Medico e paziente 03 14

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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XL n. 3 - 2014

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Rene policistico dell’adulto inquadramento clinico e terapeutico Psichiatria esce l’edizione italiana del DSM-5 Lombalgia studio sull’aderenza alle linee guida da parte del MMG Congressi XIX Meeting dell’European Hematology Association

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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012

Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con

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CLINICA

DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico

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Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico

>s Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci

TERAPIA

Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci

>s Domenico D’Amico

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I farmaci in fase avanzata di sviluppo per la SM

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anno XL - 2014 Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia

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Medico e paziente n. 3

in questo numero

sommario

Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XL n. 3 - 2014

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RENE POLICISTICO DELL’ADULTO inquadramento clinico e terapeutico PSICHIATRIA esce l’edizione italiana del DSM-5 LOMBALGIA studio sull’aderenza alle linee guida da parte del MMG CONGRESSI XIX Meeting dell’European Hematology Association

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Direttore Commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 Redazione Anastasia Zahova

p 7

letti per voi

p 10 nefrologia

IL RENE POLICISTICO AUTOSOMICO DOMINANTE Inquadramento clinico e cenni di terapia

Progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno

Noto con l’acronimo adpkd, il rene policistico autosomico dominante è una patologia ereditaria che si riscontra in circa 1/500-1.000 nuovi nati

Segreteria di redazione Concetta Accarrino

Hanno collaborato a questo numero: Franco Del Corno Claudia Izzi Francesca Magrinelli Paolo Manfredi Claudio Mencacci Piera Parpaglioni Cesare Peccarisi Cecilia Ranza Francesco Scolari Stefano Tamburin Giampietro Zanette Arturo Zenorini

Claudia Izzi, Francesco Scolari

p 16 neurologia

IL DOLORE NEUROPATICO Percorso diagnostico e indicazioni di terapia

Il dolore neuropatico interessa il 6-8 per cento della popolazione generale e può avere un rilevante impatto su qualità della vita, umore e sonno

Francesca Magrinelli, Giampietro Zanette, Stefano Tamburin

p 26 psichiatria

L’edizione italiana del DSM-5 I punti di forza (e quelli critici) del Manuale

Presentiamo una sintesi degli aspetti più significativi

Medico e Paziente

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Registrazione del Tribunale di Milano n. 32 del 4/2/1975 Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura. Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) I dati sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’Editore “M e P Edizioni Medico e Paziente” per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Ai sensi dell’art. 7 D. LGS 196/2003 è possibile in qualsiasi momento e gratuitamente consultare, modificare e cancellare i dati o semplicemente opporsi al loro utilizzo scrivendo a: M e P Edizioni Medico e Paziente, responsabile dati, via Dezza, 45 - 20144 Milano. Comitato scientifico Prof. Vincenzo Bonavita Professore ordinario di Neurologia, Università “Federico II”, Napoli Dott. Fausto Chiesa Direttore Divisione Chirurgia Cervico-facciale, IEO (Istituto Europeo di Oncologia) Prof. Sergio Coccheri Professore ordinario di Malattie cardiovascolari-Angiologia, Università di Bologna Prof. Giuseppe Mancia Direttore Clinica Medica e Dipartimento di Medicina Clinica Università di Milano - Bicocca Ospedale San Gerardo dei Tintori, Monza (Mi) Dott. Alberto Oliveti Medico di famiglia, Ancona, C.d.A. ENPAM

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sommario

del Manuale, arricchita dal commento di alcuni autorevoli specialisti psichiatri

Cecilia Ranza

p 30 pratica clinica

il trattamento della lombalgia nell’ambulatorio del mmg Studio sull’aderenza alle linee guida da parte dei medici di base

Presentiamo i risultati di un’indagine condotta su un campione di MMG nella provincia di Bolzano, che evidenzia come quasi la metà dei partecipanti consideri poco (o per nulla) le indicazioni contenute nelle linee guida

Piera Parpaglioni

p 34

congressi

• XIX Congresso EHA 12-15 giugno 2014, Milano • Vi Congresso Nazionale ANIRCEF 29-31 maggio 2014, Asti

p 38

Farminforma

p 42

Notizie dal web

• In rete, una grande famiglia per il paziente diabetico • Nelle donne in postmenopausa l’aggiunta di calcio e vitamina D alla TOS sembra ridurre il rischio di fratture • Un nuovo portale dedicato al MMG

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Medico e paziente

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letti per voi Nutrizione

Nei pazienti anziani con maculopatia legata all’età, la supplementazione con acidi grassi omega-3 o xantofille maculari non sembra avere effetti positivi sulla patologia oculare e nemmeno sulla prevenzione del rischio CV £

Lo studio AREDS2 era stato disegnato per valutare se si potesse aumentare il beneficio apportato dai supplementi multivitaminici e minerali, osservato nello studio principale AREDS, nel ridurre il rischio di progressione della degenerazione maculare senile (DMS) in fase avanzata. Nello specifico, nell’AREDS2 sono stati aggiunti alla dieta acidi grassi omega-3 a lunga catena e due xantofille maculari, luteina e zeaxantina. Lo studio aveva

dimostrato che gli omega-3 non conferissero un vantaggio sulla progressione di DMS. Ma visto che gli omega-3 in diversi studi, sebbene a volte con risultati controversi, si sono delineati alleati della prevenzione cardiovascolare (CV) e più in generale la loro assunzione è correlata a un miglioramento dello stato di salute generale, sulla base dell’AREDS2 è stato disegnato lo studio “ancillare” COS, per vedere se questi supplementi potessero in qualche modo apportare benefici CV.

Dei 4.203 pazienti dell’AREDS2 (seguiti per un follow up mediano di 4,8 anni) sono stati ritenuti elegibili quelli di età compresa tra 50 e 85 anni, con DMS in fase intermedia o avanzata in un occhio e patologia CV stabile da più di 12 mesi dal primo evento. I pazienti hanno ricevuto una supplementazione con omega-3 a lunga catena (350 mg di acido docosaesaenoico –DHA + 650 mg di acido eicosapentaenoico –EPA), xantofille maculari (10 mg luteina +2 mg zeaxantina), una combinazione dei due oppure placebo; questi sono stati aggiunti alla terapia prevista dall’AREDS (integratori vitaminici e minerali) per la DMS. Outcome compositi erano decesso per cause CV, infarto miocardico, stroke integrati con ospedalizzazione per scompenso cardiaco, procedura interventistica di rivascolarizzazione e angina instabile. I partecipanti aveva-

£ La malattia celiaca è una patologia infiammatoria autoimmune a carico dell’intestino tenue, caratterizzata Infiammazioni subcliniche a carico da un danno della mucosa scatenato e mantenuto dall’ingestione del glutine, in soggetti geneticamente delle articolazioni possono essere predisposti. Le manifestazioni cliniche della malattia di frequente riscontro nei bambini celiaca sono estremamente variabili. Oltre alla celiaci e potrebbero trarre beneficio presentazione “classica” della patologia celiaca, caratterizzata da malassorbimento, diarrea e perdita da una dieta “gluten free”: di peso, vi possono essere anche manifestazioni extrai risultati di uno studio italiano intestinali, a carico dell’apparato muscolo-scheletrico. Lo studio qui presentato, condotto da un gruppo di con valutazione ecografica ricercatori italiani, è stato disegnato con l’obiettivo di valutare attraverso indagine ecografica la prevalenza e la gravità dei disturbi infiammatori a carico dell’apparato muscolo-scheletrico in una popolazione pediatrica. Sono stati presi in esame 74 bambini con età media di 7,6 anni (range di età: 1-14,2 anni; M/F =24/50) affetti da celiachia. I partecipanti sono stati sottoposti a valutazione ecografica a livello delle ginocchia, delle caviglie e dell’anca per identificare l’eventuale presenza di effusione articolare, ipertrofia sinoviale, lesioni strutturali (irregolarità ossee ed erosioni). Le anomalie di tipo infiammatorio sono state classificate su una scala semiquantitativa (0-3) mentre le lesioni di danno strutturale su una scala dicotomica (01). All’indagine ecografica è risultata la presenza di anomalie complessivamente in 23 pazienti (31,1 per cento), e l’effusione articolare si è rivelata l’alterazione più frequente (23/23). Anadando a vedere la distribuzione delle anomalie articolari rispetto al tipo di dieta dei pazienti, i dati sono davvero interessanti. Dei partecipanti, 38 bimbi seguivano una dieta completa di glutine e 36 una di tipo “gluten free”. Ebbene, le anomalie ecografiche sono risultate più frequenti nel gruppo che seguiva una dieta con glutine (50 per cento) rispetto a quanto osservato nel gruppo “gluten free” (11,1 per cento; p =0,007). Altro risultato di rilievo è che il 52,2 per cento dei bimbi con alterazioni articolari all’ecografia era asintomatico. Questo è il primo studio che dimostra mediante indagine ecografica un coinvolgimento delle articolazioni nei pazenti celiaci. La manifestazione più frequente è risultata l’effusione articolare, presente peraltro anche nei pazienti asintomatici e che migliora con una dieta priva di glutine. I risultati suggeriscono dunque che anche a livello delle articolazioni la risposta infiammatoria evidenziata dall’effusione articolare potrebbe essere scatenata dall’esposizione al glutine.

Reumatologia

Iagnocco A, Ceccarelli F, Mennini M et al. Clin Exp Rheumatol 2014; 32 (1): 137-42

Medico e Paziente

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letti per voi no un’età media al basale di 74 anni. Sono stati selezionati 602 eventi CV, di cui 459 rispondevano ad almeno una delle definizioni di outcome CV. Nessuna delle due supplementazioni correlava con una diminuzione del rischio CV o di uno degli outcome dello studio: rispetto all’endpoint primario per DHA+EPA, HR 0,95 (CI 95 0,78-1,17) e per luteina+zeaxantina HR 0,94 (CI 95 0,77-1,15), senza differenze tra i gruppi nell’incidenza di eventi avversi. L’aggiunta quotidiana di omega-3 e xantofille maculari a supplementi multivitaminici e minerali non sembra apporti vantaggi sul rischio CV, in una popolazione anziana affetta da DMS. Writing group for the AREDS2 Research Group. Jama Intern Med 2014; 174 (5): 763-71

Ca. pancreatico

L’analisi proteomica della mucina contenuta nelle cisti pancreatiche sospette di degenerazione carcinomatosa si dimostra superiore alle tecniche di routine nel predire la potenziale malignità della lesione o la sua trasformazione cancerosa, arrivando a un’accuratezza del 97,5 per cento £

Una nuova metodica messa a punto da ricercatori dell’Università di Göteborg, basata sull’analisi proteomica della mucina contenuta nelle lesioni cistiche pancreatiche (PCL) “sospette”, si dimostra superiore alle tecniche attualmente in uso per predire la poten-

ziale malignità e/o la trasformazione cancerosa delle PCL stesse. Tali tecniche sono la citologia da agoaspirato e la misurazione della concentrazione dell’antigene carcinoembrionario (CEA). Il problema, nel primo caso, è la frequente esiguità del campo di manovra

Aritmie cardiache

Una nuova APP (senza dispositivi aggiuntivi) registra l’irregolarità del polso nei pazienti con fibrillazione atriale £ Una nuova applicazione per iPhone 4S, sviluppata da ricercatori delle Università del Massachusetts e di Wonkwang, Corea del Sud, è in grado di distinguere il polso aritmico durante la fibrillazione atriale (FA) dal polso regolare in presenza di ritmo sinusale, secondo uno studio pubblicato su Heart Rhythm. Il paziente deve appoggiare il polpastrello del dito indice destro sulla videocamera dello smartphone per 2 minuti, mentre la app è in funzione. Semplicemente illuminando la punta del dito con la luce standard dell’iPhone 4S e registrando il segnale video (30 fotogrammi/sec) per 2 minuti, l’applicazione acquisisce l’attività del polso. La app combina la registrazione così ottenuta con l’analisi in tempo reale delle pulsazioni, condotta secondo due differenti metodi statistici: la radice della media delle differenze al quadrato (RMSSD) tra intervalli RR successivi, usata per quantificare la variabilità RR, e l’entropia di Shannon (ShE), che ne quantifica la complessità. L’attendibilità dei due metodi è stata valutata in uno studio prospettico su 76 adulti (età media 65 anni) con FA persistente, prima e dopo cardioversione (l’ECG a 12 derivazioni era il gold standard di riferimento). L’algoritmo che combina le due analisi statistiche ha dimostrato ottime sensibilità (0,962), specificità (0,975) e accuratezza (0,968) nel discriminare il polso irregolare durante FA da quello regolare ripristinato negli stessi pazienti dopo la cardioversione. Già numerosi studi precedenti avevano investigato la possibilità di impiegare uno smartphone con un simile obiettivo nei pazienti con fibrillazione atriale, tuttavia questa è la prima app che non richiede hardware aggiuntivo rispetto alla dotazione di un iPhone

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Medico e paziente

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4S e che non risulta fuorviata dal movimento o da artefatti sonori. I metodi tradizionali per individuare i soggetti con FA, come l’ECG eseguito ambulatorialmente o la registrazione Holter, possono essere inadeguati per la natura spesso parossistica e minimamente sintomatica dell’aritmia. Servono strumenti di monitoraggio in tempo reale, considerando che la FA si associa con un aumento della morbilità e una diminuzione della sopravvivenza. Il dispositivo ideale dovrebbe consentire una registrazione accurata dell’episodio aritmico, usando un metodo sensibile e specifico. Ma dovrebbe essere anche non costoso, immediatamente disponibile e facile da usare. Da qui l’interesse per una app che impiega la dotazione di uno smartphone standard. Ulteriori dati sono ora necessari per confermare la fattibilità di questo metodo di registrazione del polso anche fuori dal contesto ospedaliero dove è stato condotto lo studio, e nella popolazione più anziana e a rischio. Tra i possibili limiti della app finora emersi, gli Autori citano il fatto che nei soggetti con polpastrelli troppo grossi o troppo piccoli o callosi può essere difficile trans-illuminare la punta dell’indice in modo sufficiente da consentire l’analisi delle pulsazioni, e che l’esposizione a temperature estreme o ad ambienti molto illuminati potrebbe compromettere le prestazioni della app. Prossimi obiettivi: lo sviluppo di un algoritmo per analizzare uno spettro più ampio di aritmie cardiache, con una scelta maggiore di smartphone, in coorti di pazienti di varie etnie e nella vita reale. (p.p.) McManus DD, Lee J, Maitas O et al. Heart Rhythm 2013; 10: 315-9


per l’agoaspirazione, mentre il CEA, che ha sì un potere diagnostico del 79 per cento, fornisce un dato non correlato al grado della displasia. La necessità di trovare nuovi metodi è stata determinata dal fatto che le PCL sono divenute tra i più frequenti incidentalomi radiologici e, a parte quelli sierosi ritenuti benigni, molte cisti mucinose sono destinate a evolvere in Ca. pancreatico (si ritiene che la presenza di mucine aberranti fornisca protezione contro l’immunità antitumorale). Gli scienziati hanno studiato l’intero set peptidico-proteico della molecola presente nella lesione. Questa tecnica è stata scelta anche per risolvere il problema della sottostima delle misurazioni ottenute con altri metodi: l’elevata glicosilazione delle mucine, infatti, ne maschera la presenza agli anticorpi.

Basandosi su studi precedenti in cui risultava la presenza di mucina 6 (MUC6) in neoplasmi cistici sierosi (benigni) e di espressione aberrante di mucina 1 (MUC1) in adenocarcinomi duttali, il team ha formulato l’ipotesi che l’evidenza proteomica di fluido cistico contenente qualsiasi mucina tranne MUC6 discriminasse PCL potenzialmente maligne da lesioni intrinsecamente benigne, e che l’espressione di MUC1 fosse comunque indicativa di trasformazione maligna. Gli studiosi hanno analizzato pazienti sottoposti ad agoaspirazione endoscopica ecoguidata di lesioni cistiche, prevedendo due periodi di analisi: su una prima coorte sperimentale e su una seconda di validazione. Oltre alla citologia e alla misura del CEA di routine, i campioni sono stati sottoposti a tecniche

elettroforetiche, spettrografia di massa e identificazione dei peptidi. Il profilo proteomico della mucina si è dimostrato più accurato in modo statisticamente significativo (97,5 per cento) della citologia (71,4 per cento) e del CEA nel fluido cistico (78,0 per cento) nell’identificare 37 lesioni su 79 (46,8 per cento) con potenziale maligno. Il profilo ha predetto la trasformazione cancerosa in 16 lesioni su 29 di cui era disponibile l’istologia, con un’accuratezza dell’89,7 per cento. Questo valore ha superato notevolmente i risultati corrispondenti ottenuti con la citologia (51,7 per cento) e la misura del CEA (57,1 per cento). Jabbar KS, Verbeke C, Hyltander AG et al. Journal of National Cancer Institute, 2014; 106(2): djt439.

