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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XLIV n. 1 - 2018

1

Scompenso cardiaco dalle linee guida ESC una svolta nel trattamento Pneumologia nuove conferme per la triplice associazione fissa nella BPCO Prevenzione CV al via la revisione delle carte del rischio Congresso EHF-SISC una sostanza naturale promettente nella cefalea pediatrica

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SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico

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6

DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico

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CLINICA

Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico

> Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci

TERAPIA

Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci

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1.2018

sommario

L’inquinamento atmosferico è un’emergenza planetaria e nonostante i riconosciuti e ampiamente documentati effetti tossici sulla salute umana, i livelli di particolato atmosferico fine sono in continua crescita. Oltre alle evidenze sull’impatto negativo degli inquinanti dell’aria a livello del sistema respiratorio e cardiovascolare, nuovi e recenti dati suggeriscono una relazione anche con il tumore al seno. Significativo è il lavoro presentato in questo numero della nostra rivista, secondo cui vi è un’associazione tra l’esposizione al particolato atmosferico e aumento della mortalità per tumore al seno. Restando in tema di sfide per il sistema sociale e sanitario, dedichiamo l’approfondimento allo scompenso cardiaco, patologia dai grandi numeri, che tuttavia resta ancora poco considerata, e per la quale sono state introdotte importanti novità in terapia

6

Letti per voi

8

medicina/approfondimenti Scompenso cardiaco Con le ultime linee guida ESC, un cambio di paradigma nel trattamento

16

medicina/epidemiologiA Esposizione al particolato atmosferico e mortalità per tumore alla mammella Una relazione insidiosa Gli Autori presentano i risultati di questo

L’ultimo aggiornamento delle linee guida ESC introduce

studio, condotto sulla popolazione

un’importante novità nella terapia dello scompenso cardiaco.

di Varese, che di fatto mostrano

Nell’articolo, ripercorriamo i punti salienti del documento

un’associazione significativa tra

Folco Claudi

l’esposizione all’inquinamento atmosferico

13

e il rischio di decesso per carcinoma mammario

medicina/approfondimenti

Giovanna Tagliabue, Alessandro Borgini,

Lo scompenso cardiaco, patologia ancora misconosciuta e poco considerata Intervista a Michele Senni

Alessandra Scaburri, Aaron van Donkelaar,

Abbiamo chiesto a Michele Senni, direttore della Cardiologia 1 dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e coordinatore dello studio

Randall V. Martin, Paolo Contiero

21

Farminforma

PARADIGM-HF in Italia di illustrare alcuni punti nodali della clinica dello scompenso cardiaco e del recente cambio di paradigma farmacologico

MEDICO e PAZIENTE | 1.2018 |

3


Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Numero 1.2018 - anno XLIV

Periodico della M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Tel. 02 4390952 - Fax 02 56561838 info@medicoepaziente.it

MP

Direttore editoriale Anastassia Zahova Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 Redazione Folco Claudi, Piera Parpaglioni, Cesare Peccarisi

Registrazione del Tribunale di Milano n. 32 del 4/2/1975 Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura. Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) I dati sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’Editore “M e P Edizioni Medico e Paziente” per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Ai sensi dell’art. 7 D. LGS 196/2003 è possibile in qualsiasi momento e gratuitamente consultare, modificare e cancellare i dati o semplicemente opporsi al loro utilizzo scrivendo a: M e P Edizioni Medico e Paziente, responsabile dati, via Dezza, 45 - 20144 Milano.

Comitato scientifico

Redazione WEB Alessandro Visca Progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno

Prof. Vincenzo Bonavita Professore ordinario di Neurologia, Università “Federico II”, Napoli Dott. Fausto Chiesa Direttore Divisione Chirurgia Cervico-facciale, IEO (Istituto Europeo di Oncologia)

Segreteria di redazione Concetta Accarrino

Prof. Sergio Coccheri Professore ordinario di Malattie cardiovascolari-Angiologia, Università di Bologna

Direttore Commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it Hanno collaborato a questo numero: Alessandro Borgini, Paolo Contiero, Randall V. Martin, Alessandra Scaburri, Michele Senni, Giovanna Tagliabue, Aaron van Donkelaar Foto di copertina: 123RF Archivio Fotografico Direttore responsabile Sabina Guancia Scarfoglio

Prof. Giuseppe Mancia Direttore Clinica Medica e Dipartimento di Medicina Clinica Università di Milano - Bicocca Ospedale San Gerardo dei Tintori, Monza (Mi) Dott. Alberto Oliveti Medico di famiglia, Ancona, C.d.A. ENPAM

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4 | MEDICO e PAZIENTE | 6.2017

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e n i l n o

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Dislipidemie

una stima del potenziale di riduzione di tutti gli eventi attraverso l’uso delle statine secondo ciascuna direttiva. Seguendo i criteri CCS, un trattamento con statine sarebbe stato raccomandato al 44 per cento della popolazione studiata, valore che progressivamente cala al 42, 40, 31 per cento con i documenti ACC/AHA, NICE e USPSTF. Secondo le raccomandazioni europee ESC/EAS solo il 15 per cento della coorte avrebbe dovuto seguire la terapia. Ma veniamo ai dati sulla prevenzione che si otterrebbe. La stima della percentuale di eventi potenzialmente evitabili con l’uso di statine a 10 anni, assumendo una riduzione del 50 per cento dei livelli di colesterolo LDL, è risultata del 34 per cento con le linee guida canadesi e statunitensi ACC/ AHA, del 32 per cento con quelle del NICE, del 27 per cento con le indicazioni USPSTF e solo del 13 per cento con le raccomandazioni europee ESC/EAS. Dal confronto eseguito, le linee guida che esten-

La prevenzione CV primaria con statine nel confronto tra linee guida internazionali: quali sono le direttive migliori da seguire?

