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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XL n. 6 - 2014
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Infezione da H. pylori le manifestazioni cliniche extraintestinali Meeting AHA prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale Malattia di Parkinson il ruolo del MMG nella diagnosi precoce SIMG i progetti per migliorare l’assistenza sul territorio
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Medico e paziente n. 6 anno XL - 2014 Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia
MP
Periodico della M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Tel./Fax 024390952 info@medicoepaziente.it
Direttore Responsabile Antonio Scarfoglio
in questo numero
sommario
Direttore Commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 Redazione Anastasia Zahova Progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Segreteria di redazione Concetta Accarrino Hanno collaborato a questo numero: Marcello Candelli Giovanna D’Angelo Fabio Del Zompo Teresa Antonella di Rienzo Francesco Franceschi Maurizio Gabrielli Antonio Gasbarrini Giovanni Gasbarrini Giancarlo Garuti Dario Iafusco Francesca Mangiola Veronica Ojetti Cesare Peccarisi Annalisa Tortora
p 5
letti per voi
p 8
pneumologia Il paziente con BPCO L’importanza della riabilitazione respiratoria
La BPCO è una delle malattie più diffuse con un alto grado di disabilità e mortalità. Sebbene la terapia medica abbia compiuto passi da gigante per ridurre la dispnea e le riacutizzazioni causate da tale malattia, la riabilitazione respiratoria rimane un’opzione terapeutica importante per ridurre l’handicap causato da questa patologia polmonare
Giancarlo Garuti
p 14 gastroenterologia
Infezione da Helicobacter pylori Le principali manifestazioni cliniche extraintestinali Negli ultimi anni sono state numerose le patologie extraintestinali studiate per una possibile associazione con l’infezione da Helicobacter pylori. In questo articolo gli Autori illustrano le principali manifestazioni extraintestinali finora descritte in letteratura
Annalisa Tortora, Francesco Franceschi, Veronica Ojetti, Marcello Candelli, Maurizio Gabrielli, Teresa Antonella di Rienzo, Giovanna D’Angelo, Fabio Del Zompo, Francesca Mangiola, Giovanni Gasbarrini, Antonio Gasbarrini
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congressi
Registrazione del Tribunale di Milano n. 32 del 4/2/1975 Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura.
p 20
Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG)
• Meeting annuale AHA 15-19 novembre - Chicago (Illinois, USA) Prevenzione dell’ictus Conferme di efficacia e sicurezza per i nuovi anticoagulanti nei pazienti con FA
I dati sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’Editore “M e P Edizioni Medico e Paziente” per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Ai sensi dell’art. 7 D. LGS 196/2003 è possibile in qualsiasi momento e gratuitamente consultare, modificare e cancellare i dati o semplicemente opporsi al loro utilizzo scrivendo a: M e P Edizioni Medico e Paziente, responsabile dati, via Dezza, 45 - 20144 Milano. Comitato scientifico Prof. Vincenzo Bonavita Professore ordinario di Neurologia, Università “Federico II”, Napoli Dott. Fausto Chiesa Direttore Divisione Chirurgia Cervico-facciale, IEO (Istituto Europeo di Oncologia) Prof. Sergio Coccheri Professore ordinario di Malattie cardiovascolari-Angiologia, Università di Bologna Prof. Giuseppe Mancia Direttore Clinica Medica e Dipartimento di Medicina Clinica Università di Milano - Bicocca Ospedale San Gerardo dei Tintori, Monza (Mi) Dott. Alberto Oliveti Medico di famiglia, Ancona, C.d.A. ENPAM
Come abbonarsi a medico e paziente
Medico e paziente
• XLV Congresso nazionale SIN 11-14 ottobre - Cagliari Malattie neurodegenerative L’importanza della diagnosi precoce
p 22 segnalazioni
I nuovi dispositivi per l’automonitoraggio della glicemia Intervista al dottor Dario Iafusco Dario Iafusco è ricercatore confermato presso il Centro regionale di Diabetologia pediatrica “G. Stoppoloni” di Napoli
p 24
Sentinelle sul fronte Parkinson Il ruolo del MMG nella diagnosi precoce Diverse le iniziative che sono state presentate in occasione della Giornata Nazionale della Malattia di Parkinson. Le finalità della Giornata sono quelle di migliorare l’assistenza e la qualità di vita degli oltre 200mila italiani affetti da Parkinson
Cesare Peccarisi
p 28
newssanità
p 30
Notizie dal web
Abbonamento annuale sostenitore Medico e paziente € 30,00 Abbonarsi è facile: w basta una telefonata 024390952 w un fax 024390952 w o una e-mail abbonamenti@medicoepaziente.it
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Farminforma
p 26 iniziative
Abbonamento annuale ordinario Medico e paziente € 15,00
Numeri arretrati € 10,00
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sommario
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letti per voi oncologia
Screening mediante test del PSA e mortalità per cancro alla prostata: i risultati del progetto europeo ERSPC dopo 13 anni di follow up £ Negli ultimi anni, i diversi studi sull’utilizzo del dosaggio del PSA per lo screening del tumore della prostata hanno ottenuto risultati discordanti. Nonostante l’alto livello di evidenza sull’utilizzo del PSA come test di screening, e anche sul suo ruolo come predittore di rischio di malattia, il test non viene raccomandato come screening di massa. La maggior parte delle linee guida europee approva l’utilizzo del PSA nell’ambito di una scelta condivisa medico-paziente a
seguito di una corretta informazione sui rischi e i benefici. In questo aggiornamento dell’European Randomised Study of Screening for Prostate Cancer (ERSPC), viene confermata una sostanziale riduzione della mortalità per tumore alla prostata, che si può attribuire all’uso del test del PSA, con un effetto assoluto, dopo 13 anni, superiore rispetto ai risultati ottenuti dopo 9 e 11 anni. Lo studio ERSPC, avviato nel 1994, aveva mostrato riduzioni significative della mortalità
dopo 9 e 11 anni di follow-up, ma l’efficacia dello screening rimane controversa per gli eventi avversi, primo fra tutti le sovradiagnosi. Gli Autori del lavoro pubblicato su Lancet hanno aggiornato i risultati di mortalità per tumore prostatico con follow up prolungato fino al 2010 e analisi troncate dopo 9, 11 e 13 anni. ERSPC è un trial multicentrico, randomizzato, con database centralizzato predefinito, pianificazione delle analisi e gruppo core di età (55 - 69 anni), che ha valutato il test del PSA in otto Paesi europei (Olanda, Svezia, Finlandia, Italia, Belgio, Germania, Spagna e Regno Unito; Francia solo per dati parziali). Gli uomini eleggibili, di età compresa tra 50 e 74 anni, sono stati identificati dai registri di popolazione e randomizzati allo screening o a nessun intervento
£ Assumere farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) per 14 giorni porterebbe a raddoppiare il Nei pazienti in terapia con rischio di sanguinamento grave nei pazienti con fibrillazione atriale (FA) e ad aumentare del 36 per cento il rianticoagulanti orali, schio di tromboembolismo. Sono le conclusioni di uno occorre cautela nell’impiego di FANS studio osservazionale danese di recente pubblicazione su Annals of Internal Medicine. Ma non è l’unico dato. per un possibile aumento del rischio Dal lavoro emerge che il rischio di gravi emorragie e tromboembolico ed emorragico di tromboembolismo associato alla terapia con FANS è aumentato ancora di più se i pazienti assumono anche anticoagulanti orali. I farmaci antitrombotici sono essenziali per il trattamento della fibrillazione atriale, ma, com’è noto, aumentano il rischio di sanguinamento. Per comprendere se l’esposizione ai FANS possa accentuare ulteriormente questo rischio, gli Autori del lavoro hanno analizzato i dati contenuti in registri nazionali e relativi a 150.900 pazienti ospedalizzati con una prima diagnosi di fibrillazione atriale tra il 1997 e il 2011. I pazienti avevano un età media di 75 anni, e il 47 per cento del campione era costituito da donne. Durante un follow-up di 6,2 anni, al 35,6 per cento dei pazienti è stato prescritto un FANS almeno una volta, l’11,4 per cento ha avuto episodi gravi di sanguinamento e il 13 per cento ha avuto eventi tromboembolici. Sono bastati 14 giorni di esposizione per far più che raddoppiare il rischio di sanguinamento grave (HR, 2,27; CI 95 per cento 2,15-2,40), e aumentare di più di un terzo il rischio di tromboembolismo (HR, 1,36; CI 95 per cento 1,27-1,45). L’assunzione concomitante di un trattamento anticoagulante orale ha dimostrato di aumentare di quasi tre volte il rischio di sanguinamento grave (HR 2,96; CI 95 per cento 2,64-3,31) e il rischio tromboembolico (HR 1,67; CI 95 1,41-1,98). In termini di differenza di rischio assoluto, l’assunzione di FANS ha portato a 1,9 episodi gravi di sanguinamento in più ogni 1.000 pazienti che hanno assunto questi farmaci rispetto ai pazienti che non li avevano presi, e la differenza di rischio è balzata a 2,5 eventi per 1.000 quando i pazienti prendevano anche anticoagulanti orali. In pratica, si ha un episodio grave di sanguinamento in un paziente su 400-500 esposti a un FANS per 14 giorni. La terapia con FANS ha mostrato di aumentare il rischio di sanguinamenti gravi e di tromboembolia indipendentemente dai regimi antitrombotici assunti dal paziente. I risultati di questo studio dunque, rafforzano la raccomandazione già formulata in precedenza di scoraggiare l’uso dei FANS nei pazienti con fibrillazione atriale a meno che non siano state esaurite altre possibilità, come la terapia fisica, il paracetamolo o analgesici alternativi. Gli Autori suggeriscono estrema cautela nel prescrivere qualsiasi tipo di FANS ai pazienti con fibrillazione atriale che sono in terapia antitrombotica e, quando possibile, la scelta dovrebbe ricadere su analgesici alternativi più sicuri.
Fibrillazione atriale
Lamberts M, Lip GYH, Gislason GH et al. Ann Intern Med 2014; 161 (10): 690-8
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letti per voi (gruppo controllo). Outcome primario era la mortalità per tumore nel gruppo core d’età; l’analisi era di tipo intentionto-treat. È stata eseguita anche un’analisi secondaria per correggere i bias di selezione legati alla non-partecipazione. I centri francesi hanno fornito solo i dati di incidenza e nessuno di mortalità al follow-up di 9 anni. Dopo un follow-up di 13 anni sono stati diagnosticati 7.408 casi di tumore nel gruppo di intervento e 6.107 nel gruppo di controllo. Il rate ratio (RR) di incidenza di tumore alla prostata tra il gruppo PSA e quello di controllo era pari a 1,91 (CI 95 per cento 1,83-1,99) dopo 9 anni (RR 1,64, CI 95 1,58-1,69, includendo la Francia), 1,66 (CI 95 1,60-1,73) dopo 11 e 1,57 (CI 95 1,51-1,62) dopo 13 anni. Per la mortalità da tumore i valori di RR erano 0,85 (CI 95 0,70-1,03) dopo 9 anni, 0,78 (CI 95 0,66-0,91) dopo 11 e 0,79 (CI 95 0,69-0,91) dopo 13 anni. La riduzione del rischio assoluto di decesso per tumore prostatico dopo 13 anni era pari a 0,11 ogni 1.000 persone-anno o 1,28 ogni 1.000 uomini randomizzati, equivalenti a un decesso per cancro alla prostata evitato ogni 781 uomini (CI 95 490-1929) invitati a partecipare allo screening oppure a uno ogni 27 ulteriori tumori alla prostata diagnosticati (CI 95,17-66). Dopo aggiustamento per la non-partecipazione, l’RR di mortalità per cancro prostatico negli uomini sottoposti allo screening era 0,73 (CI 95 per cento 0,61-0,88). In conclusione, possiamo dire che in questo aggiornamento dello studio ERSPC è stata confermata una sostanziale riduzione della mortalità per Ca. prostatico, attribuibile al dosaggio del PSA, con un effetto assoluto significativamente aumentato dopo 13 anni, rispetto ai risultati osservati dopo 9 e 11 anni. Ciononostante, sottolineano gli Autori, ulteriori valutazioni dei rischi (quantificazione e riduzione) sono ancora da considerarsi un importante prerequisito per l’introduzione di questo test come screening di popolazione. Schröder FH, Hugosson J, Auvinen A et al, for the ERSPC Investigators. The Lancet 2014; 384 (9959): 2027-35.