£

Umeclidinio (Umec) è un nuovo antagonista muscarinico a lunga durata d’azione (LAMA), che in singola somministrazione giornaliera è stato recentemente Dal confronto con tiotropio e approvato dall’EMA per il trattamento della BPCO. vilanterolo in monoterapia emerge L’associazione LAMA/LABA costituita da umeclidinio/ una maggiore efficacia sulla vilanterolo (Umec/VI) è attualmente in fase di revisione da parte delle autorità regolatorie europee. Un funzionalità polmonare della recentissimo studio si è proposto di valutare l’efficacia combinazione umeclidinio/vilanterolo e la sicurezza della doppia broncodilatazione Umec/VI rispetto alla monoterapia con tiotropio (TIO), Umec, VI in “once a day” nei pazienti con soggetti con BPCO da moderata a molto grave. Il lavoro malattia moderata e severa in realtà è basato sull’analisi di due studi multicentrici, randomizzati, double-dummy e a gruppi paralleli con controllo attivo, che sono stati condotti in pazienti fumatori o ex fumatori con storia confermata di malattia, e che sono stati randomizzati in rapporto 1:1:1:1 a ricevere Umec 125 mcg/VI 25mcg, Umec 62,5 mcg/VI 25 mcg, TIO 18 mcg e VI 25 mcg (studio 1) oppure Umec 125 mcg (studio 2). Tutti gli schemi di terapia erano once a day, per una durata di 24 settimane. TIO è stato somministrato con inalatore HandiHaler, mentre gli altri trattamenti attivi con inalatore a polvere secca ELLIPTA. Endpoint primario di efficacia era il FEV1 al giorno 169. Nello studio 1, 843 pazienti sono stati assegnati a TIO (208 pz.), VI (209 pz.), Umec 125/VI 25 (214 pz.) e Umec 62,5/VI (212 pz.), mentre nello studio 2 869 sono stati assegnati a TIO (215 pz.), Umec (222 pz.), Umec 125/VI 25 (215 pz.) e Umec 62,5/VI (217 pz.). Nei due studi sono stati osservati miglioramenti del FEV1 nei pazienti trattati con i due dosaggi diversi dell’associazione Umec/VI rispetto alla monoterapia con TIO (studio 1: Umec 125/ VI 25 0,088 l; p =0,0010; studio 1: Umec 62,5/VI 25 0,090 l; p =0,0006; studio 2: Umec 125/VI 25 0,074 l; p =0,0031; studio 2: Umec 62,5/VI 25 0,060 l; p =0,0182). La combinazione Umec/VI nei due dosaggi è risultata superiore sulla funzionalità respiratoria anche rispetto alla monoterapia con VI, ma non nei confronti della monoterapia Umec 125. Con tutti i regimi di terapia è stato riscontrato un miglioramento della dispnea e della qualità di vita. I maggiori effetti avversi, di intensità severa, sono state le riacutizzazioni della BPCO (<1-2 per cento per i diversi trattamenti nello studio 1, e <1-3 per cento nello studio 2). Gli Autori concludono che nei pazienti con BPCO da moderata a molto grave, la combinazione Umec/VI once a day apporta un migliore controllo della funzionalità polmonare rispetto a quanto osservato con la monoterapia a base di TIO o VI, e pertanto si delinea come un’opzione razionale di trattamento.

BPCO

Decramer M, Anzueto A, Kerwin E et al. Lancet Resp Med 2014; 2 (6): 472-86

Medico e Paziente

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nefrologia

IL RENE POLICISTICO AUTOSOMICO DOMINANTE Inquadramento clinico e cenni di terapia Noto con l’acronimo adpkd, il rene policistico autosomico dominante è una patologia ereditaria che si riscontra in circa 1/500-1.000 nuovi nati. È una condizione sistemica che oltre i reni colpisce l’apparato gastrointestinale e cardiovascolare

I

l rene policistico dell’adulto (Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease, ADPKD) è una malattia ereditaria autosomica dominante. Dal punto di vista genetico è condizione eterogenea: due geni, se mutati, sono responsabili della malattia. L’85 per cento delle famiglie ADPKD presenta una mutazione genetica nel gene PKD1 sul cromosoma 16; nel restante 15 per cento la mutazione risiede nel gene PKD2 sul cromosoma 4. L’ADPKD è la malattia genetica renale mendeliana più frequente. Stime recenti valutano che 1/500-1.000 nuovi nati ne sia affetto. Il quadro clinico è dominato dallo sviluppo di cisti renali, e si associa a manifestazioni extrarenali. L’ADPKD deve essere pertanto considerato una malattia sistemica. Sono documentabili cisti in altri organi, in particolare il fegato, alterazioni a carico dell’apparato gastroenterico (ernie ombelicali e inguinali) e anomalie

A cura di Claudia Izzi1,2, Francesco Scolari1 1. Divisione di Nefrologia e Dialisi del Presidio di Montichiari, Spedali Civili e Università di Brescia; 2. Centro di Diagnosi Prenatale, Dipartimento Ostetrico-Ginecologico, Spedali Civili di Brescia

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MEDICO E PAZIENTE

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cardiovascolari (aneurismi intracranici e anomalie valvolari cardiache). I pazienti con mutazioni in PKD2 hanno un fenotipo clinico meno severo dei pazienti con mutazioni in PKD1. In entrambi i casi la malattia tende a evolvere verso l’insufficienza renale terminale richiedente dialisi o trapianto renale (ESRD). In Europa, l’ADPKD è responsabile del 6-10 per cento dei casi di ESRD.

ESRD più precoce, in anticipo di circa 12 anni. La variabilità intrafamiliare sembra dipendere da geni modificatori (fattori genetici individuali diversi dal gene causale PKD1 o PKD2), e dalla frequenza con cui si verifica la mutazione somatica. La formazione delle cisti richiede due eventi successivi, secondo il modello “two hit hypothesis”: il primo evento mutazionale è di natura ereditaria, per cui tutte le cellule dell’affetto presentano un allele del gene PKD1/PKD2 mutato (mutazione germinale). Il secondo evento mutazionale avviene successivamente a livello somatico nelle cellule tubulari, altera la copia residua del gene PKD1/PKD2 e innesca il processo di cistogenesi. Pertanto, secondo la genetica classica, la malattia è autosomica dominante, ma a livello cellulare è attivo un meccanismo recessivo, attraverso un “second hit” che inattiva la copia funzionale del gene (Figura 1).

Patogenesi Basi genetiche L’ADPKD ha grande variabilità fenotipica inter/intrafamiliare, dovuta sia a fattori ambientali che genetici. Tre fattori genetici sono implicati: 1. mutazione germinale, 2. frequenza della mutazione somatica, 3. geni modificatori. Per quanto riguarda la mutazione germinale, i soggetti con mutazioni in PKD1 hanno un fenotipo più severo: l’età media all’ESRD è di 20 anni inferiore. L’eterogeneità allelica, cioè il tipo di mutazione, sembra avere un ruolo nella variabilità della malattia. Infatti, la sopravvivenza renale è diversa da famiglia a famiglia, ognuna delle quali ha una mutazione “privata”. Nel PKD1, le mutazioni troncanti sembrano associate a sviluppo di

I geni PKD1 e PKD2 codificano per le proteine policistina 1 e policistina 2 (PC1 e PC2) che formano un complesso multifunzionale che regola il segnale del calcio intracellulare; inoltre è essenziale per il mantenimento di un fenotipo differenziato di cellula epiteliale renale (Figura 2). Il complesso PC1-PC2 rappresenta un recettore il cui ligando non è ancora stato identificato. Le PC sono localizzate nel ciglio primario, organello localizzato sulle cellule epiteliali, proiettantesi nel lume tubulare. Il ciglio sembra avere un ruolo di chemosensore (in grado di cogliere cambiamenti chimici che avvengono nel lume tubulare), o di meccanosensore (in grado di percepire variazioni nel flusso


di urina all’interno del lume tubulare). È generalmente accettato che la perdita funzionale delle PC trasformi le cellule epiteliali tubulari in cellule scarsamente differenziate e iperproliferanti che danno luogo alle cisti renali. Inizialmente il lume delle cisti mantiene il collegamento con il nefrone di origine; nell’espandersi le cisti tendono a perdere tale connessione e la secrezione intracistica diviene il solo meccanismo responsabile dell’accumulo di liquido nelle cisti. Nella crescita delle cisti si associa l’iperplasia delle cellule epiteliali tubulari.

Figura 1

Ipotesi “two hits” (mutazione somatica che si aggiunge alla mutazione germinale) che sottende il meccanismo patogenetico di formazione delle cisti Modello “second Hit” di formazione delle cisti renali

fluid accumulation

mutazione germinale (a)

Diagnosi La diagnosi si basa sull’imaging renale. Segni tipici di malattia sono reni ingranditi di volume, con cisti multiple bilaterali. La metodica di imaging di uso comune, sia per bassi costi che per non invasività, è l’ecografia. In alcune condizioni specifiche è necessario eseguire TAC, RMN e test genetico per una diagnosi conclusiva. I principali criteri nella diagnosi di ADPKD sono: 1. la presenza o meno di familiarità per la malattia; 2. il numero e il tipo di cisti; 3. l’età del paziente. Nei soggetti con età <18 anni è raccomandato non eseguire lo screening ecografico e neppure il test genetico se non in presenza di sintomi correlati alla malattia. Non sono infatti dimostrati i benefici di una diagnosi precoce, in assenza di terapia efficace. Sono stati elaborati da tempo e recentemente rivisti i criteri di diagnosi ecografica, la

mutazione somatica mutazione pkd germinale

mutazione pkd germinale mutazione pkd somatica

cui performance è stata successivamente validata (Tabella 1).

Manifestazioni renali w Anomalie precoci della funzione renale Molti pazienti ADPKD presentano riduzione della capacità di concentrazione urinaria e dell’escrezione di ammonio. Il processo di sviluppo delle cisti interferisce con il meccanismo di scambio controcorrente e con il trapping dei soluti e dell’ammonio nella midollare renale.

Tabella 1

Criteri diagnostici ecografici Criteri ecografici unificati per la diagnosi di ADPKD in individui a rischio appartenenti a famiglie con genotipo sconosciuto Revisione dei criteri diagnostici secondo Ravine Sensibilità PKD1/PKD2

Specificità PKD1/PKD2

15-29 aa

≥ 3 cisti, unilaterali o bilaterali

81

100

30-39 aa

≥ 3 cisti, unilaterali o bilaterali

95,5

100

40-59 aa

≥ 2 cisti in ciascun rene

100

98

≥ 60 aa

≥ 4 cisti in ciascun rene

100

100

Fonte: Pei Y et al., 2009

(b)

(c)

(d)

formazione della cisti espansione clonale

w Ipertensione L’ipertensione accompagna l’ADPKD nel 50-70 per cento dei casi. L’età media alla comparsa è 30-34 anni; il 10-20 per cento dei soggetti pediatrici presenta valori di pressione >95 percentile. L’ipertensione è associata con volume renale, proteinuria e ipertrofia ventricolare sinistra. La patogenesi è multifattoriale. È stata invocata la contemporanea attivazione del sistema renina-angiotensina, del sistema nervoso simpatico, dell’endotelina; un ruolo sembra essere svolto dalla ritenzione sodica (specie in presenza di insufficienza renale) e, più recentemente dalla disfunzione endoteliale indotta dalla ridotta espressione delle PC. Le tre questioni centrali sono le seguenti: 1. Il controllo della PA determina un effetto renoprotettivo come documentato in altre nefropatie? 2. Gli ACEI hanno un ruolo specifico nell’ambito della terapia antipertensiva e della nefroprotezione? 3. Qual è il goal pressorio maggiormente renoprotettivo, quello standard (130/80 mmHg) o quello più rigoroso (< 120/80 mmHg)? Per quanto riguarda il primo punto, la comparsa di uno stato ipertensivo si associa a più rapida progressione della malattia renale associata ad ADPKD, e un efficace controllo ne rallenta la progressione. L’ipertensione

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nefrologia Figura 2

Ruolo delle policistine nella cellula epiteliale tubulare Ruolo delle policistine

policistina-1

riducono la crescita cellulare

policistina-2

inducono la formazione di tubuli invece di cisti riducono la morte cellulare

regolano l’assorbimento nel tubulo

cellula del tubulo renale

deve pertanto essere considerata un fattore di rischio renale (e cardiovascolare) modificabile. I dati relativi al ruolo degli ACEI sono da considerare non conclusivi per l’inadeguatezza degli studi. Tuttavia, in considerazione dell’esperienza maturata nelle altre nefropatie, gli ACEI sono da considerare farmaci di prima scelta. Per quanto riguarda infine il target pressorio, un valore <120/80 mmHg sembra raccomandabile nei pazienti con ipertensione arteriosa e ipertrofia ventricolare sinistra.

w Dolore renale Il dolore renale è comune in corso di ADPKD. La sintomatologia dolorosa può essere acuta o cronica. Il sintomo più comune è il dolore lombare, presente in >50 per cento dei casi. Il dolore può essere la prima manifestazione ed è più frequente nei soggetti che hanno reni >15 cm. In genere, un dolore a esordio acuto riflette una complicanza sovrapposta alla

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presenza di cisti renali. Le possibili eziologie sono comparsa di emorragia cistica, calcolosi, infezione delle cisti. Il dolore cronico, sordo, persistente è invece riconducibile a stiramento che si determina sulla capsula renale. Una compressione da parte delle cisti può verificarsi sulle strutture adiacenti determinando senso di ripienezza, inappetenza e anoressia per compressione sugli organi endoaddominali (inclusa la vena cava inferiore). Il dolore acuto ha carattere autolimitante. La maggioranza dei pazienti richiede analgesici: da preferire il paracetamolo, l’uso dei FANS va limitato ai pazienti senza insufficienza renale. Efficaci sono gli oppiacei. Un dolore refrattario ai farmaci può essere trattato chirurgicamente, con decompressione delle cisti. La prima scelta è il drenaggio percutaneo ecoguidato, cui può far seguito una sclerosi con etanolo al 95 per cento. Le complicanze, di solito minori, sono rappresentate da microe-

maturia e dolore in sede locale. Più serie (ma fortunatamente rare) complicanze sono pneumotorace, ematoma perirenale, fistola arterovenosa, comparsa di urinoma e infezione. In soggetti con molte cisti, si può procedere a fenestrazione chirurgica o laparoscopica. La natura invasiva della decompressione chirurgica ne limita l’uso a pazienti con dolore persistente invalidante o controllato solo da terapia con oppiacei. La nefrectomia è l’ultima risorsa, riservata a condizioni caratterizzate dal riscontro di cisti massive e numerose, in preparazione al trapianto, per infezioni ricorrenti o per creare spazio in sede pelvica, o in presenza di degenerazione neoplastica.

w Ematuria L’ematuria spesso macroscopica si manifesta nel 35-50 per cento dei casi e può essere il sintomo di presentazione della malattia. A volte è possibile identificare un evento precipitante, come uno sforzo fisico intenso. La rottura di una cisti nel sistema urinario è di solito la causa dell’ematuria. Anche un calcolo può essere responsabile di ematuria. Il sanguinamento di una cisti è evento frequente; tuttavia, di solito la modalità di presentazione è il dolore più che l’ematuria, perché la maggior parte delle cisti non comunica direttamente con il tratto urinario. L’ematuria secondaria a rottura delle cisti si risolve nel giro di pochi giorni con terapia conservativa (riposo a letto, analgesici, idratazione). Eccezionalmente il sanguinamento è più severo con formazione di ematoma subcapsulare o retroperitoneale. Se l’emorragia è persistente e severa, un’angiografia con embolizzazione o l’approccio chirurgico possono rendersi necessari.

w Nefrolitiasi La prevalenza di calcolosi renali nei pazienti con ADPKD è del 20 per cento. Diversamente dai soggetti non-ADPKD con calcolosi ricorrente, oltre la metà dei calcoli è composta da acido urico. Tra i fattori predisponenti lo sviluppo di calcoli da segnalare la stasi urinaria (secondaria all’anatomia renale distorta dalle cisti) e fattori metabolici (riduzione dell’escrezione di ammonio, basso pH urinario,


ipocitraturia). La diagnosi ecografica non è agevole per il frequente riscontro di calcificazioni della parete delle cisti. Indagine diagnostica elettiva è la TAC, in grado di documentare la presenza di piccoli calcoli anche radiotrasparenti. Il trattamento della nefrolitiasi specie se ostruente non è diverso rispetto a quanto viene proposto per individui non-ADPKD. L’impiego di citrato di potassio è la terapia di scelta nella litiasi da acido urico, da ossalato di calcio con associata ipocitraturia e con difetti di acidificazione distale. Il trattamento dei calcoli ostruenti è più difficile nel paziente ADPKD. La presenza di cisti di grosse dimensioni può rendere difficoltose sia la nefrotomia percutanea che con extracorporeal shock wave lithotripsy (ESWL).

