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Dislipidemie la prescrizione di statine in prevenzione CV dipende dall’età Nefrologia il rischio cardiovascolare nel paziente con IRC Meningite otogena inquadramento clinico e opzioni di terapia Epidemiologia i dati dell'ISS sulla diffusione della meningite
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DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
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CLINICA
Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico
> Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
TERAPIA
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sommario In ricordo di Antonio
Immagine di copertina 123RF Archivio Fotografico
Medico e paziente n. 1 anno XLIII - 2017 Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia
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Periodico della M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Tel./Fax 024390952 info@medicoepaziente.it
Direttore Responsabile Antonio Scarfoglio Direttore Commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 Redazione Anastasia Zahova Progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Segreteria di redazione Concetta Accarrino Hanno collaborato a questo numero: Gianluca Bellocchi, Folco Claudi, Nicola Cosentino, Fulvio Mammarella, Giancarlo Marenzi, Valentina Milazzo, Cesare Peccarisi, Claudio Maria Pianura, Melizza Zelli
Una grande passione per la medicina e per l’editoria. Il filo conduttore della storia professionale di Antonio Scarfoglio è tutto in questa grande motivazione e assoluta indipendenza. Con un cognome importante nella storia dell’editoria italiana (era discendente di Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao) Antonio si era costruito in autonomia un’eccezionale competenza e professionalità partendo dalla base, dal lavoro di redattore scientifico, cominciato con il boom dell’editoria medica italiana e proprio alla Edifarm, la casa editrice che nel 1975 ha lanciato Medico e Paziente, di cui molti anni dopo sarebbe diventato direttore ed editore. Colleghi e amici conoscono bene la sua straordinaria capacità di trovare nella sterminata letteratura medica internazionale e dei congressi gli argomenti più interessanti, le tendenze e gli sviluppi più promettenti in tutti i settori della medicina. La sua passione per l’editoria è andata anche oltre. Antonio è stato collaboratore e amico di editori d’arte e cultura, come Vanni Scheiwiller, e ha lavorato a prestigiose collane librarie. Inutile fare un elenco, quello che conta è il suo stile di lavoro mai superficiale, sempre motivato e preciso, come dev’essere quello di un editore di qualità. Uno stile di cui sono eredi naturali la casa editrice fondata da Antonio e la redazione di Medico e Paziente, che intende proseguire anche nel suo nome sulla strada che l’ha portata a essere una delle testate più conosciute e amate dai medici italiani.
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6 letti per voi
p 8
Otorinolaringoiatria La meningite di origine otogena Epidemiologia e inquadramento clinico
La meningite otogena rappresenta una, seppure rara, temibile complicanza dell’otite media. In queste pagine, gli Autori ne descrivono le cause, la sintomatologia e le opzioni di trattamento a cura di Fulvio Mammarella, Melizza Zelli, Claudio Maria Pianura, Gianluca Bellocchi
p 14 Nefrologia
Il paziente con insufficienza renale cronica Inquadramento del rischio cardiovascolare
L’IRC rappresenta una patologia di grande rilievo clinico e identifica una popolazione a rischio cardiovascolare particolarmente elevato. Nei pazienti che ne sono affetti, le scelte di terapia vanno valutate con estrema attenzione a cura di Valentina Milazzo, Nicola Cosentino, Giancarlo Marenzi
MEDICO E PAZIENTE
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Farminforma
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p 20
Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG)
Tra i primi atti del Governo Gentiloni c’è stata la firma del decreto dei tanto attesi Livelli essenziali di assistenza, che sostituiscono quelli in vigore da 15 anni. Si attende ora il completamento dell’iter legislativo per la correzione in corso d’opera di qualche criticità, all’interno di un quadro complessivo unanimemente giudicato positivo
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p 26 assistenza
I nuovi lea Molte luci e poche ombre
a cura di Folco Claudi
p 30 epidemiologia
La DIFFUSIONE della MENINGITE in Italia L’aggiornamento dell’Istituto superiore di sanità
Il Sistema di sorveglianza che si occupa delle meningiti batteriche pubblica periodicamente un rapporto sullo stato dell’infezione nel nostro Paese. Dedichiamo questo servizio a un aggiornamento della situazione a livello nazionale, con gli ultimi dati epidemiologici sull’incidenza e la prevalenza della meningite a cura della Redazione
p 34
segnalibro
Prof. Giuseppe Mancia Direttore Clinica Medica e Dipartimento di Medicina Clinica Università di Milano - Bicocca Ospedale San Gerardo dei Tintori, Monza (Mi) Dott. Alberto Oliveti Medico di famiglia, Ancona, C.d.A. ENPAM
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letti per voi Cardiologia
Per personalizzare la terapia antipertensiva, alla valutazione del rischio di malattia aterosclerotica CV potrebbe essere utile affiancare il calcio coronarico £
La valutazione del rischio di malattia aterosclerotica cardiovascolare (ASCVD) da tempo riveste un tema di grande interesse, in virtù del fatto che possa rappresentare uno strumento importante a disposizione del clinico per guidare, o per meglio dire ottimizzare, l’approccio di trattamento, massimizzando il rapporto beneficio-rischio del singolo paziente. La ricaduta pratica più rilevante di tale strategia sta nell’evitare di esporre a un sovratrattamento chi non lo necessita, e adottare una strada più aggressiva per abbassare i valori di pressione arteriosa (PA) nei soggetti ad alto rischio. Se a questa valutazione aggiungiamo l’imaging del calcio coro-
narico (CAC) si avrebbe un potenziale ancora maggiore di personalizzare il trattamento antipertensivo. Quest’ultima considerazione emerge da un lavoro, in cui si sottolinea come il CAC possa guidare il goal del trattamento per la PA sistolica (PAS; obiettivo tradizionale di 140 mmHg oppure più intenso di 120 mmHg) in particolare tra i soggetti adulti con un rischio ASCVD stimato tra 5 e 15 per cento e pre-ipertensione o ipertensione lieve. Il ruolo del CAC nella valutazione complessiva del rischio CV è ben documentato in letteratura, con dati circa la sua utilità nell’aggiunta di informazioni prognostiche supplementari alle stime derivate dalla valutazione
dei fattori tradizionali. Inoltre, il CAC potrebbe essere impiegato anche come “guida” per la scelta di altre terapie in prevenzione (statine o acido acetilsalicilico), attraverso l’identificazione sia di soggetti che difficilmente possono ottenere un beneficio clinico netto (i pazienti con CAC =0 hanno generalmente bassi valori di rischio assoluto a 10 anni e, di conseguenza, una stima elevata dello NNT), sia di coloro che possono trarre più facilmente beneficio a causa del rischio elevato assoluto (per esempio, CAC > 100). Lo studio aveva l’obiettivo di determinare se il CAC potesse avere un valore aggiuntivo nell’identificazione dei candidati alla prevenzione primaria che hanno maggiori probabilità di beneficiare dall’inizio o dalla titolazione di una terapia antipertensiva a un obiettivo più aggressivo di PAS. Sono stati presi in esame 3.733 soggetti (età media 65 anni) che avevano preso parte al trial MESA e che mostravano valori di PAS nel range 120-179 mmHg. I partecipanti
£ Il trattamento con statine negli USA viene raccomandato a tutti i soggetti >21 anni con C-LDL ≥190 mg/dl, in quanto strategia effiQuali fattori influenzano cace per ridurre la mortalità e i costi associati alle patologie cardiovascolari (CV). Ma quanto effettivamente vengono usati questi farmaci? la prescrizione di statine Una risposta viene dallo studio che ha esaminato i dati provenienti dal registro nazionale USA Explorys. Sono stati inclusi i soggetti di in prevenzione CV: uno studio età 20-75 anni, per i quali vi erano disponibili i valori di C-LDL e le in “real life” valuta il trend prescrizioni di statine dal 1 luglio 2013 al 31 luglio 2016. L’uso di statine è stato definito come l’impiego di qualsiasi statina e a qualsiasi nella popolazione statunitense dosaggio durante il periodo di studio per i pazienti con C-LDL ≥190 mg/dl, per i pazienti con diabete e C-LDL >70 mg/dl e i pazienti con patologia aterosclerotica. Il 3,8 per cento dei 2.884.260 pazienti aveva livelli di C-LDL ≥190 mg/dl. La prescrizione di statine nei soggetti con dislipidemia, in assenza di altri fattori di rischio era del 66 per cento, valore quasi sovrapponibile con quanto riscontrato per i pazienti con diabete o con patologia aterosclerotica. Tra i pazienti con valori molto elevati di C-LDL ovvero >250 o addirittura 300 mg/dl, il 25 per cento non riceveva statine. La prescrizione mostrava un trend in crescita nei casi in cui agli elevati livelli di C-LDL si aggiungevano uno o più fattori di rischio (i valori sono risultati superiori all’80 per cento). Degna di nota è la distribuzione delle prescrizioni in base alle fasce di età. I soggetti più giovani, al di sotto dei 40 anni, ricevevano meno statine: i tassi arrivavano al 32 per cento per i pazienti nella terza decade di vita, al 47 per cento per quelli nella quarta e al 61 per cento in quelli nella quinta. La probabilità che un paziente non venga trattato ed identificato dipende soprattutto dall’età: infatti sotto i 40 anni, solo il 45 per cento ha ricevuto una prescrizione. Osservazione questa che certamente non rema nella direzione della prevenzione delle patologie cardiache, di cui uno dei pilastri è proprio l’identificazione precoce degli individui a rischio e la successiva attuazione di un approccio terapeutico adeguato. Nel caso poi dei soggetti giovani e in assenza di altri fattori di rischio, elevati valori di C-LDL possono essere indicativi di un’ipercolesterolemia familiare, per la quale ancora più è importante individuare i pazienti al fine di poter eventualmente estendere l’analisi anche ai familiari, trattandosi di una condizione genetica.
Dislipidemie
Al-Kindi SG, DeCicco A et al. Jama Cardiology. Published online January 4, 2017
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MEDICO E PAZIENTE
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sono stati suddivisi in classi, in funzione della PAS (120-139 mmHg, 140-159 mmHg, 160-179 mmHg) e della stima del rischio ASCVD a 10 anni. Tra le classi, sono stati confrontati gli HR (hazard ratios) corretti per altre variabili con l’outcome composito di patologia aterosclerotica incidente o scompenso cardiaco, dopo ulteriore stratificazione per CAC (0, 1-100, o >100). È stato poi calcolato lo NTT a 10 anni per un goal intensivo di PAS, applicando il beneficio del trattamento osservato nelle metanalisi ai tassi di eventi nelle classi di CAC. In una mediana di 10,2 anni, sono stati registrati 642 eventi compositi. Tra le persone con rischio ASCVD <15 per cento e PAS 120-139 mmHg, o 140-159 mmHg rispettivamente sono risultati aumentati i valori di HR con CAC 1-100 (1,7 CI 95 1,0-2,6 o 2,0, 1,1-3,8) e CAC >100 (3,0 o 5,7), tutti relativi a CAC =0. Non è emersa alcuna correlazione significativa dal punto di vista statistico tra CAC ed eventi per il range di PAS 160-179 mmHg, indipendentemente dal livello di rischio ASCVD. La stima dello NNT a 10 anni per un obiettivo di SBP di 120 mmHg variava in modo sostanziale in base ai livelli CAC quando la stima di rischio per ASCVD era <15 per cento e la PAS <160 mmHg (per esempio NNT 99 per CAC =0 e 24 per CAC >100 per PAS 120-139 mmHg). Solo pochi partecipanti con valore di rischio ASCVD <5 per cento tuttavia, avevano un CAC elevato. E ancora, le stime dello NNT a 10 anni erano particolarmente basse e variavano meno tra i gruppi CAC quando la PAS era tra 160 e 179 mmHg o quando il rischio stimato di ASCVD era ≥15 per cento a qualsiasi valore di PAS. Gli Autori concludono che il CAC se aggiunto alla stima basata sui tradizionali fattori di rischio per malattia CV potrebbe aiutare a identificare gli individui che trarrebbero maggiori benefici da un trattamento più aggressivo, e dunque ad andare nella direzione di un approccio sempre più personalizzato. McEvoy JW, Martin SS et al. Circulation 2017; 135: 153-65
Pneumologia
Gli eosinofili nel sangue sembrano delinearsi come potenziali biomarcatori nella BPCO, sebbene il loro ruolo predittivo di risposta alla terapia con steroidi sia da approfondire £ La necessità di avvicinarsi sempre più al traguardo della terapia personalizzata spinge la ricerca nell’ambito della BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) a indagare la presenza di potenziali biomarcatori in grado di prevedere la risposta a un dato trattamento. In questa ottica, la conta degli eosinofili sia nel sangue che nell’espettorato, cattura da tempo l’attenzione di clinici e ricercatori. In alcuni lavori per esempio, è stato osservato che un più elevato numero di eosinofili nell’espettorato di pazienti affetti da BPCO sembra predittivo della risposta clinica ai corticosteroidi inalatori (ICS), farmaci frequentemente prescritti per questa patologia al fine di controllare le riacutizzazioni. La conta degli eosinofili nell’espettorato tuttavia non è sempre di facile esecuzione, e pone difficoltà tecniche. Per questo, in tempi più recenti sono stati proposti i livelli degli eosinofili nel sangue periferico come biomarker per guidare la terapia con ICS durante gli episodi di riacutizzazione e selezionare i pazienti che potrebbero beneficiare di questi farmaci. Il lavoro qui presentato è stato condotto per approfondire il potenziale ruolo degli eosinofili nel sangue come biomarcatori e nello specifico, valutare se il loro livello possa essere influenzato dalla terapia con ICS. È stata dunque effettuata un’analisi post hoc nei pazienti steroidinaïve ed è stato effettuato un confronto con lo studio ECLIPSE per valutare le possibili differenze nei livelli di questi granulociti. Il trial era in doppio cieco e a gruppi paralleli, e aveva una durata di 12 settimane. I pazienti steroidi-naïve non avevano utilizzato corticosteroidi per via orale o prodotti contenenti ICS per più di 14 giorni consecutivi nei precedenti 6 mesi o in qualsiasi momento entro 30 giorni dallo screening, e sono stati randomizzati a ricevere trattamenti
senza ICS (salmeterolo o placebo) oppure con ICS (fluticasone propionato + salmeterolo o solo fluticasone propionato). Dei 161 soggetti randomizzati all’inizio, 143 (73 senza ICS e 70 con ICS) hanno completato le 12 settimane di studio. La conta degli eosinofili è stata effettuata al basale, a 6 e a 12 settimane. Il valore mediano della conta degli eosinofili nel sangue al basale era di 200 cellule/μl per i pazienti che ricevevano ICS e di 230 cellule/μl per i pazienti che non ne ricevevano. Nei soggetti del gruppo ICS il cambiamento mediano nella conta dei granulociti era di −30 cellule/μl a 6 e a 12 settimane. Nel gruppo senza ICS, i valori mediani erano di -20 cellule/μl e 10 cellule/μl rispettivamente. La differenza nei cambiamenti è risultata non significativa. Successivamente, questi valori sono stati messi a confronto con quelli ottenuti nello studio ECLIPSE: le differenze significative riguardavano i livelli degli eosinofili del gruppo controllo (soggetti sani) di ECLIPSE rispetto ai livelli dei pazienti con BPCO, trattati o meno con ICS, nei due studi di confronto (p <0,001). Secondo i ricercatori, i risultati mostrano che i trattamenti contenenti corticosteroidi inalatori hanno un modesto effetto sui livelli di eosinofili nel sangue dei pazienti steroidi-naïve. Inoltre, la mancanza di un effetto pronunciato suggerirebbe che la riduzione dei livelli di eosinofili nel sangue periferico di per sé potrebbe non essere un meccanismo di efficacia clinica degli ICS, sebbene queste cellule siano candidate a essere un potenziale biomarker per la riduzione delle riacutizzazioni della patologia con corticosteroidi per via inalatoria e orale. Kreindler JL, Watkins ML et al. BMJ Open Resp Res 2016; 3: e000151; doi: 10.1136/ bmjresp-2016-000151
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Otorinolaringoiatria
La meningite di origine otogena Epidemiologia e inquadramento clinico la meningite otogena rappresenta una, seppure rara, temibile complicanza dell’otite media. In queste pagine, gli autori ne descrivono le cause, la sintomatologia e le opzioni di trattamento
A cura di Fulvio Mammarella, Melizza Zelli, Claudio Maria Pianura, Gianluca Bellocchi UOC Otorinolaringoiatria, Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma
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l possibile coinvolgimento dei distretti intracranici in corso di infezioni dell’orecchio medio è noto e temuto fin dai tempi di Ippocrate per l’elevata mortalità a esso associata. Nessuno “stato”, re inclusi (Federico II di Valois), ne era immune. L’odierna sinergia tra terapia antibiotica e procedure chirurgiche ha marcatamente ridotto la sua incidenza senza tuttavia eradicarla (1). La meningite è un processo infiammatorio a carico delle leptomeningi, caratterizzato da alterazioni anatomo- patologiche del complesso pio- aracnoideo, modificazioni del liquor e peculiare quadro sindromico (Sindrome da interessamento meningeo). Sono classificate come otogene tutte le forme caratterizzate dalla coesistenza di: anamnesi positiva per otite media acuta o cronica, otoscopia positiva, sintomi di irritazione meningea completi o parziali ed evidenza radiologica di interessamento dell’orecchio medio (2). Si ipotizza che addirittura il 22 per cento di tutte le meningiti possa essere di origine otogena (3) o sinusale (4) .