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Epidemiologia
L’analisi di due ampi studi sembra smentire l’effetto protettivo dei bisfosfonati nei confronti del carcinoma invasivo alla mammella nelle donne in postmenopausa £ Nel corso degli ultimi anni, diversi studi pubblicati in letteratura avevano suggerito che i bisfosfonati comunemente prescritti per la terapia dell’osteoporosi, avessero un effetto antitumorale e proprietà antimetastatiche. Nel 2010 due studi, di cui uno appar-
tenente al programma Women’s Health Initiative, focalizzati in particolare sul tumore invasivo alla mammella, avevano indicato che nelle donne in postmenopausa la terapia con questi agenti antiriassorbitivi comportasse addirittura una riduzione del 30-40 per
nutrizione
La vitamina D si delinea come alleato contro la patologia coronarica: i risultati di uno studio italiano £ Tra i molteplici effetti pleiotropici della vitamina D, sembra esserci anche quello legato alla prevenzione nell’ambito delle cardiopatie. Sono queste le conclusioni di uno studio condotto da diversi centri di ricerca, e coordinato dal Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università Statale di Milano, che è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nutrition, Metabolism & Cardiovascular Diseases. In particolare, il lavoro dimostra l’associazione tra vitamina D e infiammazione a livello del grasso epicardico nella patologia coronarica. Da qui deriva l’importanza di mantenere livelli ottimali di vitamina D come possibile strumento per contrastare l’infiammazione del grasso epicardico, tipica dei pazienti con patologia coronarica. Nel lavoro, i ricercatori sottolineano come l’80 per cento dei pazienti affetti da patologia coronarica presenta uno stato carenziale di vitamina D. Più tali livelli diminuiscono più si osserva a livello del tessuto adiposo epicardico una riduzione nell’espressione di importanti molecole che regolano l’utilizzazione locale della vitamina e un aumento nei livelli di mediatori proinfiammatori (MCP-1, PTX3, TNF-alfa, IL-6). Questo significa che solo quei soggetti che presentano uno status ottimale di vitamina D nel sangue preservano la capacità di utilizzare la vitamina a livello del tessuto e riescono a mantenere sotto controllo l’espressione di molte molecole proinfiammatorie che concorrono alla progressione della patologia coronarica. Si tratta di conclusioni importanti che per la prima volta portano a considerare il monitoraggio dei livelli di vitamina D e il mantenimento dei valori ottimali come un importante strumento di prevenzione nell’ambito delle cardiopatie. Naturalmente la correlazione va approfondita, anche nell’ottica di valutare gli eventuali benefici derivanti da una supplementazione con la vitamina. Dozio E, Briganti S, Corsi Romanelli MM et al. Nutr Metab Cardiovasc Dis 2014; doi: 10.1016/j.numecd.2014.08.012
cento del rischio di sviluppare questa forma di tumore. Finora tale relazione tuttavia non è mai stata indagata in studi clinici randomizzati. Ed è proprio questo l’obiettivo del lavoro apparso su Jama che, per stabilire l’associazione tra terapia con bisfosfonati e rischio di carcinoma alla mammella, ha esaminato i dati di due ampi studi randomizzati e controllati verso placebo: il FIT (Fracture Intervention Trial) e l’HORIZON-PFT (The Health Outcomes and Reduced Incidence with Zoledronic Acid once Yearly-Pivotal Fracture Trial). Lo studio FIT comprendeva una popolazione di 6.459 donne di età compresa tra 55 e 81 anni che erano state randomizzate a trattamento con alendronato o placebo per un periodo medio di 3,8 anni. L’HORIZON-PFT includeva una popolazione di 7.765 donne, con età 65-89 anni, che erano state trattate con acido zoledronico iv (una volta/anno) o placebo per un pe-
riodo medio di 2,8 anni. Per effettuare l’analisi complessiva dei due studi, i ricercatori hanno raccolto i dati nei diversi centri partecipanti: Stati Uniti (FIT e HORIZON-PFT), Asia e area del Pacifico, Europa, Nord America e Sud America (HORIZON-PFT). Dall’analisi inoltre, sono state escluse le donne dei due trial con cancro alla mammella recidivato e quelle con storia pregressa di carcinoma al seno. Utilzzando il log rank test, i ricercatori hanno confrontato il numero di eventi nel gruppo in trattamento con bisfosfonati verso il gruppo placebo; i valori di rischio sono stati espressi come hazard ratio (HR). Ed ecco i risultati. Nello studio FIT non è stata osservata una differenza statisticamente significativa per quel che riguarda il rischio di sviluppare il tumore: 1,5 per cento (n =46) nel gruppo placebo e 1,8 per cento (n =57) nel gruppo alendronato (HR 1,24 CI al 95 per cento 0,841,83). Sostanzialmente sovrapponibili
sono risultati i valori emersi nell’analisi dell’HORIZON-PFT: 0,8 per cento (n =29) nel gruppo placebo e 0,9 per cento (n =33) nel gruppo acido zoledronico (HR 1,15 CI al 95 per cento 0,70-1,89). La differenza tra gruppo placebo e gruppo di trattameno attivo si è confermata non significativa anche nell’analisi dei dati combinati dei due studi (HR 1,20 CI al 95 per cento 0,89-1,63). In sintesi dunque, i risultati di questa analisi portano a concludere che le donne in postmenopausa e in terapia con bisfosfonati per un periodo di circa 3-4 anni, avrebbero la stessa probabilità di ammalarsi di tumore invasivo al seno delle donne che non assumono tali farmaci. E pertanto, gli Autori sottolineano che non vi è conferma di quanto precedentemente suggerito dagli studi osservazionali. Hue TF, Cummings SR, Cauley JA et al. Jama Intern Med 2014; 174 (10): 1550-7
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pneumologia
Il paziente con BPCO L’importanza della riabilitazione respiratoria La BPCO è una delle malattie più diffuse con un alto grado di disabilità e mortalità. Sebbene la terapia medica abbia compiuto passi da gigante per ridurre la dispnea e le riacutizzazioni causate da tale malattia, la riabilitazione respiratoria rimane un’opzione terapeutica importante per ridurre l’handicap causato da questa patologia polmonare
L’
European Respiratory Society (ERS) ha affermato che “la riabilitazione polmonare ha lo scopo di recuperare i pazienti a uno stile di vita indipendente, produttivo e soddisfacente e di impedire l’ulteriore deterioramento clinico compatibile con lo stato della malattia” (1). Il documento congiunto ERS/ ATS (American Thoracic Society) recita invece che la riabilitazione respiratoria (RR) è “Un intervento globale e mulitidisciplinare basato sull’evidenza, rivolto a pazienti affetti da malattie respiratorie croniche, che sono sintomatici e spesso limitati nelle attività della vita quotidiana. Integrata nel trattamento individuale del paziente, la RR ha lo scopo di ridurre i sintomi, ottimizzare lo stato funzionale, aumentare la partecipazione e ridurre il consumo di risorse sanitarie attraverso la stabilizzazione o il miglioramento della malattia” (2). Da queste definizioni si desume che l’at-
A cura di Giancarlo Garuti U.O.C. di Pneumologia Ospedale Santa Maria Bianca Mirandola (MO) Azienda Sanitaria Locale Modena
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tività riabilitativa in campo respiratorio è caratterizzata da: 1) programmi disegnati specificatamente per il paziente (individualizzati); 2) multidisciplinarietà; 3) possibilità di incidere sulla storia naturale della malattia (3). Diversi anni fa la RR venne definita anche come “un insieme multidimensionale di servizi diretti a persone con malattie polmonari e alle loro famiglie, di solito da parte di un team interdisciplinare di specialisti con lo scopo di raggiungere e mantenere il massimo livello di indipendenza e di attività nella comunità” (4). Quindi i Programmi di Riabilitazione Polmonare (PRP) dovrebbero essere considerati come una serie di interventi che può migliorare lo standard terapeutico al fine di ottimizzare la capacità funzionale e riportare i pazienti al più alto livello di indipendenza. Infine, l’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO), ha definito la riabilitazione respiratoria come “valutazione e terapia a lungo termine dei pazienti con malattie respiratorie croniche” (5). Riassumendo, i PRP rappresentano una strategia globale di trattamento, che non esauriscono il loro compito nella semplice riduzione dei sintomi, ma estendono i
loro benefici anche alla sfera psico-socioaffettiva, e possono venire attuati in tutte la fasi della malattia, da quelle iniziali a quelle terminali. Molteplici studi hanno dimostrato che i PRP migliorano la dispnea, la tolleranza allo sforzo e la qualità della vita nei pazienti con BPCO (6-14), tali dati poi sono stati suffragati da stati dell’arte (15) e da metanalisi (16).
Perché la riabilitazione respiratoria nella BPCO? La BPCO è una delle principali cause di disabilità e morte in tutto il mondo, le stime attuali indicano che interessa circa il 10 per cento della popolazione mondiale. Negli Stati Uniti, la BPCO è il contributore primario di mortalità causata da malattie croniche respiratorie, ed è diventata la terza causa di morte nel 2008 e ha mantenuto tale posizione nel 2010, pari al 5,6 per cento (138.080 decessi) di tutte le morti. Si presume che nel 2020 la BPCO sarà la quinta causa di disabilità e la terza causa di morte più comune nel mondo (17). La BPCO è una malattia caratterizzata da una limitazione del flusso aereo non completamente reversibile, spesso associata a un’alterata risposta infiammatoria delle vie aeree a particelle nocive o a gas (18). I pazienti con BPCO hanno spesso una diminuita capacità di esercizio, che a sua volta riduce sia la qualità della vita, sia la capacità di partecipare alle normali attività quotidiane (Figura 1). La riabilitazione respiratoria può interrompere il circolo vizioso indotto dalla dispnea, il sintomo principale, che nelle malattie respiratorie croniche evolutive è responsabile della limitazione delle attività di tutti i giorni (Figura 2). Per tali motivi il miglioramento della capacità di esercizio derivato dalla riabilitazione respiratoria è un obiettivo chiave nella gestione della malattia (19).
Figura 1
Fenomeni patologici conseguenti la BPCO Conseguenze della BPCO Disfunzione della muscolatura periferica
Miopatia da steroidi, effetti da ipossiemia, affaticamento, alterazioni elettrolitiche ecc.
Disfunzione della muscolatura respiratoria
Alterazioni della meccanica da iperinsufflazione, affaticamento del diaframma, miopatia steroidea ecc.
Alterazioni nutrizionali
Obesità, cachessia, riduzione massa magra
Alterazioni cardiache
Cuore polmonare
Alterazioni scheletriche
Osteoporosi, cifoscoliosi
Deficit sensoriali
Farmaci (steroidi, diuretici, antibiotici)
Psicosociali
Ansia, depressione, panico, deficit cognitivi, disturbi sonno, disfunzioni sessuali
Selezione dei pazienti La selezione del candidato al PRP deve essere un processo semplice e integrare la valutazione funzionale specifica pneumologica. Tuttavia, un’attenta selezione del paziente può servire per l’individualizzazione del PRP ed è fondamentale per la riuscita del programma stesso (20). Sebbene in un solo studio (21) vengano riportati anche altri criteri, quali malattie coesistenti, persistenza dell’abitudine al fumo, eccessiva lontananza dall’ospedale, barriere linguistiche, compromissione cognitiva, problemi socio-economici o eccessiva compromissione psicomotoria, l’unica controindicazione assoluta ai PRP è la mancata volontà di parteciparvi o una cattiva compliance. Anche l’età non è una limitazione, in quanto sono stati presentati programmi comprendenti educazione, allenamento degli arti superiori e inferiori, esercizi respiratori e fisioterapia toracica anche in pazienti con BPCO anziani (piu di 75 anni) (22).