N

egli ultimi cinque anni, le principali società scientifiche internazionali hanno pubblicato linee guida sulla prevenzione primaria cardiovascolare (CV) mediante l’uso di statine in pazienti con dislipidemia: risale al 2013 il documento dell’American College of Cardiology/American Heart Association (ACC/AHA), al 2014 quello britannico del NICE, e i più recenti, del 2016, sono quelli del Canadian Cardiovascular Society (CCS), dell’U.S. Preventive Services Task Force (USPSTF) e dell’European Society of Cardiology/European Atherosclerosis Society (ESC/EAS). Tra questi documenti, quali sono quelli che hanno una maggiore utilità in termini di prevenzione primaria degli

eventi aterosclerotici e quali sono quelli che forniscono le direttive più “efficaci” in tal senso? Una risposta arriva da questo studio che ha eseguito un vero e proprio confronto tra le raccomandazioni sopracitate. Si tratta di uno studio osservazionale sugli eventi aterosclerotici CV reali (infarto miocardico non fatale, malattia cardiaca coronarica fatale, ictus) durante 10 anni di follow-up in 45.750 danesi di età compresa tra 40 e 75 anni, partecipanti al Copenhagen General Population Study. I soggetti che vi hanno preso parte non usavano statine e non presentavano al basale eventi CV. I ricercatori hanno applicato le diverse raccomandazioni ai partecipanti, al fine di fornire

Diabete di tipo 2

I

l microbioma intestinale potrebbe delinearsi come un nuovo bersaglio per future terapie nel diabete di tipo 2 e nel pre-diabete: la prospettiva emerge da questo lavoro che ha valutato gli effetti di un intervento mirato sul microbioma, realizzato attraverso niacina microincapsulata a rilascio prolungato. La niacina, nota anche come vitamina PP o B3 svolge diverse funzioni essenziali per l’organismo e in alcuni studi sperimentali ha mostrato un’interazione con il microbioma con effetti positivi sulla sensibilità all’insulina. Con queste basi, gli Autori hanno caratterizzato più di 500 soggetti con differente fenotipo metabolico in relazione allo status per la niacina (sia come acido nicotinico, NA che come nicotinamide, NAM) e la microflora intestinale. I risultati hanno evidenziato come nei soggetti obesi vi sia a livello della flora intestinale una ridotta alfa-diversità e una diminuzione di specie del genere Bacteroides, derivanti da una ridotta assunzione di niacina con la dieta. Per sopperire a tale carenza sono state testate microcapsule a base di NA e di NAM ingegnerizzate a rilascio prolungato e mirate alla regione ileo-colonica. In questo modo si forniscono quantità crescenti di NA e di NAM al microbioma evitando il riassorbimento sistemico, che avrebbe potuto causare effetti indesiderati negativi, come per esempio le vampate in viso. Nell’uomo è risultato che l’acido nicotinico a rilascio ritardato intestinale, ma non la nicotinamide, ha incrementato in modo significativo la presenza di Bacteroides, e questi cambiamenti favorevoli indotti sul microbioma sono stati associati a un miglioramento dei biomarcatori per la sensibilità sistemica all’insulina e per l’infiammazione metabolica, in assenza di effetti indesiderati.

Un intervento mirato sul microbioma con niacina potrebbe diventare in futuro un’opportunità terapeutica per i soggetti con pre-diabete o diabetici

● Fangmann D, Theismann EM, Türk K et al. Diabetes care 2017 Dec; dc171967

6 | MEDICO e PAZIENTE | 1.2018


dono il trattamento con statine a un maggior numero di soggetti in prevenzione primaria possono garantire potenzialmente la riduzione di un maggior numero di eventi aterosclerotici rispetto alle linee guida che invece limitano la terapia a un

minor numero di pazienti. Da preferire dunque, secondo gli Autori, sarebbero le linee guida canadesi, ACC/AHA o NICE piuttosto che quelle europee o USPSTF. ● Mortensen MB, Nordestgaard BG. Ann Intern Med 2018; 168(2): 85-92

riacutizzazioni è stato 0,50 per paziente/anno nel gruppo in “triplice” contro lo 0,59 nel gruppo trattato con la “duplice”, con un rate ratio risultante pari a 0,848 a favore della “triplice”. Il profilo di sicurezza è risultato simile per i due trattamenti: sono stati infatti riferiti eventi avversi nel 64 per cento dei pazienti che hanno ricevuto la tripla associazione e nel 67 per cento dei pazienti in trattamento con la “duplice”. La polmonite si è verificata in 28 pazienti nel gruppo con tripla terapia rispetto a 24 nel secondo gruppo. In ognuno dei due bracci di trattamento si è avuto inoltre un evento avverso grave correlato, disuria in un paziente con triplice terapia e fibrillazione atriale in un paziente trattato con il doppio broncodilatatore. Secondo gli Autori, i risultati aiutano a colmare alcuni gap nella gestione della BPCO, dimostrando il beneficio di una triplice terapia con un corticosteroide e due broncodilatatori rispetto a una duplice terapia con due broncodilatatori nei pazienti che riferiscono ancora riacutizzazioni nonostante il trattamento di mantenimento in atto.

a fibrosi epatica associata prevalentemente a steatosi epatica non alcolica (NAFLD) sembrerebbe ben più diffusa tra i soggetti senza epatopatie note rispetto a quanto normalmente atteso, secondo uno studio di popolazione condotto tra i residenti nell’area metropolitana di Barcellona. Sono stati coinvolti 3.076 soggetti di età compresa tra 18 e 75 anni; per misurare il grado di fibrosi epatica tutti i partecipanti sono stati sottoposti a elastografia transiente (fibroscan) e un esame istologico supplementare è stato eseguito in 92 soggetti che presentavano aumentata rigidità. I dati ottenuti sulla prevalenza dell’aumento della rigidità epatica in funzione di diversi cut off sono stati rispettivamente 9, 5,8 e 3,6 per cento per valori ≥6,8, ≥8,0 e ≥9kPa. La NAFLD è risultata la causa più comune di fibrosi, seguita dall’aumentato consumo di alcol. Fattori indipendentemente associati alla rigidità epatica sono risultati il sesso maschile, l’obesità addominale, la presenza di diabete di tipo 2, i livelli di trigliceridi, colesterolo HDL e della glicemia (ovvero i componenti della sindrome metabolica). L’analisi finale ha mostrato che il cut-off di 9,2 kPa ha predetto meglio la presenza di fibrosi epatica con una sensibilità pari a 93 per cento, una specificità del 78 e una precisione predittiva dell’83. Il fibroscan si è rivelato dunque molto più accurato rispetto ai valori di ALT o del NAFLD fibrosis score, tanto che gli Autori propongono un algoritmo da utilizzare nell’ambito delle cure primarie per la diagnosi di fibrosi epatica basato proprio sull’impiego del fibroscan. I dati dunque mostrano un’elevata prevalenza di patologie epatiche silenti con avanzato stato di fibrosi principalmente dovuto alla NAFLD, che pertanto si delinea come un importante problema di salute pubblica.