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Eziologia La causa più frequente di meningite otogena è un processo infettivo sostenuto da microrganismi gram positivi, prevalentemente Streptococcus pneumoniae (1). Un’analisi incrociata evidenzia il curioso rapporto inverso tra il numero dei casi e le percentuali di isolamento: aumentando i primi diminuiscono le seconde (Tabella 1). Questo dato troverebbe spiegazione nell’elevato riscontro di pneumococchi in corso di otiti acute, con valori fino al 69 per cento. L’elevata frequenza di presentazione è associata all’identificazione di patogeni a mono (penicilline o macrolide) o multi-resistenza, statisticamente in aumento. Sono inoltre descritti, unicamente in soggetti immunocompromessi, casi da sierotipo 14 o 19. Oltre allo pneumococco sono numerosi i microrganismi gram positivi coinvolti in analoghi processi infettivi: Streptococcus di gruppo A, Streptococcus intermedius (S. milleri), Streptococcus pyogenes, Streptococcus di gruppo D, Streptococcus epidermidis, Stafilococcus e Mycobacterium. Estremamente eterogenea risulta l’eziologia gram negativa: Haemophilus influenzae, secondo patogeno per numero di casi di meningite otogena (3) e di otite media acuta (5), Haemophilus parainfluenzae prevalentemente nei pazienti immunocompromessi, Klebsiella
pneumoniae (talvolta con multiresistenza antibiotica), Bacteroides fragilis (saprofita), Proteus mirabilis e Pseudomonas aeruginosa. Quest’ultimo è addirittura considerato, in un ristretto numero di lavori, il secondo patogeno per eziologia (6) con positività di isolamento del 22 per cento. Di presentazione infrequente sono le forme da Shewanella putrefaciens, Calymmatobacterium granulomatis (o Klebsiella granulomatosis), Fusobacterium o bacilli aspecifici. Per permetterne l’identificazione Barry (7) suggerisce di effettuare sempre colture per anaerobi e bacilli gram negativi . Rare, ma ad alto tasso di mortalità sono le infezioni micotiche a opera di Candida albicans o Aspergillus in soggetti sottoposti a terapia cortisonica prolungata o con immunocompromissione. La diffusione di spore da infiltrazione delle vene otiche per coinvolgimento primario polmonare rappresenta un’ulteriore, ma temibile nuova via di infezione. Cause Lo sviluppo di complicanze in corso di otite è un’evenienza nota con percentuali di presentazione notevolmente variabili dall’1,8 al 31,4 per cento a seconda delle differenti statistiche prese in esame (Tabella 2). Restringendo l’analisi alle sole complicanze intracraniche il range si riduce dallo 0,5 al 4 per cento.
Fattori predisponenti Tabella 1. Relazione
tra casi di meningite otogena e percentuali di isolamento di Streptococcus pneumoniae Autore
Numero di meningiti otogene
% Streptococcus pneumoniae
Geyik
56
12,5
Barry
32
69
Migirov
28
40
Kaftan
15
64
Zernotti
6
100
La meningite otogena rappresenta la prima complicanza intracranica (8) per presentazione in corso di otite media in letteratura o, eccezionalmente, la seconda (dopo ascesso cerebrale) o terza (dopo tromboflebite del seno sigmoideo e ascesso del seno durale) causa per incidenza. Nonostante questo, sono rari i lavori che riportano casistiche superiori ai 30 casi (Tabella 3). Ampiamente dibattuto è il fattore cronologico con evidenze statistiche discordanti a favore di una correlazione con otiti acute, croniche o senza prevalenza. Alcuni Autori attribuiscono l’equivoco all’impossibilità a identificare il focus di infezione primaria. Tra le forme croniche vanno annoverate quelle da barotrauma, pneumocefalo dell’angolo ponto cerebellare, petrosite e sindrome di Gradenigo. È ormai ben nota l’associazione tra meningiti otogene e fistole liquorali, sia di origine traumatica che spontanea, anche della fossa cranica posteriore. Appare opportuno al riguardo segnalare una possibile marcata sottostima diagnostica radiologica, superiore al 50 per cento, di fistole identificabili solo al tavolo operatorio (9). La ricerca di focus otogeno non può pertanto essere esclusa a priori neanche in assenza certa di coinvolgi-
Tabella 2. Riscontro Autore
mento infettivo di una condizione locale predisponente acquisita (posizionamento di impianto cocleare) per la possibile coesistenza di fistola liquorale controlaterale. Numerose ed eterogenee sono inoltre le condizioni predisponenti sia congenite (cavità comune, anomalie di sviluppo della staffa, difetti della base del cranio o deiscenza spontanea bilaterale della base cranio laterale, encefalocele, deiscenza dei canali semicircolari superiori coesistente con encefalocele, sindrome da acquedotto vestibolare allargato, fistola della finestra ovale), che acquisite (erniazione cerebrale, fratture craniche in età infantile o ad andamento trasversale, ferite da corpi penetranti, corpi estranei auricolari), iatrogene intracraniche (da pneumocefalo epidurale cronico post chirurgico) o splancnocraniche in presenza di anomalie congenite, quali la syndrome di Crouzon. Ricordiamo infine come l’assenza di alterazioni anatomiche sia una condizione necessaria, ma non sufficiente a escludere meningiti di origine otogena come il possibile “by-pass” faringeo, in corso di sindrome di Lemierre atipica, o polmonare di processi infettivi. Possibile causa ancora da validare è ipotizzata nella comunicazione tra orecchio medio e midollo emopoietico.
di complicanze
Anni in esame
Casi di otite media
Numero di complicanze
Wu
22
2.346
285 (intra-extra)
Abada
7
824
15 (intra-extra)
Matanda
5
343
108 (intra-extra)
Garap
6
81
40 (intra -extra)
Numerose sono le condizioni predisponenti allo sviluppo di meningiti otogene descritte in letteratura: basso livello socio-economico, vita in zone rurali prive di adeguati servizi medici, ridotto accesso alle cure sanitarie e immunodeficienza acquisita o congenita (B. Bruton) per sviluppo di infezioni opportuniste da Haemophilus parainfluenzae, da sierotipi pneumococcici coperti da vaccinazione (sierotipo 19 o sierotipo 14) o da micosi. A numerosi virus si riconosce invece un ruolo predisponente per alterazione del sistema immunitario (risposta aberrante o immunodepressa): citomegalovirus, enterovirus, Epstein-Barr virus, herpes virus e virus dell’influenza A per attivazione di una risposta proinfiammatoria dell’orecchio medio. A sostegno vi è il riscontro di positività virale con metodica PCR su campioni liquorali nel 29,4 per cento dei casi (10) . Estremamente ampia è la letteratura sulle correlazioni con terapia farmacologica in atto sia convenzionale (cortisonici ritenuti rispettivamente predisponenti, se somministrati per periodi prolungati, o indifferenti, anche se in presenza di cocleostomia) che di nuova introduzione (DMARDs, disease modifying antirheumatic drugs) (11). Analogamente dibattuto è il ruolo degli antibiotici in corso di otite acuta con sostenitori e detrattori per selezione di forme resistenti, possibile non adeguata copertura antimicrobica e ritardo diagnostico da sfumata sintomatologia. Dati epidemiologici Una premessa è doverosa. È difficile identificare dati certi nella letteratura internazionale poiché la maggioranza degli studi fornisce dati spuri sulle “meningiti otogene” includendo sia le forme infettive dell’orecchio medio che le complicanze extra- e intracraniche. Se le statistiche sull’incidenza abbondano divise per età pediatrica (otite media acuta 1,1/100.000, mastoidite 2/100.000 e complicanze otogene intracraniche tra il 2 e il 3 per cento) ed
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Otorinolaringoiatria Tabella 3. Complicanze
riportate in corso di otite media
Anni in esame
Numero di complicanze
Casi di meningiti
Wu
22
285 (intra-extra)
16
Liang
10
78 (intra-extra)
12
Wang
9
60 (intra-extra)
4
Gupta
24
70 (extra)
13
Samuel, 1986
6
224
83
Deric
22
114
-
Modak
10
106
17
Ibrahim
6
87
16
Geyik
10
56
56
Habib
8
36
23
Dubey, 2010
14
32
14
Yorgancilar
11
37
3
Dubey, 2007
14
29
13
Migirov
18
28
13
Bento
6
24
7
Kaftan
18
22
15
Von Westernhagen
-
22
3
Hussain
2
20
8
Samuel, 1985
5
19
2
Sun
14
17
6
Palma
18
17
15
Abada
7
15
9
Autore
età adulta (mastoidite 0,99/100.000, complicanze otogene intracraniche – Italia –0,36-3 per cento, meningite otogena 0,42/100.000 corretta per età o meningite pneumococcica 11,7/1.000 con le relative complicanze intracraniche 0,36 per cento), rare sono quelle sulla prevalenza (Università di Kinshasa sulle otiti croniche e complicanze). Univoca concordanza di pareri si riscontra sull’andamento in riduzione delle complicanze intracraniche otogene sia in adulti che in bambini con prevalenza delle complicanze otogene pediatriche compresa tra il 60 e il 90 per cento nei Paesi in via di sviluppo. La mortalità (Tabella 4) mostra valori compresi tra lo 0 e il 31,2 per cento. Mentre la quasi totalità dei casi si attesta nella fascia “classica” compresa tra il 5 e il 15 per cento (12) solo pochi Autori riportano valori fuori
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range. Geyik (13) riporta il 41 per cento in una casistica di sole meningiti batteriche acute mentre solo due Autori inferiori al 5 per cento: Wu (14) sia con un campione “squilibrato” (98 complicanze intracraniche su 285 totali) che “corretto” per le sole intracraniche rientra nel range, con valore borderline (5,1 per cento) e Migirov (1) l’unico a descrivere assenza di mortalità. Grigor’ev in un’analisi della mortalità da meningite otogena nei pazienti affetti da otite media acuta e cronica descrive rispettivamente percentuali dello 0,95 e 0,5 per cento, compatibile con la percentuale media di complicanze intracraniche otogene (0,5-4 per cento). Restringendo il campo d’indagine alle sole meningiti pneumococciche, la mortalità riportata è 11 per cento (con valori quattro volte maggiori negli adulti), e vicina al 7 per cento per
specifico focus otogeno. Statisticamente l’andamento globale dei decessi da patologie infiammatorie centrali è in calo, come già oggettivava un vecchio lavoro di confronto tra gli anni ‘50 (8,86 per cento) e ‘80 (2,3 per cento). Sebbene sempre meno frequenti, le complicanze otogene intracraniche non sono scomparse (0,36 per cento). La morbidità riportata varia dal 24 al 71 per cento con andamento in diminuzione. Sintomatologia La meningite è una sindrome infiammatoria a carico delle strutture di rivestimento del sistema nervoso centrale (le leptomeningi) caratterizzata da una sintomatologia variegata ed eterogenea. Le frequenze di presentazione singole e associate, riportate in letteratura, sono illustrate nella tabella 5 (15). Alla sintomatologia descritta si associa la combinazione di segni e manovre positive in corso di interessamento meningeo (Brudzinski e Kerning), alterazioni liquorali (rapporto albumina siero/liquor >130) e potenziale interessamento dei nervi cranici. Accademico è sottolineare come il più comune dei sintomi meningei (la cefalea) sia aspecifico e non indicativo di sola meningite potendosi presentare in corso di numerose patologie centrali anche rare quali pneumocefalo, encefalocele oppure otite media cronica complicata da trombosi del seno sigmoideo (inquadrabile secondo la classificazione internazionale delle cefalee con codice 11.4). L’età pediatrica presenta invece come sintomo comune il rialzo termico (16) (Tabella 6). Analogamente a quanto si verifica per la presentazione classica l’obiettività mastoidea (eritema e rigonfiamento retro-auricolare, protrusione del padiglione, positività otoscopica) si manifesta in forma tipica solo nel 48 per cento dei casi (a conferma dell’alto numero di forme atipiche) (2). La diagnostica differenziale deve tenere sempre in considerazione anche patologie a presentazione infrequente: febbre, cefalea e vomito da pneumocefalo dell’angolo pontocerebellare, carcinomatosi meningea, complicanze otogene di altra