Metodiche di attuazione La RR richiede un inquadramento iniziale del paziente per definire il piano riabilitativo individuale (Figura 3). Inquadramento iniziale Si basa su: 1) Valutazione del danno funzionale:
a) valutazione della funzione respiratoria con spirometria semplice o globale per valutare il grado di ostruzione e iperinsufflazione polmonare, b) valutazione della forza muscolare respiratoria: massima pressione inspiratoria (PiMax) ed espiratoria (PeMax). 2) Valutazione della disabilità: a) test del cammino dei 6 minuti (6MWD): per valutare la tolleranza allo sforzo, b) test da sforzo cardiopolmonare (a seconda dei casi e in base alla disponibilità di attrezzature del centro), c) test sulla valutazione della dispnea (per
esempio scala di Borg, MRC). 3) Valutazione dell’handicap: a) test sulla qualità della vita (per esempio St. George Respiratory Questionnaire (SGRQ), Chronic Respiratory Questionnaire (CRQ), SF36 ecc. ) b) test psicologici sull’ansia e depressione (per esempio HADS)
Componenti di un programma di RR Luogo Il programma può essere condotto, a se-
Figura 2
Funzioni terapeutiche della riabilitazione respiratoria Riabilitazione respiratoria nei pazienti affetti da malattie respiratorie croniche
Riduce i sintomi
Aumenta la capacità funzionale
Migliora la qualità di vita
Anche in presenza di alterazioni irreversibili della struttura polmonare
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pneumologia Figura 3
in seguito al miglioramento della funzione aerobica, con l’aumento Percorso della riabilitazione in paziente con BPCO del picco di consumo di ossigeno (VO2) e la riduzione dell’accumulo di lattato (27). Un altro Paziente BPCO vantaggio dell’esercizio fisico è la riduzione della dispnea da sforzo, effetto mediato in parte dalla Valutazione funzionale ridotta richiesta ventilatoria che si verifica a carichi elevati, in parte Criteri inclusivi per riabilitazione respiratoria? conseguenza di una ridotta iperinflazione dinamica (28). Inoltre, in Sì gran parte dei pazienti con BPCO, NO è presente una debolezza dei Valutazione muscoli respiratori, e una ridotta Danno funzionale sensazione di dispnea durante le Disabilità attività quotidiane potrebbe diHandicap pendere anche dal miglioramenTerapia medica to della performance dei muscoli NIV inspiratori, se specificamente adFollow up O2 terapia NO Idoneo? destrati durante i programmi di riabilitazione respiratoria (29). Sì Considerando che l’allenamento a carichi elevati ha un’efficacia superiore rispetto a quello svolto PRP Esercizio a minore intensità, sono in fase di Fisioterapia valutazione misure supplementari Educazionale per portare il carico di lavoro alla massima intensità possibile nei pazienti con BPCO. Esempi sono la terapia con broncodilatatori, l’ossigeno 1) Durata (endurance training): eseguiti conda dei casi (in base alle condizioni o il supporto ventilatorio non invasivo su cyclette o tapis roulant e somministrati cliniche del paziente, alla possibilità di somministrati durante le sessioni di ricon la supervisione di un terapista. Le sesspostamento e alle risorse dell’ospedale), allenamento, e gli steroidi anabolizzanti. sioni sono di durata uguale o superiore ai in regime ordinario di ricovero, in Day 30 minuti con un lavoro ad alta intensità, Hospital o in sedute ambulatoriali Fisioterapia toracica cioè superiore almeno al 60 per cento Componenti obbligatorie La fisioterapia toracica comprende una del carico massimale che il paziente può Esercizio Fisico serie di tecniche volte alla rimozione delle raggiungere (25). Lacasse sottolineò che l’esercizio fisico secrezioni; ha pertanto lo scopo di coadiu2) Intervallare (Interval training): questo è la chiave per una RR di successo (23). vare e in certi casi sostituire i meccanismi tipo di allenamento viene utilizzato in Dal momento che una parte della dispnea fisiologici della clearance tracheo-bronparticolare su pazienti che non sono in cronica di questi pazienti è causata dal dechiale, quasi sempre alterati nelle patogrado di raggiungere elevati carichi di lacondizionamento muscolare per carenza logie respiratorie croniche; in tal modo voro. Deve essere sempre supervisionato di attività motoria, l’obiettivo dell’esercizio si può evitare il ristagno delle secrezioni da un terapista, ed è costituito da piccole fisico è di affrontare la disabilità, intesa cobronchiali, ottimizzando la ventilazione, e sessioni di esercizio di alta o bassa intensime riduzione delle prestazioni funzionali e riducendo le complicanze infettive. Sebtà alternata, separate da periodi di riposo. di conseguenza ridurre l’handicap causato bene la loro efficacia sia dibattuta (30), 3) Forza (strenght training): costituiti da 2 dalla scarsa qualità della vita (24). Esistoil loro utilizzo può portare benefici nelle a 4 serie di 6-12 ripetizioni con intensità no diverse modalità per implementare l’atforme ipersecretive. Nel corso degli anni variabile dal 50 all’85 per cento di 1 ritività fisica, in base alla disabilità specifica, sono state sviluppate diverse tecniche. petizione massima (cioè il carico massimo e alle condizioni cliniche (cardiovascolari, La tecnica più antica e più utilizzata in tollerato dal paziente in un singolo sforzo polmonari e limitazione muscolare) del passato è il classico drenaggio posturale ripetuto) (26). singolo paziente. (DP), che consiste nel far assumere al Nei pazienti con BPCO l’allenamento muSi possono sviluppare diverse tipologie paziente delle posture adatte alla risalita scolare migliora la tolleranza all’esercizio di esercizio:
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una diminuzione della dispnea con delle secrezioni nelle alte vie aeree Tabella 1 questa tecnica, che spesso adottaper gravità da un lobo o di un segno spontaneamente. Gli esercizi di mento polmonare; al DP possono Tecniche di disostruzione bronchiale rilassamento tendono a fornire al venire associate manovre percusTecniche dirette paziente la consapevolezza dello sive o vibrazioni da parte di un stato di contrazione dei propri muoperatore. Questa metodica, con Tecnica dell’espirazione forzata (FET) scoli, migliorando quindi l’efficienla quale tuttora vengono confronCiclo attivo delle tecniche respiratorie (ACBT) za della respirazione: non esistono tate le tecniche più recenti, è stata In-exsufflator però in letteratura studi conclusivi pressochè abbandonata, a causa Drenaggio autogeno al riguardo. La respirazione lenta e delle numerose limitazioni quali la ELTGOL (Espirazione Lenta Totale a Glottide Aperta) profonda avrebbe lo scopo di miscarsa compliance, dovuta alla fregliorare la ventilazione alveolare e quente impossibilità da parte del Tracheoaspirazione diminuire di conseguenza la domanpaziente di mantenere la posizione Fibrobroncoscopia da respiratoria e la dispnea: è stato (talvolta scomoda) per un lungo Tecniche indirette però dimostrato che questa tecnica periodo di tempo e alla necessità potrebbe aumentare il lavoro respidi disporre di un operatore. Spirometria incentivata ratorio e generare pertanto fatica Le nuove tecniche possono essere Air stacking diaframmatica (36). La respirazione schematicamente divise in (TaPressione positiva applicata alle vie aeree: diaframmatica consiste nell’espanbella 1): 1. Pressione positiva di fine inspirazione (PEEP) sione volontaria della parete addoa) Dirette: nelle quali la clearanminale, durante la fase inspiratoria ce delle vie aeree è assicurata 2. Pressione espiratoria positiva (EPAP) del diaframma: l’obiettivo che si dall’aumento dei flussi espiratori 3. Pressione positiva continua (CPAP) pone è quello di migliorarne l’efficon conseguente spostamento delVibrazioni sul torace, manuali o meccaniche cienza ma, l’aumento dell’asincronia le secrezioni dalla periferia alle vie EPAP oscillante dei movimenti toraco-addominali e aeree più centrali, 1. Flutter il reclutamento di un muscolo già b) Indirette: che tendono invece a compromesso possono anche qui ripristinare prima la ventilazione 2. Ventilazione percussiva intermittente produrre un effetto negativo (37). in zone scarsamente ventilate, in In conclusione, anche se queste tecgenere tramite espirazione contro niche sono largamente diffuse, il loro uso mine comprende una serie di tecniche, resistenza, che ritarda il collasso dinamico routinario non è raccomandato, riservantra cui le principali sono la respirazione a delle vie aeree e migliora la ventilaziodole solo a pazienti selezionati. labbra socchiuse, la respirazione lenta e ne collaterale; in tal modo l’aria supera profonda, la respirazione diaframmatica, l’ostruzione, e durante la fase espiratoria è Educazione sanitaria e gli esercizi di rilassamento, che hanno in grado di spingere le secrezioni verso la L’educazione sanitaria è una delle comlo scopo di controllare la frequenza rebocca. Tra queste ultime citiamo l’utilizzo ponenti fondamentali di un programma spiratoria, di ridurre l’air trapping, e di di un ausilio meccanico, l’in-exsufflator e di RR in quanto insegna al paziente con diminuire quindi il lavoro respiratorio. La la ventilazione percussiva intrapolmonare BPCO a capire la sua malattia, riconoscere respirazione a labbra socchiuse ha lo sco(31). i sintomi, autogestirsi e mantenere un po di prolungare l’espirazione, ritardando Per quanto riguarda la specificità delle sinadeguato stile di vita (38). quindi il collasso dinamico delle vie aeree gole metodiche (elencate in Tabella 1) si Gli argomenti di un programma di edu(controbilanciando in modo naturale la rimanda a specifici manuali di fisioterapia cazione sanitaria sono riassunti nella taPEEP intrinseca del paziente); nei soggetti toracica (32). bella 2. BPCO, paragonato al respiro spontaneo, Nei pazienti ostruiti le manovre dovrebbeIn particolare è molto importante lo svidetermina, almeno in condizioni di riposo, ro essere sempre precedute dalla sommiluppo di un piano d’azione specifico per una riduzione della frequenza respiratonistrazione di broncodilatatore. La scelta riconoscere precocemente e trattare le ria, della PaCO2 e della dispnea, aumendi una tecnica piuttosto di un’altra non è esacerbazioni acute della BPCO, perché tando nel contempo il volume corrente motivata dall’efficacia, visto che in letteraaccelerano il declino della funzione pole la saturazione (34). In uno studio del tura non vi è evidenza scientifica dell’effetmonare (39), aumentando i costi sanitari e 2007 sono state identificate le ragioni tiva superiorità di una sull’altra (33), ma riducendo la qualità della vita dei pazienti. fisiopatologiche dei benefici di tale tecpiuttosto da motivazioni diverse, quali la In sintesi, un programma educazionale nica (35); non vi sono però attualmente compliance del paziente, la possibilità di ben equilibrato dovrebbe prestare particoevidenze che tutto ciò si ripercuota posiessere assistito o meno, la gravità della sua lare attenzione a eventuali modifiche dello tivamente sulla performance fisica, anche ostruzione ecc. stile di vita, utili per un migliore controllo se i pazienti generalmente riferiscono Coordinazione respiratoria. Questo ter-
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pneumologia Tabella 2
Argomenti di un corso di educazione sanitaria in pazienti con BPCO Funzionamento normale dei polmoni e malattie polmonari Tecniche di respiro per ridurre la dispnea Efficacia dell’esercizio fisico Uso appropriato dei farmaci, compreso l’ossigeno Controllo dell’ansia e dello stress Corretta alimentazione Cessazione del fumo di sigaretta Riacutizzazioni: come riconoscerle subito e cosa fare Quando e perché chiamare lo specialista, il medico di famiglia o recarsi in Pronto soccorso Viaggi e sessualità Uso dei ventilatori domiciliari Convivere con la BPCO e piani di fine vita
della malattia (40). L’autogestione, infatti, migliora lo stato di salute e riduce l’uso dei servizi sanitari in molte malattie croniche. In questo modo la componente educazionale di un programma di riabilitazione respiratoria aumenta sia l’autoefficacia, cioè l’insieme di convinzioni che i pazienti possiedono riguardo alle proprie capacità di organizzare ed eseguire azioni necessarie al controllo della propria malattia, sia l’aderenza al trattamento, migliorando la prognosi (41). È stato dimostrato che un programma educazionale di autogestione, comprese le informazioni sull’individuazione precoce delle riacutizzazioni e sulle modalità di esercizio fisico domiciliare, è in grado di ridurre il numero di visite mediche non programmate, gli accessi in Pronto soccorso e le ospedalizzazioni (41).
Monitoraggio post PRP Sono stati prodotti diversi studi sugli esiti dei PRP (42-43). L’ATS, l’ERS e l’AACVPR in associazione con l’American College of Chest Physicians (ACCP) (44-46) hanno pubblicato diversi documenti sulla valutazione dell’efficacia dei programmi di riabilitazione respiratoria. Il documento comune ATS/ERS (45) indica che la riabilitazione deve essere valutata da diversi punti di vista. Uno è quello
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del paziente e comprende il controllo dei sintomi, la capacità di svolgere le attività quotidiane, l’esercizio fisico e la qualità della vita. Un altro è quello del programma in sé, come le procedure di revisione interna e il controllo di qualità. L’ultimo punto di vista è quello del costo sociale e comprende l’uso dell’assistenza sanitaria come il ricovero, le visite ambulatoriali e quelle al Pronto soccorso. Per uniformare la valutazione degli outcome in termini di certificazione della qualità dei programmi riabilitativi polmonari e cardiologici, l’AACVPR (7) ha sviluppato una matrice di risultati che comprende 4 domini: clinico, della salute, del comportamento e di servizio, quest’ultimo inteso come misura della capacità del programma di soddisfare le esigenze dei pazienti; sono state considerate anche le variabili comportamentali che sono le più difficili da misurare. A questo proposito il documento AACVPR menziona 5 misure di efficacia comportamentale: cessazione del fumo, uso di farmaci, uso di ossigeno supplementare, abitudine all’esercizio fisico e comportamento alimentare, fornendo esempi di domande e calcoli per ciascuno di questi. In questo modo gli operatori sanitari coinvolti nella riabilitazione polmonare e cardiaca possono utilizzare queste misure all’avvio e alla conclusione del programma di riabilitazione, in modo da documentare
nel corso del tempo una serie di variabili standardizzate, dimostrando in tal modo agli amministratori la reale efficacia della riabilitazione respiratoria. Il test del cammino dei 6 minuti e la qualità della vita sono considerati indicatori dell’efficacia del programma di riabilitazione respiratoria. In generale i questionari della qualità della vita (QOL) misurano il grado di handicap di un paziente, cioè l’impatto della sua salute sulla capacità di eseguire le attività della vita quotidiana. I questionari per la determinazione della QOL variano da misure malattia-specifiche per un singolo sintomo come la dispnea a una valutazione globale di molti aspetti (psicosociali, limitazioni della vita quotidiana, capacità di svolgere attività). Tra i più usati ricordiamo il Saint George Respiratory Questionnaire o il Chronic Respiratory Disease Questionnaire. Punteggi compromessi di QOL sono associati a maggiori riammissioni in ospedale e a maggior uso di risorse sanitarie in modo indipendente dalle misure fisiologiche e dalla gravità della BPCO. Il principale risultato di efficacia clinica di un programma di riabilitazione respiratoria potrebbe essere la sua capacità di ridurre la mortalità dei pazienti, ma in questo campo i dati non sono sufficienti per trarre conclusioni definitive (48-49). Un settore cruciale della ricerca in questo campo riguarda l’importanza dei fattori che influenzano la storia naturale della malattia principale, come per esempio le riacutizzazioni e il loro effetto nel modificare la morbilità e la mortalità. È inutile dire, che sono necessari ulteriori lavori in questo settore per trarre conclusioni definitive sull’efficacia della riabilitazione respiratoria nella sopravvivenza dei pazienti con patologie respiratorie croniche.