Figura 3 A1: Quadro TC che mostra un sovvertimento strutturale parenchimale completo e bilaterale da parte di numerose formazioni cistiche. A2: a sinistra voluminoso rene policistico le cui dimensioni vengono confrontate con un rene normale B1: Quadro TC epatico che mostra numerose cisti epatiche. B2: immagine al tavolo operatorio di fegato policistico massivo

w Infezioni delle vie urinarie (IVU) e infezione delle cisti Il 30-50 per cento dei pazienti ADPKD sviluppa episodi infettivi urinari, in genere sono causate da E. coli. Le infezioni possono risalire e determinare pielonefrite e/o infezioni delle cisti. Raramente, l’infezione si può complicare con un ascesso perirenale. Distinguere fra pielonefrite e infezione delle cisti non è agevole. In genere, la presenza di cilindri leucocitari e di piuria è suggestiva di pielonefrite acuta; i pazienti con cisti infetta possono presentare un’area di tensione in sede renale, sedimento urinario non significativo e urinocoltura negativa, vista la non comunicazione fra tratto urinario e cisti. La principale diagnosi differenziale deve essere posta con una cisti emorragica. La TAC renale (o MR) e la TAC/PET possono essere di aiuto. I pazienti ADPKD con infezione renale devono essere trattati per via parenterale per 14-21 giorni. Se la risposta non è completa, è verosimile vi sia coinvolgimento delle cisti. Si deve pertanto modificare la terapia antibiotica, impiegando antimicrobici in grado di penetrare l’epitelio delle cisti renali, quali trimethoprim-sulfametoxazolo, chinolonici e cloramfenicolo. La durata ottimale della terapia è di 4-6 settimane. Raramente cisti infette possono non rispondere in modo adeguato. In questi casi deve essere valutato il drenaggio percutaneo/chirurgico della cisti, sempre indicato in presenza di

ascesso perirenale refrattario alla terapia antimicrobica. La nefrectomia chirurgica è riservata a casi di infezioni da microrganismi gas-forming e a pazienti con infezioni ricorrenti in previsione di trapianto renale, per minimizzare il rischio di infezione post-trapianto.

w Carcinoma renale ll carcinoma renale non si manifesta più frequentemente nei soggetti con ADPKD rispetto alla popolazione generale. La diagnosi di carcinoma è difficile, perché ematuria e dolore lombare sono frequenti, come il riscontro di cisti complicate alla TAC o alla RM.

w Insufficienza renale progressiva Il 50 per cento dei soggetti ADPKD sviluppa ESRD entro i 60 anni. Una volta instaurata, l’insufficienza renale procede con deterioramento annuo della velocità di filtrazione glomerulare (VFG) di 5 ml/ min. La probabilità di sviluppare ESRD è <2 per cento sotto i 40 anni; 20-25 per

cento a 50; 35-45 per cento a 60; 5075 per cento a 70-75 anni. Questi dati sono sono riferiti all’era pre-genotyping, quando ancora non si conoscevano le differenze fra PKD1 e PKD2. Numerosi fattori di rischio per lo sviluppo di ESRD sono stati identificati, tra cui giovane età alla diagnosi (< 30 anni), razza (gli AfroAmericani hanno forme più severe), sesso maschile (dati controversi), PKD1 versus PKD2, numero di episodi di macroematuria, sviluppo precoce di ipertensione, dimensioni dei reni. Recentemente, gli studi coordinati dal Consortium for Radiologic Imaging Studies of Polycystic kidney Disease (CRISP) hanno apportato definitivi elementi di conoscenza sulla progressione della malattia renale. In una coorte di 242 pazienti, volume dei reni e delle cisti e flusso plasmatico renale erano valutati mediante RM ed erano correlati con la VFG. Le misurazioni sequenziali di questi parametri nel corso di 3 anni hanno mostrato un aumento del volume dei reni del 5 per cento annuo. I pazienti con reni di

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nefrologia Figura 4

Classificazione delle manifestazioni extrarenali in corso di rene policistico autosomico dominante Manifestazioni extra-renali

Manifestazioni gastrointestinali

Manifestazioni cardiovascolari

1. Aneurismi intracranici 2. Anomalie valvole cardiache 3. Aneurismi aortici 4. Aneurismi coronarici 5. Ipertrofia ventricolare sinistra

1. Cisti epatiche 2. Cisti pancreatiche 3. Diverticoli del colon 4. Ernie inguinali 5. Colangiocarcinoma 6. Fibrosi epatica congenita 7. Dilatazione dotti biliari

Altre 1. Bronchiectasie

maggiori dimensioni in condizioni basali esibivano un maggior aumento di volume. Inoltre, era osservata una correlazione inversa fra VFG e crescita del volume renale. Un decremento significativo della VFG era documentato nei soggetti con volume renale >1.500 ml in condizioni basali (-4 ml/min/anno). Infine, i pazienti con PKD2 mostravano reni di dimensioni minori in condizioni basali e un più ridotto incremento in valore assoluto durante il follow-up.

Manifestazioni extrarenali Le manifestazioni extrarenali possono essere cistiche, con la comparsa di cisti in organi diversi dal rene. Anomalie di diversa natura sono state descritte in diversi organi/apparati, imputabili a difetto generalizzato della matrice extracellulare o ad alterata espressione dei geni PKD in cellule della muscolatura liscia arteriosa e dei miofibroblasti. Le PC sono espresse in numerosi tessuti (rene, fegato, intestino, polmone, pancreas, connettivo, miociti dei piccoli vasi) e questo spiega il coinvolgi-

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mento sistemico della malattia (Figure 3 e 4).

w Apparato gastrointestinale Le cisti epatiche. La presenza di cisti epatiche è la complicanza extrarenale più frequente. Le cisti eccezionalmente esitano in insufficienza epatica. Con RM, la prevalenza di cisti epatiche è la seguente: 58 per cento fra 15 e 24 anni; 85 per cento fra 25 e 34 anni; 94 per cento fra 35 e 46 anni. Il fenotipo cistico epatico, variabile, compare dopo quello renale. Le cisti compaiono in età più precoce e sono più voluminose nelle donne; il fenotipo cistico è più severo nelle donne con più gravidanze e/o che hanno fatto uso di estrogeni. Le cisti epatiche possono determinare sintomatologia acuta (dolore, legato a rottura o emorragia intracistica; dolore associato a febbre in presenza di infezione della cisti). Sintomi persistenti sono imputabili a un effetto massa derivante da un’azione compressiva delle cisti su organi addominali circostanti, sul diaframma, e nei casi severi sul sistema venoso e/o biliare. Di solito, le cisti epatiche sono asintomatiche/

paucisintomatiche. Se le cisti provocano dolore non responsivo alla terapia medica o importante compressione di organi può essere preso in considerazione un approccio interventistico (drenaggio percutaneo, seguito da sclerosi alcolica o fenestrazione per via laparoscopica). La resezione epatica parziale è riservata a pazienti con cisti plurime, massive e sintomatiche. Il trapianto di fegato e di fegato/rene è stato eseguito in pazienti con malattia molto grave e sintomatica. Cisti in altre sedi. Le cisti pancreatiche sono rinvenibili in una minoranza di casi. Circa il 40 per cento dei maschi presenta cisti a carico delle vescicole seminali. Cisti aracnoidee sono state documentate nell’8 per cento dei soggetti ADPKD. Diverticolosi del colon. Il riscontro di diverticolosi del colon sembra essere più frequente nei soggetti ADPKD con ESRD. Dal punto di vista clinico, l’evento più temibile è la perforazione del colon, il cui rischio aumenta dopo trapianto. Ernie addominali. La prevalenza di ernie della parete addominale sembra essere maggiore (45 per cento nei pazienti in trattamento dialitico dovuto ad ADPKD, contro l’8 per cento dei pazienti con malattia renale cronica da altre cause). Particolare attenzione deve essere posta nei pazienti che vengono avviati a dialisi peritoneale perché sono più a rischio di sviluppare ernie addominali in corso di trattamento.

w Apparato cardiovascolare Le manifestazioni cardiovascolari comprendono aneurismi cerebrali e anomalie valvolari cardiache. Aneurismi intracranici. Gli aneurismi cerebrali si verificano in circa il 10 per cento dei pazienti ADPKD (1 per cento nella popolazione generale). I pazienti con storia familiare positiva per aneurisma o emorragia subaracnoidea mostrano un rischio più elevato di presentare aneurismi (16 per cento) rispetto ai pazienti senza familiarità (6 per cento). La maggior parte degli aneurismi cerebrali sono di piccole dimensioni e asintomatici. Il rischio di rottura dipende da: 1. dimensioni dell’aneurisma; 2. pregressa rottura, che annulla il ruolo giocato dalle dimensioni dell’aneurisma;


3. localizzazione dell’aneurisma: gli aneurismi del circolo posteriore sono a maggiore rischio di rottura. Per gli aneurismi del circolo anteriore il rischio cumulativo di rottura a 5 anni, in assenza di precedente rottura, è rispettivamente dello 0, del 2,6, del 14,5 e del 40 per cento per aneurismi di diametro <7 mm, 7-12 mm, 13-24 mm e 25 mm. La metodica di screening di prima scelta è l’angioRMN (senza mdc); alternativa affidabile è l’angioTAC. Una buona pratica clinica dovrebbe riservare lo screening ai pazienti sintomatici, ai pazienti asintomatici con storia familiare positiva per aneurismi cerebrali e/o emorragia subaracnoidea, in previsione di interventi di chirurgia con elevato rischio di instabilità emodinamica e in presenza di mansioni lavorative a rischio elevato per la comunità (pilota di aereo?). L’indagine dovrebbe essere offerta a pazienti in cui l’incertezza della propria condizione clinica determini uno stato di ansia. Un approccio interventistico è generalmente indicato per aneurismi con diametro >10 mm. La gestione di aneurismi compresi fra 7-9 mm di diametro è oggetto di controversia. La scelta di avviare il paziente a radiologia interventistica o chirurgia tradizionale deve essere discussa fra neurochirurgo, neuro-radiologo e nefrologo. Anomalie valvolari. Si possono riscontrare anomalie valvolari nel 25-30 per cento dei casi. Il prolasso della valvola mitrale è l’anomalia più frequente. In genere queste lesioni decorrono in modo asintomatico. È utile eseguire uno studio ecocardiografico nei pazienti con ADPKD, specie in presenza di un soffio cardiaco. Aneurismi in altri distretti. Sono stati descritti casi di dilatazione dell’arco aortico e di dissezione dell’arco aortico in pazienti ADPKD. Sono stati segnalati casi aneddotici di aneurismi delle arterie coronariche. In letteratura è documentato un aumento di anomalie vascolari a carico degli arti superiori nei pazienti ADPKD, che potrebbe tradursi in maggior difficoltà nella creazione degli accessi vascolari.

Terapia La storia naturale della malattia renale in corso di ADPKD può essere suddivisa

in tre fasi successive, ciascuna delle quali suggerisce strategie terapeutiche: 1) alterazione genetica, cioè mutazione PKD1 o PKD2; 2) comparsa ed espansione delle cisti; 3) progressione del danno renale. Per quanto riguarda le strategie correttive dell’alterazione genetica, due possibili interventi sono ipotizzabili: la correzione dell’errore genetico e la riparazione del tessuto attraverso l’impiego di cellule staminali. Entrambi questi approcci non sono al momento praticabili. Più produttivo è il campo riguardante le strategie di rallentamento dei fenomeni di crescita delle cisti, alla cui base sta sia una proliferazione epiteliale non governata che una continua secrezione di fluidi. Tra le categorie di molecole finora studiate rientrano: 1. inibitori del mammalian Target of Rapamycin (mTOR), chinasi che ha un ruolo critico nella progressione del ciclo cellulare; 2. analoghi biologici della somatostatina; 3. antagonisti del recettore V2 della vasopressina. L’inibizione dell’attività di mTOR, che si può ottenere con un farmaco specifico, la rapamicina, si traduce in un effetto antiproliferativo, che potrebbe limitare la crescita delle cisti. Nell’uomo con ADPKD, tuttavia, l’impiego di rapamicina non ha dato i risultati sperati in due successivi studi. Somatostatina e inibitori del recettore V2 della vasopressina (Tolvaptan) provocano la riduzione di una molecola intracellulare, l’AMP ciclico (AMPc), che stimola sia la secrezione dei fluidi che la proliferazione cellulare. È stato ipotizzato che queste due molecole, diminuendo la produzione renale di AMPc, potessero rallentare la progressione dell’ADPKD. Gli studi nell’uomo con analoghi della somatostatina hanno dato risultati promettenti ma non conclusivi, essendo studi pilota, condotti su piccoli numeri. È invece terminato lo studio con Tolvaptan, che si è mostrato efficace nel rallentare l’aumento di volume dei reni e il peggioramento della funzione renale; tuttavia il farmaco era associato a un maggior numero di abbandoni dello studio a causa di eventi avversi e alla comparsa di

epatotossicità. Questi risultati non sono stati considerati sufficienti per approvare l’impiego del farmaco da parte dell’autorità regolatoria degli USA (FDA) che ha chiesto un’estensione e un consolidamento dei risultati. Il possibile impiego in Europa del Tolvaptan è in corso di valutazione da parte dell’EMA. Infine la terza strategia terapeutica riguarda l’impiego di farmaci in grado di ridurre la progressione del danno renale. Queste strategie impiegano farmaci non specifici per ADPKD, come gli inibitori del sistema renina-angiotensina, già indicati in tutte le condizioni di insufficienza renale cronica.

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neurologia

IL DOLORE NEUROPATICO Percorso diagnostico e indicazioni di terapia Il dolore neuropatico (DN) insorge come diretta conseguenza di una lesione o patologia che interessa le vie somatosensitive nel sistema nervoso centrale o periferico ed è presente in numerose patologie neurologiche (neuropatie periferiche, lesioni midollari, ictus, sclerosi multipla), nonché in comuni condizioni di non stretta pertinenza neurologica (radicolopatie, sindrome del tunnel carpale). Il DN interessa il 6-8 per cento della popolazione generale e può avere un rilevante impatto su qualità della vita, umore e sonno. Questo articolo si propone di fornire un aggiornamento su definizione, fisiopatologia, clinica, diagnosi e terapia del DN per superare le incertezze su questa condizione, a lungo considerata difficile da diagnosticare e trattare A cura di Francesca Magrinelli1,

Giampietro Zanette2, Stefano Tamburin1

1. Dipartimento di Scienze Neurologiche e del Movimento, Sezione di Neurologia, Università di Verona; 2. Sezione di Neurologia, Clinica Pederzoli, Peschiera del Garda (VR)

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I

l dolore neuropatico (DN) interessa il 6-8 per cento della popolazione generale con un elevato impatto su qualità della vita (QoL), sonno e umore e un rilevante carico di disabilità [1]. Sebbene il DN abbia una prevalenza simile a quella del diabete mellito e dell’asma bronchiale, esso è tuttora considerato una condizione oscura, difficile da diagnosticare e trattare, sia per il Medico di medicina generale (MMG), che per lo specialista in neurologia o terapia del dolore. La classica definizione di DN come dolore iniziato o causato da una lesione o disfunzione primaria del sistema nervoso [2] non specificava quali condizioni rientrassero sotto il vago termine di disfunzione e includeva pazienti con dolore da ipertono muscolare (es. spasticità, malattia di Parkinson), la cui fisiopatologia differisce da quella del DN. Per superare tali limitazioni, il DN è stato recentemente ridefinito come dolore che insorge quale diretta conseguenza di una lesione o patologia del sistema somatosensitivo [3]; tale ridefinizione distingue nettamente il DN dal dolore nocicettivo, condizione caratterizzata dalla presenza di uno stimolo lesivo o potenzialmente tale a livello di un tessuto, in presenza di una normale funzione del sistema somatosensitivo. Alcune condizioni tradizionalmente classificate come DN putativo (es. fibromialgia) non rientrano nel DN secondo questa nuova definizione [1]. Oltre a essere più specifica della precedente, la ridefinizione del DN è corredata di un algoritmo diagnostico simile a quello utilizzato in altre malattie neurologiche (es. malattia di Parkinson, sclerosi multipla). Il DN può essere suddiviso in centrale e periferico in base alla sede anatomica della lesione o patologia. Le principali cause periferiche di DN comprendono mononeuropatie compressive (es. sindrome del tunnel carpale, neuropatia ulnare


Figura 1

SIN TO MI

ES EG NI

PO SIT IVI

Aspetti clinici e terminologia del dolore neuropatico

SINTOMI Parestesia: anomala sensazione somatica che si manifesta in assenza di stimolo Anestesia dolorosa: dolore spontaneo in una regione corporea anestetizzata

SEGNI (DOLORE EVOCATO) Iperestesia tattile, termica, puntoria: aumentata sensibilità allo stimolo tattile, termico, puntorio Iperalgesia: aumentata sensibilità allo stimolo nocicettivo Allodinia: dolore in risposta ad uno stimolo che normalmente non provoca dolore (es. stimolo tattile) Sommazione temporale: aumento dell'intensità della sensazione dolorosa in risposta ad uno stimolo nocicettivo ripetuto nel tempo

DOLORE NEUROPATICO Dolore che insorge come diretta conseguenza di una lesione o di una patologia del sistema somatosensitivo Nelle sindromi da dolore neuropatico coesistono sintomi e segni negativi (espressione di perdita di funzione del sistema somatosensitivo) e sintomi e segni positivi (espressione di guadagno di funzione del sistema somatosensitivo)

TIV

I

SINTOMI

NI

NE

GA

Ipoalgesia: diminuzione della sensibilità dolorifica Analgesia: assenza di dolore in risposta allo stimolo nocicettivo

SIN

TO

MI

ES

EG

SEGNI Ipoestesia tattile, termica, puntoria: ridotta sensibilità allo stimolo tattile, termico, puntorio Ipopallestesia: ridotta sensibilità allo stimolo vibratorio

al gomito), traumatiche e post-chirurgiche, mononeuropatie dolorose su base diabetica, plessopatie, radicolopatie associate a spondilodiscoartrosi, nevralgia post-erpetica, nevralgia del trigemino e altre nevralgie del comparto cranico, polineuropatie dolorose (es. diabetica, alcolica, da chemioterapia, da HIV). Le principali cause centrali di DN sono patologie del midollo spinale, stroke e sclerosi multipla [1]. La fisiopatologia è caratterizzata da meccanismi di sensibilizzazione periferica, cioè alterazioni nell’eccitabilità del nervo periferico e del ganglio della radice dorsale, e di sensibilizzazione centrale, che include fenomeni di ipereccitabilità dei neuroni del midollo spinale e anomalie nei sistemi di controllo discendente del dolore e nella plasticità cerebrale [4].

CLINICA Il DN può essere descritto come bruciante, freddo, sordo, profondo, simile a una scossa elettrica, associato a parestesie o evocato dal contatto con la cute. Sebbene tali descrittori siano tradizionalmente considerati come specifici del DN, essi non hanno significato diagnostico, essendo spesso presenti in altri tipi di dolore [5]. Inoltre, alcuni pazienti hanno difficoltà nel riferire precisamente le caratteristiche del DN. La combinazione di segni e sintomi negativi (perdita di sensibilità) e positivi (dolore spontaneo ed evocato) suggerisce fortemente la presenza di DN (Figura 1), ma non è essa stessa specifica di tale condizione, potendosi riscontrare anche nel dolore nocicettivo [6]. Vari test di

screening (es. DN4, PainDETECT, StEP), composti da domande sulla qualità del dolore e da un esame obiettivo semplificato, sono stati proposti per una prima valutazione del paziente con sospetto DN [1]. Sebbene essi presentino sensibilità e specificità elevata se applicati in centri specializzati o in specifiche eziologie di DN, il loro valore predittivo in altri contesti (es. MMG, neurologo territoriale) non è mai stato indagato. Tali test di screening possono rappresentare una base per una più solida valutazione diagnostica, ma non dovrebbero sostituirla [7].