Tabella 4. I Autore
dati sulla mortalità
Tipo di complicanze
% di decessi
Kangsanarak
Extra-intra
18
Wanna
Extra-intra
16
Dubey, 2007
Extra-intra
13
Wu
Extra-intra
1,7
Geyik
Intra
41
Miura
Intra
36
Dubey, 2010
Intra
31,2
Ciorba
Intra
5-15
Samuel, 1986
Intra
14
Kaftan
Intra
13,6
Penido
Intra
9
Modak
Intra
6
Barry
Intra
5
Migirov
Intra
0
natura (ascessi) o porpora trombotica trombocitopenica a monito di una possibile clinica meningea anche in assenza di suo coinvolgimento nei soggetti giovani. Sono inoltre descritte forme a clinica simil-stroke (17), con l’ovvia necessaria diagnostica differenziale. La presenza di diffusa rigidità nucale può derivare da un ascesso cerebrale a topodiagnosi sopra-tentoriale. A ulteriore conferma dell’estrema eterogeneità sintomatica si descrivono percentuali di presentazione sfumate sino al 32 per cento, per somministrazione antibiotica precedente alla presa in carico, o addirittura assente, sia
Tabella 5. Sintomatologia associata alla meningite Sintomo
%
Cefalea
87
Febbre
77
Vomito
75
Rigidità nucale
75
Alterazioni SNC
69
Otorrea
50
Triade completa (febbre, rigidità, alterazioni SNC)
44
nelle forme a infezione otogena (otite media silente) che centrale (meningiti asintomatiche). Rare ma possibili possono essere le forme miste da coesistenza di complicanze extra e intracraniche multiple (mastoidite - meningite, trombosi del seno ed empiema, mastoidite - paralisi del VI, meningite e ascesso subdurale), con possibile coinvolgimento bilaterale, ad andamento ricorrente o epidemico. Concludiamo la descrizione con le varianti “a clinica cerebrovascolare” da ischemia cerebrale arteriosa, venosa, pseudo - stroke (afasia secondaria a meningite localizzata), deficit visivi ed emorragia subaracnoidea vera o simulata. Terapia La meningite otogena è una complicanza rara, ma potenzialmente letale. Se vi è univoca concordanza internazionale nella somministrazione di terapia medica antibiotica (rimandiamo alla letteratura specifica per chiarimenti sull’argomento) ancora controverso appare il ruolo della chirurgia con l’assenza di linee guida condivise (18). Scettici alla terapia chirurgica Numerosi Autori descrivono recuperi
con sola terapia antibiotica (19) anche in infezioni sostenute da gram negativi multiresistenti. In età pediatrica l’opzione chirurgica dovrebbe essere posticipata sulla base dell’evoluzione clinica a mezzo di osservazioni brevi (watchful waiting) (20): Korsholm (16) descrive addirittura la totale ininfluenza della terapia chirurgica (mastoidectomia) sull’esito della patologia mentre altri Autori, dichiaratamente non interventisti, ne valutano comunque l’eventuale appropriatezza caso per caso. Favorevoli alla terapia chirurgica L’assenza di linee guida condivise priva la terapia chirurgica di un ruolo “definito” (18) sebbene questa sia ritenuta da molti la principale terapia in presenza di complicanze da otite media cronica (21). L’opzione sarebbe addirittura indicata anche in presenza di complicanze intracraniche asintomatiche; in questa logica il razionale (terapia medica e chirurgica combinata) troverebbe conferma nel minor numero di ricorrenze infettive e decessi osservati (22). Condividendo il valore aggiunto di un approccio operatorio, gli argomenti dibattuti sono tre: tempi, indicazioni e tipo di chirurgia. Tempi: appurato che la prognosi peggiori all’aumentare dell’intervallo tra l’esordio clinico e l’intervento, le procedure vengono suggerite con i più discordanti livelli di celerità: emergenza (entro le 24
Tabella 6. Sintomatologia
associata alla meningite in età pediatrica Sintomo
%
Febbre
100
Rigidità nucale
78
Vomito
78
Alterazioni SNC
71
Positività al segno di Kerning
58
Positività al segno di Brudzinski
58
Convulsioni
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Otorinolaringoiatria ore) sia in adulti che anziani; urgenza anche in caso di unico orecchio udente; appena possibile; posticipata anche oltre le sei settimane. A sostegno di un approccio precoce vi è lo studio di Winkler (9) sul miglioramento dell’indice di Glasgow in due gruppi di pazienti operati (prima o dopo il sesto giorno) e non con un recupero superiore statisticamente significativo solo nel primo gruppo a chirurgia precoce. Indicazioni: possono essere raggruppate per macrocategorie. In base al tipo di patologia: dalla presenza di qualsiasi complicanza otogena (extra-intracranica) inclusi gli ascessi intratemporali, alle sole complicanze intracraniche sia da colesteatoma che da otite cronica, al semplice trattamento della lesione primaria otogena. In base alla clinica: mastoidite acuta anche a timpano chiuso, rapido deterioramento clinico (soprattutto se in corso di terapia antibiotica intratecale o in caso di unico orecchio udente), assenza di miglioramento clinico post-antibiotico, stato di coma. In base ai crieteri radiologici: TC positiva per presenza di lesioni erosive mastoidee con indicazione preventiva in caso di cavità comune e fistola del canale semicircolare superiore. Tipo di chirurgia: la mastoidectomia è la procedura “classica” in presenza di mastoidite acuta, indipendentemente dall’età anagrafica (pazienti anziani) e dalla clinica (mastoidite asintomatica), in presenza di complicanze intracraniche anche asintomatiche, in caso di unico orecchio e di meningite sincrona bilaterale. Le procedure eseguite descritte sono: • mastoidectomia radicale con ampia meatoplastica (in presenza di scarse condizioni socio-economiche o di perdita dell’assistenza sanitaria); • mastoidectomia radicale (in presenza di complicanze intracraniche indipendentemente dalla presenza o meno di colesteatoma o colesteatomi dell’orecchio medio); • mastoidectomia corticale (in presenza di otite non colesteomatosa); • mastoidectomia corticale con ampia
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miringotomia (in caso di complicanze otogene a membrana intatta con eventuale posizionamento di neotuba); • mastoidectomia semplice con drenaggio; • mastoidectomia chiusa successiva a drenaggio transtimpanico; • atticomastoidectomia; • timpanomastoidectomia; • miringotomia semplice; • miringotomia con inserimento di neotuba; • miringotomia con inserimento di neotuba associata o meno a mastoidectomia. In conclusione Sebbene in diminuzione, la meningite otogena resta una complicanza temibile sia per l’alto numero di sequele che di presentazioni atipiche. L’assenza di linee guida chirurgiche condivise contribuisce alle eterogeneità decisionali dei consulenti otologi . Bibliografia 1. Migirov L, Duvdevani S, Kronenberg J. Otogenic intracranial complications: a review of 28 cases. Acta Otolaryngol 2005 Aug; 125(8): 819-22. 2. Palma S, Bovo R, Benatti A, Aimoni C, Rosignoli M, Libanore M, Martini A. Mastoiditis in adults: a 19-year retrospective study. Eur Arch Otorhinolaryngol 2014 May; 271(5): 925-31. 3. Friedl A, Schaad HJ, Sturzenegger M, Caversaccio M. Otogenic meningitis. Praxis (Bern 1994). 1998 Jun 10; 87(24): 839-44. 4. Klossek JM. Diagnosis and management of ENT conditions responsible for acute community acquired bacterial meningitis. Med Mal Infect 2009 Jul-Aug; 39(7-8): 554-9. 5. Penido Nde O, Borin A, Iha LC, Suguri VM, Onishi E, Fukuda Y, Cruz OL. Intracranial complications of otitis media: 15 years of experience in 33 patients. Otolaryngol Head Neck Surg. 2005 Jan; 132(1): 37-42. 6. Leskinen K, Jero J. Complications of acute otitis media in children in southern Finland. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2004 Mar; 68(3): 317-24. 7. Barry B, Delattre J, Vié F, Bedos JP, Géhanno P. Otogenic intracranial infections in adults. Laryngoscope.1999 Mar; 109(3): 483-7. 8. Moscote-Salazar LR, Alcalá-Cerra G, Castellar-Leones SM, Gutiérrez-Paternina JJ. Cerebral artery infarction presented as an unusual complication of acute middle otitis. Rev Med Inst
Mex Seguro Soc 2013 Jul-Aug; 51(4): 460-2. 9. Winkler J, Bogdahn U, Becker G, Durant W, Brunner FX, Eckstein M, Brawanski A, Warmuth M, Mertens HG. Surgical intervention and heparin-anticoagulation improve prognosis of rhinogenic/otogenic and posttraumatic meningitis. Acta Neurol Scand 1994 Apr; 89(4): 293-8. 10. Antoniv VF, Mal’ginova NA, Kovalenko EV, Lebedeva IuA. Viral diseases as a predisposing factor of developing secondary oto- and rhinogenic bacterial meningitis. Vestn Otorinolaringol 2005; (6): 10-3. 11. Killingley B, Carpenter V, Flanagan K, Pasvol G. Pneumococcal meningitis and etanercept-chance or association? J Infect 2005 Aug; 51(2): E49-51. 12. Ciorba A, Berto A, Borgonzoni M, Grasso DL, Martini A. Pneumocephalus and meningitis as a complication of acute otitis media: case report. ACTA oto rhinolaryngologica italica 2007; 27: 87-89. 13. Geyik MF, Kokoglu OF, Hosoglu S, Ayaz C. Acute bacterial meningitis as a complication of otitis media and related mortality factors. Yonsei Med J 2002 Oct; 43(5): 573-8. 14. Wu JF, Jin Z, Yang JM, Liu YH, Duan ML. Extracranial and intracranial complications of otitis media: 22-year clinical experience and analysis. Acta Otolaryngol 2012 Mar; 132(3): 261-5. 15. van de Beek D, de Gans J, Spanjaard L, Weisfelt M, Reitsma JB, Vermeulen M. Clinical features and prognostic factors in adults with bacterial meningitis. New Engl J Med 2004; 351: 1849-1859. 16. Korsholm J, Kristensen RN, Heslop A, Ovesen T. Sequelae and death following pneumococcal meningitis. Ugeskr Laeger 2009 Apr 27; 171(18): 1481-5. 17. Lildal TK, Korsholm J, Ovesen T. Diagnostic challenges in otogenic brain abscesses. Dan Med J 2014 Jun; 61(6): A4849. 18. Slovik Y, Kraus M, Leiberman A, Kaplan DM. Role of surgery in the management of otogenic meningitis. J Laryngol Otol 2007 Sep; 121(9): 897-901. 19. Van Munster MP, Brus F, Mul D. Rare but numerous serious complications of acute otitis media in a young child. BMJ Case Rep 2013 Mar 12; 2013. 20. Nesbit CE, Powers MC. An evidence-based approach to managing acute otitis media. Pediatr Emerg Med Pract 2013 Apr; 10(4): 1-26. 21. Dubey SP, Larawin V. Complications of chronic suppurative otitis media and their management. Laryngoscope 2007 Feb; 117(2): 264-7. 22. Zielinski R, Zakrzewska A. Actual problem of meningitis and other intracranial complications in cases of otitis media and sinusitis in children. Otolaryngol Pol 2012 May-Jun; 66(3): 227-31.
