanto, secondo molti Autori, l’ecografia epatica è l’indagine di primo livello più utile per lo screening e la diagnosi della NAFLD, specialmente nei diabetici (2-4). Anche se a tutt’oggi la biopsia epatica rappresenta il “gold standard” per la diagnosi e la stratificazione prognostica della NAFLD, la sua esecuzione è consigliata nei pazienti con steatosi epatica all’imaging
ISTOLOGIA
radiologico, rialzo cronico delle transaminasi e/o a elevato rischio di sviluppare forme progressive di NAFLD (in particolare i pazienti diabetici e obesi) (2-4). Tuttavia, questa procedura viene riservata a casi selezionati, in quanto è invasiva e non scevra da complicanze (2-4). Per tale motivo, nell’ambito della ricerca c’è l’esigenza sempre maggiore di validare l’uso di diversi score clinici non invasivi per la predizione di fibrosi epatica al fine di poter meglio selezionare i pazienti da sottoporre a biopsia epatica (2-4). Tra questi ricordiamo l’uso della elastografia per misurare la rigidità (stiffness) epatica e di diversi score non invasivi (NAFLD fibrosis score, FIB4 score, Fibrotest) (2-4). Nella Figura 1 è proposto un possibile algoritmo per la diagnosi della NAFLD nel paziente affetto da diabete mellito, anche
Principali studi che hanno valutato il trattamento farmacologico nei pazienti con NAFLD
Tabella 2b.
AUTORE
Shields WW et al. Therap Adv Gastroenterol 2009; 2: 157-163 Lutchman G et al. Hepatology 2007; 46: 424-429
Belfort R et al. N Engl J Med 2006; 355: 22972307
Aithal GP et al. Gastroenterology 2008; 135: 11761184
Sanyal AJ et al. N Engl J Med 2010; 362: 16751685
DIMENSIONI DEL CAMPIONE
19
18
55
74
247
TIPO DI INTERVENTO FARMACOLOGICO
DISEGNO DELLO STUDIO E FOLLOW-UP
ENZIMI EPATICI
0%
Metformina: 0,5-1 g/die
Studio randomizzato controllato contro placebo Follow-up: 12 mesi
Nessun miglioramento significativo di ALT e AST
0%
Pioglitazone: 30 mg/die
Studio prospettico Follow-up: 12 mesi
Normalizzazione dei valori di ALT nel 72% dei soggetti
Riduzione del grasso epatico (RMN)
Significativo miglioramento della necroinfiammazione e della fibrosi
Pioglitazone: 45 mg/die
Studio randomizzato controllato contro placebo Follow-up: 6 mesi
Riduzione significativa dei valori di ALT e AST
Riduzione significativa del grasso epatico (1H-MRS)
Significativo miglioramento della necroinfiammazione, ma non della fibrosi
Pioglitazone: 30 mg/die
Studio randomizzato controllato contro placebo Follow-up: 12 mesi
Riduzione significativa dei valori di ALT e GGT
Miglioramento del grado di infiammazione e di fibrosi
Vitamina E: 800 UI/die; Pioglitazone: 30 mg/die
Studio randomizzato controllato contro placebo Follow-up: 24 mesi
Riduzione significativa dei valori di ALT, AST e GGT con entrambi i farmaci
Miglioramento significativo della NASH con vitamina E; nessun miglioramento della fibrosi con entrambi i farmaci
DIABETE TIPO 2
48%
0%
0%
IMAGING
ISTOLOGIA
Nessun miglioramento della NASH e della fibrosi
Note: 1H-MRS, risonanza magnetica in spettroscopia; PUFA, acidi grassi polinsaturi; UDCA, acido ursodesossicolico; RMN, risonanza magnetica; TC, tomografia computerizzata Fonte: Adattato da Liete NC et al. World J Gastroenterol 2014; 20: 8377-8392
se attualmente non esiste un algoritmo diagnostico e gestionale della NAFLD condiviso e validato (4). L’approccio terapeutico ai pazienti diabetici con NAFLD è in genere multifattoriale. La terapia di primo livello consiste nel trattamento del sovrappeso/obesità (attraverso modifiche dello stile di vita e/o attraverso interventi di chirurgia bariatrica in caso di obesità severa), l’ottimizzazione del compenso glicemico e il trattamento di tutti i fattori di rischio concomitanti, tra cui la dislipidemia aterogena e l’ipertensione arteriosa (2-4). L’obiettivo è quello di migliorare la sensibilità insulinica, di ridurre l’infiltrazione di grasso intraepatico e di evitare la progressione della NAFLD/NASH
verso le sue forme istologiche più severe (2-4). Tutti i pazienti con NAFLD devono evitare il consumo alcolico, l’abitudine al fumo e, quando possibile, l’uso cronico di farmaci potenzialmente epatotossici (2-4). A oggi non esiste una terapia farmacologica specifica per la NAFLD che sia stata validata in ampi trial clinici. La Tabella 2a-2b mostra i principali studi di intervento farmacologico nei pazienti con NAFLD con e senza diabete (2). Come si può notare, i dati relativi ai pazienti diabetici con NAFLD sono ancora limitati e le maggiori evidenze disponibili riguardano l’uso del pioglitazone nei pazienti con NASH, confermata su biopsia. Diversi studi hanno documentato che tale farma-
co è in grado di migliorare la steatosi, la necro-infiammazione, ma non la fibrosi epatica, e che la sua sospensione comporta la ricomparsa del danno epatico (2-4). Gli studi che hanno utilizzato la metformina hanno prodotto risultati contrastanti, anche se complessivamente suggeriscono che è in grado di ridurre significativamente i livelli circolanti delle transaminasi, ma non di migliorare le caratteristiche istologiche della NASH (2-4). Recenti studi clinici e sperimentali hanno suggerito che il trattamento con metformina nel diabetico tipo 2 sia in grado di ridurre il rischio di comparsa di epatocarcinoma. Le incretine sono farmaci efficaci nel trattamento del diabete tipo 2 e sono, tra l’altro, in grado di determinare
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MALATTIE DEL METABOLISMO Figura 1
Algoritmo diagnostico della NAFLD nel paziente affetto da diabete mellito
DIABETE MELLITO ED EPATOPATIA
ALT >19 U/l nelle donne ALT >30 U/l nei maschi
Ecografia epatica Steatosi lieve
Steatosi moderata/severa
Escludere altre cause di steatosi (alcool, virus, farmaci, autoimmunità, sovraccarico di ferro, altro)
Test non invasivi di fibrosi • elastografia (Fibroscan) • ecografia con metodica ARFI • scores clinici di fibrosi epatica
Suggestivi di fibrosi avanzata e/o cirrosi
Biopsia epatica NASH
EGDS (varici esofagee)
Cirrosi
Algoritmo sviluppato principalmente sulla base delle linee guida attualmente disponibili e, in caso di mancanza di evidenze, sulle opinioni personali degli Autori. Fonte: Adattata da Targher G, Byrne CD. J Clin Endocrinol Metab 2013; 98: 483-495.
calo ponderale, di ridurre l’appetito e di migliorare la sensibilità insulinica (2-4). Questi farmaci hanno mostrato risultati interessanti nel miglioramento degli enzimi epatici, della steatosi e di altri marcatori di danno epatico, ma non ci sono attualmente trial clinici randomizzati controllati che abbiano specificatamente valutato il loro uso per il trattamento della NAFLD/NASH nel diabete (2-4). Oltre a questi farmaci, sono state studiate numerose altre molecole con azioni potenzialmente epato-protettive, tra
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MEDICO E PAZIENTE
cui la vitamina E, la vitamina D, l’acido ursodesossicolico, gli acidi grassi omega-3, gli inibitori del sistema renina-angiotensina e i fibrati (2-4). Attualmente, tuttavia, non ci sono ancora evidenze sufficienti per raccomandare e/o sconsigliare l’impiego di tali farmaci nel trattamento della NAFLD/ NASH nel paziente con diabete tipo 2. Nella Tabella 3 vengono proposti alcuni possibili trattamenti della NAFLD/NASH nel paziente affetto da diabete mellito tipo 2 (4).