● Papi A, Vestbo J, Fabbri L et al. The Lancet 2018; DOI: https://doi. org/10.1016/S0140-6736(18)30206-X

● Caballería L, Pera G, Arteaga I et al. Clin Gastroenterol and Hepatol 2018; DOI: https:// doi.org/10.1016/j.cgh.2017.12.048

Nuove conferme per la “triplice associazione fissa” nel trattamento della BPCO sintomatica: i risultati dello studio TRIBUTE

D

fibrosi epatica: prevalenza ben più elevata dell’atteso tra gli adulti, in assenza di patologie note

L

Pneumologia

opo TRILOGY e TRINITY, arriva ora lo studio TRIBUTE che ancora una volta mostra il favorevole profilo di efficacia/sicurezza della tripla associazione fissa ICS (beclometasone dipropionato, BDP)/ LABA (formoterolo fumarato, FF)/ LAMA (glicopirronio,G), in questo caso messa a confronto con la “duplice” dei broncodilatatori indacaterolo (IND) /glicopirronio (GLY). Il trattamento con “triplice fissa” ha limitato il rischio di riacutizzazioni moderate o gravi in pazienti con BPCO sintomatica, senza comportare un aumento del rischio di polmonite, mostrando un profilo di sicurezza sovrapponibile a quello noto per l’associazione fissa dei due broncodilatatori. Questi in estrema sintesi i risultati di TRIBUTE. Allo studio hanno preso parte 1.532 pazienti con BPCO, limitazione del flusso aereo grave o molto grave e storia di riacutizzazioni nell’anno precedente l’arruolamento, nonostante la terapia di mantenimento. I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere per 52 settimane un trattamento a base della triplice fissa BDP/FF/G (87 mcg/5 mcg/9 mcg; 764 pz.) con due inalazioni x2/die oppure a base della duplice IND/GLY (85mcg/43mcg; 768 pz.) con un’inalazione/die. Il tasso di

Epatologia

MEDICO e PAZIENTE | 1.2018 |

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medicina

approfondimenti

A cura di Folco Claudi

Scompenso cardiaco Con le ultime linee guida ESC, un cambio di paradigma nel trattamento L’ultimo aggiornamento delle linee guida ESC introduce un’importante novità nella terapia dello scompenso cardiaco. Nell’articolo, ripercorriamo i punti salienti del documento

è

un quadro a tinte fosche, quello dello scompenso cardiaco. Soprattutto perché le cifre relative al nostro Paese – epidemiologiche e di spesa sanitaria – sono impressionanti. Il problema riguarda un milione circa di persone ed è la seconda causa di ricovero ospedaliero dopo il parto. Inoltre, secondo quanto emerso dallo studio italiano ARNO [1], pubblicato a fine 2016, l’ospedalizzazione è l’inizio di una china da cui è impossibile risalire: il 9,8 per cento dei pazienti non sopravvive al primo ricovero. A un anno da quest’ultimo, la mortalità arriva al 26,2 per cento, e il 56,6 per cento dei pazienti necessita di una seconda ospedalizzazione. Se si guarda poi al sottogruppo di pazienti alla seconda dimissione, il tasso di re-ospedalizzazioni è risultato del 3,3 per cento a 1 mese, 8 a 3 mesi, 11,8 a 6 mesi e 16,7 per cento a 12 mesi. Per quanto riguarda i costi, si calcola

una spesa sanitaria complessiva di circa 3 miliardi all’anno. Dall’analisi degli archivi sanitari emerge che un ultrasessantenne con scompenso cardiaco costa al Servizio sanitario nazionale 7.500 euro all’anno, contro i 2.000/3.000, in media, di un suo coetaneo che non è colpito da questo disturbo. A gravare sulle casse dello Stato sono soprattutto le ospedalizzazioni. Per i ricoverati, la spesa sanitaria annua ammonta a quasi 8.000 euro. Le proiezioni demografiche, con l’invecchiamento della popolazione, non lasciano certo ben sperare che questo enorme carico sanitario e sociale si alleggerisca, anzi. I dati mostrano chiaramente che un significativo aumento della prevalenza è già in atto. Con questi chiari di luna, è stata salutata con enorme entusiasmo la recente ammissione alla rimborsabilità dal parte del Sistema sanitario nazionale dell’associazione sacubitril/valsartan, la prima novità farmacologica da 15 anni a questa

Lo scompenso cardiaco riguarda nel nostro paese circa un milione di persone ed è la seconda causa di ospedalizzazione, determinando un carico sul sistema sanitario e sociale davvero impressionante

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parte in grado di migliorare la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco. Si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma nella cura dello scompenso, recepito dalle linee guida europee, pubblicate dalla European Society of Caridology (ESC) nel 2016. Nel seguito, riportiamo una sintesi delle indicazioni diagnostiche e terapeutiche del documento.