I QUADERNI
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Nefrologia
Il paziente con insufficienza renale cronica
Inquadramento del rischio cardiovascolare L’IRC rappresenta una patologia di grande rilievo clinico e identifica una popolazione a rischio cardiovascolare particolarmente elevato. Nei pazienti che ne sono affetti, le scelte di terapia vanno valutate con estrema attenzione A cura di Valentina Milazzo, Nicola Cosentino, Giancarlo Marenzi
Definizione ed epidemiologia
Centro Cardiologico Monzino IRCCS, Milano
L’IRC è definita come un danno progressivo, irreversibile, del parenchima renale, persistente per almeno tre mesi, caratterizzato da una riduzione del filtrato glomerulare (FG) inferiore a 60 ml/min (3). Viene classificata in cinque stadi di severità sulla base dell’entità della riduzione del filtrato glomerulare (FG) (Tabella 2). La definizione di IRC non deve basarsi quindi soltanto sul valore della creatininemia in quanto questa, spesso, risulta ancora nei limiti della norma anche in presenza di una ridotta funzione renale, in particolare nelle donne e nei soggetti anziani. Nella pratica clinica, il modo più semplice per valutare la funzione renale è quello di stimare il FG con l’applicazione di formule ormai ampiamente validate. La prevalenza dell’insufficienza renale cronica nella popolazione generale è in continua crescita, in parallelo con l’aumento della sopravvivenza della popolazione generale e in rapporto con l’aumentata incidenza di diabete mellito e ipertensione arteriosa. Nell’adulto, un individuo ogni dieci ha
N
elle ultime due decadi, l’attenzione nei confronti del legame tra insufficienza renale cronica (IRC) e malattia cardiovascolare è progressivamente cresciuta. Tale interesse è giustificato dall’aumento negli anni della prevalenza di soggetti con IRC e dalla sempre più evidente associazione tra ridotta funzione renale ed eventi cardiovascolari, non soltanto negli stadi terminali dell’IRC, ma anche nelle sue forme più lievi (1). In particolare, l’IRC comporta una serie di modificazioni metaboliche (fattori di rischio cosiddetti non tradizionali) che, associate ai fattori di rischio più tradizionali (diabete, ipertensione, età avanzata), frequentemente responsabili della disfunzione renale stessa, giustificano l’elevato rischio cardiovascolare dei pazienti con IRC (2) (Tabella 1). Di fatto, l’insufficienza renale cronica è attualmente considerata il principale fattore di rischio cardiovascolare.
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un’IRC di grado almeno moderato, cioè con FG <60 ml/min (3). Insufficienza renale cronica e rischio CV La patologia cardiovascolare costituisce la principale causa di morte nei pazienti affetti da IRC, rappresentando circa il 43 per cento di tutte le cause di morte e più di 1/3 delle cause di ospedalizzazione per i pazienti con IRC di grado avanzato (4). I pazienti con IRC hanno una probabilità venti volte maggiore di morire per cause cardiovascolari prima di raggiungere lo stadio terminale (uremico) della malattia (5) (Figura 1). Negli Stati Uniti, il rapporto annuale relativo al 2009 (USRDS) ha indicato una prevalenza di malattie cardiovascolari nei pazienti con IRC pari al 60 per cento, contro il 6 per cento dei pazienti senza IRC (6). In particolare, il rischio di eventi cardiovascolari cresce esponenzialmente con la riduzione del FG, passando dal 43 per cento nei pazienti con FG compreso tra i 59 e 45 ml/min fino al 343 per cento per quelli con FG al di sotto di 15 ml/
lare. L’IRC è presente in circa il 30-40 per cento dei pazienti con SC, con una maggiore prevalenza nei soggetti anziani (9). Circa il 15 per cento della popolazione con SC cronico presenta valori Fattori tradizionali basali di FG ≤30ml/min, mentre approssimativamente il 40 Età avanzata per cento presenta IRC di grado Sesso maschile moderato (stadio 3) (9). Rispetto Ipertensione arteriosa ai pazienti senza IRC, il rischio Fumo relativo di sviluppare SC è di 1,4 Dislipidemia e 1,7 volte nei pazienti con IRC, Diabete mellito Menopausa rispettivamente di stadio 1-2 e di Sedentarietà stadio 3-5 (5). In uno studio che ha incluso circa 15.000 individui Fattori non tradizionali di età media senza storia di SC, l’incidenza di SC era pari al 5, 9, Alterato metabolismo di calcio e fosforo e 18 per 1.000 persone-anno in Insufficienza renale Albuminuria soggetti con FG ≥90, tra 60 e 89, cronica, ipertrofia Anemia e <60 ml/min, rispettivamente, ventricolare e fibrosi Attivazione del sistema RAA confermando l’importanza della miocardica Aumento di radicali dell’ossigeno Deficit di ossido nitrico IRC nel favorire l’insorgenza di Iper-omocisteinemia SC. Un’incidenza sovrapponibile L’ipertrofia ventricolare sinistra Iperattività del sistema nervoso autonomo è stata riscontrata anche nei pa(IVS) unitamente alla disfunzione Incremento della vasopressina zienti con SC acuto. Nel registro sistolica e/o diastolica del ventriInfiammazione ADHERE, che ha arruolato circa colo sinistro è il principale marStato pro-trombotico 120.000 pazienti con SC acuto, catore di danno cardiovascolare Stress ossidativo il 27 per cento presentava una nei pazienti con IRC. L’incidenza Note: RAA, renina-angiotensina-aldosterone IRC lieve, il 43 moderata e il 13 di IVS aumenta con il progressivo severa (11). declino della funzione renale. Il Oltre a predisporre all’insorgenza 70 per cento circa dei pazienti afdi SC, l’IRC rappresenta anche un rilefetti da IRC in stadio terminale presenta Insufficienza renale cronica vante predittore di prognosi. I pazienti IVS e il 30 per cento insufficienza ven- e scompenso cardiaco con SC e IRC presentano una mortalità tricolare sinistra (7). I meccanismi che contribuiscono alla genesi dell’IVS non L’IRC e lo SC frequentemente coesi- tre volte superiore a quella dei soggetti con SC, ma senza IRC (5). In particolare, sono del tutto chiari; recenti evidenze stono, poiché la diminuzione del FG però attribuiscono un ruolo all’effetto favorisce l’attivazione del sistema reni- la mortalità a un anno dei pazienti con diretto da parte di alcune tossine uremi- na-angiotensina-aldosterone e di quel- IRC in stadio 3-5 e concomitante SC che sul tessuto miocardico (7), oltre che lo nervoso simpatico che a loro volta è del 25 per cento (5). A oggi, numeallo stato ipertensivo, frequente causa contribuiscono al danno cardiovasco- rosi studi hanno confermato il valore e conseguenza di IRC. Inoltre, i pazienti con IRC, soprattutto negli Tabella 2. Classificazione dell’insufficienza renale cronica stadi più avanzati, sviluppano un quadro particolare di fibrosi carStadio Descrizione FG (ml/min) diaca, con localizzazione diffusa 1 Patologia renale (es. proteinuria) >90 intra miocardica (8). L’IVS e la con normale FG fibrosi miocardica predispongo2 IRC lieve 89-60 no all’ischemia miocardica, allo 3 IRC moderata 59-30 scompenso cardiaco (SC) e allo sviluppo di aritmie potenzialmente 4 IRC severa 29-15 maligne, contribuendo a peggiora5 IRC terminale con o senza sintomi uremici <15 o dialisi cronica re la prognosi dei pazienti con IRC Note: IRC, insufficienza renale cronica; FG, filtrato glomerulare e concomitante cardiopatia. min (4). A questo proposito deve essere sottolineato come anche una lieve compromissione della funzione renale (stadio 2) si associa a un significativo aumento del rischio cardiovascolare. Uno studio olandese ha evidenziato che ogni riduzione del FG di 5 ml/ min comporta un aumento del rischio di morte cardiovascolare pari al 26 per cento e che tale associazione si mantiene anche dopo aggiustamento per diversi fattori di rischio tradizionali, quali l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, la dislipidemia e la presenza di presistente cardiopatia.
Tabella 1. Fattori
di rischio associati all’aumentato rischio cardiovascolare nel paziente con insufficienza renale cronica
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Nefrologia Figura 1
Rischio di mortalità totale e cardiovascolare (hazard ratio[HR] con intervalli di confidenza al 95%) in relazione al valore di filtrato glomerulare (FG)
Fonte: modificato da Matsushita K, van der Velde M et al. Lancet 2010; 375: 2073-2081 (5)
prognostico dei marker della funzione renale (FG, creatinina e azotemia) nei pazienti con SC cronico (9) e, in un’analisi condotta su 1.906 pazienti con SC cronico, il FG è risultato essere il più potente predittore di mortalità, superiore alla classe NYHA e alla frazione di eiezione ventricolare sinistra (12). Ciò spiega il motivo per cui le attuali Linee guida europee pongano attenzione alla gestione terapeutica dei pazienti con SC e IRC (Tabella 3) (13). In particolare, i pazienti con SC cronico e IRC presentano frequentemente una ridotta risposta alla terapia diuretica. Quando questa si manifesta, sotto forma di aumento ponderale di circa 2 kg nell’arco di 2-3 giorni, il paziente dovrebbe temporaneamente raddoppiare la dose di diuretico dell’ansa, o aggiungere un diuretico tiazidico (anche se poco efficace negli stadi più avanzati), e moderare ulteriormente l’assunzione di acqua fino al ripristino del peso corporeo basale. Qualora l’aumento progressivo del dosaggio del diuretico dell’ansa non risulti
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efficace, sarà necessario passare alla somministrazione ev, ed eventualmente ricorrere al ricovero ospedaliero. IRC e cardiopatia ischemica Rispetto alla popolazione non affetta da disfunzione renale, i pazienti con IRC sono caratterizzati da una maggiore diffusione e severità della malattia aterosclerotica coronarica con frequente coinvolgimento multivasale, vasi di piccolo calibro e calcificazioni. Studi angiografici suggeriscono che tali reperti possono riscontrarsi in circa il 50 per cento dei pazienti con IRC. L’IRC è presente anche nel 30-40 per cento dei pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA). Nell’analisi aggregata di 4 studi randomizzati condotti in pazienti con SCA, il 41 per cento dei pazienti con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) e il 42 per cento dei pazienti con SCA senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) presentavano IRC (15). Nel
registro GRACE, che ha arruolato più di 11.000 pazienti con SCA, circa il 30 per cento dei pazienti presentava IRC di grado medio (FG compreso tra 30 e 60 ml/min), mentre IRC di grado avanzato (FG <30 ml/min) era presente nel 7 per cento dei pazienti (16). Il legame esistente tra IRC e cardiopatia ischemica ha importanti ripercussioni prognostiche, soprattutto nell’ambito delle SCA, rappresentando un fattore di rischio indipendente di mortalità ischemica a breve e lungo termine, proporzionato alla riduzione del FG, ma anche di rischio emorragico associato essenzialmente all’utilizzo di terapie antitrombotiche. Nel registro GRACE, i pazienti con FG <30 ml/min presentavano la peggior prognosi ospedaliera, con una mortalità del 12 per cento rispetto a quella dei pazienti con FG compreso tra 30 e 60 ml/min (5 per cento) e di quelli con funzione renale normale (1 per cento) (16). In tale registro, a ogni incremento di 1 mg/dl dei valori di creatinina corripsondeva un aumento del rischio di morte ospedaliera di 1,2 volte. Benché i pazienti con IRC più avanzata abbiano un profilo di rischio peggiore, in quanto più frequentemente anziani, affetti da diabete, ipertensione arteriosa, vasculopatia periferica, pregressa storia di infarto miocardico e di SC, e classe Killip più elevata alla presentazione, all’analisi multivariata la presenza di un’alterata funzione renale di grado severo risultava un fattore prognostico sfavorevole indipendente (odds ratio =3,7). Anche in altri studi, come il VALIANT, cha ha arruolato oltre 14.000 pazienti con infarto miocardico e segni clinici o radiologici di SC (18), e GUSTO-IV, che ha arruolato 6.809 pazienti con SCA (19), l’IRC si è rivelata un fattore prognostico rilevante e indipendente di mortalità a breve e lungo termine. Approcci terapeutici che prevedono l’impiego di antiaggreganti, beta-bloccanti ACE-inibitori o sartani e statine sembrano avere benefici analoghi in pazienti con e senza IRC (20-24). Ciò nonostante, i pazienti con IRC ricevono meno frequentemente dei pazienti
senza IRC un trattamento farmacologico ottimale. Questo minore utilizzo di farmaci, così come del resto il minor ricorso alla rivascolarizzazione coronarica, potrebbe derivare dal fatto che i pazienti con IRC hanno una serie di caratteristiche cliniche (età avanzata, depressione della funzione ventricolare sinistra) e comorbilità (diabete, vasculopatia periferica) che inducono a un comportamento meno “aggressivo”. È stato tuttavia dimostrato un sicuro beneficio dei beta-bloccanti e dell’aspirina anche in pazienti con infarto miocardico e IRC grave, per cui il loro ridotto utilizzo appare ingiustificato. Qualche attenzione merita, tra i farmaci beta-bloccanti, l’atenololo, dotato di escrezione renale, la cui dose deve pertanto essere ridotTabella 3. Aspetti
Figura 2
Patologie cardiovascolari associate alla presenza di insufficienza renale cronica
farmacologici in pazienti con insufficienza renale cronica e scompenso cardiaco
Beta-bloccante
Emivita plasmatica
Metabolismo
1-6 ore
epatico
Atenololo
6-7 ore
renale
Bisoprololo
9-12 ore
epatico/renale
Metoprololo
3-7 ore
epatico
Labetalolo
6-8 ore
epatico/renale
Carvedilolo
6 ore
epatico
Nebivololo
10 ore (metabolita 24 ore)
epatico/renale
ACE-inibitore/ARB
Cautela in caso di
Controlli
- Creatinina ≥2,5 mg/dl - FG ≤30 ml/min - potassiemia >5mEq/l N.B. sospendere ACE-inibitore (o ARB) se potassiemia >5,5 mEq/l o creatinina aumenta >100% o il FG si riduce al di sotto di 20 ml/min
Funzione renale ed elettroliti 1–2 settimane dopo inizio o modifica della terapia e successivi controlli ogni 4 mesi
Controindicazioni
Controlli
- creatinina ≥2,5mg/dl - FG ≤30 ml/min - potassiemia >5mmol/l
Funzione renale ed elettroliti 1, 4, 8 e 12 settimane dopo inizio e/o modifica della terapia e quindi ogni 4 mesi
Non-cardio selettivo Propanololo Cardioselettivo
Con proprietà vasodilatatrici
Antagonista del recettore mineral-corticoide
Note: ACE-inibitore, antagonista dell’enzima di conversione dell’angiotensina; ARB, antagonista del recettore dell’angiotensina II; FG, filtrato glomerulare
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Nefrologia ta nei pazienti con IRC grave. Inoltre, diversi studi condotti su pazienti con IRC hanno dimostrato che la terapia ipolipemizzante con pravastatina e atorvastatina è in grado di ridurre gli eventi cardiovascolari; lo studio SHARP ha recentemente dimostrato una riduzione del 17 per cento degli stessi, rispetto al placebo, in pazienti con IRC trattati con simvastatina ed ezetimibe (25). Altrettanto ingiustificato risulta il minore ricorso a un approccio invasivo (coronarografia e rivascolarizzazione coronarica) nei pazienti con SCA e IRC. Infatti, seppur gravato da una più alta incidenza di effetti collaterali (emorragie, insufficienza renale acuta ecc.), la strategia invasiva si associa anche in questi pazienti a una prognosi più favorevole. In particolare, i pazienti con