CONCLUSIONI I pazienti con diabete e NAFLD hanno un aumentato rischio di progressione della malattia epatica cronica e di sviluppare le sue complicanze (tra cui cirrosi ed epatocarcinoma). Come suggerito anche dai recenti Standard italiani per la cura del diabete, i Medici di Medicina generale e i vari specialisti (tra cui diabetologi, endocrinologi, gastroenterologi e internisti) dovrebbero eseguire
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test di funzionalità epatica in tutti i diabetici con sospetta steatosi e/o epatopatia cronica da altre cause, allo stesso modo di quanto viene fatto per la stadiazione e il monitoraggio delle complicanze micro- e macrovascolari del diabete. In considerazione alla complessità clinica di questa problematica, è indispensabile un approccio multidisciplinare a questi pazienti, basato principalmente sulla valutazione attenta dei fattori di rischio cardio-metabolici e sul monitoraggio periodico delle complicanze epatiche, cardiovascolari e renali.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 1- Hickman IJ, Macdonald AG. Impact of Diabetes on the Severity of Liver Disease. Am J Med 2007; 120: 829-834 2- Leite NC, Villela-Nogueira CA, Cardoso CR, Salles GF. Non-alcoholic fatty liver disease and diabetes: from physiopathological interplay to diagnosis and treatment. World J Gastroenterol 2014; 20: 8377-8392 3- Smith BW, Adams LA. Nonalcoholic fatty liver
Tabella 3. Principali
trattamenti della NAFLD/NASH nel paziente affetto da diabete mellito tipo 2
• Calo ponderale attraverso adeguate modifiche dello stile di vita (necessario un calo del 4-5% per ridurre la steatosi e di circa 10% per ridurre l’infiammazione epatica) • Se BMI >35 kg/m2 considerare la chirurgia bariatrica • Ottimo controllo glicemico (HbA1c <7% se non controindicazioni), la metformina è il farmaco di prima scelta per la maggior parte dei pazienti. Se è presente NASH e non ci sono controindicazioni, considerare pioglitazone • Se ipertensione arteriosa avviare adeguata terapia farmacologica; gli inibitori del sistema renina-angiotensina sono i farmaci di prima scelta • Se dislipidemia avviare trattamento con statina • Sospensione di fumo e consumo alcolico • Monitoraggio periodico per comparsa complicanze epatiche Fonte: Adattata da Targher G, Byrne CD. J Clin Endocrinol Metab 2013; 98: 483-495
disease and diabetes mellitus: pathogenesis and treatment. Nat Rev Endocrinol 2011; 7: 456-465 4- Targher G, Byrne CD. Nonalcoholic fatty liver disease: a novel cardiometabolic risk factor for type 2 diabetes and its complications. J Clin Endocrinol Metab 2013; 98: 483-495
5- Zoppini G, Fedeli U, Gennaro N, Saugo M, Targher G, Bonora E. Mortality from chronic liver diseases in diabetes. Am J Gastroenterol 2014; 109: 1020-1025 6- Standard italiani per la cura del diabete mellito 2014. http://www.standarditaliani.it
o ic d e M il r e p iù p in to n e m u tr s n U e Paziente, o ic ed M i d to en m Il supple a e Specialisti li ig m fa i d i ic ed M destinato a a e aggiorna Algosflogos inform patologie sulla gestione delle terapia del dolore a ll su , ri la o ic rt -a osteo olismo osseo ab et m el d e ti at al e sulle m
PREVENZIONE
Dai TELOMERI una CONFERMA per la DIETA MEDITERRANEA I RISULTATI DI UNO STUDIO CONDOTTO NELL’AMBITO DEL NURSES’ HEALTH STUDY LA LUNGHEZZA DELLE SEQUENZE DI DNA ALLE ESTREMITÀ DEI CROMOSOMI SI RIDUCE DURANTE L’INVECCHIAMENTO, MA IL FENOMENO PUÒ ESSERE ALMENO IN PARTE MODIFICATO CON LO STILE DI VITA E L’ALIMENTAZIONE. PRESENTIAMO I RISULTATI DELL’ANALISI DI MIGLIAIA DI CASI DAL NURSES’ HEALTH STUDY
N
umerosi studi hanno finora dimostrato i benefici derivanti dall’adesione alla dieta mediterranea, tra i quali la riduzione della mortalità da tutte le cause (1), dell’incidenza di malattie cardiovascolari (2) e l’aumento della probabilità di invecchiare in salute (3). Una ricerca pubblicata sul British Medical Journal alla fine dello scorso anno (4) ha riscontrato che un’aderenza elevata al regime alimentare mediterraneo era associata in modo significativo con una maggiore lunghezza dei telomeri nei leucociti (LTL), un parametro considerato un marker dell’invecchiamento. Non si tratta del primo studio in materia: già altri gruppi di ricercatori, anche italiani, avevano raggiunto conclusioni simili, in analisi retrospettive su alcune centinaia di pazienti (5,6). L’indagine del British, la più ampia finora, ha esaminato i dati di 4.676 donne in buona salute partecipanti al Nurses’ Health Study, vasto studio di popolazione avviato nel 1976 e tuttora in corso, che ha coinvolto fino a oggi oltre 230mila infermiere statunitensi. Lo studio
A cura di Piera Parpaglioni
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MEDICO E PAZIENTE
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sulla sub-coorte ha evidenziato che le donne di mezza età o più anziane con un’aderenza elevata alla dieta mediterranea e una maggiore attività fisica, tendevano ad avere telomeri più lunghi dopo l’aggiustamento per vari fattori confondenti (4,7). I telomeri sono le sequenze ripetitive di DNA situate alle estremità dei cromosomi e sono sottoposti ad attrito ogni volta che la cellula si divide (Figura 1). La lunghezza dei telomeri diminuisce con l’età ed è oggetto di attenzione come possibile biomarker dell’invecchiamento (un indice più preciso è il tasso di accorciamento) (5,8,9). L’attrito sui telomeri è accelerato dallo stress ossidativo e dall’infiammazione. I dimostrati effetti protettivi della dieta mediterranea su entrambi i processi possono spiegare l’influenza favorevole di questo regime sulla lunghezza dei telomeri. Si fa luce, quindi, su un potenziale meccanismo biologico alla base dell’azione preventiva di questo stile alimentare, e si conferma che l’attrito sui telomeri e i suoi effetti possono essere almeno in parte modificati con lo stile di vita e la dieta. Di seguito, ripercorriamo i dati salienti dello studio del BMJ e, a grandi linee, il ruolo della ricerca sui telomeri nella comprensione
delle malattie legate all’invecchiamento, in primis quelle cardiovascolari (CVD).