Definizione di scompenso cardiaco Lo scompenso cardiaco (SC) è una sindrome clinica caratterizzata da sintomi tipici (ad esempio dispnea, edema alle caviglie e affaticamento) che possono essere accompagnati da segni (per esempio pressione venosa giugulare elevata, crepitii polmonari ed edema periferico) causati da anomalie cardiache strutturali e/o funzionali, con conseguente riduzione della gittata cardiaca e/o elevate pressioni intracardiache a riposo o durante lo stress. L’attuale definizione di SC si limita a fasi cliniche in cui i sintomi sono evidenti. Prima che i sintomi clinici si palesino, i pazienti possono presentare anomalie cardiache strutturali o funzionali asintomatiche, come la disfunzione sistolica


tabella 1 Definizione di scompenso cardiaco con frazione di eiezione conservata, mid-range e ridotta SC con FE ridotta

SC con FE mid-range

SC con FE conservata

1

Sintomi ± segnia

Sintomi ± segnia

Sintomi ± segnia

2

FEVS <40%

40%< FEVS <49%

FEVS ≥50%

1. Elevati livelli di peptidi natriureticib;

1. E levati livelli di peptidi natriureticib;

2. Almeno un criterio aggiuntivo tra: a. patologia strutturale cardiaca rilevante (IVS e/o IAS) b. disfunzione sistolica

2. A lmeno un criterio aggiuntivo tra: a. p atologia strutturale cardiaca rilevante (IVS e/o IAS) b. disfunzione sistolica

CRITERI

Tipo di SC

3

Note: a i segni possono non essere presenti negli stadi iniziali di SC, specialmente se la FE è preservata, e nei pazienti trattati con diuretici; b BNP >35 pg/ml o NT-proBNP >125 pg/ml; SC, scompenso cardiaco; FE, frazione di eiezione; VS, ventricolo sinistro; IVS, ipertrofia del ventricolo sinistro; IAS, ingrandimento dell’atrio sinistro; BNP, peptide natriuretico di tipo B; NT-proBNP, frammento amminoterminale del pro-peptide natriuretico di tipo B Fonte: Ponikowski P et al. Eur J Heart Fail 2016

o diastolica del ventricolo sinistro (LV), che sono considerate i segni precursori dell’SC. Il riconoscimento di questi precursori è importante perché essi sono collegati a esiti clinici negativi, e iniziare il trattamento allo stadio precursore può ridurre la mortalità in pazienti con disfunzione sistolica asintomatica del ventricolo sinistro. Dimostrare una causa cardiaca sottostante è centrale per la diagnosi di SC. Questa di solito è un’anomalia miocardica che causa disfunzione ventricolare sistolica e/o diastolica.

Terminologia La terminologia principale utilizzata per descrivere lo scompenso è storica e si basa sulla misurazione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro. Si tratta sostanzialmente di tre categorie: pazienti con FVES normale (≥50 per cento), pazienti con FEVS ridotta (<40 per cento) e pazienti con FEVS nell’intervallo 40-49 per cento, che rappresentano tutt’ora una “zona grigia” definita di fascia intermedia o, internazionalmente, come midrange. Ulteriori criteri per la definizione dello scompenso riguardano i livelli di peptidi natriuretici, e ano-

malie cardiache anatomico-funzionali (Tabella 1). Oltre alla classificazione basata sulla frazione di eiezione ve ne è una seconda basata sulla gravità. È quella elaborata dalla New York Heart Association (NYHA), e prevede quattro classi crescenti di gravità (Tabella 2).

tabella 2 Classificazione NYHA dello scompenso cardiaco basata sulla gravità

Diagnosi I sintomi dello scompenso cardiaco sono spesso aspecifici. Quelli dovuti a ritenzione di liquidi possono risolversi rapidamente con la somministrazione di diuretici. Alcuni segni, come l’elevata pressione venosa giugulare e dislocazione del battito apicale, sono più specifici, ma sono difficili da rilevare, specialmente nei soggetti obesi, negli anziani, e nei pazienti con malattia polmonare cronica, e sono anche scarsamente riproducibili. Da rilevare che i pazienti con scompenso più giovani presentano spesso eziologia, presentazione clinica ed esiti differenti rispetto a quelli più anziani. L’indicazione generale dell’ESC è di procedere sempre a un’accurata anamnesi del paziente. Senza precedenti eventi o patologie cardia-

Classe I Asintomatico: l’attività fisica normale non determina né dispnea né affaticamento.

Classe II Scompenso cardiaco lieve: l’attività fisica moderata (salire due rampe di scale) provoca dispnea o affaticamento.

Classe III Scompenso cardiaco da moderato a grave: l’attività fisica minima (come camminare per casa o salire mezza rampa di scale) provoca dispnea o affaticamento.

Classe IV Scompenso cardiaco grave: spossatezza, dispnea o affaticamento presenti anche a riposo (seduti o sdraiati a letto).

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medicina

approfondimenti

ci è improbabile che sia presente scompenso. Viceversa, un precedente infarto miocardico, per esempio, aumenta notevolmente la probabilità di scompenso cardiaco. A ogni visita, occorre valutare sintomi e segni di scompenso, con particolare riferimento a segni di congestione, anche per monitorare nel tempo la

risposta alla terapia. La persistenza di sintomi nonostante il trattamento di solito indica la necessità di terapia aggiuntiva, mentre il loro peggioramento spesso sfocia in un ricovero d’urgenza e in un rischio di decesso. Per indicazioni più precise sulla diagnosi, si può fare riferimento alla figura 1.

Terapia farmacologica Come accennato, la grande novità degli ultimi anni recepita dal documento ESC è l’associazione di sacubitril/valsartan, appartenente alla classe degli inibitori del recettore della neprilisina e del recettore

Figura 1 Algoritmo diagnostico per scompenso cardiaco con esordio non acuto

Note: SC, scompenso cardiaco; IM, infarto miocardico; BNP, peptide natriuretico di tipo B; NT-proBNP, frammento amminoterminale del pro-peptide natriuretico di tipo B. aIl paziente riferisce sintomi tipici di SC; bFunzioni e volumi ventricolari e atriali conservati; cConsiderare altre cause di elevati livelli di natriuretici. Fonte: Ponikowski P et al. Eur J Heart Fail 2016

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Figura 2 Algoritmo terapeutico per pazienti con SC sintomatico e frazione di eiezione ridotta