Il legame tra insufficienza renale cronica e patologie cardiovascolari è da tempo all’attenzione dei clinici. L’interesse deriva dall’osservazione di una aumentata prevalenza di soggetti con IRC e dall’associazione sempre più evidente tra ridotta funzione renale ed eventi CV; associazione che si riscontra anche nelle forme lievi di IRC, e non solo negli stadi terminali infarto miocardico acuto (NSTEMI) e con FG <30 ml/min avviati a un approccio invasivo precoce beneficiano di una riduzione del rischio relativo di mortalità a un anno pari al 34 per cento, rispetto a quelli trattati con la sola terapia medica (24). Un’attenzione particolare merita, infine, la somministrazione dei diversi farmaci antitrombotici per ridurre l’incidenza di eventi ischemici nel paziente nefropatico, anche in considerazione del fatto che l’IRC rappresenta un’importante
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causa di sanguinamento. Nei pazienti con IRC vi è infatti, da un lato una predisposizione alla trombosi dovuta in gran parte a fenomeni correlati a una più accentuata disfunzione endoteliale e ad alterazione del metabolismo a carico della proteina C. D’altro canto, tali pazienti hanno anche una maggiore propensione al sanguinamento, dovuta alla piastrinopatia uremica e ad alterazioni sia dell’aggregabilità piastrinica che dei fattori della coagulazione. Insufficienza renale cronica e fibrillazione atriale La fibrillazione atriale rappresenta un’altra patologia cardiovascolare di estrema diffusione nella popolazione generale. La sua prevalenza aumenta con l’età ed è correlata a una maggiore incidenza di ictus e ospedalizzazioni oltre che a una più elevata mortalità. Numerosi studi hanno evidenziato come la presenza di IRC si associ a una maggiore incidenza di fibrillazione atriale, circa 2-3 volte quella della popolazione generale (27,28). Nei pazienti affetti da IRC severa o in trattamento dialitico, l’incidenza di fibrillazione atriale è 10-20 volte superiore rispetto alla popolazione generale. Ciò è spesso la conseguenza di un quadro ischemico cardiaco o degenerativo a carico di una o più valvole cardiache, alla presenza di severa IVS e d’ipertensione arteriosa. Ma, anche in questo caso entrano in gioco altri meccanismi patogenetici, in aggiunta a quelli tradizionali, in particolare uno stato infiammatorio sistemico che determina un precoce rimodellamento meccanico ed elettrico del tessuto atriale. La presenza di IRC ha importanti ripercussioni sulle scelte terapeutiche relative alla terapia anticoagulante orale nei pazienti con fibrillazione atriale. Le attuali Linee guida cardiologiche sulla fibrillazione atriale raccomandano, infatti, di valutare accuratamente il rapporto tra rischio tromboembolico (più frequente nei pazienti affetti da IRC) e quello emorragico connesso alla terapia anticoagulante. In tal senso, risultano
di particolare aiuto lo score di stima del rischio tromboembolico (CHA2DS2VASC) e quello di stima del rischio emorragico (HAS-BLED), in cui, una delle variabili è rappresentata appunto dalla creatinina (29). In tali pazienti il valore di INR dovrebbe essere monitorizzato più frequentemente, soprattutto nei pazienti dializzati. Siamo ancora in attesa di maggiori evidenze sull’utilizzo dei nuovi anticoagulanti orali nell’ambito della popolazione nefropatica. A oggi, il loro utilizzo è controindicato nei soggetti con FG <30 ml/min, mentre è prevista una diminuzione della posologia per alcuni di questi farmaci nei soggetti con IRC di grado moderato. conclusioni L’IRC rappresenta una patologia di grande rilievo clinico e identifica una popolazione a rischio cardiovascolare particolarmente elevato. In particolare, l’IRC si associa a un rilevante aumento della morbilità e mortalità cardiovascolare (Figura 2). Pertanto, in pazienti affetti da IRC le scelte terapeutiche vanno valutate con estrema attenzione. Tutto ciò richiede una grande consapevolezza da parte del cardiologo nella gestione acuta e cronica del paziente con cardiopatia e associata IRC. È di fondamentale importanza inoltre, la stretta collaborazione con il nefrologo e con il Medico di Medicina generale per il riconoscimento precoce dell’IRC finalizzato al rallentamento della sua progressione attraverso l’ottimizzazione terapeutica, sia in termini di prevenzione primaria che secondaria. BIBLIOGRAFIA 1. Sarnak MJ, Levey AS, Schoolwerth AC et al. Kidney disease as a risk factor for development of cardiovascular disease: A statement from the American Heart Association Councils on Kidney in Cardiovascular Disease, High Blood Pressure Research, Clinical Cardiology, and Epidemiology and Prevention. Circulation 2003; 108; 215469. 2. Tsuruya K, Eriguchi M. Cardiorenal syn-
drome in chronic kidney disease. Curr Opin Nephrol Hypertens 2015; 24: 154-62. 3. Stevens LA, Coresh J, Greene T et al. Assessing kidney function-measured and estimated glomerular filtration rate. N Engl J Med 2006; 354: 2473-83. 4. Go AS, Chertow GM, Fan D et al. Chronic kidney disease and the risks of death, cardiovascular events, and hospitalisation. N Engl J Med 2004; 351: 1296-1305. 5. Matsushita K, van der Velde M et al. Association of estimated glomerular filtration rate and albuminuria with all-cause and cardiovascular mortality in general population cohorts: a collaborative meta-analysis. Lancet 2010; 375: 2073-2081. 6. Chronic kidney disease identified in the claims data. 2009 Annual Data Report, United States Renal Data System. Available at http://www.usrds.org/ 7. McIntyre CW, Burton JO, Selby NM et al. Hemodialysis induced cardiac dysfunction is associated with an acute reduction in global and segmental myocardial blood flow. CJASN 2008; 3: 19-26. 8. Mall G, Huther W, Schneider J et al. Diffuse intermyocardiocytic fibrosis in uraemic patients. Nephrology, dialysis, transplantation: official publication of the European Dialysis and Transplant Association. European Renal Association 1990; 5: 39-44. 9. Metra M, Cotter G, Gheorghiade M et al. The role of the kidney in heart failure. Eur Heart J 2012; 33: 2135-42. 10. Kottgen A, Russell SD, Loehr LR et al. Reduced kidney function as a risk factor for incident heart failure: the Atheroscleroosis Risk in Communities (ARIC) study. J Am Soc Nephrol 2007; 18: 1307-15. 11. Heywood JT , Fonarow GC, Costanzo MR et al. High Prevalence of Renal Dysfunction and Its Impact on Outcome in 118,465 Patients Hospitalized With Acute Decompensated Heart Failure: A Report From the ADHERE Database. J Card Fail 2007; 13: 422-30. 12. Hillege HL, Girbes AR, de Kam PJ et al. Renal function, neurohormonal activation, and survival in patients with chronic heart failure. Circulation 2000; 102: 203-10. 13. McMurray JJ, Adamopoulos S, Anker SD et al. ESC Guidelines for the diagnosis
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Novartis
Asma allergico grave: il primo biologico omalizumab compie 10 anni
È
la molecola che ha aperto la strada alla terapia biologica nei pazienti affetti da asma allergico grave (AAG), e oggi a 10 anni dalla sua introduzione i dati in real life ne confermano l’efficacia e la tollerabilità. Il farmaco in questione è omalizumab, un anticorpo monoclonale anti-IgE, che si colloca come scelta centrale nel trattamento dei pazienti che non rispondono alle terapie standard. Se ne è parlato in occasione di un incontro a Roma, che si è tenuto lo scorso 21 dicembre 2016. L’asma allergico grave è una patologia complessa, contraddistinta dall’iperproduzione di IgE in risposta agli allergeni ambientali. Il controllo della patologia deve essere l’obiettivo della strategia terapeutica, come raccomandato dalle linee guida GINA, al fine di ridurre le riacutizzazioni, le ospedalizzazioni e migliorare così la qualità di vita del paziente. “Le IgE hanno un ruolo molto importante nell’AAG, in quanto sono capaci di influenzare la funzione e di conseguenza l’attività di molte cellule comunque coinvolte nella patogenesi della malattia asmatica”, ha sottolineato all’incontro Andrea Matucci, dell’AOU Careggi di Firenze. “Il futuro del trattamento delle forme gravi di asma è affidato alle terapie biologiche che permettono di ottenere una migliore gestione della malattia e una
medicina per così dire personalizzata. Omalizumab è l’esempio di farmaco biologico diretto su un bersaglio preciso, in questo caso le IgE”. Oggi disponiamo dell’esperienza di un decennio in real life che ci mostra l’impatto positivo del farmaco nei pazienti non controllati dalle terapie standard. Girolamo Pelaia, dell’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, ha illustrato i principali risultati. “Nella real life dei pazienti affetti da AAG non adeguatamente controllato dalle terapie standard, omalizumab agisce soprattutto riducendo drasticamente l’insorgenza, la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni asmatiche. Inoltre questo efficace farmaco biologico attenua significativamente i quotidiani sintomi respiratori diurni e soprattutto notturni, migliora la funzione respiratoria e consente di diminuire notevolmente, e in molti casi di interrompere, l’utilizzo di cortisonici per via orale che si rende frequentemente necessario per il trattamento delle esacerbazioni dell’asma, con conseguente insorgenza dei noti effetti collaterali indesiderati della terapia corticosteroidea sistemica. Le azioni terapeutiche di omalizumab si traducono globalmente in un notevole miglioramento dello stato di salute e della qualità di vita dei pazienti asmatici”.
Chiesi
Bayer
Un libro per conoscere la BPCO
Progressi nella terapia dell’emofilia
S
L’
e ne parla da tempo, con campagne di sensibilizzazione a tutti i livelli. Ciononostante la BPCO resta una patologia misconosciuta e sottodiagnosticata, pur essendo “classificata” come emergenza sanitaria. Possiamo citare un dato esemplificativo: secondo le stime il 60 per cento dei malati di BPCO non sa di esserlo! Unire tutte le forze, dai medici alle istituzioni alle associazioni dei pazienti, è quanto mai prioritario per far fronte all’emergenza. Ecco perché è meritevole di attenzione il progetto editoriale “BPCO, se la conosci la curi meglio. Viaggio nel pianeta di una malattia misconosciuta”. Il volume edito da Galileo Servizi Editoriali, nasce da un’idea di Claudio Barnini, giornalista AGIR e Autore della pubblicazione. La prefazione è affidata a Gian Maria Fara, presidente di Eurispes. Il progetto è stato realizzato con il supporto di Chiesi Farmaceutici e ha l’obiettivo di favorire un dialogo costruttivo sulla BPCO attraverso testimonianze di pazienti, novità medico-scientifiche, analisi farmaco-economiche, propositi ed esperienze di intervento e di gestione.
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emofilia è una patologia rara che colpisce circa 400mila persone nel mondo. La forma più comune è l’emofilia A, che si caratterizza per l’assenza o la presenza in quantità ridotta del fattore VIII della coagulazione. In Europa le persone affette sono approssimativamente 30mila, in Italia si stimano 3.779 malati. Gli emofilici sono esposti a un elevato rischio di eventi emorragici gravi, in particolare a livello delle articolazioni. Il trattamento più comune è la terapia sostitutiva di profilassi oppure on demand, che consiste nell’infusione del fattore della coagulazione carente. In particolare, la strategia di profilassi con 2-3 infusioni settimanali di Bay 81-8973 (octocog alfa), fattore VIII ricombinante non modificato, a catena intera, ha dimostrato nei pazienti giovani di ridurre dell’84 per cento il rischio di danno articolare rispetto al trattamento al bisogno. È importante sottolineare che l’emofilico in trattamento ha una condizione di vita normale. Nel nostro Paese octocog alfa è disponibile in classe Cnn (non negoziata) per il trattamento dell’emofilia A nei pazienti di tutte le fasce di età.
MSD
Carcinoma polmonare metastatico Con pembrolizumab una svolta nella terapia
L
o scorso primo febbraio la Commissione Europea ha approvato pembrolizumab per il trattamento in prima linea del carcinoma polmonare metastatico non a piccole cellule (NSCLC) in pazienti adulti i cui tumori esprimano alti livelli di PD-L1 (tumor proportion score [TPS] ≥50 per cento) e che non abbiano mutazioni EGFR o ALK. È un grande passo in avanti nella lotta a questo tumore: per la prima volta, pazienti non eleggibili per una terapia a bersaglio molecolare hanno manifestato un vantaggio in termini di sopravvivenza, con una riduzione del rischio di decesso del 40 per cento, a seguito di un regime di terapia diverso dalla chemio tradizionale. Sono questi i risultati dello studio di fase 3, che hanno portato all’approvazione di pembrolizumab. KEYNOTE-024 è un trial randomizzato in aperto che ha valutato pembrolizumab in monoterapia alla dose fissa di 200 mg rispetto all’attuale standard di che-
mioterapia a base di platino. Vi hanno preso parte 305 soggetti mai trattati con chemioterapia per le metastasi e i cui tumori esprimevano alti livelli di PD-L1, in assenza di mutazioni EGFR o ALK. Endpoint primario era la progressione libera da malattia, ma sono stati anche valutati la sopravvivenza globale e il tasso di risposta obiettiva. Pembrolizumab ha ridotto il rischio di progressione di malattia del 50 per cento rispetto alla chemioterapia (p <0,001), e la sopravvivenza libera da progressione mediana è stata di 10,3 mesi vs 6. A 6 e a 12 mesi erano ancora vivi e senza segni di progressione di malattia, rispettivamente, il 62 e il 48 per cento dei pazienti trattati con pembrolizumab rispetto al 50 e al 15 per cento dei soggetti in chemioterapia. La riduzione del rischio di decesso è stata del 40 per cento (p =0,005), risultato che include i 66 pazienti nel braccio chemioterapia che, durante lo studio,
sono passati a pembrolizumab a causa della progressione di malattia. Il tasso di sopravvivenza globale a 12 mesi è stato del 70 per cento rispetto al 54 per cento dei pazienti in chemioterapia. Infine il tasso di risposta obiettiva è stato del 45 per cento nei pazienti in trattamento con pembrolizumab, inclusa una risposta completa. Le reazioni avverse più frequentemente osservate (≥10 per cento) con pembrolizumab sono state fatigue, rash, prurito, diarrea, nausea e artralgia. La maggior parte delle reazioni avverse (immuno-relate o reazioni severe collegate all’infusione) è stata di grado 1 e 2. Pembrolizumab dunque, offre una prospettiva per i pazienti non candidabili a terapie a bersaglio molecolare, delineandosi come una valida alternativa alla chemioterapia tradizionale, gravata come noto da effetti avversi incisivi. Ora si attendono le decisioni dell’Aifa, per l’iter di approvazione nel nostro Paese.