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gastroenterologia
Infezione da Helicobacter pylori Le principali manifestazioni cliniche extraintestinali Negli ultimi anni sono state numerose le patologie
Malattie cardiovascolari
extraintestinali studiate per una possibile
I primi studi di una possibile correlazione tra infezione da HP e malattie cardiovascolari sono comparsi già dai primi anni Novanta. Mendall e i suoi collaboratori, in particolare, descrissero una più elevata prevalenza dell’infezione da HP nei pazienti affetti da infarto miocardico (IM) rispetto a quanto rilevato nei soggetti sani, anche dopo aggiustamento per alcuni fattori di confondimento, quali il fumo, l’ipertensione arteriosa, alti livelli di colesterolo, il diabete e la classe sociale (3). A seguito di tale riscontro, sono stati pubblicati numerosi studi su questo tema anche se talora con risultati contrastanti. Lo studio dei meccanismi patogenetici attraverso i quali l’HP potrebbe favorire la progressione di alcune patologie cardiovascolari ha rappresentato un altro filone molto florido. Studi condotti dal nostro gruppo hanno evidenziato come la presenza di ceppi maggiormente virulenti di H. pylori, cioè quelli che esprimono la citotossina CagA, abbia un ruolo predominante nella genesi di tali patologie, sicuramente più che l’infezione da HP di per sé (4-5-6-7). Sulla base di queste evidenze l’attenzione è stata focalizzata sul ruolo dell’HP e dei ceppi CagA-positivi su tutti i fattori di rischio cardiovascolare noti. In particolare, è stato proposto come l’HP sia in grado di determinare un aumento dei lipidi circolanti, oltre che dei livelli sierici di TNF e IL6, i quali possono a loro volta modificare il metabolismo lipidico direttamente all’interno della placca ateromasica. In aggiunta vi sarebbe associata una iperattivazione delle cellule mononucleate in gra-
associazione con l’infezione da helicobacter pylori. In questo articolo gli autori illustrano le principali manifestazioni extraintestinali finora descritte in letteratura
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olti dei disturbi gastrointestinali riferibili allo stomaco e al duodeno che più frequentemente conducono il paziente dal gastroenterologo sono correlati alla presenza dell’Helicobacter pylori (HP). Tale batterio, non rappresenta solamente la principale causa della gastrite e dell’ulcera peptica, ma anche un importante fattore di rischio per il tumore dello stomaco e per il linfoma MALT. Negli ultimi anni, inoltre, è stata riscontrata una stretta correlazione tra l’infezione da Helicobacter pylori e alcune malattie extraintestinali (1-2). Il modello di interazione dell’Helicobacter pylori con l’uomo rappresenta un ottimo
modello di studio dei meccanismi di interfaccia tra i batteri che compongono il gut microbiota e l’ospite, sia per quanto riguarda i disturbi digestivi che extradigestivi. In particolare, tra i principali meccanismi eziopatogenetici identificati troviamo: la produzione di un basso grado di infiammazione, l’induzione dei meccanismi di mimetismo molecolare con le proteine dell’ospite, e l’interferenza con l’assorbimento di farmaci e nutrienti (1-2). L’obiettivo di questo articolo è quello di illustrare, in maniera comprensiva, le principali manifestazioni gastrointestinali dell’infezione da HP finora descritte in letteratura (Tabella 1).
A cura di Annalisa Tortora1, Francesco Franceschi2, Veronica Ojetti2,
Marcello Candelli2, Maurizio Gabrielli2, Teresa Antonella di Rienzo1, Giovanna D’Angelo1, Fabio Del Zompo1, Francesca Mangiola1, Giovanni Gasbarrini3, Antonio Gasbarrini1
1. Medicina Interna e Gastroenterologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma 2. Medicina D’Urgenza e Pronto Soccorso, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma 3. Fondazione Ricerca in Medicina, Bologna
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do di produrre sostanze che trasformano il fibrinogeno in fibrina, favorendo quindi l’insorgenza di fenomeni di natura tromboembolica a livello della placca. Infine, la capacità del microrganismo di legare il fattore di Von Willembrand e quindi di interagire con L-selectina e P-selectina poste sulla superficie piastrinica, ne favorirebbe l’aggregazione. Peraltro, va ricordata la capacità dell’Helicobacter pylori di aumentare i livelli di HSP-60 e di anticorpi anticardiolipina, noti fattori di rischio per lo sviluppo dell’aterosclerosi (8). A questi meccanismi diretti è necessario aggiungere i risultati ottenuti dai meccanismi di mimetismo molecolare. Il fatto che gli anticorpi diretti contro l’HP possano interagire con simili proteine dell’ospite collocate all’interno della placca aterosclerotica si concilia con il concetto che la sindrome coronarica acuta possa essere scatenata da un trigger che causa una riacutizzazione di uno stato flogistico cronico (9-10). Tra gli eventi cardiovascolari associati all’infezione da HP vi è anche lo stroke ischemico non cardioembolico. Anche per tale patologia si ritiene che i meccanismi implicati siano gli stessi dell’IMA, sebbene alcuni Autori ritengono che la positività per HP si correli con una ridotta mortalità per stroke (11). La preclampsia è un’altra patologia cardiovascolare associata all’infezione da HP. Si tratta di una patologia del trofoblasto, caratterizzata da ipertensione e disordini della coagulazione che colpisce circa 2-7
Tabella 1
HP e malattie extraintestinali
Malattie cardiovascolari
Infarto del miocardio (IMA) Stroke ischemico Ipertensione arteriosa Preclampsia Fenomeno di Raynaud Emicrania con aura
Malattie ematologiche
Anemia sideropenica Porpora trombocitopenica idiopatica
Malattie neurodegenerative
Malattia di Alzheimer Malattia di Parkinson Neuromielite ottica
Malattie respiratorie
Asma allergico
Malattie oftalmologiche
Glaucoma ad angolo aperto
Malattie otorinolaringoiatriche
Carcinoma squamocellulare
Malattie epatobiliari
NAFLD HCV Cirrosi
Malattie del pancreas e del colon
Cancro del pancreas Cancro colorettale
Malattie endocrinometaboliche
Tireopatie Diabete mellito
per cento delle donne gravide ed è una delle maggiori cause di morte maternofetale. Appare interessante osservare come gli anticorpi anti-CagA siano in grado di riconoscere la beta-actina dei trofoblasti, influenzandone negativamente sia la motilità che l’invasività (12-13). Altre interessanti correlazioni sarebbero con l’emicrania con aura, con l’ipertensione arteriosa e con il fenomeno di Raynaud, verosimilmente attraverso il rilascio di fattori vasocostrittori (Figura 1).
Malattie ematologiche w Anemia da deficit di ferro idiopatica È ormai nota l’associazione tra l’infezione da HP e l’anemia da deficit di ferro. Di rilevante importanza la metanalisi del 2010 del gruppo di Marignani che ha evidenziato come l’effetto dell’HP è più evidente nei pazienti con anemia moderata-severa rispetto a quelli con anemia di grado lieve.
Figura 1
Ruolo dell’HP nella formazione della placca aterosclerotica
HP CagA+
PROMOZIONE DELLA PLACCA ATEROSCLEROTICA
Ab anti-CagA
)$*"! +,-'&'., !
Molecular mimicry
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gastroenterologia Figura 2
HP e Anemia da deficit di ferro Utilizzo del ferro per crescita e proliferazione
Riduzione del contenuto intragastrico di vitamina C
Deplezione del pool di ferro
Anemia da deficit di ferro
Microerosioni e sanguinamento cronico
Inoltre, la terapia marziale associata all’eradicazione dell’HP sembra essere più efficace della sola terapia marziale (14-15). I meccanismi eziopatogenetici alla base di tale correlazione sono rappresentati dall’ipocloridria, dalla microperdita di ferro e dall’utilizzo diretto dello stesso da parte dell’HP(16) (Figura 2).
w Porpora trombocitopenica idiopatica (ITP) Si tratta di una malattia autoimmune che colpisce le piastrine. Si ritiene che il ruolo dell’HP sia da imputare ai meccanismi di mimetismo molecolare tra l’antigene CagA dell’HP e una simile proteina piastrinica di 55 KDa espressa solo dai pazienti con la ITP. Questo spiegherebbe perché solo una piccola percentuale di pazienti con infezione da ceppi CagA-positivi di HP sviluppi tale patologia (17). A questi meccanismi andrebbero aggiunti anche alcune alterazioni genetiche che coinvolgono l’espressione dell’allele HLA tipo II.
Malattie neurodegenerative Negli ultimi anni è stata focalizzata l’attenzione su un possibile ruolo dell’Helicobacter pylori in alcune patologie neurologiche cro-
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niche come il morbo di Alzheimer o altri disturbi a oggi di natura idiopatica. Sebbene non tutti gli studi eseguiti hanno mostrato unanimità di risultati, è stata evidenziata una maggiore prevalenza dell’infezione in alcune categorie di patologie, quali la neuromielite ottica, la malattia di Parkinson e il morbo di Alzheimer (8-19-20). I meccanismi patogenetici non sono ancora del tutto noti, sebbene potrebbero essere riconducibili allo stato infiammatorio cronico tipico di tali patologie. Nell’ambito della neuromielite ottica è stato anche ipotizzato un meccanismo di mimetismo molecolare tra le aquaporine AQP4 umane e batteriche. Inoltre alcuni mediatori dell’infiammazione prodotti dall’HP protrebbero causare un’alterazione della barriera ematoencefalica tale da favorire l’ingresso di cellule T e anticorpi anti AQP4 e quindi mantenere il processo neurologico in atto (21). Si ritiene infine che un ulteriore danno provocato dal batterio sia legato alla capacità di causare neuroapoptosi a causa del processo infiammatorio cronico e quindi del rilascio di sostanze proinfiammatorie e vasoattive (22).
Malattie respiratorie Numerose ricerche hanno proposto un
meccanismo di relazione inversa tra l’infezione da HP e l’asma bronchiale allergico. Secondo tali studi vi sarebbe un’alterazione della normale risposta immune TH1 e TH2 tale per cui l’infezione da HP risulterebbe come fattore protettivo nei confronti dell’asma allergico (23-24). Tali risultati potrebbero aprire la via per altri studi condotti su diverse patologie immunoallergiche per le quali mancano ancora informazioni riguardo ai meccanismi patogenetici.
Malattie oftalmologiche Alcuni Autori hanno mostrato un possibile ruolo dell’HP nella patogenesi del glaucoma ad angolo aperto. Uno studio prospettico non randomizzato ha valutato la positività per la sierologia per HP sia a livello ematico che dell’umore acqueo in tre gruppi di pazienti: pazienti con glaucoma ad angolo aperto, pazienti con sindrome pseudoesfoliativa e popolazione di controllo (pazienti con cataratta normotensiva). È stato sorprendente evidenziare come vi sia un elevatissimo livello di anticorpi anti-HP nei pazienti con glaucoma e soprattutto in campioni di biopsie dell’occhio dei pazienti con glaucoma ad angolo aperto. Tuttavia altri studi, effettuati in popolazioni differenti non hanno supportato tali risultati (25).