I RISULTATI DAL NURSES’ HEALTH STUDY Negli anni 1989-90 oltre 32mila partecipanti allo studio hanno fornito campioni di sangue sui quali sono stati effettuati studi caso-controllo incrociati riguardanti l’associazione tra la lunghezza dei telomeri nei leucociti e il cancro, le malattie cardiovascolari, la funzione cognitiva e altro. L’analisi qui considerata ha esaminato i dati di 4.676 donne (età media 59 anni, range 42-70 anni) selezionate come controlli sani (senza malattie croniche maggiori, cardiovascolari e cancro) nei suddetti studi. Due erano i requisiti: che fosse stata misurata la LTL e che fossero stati compilati questionari estensivi sulle abitudini alimentari (all’incirca ogni quattro anni a partire dal 1980). L’aderenza alla dieta mediterranea è stata valutata (sui dati del questionario più vicino al momento del prelievo di sangue) impiegando l’Alternate Mediterranean Diet score, che include nove componenti: verdure (tranne le patate), frutta, noci,
cereali integrali, legumi, pesce, Figura 1 di sigarette/anni, attività fisica e rapporto acidi grassi monoinsaintroito calorico totale. Nessuna I principali fattori che agiscono turi/saturi, carni rosse e prodotassociazione significativa vi era sulla lunghezza dei telomeri ti lavorati a base di carne, motra dieta Occidentale e LTL (P derata assunzione di alcol. Per =0,32). ciascuno dei nove componenti Un editoriale di commento pubdella dieta è stato predetermiblicato sullo stesso numero del Infiammazione Infezioni nato un consumo mediano e il BMJ (7) nota che anche altri fatpunteggio è stato assegnato in tori (concentrazioni plasmatiche Mutazioni genetiche Stress ossidativo base allo scostamento da queelevate di 25-idrossivitamina D sto valore: 1 punto per un cone maggiore attività fisica) erasumo sopra la media di ciascuno associati con telomeri più Invecchiamento no dei primi sette componenti lunghi, e delinea così il quadella dieta, 0 per un apporto dro dello studio: le infermiere uguale o inferiore; 1 punto per americane di mezza età che si un’assunzione inferiore alla alimentano seguendo la dieta media di carni rosse, 0 per un mediterranea e sono fisicamenconsumo uguale o superiore; 1 te più attive, con una composipunto per un introito di alcol zione corporea più favorevole compreso tra 5 e 15 g/die, die un miglior metabolismo della versamente 0 punti. vitamina D, tendono ad avere Il gruppo con il punteggio più telomeri più lunghi dopo l’agalto (≥6) rappresentava l’adegiustamento per i confondenti. Effetti dell’attrito renza maggiore alla dieta meQueste donne possono avere in Telomeri sui telomeri diterranea. comune fattori ambientali, ma Confrontate con le donne del anche alcuni fattori genetici: la Fonte: modificata da Kong CM, Lee XW, Wang X. FEBS Journal gruppo con il punteggio più maggiore aderenza alla dieta 2013; 280: 3180-93 basso (≤2), le partecipanti con mediterranea può riflettere un punteggio maggiore erano più background etnico e culturale anziane al tempo del prelievo del camcomune di popolazioni in buona parte sostenuto il ruolo della dieta nel suo compione di sangue (P <0,001), con un indiimmigrate dall’area mediterranea. plesso (2,4,10). Per confronto, i ricercatori ce di massa corporea (BMI) leggermente hanno valutato anche l’associazione tra inferiore (P =0,01), fumavano meno (P altri regimi alimentari e la LTL, tra i quali DINAMICA DEI <0,001), avevano un più alto introito la dieta definita Occidentale e l’Alternative TELOMERI E MALATTIE complessivo di energia (P <0,001) ed Healthy Eating Index. Quest’ultimo indice DELL’INVECCHIAMENTO erano fisicamente più attive (P <0,001). misura l’aderenza a un regime alimentare Come previsto, avevano anche un consubasato sui cibi e i nutrienti con maggiore I telomeri sono strutture composte da mo più elevato di verdure, frutta, cereali valore predittivo del rischio di malattie DNA e proteine che proteggono le estreintegrali, pesce, legumi, noci e grassi totali croniche in base agli studi in letteratura. mità dei cromosomi dalla degradazione e e un minore introito di carne (4). Ognuno degli 11 componenti considerati dalla fusione. Sono quindi essenziali per Nessuno dei singoli componenti dell’Al(verdure, frutta, cereali integrali, bevande mantenere l’integrità del genoma. Poiché ternate Mediterranean Diet score è risulcontenenti zucchero, frutta secca e leguil processo di replicazione del DNA non tato associato in modo significativo con mi, carni rosse e prodotti lavorati a base riesce a copiare l’intera catena fino alle la lunghezza dei telomeri, anche dopo di carne, acidi grassi trans, acidi grassi a terminazioni (il cosiddetto problema di l’aggiustamento per i fattori confondenti lunga catena, acidi grassi polinsaturi, sodio fine replicazione), i telomeri si riducono (età, BMI, pacchetti di sigarette/anni, attie alcol) riceve un punteggio da 0 (pegprogressivamente con la divisione celluvità fisica, introito calorico totale). giore) a 10, secondo criteri basati sulle lare. È stato calcolato che le estremità Questo conferma l’importanza di esamicorrenti linee guida alimentari. Si è visto non-codificanti siano composte da circa nare le abitudini alimentari complessive che i punteggi più alti per questo indice 15mila paia di basi al tempo del concepi(e il quadro più ampio dello stile di vita) avevano una debole associazione positimento e da circa cinquemila alla morte, e e non l’apporto di singoli fattori dietetici. va con lunghezze maggiori dei telomeri, che tra i 50 e i 200 nucleotidi siano persi Già altri studi avevano proposto l’esistenza dopo aggiustamento per l’età (P =0,02) e a ogni ciclo replicativo cellulare (8,9,11). di una possibile sinergia tra i nutrienti l’associazione restava significativa anche Quando la lunghezza dei telomeri ragche compongono la dieta mediterranea e dopo aggiustamento per BMI, pacchetti giunge una soglia critica, la cellula diven-
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PREVENZIONE Tabella 1. Fattori
endogeni e ambientali che influiscono sulla lunghezza dei telomeri dei leucociti FATTORI ENDOGENI
FATTORI AMBIENTALI
Induzione dell’accorciamento dei telomeri Fattori genetici
Violenza fisica subita nell’infanzia
Divisione cellulare
Fumo
Età
Abuso di alcol
Stress ossidativo
Obesità
Infiammazione
Stile di vita sedentario
Attività del sistema renina-angiotensina
Stress mentale
Livello del colesterolo totale
metaboliche, infiammatorie e vascolari, infezioni e neoplasie che sono state messe in correlazione con l’accorciamento dei telomeri* Malattia cardiovascolare Scompenso cardiaco Aterosclerosi Infarto miocardico Cardiopatia ischemica
Inibizione dell’accorciamento dei telomeri
Dissezione aortica
Trascrittasi inversa della telomerasi
Stile di vita sano
Cardiopatia coronarica
Estrogeni
Trattamento con estrogeni
Diabete mellito
Antiossidanti
Vitamine C, D, E
Colite ulcerosa
Acidi grassi omega 3
Cirrosi epatica
Trattamento con statine
Epatopatia cronica
Fonte: modificata da Fyhrquist F, Saijonmaa O, Strandberg T. Nar Rev Cardiol 2013; 10: 274-83
ta incapace di ulteriore replicazione ed entra in una fase di arresto denominata senescenza replicativa. Da questa fase può progredire verso la morte cellulare o apoptosi. L’arresto del ciclo cellulare è quindi un segno distintivo della senescenza. Oltre alla senescenza replicativa, che insorge per l’accorciamento e la disfunzione dei telomeri, vi può essere una senescenza cellulare indotta da stimoli esterni quali stress ossidativo, segnali provenienti da oncogeni attivati, danno del DNA (Tabella 1). La senescenza cellulare induce uno stato infiammatorio cronico, con un aumento dei processi ossidativi e l’espressione di fattori di crescita, citochine, molecole di adesione, proteasi: sostanze che dovrebbero essere rivolte alla riparazione tessutale e funzionale, ma che spesso hanno un effetto più dannoso che benefico. Le cosiddette cellule di fenotipo secretorio associato alla senescenza producono una quantità di fattori che promuovono la proliferazione cellulare, la migrazione, l’invasione, il rimodellamento tessutale, l’infiammazione e lo stress ossidativo. Questi processi possono essere coinvolti nella patogenesi delle malattie cardiovascolari, in fenomeni come la disfunzione