Gilead
La Commissione europea approva un nuovo trattamento per l’epatite B cronica
U
na nuova opportunità di trattamento è disponibile per i pazienti affetti da epatite cronica B (HBV), infezione con cui convivono 13 milioni di europei. La Commissione europea ha dato l’ok alla commercializzazione di tenofovir alafenamide (TAF) 25 mg, per il trattamento degli adulti e degli adolescenti dai 12 anni in su, e con peso corporeo di almeno 35 kg. TAF (Vemlidy®) è un nuovo profarmaco mirato del tenofovir che ha dimostrato un’efficacia antivirale simile a quella di disoproxil fumarato (TDF) 245 mg, ma a un decimo del dosaggio. I dati mostrano che TAF, poiché vanta una maggiore stabilità plasmatica e permette di rilasciare in modo più efficiente tenofovir negli epatociti rispetto a TDF, può essere somministrato a un dosaggio più basso, con una minore concentrazione plasmatica di tenofovir. Grazie a una ridotta esposizione a
tenofovir, nel corso degli studi clinici TAF è stato associato a un miglioramento dei parametri di sicurezza renale e ossea rispetto a TDF. Migliorare la sicurezza è fondamentale: il progressivo invecchiamento dei pazienti che convivono con questa patologia rende complesso il trattamento, e TAF bene si inserisce per rispondere a questa esigenza. Negli studi clinici registrativi TAF ha dimostrato la non inferiorità in termini di efficacia rispetto allo “standard” TDF, ed è risultato inoltre sovrapponibile sul piano della tollerabilità, con percentuali simili di soggetti che hanno abbandonato il trattamento a seguito di eventi avversi. Il dosaggio di TAF è 1 compressa/die. Per informazioni sulla sicurezza, sullo schema di trattamento e sulle modalità di somministrazione, è possibile consultare la scheda del prodotto disponibile on line sul sito dell’Ema.
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Amgen
LB LYOpharm
Una nuova linea di prodotti che aiuta a restare attivi anche in età avanzata
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a perdita di tono delle fibre muscolari è un’evenienza di frequente riscontro nella popolazione anziana, ed è sostanzialmente attribuibile all’alterazione della sintesi delle proteine muscolari, che tipicamente si osserva con l’invecchiamento. L’alimentazione ha un ruolo principe per mantenere la “vitalità” dei muscoli. Un corretto apporto in termini quantitativi e qualitativi di proteine, vitamine, sali minerali e uno stile di vita attivo sono presupposti essenziali per il mantenimento della propria massa muscolare e per ritrovare forza e vitalità. Tuttavia i dati del Ministero della Salute indicano come circa il 10 per cento degli anziani soffra di malnutrizione; diversi possono essere i fattori implicati: per esempio, inappetenza, difficoltà a preparare alcuni cibi, elevato costo di alcuni alimenti, ma anche difficoltà di masticazione, di deglutizione, o anche semplicemente la poca appetibilità dei prodotti presenti sul mercato. Al riguardo segnaliamo la linea NutraLYO®, ideata per rispondere sia in termini di efficacia che di gusto alle esigenze nutrizionali e alimentari della popolazione anziana. La gamma di integratori alimentari liofilizzati, ad alto contenuto proteico, con vitamine e sali minerali, associa in un solo prodotto l’efficacia dell’integrazione al gusto e alla naturalità dell’alimento. La linea contiene proteine di siero di latte italiano, non idrolizzate, altamente purificate, con un alto valore biologico e senza caseina che la differenziano in termini di efficacia rispetto alle attuali proposte, con formule proteiche basate su proteine di latte e/o di soia. La liofilizzazione permette di mantenere inalterate le proprietà degli ingredienti senza l’uso di conservanti, e le materie prime alimentari (frutta, verdura, yogurt) sono di alta qualità, prive di coloranti e coadiuvanti chimici. Ciò fa sì che una volta ricostituito in acqua, il prodotto NutraLYO® restituisca il gusto e il sapore dell’alimento fresco di cui sono state conservate inalterate le caratteristiche organolettiche. La linea (reperibile in farmacia) è composta da vellutate, bevande e yogurt facili e veloci da preparare, che si possono consumare in ogni momento della giornata.
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Evolocumab è efficace anche sul rischio CV
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volocumab, anticorpo monoclonale completamente umano, inibitore di PCSK9, oltre agli effetti sulla placca aterosclerotica, è in grado di ridurre gli eventi cardiovascolari persino in una popolazione di pazienti già in terapia con statine. In estrema sintesi sono questi i risultati dello studio Fourier, anticipati ai primi di febbraio, ma che saranno oggetto di una presentazione dedicata al prossimo congresso dell’American College of Cardiology che si terrà a marzo. Lo studio Fourier è un trial clinico multinazionale di fase III randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, disegnato per valutare se evolocumab (Repatha®), in combinazione con la terapia statinica in confronto a placebo associato a statine, riducesse gli eventi CV. L’endpoint primario è il tempo alla morte per cause CV, IM, ictus, ospedalizzazione per angina instabile o rivascolarizzazione coronarica. Erano eleggibili i pazienti con ipercolesterolemia (C-LDL ≥70 mg/dl o nonHDL-C ≥100 mg/dl) e patologia aterosclerotica clinicamente evidente. I partecipanti sono stati randomizzati a evolocumab s.c. 140 mg ogni due settimane o di 420 mg una volta al mese, in aggiunta a una dose efficace di statina, oppure a placebo associato a una dose efficace di statina.
Fondazione italiana continenza
Incontinenza urinaria Una condizione avvolta nel silenzio
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n Italia colpisce oltre 5 milioni di persone, per lo più donne, ma di incontinenza urinaria poco si parla. Nonostante la sua rilevanza sociale ed economico-assistenziale, questa condizione rappresenta un tabù e sono pochissime le persone che la conoscono. Portare all’attenzione di tutti, dalla popolazione generale alle istituzioni alla comunità scientifica l’incontinenza urinaria è uno degli obiettivi che da anni persegue la Fondazione italiana continenza (www.contenuti-web.com), che di recente ha realizzato una ricerca sull’impatto economico e sociale. Emerge in estrema sintesi che la sola incontinenza femminile in Italia genera costi dell’ordine dei 3,3 miliardi di euro per anno, valore al quale chiaramente si deve aggiungere quello relativo alla popolazione maschile. Un primo passo per arginare la “voce” costi potrebbe essere quello di ridurre i tempi tra l’insorgenza dei primi sintomi e l’avvio al percorso diagnostico terapeutico. Un modello efficace in tal senso è quello proposto dalla Fondazione che consiste nella creazione di una rete di centri, che aiutino le persone a trovare il giusto approccio di cura in tempi brevi e nello stesso tempo permettano di (ri)organizzare le risorse esistenti al fine di creare un equilibrio tra accessibilità e sostenibilità economica. La scarsa informazione resta comunque il maggiore degli ostacoli da superare, se si vuole garantire un’assistenza appropriata e qualificata alle persone che soffrono di incontinenza urinaria.
la nuova versione del sito e n i l n o www.medicoepaziente.it cambia volto!
Il nuovo sito si presenta come una galassia, che ha come centro la figura del Medico di Medicina generale. www.medicoepaziente.it non è un portale generico, e nemmeno la versione elettronica della rivista, ma un aggregatore di contenuti, derivanti da una pluralità di fonti, che possano essere utili al Medico di Medicina generale nel suo lavoro quotidiano.
www.medicoepaziente.it
info@medicoepaziente.it
Assistenza
I nuovi LEA
Molte luci e poche ombre
Tra i primi atti del Governo Gentiloni c’è stata la firma del
lll I nuovi nomenclatori
decreto dei tanto attesi Livelli essenziali di assistenza, che
Per quanto riguarda la specialistica ambulatoriale e l’assistenza protesica, il Dpcm riporta tutte le prestazioni erogabili in liste o, in termini più tecnici, nomenclatori. È questa probabilmente la parte del Dpcm in cui sono evidenti i “segni del tempo”, per così dire: molte prestazioni incluse nei vecchi Lea sono ora decadute in quanto obsolete, mentre sono entrate nuove prestazioni ad alto contenuto tecnologico. Da segnalare che alcune procedure diagnostiche e terapeutiche che fino a pochi anni fa erano eseguibili solo in regime di ricovero perché in uno stadio di sviluppo poco più che sperimentale, attualmente sono diventate di routine nella pratica clinica e di conseguenza possono essere erogate in ambito ambulatoriale. Un processo di aggiornamento tecnologico simile si osserva nei nomenclatori per l’assistenza protesica. Sono infatti entrati in lista molti dispositivi innovativi progettati per l’autonomia dei soggetti disabili, così come i supporti informatici per le persone con capacità comunicative molto ridotte.
sostituiscono quelli in vigore da 15 anni. Si attende ora il completamento dell’iter legislativo per la correzione in corso d’opera di qualche criticità, all’interno di un quadro complessivo unanimemente giudicato positivo
A cura di Folco Claudi
M
anca ancora l’avallo della Corte dei Conti e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma i nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) sono ormai in dirittura di arrivo: il premier Gentiloni ha infatti firmato il 13 gennaio scorso il nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm), che sostituisce integralmente quello del 29 novembre 2001 e i numerosi altri provvedimenti attualmente in vigore. Le novità, 15 anni dopo l’ultimo aggiornamento, sono molte, e hanno avuto una grande risonanza su giornali e TV, in particolare per l’estensione del “paniere” di prestazioni garantite: piano vaccini, procreazione medicalmente assistita, protesi, esami genetici, 110 nuove malattie rare, sei nuove malattie croniche, nuovi percorsi di diagnosi e cura per i disturbi dello spettro autistico, solo per citarne alcune. Ma c’è da sottolineare anche un mutamento di prospettiva. “Mentre il precedente decreto aveva un carattere sostanzialmente ricognitivo” – si legge nella Relazione illustrativa del Ministero della salute – “e si limitava, per la maggior parte dei sottolivelli, a
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una descrizione generica, rinviando agli atti normativi vigenti alla data della sua emanazione, l’attuale provvedimento ha carattere effettivamente costitutivo, proponendosi come la fonte primaria per la definizione delle ‘attività, dei servizi e delle prestazioni’ garantite ai cittadini con le risorse pubbliche messe a disposizione del Servizio sanitario nazionale”. Presto avremo i nuovi Lea, dunque. Ma l’iter normativo non si è ancora concluso. La road map è già fissata e si snoderà in tre appuntamenti principali. Il primo riguarda la prima proposta di revisione da parte della Commissione nazionale per l’aggiornamento dei Lea e la promozione dell’appropriatezza nel Sistema sanitario nazionale. Poi toccherà alla conferenza Stato-Regioni, che dovrà fissare dei criteri per verificare l’appropriatezza prescrittiva dei medici. Infine sarà il turno delle intese su erogazione delle protesi, linee di indirizzo dei percorsi assistenziali, le tariffe per la specialistica, e infine i criteri per erogare le prestazioni che dovranno erogare regioni e province autonome. Nel seguito, riportiamo una breve descrizione schematica delle nuove norme, con particolare attenzione per le novità introdotte.
lll Malattie croniche, malattie rare e vaccini Alla lista delle malattie croniche sono state aggiunte sei nuove patologie: la broncopneumopatia cronica ostruttiva, il rene policistico autosomico dominante, l’osteomielite cronica, l’endometriosi, le malattie renali croniche e la sindrome da talidomide. Altre patologie, tra cui malattia celiaca, sindrome di Down, sindrome Klinefelter e connettiviti indifferenziate, già esenti in quanto malattie rare, sono state ridefinite come croniche. Questo passaggio è dovuto al fatto
che il percorso diagnostico e terapeutico di queste malattie è andato semplificandosi negli anni. Un caso a parte è quello dell’endometriosi, compresa nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti solo negli stadi clinici “moderato” e “grave”. Per ciò che riguarda i malati cronici non autosufficienti, le norme prevedono un’assistenza declinata in quattro livelli di progressiva intensità, che vanno dalle cure domiciliari di “livello base” alle cure domiciliari a elevata intensità, che sostituiscono la cosiddetta ospedalizzazione domiciliare. Allo stesso modo, l’assistenza residenziale è stata articolata in tre tipologie, a seconda delle caratteristiche delle strutture che devono erogarla e della disponibilità di personale. I trattamenti specialistici erogabili sono suddivisi in trattamenti “di supporto alle funzioni vitali”, trattamenti “estensivi” di cura, recupero e mantenimento funzionale, trattamenti estensivi riabilitativi ai soggetti con demenza senile, trattamenti di lungoassistenza. Le norme relative alla ripartizione degli oneri tra il Sistema sanitario nazionale e il comune/ utente sono quelle previste nell’Atto di indirizzo e coordinamento del 14 febbraio 2001. Tra le 110 nuove malattie rare aggiunte all’elenco figurano: la sarcoidosi; la sclerosi sistemica progressiva; la miastenia grave; le sindromi da neoplasie endocrine multiple; gli iperinsulinismi congeniti; le malattie perossisomiali; le sindromi da deficit congenito di creatina; le piastrinopatie autoimmuni primarie croniche e la miosite eosinofila idiopatica. Per quanto concerne i vaccini, le novità riguardano essenzialmente, antipneumococco, anti-meningococco, antiHPV e anti-Zoster, suddivisi in diverse fasce di età. I sessantacinquenni hanno diritto al vaccino anti-pneumococco e a quello anti-zoster, i soggetti di età pari o superiore a 65 anni al vaccino antinfluenzale stagionale (si veda il riquadro a pag. XX per le indicazioni contenute nel nuovo Piano vaccinale). Nel caso di soggetti a rischio di tutte le età, le vaccinazioni sono quelle previste dal
PNPV e da altre normative nazionali sull’argomento.