Note: In verde, le raccomandazioni di classe I, in giallo quelle di classe IIa; FEVS, frazione di eiezione del ventricolo sinistro; TMO, trattamento medico ottimale; TV, tachicardia ventricolare; FV, fibrillazione ventricolare; DCI, defibrillatore cardioverter impiantabile; SC, scompenso cardiaco; FE, frazione di eiezione; ACE-I, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina; ARB, bloccanti del recettore per angiotensina; FC, frequenza cardiaca; ARNI, inibitore del recettore dell’angiotensina e della neprilisina; TRC, terapia di resincronizzazione cardiaca; H-ISDN, idralazina e isosorbide dinitrato; DAVS, dispositivi di assistenza ventricolare sinistra; aSintomatico, classe NYHA II-IV; bFE ridotta: LVEF <40%; cSe ACE-I non tollerato o controindicato, usare ARB; dSe antimineralcorticoide non tollerato o controindicato, usare ARB; eSe ricovero ospedaliero per SC negli ultimi 6 mesi o con peptidi natriuretici elevati (BNP >250 pg/ml o NT-proBNP >500 pg/ml negli uomini e 750 pg/ml nelle donne); fCon elevati livelli plasmatici di natriuretici (BNP ≥150 pg/ml o NT-proBNP plasmatici ≥600 pg/ml, o se ospedalizzazione per SC negli ultimi 12 mesi, BNP plasmatici ≥100 pg/ml o NT-proBNP plasmatici ≥400 pg/ml); gIn dosi equivalenti a enalapril 10 mg b.i.d; hCon un ricovero ospedaliero per SC nell’anno precedente; iLa TRC è raccomandata se QRS ≥130 msec e blocco di branca sinistra (in ritmo sinusale); jLa TRC dovrebbe/può essere considerata se QRS ≥130 msec senza blocco di branca sinistra (in ritmo sinusale) o per pazienti in FA, purché ci sia una strategia per assicurare una cattura biventricolare (decisione personalizzata). Fonte: Ponikowski P et al. Eur J Heart Fail 2016

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medicina

approfondimenti

dell’angiotensina (ARNI). Lo studio che ha segnato questo passaggio fondamentale è lo studio denominato non a caso PARADIGM-HF, internazionale, multicentrico, randomizzato che ha coinvolto più di 8.400 pazienti (per il 20 per cento donne, di età media 65 anni) con scompenso cardiaco (classe NYHA II, III o IV) e con frazione di eiezione uguale o inferiore al 40 per cento. Questi soggetti hanno ricevuto sacubitril/valsartan oppure l’ACE inibitore enalapril. Il confronto tra i due farmaci si è risolto decisamente a favore del primo per molti degli endpoint dello studio: mortalità per qualunque causa (17 vs 19,8 per cento; HR =0,84, IC 95 per cento 0,76-0,93); mortalità per cause cardiovascolari (13,3 vs 16,5 per cento; HR = 0,8, IC 95 per cento 0,71-0,89). Inoltre, sacubitril/valsartan ha determinato una riduzione del rischio di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca del 21 per cento rispetto

a enalapril (p <0,001), ed è stato anche associato a un miglioramento dei sintomi dello scompenso cardiaco (p = 0,001). L’allungamento della vita indotto da questi miglioramenti clinici è stato valutato in un anno e tre mesi. Sacubitril/valsartan è commercializzato in Italia dall’aprile del 2016 nella formulazione in compressa da assumere due volte al giorno, ed è rimborsato dal Sistema sanitario nazionale dal marzo 2017. L’indicazione terapeutica riguarda i pazienti adulti con scompenso cardiaco cronico sintomatico (classe NYHA II-IV) e frazione di eiezione ridotta. Le indicazioni di trattamento del documento ESC sono sintetizzate in figura 2.

Bibliografia 1. Maggioni AP, Orso F, Calabria S, Rossi E, Cinconze E, Baldasseroni S, Martini N; ARNO Observatory. The

real-world evidence of heart failure: findings from 41413 patients of the ARNO database. Eur J Heart Fail. 2016 Apr; 18(4): 402-10. 2. Ponikowski P, Voors AA, Anker SD, et al.; Authors/Task Force Members; Document Reviewers. Ponikowski P, Voors AA, Anker SD, Bueno H, Cleland JG, Coats AJ, Falk V, González-Juanatey JR, Harjola VP, Jankowska EA, Jessup M, Linde C, Nihoyannopoulos P, Parissis JT, Pieske B, Riley JP, Rosano GM, Ruilope LM, Ruschitzka F, Rutten FH, van der Meer P; Authors/ Task Force Members; Document Reviewers. 2016 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure: The Task Force for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure of the European Society of Cardiology (ESC). Developed with the special contribution of the Heart Failure Association (HFA) of the ESC. Eur J Heart Fail. 2016 Aug; 18(8): 891-975.

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intervista

Lo scompenso cardiaco, patologia ancora misconosciuta e poco considerata Intervista a Michele Senni Abbiamo chiesto a Michele Senni, direttore della Cardiologia 1 dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e coordinatore dello studio PARADIGM-HF in Italia di illustrare alcuni punti nodali della clinica dello scompenso cardiaco e del recente cambio di paradigma farmacologico

di tutti i tumori tranne il polmone: chi ha uno scompenso ha una probabilità di morte superiore a quella di un paziente con una neoplasia della mammella, o del colon o della prostata.

❱ Quindi c’è un problema evidente anche di ritardo della diagnosi?

❱ Dottor Senni, qual è l’identikit del paziente con scompenso cardiaco? Il paziente con scompenso cardiaco è più frequentemente di sesso maschile, normalmente è abbastanza anziano di età e ha spesso comorbilità quali anemia, insufficienza renale e BPCO, cioè tutte comorbilità che possono confondere sintomi e segni dello scompenso: dispnea, stanchezza e segni clinici come l’edema delle gambe. Bisogna poi distinguere i due tipi di scompenso: il primo che è associato a una contrattilità cardiaca ridotta, e che più frequentemente è dovuta a un precedente infarto, o a una malattia del muscolo stesso come la cardiomiopatia idiopatica; l’altra forma è invece caratterizzata da una contrattilità del cuore normale, in cui le cause possono essere la cardiopatia ipertensiva, di norma, che può essere aggravata dalla fibrillazione atriale, o da stati infettivi, o anche da cardiopatia ischemica. Per questo secondo tipo di scompenso, non abbiamo a oggi una terapia efficace; a questo proposito, sta terminando il follow-up di uno studio molto importante, fratello del PARADIGM, denominato PARAGON, sull’associazione sacubitril/valsartan: i risultati sono attesi per la primavera del 2019 e speriamo che siano positivi perché fino a questo punto gli studi con ACE-inibitori, sartanici, betabloccanti e aldosteronici non hanno dato risultati soddisfacenti. Questo è per quanto riguarda l’inquadramento eziopatogenetico; per quanto riguarda la prognosi, invece, ricordiamo che essa è molto infausta, e purtroppo la gente è poco cosciente di questa gravità. Va ricordato che, del punto di vista epidemiologico, la prognosi è più grave di quella