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Tabella 2. Malattie
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endoteliale, il restringimento e la fibrosi delle arterie, l’assottigliamento dell’intima arteriosa, l’aterosclerosi, il rimodellamento cardiovascolare, le aritmie e lo scompenso cardiaco (12). Attraverso l’attività secretoria, le medesime cellule contribuiscono inoltre a molteplici alterazioni di tipo degenerativo e proliferativo correlate con l’invecchiamento, che hanno come caratteristica uno stato infiammatorio cronico e fenomeni di rimodellamento e di riparazione tessutale (Tabelle 2 e 3). Svariati studi hanno mostrato che esiste un’associazione tra l’accorciamento della LTL e l’aterosclerosi, il rischio di infarto miocardico e la mortalità nei pazienti con cardiopatia coronarica (CAD) (12-14). La correlazione tuttavia non è una prova di causalità: sia l’attrito sui telomeri sia la CVD potrebbero essere causati da fattori di rischio comuni (fumo, ipertensione, livelli elevati di colesterolo totale, obesità, inattività fisica) che contribuiscono all’infiammazione e allo stress ossidativo. Una recente revisione dell’argomento su Nature Reviews Cardiology (12) sostiene un’ipotesi unificante: l’accorciamento dei telomeri, legato all’invecchiamento e accelerato dai fattori di rischio, potrebbe essere uno specchio del carico cumula-
Broncopneumopatia cronica ostruttiva Lupus eritematoso sistemico Malattia da reflusso gastro-esofageo cronico Malattia celiaca Disordini delle cellule plasmatiche Demenza Malattia di Alzheimer Malattia di Parkinson AIDS Infezione da Citomegalovirus Epatite da HCV Infezione da virus di Epstein-Barr Neoplasia pancreatica invasiva Carcinoma gastrico Cancro della mammella Carcinoma epatocellulare Carcinomi epiteliali Note: *Le voci sono ordinate per numero crescente di riferimenti bibliografici riscontrati dagli Autori della tabella (per ciascuna voce i riferimenti sono oltre 100) Fonte: modificata da Kong CM, Lee XW, Wang X. FEBS Journal 2013; 280: 3180-93
tivo di stress infiammatorio, ossidativo e meccanico che agisce sul sistema cardiovascolare. Resta oggetto di dibattito fino a che punto l’attrito sui telomeri sia una causa o una conseguenza della malattia
Tabella 3. Manifestazioni
dell’accorciamento dei telomeri che si sovrappongono con fenotipi correlati con l’invecchiamento COMPARTIMENTI AD ALTO RINNOVAMENTO CELLULARE
COMPARTIMENTI A BASSO RINNOVAMENTO CELLULARE
Incanutimento dei capelli
Fibrosi polmonare idiopatica
Perdita dei capelli
Enfisema
Distrofie ungueali
Fibrosi e cirrosi epatica
Periodontopatia
Ridotta tolleranza al glucosio
Trombocitopenia
Secrezione insulinica insufficiente
Diminuzione delle cellule nel midollo osseo
Insulinoresistenza
Senescenza del sistema immunitario
Osteoporosi
Linfocitosi dell’epitelio gastrointestinale Aumentato rischio di cancro Intolleranza alla chemioterapia Fonte: modificata da Armanios M. J Clin Invest 2013; 123: 996-1002
cardiovascolare. Sono necessari studi longitudinali adeguati per esaminare meglio questa correlazione. Che uno stile di vita sano sia un cardine della prevenzione e del trattamento della maggior parte delle malattie cardiovascolari (aterosclerosi, CAD, ipercolesterolemia, ipertensione, diabete di tipo 2, tutte condizioni associate con accorciamento della LTL) è stato ampiamente dimostrato. Anche qui resta il quesito se tale effetto sia mediato da un miglior mantenimento dei telomeri e della loro funzione. Lo studio sulla dieta mediterranea condotto nell’ambito del Nurses’ Health Study dimostra su grandi numeri l’associazione tra un regime alimentare utile ai fini preventivi e la LTL. L’opinione espressa quasi da ogni Autore è che siano necessarie ulteriori ricerche per approfondire l’interazione fra stile di vita, mantenimento della funzione dei telomeri e salute cardiovascolare.
CONCLUSIONI Una maggiore aderenza alla dieta mediterranea è associata in modo significativo con telomeri più lunghi. I risultati del Nurses’ Health Study mettono in luce un elemento in più a supporto dei benefici di questo stile alimentare. Punti di forza dello studio sono la popolazione ampia e ben caratterizzata e la valutazione dettagliata delle abitudini alimentari e dello stile di vita. Tra i limiti vi sono la relativa
omogeneità del campione (in maggioranza di origine europea) che impone cautela nell’estendere i risultati ad altri gruppi etnici, e la misurazione singola della LTL, che non permette di valutare nel tempo l’associazione tra dieta mediterranea e tasso di accorciamento dei telomeri. A questo scopo servirebbe uno studio prospettico con misurazioni ripetute della LTL e lungo follow up. Si auspicano anche dati estesi alla popolazione maschile e analisi sulla predizione di eventi coronarici in relazione alla lunghezza dei telomeri (7).
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PREVENZIONE
TELOMERI E LONGEVITÀ LE DIREZIONI FUTURE DELLA RICERCA PER COMPRENDERE MEGLIO QUALE DIREZIONE SEGUIRANNO LE RICERCHE SULL’ASSOCIAZIONE TELOMERI-INVECCHIAMENTO, E SULL’EVENTUALITÀ DI UTILIZZARE ALCUNI PARAMETRI TELOMERICI COME BIOMARKER PER PATOLOGIE ETÀ-CORRELATE, PUBBLICHIAMO IN QUESTO SPAZIO UN’INTERVISTA A GIUSEPPE PAOLISSO, DELLA VI DIVISIONE DI MEDICINA INTERNA E MALATTIE NUTRIZIONALI DELL’ANZIANO, AOU - SECONDA UNIVERSITÀ DI NAPOLI. SU QUESTO TEMA, IL PROFESSOR PAOLISSO INSIEME AL SUO GRUPPO DI RICERCA, HA EFFETTUATO UNO STUDIO, APPARSO SU PLOS ONE (PLOS ONE 2013; 8: E62781)
Medico e paziente. La lunghezza dei telomeri dei leucociti è proposta come biomarker dell’invecchiamento. Ci può ricapitolare in breve per quali malattie croniche e degenerative legate all’età esistono a oggi evidenze significative circa l’associazione tra accorciamento dei telomeri e malattia stessa? Giuseppe Paolisso. Fino a oggi sono stati pubblicati numerosi studi epidemiologici che hanno proposto la misurazione della lunghezza telomerica come biomarker di invecchiamento. Tuttavia, se la lunghezza dei telomeri, misurata nei globuli bianchi periferici, può essere effettivamente considerata un biomarker di invecchiamento e/o di malattie età correlate è ancora un argomento molto acceso e in discussione. I soggetti affetti dalle principali malattie età correlate come il diabete, le malattie cardiovascolari e le malattie neurodegenerative (malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson) hanno effettivamente telomeri più corti rispetto alla popolazione sana di controllo, e numerose sono le evidenze scientifiche a conforto di tale associazione. Tuttavia l’utilizzo della lunghezza telomerica come parametro di longevità e/o invecchiamento di successo è ancora oggetto di dibattito, sia a causa dei risultati derivanti il più delle volte da metodi di misurazione differenti (vedi Real
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Time –PCR, Southern Blot, citofluorimetria, FISH ecc.), sia a causa dell’assenza di studi longitudinali. Infine, studi più recenti esaltano l’accumulo di telomeri eccessivamente corti e/o disfunzionanti all’interno di tessuti e organi, più che l’esclusiva lunghezza telomerica media, nel determinismo delle principali malattie età correlate. La riparazione telomerica attraverso la riattivazione della telomerasi, infatti, sembrerebbe in grado di ripristinare la vitalità cellulare. Ancor di più, i risultati del nostro studio pubblicato precedentemente sulla rivista “Plos One” evidenziano come la dieta mediterranea in toto sia in grado di attivare l’enzima telomerasi, contribuendo quindi a un effetto anti-invecchiamento attraverso il mantenimento della stabilità telomerica. MeP. Dieta mediterranea e lunghezza dei telomeri: in quali direzioni dovrebbe ora muovere la ricerca per chiarire meglio i meccanismi attraverso i quali il regime alimentare mediterraneo esercita un effetto protettivo sulle malattie legate all’invecchiamento? GP. Dal nostro studio pubblicato su Plos One è risultato che una più alta aderenza alla dieta mediterranea si associa a una più elevata attività telomerasica e che quest’ultima, a sua volta, si associa al migliore stato di salute