Malattie otorinolaringoiatriche Sebbene si ritenga che l’HP non sia un comune commensale della flora laringea, alcuni studi condotti su pazienti affetti da carcinoma laringeo squamocellulare hanno evidenziato il riscontro di tale microrganismo nella sede neoplastica, con una prevalenza significativamente maggiore rispetto a quanto riscontrato nei soggetti sani (26-27).
Malattie epatobiliari Studi eseguiti sugli animali e nell’uomo hanno evidenziato un possibile ruolo dell’HP nell’insorgenza di alcune malattie epatobiliari, dalla fibrosi alla cirrosi
epatica con relative complicanze. Recenti studi hanno evidenziato come l’Helicobacter pylori sia maggiormente prevalente nei pazienti affetti da NAFLD (Non Alcoholic Fatty Acid Liver Disease), sebbene non correli con la progressione alla NASH (28). La prevalenza dell’Helicobacter pylori è stata anche valutata in gruppi di pazienti affetti da HCV a diverso stadio della patologia epatica; appare interessante osservare come vi sia un maggiore grado di fibrosi e di attività di flogosi nei pazienti con infezione HCV e HP rispetto a quelli con solo HCV; inoltre, il riscontro di nodularità epatiche sembrerebbe significativamente maggiore nei pazienti con coinfezione (HP e HCV). Si ritiene inoltre che i pazienti con cirrosi epatica ed encefalopatia abbiano una maggiore prevalenza di HP, e che i meccanismi attraverso cui il batterio può determinare alcune alterazioni neurologiche tipiche delle malattie neurodegenerative possano anche essere correlate all’insorgenza dell’encefalopatia epatica attraverso un’alterazione della barriera ematoencefalica (29-30).
Malattie del pancreas e del colon È noto che l’Helicobacter pylori sia un carcinogeno di classe I per quanto riguarda il tumore dello stomaco, ma si ipotizza possa avere un ruolo anche in altri tumori digestivi. Un recente studio di Risch et al. ha riportato un incremento del rischio di acquisizione del tumore del pancreas in pazienti con infezione da HP, ma non in quelli CagA-positivi (31). Più recentemente, alcuni Autori hanno messo in luce una possibile associazione tra la gastrite da HP e il rischio di cancro colorettale (CRC). In particolare, è stata dimostrata un’associazione tra infezione da HP e aumentato rischio di adenoma e adenocarcinoma del colon (OR 1,49; 95 per cento CI 1,30-1,72), così come una più elevata prevalenza dell’HP nei soggetti affetti da CRC (32). Alcuni Autori inoltre, hanno evidenziato il maggiore ruolo dei ceppi CagA-positivi nella formazione dei polipi del colon (33).
Il modello di interazione dell’HP con l’uomo rappresenta un ottimo modello di studio dell’interfaccia tra i batteri che compongono il gut microbiota e l’ospite, sia per quanto riguarda i disturbi digestivi che extradigestivi. Tra i principali meccanismi eziopatogenetici identificati vi è per esempio, la produzione di un basso grado di infiammazione I meccanismi ipotizzati sono sia di tipo diretto attraverso l’interazione con i batteri del gut microbiota e con le cellule del colon, che di tipo indiretto attraverso l’aumentata produzione di gastrina che è direttamente responsabile della crescita delle cellule coliche. Altri fattori di rischio importanti per la crescita di polipi del colon sono rappresentati dalla positività per VacA, HP231, HP305, NapA e HcpC (34).
Malattie endocrine È nota l’associazione tra HP e diabete tipo 2 (DM2), sindrome metabolica e microalbuminuria. Nuove evidenze mostrano inoltre, un ruolo attivo nell’incremento dei livelli di emoglobina glicosilata in pazienti che hanno più di 65 anni di età e nella riduzione dei livelli di insulina e della sensibilità all’insulina nei pazienti con meno di 45 anni di età (35), così come nell’incremento del BMI (indice di massa corporea). Tuttavia non tutti gli studi hanno ottenuto i medesimi risultati sia nell’associazione con il DM2 che con le sue complicanze, quali la nefropatia diabetica (36-37). Infine, alcuni studi hanno riguardato il possibile ruolo svolto dall’HP nelle principali patologie tiroidee, inclusa la tiroidite di Hashimoto; tuttavia, i dati risultano ancora discordanti (38).
Conclusioni Negli ultimi anni, sono state numerose le patologie extraintestinali studiate per una possibile associazione con l’infezione da HP. Per alcune di esse, come l’ITP, l’anemia sideropenica e il deficit di vitamina B12 è già stato riconosciuto il
possibile ruolo concausale svolto dall’HP. Per quanto riguarda le altre, tra le quali ricordiamo le malattie cardiovascolari, neurodegenerative, epatobiliari, del colon e del pancreas i risultati ottenuti sono molto incoraggianti, meritando sicuramente ulteriori approfondimenti.
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gastroenterologia I primi studi di una possibile correlazione tra infezione da HP e malattie cardiovascolari sono comparsi già dai primi anni Novanta. Mendall e coll. in particolare descrissero una più elevata prevalenza dell’infezione da HP nei pazienti affetti da infarto miocardico rispetto a quanto riscontrato nei soggetti sani
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C O NGRESSI XLV Congresso nazionale SIN, 11-14 ottobre – Cagliari
Malattie neurodegenerative L’importanza della diagnosi precoce
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i è da poco conclusa la XLV edizione del Congresso della Società italiana di Neurologia. “Le malattie neurologiche sono in costante aumento, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione”, ha sottolineato il presidente SIN Aldo Quattrone. “In Italia la demenza colpisce un milione di persone, di cui 600mila con malattia di Alzheimer (MA), i malati di Parkinson (MP) sono 200mila, 60mila, in pratica 1/1.000, i malati di sclerosi multipla, mentre i sopravvissuti all’ictus con sequele invalidanti ammontano a quasi un milione”. Certamente sono dati che impressionano e che impongono un cambiamento nel paradigma di gestione delle malattie neurodegenerative, cominciando dalla diagnosi precoce. “Spesso solo intervenendo agli esordi della malattia, con un trattamento precoce si ottiene un forte rallentamento della progressione”, ha puntualizzato il prof. Quattrone. Si sta consolidando sempre più, e in questo i progressi diagnostici
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sono di grande aiuto, l’idea di trattare la malattia neurologica in una fase preclinica, con terapie il più possibile mirate e personalizzate, al fine di rallentare l’evoluzione e la progressione delle disabilità fisiche e cognitive che accomunano le patologie neurodegenerative, dal Parkinson, all’ictus, alla demenza, alla sclerosi multipla. Fino a qualche anno fa, questa poteva sembrare una “mission impossible”, ma la comprensione dei meccanismi patogenetici e l’affinamento delle tecniche diagnostiche e strumentali, sta rendendo sempre più concreta questa strategia. In tema di ictus, sono state presentate le nuove linee guida ISO-SPREAD, che hanno come novità l’estensione della trombolisi ai pazienti ultra80enni, senza limiti di gravità. Sale così il numero di soggetti aventi diritto al trattamento, passando da 10mila a 14mila/anno. Attualmente la trombolisi nel nostro Paese è ancora poco praticata, o comunque i casi in cui viene effettuata sono ben al di sotto di quelli “aventi diritto”. Tale lacuna dipende in parte dal fatto che manca una distribuzione capillare delle Stroke unit, che dovrebbero essere 300, ma ce ne sono 170 e soprattutto al Centro e al Nord. Il divario potrebbe essere superato con la telemedicina, che dà l’opportunità ai PS periferici di avere un consulto neurologico “in diretta” con uno specialista vascolare di una Stroke unit, di un ospedale di riferimento, per la gestione di un paziente che si presenta con ictus. Nell’ambito della prevenzione secondaria dell’ictus, sono state presentate ulteriori conferme sull’efficacia e sicurezza dei nuovi anticoagulanti orali, che nei pazienti con fibrillazione atriale hanno dimostrato un’effetto pari o superiore allo standard warfarin.
Certamente avere la possibilità di individuare precocemente la MP, rappresenterebbe una svolta nella terapia dei pazienti. Per prevenire la MP bisognerebbe effettuare una diagnosi precocissima, o per meglio dire pre-motoria, ancora prima cioè dell’esordio dei sintomi motori. In questa fase infatti potrebbero essere utilizzati farmaci neuroprotettivi in grado di modificare la storia naturale della malattia. Ma come fare? Va posta attenzione a disturbi non tipici della MP, come per esempio il deficit olfattivo, l’agitazione durante il sonno, la depressione, dolori a livello delle grandi articolazioni, l’ipotensione ortostatica. Tra questi, il più significativo è il disturbo comportamentale in sonno REM (caratterizzato da anomalie come urlare, scalciare, tirare pugni), che rientra tra i marcatori più affidabili di malattia. Ampio spazio è stato dedicato anche alle opportunità di diagnosi precoce nell’Alzheimer, addirittura in una fase preclinica. L’individuazione precoce si basa sulle neuroimmagini strutturali (RMN), funzionali (PET con studio del metabolismo cerebrale) e sull’analisi delle proteine coinvolte nella neurodegenerazione mediante PET con traccianti per la beta-amiloide o mediante un dosaggio della stessa e della proteina Tau nel liquor. Diventa così possibile anticipare la diagnosi di anni, portando al costrutto ancora in fase di validazione di MA prodromica, cioè una condizione di deterioramento cognitivo lieve con biomarcatori positivi, ma in assenza di demenza conclamata. La diagnosi precoce permetterebbe di impostare un percorso assistenziale su misura, ma ha insita una problematica non indifferente, di natura etica, relativa alle modalità di comunicazione con il paziente.a
CONGRESSI Meeting annuale AHA, 15-19 novembre – Chicago (Illinois, USA)
Prevenzione dell’ictus
Conferme di efficacia e sicurezza per i nuovi anticoagulanti nei pazienti con FA
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metà dello scorso novembre si è svolto il consueto appuntamento annuale dei cardiologi americani, che si sono riuniti a Chicago in occasione del Congresso dell’American Heart Association. È un evento che si conferma anche quest’anno come un’importante occasione di aggiornamento per la cardiologia. Innanzitutto segnaliamo i risultati di due nuove analisi di dati real life che dimostrano in modo indipendente come la terapia di routine con dabigatran etexilato è associata a un minor numero di casi di emorragia maggiore e ictus rispetto a warfarin. I risultati di entrambi gli studi, riguardanti un totale di oltre 60.000 pazienti con fibrillazione atriale (FA) negli Stati Uniti, confermano il profilo di efficacia e sicurezza di dabigatran, rilevato nel trial clinico RE-LY in vaste popolazioni di pazienti in terapia per la prevenzione dell’ictus, in contesti reali. La prima analisi è stata condotta dal Brigham and Women’s Hospital utilizzando i database di compagnie private di assicurazione sanitaria negli USA, la seconda è stata condotta dal Walter Reed National Military Medical Center sui dati sanitari di militari ottenuti dal database del Ministero della Difesa statunitense. I risultati preliminari rilevati dal Brigham and Women’s Hospital indicano che il trattamento con dabigatran ha comportato una riduzione significativa del 25 per cento dei casi di emorragia maggiore rispetto a warfarin e una riduzione del 23 per cento del numero di ictus. Risultati simili sono stati osservati nel secondo studio, in cui il trattamento con dabigatran è stato associato a un numero
significativamente inferiore di ictus (27 per cento in meno) e di emorragia maggiore (13 per cento in meno, in termini quantitativi), rispetto al trattamento con warfarin. Inoltre, nei pazienti in terapia con dabigatran sono state osservate differenze significative in termini di casi di emorragia maggiore nel tratto gastrointestinale inferiore (30 per cento in più), minori infarti del miocardio (35 per cento in meno) e un aumento significativo della sopravvivenza (36 per cento in più). Uno dei grandi problemi dei nuovi anticoagulanti orali è il fatto di essere privi di un antidoto che ne elimini l’azione in casi di emergenza. Ebbene, sembra ora che per questo problema la soluzione sia molto vicina. Infatti, uno studio progettato per testare un antidoto per il fattore Xa della classe degli inibitori dei nuovi anticoagulanti, ha raggiunto il suo endpoint primario di efficacia. Nello studio ANNEXA-A, andexanet alfa (Portola Pharmaceuticals) ha immediatamente e significativamente invertito l’azione anticoagulante di apixaban. In totale, 33 volontari sani nello studio sono stati trattati con apixaban 5 mg due volte al giorno per quattro giorni e poi randomizzati ad andexanet alfa 400 mg o placebo. Gli antidoti per la nuova generazione di anticoagulanti orali, di cui nessuno è ancora disponibile, sarebbero estremamente utili per la gestione di sanguinamenti altrimenti incontrollati. A differenza di emorragie correlate a warfarin, che possono essere interrotte utilizzando basse dosi di vitamina K1 o un prodotto più recente, quale il concentrato di complesso
protrombinico, non vi sono al momento attuale agenti approvati per invertire sanguinamenti dovuti a inibitori del fattore Xa o contrastare i loro effetti anticoagulanti nel caso di intervento chirurgico di emergenza. Portola sta attualmente testando l’antidoto per altri inibitori del fattore Xa e prevede di comunicare i dati aggiuntivi di studi condotti con andexanet alfa relativi a rivaroxaban ed edoxaban. Cambiando argomento, al Congresso di Chicago sono stati presentati i risultati di uno studio giapponese (JPPP), peraltro contestualmente pubblicato anche su Jama, secondo cui un basso dosaggio di aspirina in prevenzione primaria cardiovascolare non apporta alcun beneficio in pazienti con multipli fattori di rischio, quali per esempio ipertensione, diabete, dislipidemia. I benefici e i rischi associati all’aspirina a basso dosaggio in prevenzione primaria cardiovascolare è un tema controverso e molto discusso, tanto che per esempio l’FDA lo scorso maggio aveva puntualizzato che le evidenze non ne supportano l’impiego in tale contesto. Lo studio JPPP ha coinvolto oltre 14mila pazienti randomizzati a ricevere 100 mg/ die di aspirina o a non riceverla, per un follow up programmato di 6,5 anni. Il trial è stato interrotto precocemente per mancanza di efficacia. L’outcome primario composito era costituito da decesso per cause CV, stroke non fatale e IM non fatale. Come sottolineato dagli Autori, non ci sono state differenze importanti nel tempo tra i due gruppi per quel che riguarda l’endpoint primario, con una riduzione non significativa, dell’ordine del 6 per cento in favore del gruppo aspirina.