Michele Senni Direttore della Cardiologia 1 dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo

Lo scompenso cardiaco è una patologia cronica e letale, che tuttavia non viene percepita come tale dal paziente e nemmeno dai familiari. La probabilità di decesso è superiore a quella associata a tumore al seno, al colon o alla prostata

Non solo si registra un ritardo della diagnosi, ma c’è anche un ritardo nel riconoscimento dei segni di aggravamento da parte del paziente stesso e spesso anche dei suoi familiari, unito a una mancanza di consapevolezza del fatto che si tratta di una malattia cronica e letale. E tra le conseguenze di questa sottovalutazione dello scompenso c’è, come si può ben immaginare, anche una mancanza di aderenza alla terapia farmacologica. Quando uno ha un tumore c’è molta attivazione, mentre con un paziente con scompenso non c’è tutta questa sensibilità. E il problema non riguarda tanto i pazienti ricoverati, per i quali il rischio di morte è intorno al 7 per cento, ma quelli che sono fuori e che rischiano di morire senza saperlo.

❱ Da dove ha origine questa mancanza di consapevolezza sullo scompenso? Un primo dato è oggettivo: il paziente, spesso anziano, fa fatica a capire la malattia e a distinguerla da un’aritmia o da un infarto. Inoltre, quando torna a casa dopo un ricovero sta bene, non sapendo che, se si paragona la storia naturale della malattia a una gradinata, con i primi episodi di scompenso si è già scesi di uno o due gradini, e non si torna indietro. A ciò però si somma una mancata capacità di noi cardiologi di trasmettere notizie corrette sulle malattie cardiovascolari. È vero che siamo stati bravissimi, e soprattutto negli ultimi anni abbiamo avuto risultati molto positivi, per esempio sull’infarto. Ma non bisogna dimenticare che le malattie cardiovascolari sono ancora la prima causa di morte nei Paesi occidentali. Invece continuiamo a usare toni troppo trionfalistici, e questo si ripercuote anche sulle notizie che vengono pubblicate sui media: il risultato è che

MEDICO e PAZIENTE | 1.2018 |

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intervista

spesso arrivano in ospedale pazienti con infarto o con scompenso che non si rendono conto di essere in pericolo di vita. Ogni tanto magari c’è qualche campione dello sport colto da morte improvvisa sul campo di gioco a ricordarci quanto si rischia. La seconda conseguenza di questo nostro atteggiamento è la scarsità di fondi destinati alla ricerca cardiovascolare.

❱ Lei è stato coordinatore del recente studio clinico PARADIGM-HF, che anche nel nome è indicativo di un cambiamento di paradigma nella terapia farmacologica dello scompenso cardiaco. In che cosa consiste questo cambiamento di paradigma? È un cambiamento di paradigma perché fino a oggi agivamo inibendo i sistemi neurormonali. In caso di scompenso, infatti, si attivano reninaangiotensina-aldosterone e il sistema adrenergico, che hanno una funzione di compenso iniziale ma che, se stimolati cronicamente, determinano effetti deleteri; quindi fino al 2014 siamo intervenuti cercando di inibire questa attivazione con i beta-bloccanti per il sistema adrenergico e con gli ACE-inibitori, sartanici e gli anti-aldosteronici per il sistema renina-angiotensina-aldosterone. Ora, con lo studio PARADIGM abbiamo fatto un cambiamento paradigmatico, perché dal concetto di inibizione siamo passati al concetto di modulazione: ciò significa che si continua a inibire il sistema renina-angiotensina-aldosterone, utilizzando la parte della molecola che contiene il valsartan, mentre con la seconda parte dell’associazione, inibitore di neprilisina, si aumenta la produzione di ormoni natriuretici che hanno effetti benefici di vasodilatazione, di natriuresi, di aumento della diuresi e di azione antifibrotica; quindi in sintesi, da una parte inibiamo e dall’altra potenziamo.

❱ Quindi non si va ad aggiungere l’ennesimo farmaco… Esattamente, e questo è da sottolineare: si sostituisce uno dei pilastri della terapia, e cioè la terapia con ACE-inibitori, sartanici, con l’associazione sacubitril/valsartan, con risultanti decisamente importanti: riduzione della mortalità cardiovascolare e ospedalizzazione del 20 per cento, riduzione della mortalità cardiovascolare isolata del 20 per cento, riduzione delle ospedalizzazioni isolate per scompenso del 21 per cento e – cosa più importante – riduzione della mortalità totale del 16 per cento; questo è avvenuto dopo 15 anni senza studi che dimostrassero una

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riduzione della mortalità totale e su un’ampiezza di popolazione mai considerata in un trial sullo scompenso cardiaco.

❱ I risultati di PARADIGM sono dunque molto incoraggianti, però sappiamo che in condizioni di real life, le cose possono cambiare. Che cosa ci può dire dell’efficacia dell’associazione sacubitril/valsartan nella pratica clinica? Sappiamo tutti che i pazienti che non vengono randomizzati negli studi sono quelli più complessi, molto anziani, con più comorbilità ecc. Per l’esperienza che abbiamo presso il nostro centro, che è quello che più l’ha usato, il farmaco è molto efficace anche in questi pazienti estremi; e la soddisfazione più grande è sentire i pazienti che riferiscono di sentirsi meglio, mentre con i beta-bloccanti i pazienti sono spesso più stanchi e devono essere convinti della necessità di seguire la terapia; insomma è un farmaco che migliora anche la qualità della vita.