DIAGNOSI La ridefinizione del DN è accompagnata da un algoritmo [3], che comprende

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neurologia Figura 2

ALGORITMO DIAGNOSTICO DEL DOLORE NEUROPATICO QUESITO 1. Il dolore ha una distribuzione neuroanatomica plausibile?

NO

QUESITO 2. L’anamnesi suggerisce una lesione o patologia del sistema somatosensitivo?

X

NO

X

QUESITO 3. Sono presenti segni positivi o negativi limitati al territorio di innervazione della struttura nervosa lesionata?

Se la risposta ai quesiti 1 e/o 2 è NO DOLORE NEUROPATICO IMPROBABILE non procedere con i quesiti 3 e 4 ----------------------------------------------------Se la risposta ai quesiti 1 e 2 è SÌ DOLORE NEUROPATICO POSSIBILE: procedere con i quesiti 3 e 4 ----------------------------------------------------Se la risposta ai quesiti 1 e 2 è SÌ Ma ai quesiti 3 e 4 è NO DOLORE NEUROPATICO NON

NO

CONFERMATO ----------------------------------------------------Se la risposta ai quesiti 1, 2 e 3 è SÌ o ai quesiti 1, 2 e 4 è SÌ

QUESITO 4. La lesione o patologia responsabile del dolore è confermata da un test diagnostico?

quattro quesiti e definisce cinque livelli diagnostici (DN improbabile, possibile, probabile, definito e non confermato; Figura 2). I primi due quesiti (Il dolore ha una distribuzione neuroanatomica plausibile? L’anamnesi suggerisce una lesione o patologia del sistema somatosensitivo?) rientrano nell’anamnesi del paziente; se la risposta a entrambi è affermativa, il livello diagnostico è possibile. Il paziente può riportare la distribuzione del dolore mostrandola sul segmento corporeo affetto, oppure tracciandola su una schematica mappa corporea. Per distribuzione neuroanatomica plausibile si intende una distribuzione del dolore compatibile con una lesione a qualche livello del sistema nervoso periferico (SNP) (nervo, plesso, radice) o centrale (midollo spinale o encefalo). Laddove il clinico non abbia familiarità con la complessa anato-

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NO

DOLORE NEUROPATICO PROBABILE ----------------------------------------------------Se la risposta ai quesiti 1, 2, 3 e 4 è SÌ

mia del SNP, mappe dei territori sensitivi delle principali radici o tronchi nervosi periferici in versione tascabile o app per smartphone o tablet possono essere di ausilio nel definire se una distribuzione del dolore sia neuroanatomicamente plausibile oppure no. La frequente diffusione extraterritoriale del DN, fenomeno dovuto a meccanismi di sensibilizzazione spinale, può talora rendere difficile stabilire se un dolore presenti una distribuzione neuroanatomica plausibile [8]. Raccogliendo l’anamnesi, l’intensità del DN dovrebbe essere misurata mediante la scala analogica visiva, la scala numerica e la scala verbale (Figura 3). Tutte queste scale sono valide e la scelta tra esse può dipendere dalle preferenze del clinico o dalle caratteristiche del paziente (es. età, livello di istruzione). La scala di WongBaker è usata in età pediatrica, ma può

DOLORE NEUROPATICO DEFINITO

essere utile in alcuni pazienti adulti con bassa scolarità, disturbi del linguaggio o deterioramento cognitivo. Scale che misurano l’intensità di specifici descrittori del DN (es. scala NPSI) sono utilizzate prevalentemente a scopo di ricerca [9], ma possono essere utili nella valutazione di alcune caratteristiche del DN, come l’allodinia. Il terzo quesito (Sono presenti segni positivi o negativi limitati al territorio di innervazione della struttura nervosa lesionata?) viene affrontato durante l’esame obiettivo del paziente, con l’indagine della sensibilità tattile, vibratoria, termica, e puntoria, nonché la ricerca dell’eventuale allodinia meccanica [1]. La sensibilità dovrebbe essere indagata sia nella regione dove è presente il dolore sia in altri distretti corporei al fine di documentare se le alterazioni siano


specifiche dell’area dolorosa ed escludere condizioni di dolore diffuso come la fibromialgia. L’esame della forza e dei riflessi osteotendinei (ROT), seppure non specificatamente richiesto dall’algoritmo diagnostico, è di ausilio per confermare il danno di una specifica struttura nervosa oppure la presenza di segni subclinici (es. polineuropatia periferica). In caso di difficoltà o dubbi nell’esame del paziente (es. scarsa cooperazione, difficoltà linguistiche o cognitive, sospetto di disturbo psicogeno o simulazione del paziente), gli esami strumentali possono aiutare a rispondere al terzo quesito diagnostico, ma solitamente essi sono utilizzati nel quarto e ultimo quesito (La lesione o patologia responsabile del DN è confermata da un test diagnostico?). Le indagini neurofisiologiche per il SNP (elettroneurografia, elettromiografia) hanno un ruolo importante nella diagnosi del DN sia perché ampiamente disponibili sia perché la maggior parte dei pazienti presenta un’etiologia periferica del DN. Oltre a confermare un danno del SNP, esse offrono importanti informazioni sul processo patologico (danno mielinico o assonale, neuroaprassia o assonotmesi/neurotmesi), sul sito di lesione (radice, plesso, tronco nervoso), sull’entità del danno (denervazione parziale o completa, coinvolgimento sensitivo o sensitivo-motorio), anche subclinico, e sulla prognosi (presenza di segni di reinnervazione). Altri test neurofisiologici comprendono lo studio dei riflessi trigeminali, utilizzati nell’indagine del dolore cefalico, e i potenziali evocati somatosensoriali, che possono documentare una lesione delle vie somatosensitive centrali. Tutte le suddette indagini esplorano esclusivamente le fibre nervose mieliniche di grosso calibro Aß e le vie sensitive lemniscali, responsabili della sensibilità tattile e propriocettiva. Esse sono negative nelle patologie coinvolgenti solo le piccole fibre nervose Aδ δe C e le vie spinotalamiche responsabili della sensibilità termo-dolorifica, come nella comune neuropatia diabetica dolorosa limitata alle piccole fibre. Gli esami radiologici possono documentare una lesione responsabile del DN, ma sono spesso richiesti in modo ingiu-

stificato, come nel caso della lombalgia. Essi devono essere pertanto inquadrati nel contesto clinico, dato il frequente riscontro di reperti dubbi o di falsi positivi nella spondilodiscoartrosi cervicale o lombosacrale e di alterazioni aspecifiche a livello encefalico interpretate come segni di malattia demielinizzante, pur in assenza di una clinica a supporto di tale ipotesi. L’ecografia di nervo periferico è un esame di recente introduzione e, seppur eseguita solo in pochi centri specializzati, può fornire informazioni complementari alle indagini neurofisiologiche. La valutazione psicofisica o quantitative sensory testing (QST), e i potenziali evocati laser (LEP) sono esami disponibili in centri di secondo o terzo livello, che permettono di documentare il danno delle piccole fibre nervose Aδ δe C e delle vie spinotalamiche, senza specificarne la sede di lesione [10]. La biopsia di cute permette la misurazione della densità delle fibre Aδδ e C presenti negli strati più superficiali della cute, ma è una tecnica costosa e limitata a pochissimi centri. Test autonomici, microneurografia e RMN funzionale hanno valenza quasi esclusivamente di ricerca [10].

TRATTAMENTO I farmaci con dimostrata efficacia sul DN in studi clinici randomizzati controllati (RCT) sono antidepressivi triciclici (TCA) e inibitori del reuptake di serotonina e noradrenalina (SNRI), antiepilettici attivi sui canali del sodio (carbamazepina, lamotrigina) e del calcio (ligandi α2-δ), oppioidi, lidocaina e capsaicina per uso topico, cannabinoidi. Nonostante la disponibilità di numerosi farmaci e la disponibilità di recenti linee guida (LG) [11-14], il trattamento del DN è difficile, come dimostrato dal fatto che solo il 30-50 per cento dei pazienti raggiunge una soddisfacente risposta. I pazienti con DN richiedono spesso più farmaci, che in generale sono meno efficaci di quelli usati nel dolore nocicettivo. Ai pazienti con DN sono spesso prescritti farmaci senza efficacia provata per il DN oppure farmaci per il DN a dosaggio inadeguato e gli effetti collaterali causano di frequente sospensione della terapia [1].

Inoltre, gli RCT reclutano per lo più pazienti con DN diabetico e nevralgia posterpetica e le loro conclusioni potrebbero essere scarsamente applicabili ad altre condizioni di DN. Infine, aspetti come QoL, sonno, ansia e depressione sono indagati solo in studi più recenti, mentre negli studi più vecchi l’unico outcome è l’intensità del DN. Di conseguenza, le evidenze per farmaci indagati con RCT meno recenti (es. TCA) potrebbero essere meno robuste [11]. Le LG concordano nel classificare TCA, ligandi α2-δ, SNRI, carbamazepina (per la nevralgia del trigemino) e lidocaina topica (per il DN periferico localizzato) come di prima scelta, e tramadolo e oppioidi come di seconda scelta [11-14]. La scelta di uno specifico principio attivo deve tenere in considerazione la presenza di comorbidità o terapie concomitanti (Tabella 1). I dubbi su effetti collaterali, sicurezza a lungo termine, fenomeni di tolleranza e il rischio di abuso rendono gli oppioidi terapia di seconda scelta, tranne che nel DN oncologico, acuto o incidente, o quando è necessario un rapido sollievo dal dolore durante la titolazione di altri farmaci. I trattamenti di terza scelta comprendono inibitori selettivi della ricaptazione di serotonina, altri antidepressivi (bupropione, citalopram, paroxetina), antiepilettici (carbamazepina, oxcarbazepina, lamotrigina, fenitoina, topiramato, valproato), capsaicina topica ad alta concentrazione, cannabinoidi, mexiletina, memantina, destrometorfano, clonazepam, tossina botulinica di tipo A e immunoglobuline endovena [1]. La terapia di combinazione nel DN è stata indagata in pochi RCT, che hanno documentato maggiore efficacia di ligandi α2-δ +oppiodi, ligandi α2-δ +TCA e ligandi α2-δ +SNRI rispetto ai singoli farmaci. Il dolore misto (cioè la coesistenza di dolore nocicettivo e DN) è presente in molte condizioni, tra cui lombalgia, neuropatie e radicolopatie da intrappolamento e dolore oncologico. Non vi sono evidenze da RCT per il trattamento del dolore misto e in tale condizione è ragionevole utilizzare una combinazione di analgesici per il dolore nocicettivo e farmaci per il DN. Trattamenti invasivi come neurostimolazione, infusione intratecale

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neurologia Tabella 1

Principali farmaci usati nella terapia del DN Classe farmacologica

Posologia (A: dose di attacco, T: titolazione, M: dosaggio massimo)

Effetti collaterali

Vantaggi

Svantaggi, controindicazioni, interazioni e precauzioni d’uso

TCA1 Amitriptilina

Sedazione, sonnolenza, bocca secca, visione offuscata, stipsi, ritenzione urinaria, aumento ponderale, ipomania A: 10 mg prima di (gli effetti collaterali coricarsi, T: aumenta- sono ridotti partendo re di 10 mg ogni 3-5 da bassi dosaggi e con lenta titolazione). giorni, M: 100 mg.

Efficaci sulla depressione (necessari alti dosaggi) e sui disturbi del sonno.

Cardiopatie (il rischio di morte cardiaca improvvisa aumenta per dosaggi equivalenti di amitriptilina >100 mg/die), ipertrofia prostatica, glaucoma, convulsioni, rischio suicidario. L’uso concomitante di tramadolo o IMAO può aumentare il rischio di sindrome serotoninergica. Utilizzare bassi dosaggi e titolazione lenta nei pazienti anziani.

Gabapentin

A: 300 mg prima di coricarsi, T: aumentare di 300 mg ogni 2-3 giorni, M: 1.200 mg x3.

Vertigini, sonnolenza, sedazione, edema agli arti inferiori, aumento ponderale

Efficaci su ansia e disturbi del sonno, non presentano significative interazioni farmacocinetiche.

Pregabalin

A: 75 mg prima di coricarsi; T: aumentare di 75 mg ogni 2-3 giorni, M: 300 mg x2.

Insufficienza renale (modificare dosaggio iniziale e titolazione in base alla clearance della creatinina). Gabapentin può richiedere titolazione più lunga e l’assunzione di numerose compresse al giorno.

Nausea e vomito (ridotti con l’assunzione a stomaco pieno), vertigini, sedazione, agitazione, possibile sindrome di A: 37,5 mg, T: aumen- astinenza in caso di brutare a 75 mg dopo 1 sca sospensione. settimana, quindi di 37,5-75 mg ogni settimana, M: 225 mg.

Efficaci su depressione e ansia. Alcune linee guida [14] li indicano come prima scelta per il DN diabetico.

Insufficienza renale, insufficienza epatica, rischio suicidario. L’uso concomitante di tramadolo o IMAO può aumentare il rischio di sindrome serotoninergica.

Lidocaina topica (cerotto 5%)

A: 1-3 cerotti per 12 Effetti collaterali locali Può essere efficace ore/die, M: 3 cerotti (eritema, rash). sull’allodinia. Nessun per massimo 12 ore/ effetto sistemico. die.

Ipersensibilità agli anestetici locali. Non usare sulla cute infiammata o lesa o sulle mucose.

Tramadolo

A: 50 mg x1-2/die, T: Nausea, vomito, sedaaumentare di 50-100 zione, stipsi, sonnolenmg (in dosi separate) za, vertigini. ogni 3-7 giorni, M: 400 mg (100 mg x4), 300 mg nei pazienti anziani.

Nortriptilina

Desipramina

A: 6-10 mg prima di coricarsi, T: aumentare di 2-5 mg ogni 2-3 giorni, M: 75 mg.

Ligandi α2-δ

SNRI Duloxetina

Venlafaxina

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A: 30 mg (a stomaco pieno), T: portare a 60 mg dopo 1 settimana, M: 120 mg.

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Effetto rapido sul DN, Abuso di farmaci, rischio suiciefficace anche nel do- dario, convulsioni, depressione lore nocicettivo e mi- respiratoria. L’uso concomitansto. te di TCA, SNRI, SSRI o IMAO può aumentare il rischio di sindrome serotoninergica. Utilizzare titolazione più lenta nei pazienti anziani.


Classe farmacologica

Posologia (A: dose di attacco, T: titolazione, M: dosaggio massimo)

Svantaggi, controindicazioni, interazioni e precauzioni d’uso

Effetti collaterali

Vantaggi

Nausea, vomito, flushing e prurito (di solito di breve durata), sedazione, confusione, stipsi (può essere ridotta con le formulazioni di oppioidi orali +naloxone), sonnolenza, vertigini, ipogonadismo.

Effetto rapido sul DN, efficaci anche nel dolore nocicettivo e misto. Il tapentadolo ha anche un effetto NRI.

Abuso di farmaci, depressione respiratoria, rischio suicidario. Usare titolazione più lenta e dosaggi più bassi nei pazienti anziani e nella BPCO. Consultare un terapista del dolore per l’uso di dosaggi più alti. Le formulazioni a breve durata d’azione (lollipop o sublinguale) sono utili per il dolore episodico intenso. Gli oppioidi transdermici non rappresentano le formulazioni di prima scelta e dovrebbero essere prescritte solo nei pazienti che già utilizzano oppioidi. Per il tapentadolo, l’uso concomitante di TCA, SNRI, SSRI o IMAO può aumentare il rischio di sindrome serotoninergica.

Carbamazepina

A: 100 mg x3/die, Sonnolenza, SSJ, NET, Farmaco di prima scelta T: aumentare di 100 SIADH, anemia aplasti- nella NT. mg ogni 3-5 giorni, ca. M: 1.600 mg.

Il rischio di SSJ o di NET è maggiore nei pazienti asiatici portatori dell’allele HLA-B*1502. Monitorare emocromo con formula.

Oxcarbazepina

A: 300 mg, T: aumen- Sonnolenza, vertigini, Farmaco di prima scelta nella NT. tare di 600 mg ogni cefalea SIADH. settimana, M: 2.400 mg.

Meglio tollerata della carbamazepina. Usare minore dosaggio iniziale e titolazione più lenta nei pazienti anziani.

Lamotrigina

A: 25 mg, T: aumenta- Sonnolenza, disturbi vi- Farmaco di prima scelta La lenta titolazione riduce le re di 25 mg ogni 2 set- sivi, SSJ, NET, DRESS. nel CPSP. reazioni avverse. Il raggiungitimane, M: 400 mg. mento di una dose terapeutica efficace richiede molte settimane.

Oppioidi Morfina Ossicodone Idromorfone Buprenorfina Fentanyl Tapentadolo

A: 10 mg di morfina ogni 4 ore o al bisogno (dosi equianalgesiche per gli altri oppioidi2), T: dopo 1-2 settimane convertire il dosaggio totale2 a una dose equianalgesica di oppioide a lunga durata d’azione, eventualmente proseguendo gli oppioidi a breve durata d’azione al bisogno, M: non esiste dosaggio massimo (nel DN fino a 300 mg di morfina).