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SEGNALAZIONI
I nuovi dispositivi per l’automonitoraggio della glicemia Intervista al dottor Dario Iafusco Dario Iafusco Ricercatore confermato del Centro Regionale di Diabetologia Pediatrica “G.Stoppoloni”; Dipartimento della Donna, del Bambino e della Chirurgia Generale e Specialistica Seconda Università di Napoli, Napoli
Quali sono il significato e l’importanza del controllo glicemico per il paziente con diabete nella gestione della patologia? L’automonitoraggio della glicemia rappresenta la base imprescindibile sulla quale fondare la terapia. Grazie all’autocontrollo, infatti, il paziente impara a interpretare i risultati del monitoraggio glicemico per impostare gli interventi terapeutici volti a migliorarlo. Utilizzare l’autocontrollo per raggiungere un obiettivo glicemico il più vicino possibile alla normalità consente di ridurre il rischio di complicanze acute (ipoglicemia e chetoacidosi) e microangiopatiche croniche (retinopatia, nefropatia e neuropatia). Esistono evidenze molto solide che, almeno per quanto riguarda i pazienti con DT1, sia coloro che sono in terapia insulinica multi iniettiva sia i portatori di microinfusori, raggiungono con maggior facilità un controllo glicemico soddisfacente se praticano almeno 3-4 o più glicemie al giorno. Recentemente la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica ha pubblicato le linee guida per l’autocontrollo del diabete sostenendo che la frequenza della rilevazione delle glicemie deve essere determinata su base individuale tenendo conto del tipo di diabete, dello schema di terapia, della reale necessità di ottenere informazioni sulla glicemia, della capacità di interpretare i risultati per l’adeguamento della dose di insulina, della stabilità del controllo glicemico e della capacità di riconoscere le ipoglicemie.
Quali vantaggi può portare un dato glicemico più accurato e affidabile alla persona affetta da diabete? Proprio per l’importanza strategica del valore ottenuto, i risultati rilevati con il glucometro devono essere i più accurati e precisi possibile, intendendo, per accuratezza, la vicinanza rispetto al valore reale e, per precisione, la ripetibilità del dato. È molto importante, quindi, che i glucometri siano certificati sia per qualità che per affidabilità. Molti fattori possono influire sui risultati. Un aumento dell’ematocrito, che si può avere in caso di disidratazione o nei neonati, può determinare
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una sottostima della glicemia. Anche le variazioni di temperatura e di umidità possono influire: alcuni strumenti necessitano di un periodo di acclimatamento (circa 30 minuti), altrimenti tendono a sottostimare il valore. Infine molti farmaci o principi possono interferire sul dosaggio della glicemia. Il paracetamolo e l’acido ascorbico (vitamina C), possono interferire sui rilievi di glucometri che utilizzano come substrato la glucosio ossidasi, mentre maltosio e maltodestrine presenti, per esempio, nelle soluzioni utilizzate nelle dialisi, influenzano i misuratori che utilizzano la GDH con cofattore PQQ.
Quali sono le novità più rilevanti per i pazienti, introdotte dalle nuove norme ISO 2013? Nel 2013, lo standard UNI ISO 15197 ha individuato come obiettivo di accuratezza per qualsiasi glucometro che il 95 per cento dei risultati dovesse avere uno scostamento dal valore reale di ±15mg/dl per valori di glicemia <100 mg/dl e ±15 per cento dal valore reale per valori di glicemia ≥100 mg/dl. Ciò è molto importante perché è stato dimostrato che soltanto rimanendo strettamente aderenti a tali standard è possibile utilizzare il valore glicemico ottenuto dal paziente per indirizzare specifiche scelte terapeutiche.
I nuovi glucometri collegati agli smartphone moltiplicano le funzioni di un glucometro tradizionale. Questo può influire sulla compliance e sul rapporto medico/paziente? In diabetologia, e in diabetologia pediatrica in particolare, si sente sempre più l’esigenza di creare una comunicazione continua tra paziente e medico. Uno dei sogni della mamma di un bambino con diabete è quello di poter avere il diabetologo in tasca e la “telemedicina” effettuata con smartphone, utilizzando e-mail, sms, mms, Whatsapp, Skype ecc. I reflettometri collegati agli smartphone permettono di inviare i profili glicemici o le singole glicemie direttamente al diabetologo e ottenere consigli, suggerimenti, indirizzi sulla terapia praticata. Questo, ovviamente, migliora la compliance e crea un rapporto più stretto tra medico, paziente e famiglia del paziente. Lo scorso settembre Sanofi ha annunciato di aver completato con esito positivo il percorso di certificazione dei propri dispositivi medici per l’automonitoraggio della glicemia BGStar, iBGStar e MyStar Extra alla luce della nuova norma internazionale ISO 15197:2013, anticipando di due anni il termine previsto, fissato per il 2016. I device sono risultati conformi ai parametri di valutazione più stringenti introdotti dalla norma, che certificano precisione e accuratezza dei sistemi di monitoraggio della glicemia, e ai nuovi criteri relativi agli effetti di ematocrito e interferenti chimici sull’accuratezza stessa.
la nuova versione del sito e n i l n o www.medicoepaziente.it cambia volto!
Il nuovo sito si presenta come una galassia, che ha come centro la figura del Medico di Medicina generale. www.medicoepaziente.it non è un portale generico, e nemmeno la versione elettronica della rivista, ma un aggregatore di contenuti, derivanti da una pluralità di fonti, che possano essere utili al Medico di Medicina generale nel suo lavoro quotidiano.
www.medicoepaziente.it
info@medicoepaziente.it
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nuova opzione per la terapia del melanoma avanzato
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nche in inverno il sole può essere nemico della pelle e quindi è importante proteggersi dai raggi UV anche durante la stagione fredda. Così si evita il rischio di scottature e di sviluppare il melanoma. A ricordarlo sono stati alcuni esperti che si sono riuniti lo scorso 20 novembre a Milano, in occasione della presentazione di un nuovo farmaco per la terapia del melanoma avanzato. Si tratta di dabrafenib disponibile in Italia per il trattamento del melanoma non resecabile chirurgicamente o in metastasi. Dabrafenib è un inibitore del gene BRAF, che codifica per una proteina mutata in un’elevata percentuale di pazienti con tumore. Dabrafenib si lega alla proteina BRAF mutata inibendo l’esito della mutazione BRAF V600 che si osserva in circa il 50 per cento dei casi di melanoma. “Si tratta
di un’opportunità terapeutica di rilievo nella lotta a una forma tumorale che, negli ultimi anni, ha visto sviluppare trattamenti che hanno modificato l’aspettativa di vita dei pazienti con melanoma avanzato” ha spiegato Paola Queirolo, presidente dell’Intergruppo Melanoma Italiano. “Con dabrafenib possiamo parlare di terapia personalizzata e offrire una cura ai pazienti che presentano la mutazione BRAF V600. Ovviamente la prevenzione e la diagnosi precoce del melanoma rimangono presidi fondamentali nella lotta a questo tumore, che appare in continua crescita anche nel nostro Paese”. Il trattamento precoce del melanoma consente di eliminare la lesione, ma quando questa si fa più profonda la disseminazione delle cellule neoplastiche è molto rapida. “È in questi pazienti che può avere significato l’impiego di dabra-
fenib, perchè ci consente di essere ancora più mirati nella scelta del trattamento: oggi sappiamo che ci possiamo aspettare risultati simili nel tempo e sicuramente non inferiori a quelli dell’immunoterapia, che permette di mantenere in vita il 20 per cento dei malati in fase avanzata a 10 anni dalla diagnosi” ha precisato Paolo Ascierto, dell’Istituto Nazionale Tumori di Napoli. Gli studi testimoniano l’efficacia e il buon profilo di sicurezza di dabrafenib per un tumore che fino a qualche anno fa era quasi del tutto intrattabile in caso di metastasi. Lo studio BREAK-2 ha mostrato che il 28 per cento dei pazienti con mutazione BRAF V600E era vivo dopo 2,5 anni. Il 9 per cento sempre nel BREAK-2 e il 10 per cento di quanti hanno ricevuto il farmaco nel BREAK-3 continuano a seguire la terapia senza progressione della malattia.
Nathura
Un rimedio celere e naturale per i disturbi della zona anale
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problemi riguardanti la zona ano-rettale spesso vengono sottovalutati, ignorati e, quindi, trascurati. La motivazione del soffrire in silenzio è quasi sempre la vergogna che si prova nel parlare di questi problemi. I disturbi più frequenti, come emorroidi, ragadi anali o infiammazioni, possono aggravarsi nel tempo, cronicizzare e peggiorare la qualità di vita. In caso di emorroidi, ragadi anali e proctiti un valido aiuto per ridurre i sintomi consiste nel cambiamento della quantità e della consistenza fecale. Per questo, favorire un’alimentazione ad alto contenuto di fibre, completata con l’assunzione di acqua, aiuta la formazione di feci abbondanti e morbide. Le formulazioni per uso topico
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dedicate al trattamento delle emorroidi possono essere farmaci a base di anestetici locali o antinfiammatori, oppure formulazioni naturali, protettive, lubrificanti e lenitive. Celevis® Gel è un dispositivo medico (classe IIb) ideato da Nathura, a base di acido ialuronico ed estratti naturali per il trattamento coadiuvante dei sintomi associati a patologia emorroidaria, ragadi anali e proctiti, quali bruciore, prurito e dolore da sfregamento. L’acido ialuronico, i fattori di crescita del colostro e la frazione triterpenica dell’estratto di Centella asiatica, favoriscono un’azione riparativa e protettiva della mucosa anale e dell’epitelio perianale. L’estratto idroglicerico di Hamamelis vir-
giniana, lenitivo, si inserisce in tale sinergia e contribuisce all’azione eutrofica sul tessuto connettivo del microcircolo e alla modulazione della componente infiammatoria. Gli ambiti di applicazione di Celevis® Gel sono: la patologia emorroidaria, come supporto nel processo di cicatrizzazione delle ragadi anali, nella gestione delle ferite post-chirurgiche, nella lubrificazione della zona ano-rettale per ridurre lo sfregamento durante l’evacuazione. Il prodotto è disponibile in farmacia, in tubo da 30 ml munito di apposito applicatore rettale. Può essere applicato sia esternamente che internamente, non unge, è senza profumo, non contiene parabeni ed è nichel tested.
mundipharma
Terapia del dolore in medicina generale il cammino è ancora lungo
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onostante le molteplici iniziative di formazione e informazione, il trattamento del dolore in Italia nell’ambito della Medicina generale, resta ancora dominato dall’inappropriatezza prescrittiva. A darne conferma sono i risultati di una nuova indagine, che sono stati presentati in un incontro a Milano, lo scorso 9 dicembre. L’indagine, condotta da Doxa Marketing Advice per conto del Centro Studi Mundipharma, ha coinvolto 200 MMG sul territorio, e aveva lo scopo di analizzare le attitudini e i comportamenti adottati dai medici di famiglia nella gestione dei pazienti con dolore, con particolare accento sul grado di consapevolezza delle modifiche intervenute nel quadro normativo (Nota Aifa 66, Legge 38 ecc.) e sulla diffusione degli antidolorifici oppioidi. Ebbene, il quadro che emerge è ben
poco rassicurante. Se da un lato a livello teorico i nostri MMG conoscono molto bene il quadro normativo, dall’altro nella pratica solo 1 medico su 2 vi adegua le proprie prescrizioni. Fino all’85 per cento dei medici conosce la legge 38/2010 e la Nota Aifa 66 che evidenzia le controindicazioni dell’impiego di FANS e coxib nei pazienti con patologie cardiovascolari. Conoscono anche le recenti restrizioni sulle associazioni paracetamolo/codeina, il cui impiego è stato limitato a 72 ore, e il 94 per cento mostra maggiore dimestichezza con gli oppioidi. Nella pratica clinica di routine tuttavia, tali conoscenze non vengono applicate, spesso a causa di resistenze culturali e pregiudizi. I FANS restano ancora i più prescritti (36 per cento), seguiti dagli oppioidi (26 per cento) e dagli antipiretici (22 per cento). Le asso-
ciazioni paracetamolo/codeina vengono prescritte per oltre 3 giorni addirittura dal 90 per cento degli intervistati, in media quasi per 10 giorni. “L’indagine evidenzia come permangano ancora margini di miglioramento sul fronte dell’applicazione delle normative”, ha sottolineato Fiorenzo Corti, della Fimmg. “Occorrono nuovi sforzi per intensificare le attività di formazione a supporto delle cure primarie. Il nostro Paese tende ancora a un impiego eccessivo di FANS, spesso usati anche in presenza di controindicazioni. Esistono valide alternative maneggevoli, efficaci e con minori effetti collaterali, come gli oppiacei. In particolare, le più recenti formulazioni che uniscono all’oppioide ossicodone il suo antagonista naloxone, presentano ulteriori benefici sotto il profilo della sicurezza e della tollerabilità”.