❱ Quali sono le limitazioni di utilizzo dell’associazione sacubitril/valsartan? Non va utilizzata in pazienti estremamente avanzati, ma in quelli più stabili, perché in questi pazienti come dicevo si sono ridotte chiaramente la mortalità e le ospedalizzazioni: per quanto il paziente stabile riferisca di sentirsi bene, in realtà non sta bene perché la storia naturale della malattia è un’altra.

Quale messaggio vorrebbe trasmettere ai Medici di medicina generale? Lo scompenso è una malattia che uccide, e non dev’essere assolutamente sottovalutato. Bisogna quindi informare i pazienti su quali sono i piccoli segni che possono rivelarlo, per esempio tenendo sotto controllo il peso corporeo. Ora speriamo che arrivino risultati importanti anche per i pazienti con scompenso a funzione sistolica preservata.

Prospettive per il futuro? Attendiamo i risultati del follow-up dello studio PARAGON, come dicevo prima, e anche i risultati sui pazienti pediatrici e quelli sulla valutazione dello stato cognitivo, perché è possibile che ci possa essere un miglioramento dovuto a una maggiore perfusione cerebrale: ultimamente, si sta guardando con maggiore attenzione anche a questo aspetto.


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medicina

Epidemiologia

Esposizione al particolato atmosferico e mortalità per tumore alla mammella Una relazione insidiosa Gli Autori presentano i risultati di questo studio, condotto sulla popolazione di Varese, che di fatto mostrano un’associazione significativa tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico e il rischio di decesso per carcinoma mammario Giovanna Tagliabue1, Alessandro Borgini2, Alessandra Scaburri2, Aaron van Donkelaar3, Randall V. Martin3,4, Paolo Contiero2 1. Registro Tumori, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano 2. Epidemiologia Ambientale, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano 3. Department of Physics and Atmospheric Science, Dalhousie University, Halifax, Nova Scotia, Canada 4. Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, Cambridge, Massachusetts, USA

L’

incidenza del tumore alla mammella sta aumentando in tutto il mondo, e ora è divenuto il tumore più comune per le donne. Nel 2012 sono stati diagnosticati complessivamente 1,67 milioni di nuovi casi: 788.000 nei Paesi più sviluppati e 883.000 in quelli in via di sviluppo (1). Parallelamente, nonostante la sua riconosciuta tossicità, dal 1998 al 2012 le concentrazioni mondiali di particolato atmosferico fine sono aumentate di 0,55 µg/m3/anno (2,1 per cento/anno), principalmente grazie ai Paesi in forte sviluppo come Cina e India (2). Il particolato atmosferico di diametro fino a 10 µg (PM10), definito grossolano (coarse) e quello di diametro 2,5 µg (PM2.5), definito fine, hanno molteplici effetti avversi sulla salute umana ampiamente documentati e sono classificati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come cancerogeni di gruppo 1 (cancerogeni per l’uomo) (3-4). Queste osservazioni pongono un interrogativo sulla relazione tra particolato atmosferico e neoplasie della mammella. L’ipotesi è supportata principalmente dai risultati di uno studio californiano di popolazione che trova un’associazione significativa tra esposizione a più alti livelli di PM10 e PM2.5 e

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aumento di mortalità, dopo correzione per numerose variabili di confondimento. Ci sono altre ragioni per ipotizzare un’associazione tra diminuzione della sopravvivenza per tumore alla mammella e livelli di PM in atmosfera. Uno studio canadese ha considerato i livelli di NO2 come proxy dell’inquinamento da traffico veicolare evidenziando come l’incidenza di tumore alla mammella cresca con l’aumentare dell’esposizione a NO2 (5). Secondo uno studio giapponese i livelli di PM2.5 sono significativamente associati con la mortalità per tumore della mammella, dell’endometrio e delle ovaie, aggiustando per fumo, densità di popolazione e fattori ormonali. Uno studio di coorte del 2007 condotto nello stato di New York ha trovato che l’esposizione a elevati livelli di traffico al momento del menarca è associato ad aumentato rischio di tumore della mammella pre-menopausale e che l’esposizione ad alti livelli di particolato alla data del primo parto aumenta il rischio di malattie post-menopausali.

Lo studio sulla popolazione di Varese Partendo da queste evidenze, le divisioni di Epidemiologia Ambientale e Registro Tumori dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e il dipartimento di Physics and Atmospheric


Science della Dalhousie University hanno condotto uno studio nella provincia di Varese per verificare ulteriormente l’associazione tra PM e tumore della mammella. In particolare, è stata studiata la mortalità per tumore della mammella in relazione all’esposizione residenziale a PM2.5, determinato con una metodologia basata sulle rilevazioni satellitari. La provincia di Varese ha una popolazione di 877.000 abitanti e una densità di popolazione pari a 731,4 abitanti per Km2. Il PM2.5 è prodotto principalmente da emissioni non industriali, quali riscaldamento, 30-42 per cento, e traffico veicolare, 30-32 per cento. Come si può vedere in figura 1, la provincia di Varese è situata in un’area (la pianura Padana) chiusa da montagne che bloccano la circolazione atmosferica. Anche per questo motivo, i livelli di PM2.5 in pianura Padana sono tra i più alti al mondo (2). La provincia di Varese è caratterizzata da un’alta incidenza di tumore della mammella (tasso standardizzato su popolazione mondiale 89,3/100.000) e dalla presenza di un Registro Tumori di alta qualità che ha rilevato tutti i casi di tumore a partire dal 1976 (6-7). w Metodo dello studio Lo studio retrospettivo è stato condotto su una coorte di donne con diagnosi di tumore primario della mammella. I casi sono stati estratti dal Registro Tumori della provincia di Varese. È stato considerato il periodo 2003-2009 e, con predeterminati criteri di selezione (età compresa tra i 50 e i 69 anni alla diagnosi e nessun altro tumore precedente) sono stati estratti 2.021 casi di tumore primario della mammella. La coorte è stata osservata fino al 31 dicembre 2013, data di chiusura del follow-up. Sono stati poi utilizzati i dati relativi alla mortalità nella provincia di Varese che sono raccolti sistematicamente dal Registro Tumori e collegati ai casi di tumore utilizzando il software Epilink, che raggiunge Figura 1 livelli di specificità del 98,8 per cento e di sensibilità del 96,5 per cento, come dimostrato in uno studio del 2005 (8). Una volta definita la coorte dei casi e la loro sopravvivenza è stato stimato il livello di esposizione a particolato di tutte le donne incluse nella coorte. La procedura per stimare l’esposizione a PM2.5 ha richiesto innanzitutto il recupero degli indirizzi di residenza per ogni soggetto al momento della diagnosi dalle fonti del Registro Tumori e successivamente l’attribuzione delle coordinate geografiche per ogni indirizzo. La collocazione spaziale delle residenze dei soggetti, è stata condotta utilizzando il software ArcGis 10.0. Il livello di esposizione a PM2.5 alla residenza è stato stimato sulla base di osservazioni satellitari. Il metodo utilizzato per stimare l’esposizione a PM2.5 è quello descritto da Van Donkelaar et al. (2). Questo approccio si avvale dei dati relativi alla profondità della colonna totale giornaliera di aerosol misurati dalla NASA utilizzando una