indipendentemente dalla lunghezza media dei telomeri in una popolazione di soggetti anziani. I nutrienti di un’alimentazione sana e bilanciata, caratterizzata da abbondanza di frutta, verdura, legumi, pesce fresco e cibi a basso contenuto di grassi, agirebbero sull’attivazione telomerasica favorendo la longevità e dando prova, in questo modo, di una spiccata capacità anti-invecchiamento. Sulla scorta di tali evidenze, la valutazione del rate di accorciamento telomerico e la misurazione dei livelli circolanti dell’attività telomerasica possono essere considerati biomarkers più efficaci di invecchiamento e/o longevità. La ricerca dovrebbe muoversi in tale direzione con studi di popolazione più ampi e possibilmente longitudinali per meglio valutare il ruolo della dieta mediterranea e dei suoi principali costituenti sulla stabilità telomerica. MeP. La lunghezza dei telomeri dei leucociti può essere considerata già oggi un marker attendibile per alcune malattie (per esempio quelle cardiovascolari)? È possibile l’uso di questo biomarker nella pratica clinica corrente? GP. Allo stato attuale l’introduzione del parametro “lunghezza telomerica” come biomarker di longevità nel management clinico non riconosce delle basi scientifiche sostanziali. Molto più interessante sarebbe, invece, la valutazione dell’attività telomerasica, considerati anche i risultati di studi recenti dai quali è chiaro come l’attività telomerasica, piuttosto che la lunghezza telomerica, si associa ai principali fattori di rischio cardiovascolare. L’identificazione di nutrienti, molecole e farmaci in grado di mantenere l’attività telomerasica a un livello “terapeutico” sui telomeri corti e disfunzionanti, rappresentano i principali goals della ricerca scientifica. Il mantenimento dei telomeri più lunghi e funzionali attraverso l’attivazione della telomorasi rappresenta un meccanismo efficace in grado di ritardare l’invecchiamento cellulare e le complicanze a esso associate.
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UROLOGIA
LE INFEZIONI URINARIE nella DONNA EVIDENZE CLINICHE PER UN NUOVO PARADIGMA DI TRATTAMENTO LE INFEZIONI DELLE VIE URINARIE RAPPRESENTANO UN SERIO PROBLEMA DI SALUTE CON ALTI COSTI PER LA SOCIETÀ. NELLE DONNE SONO COMUNEMENTE TRATTATE CON ANTIBIOTICOTERAPIA PROLUNGATA. GLI EFFETTI AVVERSI E LA CRESCENTE ANTIBIOTICORESISTENZA RICHIEDONO UN CAMBIO DI STRATEGIA PREVENTIVA
E
strapolare dati accurati circa la reale incidenza delle infezioni delle vie urinarie (IVU) è alquanto difficile dato il riscontro comune della patologia. Tuttavia si stima che esse rappresentino oggi una delle patologie infettive più frequenti nelle donne, con un rischio tre volte superiore nei confronti degli uomini nel contrarre questa malattia. Una donna su tre avrà avuto almeno un episodio di IVU prima dei suoi ventiquattro anni, e almeno la metà delle donne soffrirà di un IVU nel corso della vita (1). Un altro serio problema è la ricorrenza di questa condizione nelle giovani donne: infatti, nel 25 per cento dei casi le infezioni ricorrono entro sei mesi dal primo episodio.
DATI EPIDEMIOLOGICI E FATTORI DI RISCHIO Le IVU ricorrenti sono definite dalla presenza di sintomi urinari irritativi, quali
A cura di Rocco Damiano, Antonio Cicione UOC Urologia, Università Magna Graecia di Catanzaro, Germaneto (CZ)
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elevata frequenza minzionale, urgenza o disuria, e dal riscontro di almeno tre urinocolture positive (≥103 colonie/ml di urina) durante gli ultimi 12 mesi. Più del 5 per cento delle donne sarà affetto, nel corso della propria vita (1-2). Esistono fattori di rischio generici quali diabete o immunodeficienze in grado di aumentarne il rischio, ma soprattutto specifiche condizioni che possono facilitarne l’insorgenza. Tra il 75 per cento e il 90 per cento di episodi di cistite in giovani donne sessualmente attive sono correlabili con i rapporti sessuali e uso di creme spermicide oppure all’impiego del diaframma anticoncezionale (1). Anche le alterazioni dell’alvo possono essere considerate un fattore di rischio, facilitando un circolo entero-urinario dei batteri stessi. Nelle donne in menopausa, i rapporti sessuali non sembrano più rappresentare un fattore di rischio mentre una storia di infezioni urinarie in giovane età risulta il più consistente fattore di rischio epidemiologico. Circa l’80 per cento delle cistiti sono sostenute da E. Coli grazie a particolari fattori di virulenza come la presenza di fimbrie che, facilitando l’adesività alla mucosa del-
le vie urinarie, ne aumentano la capacità infettiva (2). In questa rassegna descriveremo brevemente le recenti evidenze cliniche che supportano i trattamenti terapeutici in uso comune tra i Medici di Medicina generale, e gli specialisti urologi e ginecologi.
DIAGNOSI Le linee guida della Società Europea di Urologia (EAU Guidelines 2014) (3) sottolineano come la cistite possa essere diagnosticata con alta probabilità in presenza di sintomatologia irritativa delle basse vie urinarie (disuria, aumento della frequenza urinaria e urgenza minzionale) in assenza di segni di flogosi vaginale. L’infezione può inoltre associarsi a macroematuria o a un peggioramento dell’incontinenza urinaria nelle pazienti che ne sono affette. Il quadro sintomatologico descritto è così caratteristico che le donne con una storia di cistiti ricorrenti riescono a fare autodiagnosi con un’accuratezza del 90 per cento (2). La conferma di laboratorio avviene mediante il riscontro di una conta batterica ≥103 cfu/ml di uropatogeni sull’urino-
coltura in donne sintomatiche. Sebbene il dipstick urinario possa rappresentare una valida alternativa all’esame culturale delle urine nelle infezioni non complicate, questo si rende doveroso in caso di sospetta pielonefrite (dolore al fianco, nausea, vomito e febbre >38°C), mancata risoluzione o ricorrenza (dopo 2-4 settimane) dei sintomi alla conclusione del trattamento (3). In questi casi è inoltre indicato un approfondimento diagnostico specialistico mediante valutazione ecografica del residuo post-minzionale ed ecografia dell’apparato urinario.
LA TERAPIA ANTIBIOTICA Gli antibiotici (Tabella 1) sono generalmente prescritti con la finalità di una rapida risoluzione dei sintomi, di solito per un periodo di 3-7 giorni. Quando possibile, il trattamento dovrebbe essere guidato dai risultati dell’urinocoltura e antibiogramma, per evitare di indurre ceppi resistenti. Tuttavia in caso di cistite ricorrente, un antibiotico profilassi per sei mesi consecutivi è indicata dalle linee guida europee come possibile opzione terapeutica quando le modifiche comportamentali (regolarizzazione dell’alvo e alimentazione ricca di fibre, bere almeno due litri di acqua al giorno) e l’utilizzo di fitoterapici (quali estratti di cranberry, acidificanti urinari o probiotici) siano risultati inefficaci nel prevenire gli episodi di infezione ricorrente. In accordo con una revisione della letteratura effettuata dalla Cochrane, la somministrazione continua di una bassa dose di antibiotici risulta efficace nel prevenire le IVU ricorrenti, con una riduzione del rischio di ricorrenza clinica per paziente/ anno fino a 0,15 (RR), mentre presenta un rischio elevato fino a 1,58 (RR) di effetti collaterali severi che richiedono la sospensione del trattamento.