Antiepilettici

Note: DN, dolore neuropatico; TCA, antidepressivi triciclici; SNRI, inibitori del reuptake di serotonina e noradrenalina; SSJ, sindrome di Stevens-Johnson; NET, necrolisi epidermica tossica; SIADH, sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico; DRESS, reazione da farmaco con eosinofilia e sintomi sistemici; NRI, inibitore del reuptake della noradrenalina; NT, nevralgia del trigemino; CPSP, dolore centrale post-stroke; IMAO, inibitori delle monoamino ossidasi; SSRI, inibitori selettivi del reuptake di serotonina; BPCO, broncopneumopatia cronica ostruttiva; 1 . I dosaggi di TCA usati nel DN sono generalmente minori rispetto a quelli usati per ottenere un effetto antidepressivo. Dosaggi maggiori di quelli riportati nella tabella sono solitamente mal tollerati nei pazienti anziani, ma possono essere utilizzati in pazienti più giovani, monitorando effetti collaterali e alterazioni ECG. 2 . Le tabelle di equianalgesia degli oppioidi sono disponibili in format tascabile ed esistono calcolatori o convertitori scaricabili come app per dispositivi smartphone o tablet iPhone®, IPad® o Android™.

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neurologia Figura 3

Valutazione clinica del paziente con dolore neuropatico

SCALE DELL’INTENSITÀ DEL DOLORE

ESAME OBIETTIVO DEL DOLORE Sensibilità tattile ed allodinia meccanica. Si applica un tocco delicato sulla cute con un dito, un batuffolo di cotone o un pennellino. Si chiede al paziente di chiudere gli occhi e dire 'sì' quando viene toccato. Si confronta la sensazione in regioni differenti del corpo. In questo modo si indaga l’eventuale presenza di allodinia meccanica (sensazione dolorosa da stimolo tattile). Sensibilità termica. Si utilizza il manico del martelletto o il diapason, normalmente percepiti come freddi, ed il palmo della mano, normalmente percepito come caldo, per testare la sensibilità termica. Si chiede al paziente di chiudere gli occhi e riconoscere quando viene applicato uno stimolo caldo o freddo. Sensibilità puntoria. Si applicano stimoli con uno spillo alternati ad altri con una punta smussa. Si chiede al paziente di identificare se sente toccare o pungere ad occhi chiusi. Sensibilità vibratoria (pallestesia). Si posizione un diapason a 128 Hz su una prominenza ossea. Si chiede al paziente di riferire se sente la vibrazione e di segnalare quando essa termina. Sommazione temporale degli stimoli (wind-up). Si applica un singolo stimolo puntorio e poi una serie di 5-10 stimoli puntori. Si chiede al paziente di attribuire un punteggio NRS al singolo stimolo ed uno alla serie di stimoli. Il wind-up si misura come rapporto tra NRS della serie di stimoli ed NRS del singolo stimolo.

Note: VAS, scala analogica visiva; NRS, scala numerica. VRS, scala verbale; FPS, scala delle facce di Wong-Baker.

di oppioidi, anestetici locali, baclofene e ziconotide sono riservati a pazienti con DN refrattario. La stimolazione midollare è un’opzione nei casi di lombalgia refrattaria. I pazienti con DN ricevono spesso trattamenti non farmacologici, tra cui attività fisica, terapie fisiche (es. stimolazione nervosa elettrica transcutanea), terapia cognitivo-comportamentale o psicoterapia. Tali trattamenti presentano evidenze limitate, ma possono avere un ruolo nella gestione multidisciplinare di un problema clinico complesso quale il DN. I MMG svolgono un ruolo importante nel primo approccio terapeutico al DN e la valutazione specialistica andrebbe riservata ai casi non responsivi. I centri di secondo o terzo livello dovrebbero includere varie

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figure mediche e paramediche per offrire un trattamento multidisciplinare.

CONDIZIONI SPECIFICHE DI DN Presentiamo una breve rassegna di alcuni quadri di DN che mostrano aspetti diagnostici e terapeutici peculiari. Nevralgia del trigemino. La nevralgia del trigemino (NT) è caratterizzata da parossismi dolorosi unilaterali, simili a una scossa elettrica e di breve durata (secondi, minuti), che seguono la distribuzione di uno o più rami del V nervo cranico e possono essere scatenati da attività della vita quotidiana (lavare viso o denti, parlare, mangiare) e il contatto con zone trigger [15]. La NT classica comprende casi idiopatici o

con potenziale conflitto vascolare. La NT sintomatica è secondaria a patologie della fossa cranica posteriore e talora può essere bilaterale. Test neurofisiologici e RMN encefalo sono di ausilio nella diagnosi di NT. Carbamazepina e oxcarbazepina sono farmaci di prima scelta, mentre altri antiepilettici, come ligandi α2-δ , fenitoina e lamotrigina e baclofene sono di seconda scelta nella NT. Varie procedure invasive sono utilizzate nei casi refrattari. La NT va distinta dal dolore faciale idiopatico persistente (DFIP), che è presente per la maggior parte del giorno, inizia in modo focale per estendersi alla mascella o ad ampie aree del volto e del collo indipendentemente dai rami di distribuzione del trigemino ed è profondo e poco


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neurologia localizzato [15]. La fisiopatologia del DFIP non è chiara, ma spesso procedure odontoiatriche ne precedono l’insorgenza e le indagini radiologiche e neurofisiologiche sono sempre negative. Il DFIP può rispondere ai FANS, soprattutto all’indometacina e ai TCA. Lombalgia. Il dolore lombare ha una prevalenza del 70 per cento della popolazione e un impatto rilevante, soprattutto se cronico. Numerose strutture osteoarticolari del rachide sono responsabili di dolore nocicettivo, mentre ernie discali e stenosi del canale possono causare DN. Sebbene la lombalgia rappresenti un dolore misto nel 25-30 per cento dei casi, distinguere i pazienti con una componente di DN è difficile. L’irradiazione agli arti inferiori da coinvolgimento radicolare (L4: crurale, L5 e S1: sciatica) talora si confonde con un’irradiazione pseudoradicolare da dolore osteoarticolare riferito. I segni di Lasègue e Wassermann sono poco specifici per una compressione radicolare. Grande attenzione va posta alla ricerca di red flags (calo ponderale, febbre, dolore a riposo, di notte o persistente dopo 2 mesi di terapia, sintomi e segni sensitivi o motori agli arti inferiori o a carico della sella, disturbi sfinteriali, riduzione ROT), che suggeriscono un’etiologia neurologica o potenzialmente grave [16]. In presenza di red flags sono indicate indagini neuroradiologiche e/o neurofisiologiche, che sono invece inutili e non informative nella maggior parte dei casi di lombalgia. Dolore post-stroke. Circa metà dei pazienti presenta dolore dopo stroke, includendo sindromi dolorose preesistenti (3040 per cento), dolore alla spalla (30-40 per cento), dolore da spasticità (7-10 per cento), cefalea (5-10 per cento) e dolore centrale post-stroke (CPSP, 6-8 per cento) [17]. Solo il CPSP è un vero DN ed è solitamente secondario a uno stroke che coinvolge la via spino-talamica a livello di fossetta laterale del bulbo, talamo ventroposteriore e insula. Seppur esistano criteri diagnostici per il CPSP [17], la diagnosi di tale condizione è talora difficile e, oltre a un accurato esame della sensibilità e una RMN encefalo, può richiedere indagini non routinarie come QST e LEP.

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Il trattamento del CPSP è deludente, data la scarsa efficacia dei farmaci di prima scelta (TCA, ligandi α2-δ e lamotrigina). Altri farmaci (SNRI, oppioidi, lidocaina e propofol per via endovenosa), terapia cognitivo-comportamentale, neurostimolazione della corteccia motoria e stimolazione profonda del talamo e del grigio periacqueduttale possono avere un ruolo nei casi refrattari. Dolore nella sclerosi multipla. Circa il 60 per cento dei pazienti con sclerosi multipla (SM) riferisce DN (dolore alle estremità 12-28 per cento, fenomeno di Lhermitte 15 per cento, NT 2-5 per cento), dolore muscolo-scheletrico (dolore da spasticità <50 per cento, spasmi tonici dolorosi 6-11 per cento, lombalgia 10-16 per cento), cefalea (21-34 per cento) e dolore da neurite ottica (8 per cento) [18]. Il dolore alle estremità è continuo e bruciante, coinvolge gambe e piedi e peggiora di notte e durante l’attività fisica. Il fenomeno di Lhermitte è una sensazione di scossa elettrica che coinvolge collo, schiena e talora gli arti, durante la flessione del collo. Gli spasmi tonici dolorosi sono stereotipati e di breve durata (<2 minuti), possono comparire più volte al giorno ed essere innescati da movimenti, stimoli sensoriali o emozioni. Gli studi sulla terapia del dolore nella sclerosi multipla sono scarsi. Carbamazepina e oxcarbazepina sono i farmaci di prima scelta per la NT. TCA, ligandi α2-δ e lamotrigina, che sono efficaci in altri tipi di DN centrale, possono rappresentare la prima linea terapeutica nel DN della SM, seguiti da SNRI, tramadolo e oppioidi. Nonostante qualche RCT positivo, i cannabinoidi hanno importanti effetti collaterali (psicosi, rischio di dipendenza) e vanno usati con cautela nel DN e nella spasticità da sclerosi multipla. Tossina botulinica, baclofene, dantrolene, diazepam, e tizanidina possono ridurre la spasticità, ma il loro effetto sul dolore non è stato studiato.

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L’edizione italiana del DSM-5 I punti di forza (e quelli critici) del Manuale Il Manuale diagnostico e statistico per i disturbi mentali è da poco uscito anche nel nostro paese. presentiamo una sintesi dei punti più significativi, arricchita dal commento di alcuni autorevoli specialisti psichiatri

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on c’è stato DSM (Manuale Diagnostico e Statistico per i Disturbi Mentali) senza (aspro) dibattito. E senza svolte. La quinta edizione (tradotta in italiano e appena pubblicata da Raffaello Cortina) non fa eccezione. I motivi non sono marginali: arriva dopo più di trent’anni dal DSM-III, il primo a segnare un’autentica rivoluzione; si lascia alle spalle proprio quel sistema multiassiale, che aveva segnato il cambio di rotta del DSMIII; infine, quasi a sottolineare la novità, abbandona la tradizionale numerazione romana e diventa DSM-5. Per Franco Del Corno, membro del Comitato di revisione scientifica della versione italiana è un indubbio vantaggio: “Negli anni, il sistema multiassiale aveva portato a una sovrabbondanza di disturbi in comorbidità. Il DSM-5 non è più esclusivamente categoriale; introduce elementi dimensionali, lungo una progressione di disturbi che seguono l’evoluzione del soggetto dall’infanzia alla terza età. La struttura categoriale si è dimostrata sempre me-

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no coerente con la plasticità dei fenomeni mentali. In questo senso, il DSM-5 è più vicino alla clinica ed è più confrontabile con l’ICD-10 (International Classification of Diseases, in prossima uscita nella versione 11). Come in qualunque ambito, cercare un linguaggio che sia comprensibile e accessibile al maggior numero di operatori è fondamentale per migliorare i risultati. Quanto alle critiche, è importante distinguere fra i giusti rilievi che possono essere mossi al Manuale e un’opposizione che deve essere ricondotta a una sorta di pregiudizio antidiagnostico che tuttora caratterizza alcuni settori soprattutto della psicologia clinica. Il momento diagnostico è invece fondamentale per non mettere in atto trattamenti casuali. “C’è un dato epidemiologico indubbio” aggiunge Claudio Mencacci, del Dipartimento di Neuroscienze A.O. Fatebenefratelli-Oftalmico Milano, past president della Società italiana di Psichiatria. “Oggi i problemi di salute mentale rappresentano una sfida per il XXI secolo. In Europa, riguardano il 40 per cento della popolazione, in particolare i giovani: il 75 per cento dei disturbi mentali compare entro

i 24 anni. Significa che gli psichiatri si devono occupare anche di quei disturbi che rappresentano un continuum con la normalità, ma che, per intensità, gravità e conseguenze sul funzionamento sociorelazionale, sono da considerare patologici. Esiste una zona grigia, tra le forme conclamate di questi disturbi e il range di normalità, in cui solo la competenza e l’esperienza di un bravo clinico psichiatra, nonché sistemi diagnostici come il DSM5 o l’ICD, risultano più decisivi che in altre discipline mediche, per giungere alla definizione di una diagnosi differenziale. Questo non significa considerare il DSM-5 un testo sacro: ben lungi dal medicalizzare i problemi esistenziali, è invece opportuno invitare la psichiatria a svolgere una più ampia azione di prevenzione e tutela della salute mentale della popolazione”.

Le novità di questa edizione Dare una dimensione ai fenomeni che vengono osservati è uno dei vantaggi della nuova edizione del DSM. In questa direzione va la Sezione III, che raccoglie i test di valutazione dei sintomi, di definizione della gravità delle condizioni, di inquadramento del background domestico e delle prime fasi dello sviluppo e che comprende anche il WHO Disability Assessment Schedule 2.0 (WHODAS 2.0), diretto su sei aree: y comprensione e comunicazione, y capacità di orientamento, y autonomia nel prendersi cura di sé, y capacità di relazione con gli altri, y svolgimento delle attività quotidiane (scuola/lavoro), y attività sociali.


Franco Del Corno sottolinea inoltre l’utilità della Cultural Formulation Interview (CFI): “Non si può trascurare il ruolo che le tradizioni culturali e di costume hanno nel dialogo tra il clinico e l’assistito, come tra ogni medico e il suo paziente. L’etnopsichiatria è realtà: dobbiamo essere attrezzati”. Ecco il capitolo inedito (rispetto alle edizioni precedenti) a cui si apre il DSM-5: la relazione tra clinico e paziente, “ossia il tema dell’alleanza” precisa Del Corno. L’argomento, cruciale, è affrontato in un “Companion book” del DSM-5, “The pocket guide to the DSM-5 diagnostic exam”, curato da Abraham Nussbaum e prossimamente edito in italiano sempre da Raffaello Cortina. “Il corretto esame psichiatrico ha bisogno di una buona relazione con il paziente. L’approfondimento sulla necessità di considerare una buona relazione clinico-paziente come parte irrinunciabile dell’approccio diagnostico e terapeutico è il contributo più significativo che si possa offrire a tutti coloro che si occupano di psicopatologia” ribadisce Del Corno. Infine, “Da citare è anche la revisione globale dei disturbi di personalità, che compare nella Sezione dedicata ai nuovi modelli e strumenti di valutazione. L’impostazione proposta oggi risulta un po’ macchinosa, ma appare comunque un’evoluzione, che avvicina molto l’inquadramento alla clinica” aggiunge Del Corno. “È un’impostazione già oggetto di studi che ne sanciscono la validità; altri sono in corso, non solo per completarne la validazione, ma anche per stilare opportune istruzioni per l’uso”. Mencacci osserva: “Se manca un substrato fisico che possa giustificare tutte le modalità di espressione della patologia mentale, riemerge l’importanza delle condizioni culturali e antropologiche per definire le modalità di presentazione del disturbo. Si osservano anche differenze nella capacità di accettare lo stesso e di identificarlo come una condizione meritevole di cura. Ogni disturbo è spesso pluri-determinato; nella genesi, nel decorso hanno importanza fattori biologici, psicologici e sociali che intervengono contemporaneamente, o in successione, con variabile prevalenza eziologica”.

Amplia poi il suo commento, sottolineando che la diagnosi non può ancora contare sul tassello biologico (geni, marcatori ematici, imaging) e che questo implica la necessità di mantenere salda la comprensione dei meccanismi psicopatologici sottesi al disturbo: “Lo sviluppo delle neuroscienze, della genomica e del brain imaging ha approfondito l’interazione tra genetica e ambiente e arricchito le conoscenze epigenetiche. È proprio l’epigenetica a riconoscere una sostanziale influenza, sul benessere della mente, esercitata dall’ambiente e quindi dagli stili di vita e dalle scelte dell’individuo e/o della cultura in cui vive. È sempre l’epigenetica a consentire di prospettare migliori esiti dei trattamenti, attraverso interventi su diversi ambiti (farmacologi-

co, psicoterapico, somatico), con inedite modalità di integrazione. Manca però un test biologico, che corrobori la diagnosi. Siamo perciò in una fase di transizione e, con l’uscita del DSM-5, c’è grande interesse per lo sviluppo della nosografia; a maggior ragione non bisogna perdere di vista la centralità della comprensione dei meccanismi psicopatologici che stanno alla base dello sviluppo e del mantenimento dei disturbi, nella loro dimensione di complessità biologica e umana”.

Non mancano le critiche Tra i più accaniti critici del DSM-5 c’è Allen Frances, il coordinatore dell’edizione del DSM-IV. Il suo “Diagnosi in psichiatria – Ripensare il DSM-5”, di prossima uscita

DSM-III, negli anni Ottanta segnò la rivoluzione “Le edizioni del DSM hanno sempre segnato la direzione della disciplina psichiatrica per similitudine o contrasto” ricorda Claudio Mencacci. “Nel 1980, per esempio, il DSM-III (pubblicato dall’APA, American Psychiatric Association) ha reso di fatto irreversibile l’abbandono di un modello psicanalitico della malattia mentale che aveva dominato i precedenti 50 anni. Con il DSM-III è emersa una nuova psichiatria, basata su fondamenti scientifici e biologici, priva di concetti empiricamente ambigui come il complesso di Edipo, la sessualità repressa, il transfert, o la natura della produzione onirica. Paradigmatico di questo passaggio è stata la ridefinizione della categoria di nevrosi, a lungo considerato un inespugnabile baluardo della teoria freudiana e un termine cruciale nelle precedenti versioni: DSM-I (1952) e DSM-II (1968). Per Robert Spitzer, l’architetto più lucido di questo passaggio, il concetto di nevrosi andava “rotto” e i cocci andavano ricollocati in precise categorie come “anxiety disorders, mood disorders e dissociative disorders”. Tali disordini potevano essere basati su comportamenti empiricamente osservabili, piuttosto che su ipotetici e inconsci conflitti interiori “and were referred to as Axis I disorders (..) true illnesses that could be objectively identified with treatment plans that could be efficiently carried out and outcomes that could be recorded quickly and evaluated quantitatively“. Questo passaggio verso un modello di diagnosi osservabile tramite specifici comportamenti, è stato cementato nel 1994, con la pubblicazione del DSM-IV, che di fatto elimina il concetto di nevrosi”.