lll Parola d’ordine: appropriatezza Nel redigere il Dpcm sui nuovi Lea, il governo sostiene una battaglia in corso da molti anni per arrivare a una maggiore appropriatezza delle prescrizioni e delle prestazioni erogate. Per alcune prestazioni, il nomenclatore fa riferimento a “condizioni di erogabilità”, che sono sostanzialmente sovrapponibili alle Note AIFA e al Decreto Ministeriale del 9 dicembre 2015 proprio in materia di appropriatezza prescrittiva, e che hanno carattere vincolante ai fini dell’inclusione nei LEA. Per altre prestazioni, invece, l’attenzione del legislatore si è focalizzata sulle “indicazioni di appropriatezza prescrittiva”. Tra queste, l’introduzione dell’obbligo per il medico prescrittore di riportare esplicitamente sulla ricetta la diagnosi o il sospetto diagnostico. Non manca inoltre il tema dell’appropriatezza organizzativa, anche per dare continuità a quanto previsto dalla legge finanziaria. In questo contesto sono 43 i DRG indicati come “potenzialmente inappropriati” in regime di ricovero ordinario, che si vanno a sommare ad altri 65 DRG già indicati nell’allegato B al Patto per la salute 2010-2012, per i quali le Regioni dovranno fissare
le percentuali di ricoveri effettuabili appropriatamente e le misure volte a disincentivare i ricoveri inappropriati. Ci sono poi 24 procedure trasferibili dal regime di day surgery al regime ambulatoriale, già individuati dall’allegato A dello stesso Patto per la salute 2010-2012. Anche per queste procedure, è previsto che le Regioni debbano individuare percentuali di ricoveri appropriate e misure disincentivanti. Per individuare le procedure da trasferire verrà adottata quella del “pacchetto” che comprende, in un unica prestazione, le procedure pre- e post-intervento, quali visite, accertamenti diagnostici, controlli e così via.
lll Le criticità del decreto Nel generale coro di approvazione che ha accompagnato la firma del Dpcm non sono mancate le critiche (riquadro). Le prime riguardano i criteri adottati per redigere il “paniere” delle prestazioni rimborsabili. I nuovi Lea per esempio hanno escluso la telemedicina per monitorare a domicilio i pazienti con scompenso cardiaco, nonostante l’utilità dimostrata nel corso degli anni di questa metodica, e hanno ridotto le prestazioni a vantaggio dei soggetti ipertesi senza manifestazioni di danno d’organo, mentre hanno compreso per la prima volta l’adroterapia in oncologia
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Assistenza pediatrica, una tecnologia estremamente innovativa che però non ha ancora dimostrato sul campo quanto possa essere efficace. Qualche nota dolente anche per la questione della copertura finanziaria. Il Ministero ha parlato di un impatto complessivo di 772 milioni di euro circa, che già sono parsi inadeguati rispetto agli ambiziosi obiettivi dei nuovi Lea. Le stime dei risparmi
appaiono un po’ troppo ottimistiche, così come le spese che si andranno ad aggiungere, perché è impensabile che le nuove norme, comprese quelle per l’appropriatezza prescrittiva, possano essere applicate in modo corretto e rigoroso in tutte le realtà locali e fin da subito. Le Regioni hanno perciò richiesto che i costi siano verificati dalla Commissione Nazionale Lea e che
le nuove norme vengano introdotte gradualmente. Ci sono poi da considerare le prestazioni che passeranno dal regime di day hospital/day surgey a quello ambulatoriale, incrementando presumibilmente l’esborso per i ticket per una cifra complessiva vicina ai 18 milioni di euro. C’è ancora tempo comunque per modifiche in corso d’opera, che certamente non mancheranno.
UN’ALTRA OCCASIONE PERSA PER I PAZIENTI ITALIANI CON CEFALEA CRONICA
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sclusa dai Lea, ma non solo. Anche l’ultima Delibera sulla cronicità della Regione Lombardia, dimentica la cefalea. Preoccupazioni e critiche si sono sollevate, e su più fronti. A sottolineare “la grave dimenticanza” è primo fra tutti il presidente onorario dell’Anircef (Associazione neurologica italiana per la ricerca nelle cefalee) Gennaro Bussone, primario emerito dell’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, dove ha fondato il Centro Cefalee. La Delibera Regionale definendo il nuovo modello di presa in carico dei pazienti cronici, ha considerato 11 patologie di questo tipo senza fare menzione a quella cefalalgica che si trascina invece un grosso carico di cronicità che grava sulle spalle dei pazienti, sui servizi assistenziali e sulle casse del Ssn. A tal proposito il prof. Bussone, insieme al Presidente Anircef Fabio Frediani, intende chiedere un incontro urgente in Regione e presso il Ministero, in appoggio a quanto già richiesto da Lara Merighi di Ferrara, rappresentante nazionale dell’Associazione pazienti cefalalgici Aice onlus. A criticare la Delibera è anche il Segretario regionale Fimmg Fiorenzo Corti che ha convocato lo scorso 1 febbraio un consiglio regionale urgente per discutere del nuovo percorso di cura prospettato in cui il Medico di famiglia potrebbe scomparire a vantaggio della nuova figura del cosiddetto “Gestore”. “Ci giungono notizie preoccupanti intorno alla pubblicazione di una delibera regionale dedicata alla cura dei pazienti affetti da malattie croniche (diabete, ipertensione, malattie respiratorie, cardiopatie ecc.). Sembrerebbe, da documenti non ancora ufficiali, che, a decidere un percorso di cura per questi pazienti non sia il Medico di famiglia ma un soggetto ‘Gestore’ che rappresenterebbe una grande novità nel panorama nazionale e, a dire il vero, anche
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internazionale. Sarebbe però questa la fine della medicina di famiglia. Abbiamo chiesto e ottenuto un incontro urgente in Regione e ci riserviamo valutazioni più precise non appena in possesso del documento ufficiale, se sarà approvato”. Tornando alla cefalea, la storia si ripete: nel Piano Nazionale della cronicità varato a luglio 2016 dal Ministero della salute le uniche due malattie neurologiche erano malattia di Parkinson e demenze, senza alcuna menzione per le cefalee. La dimenticanza si è ripetuta con il recente varo dei nuovi Lea: fra le 42 malattie croniche e rare del sistema nervoso centrale e periferico si considera la sola emicrania emiplegica familiare (codice RF0350), scelta fra le quasi 180 forme di cefalea a oggi conosciute (36 primarie e 143 secondarie), seguendo il criterio del risparmio derivante dalla sua rarità, piuttosto che quello della lotta alla cronicità, ben più frequente e quindi più costosa. E ciò nonostante che il principio ispiratore dei Livelli essenziali di assistenza fosse quello di tutelare le persone con malattie croniche riducendone il peso sull’individuo, sulla famiglia e sul contesto sociale. Peraltro l’ultima esclusione non trova neppure una giustificazione normativa: non vi è infatti traccia di cefalea cronica nell’Allegato A del Dpcm 11/2001 che elenca le prestazioni escluse dai LEA. A completare l’opera dunque arriva l’ultima Delibera sulla cronicità della Regione Lombardia che nonostante lo slogan “Dalla cura al prendersi cura”, dimentica ancora una volta le cefalee. Ma chi si prenderà cura dei cefalalgici cronici lombardi e ancor di più di quelli italiani se le loro tutele sanitarie sono state smantellate?
Un strumento in piĂš per il Medico Il supplemento di Medico e Paziente, destinato a Medici di famiglia e Specialisti Algosflogos informa e aggiorna sulla gestione delle patologie osteo-articolari, sulla terapia del dolore e sulle malattie del metabolismo osseo
epidemiologia
La diffusione della meningite in Italia L’aggiornamento dell’Istituto superiore di sanità Il Sistema di sorveglianza che si occupa delle meningiti batteriche pubblica periodicamente un rapporto sullo stato dell’infezione nel nostro Paese. Dedichiamo questo servizio a un aggiornamento della situazione a livello nazionale, con gli ultimi dati epidemiologici sull’incidenza e la prevalenza della meningite cercando così di delineare lo “stato” della meningite nel nostro Paese, e di offrire ai nostri lettori una situazione il più possibile aggiornata e oggettiva.
A cura della redazione
D
alla fine dell’anno appena trascorso, il tema della meningite è diventato ricorrente, potremmo dire “virale”, usando un neologismo. I media vi hanno dedicato molta attenzione, e ciò ha innescato una sorta di reazione a catena tra la popolazione generale sempre più a “caccia” di informazioni sul pianeta meningite. Il Medico di Medicina generale è coinvolto in prima persona: per il prioritario rapporto di fiducia, i pazienti espongono i propri dubbi, chiedono informazioni e consigli sull’infezione, sulla gravità, e sulla possibilità o necessità di vaccinarsi. Per evitare di generare ulteriori allarmismi l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) ha pubblicato una serie di indicazioni, condivise con il Ministero della Salute, al fine di veicolare una corretta e aggiornata informazione sulla patologia, supportando così sia i MMG che i PLS, nel lavoro quotidiano con i propri pazienti. In queste pagine, proponiamo una sintesi delle principali indicazioni dell’Iss, oltre ai dati epidemiologici,
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lll identikit della meningite La meningite è una condizione clinica di gravità variabile, causata da vari patogeni che possono colpire in maniera episodica, difficilmente prevedibile, attraverso contatti/portatori sani. Il primo a essere chiamato in causa è il meningococco (Neisseria meningitidis), di cui esistono differenti sierogruppi: i più diffusi sono il tipo B e il tipo C, molto aggressivo, oltre ai tipi A, Y, W135. L’epidemiologia del meningococco ha un andamento altamente variabile e dinamico, e la prevalenza dei diversi sierogruppi varia rapidamente nel tempo e nelle diverse aree geografiche (Figura 1). Altri agenti associati alla meningite sono lo pneumococco (Streptococcus pneumoniae), l’emofilo influenzale (Haemophilus influenzae), ma anche il bacillo della tubercolosi, così come stafilococchi, streptococchi e batteri co-
liformi che tuttavia non danno origine alla malattia nella sua forma invasiva. I sintomi della meningite meningococcica non sono diversi da quelli delle altre meningiti batteriche, ma nel 10-20 per cento dei casi la malattia è rapida e acuta, con un decorso fulminante che può portare al decesso in poche ore, anche in presenza di una terapia adeguata. I sintomi più comuni sono: l rigidità della nuca l febbre alta l fotofobia l senso di confusione l cefalea l vomito. Anche quando la malattia viene prontamente diagnosticata e viene iniziato un trattamento adeguato, il 5-10 per cento dei pazienti muore, in genere a distanza di 24-48 ore dall’insorgenza dei sintomi. La meningite batterica può causare gravi danni cerebrali, perdita dell’udito o difficoltà di apprendimento nel 10-20 per cento dei soggetti che sopravvivono. Non esistono persone più a rischio di altre, la meningite può colpire sia bambini piccoli che adolescenti, ma anche i giovani adulti. Fa eccezione il sierogruppo B i cui casi si concentrano soprattutto fra i bambini di età inferiore all’anno. I picchi di incidenza nei bambini, adolescenti e giovani adulti si ritrovano anche per i sierogruppi A, C, W e Y.
lll Chi deve vaccinarsi La vaccinazione negli adulti non è raccomandata, salvo che per chi soffre di particolari patologie. In ogni caso
chi volesse può vaccinarsi, ma non gratuitamente, fatta eccezione per i residenti in Toscana o in altri contesti particolari. In questi casi, il MMG può prescrivere il vaccino. La prevenzione attraverso la vaccinazione ha subito un drastico cambiamento all’inizio dell’anno con l’approvazione del Piano Nazionale vaccini 2017-2019. I vaccini oggi a disposizione sono: quello contro il meningococco di sierogruppo C (MenC), il tetravalente, che protegge dai sierogruppi A, C, W e Y, il vaccino contro il meningococco di tipo B, capace di proteggere esclusivamente contro questo sierogruppo, e il vaccino contro lo pneumococco.
lll La meningite in numeri In Italia il Sistema di sorveglianza dedicato alle meningiti batteriche è attivo dal 1994, e a partire dal 2007 ha incluso anche tutte le malattie invasive da meningococco, pneumococco ed emofilo. La sorveglianza coordinata dall’Iss è estesa a tutto il territorio nazionale. Sulla base dei dati ottenuti, il Ministero della salute pubblica periodicamente un aggiornamento della situazione. Vediamo più in dettaglio il quadro descritto all’inizio di gennaio 2017. Nel 2016, i casi segnalati di meningite da meningococco sono stati 178. L’incidenza risulta in diminuzione
Figura 1. Distribuzione della malattia meningococcica
Fonte: Hedari CP et al. Infect Drug Resist 2014
rispetto al 2015, e in lieve aumento rispetto al triennio precedente 20122014. Il trend osservato è in parte riconducibile alla presenza in Toscana di una trasmissione più elevata che nel resto d’Italia, dove la situazione è costante, soprattutto per quanto riguarda l’infezione da meningococco di tipo C negli adulti, già riscontrata nel corso del 2014. Il numero complessivo dei casi di meningite (includendo anche gli altri patogeni) è passato da 1.479 nel 2014, a 1.815 nel 2015 e a 1.376 nel 2016: per esempio, si sono verificati 940 casi di meningite da pneumococco nel 2016 (rispetto ai 1.256 casi del
2015) e 80 da emofilo (rispetto ai 131 del 2015). La tendenza osservata dunque è in diminuzione. Per quanto riguarda i dati sulla mortalità associata, emerge che questa è di circa il 10 per cento nei casi di malattia da pneumococco (98 decessi su 940 pazienti nel 2016) e di circa il 12 per cento nei casi da meningococco (21 su 178 pazienti), che balza al 23 per cento nel caso in cui il ceppo di meningococco sia il C (13 decessi su 51 pazienti). Per quanto riguarda quest’ultimo che, come già sottolineato, è il più letale, i “numeri” indicano che ha causato 36 decessi negli ultimi quattro anni, in una popola-
Tabella 1. Incidenza di malattia invasiva da meningococco per fasce di età negli anni 2011-2015 0
1-4
5-9
10-14
15-24
25-64
>64
Totale
2011
3,24
1,00
0,67
0,39
0,53
0,11
0,11
0,25
2012
3,20
1,13
0,47
0,29
0,37
0,11
0,15
0,23
2013
4,01
1,22
0,39
0,46
0,44
0,16
0,18
0,29
2014
4,13
1,13
0,38
0,53
0,30
0,16
0,16
0,27
2015
4,43
0,83
0,24
0,38
0,69
0,21
0,21
0,32
Note: l’incidenza è calcolata per 100.000; relativamente all’anno 2016 i dati sono parziali e i valori di incidenza non sono stati calcolati. Fonte: modificata da Istituto Superiore di Sanità. Rapporto Dati di sorveglianza delle malattie batteriche invasive aggiornati al 16 novembre 2016.