Limiti dell’antibioticoterapia Sebbene efficaci nel ridurre le ricorrenze, l’effetto degli antibiotici si manifesta esclusivamente durante il periodo di assunzione. Alla discontinuazione della profilassi le pazienti ritornano alla loro precedente frequenza di IVU con un rischio di ricor-
Tabella 1. Trattamenti
antibiotici per la cistite batterica CISTITE ACUTA
PRINCIPIO ATTIVO
POSOLOGIA
DURATA
3 g SD
1 giorno
Nitrofurantoina
50 mg /ogni 6h
7 giorni
Nitrofurantoina
100 mg x2/die
5-7 giorni
Ciprofloxacina
250 mg x2/die
3 giorni
Levofloxacina
250 mg/die
3 giorni
Norfloxacina
400 mg x2/die
3 giorni
Ofloxacina
200 mg x2/die
3 giorni
160/800 mg x2/die
3 giorni
200 mg x2/die
5 giorni
Fosfomicina trometamolo
Alternative
Se resistenze locali di E. coli <20% Trimetropin-sulfametoxazolo Trimetropin
Note: *le aminopenicilline non sono utilizzabili come terapia empirica per l’elevata resistenza mondiale del E.coli; *le aminopenicilline in combinazioni con gli inibitori della beta-lattamasi e le cefalosporine orali non sono in genere raccomandabili come terapia iniziale di breve termine tranne selezionati casi (allergie ad esempio); SD, singola somministrazione PROFILASSI CISTITE RICORRENTE
Trimetropin-sulfametoxazolo1
40/200 mg/die
Trimetropin-sulfametoxazolo
40/200 mg/ tre a settimana
Trimetropin
100 mg/die
Nitrofurantoina1
50 mg/die
Nitrofurantoina1
100 mg/die
Cefaclor
250 mg/die
Cefalexina
125 mg/die
Cefalexina1
250 mg/die
Norfloxacina1
200 mg/die
Ciprofloxacina
125 mg/die
Fosfomicina Note:
1come
Pazienti con più di tre episodi di cistite per anno, profilassi con antibiotico a bassi dosaggi di durata 3-6 mesi
3 g ogni 10 giorni
anche ofloxacina 100 mg, sono utilizzabili nella profilassi post-coitale.
renza microbiologica pari allo 0,82 (RR), non essendo la profilassi antibiotica in grado di modificare la storia naturale delle IVU ricorrenti. Continuare l’antibioticoterapia per periodi molto lunghi è molto rischioso, non abbiamo dati di sicurezza su antibioticoterapia a lungo termine mentre vi è la possibilità di
severi eventi avversi e infezioni da batteri resistenti agli antibiotici. Inoltre l’uso prolungato di antibiotici non è privo di complicanze poiché interferisce con la contraccezione orale, causa sintomi gastrointestinali, tra cui un incremento del rischio di diarrea da Clostridium difficile, e determina episodi di candidosi, oltre che
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UROLOGIA Tabella 2. Effetti
indotti da instillazioni intravescicali di glicosaminoglicani in modelli sperimentali di cistite
RISULTATO RISCONTRATO
Miglioramento della capacità vescicale e della riparazione epiteliale con inibizione della fibrosi Riduzione dell’intensità infiammatoria e della frequenza urinaria Scarsa penetrazione intracellulare del condroitinsolfato con legame prevalentemente all’urotelio danneggiato Riduzione della carica batterica intravescicale Riduzione dell’iperattività vescicale indotta con aumento del tempo di latenza tra due contrazioni detrusoriali all’esame cistometrico (urodinamica) Riduzione del danno epiteliale sperimentalmente indotto Riduzione del livello tissutale di interleuchina-6 quale marcatore infiammatorio
favorire la comparsa di un’antibioticoresistenza (4). In Italia, infatti, come nel resto dell’Europa, si sta assistendo a un aumento dei ceppi di E. Coli chinolonici resistenti. Dati recenti indicano che la percentuale di batteriemia da E. coli resistenti ai chinolonici è cresciuta dal meno 5 per cento nel 1999 a più del 20 per cento nel 2007, e contestualmente anche le batteriemie da ceppi di E. coli resistenti sia a chinolonici che a cefalosporine di terza generazione sono passati da 0 a circa 10 per cento (2). Un recente studio epidemiologico italiano (ICEA2) ha inoltre, individuato la ciprofloxacina quale molecola più frequentemente prescritta per cistite acuta non complicata (nel 44,3 per cento dei casi valutati), i fluorochinolonici quale classe di antibiotici con maggior attività battericida (98,8 per cento) nei confronti della triade batterica più frequentemente isolata (E. coli, K. pneumoniae, P. mirabilis) e una scarsa efficacia di cotrimossazolo e nitrofurantoina verso la stessa triade (sensibilità riscontrata rispettivamente nel 25 e 22,8 per cento dei casi). Questo trattamento “inappropriato” compromette la qualità di vita delle pazienti. Le IVU hanno un effetto negativo sulla sfera sessuale femminile. In pazienti con elevata ricorrenza di IVU, specialmente se in età premenopausale e se affette da IVU da E. coli, si riscontrano più frequentemente dolore sessuale e sintomi come
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la vulvodinia e vestibulodinia. Inoltre le IVU ricorrenti determinano con il tempo sintomi da vescica iperattiva. Donne che hanno avuto almeno tre episodi di IVU nell’ultimo anno sono più a rischio di sviluppare nel tempo sintomi riferiti al basso tratto urinario anche in assenza d’infezione in corso.
NUOVE STRATEGIE DI TRATTAMENTO Lo sviluppo crescente di microrganismi sempre più resistenti, associato a una possibile scarsa compliance del paziente dovuta all’insorgenza di effetti collaterali, ha portato a un crescente interesse per nuove strategie non chemioterapiche da adoperarsi nella prevenzione delle infezioni ricorrenti. Numerose evidenze scientifiche testimoniano come i batteri, aderendo all’urotelio, sono in grado di stimolare recettori locali che inducono la secrezione di citochine, richiamano cellule infiammatorie determinando un’infiammazione tissutale sotto l’urotelio e i conseguenti segni e sintomi delle IVU. È oggi chiaro che tutta la sintomatologia correlata all’IVU non è determinata dalla presenza dei batteri nelle urine, ma dall’infiammazione che i batteri stessi inducono sulle pareti vescicali. La parete della vescica è composta da tre principali strutture: il muscolo detrusore, il sottourotelio e l’urotelio, rivestito da uno
strato mucoso, importante nella permeabilità cellulare e composto da un uniforme mantello di glicosaminoglicani (GAGs) e di proteoglicani che ricoprono la superficie dell’urotelio. Nella patogenesi delle cistiti batteriche i GAGs svolgono differenti funzioni (Tabella 2) trattenendo acqua e inibendo il contatto tra batteri e urotelio. Recenti studi, per esempio hanno identificato in E. coli, microrganismo riscontrabile nel 75-90 per cento dei casi di cistiti, fattori solubili in grado di danneggiare lo strato di glicosaminoglicani e quindi di facilitarne il contagio cellulare. L’applicazione esogena di GAGs, aderendo alla barriera della mucosa danneggiata e inibendo l’adesività batterica, ripara la normale impermeabilità vescicale. L’integrità dello strato di GAGs è quindi fondamentale nel mantenere l’urotelio nelle sue funzionalità (5-6).