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psichiatria anche in Italia, sottolinea l’opportunità di giungere a una diagnosi, che deve però essere una “buona diagnosi”: “La sua critica si focalizza, ad esempio, sull’abbassamento delle soglie per disturbi come il “binge eating”, o il “cognitive impairment” dell’anziano. In realtà è l’introduzione dell’elemento dimensionale, con l’introduzione dello spettro di gravità, che finisce per abbassare le soglie di inclusione diagnostica. Questo ha indotto molti a temere la medicalizzazione di strati molto più ampi di popolazione. D’altra parte, questa

accusa era stata rivolta anche al DSM-IV, coordinato proprio da Allen Frances” precisa Del Corno. “Ma il rischio può essere senz’altro ridotto, nel momento in cui si fa, come deve essere, un uso ragionato del DSM-5. Si tratta pur sempre di uno strumento, certamente molto più flessibile rispetto alle edizioni precedenti, ma che va comunque usato con cognizione di causa, come del resto bisogna fare con le linee guida cliniche. Piuttosto, ritengo improprio aver accorpato l’abuso di sostanze con la tossicodipendenza, cioè

Il DSM-5 e lo spettro autistico “Ritengo molto positiva l’evoluzione del DSM-5 per quel che riguarda l’autismo: si precisa la necessità di una valutazione di gravità, secondo tre gradi, all’interno di una definizione comune di disturbo dello spettro autistico” commenta Paolo Manfredi, neuropsichiatra, responsabile medico della sede milanese del “Dosso Verde”, centro privato convenzionato. “Devo dire che da tempo noi ci riferiamo al disturbo dello spettro autistico, perché inquadra meglio anche i casi nella parte alta e meno grave, dove il comportamento sfuma nella bizzarria e sfiora la normalità e ci permette di far comprendere con più chiarezza ai genitori di che cosa stiamo parlando”. Dal punto di vista epidemiologico, il riferimento al DSM-5 per la diagnosi probabilmente ridimensionerà il dato di prevalenza dell’autismo, che si è impennato negli ultimi decenni: “Per la diagnosi di disturbo generalizzato dello sviluppo era necessaria la presenza di almeno uno di tre elementi: disturbi dell’interazione sociale, disturbi della comunicazione e aumento di interessi ristretti e ripetitivi” chiarisce Manfredi. “Con il DSM-5, i primi due criteri vengono accorpati. Inoltre, se al momento della valutazione, o nella storia clinica del soggetto, non si evidenziano interessi ristretti e ripetitivi, si esce dallo spettro autistico e la diagnosi è “disturbo della comunicazione sociale”. Nella pratica quotidiana, però, per noi non cambia nulla. L’intervento si imposta su quello che vediamo, non in base a un’eventuale etichetta”. Semmai, il problema si porrà dal punto di vista assistenziale: «Per ora, in Lombardia, dobbiamo porre diagnosi riferendoci all’ICD-9 (con il recepimento delle modifiche apportate dall’ICD-10, in attesa dell’uscita dell’ICD-11). Le indennità (accompagnamento, sostegno scolastico, frequenza) sono decise su questa base. L’introduzione del DSM-5 potrebbe in teoria far rivedere i criteri di assistenza, ma sono convinto che l’indicazione del livello di gravità richiesto sarebbe già indicativo del tipo di assistenza necessaria”.

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comportamenti occasionali con uno stato permanente. È invece una sorta di “leggenda metropolitana” l’accusa secondo cui il DSM-5 avrebbe uniformato disturbo depressivo e lutto: “È una critica priva di fondamento. Chi approfondirà il DSM-5 si renderà conto che sono presenti tutti gli elementi necessari a differenziare con accuratezza le due condizioni”.

Il manuale è utile anche per il MMG “The pocket guide to the DSM-5 diagnostic exam”, il “Companion book” al DSM-5, “sarà un riferimento fondamentale anche per chi, non essendo specialista, non ha tempo, modo, opportunità di fare propria l’opera intera. Penso in primo luogo al Medico di Medicina generale: il tema della relazione con il paziente dovrebbe essere il tessuto della professionalità di quello che molti chiamano appunto “medico di famiglia”. Inoltre, il generalista può affidarsi alla “pocket guide” per formulare un primo sospetto di diagnosi psichiatrica e decidere se è il caso e a chi riferire l’assistito”. Ma c’è un altro “Companion book” di prossima disponibilità in Italia (sempre edito da Raffaello Cortina), che Del Corno tiene a segnalare: “È il “Desk Reference”, quello che potremmo definire il “bigino” del DSM. È una tradizione di tutti i DSM e riduce all’osso anche il DSM-5, riportando i soli criteri diagnostici. Infine, non vanno trascurate le scale di valutazione che accompagnano il DSM-5 e che saranno presto on line anche nel nostro Paese (come è già negli Stati Uniti)” afferma Franco Del Corno. E conclude: “Avere strumenti agili e affidabili di questo tipo è un vantaggio per tutti. Ritengo che lo sarà anche di più nelle strutture pubbliche, dove il tempo è poco, le risorse umane e finanziarie risicate e la pressione dei pazienti tangibile. Tutto questo, naturalmente, se il DSM-5 e questi strumenti saranno messi al servizio di un ragionamento clinico che porti a una “buona diagnosi” e non saranno impiegati, come purtroppo è sempre possibile, per attribuire etichette irrispettose della soggettività del paziente e della sensibilità del clinico”.


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pratica clinica

il trattamento della lombalgia nell’ambulatorio del mmg Studio sull’aderenza alle linee guida da parte dei medici di base presentiamo i risultati di un’indagine condotta su un campione di medici di medicina generale nella provincia di bolzano, che evidenzia come quasi la metà dei partecipanti consideri poco (o per nulla) le indicazioni contenute nelle linee guida

P

oco più della metà dei Medici di medicina generale (MMG) segue le linee guida per la gestione ambulatoriale della lombalgia, mentre l’altra metà mostra un’adesione scarsa o nulla. È il risultato di uno studio condotto nella provincia di Bolzano su un campione di 25 MMG con almeno quattro anni di pratica, per un totale di 43mila assistiti e di 475 casi consecutivi di dolore in sede lombare curati in ambulatorio per almeno quattro settimane. Pubblicato su BMC Family Practice (1), lo studio osservazionale prospettico ha evidenziato tre principali deviazioni dalle linee guida (LG): il ricorso relativamente frequente alle indagini strumentali alla prima visita, la prescrizione preponderante di FANS e la somministrazione di tali farmaci, in una percentuale relativamente alta di pazienti, per iniezione intramuscolare, va oggi ritenuta obsoleta. Ampiamente sotto-

A cura di Piera Parpaglioni

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utilizzato invece il paracetamolo, ovvero il farmaco di prima linea secondo le raccomandazioni delle correnti LG (2-5). Per quanto riguarda il comportamento degli MMG, lo studio distingue coloro che in parte seguono le linee guida da coloro che non le seguono del tutto, e suggerisce che gli interventi correttivi potrebbero essere di due tipi: formativi nel primo caso e attitudinali nel secondo. Ripercorriamo in breve i dati salienti dell’indagine e le osservazioni svolte dagli Autori.

METODI E RISULTATI DELLO STUDIO Ai 114 MMG della provincia di Bolzano è stato chiesto di seguire attentamente e di documentare per almeno 4 settimane tutti i pazienti con dolore lombare che si fossero presentati consecutivamente in ambulatorio in un arco di tempo di 8 settimane (i soggetti nei quali le cause del dolore erano un tumore maligno o una frattura sono stati poi esclusi dallo

studio). Sono stati arruolati i primi 25 medici, con esperienza almeno quadriennale, che hanno risposto all’appello (campione ristretto per motivi di budget), per un totale di circa 43mila pazienti rappresentati. I MMG hanno ricevuto specifiche istruzioni in merito alla definizione del dolore nella zona lombare (Tabella 1) e un questionario per documentare i dati socio-demografici degli assistiti da includere nel trial, il tipo di dolore lombare e la sua gravità (autovalutazione del paziente su scala 1-10), le procedure diagnostiche, gli interventi terapeutici e l’invio a un secondo livello di cura. Per valutare in quale misura gli MMG risultassero aderenti alle due linee guida adottate a livello locale (4, 6), sono stati predisposti cinque indicatori di qualità e le rispettive percentuali dei pazienti che avrebbero dovuto ricevere il trattamento raccomandato (Tabella 2). Su un totale di 475 pazienti inclusi nello studio e monitorati per 4 settimane, il 55,8 per cento ha ricevuto una diagnosi di dolore lombare acuto, il 13,5 per cento di dolore lombare cronico, il 17,1 per cento di sciatica acuta e il 12,6 per cento di sciatica cronica. Il 76,0 per cento non ha effettuato indagini diagnostiche strumentali, mentre il 21,7 per cento è stato sottoposto a radiografia, il 5,5 per cento a RM e il 4 per cento a TC. Il 20,4 per cento dei pazienti è stato inviato a un secondo livello di cura: l’11,6 per cento a un ortopedico, il 6,5 per cento a un neurochirurgo e il 2,3 per cento a uno specialista in terapia fisica. Un numero


significativamente maggiore di pazienti con sciatica acuta (49,4 per cento) è stato inviato all’indagine strumentale o al consulto specialistico rispetto ai soggetti con lombalgia acuta (24,2 per cento, p <0,05). Solo il 6,7 per cento dei pazienti non ha ricevuto alcuna prescrizione di farmaci nell’arco di tempo considerato. Fra tutti gli altri, l’88,3 per cento ha ricevuto un FANS, il 6,3 per cento paracetamolo, il 10,4 per cento paracetamolo più codeina, il 9 per cento un rilassante muscolare, il 5,2 per cento un corticosteroide e il 2,9 per cento tramadolo (la Tabella 3 mostra i dati delle prescrizioni per lombalgia acuta e sciatalgia acuta). Tra i pazienti a cui è stato prescritto un FANS alla prima visita, nel 26,5 per cento la somministrazione era intramuscolare, e la probabilità che fosse adottata questa via era maggiore per la lombalgia cronica rispetto alla sintomatologia acuta (p <0,05). Solo il 17,1 per cento dei soggetti ha ricevuto la prescrizione di una fisioterapia: nei due terzi si trattava di massaggi e in misura significativamente minore di esercizi specifici.

LA QUALITÀ DELLE CURE Tra i 25 MMG partecipanti all’indagine, tre hanno mancato tutti e cinque gli indicatori di qualità e otto medici ne hanno soddisfatto solo uno su cinque. Questo gruppo di 11 è stato definito come non

Tabella 1

Definizioni del dolore nella zona lombare adottate nello studio Lombalgia: dolore alla schiena compreso tra l’arcata costale inferiore e la muscolatura glutea che non sia causato da altre condizioni secondarie (herpes zoster, colica renale ecc.) Lombalgia acuta: dolore che dura da meno di 12 settimane, o che ricorre dopo un intervallo libero di almeno 6 mesi Lombalgia cronica (o ricorrente): dolore che dura per 12 o più settimane, o che ricorre in un arco di tempo inferiore a 6 mesi Dolore lombare: assenza di deficit neurologici (senso-motori). Il dolore non si irradia al di sotto del ginocchio e non è limitato a un dermatomero specifico Sciatica: dolore legato a uno specifico dermatomero, che si irradia al di sotto del ginocchio; spesso più intenso di quello nella regione lombare; dolore accompagnato da formicolii e intorpidimento; occasionale debolezza muscolare; riflessi ridotti Lombalgia complicata (segnali di allarme): deficit senso-motori; dolore legato a tumore, metastasi, frattura o infezione Fonte: Piccoliori G, Engl A et al. BMC Family Practice 2013; 14: 148

aderente alla linee guida. I due medici che avevano soddisfatto tutti e cinque gli indicatori sono stati definiti pienamente aderenti, e i 12 MMG che avevano centrato tre indicatori (n=4) o due (n=8) su cinque erano indicati come aderenti intermedi. Si evince dall’indagine alto-atesina che poco più della metà dei Medici di medicina generale partecipanti seguiva le linee guida locali per la lombalgia, e quasi l’altra

Tabella 2

Gli indicatori di qualità impiegati nello studio 1

Per la lombalgia acuta, non più del 10 per cento dei pazienti dovrebbe ricevere la prescrizione di un’indagine radiografica durante la prima visita

2

Per la sciatica acuta, non più del 10 per cento dei pazienti dovrebbe ricevere la prescrizione di un’indagine radiografica, TC e/o RM durante la prima visita

3

Per la lombalgia o la sciatica, non più del 10 per cento dei pazienti dovrebbe essere inviato a uno specialista ortopedico o neurochirurgo durante la prima visita

4

Per la lombalgia o la sciatica, non più del 5 per cento dei pazienti dovrebbe ricevere la prescrizione di un FANS per via intramuscolare

5

Per la lombalgia o la sciatica, non meno del 30 per cento dei pazienti dovrebbe ricevere la prescrizione di paracetamolo da solo o in combinazione

Fonte: Piccoliori G, Engl A et al. BMC Family Practice 2013; 14: 148

metà vi si atteneva poco o per niente. Si notano in primo luogo i dati sul ricorso all’imaging diagnostico alla prima visita: il 14,3 per cento dei pazienti con lombalgia acuta e il 16,7 per cento di quelli con sciatica acuta sono stati inviati all’esame radiografico, TC e RM sono stati richiesti rispettivamente nel 7,9 per cento e nel 6,1 per cento dei casi di sciatica acuta, non in linea con le indicazioni delle LG (Tabella 2). Altra principale criticità è rappresentata dal fatto che solo pochi MMG prescrivevano paracetamolo alla prima visita. Al contrario, tre quarti dei pazienti hanno ricevuto un FANS, e la maggior parte dei soggetti con dolore di grado elevato lo ha assunto per via intramuscolare, non raccomandata nelle LG. Gli Autori osservano che: il paracetamolo è considerato in Italia dalla maggior parte delle persone un farmaco per la febbre e con maggiore difficoltà è impiegato come antidolorofico per condizioni quali la lombalgia; i medici confidano su un presunto effetto placebo delle iniezioni e per questo adottano ancora una modalità di trattamento obsoleta. La percentuale relativamente alta di prescrizione di FANS intramuscolari risulta unica rispetto a trial simili

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pratica clinica identificati dagli Autori (7, 8). Anche altri studi mostrano invece basse percentuali di prescrizione sia del paracetamolo e sia della fisioterapia. I ricercatori sottolineano che la scarsa adesione alle linee guida potrebbe riflettere un generale scetticismo da parte degli MMG nei confronti di questi documenti, in particolare per affezioni come la lombalgia nelle quali si ritiene necessario o si preferisce un approccio più individualizzato. Un esempio contrario viene da uno studio svolto nella medesima area geografica, relativo al trattamento dello scompenso cardiaco cronico in Medicina generale, in cui si riporta un’adesione elevata alle linee guida da parte dei medici di famiglia (9). Queste discrepanze mettono in luce un fattore culturale: la percezione della lombalgia come condizione psicosomatica o fortemente influenzata da fattori psicosociali, che nel contempo mette sotto pressione il medico per un intervento efficace in tempi brevi, anche sotto forma di indagini diagnostiche. L’approccio razionale proposto dalle LG, secondo gli Autori, potrebbe non essere sufficiente per correggere il comportamento riscontrato. Si dovrebbe agire anche sugli aspetti emozionali della relazione medico-paziente (affrontare il naturale stato di ansia del paziente, informarlo della natura benigna della sua condizione).

Tabella 3

Il trattamento farmacologico nei pazienti con dolore lombare acuto Farmaco

Lombalgia acuta (N = 265)

Sciatica acuta (N = 81)

p

Nessuno

4,9%

6,2%

0,65

Paracetamolo

5,7%

9,9%

0,18

Paracetamolo + codeina

8,7%

8,6%

1

FANS

85,3%

90,1%

0,26

Tramadolo

1,1%

7,4%

<0,05

Miorilassante

6,8%

17,3%

<0,05

Benzodiazepina

2,6%

1,2%

0,46

Corticosteroide

3,4%

9,9%

<0,05

Gabapentin

0,4%

3,7%

<0,05

Note: N totale = 346; dati relativi a tutte le consultazioni, non solo alla prima visita; ammesso più di un farmaco per paziente Fonte: Piccoliori G, Engl A et al. BMC Family Practice 2013; 14: 148.

dei medici di famiglia nei confronti delle LG, alle quali viene preferito un approccio più individualizzato. Possibili interventi correttivi dovrebbero riguardare anche l’aspetto emozionale della relazione medico-paziente.

BIBLIOGRAFIA IN CONCLUSIONE Lo studio osservazionale effettuato su un campione di 25 Medici di medicina generale della provincia di Bolzano ha riscontrato che poco più della metà dei medici seguiva le linee guida per il trattamento della lombosciatalgia, mentre i restanti mostravano un’adesione scarsa o assente. Il rischio associato a questo comportamento era di over-diagnosis, con il ricorso a indagini strumentali non necessarie, e di over-treatment con FANS, anche per iniezione intramuscolare, modalità non indicata nelle LG. Sotto-utilizzato invece il paracetamolo, ovvero la prima linea di trattamento in base alle raccomandazioni correnti. Secondo gli Autori, i dati raccolti possono rispecchiare un certo scetticismo da parte

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1) Piccoliori G, Engl A, Gatterer D, Sessa E, in der Shmitten J. Management of low back pain in general practice - is it of acceptable quality: an observational study among 25 general practices in South Tyrol (Italy). BMC Family Practice 2013; 14: 148. 2) European Commission Research Directorate General. European guidelines for the management of acute nonspecific low back pain in primary care 2004. http://www. backpaineurope.org/web/html/wg1_results.html (ultimo accesso 01/04/2014). 3) Chou R, Qaseem A, Snow V et al. Diagnosis and treatment of low back pain: a joint clinical practice guideline from the American College of Physicians and the American. Pain Society. Ann Intern Med 2007; 147: 478-91. 4) Giovannoni A, Minozzi S, Negrini S.