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epidemiologia zione di quasi 65 milioni di persone. Se poi si prende in esame il quadriennio 2013- 2016, si hanno 629 decessi per meningite da qualsiasi causa, a fronte di 6.786 pazienti diagnosticati. Sulla base di queste rilevazioni, si legge in un comunicato del Ministero (3 gennaio 2017) “non si intende certamente minimizzare la gravità della patologia, ma semplicemente riportare
la questione entro i parametri della documentazione oggettiva. Al momento non esiste alcuna situazione epidemica, la circolazione dei germi che causano la malattia è nella norma attesa, in linea con i numeri degli ultimi anni. Il presidio preventivo rappresentato dalla vaccinazione è disponibile per le classi di età a rischio e per le persone che presentano rischi particolari di contrar-
re una malattia invasiva grave e sarà in distribuzione gratuita secondo le previsioni del nuovo Piano nazionale, inserito per questi motivi nei Lea. Il Ministero sta operando per garantire il consolidamento della copertura vaccinale, a supporto delle Regioni, anche con studi e ricerche che possano chiarire i meccanismi di trasmissione e di virulenza dei germi”.
Il Piano nazionale vaccini 2017-2019
una svolta per la prevenzione “È una giornata importante per l’affermazione della politica di prevenzione nel nostro Paese”, ha commentato così lo scorso 20 gennaio, il presidente della conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini (nella foto), in merito all’approvazione del nuovo piano nazionale. “Il tema vaccinazioni è fondamentale per un approccio serio in termini di prevenzione sia rispetto al riaffacciarsi di patologie che credevamo ormai definitivamente superate, sia rispetto alle coperture necessarie per altre gravi malattie e per le fasce più deboli della popolazione. Abbiamo dato l’intesa al piano vaccini, sul quale in realtà ci eravamo già espressi positivamente a novembre 2015, con un duplice obiettivo. Da un lato mantenere l’attuale copertura rispetto alla polio, cercare di sconfiggere definitivamente morbillo e rosolia, dall’altro allargare le vaccinazioni per alcune fasce della popolazione: pneumococco e zoster per gli anziani e anti-meningococco negli adolescenti, rotavirus e varicella per i bambini”. L’entrata in vigore del nuovo Piano è imminente, al momento in cui scriviamo è attesa solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (Ndr). Come ha tenuto a precisare il Ministro Beatrice Lorenzin, subito dopo la suddetta pubblicazione, sarà emessa una circolare con le indicazioni a procedere all’attuazione a livello nazionale, perché l’uniformità dell’entrata in vigore su tutto il territorio nazionale è la priorità. Il nuovo calendario vaccinale ha sottolineato il Ministro “è basato sul numero di persone da vaccinare e prevede un aumento graduale delle vaccinazioni
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che, speriamo, ci porti a un 100 per cento di copertura nei tre anni”. L’approvazione del nuovo Piano presuppone anche uno sforzo verso un cambiamento culturale. In programma infatti, è prevista una campagna nazionale di informazione e sensibilizzazione “a tappeto” che sarà rivolta sia alla popolazione generale che ai MMG (e PLS). Le finalità sono quelle di sconfiggere i pregiudizi verso le vaccinazioni che come si legge in un comunicato del Ministero della salute “non hanno alcun fondamento scientifico”. Ma vediamo più da vicino che cosa include il nuovo Piano. Il primo elemento che salta all’occhio è l’ampliamento dell’offerta vaccinale (riquadro). Le nuove vaccinazioni che il Ssn mette a disposizione gratuitamente alla popolazione sono l’anti-pneumococcica e antizoster per gli anziani, l’anti-meningococco B, anti-rotavirus e anti-varicella per i bambini (primi due anni di vita e 5-6 anni di età). Per quel che riguarda gli adolescenti, l’antiHPV (papilloma virus) viene estesa anche ai maschi, e inoltre viene inclusa la vaccinazione antimeningococcica tetravalente. Chiaramente questi vaccini non vanno a sostituire quelli già disponibili e offerti gratuitamente, ma si vanno ad aggiungere. Alcuni di questi erano già inclusi nei calendari vaccinali regionali e consigliati. Ma visto che tra gli obiettivi prioritari del Piano rientra quello di garantire uniformità su tutto il territorio nazionale, ne viene estesa la disponibilità e le fasce di popolazione interessata in tutte le regioni.
Di seguito riportiamo alcuni dati sull’andamento delle infezioni scorporate per singolo agente patogeno (meningococco, pneumocco ed emofilo), relativi al periodo 2011-2016 (i dati per il 2016 sono preliminari), che sono stati pubblicati in un rapporto del Sistema di sorveglianza lo scorso 16 novembre 2016 (Tabella 1).
l Neisseria meningitidis. Nel 2015 i casi segnalati sono 196, con un’incidenza dello 0,32/100.000, un valore quest’ultimo che sembra in aumento rispetto agli anni precedenti (0,23 nel 2012, 0,29 nel 2013 e 0,27 nel 2014). A livello regionale non si registrano grosse variazioni, con un andamento più o meno stabile. Fa eccezione la Toscana, dove sia i dati del 2015 che i dati preliminari del 2016 mostrano un marcato aumento di casi di meningococco di tipo C negli adulti. Esaminando il numero assoluto di casi per sierogruppo, il meningococco B ha rappresentato il sierogruppo più frequente sino al 2014, mentre dal 2015 è stato il C, come conseguenza dell’aumento dei casi della Toscana a partire dal 2015 (meningococco B: 65, 51, 48, 48 e 36 per cento dei ceppi tipizzati nel 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015; meningococco C: 17, 30, 31, 31 e 44 per cento dei ceppi tipizzati rispettivamente negli stessi anni). l Streptococcus pneumoniae. Nel 2015 sono stati segnalati 1.256 casi di malattia invasiva da pneumococco. Il numero assoluto di casi è quindi incrementato rispetto al 2013 (977 casi) e al 2014 (957). Non vi è omogeneità tra le diverse regioni, e questo è in parte dovuto alla mancata segnalazione dei casi oppure a una sottodiagnosi; problematiche queste che si riscontrano specialmente nelle Isole maggiori e in Campania, Puglia e Lazio. Tenendo conto di questi bias a livello nazionale l’incidenza di malattia invasiva da pneumococco risulta pari a 2,07 casi per 100.000 nel 2015. Il numero maggiore di casi riguarda gli
Il Piano in dettaglio l Vaccinazione antipneumococcica al primo anno di età. Raggiungimento e mantenimento di coperture vaccinali ≥95 per cento per la vaccinazione antipneumococcica nei nuovi nati (insieme a quella esavalente).
l Vaccinazione antimeningococcica C al secondo anno di età. La vaccinazione contro il meningococco C è raccomandata tra 13° e 15° mese di vita. In alternativa al vaccino anti-meningococco C, potrebbe essere utilizzato il vaccino tetravalente A, C, Y, W135, allo scopo di offrire ai bambini una protezione più ampia per quei ceppi di meningococco che, pur ancora sporadici nel nostro Paese, mostrano una tendenza all’espansione, principalmente in conseguenza dei cambiamenti climatici, dei viaggi, e dei movimenti migratori.
l Vaccinazione antimeningococcica B al primo anno di età. Per la vaccinazione contro il meningococco B, vista la sua recente introduzione, la priorità è rappresentata in questo momento dal suo utilizzo nell’età in cui è massimo l’impatto della malattia (prima infanzia). Tuttavia, l’epidemiologia di tutte le infezioni meningococciche è analoga, per cui in prospettiva si dovranno approntare politiche di offerta attiva di tale vaccinazione anche nella popolazione adolescente.
l Vaccinazione antipneumococcica alla popolazione adulta. La coorte cui la vaccinazione deve essere offerta attivamente è rappresentata dai soggetti di 65 anni di età. Le Regioni che, per situazioni epidemiologiche e di contesto volessero offrire la vaccinazione a due coorti d’età, dovrebbero prediligere i 65enni e i 70enni. La vaccinazione antipneumococcica può essere offerta simultaneamente alla vaccinazione antinfluenzale (che rappresenta in tale caso una occasione opportuna), ma può pure essere somministrata indipendentemente e in qualsiasi stagione dell’anno.
anziani dopo i 64 anni e i bambini nel primo anno di vita.
l Haemophilus influenzae. In Italia, nel 2015 sono stati rilevati 131 casi di infezione. Negli ultimi quattro anni, il numero di casi di infezioni invasive da H. influenzae rimane limitato, sebbene si sia osservato un incremento dell’incidenza, passata da 0,08 casi/100.000 nel 2011 a 0,22/100.000 abitanti nel 2015. L’incidenza è bassa in tutte le fasce di età, ma più elevata nel primo
anno di vita e negli anziani. Differenze consistenti si apprezzano considerando l’incidenza nazionale oppure solo quella riferita a un gruppo selezionato di regioni. Nel 2015 si è osservato un aumento di casi rispetto all’anno precedente in Lombardia (da 32 a 47), Piemonte (da 13 a 18) ed EmiliaRomagna (da 17 a 23). Si tratta di piccole variazioni, che rappresentano presumibilmente normali fluttuazioni di frequenza di sierotipi di Haemophilus non prevenibili da vaccinazione.
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Il cibo in tavola così uguale per tutti, ma così diverso per tutti
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al peso corporeo alla salute metabolica, dalle calorie alle molecole, dalla dieta ipocalorica temporanea al metodo di alimentazione consapevole, dalle grammature alle porzioni alimentari: sono questi i principi fondamentali del metodo molecolare di alimentazione consapevole che garantisce la salute metabolica, il mantenimento cioè della sensibilità all’insulina. Pier Luigi Rossi, Autore del volume “Conosci il tuo corpo scegli il tuo cibo” (Aboca, euro 12,50), e grande esperto di genomica nutrizionale, ci offre una visione ragionata dell’approccio all’alimentazione. A fronte della crescente “epidemia” di obesità, la scienza della nutrizione si sta interrogando sempre più sull’effettiva validità del calcolo giornaliero delle calorie come modello alimentare capace di intervenire sull’origine e la diffusione del sovrappeso e delle patologie croniche legate all’obesità. La ricerca nel campo della biologia molecolare ha compiuto importanti progressi, di cui si è avvalsa anche la scienza della nutrizione che sta vivendo un profondo cambiamento, potremmo dire quasi una rivoluzione copernicana. Gli alimenti possono esercitare modulazioni geniche positive o negative sul metabolismo cellulare.
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I cibi che ogni giorno noi ingeriamo sono in grado di dialogare con le cellule e con il DNA, modulando geni in grado di portare l’organismo verso una condizione di salute e di sano peso corporeo oppure verso condizioni patologiche di sovrappeso e obesità. Il cibo in tavola, uguale per tutti come composizione chimica, è in realtà per tutti differente: dipende dal corpo che lo ingerisce, che è unico e diverso da ciascun altro. “Occorre conoscere prima il proprio corpo, il proprio io biologico e poi scegliere il miglior cibo per garantirsi salute e benessere psicofisico”, scrive l’Autore. Il volume agile e di semplice consultazione vuole avvicinare i lettori all’alimentazione consapevole, offrendo le basi per raggiungere la salute metabolica attraverso il metodo molecolare. La “bussola” nutrizionale sta nel ricercare l’equilibrio tra proteine e carboidrati: una proporzione che ha lo scopo di mantenere sotto controllo il valore della glicemia e dell’insulina dopo il pasto, la vera chiave per ridurre la massa corporea grassa. Non poteva mancare una sezione dedicata alle proposte di menù, e naturalmente alle ricette per una dieta molecolare (con proposte anche vegetariane). Perché tra gli obiettivi che il metodo di alimentazione consapevole vuole raggiungere, uno è quello di riscoprire il piacere di preparare il cibo in casa propria. Ed ecco quindi che l’Autore ci propone la realizzazione del pane di segale, alleato fondamentale della nostra dieta. Pubblichiamo la ricetta del pane, invitando i nostri lettori a cimentarsi nella preparazione (peraltro abbastanza semplice)!