Sanofi Pasteur MSD
Disponibile il primo vaccino contro l’Herpes Zoster
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Herpes Zoster o Fuoco di Sant’Antonio è progressivamente destinato a crescere per l’invecchiamento della popolazione. In Italia, le stime attuali indicano come ne vengano colpite circa 157mila persone. Al di là della fase acuta, l’Herpes Zoster presenta una serie di complicanze che possono essere assai gravi e disabilitanti, fra cui la più temibile è la nevralgia posterpetica. Attualmente non sono disponibili trattamenti medici che possano prevenire l’insorgenza del Fuoco di Sant’Antonio e delle sue complicanze. L’unico modo per prevenirle è attraverso la vaccinazione, oggi possibile grazie al primo vaccino contro l’Herpes Zoster, autorizzato in Europa per l’immunizzazione degli adulti sopra i 50 anni di età, in grado di contrastare la riattivazione e la replicazione del virus Varicella Zoster, riducendo dal 51 al 70 per cento circa il rischio di sviluppare la malattia. La sicurezza e l’efficacia del vaccino sono avvalorate da numerosi studi clinici. Inoltre, la prevenzione vaccinale ha dimostrato di essere favorevole anche in termini di risparmio per il Sistema sanitario. Secondo un’analisi di costo-efficacia realizzata in Italia, l’intervento vaccinale anti-Herpes Zoster risulta essere costo-efficace, consentendo una riduzione sia dei costi diretti (visite, terapie, ospedalizzazioni), che dei costi indiretti della previdenza sociale. In Italia, i costi ammontano complessivamente a oltre 49 milioni di euro l’anno, considerando sia la gestione del Fuoco di Sant’Antonio che della nevralgia posterpetica.
Bracco
Gli 80 anni della vitamina C
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n compleanno davvero speciale quello del Cebion®, che è stato celebrato anche in modo unico. Per ricordare gli 80 anni della sua vitamina C, Bracco ha organizzato una serie di iniziative culturali e scientifiche a Milano e a Roma, che si sono concluse con un grande convegno, lo scorso 21 novembre al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano. All’evento milanese sono stati anche assegnati cinque premi alle tesi di laurea in Farmacia e in Chimica e tecnologie farmaceutiche, dedicate alla vitamina C. I premi sono promossi dalla Fondazione Bracco, nell’ambito del Progetto Diventerò.
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Iniziative
Sentinelle sul fronte Parkinson
Il ruolo del MMG nella diagnosi precoce Diverse le iniziative che sono state presentate in occasione della Giornata Nazionale della Malattia di Parkinson. Le finalità della Giornata sono quelle di migliorare l’assistenza e la qualità di vita degli oltre 200mila italiani affetti da Parkinson A cura di Cesare Peccarisi
I
l 29 novembre la Giornata Nazionale della malattia di Parkinson ha visto coinvolte per la sesta volta le strutture italiane (www.giornataparkinson.it) che si occupano di questa patologia neurodegenerativa, seconda in frequenza solo a quella di Alzheimer. Indetta da LIMPE e DISMOV-SIN, le due principali società scientifiche che si occupano di questa patologia, la Giornata quest’anno si è focalizzata sull’importanza dell’identificazione precoce della malattia, unica strategia al momento possibile per tentare di evitare che alla comparsa dei primi sintomi il danno sia ormai fatto, con il 70 per cento dei neuroni dopaminergici già compromessi. Se i farmaci venissero usati prima tale percentuale si potrebbe ridurre sensibilmente con un’efficace prevenzione o quantomeno ritardando la comparsa della malattia. “Anche se le alterazioni sono inizialmente impercettibili, s’iniziano a riconoscerne i primi segni –afferma il professor Alfredo Berardelli, presiden-
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te della LIMPE- compito che in realtà non è solo nelle mani dei superspecialisti: quest’estate un ampio studio policentrico australo-olandese durato 35 anni ha ad esempio evidenziato che anche la valutazione dei medici di famiglia, la prima cui vanno incontro i pazienti, è altrettanto importante. Quando nella sua pratica clinica il medico di famiglia incontra pazienti che presentano, per più di 2 anni, sintomi come stipsi, disturbi somatici funzionali, iperidrosi o alterazioni del sonno senza una spiegazione eziopatogenetica adeguata, avviarli rapidamente alla valutazione del neurologo anche in assenza della caratteristica triade parkinsoniana di tremore, rigidità e rallentamento motorio, consente di risparmiare anni di malattia”.
lll I marker predittivi di malattia Come può aiutarsi nella diagnosi il medico non specialista? “Un facile biomarker di malattia che può usare ogni medico è il controllo della scrittura –dice Berardelli- tant’è che la micrografia consente il monitoraggio clinico
del decorso di malattia. Anche il calo o la perdita dell’olfatto o i disturbi del sonno REM possono presentarsi con un anticipo rispettivamente di 4 e di 10 anni rispetto alla fenoconversione, cioè l’esordio clinico dei primi sintomi”. La Michael J. Fox Foundation for Parkinson’s Research, la ricca Fondazione creata dall’attore di Ritorno al Futuro colpito da Parkinson giovanile, ha investito già 90 miliardi di dollari in un programma di ricerca specificamente dedicato all’identificazione dei biomarkers di malattia: l’unico centro italiano chiamato a farne parte è quello del prof. Paolo Barone, di Salerno dove si è appena svolto il III° Congresso Congiunto LIMPE/DISMOV-SIN. Il riscontro di precoci alterazioni olfattive è uno dei più promettenti filoni di ricerca: lo studio PARS (Parkinson Associated Risk Syndrome) presentato quest’estate al XVIII Congresso internazionale sul Parkinson di Stoccolma dai ricercatori dell’Institute for Neurodegenerative Disorders di New Haven ha dimostrato che il 46 per cento dei pazienti con iposmia svilupperà entro 4 anni le manifestazioni cliniche della
malattia se presenta anche alterazioni all’esame con DaTSCAN, la scintigrafia cerebrale usata nelle forme clinicamente incerte per rilevare la perdita di terminazioni dopaminergiche nel corpo striato e nella substantia nigra. Altro marker con importanti potenzialità predittive è quello chiamato RBD, acronimo di REM sleep behavior disorder: si è visto che l’80 per cento dei pazienti che lo presentano svilupperà malattia di Parkinson, e ciò rende questo sintomo un importante predittore di malattia. Si parla ormai di iRBD, acronimo di idiopathic rapid eye movement sleep behavior disorder, ma le manifestazioni cliniche del Parkinson sembrano variare a seconda del momento in cui l’RBD ha cominciato a presentarsi, per cui c’è
chi pensa che questa associazione possa essere predittrice di una particolare forma di malattia e chi invece trova che i due disturbi possono svilupparsi insieme e quando ciò accade la malattia di Parkinson presenta una minor responsività ai trattamenti. Anche la cosiddetta RLS, acronimo di resteless legs syndrome cioè sindrome delle gambe senza riposo è un altro marker morfeico di malattia di Parkinson (Tabella 1).
lll Una qualità di vita ancora peggiore Quando i due disturbi, malattia di Parkinson e sindrome delle gambe senza riposo, si associano, la qualità di vita dei pazienti decade del 63,1 per cento
Tabella 1. RBD e RLS a confronto Caratteristiche cliniche
RLS Sindrome delle gambe senza riposo
RBD Disturbo del comportamento nel sonno REM
Cosa fa il paziente?
Scalcia o quantomeno disturba il compagno di letto perché non può tener ferme le gambe per una strana sensazione di fastidio o dolore
Lotta con le belve e i nemici che sogna e inconsapevolmente spintona, scazzotta o butta giù il compagno dal letto
In che periodo della notte si presenta il disturbo?
Nella fase di pre-sonno, quando i muscoli iniziano a rilassarsi, quindi prima di mezzanotte e magari fino alle 2-3 del mattino
Quando arriva la fase di sonno REM in cui si sogna: almeno 2 ore dopo l’addormentamento e spesso nell’ultima parte del sonno, che è più ricca di sonno REM
Compare anche di giorno?
Ogni volta che le gambe restano a lungo ferme e rilassate (ad es. in volo, in macchina ecc.), ma soprattutto verso sera
Solo se ci si addormenta per un tempo abbastanza lungo e si arriva a sognare: ci deve essere un periodo di sonno REM
Colpisce di più gli uomini o le donne?
Soprattutto donne e soprattutto quelle del Nord Europa
Entrambi, anche se c’é una leggera prevalenza maschile
In teoria a qualsiasi età, ma soprattutto intorno ai 30 anni (nei casi familiari) e intorno ai 50
In genere dai 60 anni in poi
Pessima: il paziente non dorme più di 5 ore per notte (per la lunga latenza di addormentamento), con pesanti ricadute sulla qualità di vita diurna anche del compagno di letto
Quando la lotta si fa dura può svegliarsi cadendo dal letto e facendosi anche male. Può urlare, parlare, ridere, ma incredibilmente riferisce una buona qualità del sonno (disturbata è quella del compagno di letto)
A che età si presenta?
Com’è la qualità del sonno?
e oltre alla compromissione cognitiva aumentano i livelli di ansia, inappetenza, emotività, e stigma: lo ha stabilito uno studio policentrico del Karolinska Institutet di Stoccolma e dell’Università di Teheran che a settembre sottolineava come questa associazione sia ancora poco esplorata. La qualità di vita di tutti i pazienti parkinsoniani è comunque compromessa principalmente dall’altalena dei cosiddetti periodi off e periodi on, cioè dalle fluttuazioni di malattia. A rovinare la qualità di vita sono principalmente le fluttuazioni on/off (acceso/ spento) di tipo motorio che affliggono il 33 per cento dei pazienti: gli italiani ne sono i meno colpiti d’Europa (23 per cento), i francesi quelli messi peggio (58 per cento). Se da un lato questi dati sottolineano l’importanza di strategie terapeutiche volte a prevenire o a ritardare la comparsa delle complicanze motorie di tipo on/off o quantomeno quelle volte a una loro più accorta gestione, dall’altro i risultati epidemiologici riportati dallo studio europeo spezzano una lancia a favore della neurologia italiana, visto che i nostri pazienti risultano quelli con una qualità di vita meno compromessa da questo comune problema. Un ulteriore miglioramento della qualità di vita dei pazienti deriverà dall’attivazione del progetto pilota Lombardia e Lazio Home Delivery con numero verde 800131749 che consentirà di ottenere presso il proprio domicilio ricette mediche e farmaci superando i grossi problemi di spostamento che spesso impediscono al parkinsoniano di recarsi dal medico e in farmacia. Con il sostegno di Boehringer Ingelheim il progetto “Home Delivery”, sviluppato in collaborazione con la FarExpress, società che già consegna farmaci nelle farmacie (www.farexepress.it), prevede la distribuzione di cento tessere per la consegna domiciliare dei farmaci da parte dei centri Parkinson delle regioni con città scelte per il grosso bacino d’utenza e che resteranno depositarie dell’iniziativa per tutto l’anno.