Evidenze di efficacia per i glicosaminoglicani Negli ultimi anni in letteratura sono riportati numerosi studi clinici (Tabella 3) che validano l’implementazione esogena di glicosaminoglicani come terapia nelle IVU ricorrenti (7). Tra questi, uno studio randomizzato controllato, pubblicato su European Urology (8), sull’impiego di instillazioni endovescicali di una soluzione di 50 ml di acido ialuronico e condroitinsolfato (HA-CS) in donne con IVU ricorrenti, ha evidenziato, nei confronti del placebo e in un periodo di 12 mesi, una significativa riduzione del numero di episodi di IVU e un prolungamento dell’intervallo temporale tra gli episodi di IVU. Inoltre si è evidenziato anche un miglioramento dei sintomi urinari e della qualità di vita, in assenza di significativi eventi avversi. Questo studio ha rappresentato la principale prova di concetto che l’associazione tra due GAGs fosse efficace nel prevenire le infezioni ricorrenti delle vie urinarie. Uno studio multicentrico pubblicato su Canadian Urological Association Journal (9) ha confermato la validità di questa strategia terapeutica, fornendo nuovi riscontri sull’evidenza clinica che la somministrazione esogena di GAGs può essere impiegata con sicurezza ed efficacia nel
Tabella 3. Sintesi
dei principali effetti delle instillazioni intravescicali di glicosaminoglicani riscontrati negli studi clinici di popolazione NUMEROSITÀ CAMPIONE
METODOLOGIA DELLO STUDIO
DOSE E REGIME INSTILLAZIONE
Constantinides C et al. BJU Int 2004
40
Singolo gruppo, prospettico
HA 40 mg; 4 settimanali +4 mensili
Lipovac M et al. Int J Gynaecol Obstet 2007
20
Singolo gruppo, prospettico
HA 40 mg; 4 settimanali +5 mensili
Damiano R et al. Eur Urol 2011
57
Randomizzato, prospettico
HA 800 mg +CS 1g; 4 settimanali +5 mensili vs placebo
De Vita D et al. Int Urogynecol 2012
26
Randomizzato, prospettico
HA 800 mg +CS 1 g; 4 settimanali +2 bisettimanali vs placebo vs profilassi antibiotica prolungata a basso dosaggio
Cicione A et al. Can Urol Assoc J 2014
157
Retrospettivo, multicentrico
HA 800 mg +CS 1g; 4 settimanali +5 mensili
AUTORE, ANNO
RISULTATI COMUNI OTTENUTI
• Riduzione significativa del numero di episodi di cistite/anno • Prolungamento del tempo di ricorrenza tra due episodi di cistite Relativamente agli ultimi tre studi: • Miglioramento dell’indice sintomatologico • Miglioramento dell’indice della qualità di vita
Note: HA, acido ialuronico; CS, condroitinsolfato
prevenire episodi d’infezione in donne che riferiscono IVU ricorrenti. Lo studio ha anche evidenziato come i migliori risultati dopo la terapia con HA-CS sono da attendersi in pazienti con età <50 anni, con numero di episodi di IVU/anno <4, con BMI nella norma e anamnesi alvina regolare.
CONCLUSIONI ll frequente riscontro di cistite urinaria nelle donne richiede spesso un uso ripetuto di antibiotici. Sebbene l’utilizzo degli antibiotici sia stato indicato come possibile scelta terapeutica valida per prevenire l’insorgenza dell’infezione, questo è gravato da un elevato rischio di effetti collaterali e dalla possibilità di indurre e aumentare lo sviluppo di microrganismi antibioticoresistenti. Questa paradossale azione antibiotica indica pertanto di ricercare nuove strategie di profilassi. A oggi, una crescente quantità di studi clinici e sperimentali ha proposto come valida scelta l’utilizzo dei glicosaminoglicani, dimostrando almeno un potenziale ruolo benefico di queste sostanze nella patogenesi delle infezioni. Nonostante non si possano ancora trarre definitive indicazioni su queste sostanze, il loro impiego nella pratica clinica per la
prevenzione delle cistiti urinarie sembra comunque supportato da un razionale fisiologico, da dati clinici di provata evidenza e dall’assenza d’importanti effetti collaterali. Oggi è importante che i Medici di Medicina generale e i diversi specialisti coinvolti siano a conoscenza che questo innovativo trattamento rappresenta un nuovo paradigma per trattare, con una strategia priva di antibiotici, una patologia ricorrente con un forte impatto negativo sulla qualità di vita delle pazienti. Gli Autori dichiarano che non esistono conflitti di interesse nella stesura del presente manoscritto.
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Gosalbes V, Perrota C. Antibiotics for preventing recurrent urinary tract infection in non-pregnant women. Cochrane Database Syst Rev 2004; (3): CD001209 5. Geppetti P, Nassini R, Materazzi S, Benemei S. The concept of neurogenic inflammation. BJU Int 2008; 101(Suppl 3): 2–6. 6. Parsons CL. The role of a leaky epithelium and potassium in the generation of bladder symptoms in interstitial cystitis/overactive bladder, urethral syndrome, prostatitis and gynaecological chronic pelvic pain. BJU Int 2011; 107: 370–5. 7. Cicione A, Cantiello F, Ucciero G, Salonia A, Madeo I, Bava I, Aliberti A, Damiano R. Restoring the glycosaminoglycans layer in recurrent cystitis: experimental and clinical foundations. Int J Urol 2014 Aug; 21(8): 763-8. 8. Damiano R, Quarto G, Bava I, Ucciero G, De Domenico R, Palumbo MI, Autorino R. Prevention of recurrent urinary tract infections by intravesical administration of hyaluronic acid and chondroitin sulphate: a placebo-controlled randomised trial. Eur Urol 2011 Apr; 59(4): 645-51. 9. Cicione A, Cantiello F, Ucciero G, Salonia A, Torella M, De Sio M, Autorino R, Carbone A, Romancik M, Tomaskin R, Damiano R. Intravesical treatment with highly-concentrated hyaluronic acid and chondroitin sulphate in patients with recurrent urinary tract infections: Results from a multicentre survey. Can Urol Assoc J 2014 Sep; 8(9-10): E721-7.
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GSK
ASMA E BPCO: disponibile la combinazione ICS/LABA in unica somministrazione giornaliera
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n fattore chiave nella gestione di asma e BPCO è l’aderenza al trattamento, che come ben noto costituisce una sfida per i clinici. Se l’aderenza alle terapie non è ottimale cresce la probabilità di un peggioramento dei sintomi e di conseguenza anche la spesa per il trattamento. Una risposta concreta a questo annoso problema è arrivata con il lancio nel nostro Paese del primo trattamento inalatorio in monosomministrazione giornaliera con corticosteroidi e beta 2 agonisti a lunga durata d’azione (ICS-LABA) per asma e BPCO. Il farmaco è indicato per il trattamento sintomatico degli adulti con BPCO con FEV1 inferiore al 70 per cento del normale predetto con una storia di riacutizzazioni nonostante la terapia
regolare con broncodilatatori. È inoltre indicato nel trattamento regolare dell’asma negli adulti e negli adolescenti di età maggiore o uguale a 12 anni quando sia appropriato l’uso di un medicinale di combinazione. Il farmaco è un’associazione tra fluticasone furoato (FF) e vilanterolo (VI) (FF/VI). La monosomministrazione gioranliera è uno dei “plus” del trattamento. FF/VI è la prima associazione fissa ICS-LABA che può essere somministrata una sola volta al giorno e ha un’efficacia sostenuta per 24 ore. Questa caratteristica favorisce la compliance alla terapia. La monosomministrazione in particolare è stata valutata in confronto alla doppia somministrazione quotidiana in una popolazione di 1.302 pazienti con asma, di
FIMMG-MSD
La prima scuola di ricerca di MEDICINA GENERALE
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uattrocento Medici di Medicina generale formati nei prossimi due anni sulla ricerca clinica e “addestrati” per costituire il “Gruppo sperimentatori in Ricerca clinica della FIMMG”. La loro missione sarà quella di elaborare nuovi modelli clinici, partecipare a progetti di ricerca sui farmaci prima e dopo la loro immissione in commercio. È questo l’obiettivo della prima Scuola di ricerca in Medicina generale realizzata in Italia, un innovativo progetto promosso dalla FIMMG e realizzato grazie al contributo di MSD Italia. Fulcro delle attività di formazione della Scuola sarà la sorveglianza dell’efficacia e della sicurezza dei farmaci sulla base dei dati ottenuti dall’esperienza reale con i pazienti. La Scuola di Ricerca della FIMMG è già operativa: è stato avviato il primo Corso di Formazione a Distanza (FAD), al quale i Medici di Medicina Generale hanno risposto in maniera straordinaria, propedeutico a un Corso residenziale di tre giorni al termine del quale i partecipanti saranno progressivamente inseriti nel Gruppo ricercatori della FIMMG.