Percorsi diagnostico terapeutici per l’assistenza ai pazienti con mal di schiena. Pacini Editore. Pisa, 2006. 5) Sprouse R. Treatment: current treatment recommendations for acute and chronic undifferentiated low back pain. Prim Care 2012; 39: 481-6. 6) Deutsche Gesellschaft für Allgemeinmedizin und Familienmedizin (DEGAM): Leitlinie Kreuzschmerzen (Guideline: Low Back Pain). Duesseldorf: Omikron publishing, 2003. 7) Sieben JM, Vlaeyen JW, Postegijs PJ, Warmenhoven FC, Sint AG, Dautzenberg N et al. General practitioners orientation toward low back pain: Influence on treatment behaviour and patient outcome. Europ J Pain 2009; 13: 412-8. 8) Williams CM, Maher CG, Hancock MJ, McAuley JH, McLachlan AJ, Britt H et al. Low back pain and best practice care. Arch Intern Med 2010; 170: 271-7. 9) Piccoliori G, Abholz H-H, Engl A et al. Treatment of patients with chronic heart failure in Family medicine- A study with 693 consecutively enrolled patients in South-Tyrol, Northerrn Italy. Zeitschr Allg Med 2012; 88: 100-7.


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C O NGRESSI XIX Congresso EHA, 12-15 giugno 2014, Milano

Up to date sulle malattie onco-ematologiche Nuovi traguardi nella terapia delle leucemie

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opo 12 anni il congresso dell’European Hematology Association ritorna in Italia, a Milano nella spendida sede rinnovata del centro congressi MiCo. Oltre 10mila partecipanti hanno affollato le sale per seguire le 40 sessioni orali e la presentazione di più di 200 abstract. Rispetto alle precedenti, questa edizione si contraddistinge per alcune novità tra le quali possiamo citare, una sessione di Late Breaking Abstract e due nuovi simposi congiunti, uno con la Chinese Society of Hematology (dedicato al tema dei trapianti di cellule staminali) e uno con la Russian Onco-Hematology Society e la Russian Hematology Society (dedicato al linfoma di Hodgkin). Come ogni anno, l’appuntamento con l’ematologia europea è particolarmente atteso, perché teatro di importanti aggiornamenti e novità. Di seguito presentiamo una selezione dei temi di maggiore interesse.

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“Un risultato eccezionale”. Così il prof. Brunangelo Falini, dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, ha commentato i risultati ottenuti nell’ambito di uno studio da lui coordinato che apre nuove e decisive prospettive per tutti i pazienti affetti da leucemia a cellule cappellute, e che ha testato l’impiego di vemurafenib (inibitore specifico del gene Braf mutato) in soggetti che non rispondevano più alla chemioterapia tradizionale. Il lavoro è stato selezionato tra gli oltre mille abstract pervenuti, ed è stato presentato alla sessione plenaria del Congresso. Il razionale si basa sulla scoperta, nel 2011, che questa particolare forma di leucemia è causata dalla mutazione del gene Braf (lo stesso che è mutato nel melanoma) gettando così le basi per valutare l’azione della molecola. Lo studio è stato condotto su 28 pazienti con leucemia a cellule capellute non responder alla chemio classica. Più del 90 per cento dei pazienti ha dimostrato una risposta clinica significativa al vemurafenib e in più di un terzo di essi (35 per cento) si è ottenuta una remissione completa. Un risultato più che meritevole, se si considera il fatto che la maggior parte dei pazienti aveva in precedenza ricevuto diverse linee di terapia, senza alcun risultato evidente. Ora, il prossimo passo è valutare la durata della remissione ottenuta: al momento, dopo 18 mesi nei pazienti non è stato necessario un ulteriore trattamento. E naturalmente disegnare studi in una popolazione più ampia. Il trattamento con vemurafe-

nib non comporta tossicità midollare e quindi può essere impiegato in pazienti con midollo poco funzionale a causa di precedenti chemioterapie; inoltre, si associa a una risposta terapeutica rapida, osservabile nel giro di 2-4 mesi, ed è un farmaco che può essere assunto per os, sotto forma di compresse. Sempre nell’ambito delle leucemie, segnaliamo i risultati ottenuti con ibrutinib nei pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (LLC) recidivata o refrattaria e/o leucemia linfocitica a piccole cellule, non eleggibili per la terapia con analoghi delle purine e che avevano ricevuto almeno un trattamento precedente per la malattia. La leucemia linfatica cronica è la forma di leucemia più diffusa, in cui i linfociti B CD5+ si espandono e si accumulano in varie parti del corpo, tra cui il sangue, i linfonodi e il midollo osseo. L’Ente regolatorio USA qualche mese fa ha approvato, con una procedura accelerata, ibrutinib come terapia ad agente singolo per il trattamento dei pazienti con LLC pretrattati con almeno una terapia. Ibrutinib è somministrato per via orale, una volta al giorno, ed è un inibitore della tirosin-chinasi di Bruton (BTK), una proteina cruciale per la crescita e la differenziazione delle cellule B ed è ritenuta coinvolta in diverse neoplasie ematologiche. Lo studio RESONATE internazionale multicentrico, di fase 3 e randomizzato ha messo a confronto la monoterapia quotidiana con ibrutinib e la terapia con ofatumumab, un anticorpo antiCD20, in 391 pazienti. Dopo una mediana di 9,4 mesi era osservabile una significativa superiorità di ibrutinib sulla


CONGRESSI sopravvivenza libera da progressione e sulla sopravvivenza complessiva (HR 0,43, P =0,005). Risultati che secondo gli Autori confemano la molecola come “singolo agente innovativo” per la terapia in questa difficile classe di pazienti. Un interessante lavoro turco ha valutato il profilo di efficacia e tollerabilità di un generico di imatinib rispetto al farmaco “branded” (Glivec) in pazienti affetti da leucemia mieloide cronica. Lo studio prevedeva due gruppi, uno trattato con Glivec (36 pazienti) e uno con imatinib generico (26 pazienti), sovrapponibili per età, sesso, profilo di rischio. In estrema sintesi il lavoro ha dimostrato la non inferiorità del generico rispetto all’originatore sotto il profilo di efficacia e tollerabilità. Un risultato che varrebbe la pena di essere approfondito in studi più ampi, soprattutto in una prospettiva di sostenibilità economica. Gli Autori sottolineano infatti, come dall’impiego di imatinib generico potrebbe derivare un risparmio per il sistema sanitario turco di 12mila euro per 10mila pazienti con leucemia mieloide cronica in fase cronica, per anno (che equivale praticamente a un risparmio di circa 30mila euro al giorno). Naturalmente si tratta di un primo passo, e i risultati di efficacia e sicurezza dovrebbero essere approfonditi in futuro.

I progressi nel mieloma multiplo Questa forma di tumore corrisponde al 10 per cento delle neoplasie ematologiche, contando circa 45mila nuovi casi/anno in USA e in Europa. La diagnosi prevalentemente interessa la popolazione anziana, essendo colpiti in maggioranza i soggetti nella fascia di età tra 65 e 70 anni. Al meeting ampio spazio è stato dedicato alle prospettive diagnostiche e di monitoraggio offerte dalle nuove tecnologie. L’analisi del profilo di espressione genica che potrebbe stratificare sottogruppi molecolari di pazienti con prognosi diversa e la metodica del sequenziamento del DNA

“high throughput” per l’individuazione di nuove lesioni, affiancate all’immunofenotipizzazione allargherebbero gli orizzonti verso l’identificazione di quello che viene chiamato “minimal residual disease”, ovvero un piccolo gruppo di cellule cancerose che sopravvivono alla terapia e sono responsabili delle recidive di malattia, ma anche verso strategie terapeutiche personalizzate. In parallelo, le tecniche di imaging (RMN, PET, TC) si stanno rivelando utili per individuare precocemente le lesioni ossee, ancora prima che si manifestino i sintomi, quali dolore e/o fratture. Sul fronte della terapia, da quando sono state introdotte le nuove molecole la sopravvivenza nei pazienti anziani è praticamente raddoppiata, passando da 30 a 60 mesi. In particolare i migliori risultati sono stati ottenuti aggiungendo alla chemioterapia classica con melfalan e prednisone, la talidomide (immunomodulatore) o il bortezomib (inibitore del proteasoma). È anche probabile che il relativamente poco tossico schema di terapia orale con lenalidomide in associazione con basse dosi di dexametasone possa a breve diventare lo “standard of care”. Un altro fronte di sperimentazione su cui si sta concentrando la ricerca attuale è l’aggiunta di anticorpi monoclonali diretti contro le plasmacellule maligne oppure la terapia con inibitori delle acetilasi istoniche, mentre nei pazienti più giovani si stanno testando approcci più aggressivi di chemioterapia e di trapianto di staminali autologhe. In sintesi dunque la sopravvivenza dei malati di mieloma multiplo può giovarsi dei nuovi traguardi raggiunti dalla ricerca in ambito diagnostico e terapeutico, e le prospettive per il futuro sono davvero promettenti.

Nuovo potenziale trattamento per l’anemia nei pazienti beta-talassemici Le beta-talassemie (BT) si caratterizzano dal deficit (B+) o dall’assenza (B0) della

sintesi delle catene della beta-globina che codificano per l’emoglobina (Hb). Le complicanze che ne derivano sono molteplici: in primo luogo anemia, sovraccarico di ferro (determinato dalle trasfusioni) e danno d’organo a carico di diversi apparati. Al momento non esistono farmaci approvati per la beta-talassemia. Un potenziale target terapeutico è stato identificato nel Gdf-11, una citochina, che viene sintetizzata in grande quantità ed è coinvolta nella ridotta produzione di globuli rossi. Al Congresso è stato presentato uno studio in cui è stata testata l’azione di sotatercept, un inibitore di Gdf-11. Il farmaco è una proteina chimerica di fusione formata dal dominio extracellulare del recettore 2A dell’activina legato al dominio Fc di un’IgG1 umana. Allo studio hanno preso parte 32 pazienti adulti con beta-talassemia che hanno ricevuto 0,1 (8 pz.), 0,3 (9 pz.), 0,5 (8 pz.) o 0,75 (7 pz.) mg/kg di sotatercept sottocute una volta ogni 3 settimane. Nel complesso 3 pazienti hanno manifestato effetti avversi legati alla terapia di grado ≥2 (in 2 casi si è osservato dolore osseo e tromboflebite superficiale, e in un caso extrasistole ventricolare). Tra i pazienti con betatalassemia non dipendente da trasfusione, un’ampia quota di soggetti ha raggiunto un aumento di Hb ≥1 g/dl in tutti i dosaggi testati, a eccezione di quello più basso (0,1 mg/kg). Nel gruppo con patologia dipendente da trasfusione, la terapia, eccetto al dosaggio più basso, ha comportato una significativa riduzione del “carico” da trasfusione. Quindi il farmaco, al momento in fase 2 di sperimentazione anche per altre patologie ematologiche (anemia nella sindrome mielodisplastica, mielofibrosi, leucemia cronica mielomonocitica, nefropatia terminale), mostra un profilo favorevole di sicurezza, e pertanto potrebbe essere un candidato per la terapia dell’anemia nei soggetti affetti da beta talassemie sia dipendenti che indipendenti da trasfusione.

Medico e Paziente

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C O NGRESSI VI Congresso Nazionale anircef, 29 - 31 maggio 2014, Asti

Serve maggiore coinvolgimento dei MMG nella gestione del paziente cefalalgico

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nche quest’anno è tornato l’appuntamento del congresso nazionale dell’Associazione dei neurologi italiani che si dedicano alle cefalee che si sono dati appuntamento nell’ottocentesco teatro Vittorio Alfieri di Asti, coinvolgendo anche neurochirurghi, Medici di medicina generale (MMG) e farmacisti. Di particolare interesse pratico per il MMG la presentazione di un algoritmo diagnostico e terapeutico messo a punto dai neurologi dell’Università di Parma diretti dal prof. Gian Camillo Manzoni appositamente studiato per non addetti ai lavori che dovrebbe consentire una gestione più agile e corretta dei pazienti a tutto vantaggio non solo del malato, ma anche del SSN che vedrà così sfoltirsi le liste d’attesa, sftando peraltro l’annoso problema forse fin troppo enfatizzato della minor competenza dei medici di famiglia nella gestione di questi pazienti per i quali il MMG rappresenta in ogni caso il primo step ed è proprio

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dalla sua corretta impostazione del trattamento che può derivare la soluzione poi portata a termine dei centri cefalee. Esistevano finora molti strumenti come quello ideato a Parma, ma erano solo per super-specialisti: adesso invece con 5 semplici domande il MMG potrà curare meglio i suoi pazienti. Secondo uno studio del San Raffaele di Milano e dal centro di riabilitazione neurologica Hildebrand di Brissago in Svizzera, i medici non si sono ancora pienamente resi conto del fatto che ultimamente nelle cefalee il ricorso alla medicina alternativa è molto aumentato, soprattutto fra i giovani pazienti (4-16 anni), raggiungendo punte dell’80 per cento per il trattamento preventivo degli attacchi. I principali motivi di tale comportamento sono il non voler assumere troppo a lungo farmaci in modo da evitare i loro effetti collaterali, l’inefficacia delle terapie convenzionali, la voglia di tentare un approccio integrato alla malattia, un’innata tendenza dei più giovani a usare queste sostanze al posto dei farmaci. Oltre ai prodotti omeopatici, le sostanze più usate sono risultate valeriana, Ginko biloba, Boswellia serratia, agnocasto, fiori della passione, tiglio, vitamine (B6 e B12), supplementi minerali, magnesio, complessi multivitaminici ecc. Il 45 per cento ricorre anche a trattamenti fisici, il 33 per cento allo yoga, l’11 per cento all’agopuntura. Altro dato di rilievo è che 30 per cento dei pazienti si autoprescrive terapie alternative, nel 22 per cento dei casi su suggerimento di figure non mediche, e riguardo l’aspetto prescritivo sono stati chiamati sul banco degli imputati anche i MMG risultati responsabili nel 24 per

cento dei casi insieme al pediatra di famiglia. Tutti i medici, a partire dallo specialista, dovrebbero indagare meglio sull’uso delle terapie alternative da parte dei loro pazienti. Riguardo efficacia e sicurezza di Gammacore ha colpito il dato riportato da Alan Rapoport della Ucla University: lo stimolatore vagale esterno che aveva finora dimostrato di ridurre oltre la metà degli attacchi di emicrania, è ancor più efficace nella terribile cefalea a grappolo, dove già dopo 13 settimane di utilizzo si ottiene la riduzione o addirittura l’abbandono dei vecchi farmaci di soccorso. Anche se dopo adeguate istruzioni viene usato direttamente dal paziente, la prescrizione di questo device portatile è per ora prerogativa dello specialista, ma non è detto che i suoi risultati di efficacia e praticità non portino presto a coinvolgere in prima persona anche il MMG. Uno studio fuori dal coro è quello presentato dai neurologi dell’Università Federico II di Napoli diretti da Roberto De Simone che sembra aver trovato una soluzione rapida e tutto sommato poco invasiva all’emicrania cronica ed episodica: la rapida risoluzione nel 77,3 per cento dei casi cronici e nel 54,6 per cento di quelli episodici tramite una puntura lombare praticata una tantum che, normalizzando la pressione intracranica, ottiene una remissione che perdura fino a 4 mesi nel 38,6 per cento dei casi, fino a 3 mesi nel 45,4 e fino a 2 nel 54,6: in media con una sola visita dello specialista per almeno tre mesi oltre la metà dei pazienti che non riuscivano da anni a liberarsi della loro emicrania non presenteranno attacchi. Cesare Peccarisi


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Roche

Melanoma metastatico: con vemurafenib l’approccio diventa personalizzato

N

ella lotta al melanoma, le armi che abbiamo a disposizione sono la prevenzione, l’educazione fin da giovane età (anche se le campagne educative finora non hanno avuto l’effetto sperato!) e la diagnosi precoce. Se non diagnosticato precocemente e trattato in maniera adeguata, il melanoma evolve infatti nella forma metastatica. Questi i temi di un incontro che si è tenuto a Milano lo scorso 13 maggio, in cui è stata presentata un’importante evoluzione terapeutica per le forme metastatiche. Si tratta di vemurafenib, inibitore orale di BRAFV600, una proteina che se mutata determina lo sviluppo e la proliferazione del melanoma. Il farmaco disponibile e prodotto in Italia è indicato per i tumori positivi alla

mutazione di BRAFV600.“Negli ultimi anni la terapia del melanoma ha compiuto enormi passi avanti” ha sottolineato all’incontro Michele Del Vecchio, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano “e nello specifico vemurafenib è in grado di agire rapidamente anche in presenza di un volume tumorale importante, con una riduzione o stabilizzazione della massa tumorale in circa l’80 per cento dei pazienti. Si tratta del primo farmaco orale che ha introdotto il concetto di medicina personalizzata nel trattamento di questa patologia. Viene infatti utilizzato in tutti quei pazienti che presentano mutazione del gene BRAF, circa il 50 per cento dei casi con melanoma in fase avanzata e sta dimostrando sul campo la sua efficacia”. Il

Acto Onlus-IEO

IBSA

Disponibile una nuova formulazione per diclofenac

I

l dolore acuto spesso è improvviso, inaspettato, può comparire nel cuore della notte, durante il lavoro oppure in vacanza lontano da casa, con la conseguente impossibilità di ricorrere al medico. Ecco perché è importante segnalare la disponibilità di una nuova formulazione di diclofenac sottocute per autosomministrazione (Ibsa Farmaceutici), mirata alle esigenze dei pazienti che desiderano una risposta rapida al dolore acuto, efficace e con una modalità di assunzione pronta e personalizzata: la disponibilità, per la prima volta, dei bassi dosaggi di 25 e 50 mg, in aggiunta al classico 75 mg, permette di utilizzare la più bassa dose efficace del FANS, in linea con le raccomandazioni dell’Agenzia europea per il controllo dei medicinali (EMA). Questa formulazione offre molteplici vantaggi tra i quali, la facilità di somministrazione e la rapidità d’azione; inoltre permette di mantenere inalterata l’efficacia analgesica anche in presenza di una riduzione del dosaggio del principio attivo.