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sanitÀ
l Congresso nazionale SIMG
Tante iniziative con un unico obiettivo migliorare l’assistenza sul territorio a oltre 30 visite al giorno – ha sottolineato Gerardo Medea. Un dato in crescita in particolare per i MMG che lavorano nel Sud e nelle Isole. “Ecco perché diventa fondamentale fare rete, comunicare e condividere informazioni aggiornate e avvalorate dall’immensa mole di dati da noi gestiti e originati. Grazie al network possiamo applicare con maggior facilità gli stessi percorsi diagnostico-terapeuticiassistenziali in tutta la Penisola diminuendo i margini di errore e abbattendo così anche i costi”.
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lla fine di novembre, Firenze ha ospitato il 31° Congresso nazionale SIMG. Diversi i progetti che sono stati presentati e che hanno come obiettivo comune quello di migliorare l’assistenza sul territorio e agevolare il lavoro del medico. Primo fra tutti il GPG Network, la prima struttura virtuale dedicata alla medicina generale e accessibile al sito www.gpgnetwork.it. Il network si pone come modalità innnovativa che potrà permettere al medico di condividere informazioni aggiornate sulle modalità di gestione delle principali patologie e sulla loro efficacia clinica ed economica. Il sistema è già utilizzato da circa 3mila medici e consente di scattare una fotografia reale e costantemente aggiornata del management di 4 milioni di malati; un campione che è il più vasto al mondo. “Come risulta dall’ultimo rapporto Health Search, i cui dati sono confrontabili in tempo reale con i valori registrati da GPG Network, il nostro carico di lavoro è aumentato in maniera esponenziale: da 6,6 contatti all’anno per paziente del 2003 a 8,3 del 2011, che equivale
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l Conoscere la depressione Si chiama “Psychè, il progetto che si propone come valido strumento per migliorare la gestione dei pazienti con depressione, patologia “subdola” che nel nostro coplisce oltre 7 milioni di persone, il 12,5 per cento della popolazione. Il malato naturalmente è coinvolto in prima persona, ma lo è anche la sua famiglia per un arco di tempo, che può coprire anche tutta la vita. Infatti, una persona depressa su 3 lo è ancora dopo un anno, una su 10 deve continuare la terapia dopo 5 anni dal primo episodio, oltre la metà avrà una ricaduta nell’arco della sua esistenza. La concomitanza di altre patologie croniche, come ipertensione o diabete, peggiora la qualità di vita. L’impatto della malattia depressiva, e più in generale delle patologie psichiatriche, è tuttora sottovalutato. Nella gestione di questi pazienti, il Medico di Medicina generale ha un ruolo prioritario, ed è proprio in questo contesto che si inserisce “Psychè”. Il progetto si articola in una fase iniziale di formazione di 20 medici
di famiglia della SIMG con interesse in ambito neuropsichiatrico, che a loro volta hanno il compito di formare 500 colleghi, seguito da una fase attuativa a livello locale. In questo modo le conoscenze acquisite verranno utilizzate sul campo nella gestione del paziente con disturbi psichiatrici, rimandando allo specialista nei casi più complessi. Il progetto è partito nel mese di giugno scorso, a settembre e ottobre si sono svolti i primi corsi territoriali da parte dei medici di famiglia precedentemente formati che si protrarranno per tutto il 2015. L’iniziativa, realizzata con il contributo incondizionato di Angelini in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria, “ha l’obiettivo – ha spiegato il vicepresidente SIMG, Ovidio Brignoli– di trasferire ai medici del territorio le conoscenze diagnostiche e terapeutiche per la gestione del paziente con depressione (e disturbo bipolare)”. Nell’ambito del Congresso, ampio spazio è stato dedicato anche all’assistenza del paziente oncologico. Il medico di famiglia è l’unica figura medica con cui il paziente costruisce un rapporto di fiducia che dura nel tempo. Le persone che sopravvivono al cancro sono sempre più: ogni medico segue circa 100 pazienti “guariti”. Per questi non è più sufficiente un modello di assistenza che preveda unicamente la programmazione delle visite di follow up. Va pensato piuttosto un approccio generalista che consideri per ciascuna persona un programma individuale. Perché ogni persona ha bisogni e necessità diverse.
sanitÀ
news
l Solidarietà
Un progetto a favore dei bambini cardiopatici africani
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o scorso giugno è stata posata la prima pietra, e si prevede di terminare la costruzione entro il 2017: si tratta di un centro di Cardiologia pediatrica e Chirurgia cardiovascolare che sta nascendo all’interno dell’ospedale Fann di Dakar. Un progetto ambizioso, che si fonda sulla collaborazione tra IRCCS Policlinico San Donato, l’Associazione Bambini Cardiopatici nel mondo AICI Onlus, e che viene realizzato con il contributo di Daiichi Sankyo. Il Senegal ha una popolazione di 13 milioni di abitanti e il tasso di mortalità infantile è pari al 55,16
‰. Il peso maggiore è rivestito dalle cardiopatie congenite: ogni anno nascono da 800 a 1.000 bambini affetti da cardiopatia congenita complessa, e l’80 per cento di essi muore entro i primi 5 anni di vita. I bambini senegalesi che ora attendono un intervento cardiochirurgico sono circa 30mila. La costruzione della Divisione di cardiochirurgia ha proprio lo scopo di dare una speranza concreta a questi piccoli pazienti, non solo senegalesi, ma anche provenienti da altri Paesi dell’Africa occidentale. La nuova struttura, progettata anche in collaborazione con
l Ricerca
Allo IEO di Milano il futuro sarà della chirurgia robotica?
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n’équipe dello IEO di Milano ha condotto un interessante lavoro per confrontare due diverse tecniche chirurgiche in pazienti con Ca. del colon. Marco Marino e coll., della Divisione di Chirurgia Addomino-pelvica hanno avviato dal 2011, uno studio prospettico randomizzato per confrontare i risultati a breve termine tra gli interventi di resezione anteriore del retto per tumore condotti per via laparoscopica e per via robotica. 98 pazienti sono stati esaminati, divisi equamente tra i due gruppi confrontati in termini di: decorso postoperatorio, durata dell’intervento, perdita ematica, durata dell’ileo postoperatorio, tasso di conversione in chirurgia open, qualità del pezzo anatomico e comparsa di disfunzione sessuale e urinaria. La chirurgia robotica comportava una più precoce ripresa della peristalsi intestinale, migliore qualità del mesoretto con ottimi criteri di radicalità oncologica sebbene la durata degli interventi sia maggiore. Le disfunzioni sessuali e genito-urinarie postprocedura sembra siano transitorie e comunque minori ricorrendo alla tecnica robotica rispetto alla chirurgia laparoscopica.
l’associazione parigina Chaîne de l’Espoir, sarà la più avanzata tra quelle esistenti nei Paesi in via di sviluppo, con due sale operatorie, una sala di emodinamica, un reparto di terapia intensiva da 12 posti letto, l’area di degenza pediatrica da 25 posti letto. Verrà avviato un programma di formazione per il personale medico e infermieristico locale, e saranno organizzate missioni operatorie da chirurghi italiani e stranieri specializzati. Ultimo, ma non per importanza, nei pressi del complesso sorgerà una casa di accoglienza che ospiterà i bambini malati e i loro genitori.
l appello
Esponenti del mondo della ricerca si uniscono contro la chiusura del CNAO di Pavia
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causa della crisi e dei tagli del Governo rischia di chiudere il CNAO - Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica di Pavia, uno tra i più avanzati al mondo (in tutto sono quattro) per la cura dei tumori non operabili e resistenti alla radioterapia tradizionale. Alcuni tra i più autorevoli scienziati italiani, tra cui il premio Nobel Carlo Rubbia, il prossimo direttore del CERN, Fabiola Gianotti e Umberto Veronesi, hanno firmato un appello per salvare il Centro che è stato inviato da Ugo Amaldi, ideatore del CNAO, al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Ministro della Salute e al governatore della Regione Lombardia. Il CNAO si trova in difficoltà e rischia di chiudere con grave danno per le diverse migliaia di pazienti che ogni anno in Italia avrebbero bisogno di un trattamento di adroterapia. Ciò non può lasciare indifferenti i cittadini e le Autorità, soprattutto il Ministero della Salute e la Regione Lombardia, che hanno investito risorse per la creazione di questo centro. I mancati finanziamenti degli ultimi anni, che sono alla radice delle attuali difficoltà, non devono mettere in pericolo le attività di questo fiore all’occhiello del SSN.
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notizie dal web www.vitaminad.it L’ipovitaminosi D si delinea come fattore di rischio nel declino cognitivo senile Negli anziani, la carenza di vitamina D potrebbe essere associata in modo indipendente con un incremento del rischio di declino cognitivo. È quanto emerge da questo studio, recensito sul sito www.vitaminad.it e pubblicato su Neurology (Toffanello ED et al. Neurology 2014; doi: 10.1212/ WNL.0000000000001080), che rientra nel Progetto Veneto Anziani (Pro.V.A). Numerose osservazioni hanno documentato un legame tra la carenza di vitamina D e il rischio di andare incontro a demenza. Questo ampio studio aveva il duplice obiettivo di valutare se una condizione basale di deficit di vitamina D fosse associata con un declino più marcato della funzione cognitiva rispetto alle persone con livelli vitaminici nella norma (25OHD >75 nmol/l) e se la condizione di deficit franco (<50 nmol/l) o di semplice insufficienza vitaminica (50-75 nmol/l) fossero in grado di predire un deficit cognitivo dopo un follow up medio di 4,4 anni in un sottogruppo di anziani senza problemi cognitivi al basale. Sono stati esaminati 1.927 anziani che sono stati sottoposti all’inizio e alla fine dello studio al dosaggio della 25OHD. Per la valutazione cognitiva globale, è stato usato il MMSE: punteggi <24 erano prognostici di disfunzione cognitiva, mentre una riduzione del punteggio MMSE >3 nel corso del follow up era considerata clinicamente significativa. I risultati hanno evidenziato una maggiore probabilità di andare incontro a deficit cognitivo per i soggetti con carenza vitaminica (<50 nmol/l e 50-75 nmol/l) rispetto ai soggetti con livelli di vitamina D nella norma (>75 nmol/l). L’analisi corretta per fattori confondenti ha mostrato che, tra i soggetti con funzione cognitiva intatta al basale, la carenza di vitamina D si associava con un rischio più elevato di insorgenza di declino cognitivo a 4,4 anni rispetto a quanto osservato nei soggetti con livelli di vitamina D nella norma. Il rischio relativo di deficit cognitivo era superiore del 36 per cento (RR=1,36; CI al 95 per cento 1,04-1,80; p=0,02) nei soggetti con deficit franco di vitamina D e del 29 per cento (RR=1,29;CI 95 1,00-1,76; p=0,05) in quelli con insufficienza vitaminica rispetto ai soggetti con livelli nella norma. Gli Autori sottolineano il ruolo dell’ipovitaminosi D nello sviluppo del declino cognitivo. Il prossimo passo sarà quello di valutare le potenzialità preventive di una supplementazione con la vitamina.
www.yukendu.it
Benessere e alimentazione sana in un “click” Non è una dieta, e non prevede l’impiego di particolari integratori e nemmeno l’introduzione di specifici cibi, quanto piuttosto un innovativo metodo che permette di acquisire nuove e sane abitudini di vita. Sul sito www.yukendu.it si possono trovare esaurienti informazioni e consigli per raggiungere il benessere psicofisico, e soprattutto per conoscere questo innovativo metodo. Essenzialmente, l’acquisizione di una sana e bilanciata alimentazione si basa sul coaching. Il coaching è una partnership con il cliente che stimola la riflessione, ispirando il cambiamento e valorizzando le potenzialità di ciascuno di noi. Potenzialità che ci consentono di raggiungere il nostro obiettivo e mantenere il risultato nel tempo.
www.dedicatialdiabete.it Il valore di una corretta alimentazione per vivere il diabete La Dolce Vita diventa 2.0 con due strumenti interattivi sviluppati con la consulenza di specialisti in diabetologia e nutrizione clinica: è online il portale www.dedicatialdiabete.it, ricco di informazioni e linee guida sul corretto stile di vita, mentre in occasione della Giornata Mondiale del Diabete (14 novembre scorso) è stata resa disponibile gratuitamente La Dolce Vita 2.0, applicazione mobile per il monitoraggio del fabbisogno nutrizionale giornaliero. Realizzato grazie al contributo non condizionato di MSD Italia, anche nella versione 2.0 il progetto La Dolce Vita continua a essere frutto della partnership con le associazioni scientifiche ADI e AMD e l’associazione dei pazienti FAND. Nel sito sono a disposizione un ampio ricettario con piatti regionali e una selezione di menù d’autore a basso contenuto di zuccheri e grassi, pensati appositamente per le persone con diabete. Tra i servizi interattivi segnaliamo la sezione “chiedi all’esperto” e la web community alla quale gli utenti registrati possono inviare una propria ricetta pensata per i diabetici.
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