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età compresa tra i 12 e i 56 anni. Dallo studio emerge che assumere i farmaci una sola volta al giorno consente di aumentare di circa il 20 per cento l’aderenza alle cure rispetto a quanto si osserva con trattamenti ripetuti due o più volte al giorno, indipendentemente dal sesso, dalla razza, dall’età e dalla gravità della malattia. A questo vantaggio si aggiunge anche l’innovativo dispositivo di rilascio del farmaco, che consente il trattamento con il minor numero di manovre necessarie per l’attivazione, con conseguente riduzione del rischio di errori critici da parte del paziente. Il dispositivo, in particolare, consente l’autosomministrazione del farmaco in tre fasi: apertura, inalazione e chiusura.
DOMPÉ
FOCUS SULLA SINDROME DELL’OCCHIO SECCO Una condizione molto diffusa, soprattutto tra le donne e tra gli anziani e nell’era della quotidianità 2.0, ma che spesso viene poco considerata. Ecco l’identikit della sindrome dell’occhio secco che è stato tracciato in un incontro che si è tenuto a Milano, lo scorso 12 marzo. Navigare sul web, l’uso ormai costante di smartphone oppure e-reader sono fattori che favoriscono questo disturbo, ma anche le condizioni atmosferiche e l’inquinamento ambientale o i cambiamenti ormonali tipici della donna in gravidanza o in menopausa sono fattori predisponenti. A rischio sono anche gli anziani specie se in trattamento con antidepressivi, diuretici o derivati del cortisone. I sintomi non dovrebbero essere trascurati e alla prima comparsa è necessario intervenire nel modo più appropriato, ripristinando la stabilità della pellicola lacrimale che deve sempre avere una componente acquosa, una grassa e una mucosa. Attualmente sono in sviluppo nuovi trattamenti, e il Gruppo Dompé è fortemente impegnato in questa direzione. Ne è un esempio la variante ricombinante umana del nerve growth factor, in fase di sperimentazione anche in pazienti con sindrome dell’occhio secco da moderata a severa, come anche lo studio della lubricina, un lubrificante naturalmente presente nell’organismo.
KOLINPHARMA
ALFA WASSERMANN
Con RIFAXIMINA-ALFA svolta nel trattamento per l’encefalopatia epatica
L
o scorso febbraio è arrivato l’ok del NICE per rifaximina-alfa 550 mg come trattamento per l’encefalopatia epatica (EE). Si tratta di una patologia neuropsichiatrica grave e complessa, associata alla malattia epatica. I pazienti con EE possono sperimentare sintomi che variano da lievi anomalie neurologiche, clinicamente impercettibili, fino a una grave compromissione neurologica. Le ripercussioni sulla qualità e sull’aspettativa di vita sono pesanti. Secondo i dati, in Europa sono affette circa 200.000 persone. In Italia si stima che ogni anno circa 9.000 pazienti vengano ospedalizzati a causa della malattia. Il via libera per rifaximina-alfa 550 mg rappresenta una reale novità nell’ambito della terapia di questa patologia, che finora disponeva di opzioni davvero limitate. Dal 1969, anno in cui è stato introdotto il lattulosio, non è stato reso disponibile alcun trattamento efficace. E ora dunque rifaximina-alfa 550 mg può davvero essere considerata una svolta. La terapia con il farmaco permette di prevenire con successo le ricadute di malattia, trattando i pazienti in modo da ristabilire l’equilibrio del microbiota intestinale. Il farmaco è inoltre ben tollerato, essendo un antibiotico che non viene assorbito dall’organismo. Rifaximina-alfa 550 mg è indicata per la riduzione del rischio di recidiva degli episodi di encefalopatia epatica manifesta nei pazienti a partire dai 18 anni. È un antibiotico ad ampio spettro, che ha come target i batteri commensali intestinali, e agisce sugli aerobi e anaerobi Gram-negativi e Gram-positivi, riducendo l’ammoniaca in eccesso prodotta dai batteri intestinali dei pazienti con cirrosi. In Italia, il farmaco sarà disponibile nei prossimi mesi.
MSD
OSTEOPOROSI, una silenziosa “ladra di ossa”
S
e ne parla sempre più, e le iniziative di informazione si moltiplicano. Tuttavia l’osteoporosi si conferma una patologia poco conosciuta, o per meglio dire poco considerata. E questo sia da parte delle donne che degli uomini. Per molti viene ritenuta un’inesorabile avanzamento dell’età, e per esempio stando a quanto riportano i dati Istat solo il 24,5 per cento degli italiani dopo i 45 anni si sottopone a un controllo in assenza di sintomi. La frattura da fragilità ossea è il primo campanello d’allarme, indicativo di una situazione grave e compromessa. I trattamenti esistono, e se seguiti sono efficaci nel mantenere sotto controllo l’evoluzione della patologia. Ciononostante appena il 24 per cento di chi dovrebbe seguire una terapia si vede prescrivere il farmaco e di questi, il 12 per cento abbandona il trattamento. Una delle strategie terapeutiche a disposizione del medico prevede l’assunzione settimanale di alendronato e colecalciferolo che lavorando in stretta sinergia permettono di massimizzare l’efficacia terapeutica e allo stesso tempo di semplificare la terapia stessa. Il “tallone d’Achille” resta comunque l’informazione. Per questo Siommms e Fedios hanno realizzato la campagna “Osteoporosi-Storia di una Ladra di Ossa” con il contributo non condizionato di MSD Italia: un opuscolo informativo rivolto ai pazienti con consigli pratici su come prevenire e gestire “la ladra di ossa” e un premio giornalistico rivolto ai media che sono di enorme aiuto per diffondere una maggiore conoscenza di questa patologia silenziosa. I materiali informativi della campagna sono disponibili sui siti www.fedios.org e www.siommms.it.
Nuova realtà italiana nel campo della NUTRACEUTICA
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ortare la scienza nel segmento della nutraceutica: questi i pilastri su cui si fonda la neonata KoLinPharma, azienda interamente italiana che è stata presentata alla stampa medico-scientifica lo scorso 30 marzo, a Milano. L’azienda si differenzia nel campo della nutraceutica facendo leva sui valori aggiunti tipici del settore farmaceutico: solide fondamenta scientifiche e un gran numero di certificazioni. Un’attenzione per le fondamenta scientifiche dell’azione degli elementi nutraceutici, testimoniata anche dalla presentazione, in occasione dell’incontro di Milano, del Dizionario-ManualeNutraceutico Pratico. Avvalendosi della profonda conoscenza di Alberto Martina, e delle coautrici Anna Carlin e Veronica Di Pietro, KoLinPHARMA ha reso possibile la pubblicazione del primo testo scientifico in Europa, interamente dedicato alla nutraceutica. Il “Dizionario” è un pratico strumento di consultazione dei termini e dell’azione salutistica dei principali ingredienti e principi attivi dei quali la nutraceutica si avvale. Merita di essere segnalata anche la particolare attenzione dell’azienda per le persone non vedenti: le confezioni dei prodotti riportano in caratteri Braille anche la data di scadenza e sono dotate di un QR code (in Braille) che rimanda, attraverso qualunque smartphone, a un ‘foglietto illustrativo’ riservato a chi non è in grado di leggere.
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