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profilo di efficacia-sicurezza del farmaco osservato negli studi registrativi è stato confermato anche in una recente pubblicazione su Lancet Oncology, realizzata in un contesto più vicino alla pratica clinica. Lo studio a cui ha preso parte anche l’Italia, è stato condotto su una popolazione di 3.222 soggetti con melanoma metastatico BRAF mutato che sono stati trattati con il farmaco. I risultati sono stati una sopravvivenza libera da malattia a 12 e 18 mesi rispettivamente pari a 19 e 8 per cento, e una sopravvivenza globale pari a 52 e 36 per cento, in confronto alla chemio standard (dacarbazina). Finora con la terapia tradizionale si arrivava a una sopravvivenza di 6-9 mesi dalla diagnosi della forma metastatica.

Conoscere il tumore ovarico

“I

l silenzio non è d’oro” questo il titolo scelto per la guida alla prevenzione del carcinoma ovarico, redatta dall’asscociazione ACTO Onlus e presentata in occasione della 2° Giornata mondiale sul tumore ovarico, che si è celebrata lo scorso 8 maggio. Significativamente è stata scelta questa data anche per organizzare l’incontro per la stampa a Milano, in cui ACTO insieme all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano hanno cercato di fare il punto su questa temibile e insidiosa patologia. Si tratta del sesto tumore più comune nelle donne, e ogni anno in Italia sono colpiti circa 5.000 soggetti. Sono a maggiore rischio le donne oltre i 55 anni. Si tratta di una malattia eterogenea che determina una risposta diversa alle terapie nelle singole pazienti. La ricerca ora si sta concentrando sempre più verso l’identificazione di marker responsabili di questa variabilità. Uno studio coordinato dal Mario Negri di Milano ha recentemente dimostrato il coinvolgimento di una molecola di RNA, mir-181a, nella proliferazione delle metastasi e nella resistenza ai farmaci antitumorali. Il cardine del percorso terapeutico è la chirurgia, seguita da chemioterapia. I farmaci hanno come bersagli l’angiogenesi e il deficit di ricombinazione omologa: in quest’ultimo ambito sta emergendo una nuova classe di agenti, i PARP inibitori.


Novartis

Abiogen Pharma

Neridronato per uso compassionevole nei pazienti europei affetti da osteogenesi imperfetta

L’

osteogenesi imperfetta (OI) è una malattia rara, causata dalla mutazione dei geni COL1 A1 o A2, caratterizzata da ossa fragili e da una bassa massa ossea che può portare a deformità associate a dolore. Al momento il neridronato (Abiogen Pharma) è l’unico bisfosfonato indicato in Europa per il trattamento dell’OI. Di recente, Abiogen ha avviato con il gruppo Clinigen un programma internazionale per uso compassionevole di neridronato, che sarà gestito da Clinigen Global Access Programs (Clinigen GAP) e che a livello europeo fornirà la molecola con un approccio per fasi, a eccezione dell’Italia dove il farmaco è approvato e in commercio. Con questo programma, gli specialisti europei potranno richiedere il neridronato per i singoli pazienti che non hanno altre opzioni terapeutiche disponibili e che non dovranno quindi attendere che il farmaco sia commercializzato nel Paese d’origine. Abiogen ha anche siglato un accordo con Lee’s Pharma per la licenza, la distribuzione e la fornitura del neridronato in Cina, Taiwan, Hong Kong e Macao.

Ypsomed

Disponibile in Italia un microinfusore-cerotto per l’insulina

S

volta nella microinfusione continua di insulina per i pazienti affetti da diabete di tipo 1 (DT1). È disponibile anche in Italia un device senza cateteri. Mylife™ OmniPod® è un piccolo patch, comodo da indossare sotto i vestiti, che assicura un’erogazione continua dell’ormone, garantendo un controllo metabolico ottimale e riducendo la variabilità glicemica nell’arco della giornata. Rispetto ai microinfusori tradizionali, la patch pump presenta diversi “plus”, oltre all’assenza di catetere: vi è solo un Pod di pochi centimetri, che contiene batterie, micropompa, ago cannula, cartuccia con insulina. Il device può essere fissato al braccio o, in alternativa, a una gamba, all’addome oppure alla parte inferiore della schiena, attraverso un cerotto. Il sistema è composto dal Pod (serbatoio) e dal PDM (Personal Diabetes Manager), un palmare per il comando da remoto, che si può non indossare e svolge anche la funzione di suggeritore di bolo. Il piccolo Pod aderisce perfettamente alla cute e va sostituito ogni 3 giorni.

Campagna per la prevenzione e diagnosi precoce delle complicanze oculari del diabete

L

a retinopatia e l’edema maculare diabetico sono le principali complicanze oculari della malattia diabetica. Con l’obiettivo di sensibilizzare e informare i malati e i loro familiari nasce la campagna “Occhio Al Diabete”, promossa da Diabete Italia con il contributo non condizionato di Novartis. La campagna prevede diverse iniziative tra cui il sito www.occhioaldiabete.it e il libretto “Detto da Noi” con le linee guida per la prevenzione e la diagnosi precoce. La retinopatia diabetica è la prima causa di cecità legale nei Paesi industrializzati tra i soggetti in età lavorativa. Può spesso evolvere in edema maculare diabetico, a sua volta un’ulteriore complicanza della retinopatia, che costituisce la causa più comune di perdita della funzione visiva. L’80-90 per cento dei pazienti con diabete di tipo 1 sviluppa almeno una forma di retinopatia; di questi, il 30-40 per cento può andare incontro alla forma proliferante, che può danneggiare non solo la retina, ma tutto l’occhio. Nei pazienti con diabete di tipo 2, sebbene la prevalenza della retinopatia sia più bassa, circa il 30-40 per cento, le complicanze retiniche sono più gravi perché si sviluppa principalmente edema maculare.

Harmonium Pharma

Innovativa soluzione per il monitoraggio della glicemia con lo smartphone

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i chiama Dario, è tascabile, compatto, ed è dotato di un’app di ultima generazione: è questo l’identikit di un prodotto, introdotto in Italia da Harmonium Pharma. Il dispositivo, ideato e realizzato da LabStyle Innovations, renderà accessibile da “mobile” e in tempo reale i dati sulla misurazione di glicemia, la conta dei carboidrati e il monitoraggio dell’attività fisica. Il kit è composto da un glucometro collegabile allo smartphone, pungidito, cartuccia con 25 strisce e un’app semplice e intuitiva: i diabetici potranno così tenere traccia e avere sempre a disposizione le informazioni che possono essere condivise con il medico. Il glucometro funziona in soluzione di continuità con un dispositivo portatile. I dati sono costantemente sincronizzati e raccolti in un solo luogo, per averli sempre con sé e tenere sotto controllo in ogni momento i propri valori accedendovi facilmente tramite l’applicazione.

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Philips

IBSA

Le nuove tecnologie sono un prezioso alleato della medicina d’urgenza

Ipotiroidismo: con le nuove formulazioni la terapia diventa a misura di paziente

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a terapia con levotiroxina nei pazienti con ipotiroidismo è stata al centro di un incontro che si è tenuto a Milano lo scorso 19 marzo. Questo trattamento apparentemente semplice, è in realtà di gestione assai complessa. Tale complessità è legata al profilo farmacologico dell’ormone sintetico che pone i pazienti di fronte al rischio di sviluppare ipertiroidismo, in caso di sovradosaggio, o di ipotiroidismo nel caso di sottodosaggio. Per avere la giusta compensazione ormonale è fondamentale che la quantità di farmaco assunta coincida con quella effettivamente assorbita o assimilata, assorbimento però che è condizionato, come noto, da molteplici variabili. Questi limiti sono oggi superabili grazie all’introduzione di una formulazione liquida di LT4 che è contenuta in una capsula di gelatina molle (Tiche®). Al contrario della compressa tradizionale, la nuova formulazione garantisce un risultato terapeutico ottimale, in qualsiasi condizione. La formulazione inoltre è disponibile in 12 diversi dosaggi, compresi tra 13 e 200 mcg che rendono concreta la possibilità di aggiustare il trattamento per ogni singolo paziente.

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revenire gli eventi avversi e ridurre gli arresti cardiaci è oggi possibile grazie al progresso della tecnologia che ha permesso di mettere a punto sistemi di monitoraggio dei parametri vitali, in grado di identificare in anticipo i pazienti a rischio di una complicanza imprevista. Se ne è parlato in occasione del 25° SMART (28-30 maggio, Milano), in un incontro promosso da Philips. Gli eventi avversi sono episodi apparentemente improvvisi, che però vengono annunciati dal peggioramento dei parametri vitali. Il monitoraggio di questi è fondamentale per tutelare la vita di un paziente ospedalizzato. Lo studio Vital, condotto su oltre 18mila pazienti, ha valutato l’efficacia del monitoraggio automatizzato dei parametri vitali utilizzando il monitor Philips IntelliVue MP5SC, e ha evidenziato come con questa tecnologia vi sia stato un aumento della sopravvivenza dopo intervento di emergenza del 6 per cento, una riduzione della durata di degenza del 25 per cento e una diminuzione del tempo di misurazione e registrazione dei segni vitali da 4,1 a 2,5 minuti. Questa tecnologia quindi permette un rapido rilevamento delle criticità, e in conseguenza un tempestivo intervento, con il risultato complessivo di una riduzione degli eventi avversi gravi.

aboca

Un modo diverso per conoscere il rapporto tra uomo e natura

I

due autorevoli scienziati, Fritjof Capra e Pier Luigi Luisi, noti per aver scritto diversi libri sul rapporto tra uomo e natura, questa volta affrontano, in una recentissima pubblicazione, un concetto nuovo, quello di visione sistemica della vita che emerge nella scienza d’avanguardia degli ultimi trenta anni. Complessità, reti, network e pattern di organizzazione: dalla fisica alla biologia, dalla medicina all’economia, il pensiero sistemico si afferma come chiave di lettura essenziale del mondo moderno, capace di fornire gli strumenti concettuali necessari per affrontare le crisi globali in ambito ecologico ed economico. Sono a grandi linee queste le tematiche delineate nel volume Vita e Natura-Una visione sistemica, pubblicato da Cambridge University Press, e disponibile nella traduzione italiana a cura di Aboca Edizioni. Il volume integra in un unico quadro teorico coerente, i modelli e le teorie che sono il fondamento della visione sistemica della vita. Esplorando a 360° la storia e le diverse discipline scientifiche, gli Autori analizzano la comparsa di termini chiave come autopoiesi e social network.

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Merck Serono

Premio per la migliore ricerca sulla sclerosi multipla

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orte del successo delle precedenti edizioni, la Società italiana di neurologia (SIN), con il contributo liberale di Merck Serono lancia la terza edizione dell’award per la migliore pubblicazione scientifica sulla ricerca clinica in sclerosi multipla (SM). Il Premio si rivolge a ricercatori sotto i 40 anni, di nazionalità italiana che abbiano condotto in Italia la loro ricerca sulla SM, recensita nel corso del 2013 a loro primo nome. Il premio di 10.000 euro intende valorizzare e riconoscere l’impegno dei ricercatori. I lavori, accompagnati da una richiesta di partecipazione alla selezione e da un’autocertificazione che attesti il possesso dei requisiti richiesti, potranno essere inviati entro il 1 settembre 2014 alla segreteria organizzativa SIN all’indirizzo E-mail info@neuro.it. A valutare i lavori sarà una giuria composta da Aldo Quattrone, presidente della SIN, Maria Giovanna Marrosu, coordinatore del gruppo di studio SIN Sclerosi Multipla, da altri autorevoli specialisti italiani. Il vincitore sarà premiato al prossimo congresso SIN, a Cagliari dall’11 al 14 ottobre 2014.


Dal 2013 puoi trovare LA NEUROLOGIA ITALIANA anche on line

Nelle prossime settimane la rivista sarà disponibile in Internet all’indirizzo

www.neurologiaitaliana.it I nostri lettori vi troveranno ● L’archivio storico della rivista ● Video-interviste con le Novità dei principali congressi di Neurologia ● Notizie dalle riviste internazionali, Linee Guida e Consensus in originale ● L’attività delle principali Associazioni di pazienti

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notizie dal web www.iltuodiabete.it In rete, una grande famiglia per il paziente diabetico Internet ha rivoluzionato la comunicazione, e su questo ci sono pochi dubbi. Ormai chiunque dedica un po’ del proprio tempo quotidiano alla ricerca di notizie sul web. Ma soprattutto gli italiani consultano la rete per notizie di salute e medicina. A testimonianza vi sono i sempre più numerosi forum di discussione di pazienti affetti da una qualche patologia. Nell’ambito del diabete per esempio, sembra che il 90 per cento degli italiani vada a caccia di notizie sulla patologia in rete. A una domanda sempre in crescita, il web risponde con un’ampia offerta (è la legge del mercato!), tuttavia non sempre di qualità. Spesso infatti, le informazioni sul diabete, ma in generale sulla salute non sono obiettive, oppure derivano da fonti non qualificate. Ecco perché quando si cercano informazioni su internet è importante conoscere e discriminare le fonti attendibili. Doc Generici, con AMD (Associazione medici diabetologi) e SIMG (Società italiana di medicina generale), ha realizzato il sito www.iltuodiabete. it, che si propone non tanto come un portale di informazione, quanto piuttosto come un centro di incontro e di ascolto virtuale, in cui i pazienti possono scambiarsi esperienze di quotidianità vissuta con la malattia, diventando così protagonisti attivi. E se il rapporto medico-paziente rimane fondamentale, la condivisione di sintomi e dubbi sulla malattia con una più ampia cerchia di persone permette di rispondere alle incertezze velocemente e in una modalità che fa bene al cuore, perché la parola è terapeutica, e cura insieme ai farmaci.

www.vitaminad.it Nelle donne in postmenopausa l’aggiunta di calcio e vitamina D alla TOS sembra ridurre il rischio di fratture La supplementazione con calcio e vitamina D oppure la sola terapia ormonale sostitutiva (TOS) non sono sufficienti nel ridurre il rischio di fratture nelle donne in postmenopausa, ma la combinazione dei due trattamenti sembra avere un effetto sinergico con un’azione positiva su tale rischio. Sono questi i risultati di una nuova analisi del noto studio Womens’s Health Initiative, che è stata pubblicata sulla rivista Menopause (Robbins JA et al. Menopause doi: 10.1097/ GME.0b013e3182963901) e recensita sul sito www.vitaminad.it. I dati derivano da una popolazione complessiva di oltre 16mila donne (età 50-79 anni) che ricevevano TOS a diversi regimi (0,625 mg di estrogeni coniugati da soli, o combinati a 2,5 mg/die di medrossiprogesterone acetato), 1.000 mg di calcio più 400 UI di vitamina D3 al giorno, oppure placebo. Il follow up medio era di 7,2 anni. L’analisi dei risultati mostra come l’effetto della supplementazione con calcio e vitamina D sul rischio di fratture fosse più marcato nelle pazienti che assumevano la TOS rispetto a quelle del gruppo placebo (HR 0,59). Analogamente è stato osservato come l’effetto della TOS sulla riduzione delle fratture dell’anca fosse superiore nelle donne supplementate (HR 0,43), rispetto alle donne del gruppo placebo (0,87). Un effetto sinergico dei due trattamenti non è invece stato osservato per quel che riguarda la densità minerale ossea a livello dell’anca o della colonna vertebrale. In conclusione quindi, questi risultati suggeriscono che le donne in postmenopausa che ricevono estrogeni dovrebbero essere trattate anche con vitamina D e calcio per contenere il rischio di fratture. La supplementazione con calcio, tuttavia, potrebbe aumentare il rischio di calcoli renali e per questo gli Autori del lavoro raccomandano una dose non superiore ai 1.200 mg e a 600-800 UI di vitamina D, da associare alla TOS.

www.jboard.it Un nuovo portale dedicato al MMG L’informazione è sempre più sul web, anche per il medico. Sono numerosi infatti, i rappresentanti della comunità medico-scientifica a utilizzare internet per ampliare le proprie conoscenze, per approfondire tematiche, per cercare risposte a problemi specifici, con l’esigenza di trovarle in tempo reale. Alla luce di questo scenario in continua evoluzione nasce un nuovo portale di Janssen (www.jboard.it) pensato per i Medici di Medicina generale che offre servizi utili all’attività quotidiana, news, risorse per l’apprendimento scientifico e altri strumenti per una migliore gestione del paziente. I contenuti sono specifici per diverse aree terapeutiche: gastroenterologia, dermatologia, neurologia, algologia. Approfondimenti su altre aree terapeutiche seguiranno in futuro. Attraverso www.jboard.it si può anche avere accesso ad altri siti Janssen (www.prostatanonseisolo.it, www. psoriasi360.it, www.prevenzione-emicrania.it, www.remind-uva.net, www.schizofrenia24x7.it), a testimonianza del tangibile e costante impegno dell’azienda in attività di formazione e informazione.

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Medico e paziente

3.2014


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