Lo studio condotto sulla popolazione residente nella provincia di Varese, situata in una delle aree con più elevati livelli di particolato fine al mondo, mostra che l’esposizione ad alti valori di PM è associata con un incremento della mortalità per tumore alla mammella; il trend si conferma anche dopo aggiustamento per fattori che possono influire sulla sopravvivenza. Quali siano i meccanismi che sottendono questa “relazione pericolosa” è un tema attualmente oggetto di studio. Sono state avanzate diverse ipotesi che dovranno essere meglio approfondite dalla ricerca futura serie di strumenti satellitari: il Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer (MODIS), il Multiangle Imaging Spectroradiometer (MISR) e il Sea-viewing Wide Field-of-view Sensor (SeaWIFS). La profondità ottica della colonna totale giornaliera di aerosol è una misura dell’estinzione totale della luce dovuta alla riflessione e all’assorbimento dell’aerosol atmosferico. Questo profilo verticale viene confrontato con un profilo verticale coincidente stimato dal modello di trasporto chimico GEOS-Chem, così da produrre stime dei livelli di PM2.5 al suolo (2). I livelli stimati di PM2.5 al suolo sono disponibili a una risoluzione di 10x10 km e l’esposizione dei soggetti è stimata quindi nell’area 10x10 km contenente la residenza dei

Mappa di distribuzione del PM2.5 in Europa

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medicina

Epidemiologia

Tabella 1 Caratteristiche della coorte di pazienti con tumore alla mammella Casi di tumore della mammella (N)

Decessi per tumore della mammella (N)

HR (CI 95%) per decesso per tumore della mammella*

2003-2006

1.199

163

1

2007-2009

822

83

1,08 (0,82-1,42)

I

887

25

1

II

550

48

3,21 (1,98-5,21)

III

292

93

13,31 (8,56-20,70)

Variabile Periodo di diagnosi

Stadio della malattia

Partecipazione allo screening

Grado del tumore

Età alla diagnosi

IV

35

27

75,94 (43,94-131,24)

Non specificato

257

53

8,26 (5,14-13,3)

No

1.341

213

1

680

33

0,29 (0,20-0,41)

I

193

3

1

II

1.132

97

5,43 (1,72-17,13)

III

513

104

14,06 (4,46-44,33)

Non specificato

183

42

16,93 (5,25-54,63)

50-59

923

110

1

60-69

1.098

136

1,05 (0,82-1,35)

Note: *Hazard Ratio univariato (HR) e intervalli di confidenza al 95% (CI 95%)

soggetti alla diagnosi. Le variazioni di esposizione derivanti da spostamenti giornalieri o periodici rispetto alla residenza non sono state considerate. I dati prodotti con questo metodo hanno dimostrato una buona correlazione con quelli misurati dalle centraline fisse di ARPA e hanno il vantaggio di essere disponibili per tutto il territorio della provincia di Varese (2). w Analisi dei dati Le analisi statistiche sono state effettuate utilizzando il modello di Cox, partendo da un approccio univariato, in cui singolarmente si valuta quanto ciascun fattore possa influenzare la prognosi del tumore alla mammella. I fattori considerati sono: periodo di diagnosi (due categorie: 2003-2006; 2007-2009), stadio (I-IV, non specificato), grado (I-III, non specificato), età alla diagnosi (due categorie: 50-59 anni, 60-69 anni), eventuale partecipazione a un programma di screening. Successivamente è stato utilizzato un approccio multivariato per stimare i rischi dei decessi per tumore alla mammella in funzione dei quartili di esposizione a PM2.5, stratificando per i fattori considerati. È stato poi utilizzato il metodo Kaplan–Meier per calcolare le curve di sopravvivenza in funzione dei quartili di esposizione a PM2.5 e valutare la significatività delle differenze riscontrate. Tutte le analisi sono state realizzate utilizzando il programma statistico R, versione 2.3. w Risultati Le caratteristiche delle 2.021 pazienti con tumore alla mammella sono mostrate in tabella 1. Da questa si osserva

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che 101 donne (3 per cento) hanno cambiato residenza durante il periodo di osservazione: 90 si sono spostate sempre all’interno della provincia di Varese (ma potrebbero aver cambiato esposizione a PM2.5), mentre 11 si sono trasferite fuori dall’area coperta dallo studio e sono state escluse dal momento del trasferimento. Nel periodo considerato sono decedute 325 donne (16,1 per cento) di cui 246 (12,2 per cento) per tumore alla mammella. La tabella 1 mostra anche i rischi relativi di decesso per tumore alla mammella per ciascun fattore considerato. Come ci si attendeva, il rischio di decesso aumenta significativamente con l’avanzamento di stadio e di grado, mentre la partecipazione allo screening riduce considerevolmente la probabilità di decesso, almeno per il periodo di studio. La tabella 2 mostra i risultati delle analisi univariate e multivariate di decesso per tumore alla mammella per quartili di esposizione a PM2.5, calcolati come hazard ratio (HR) e i relativi intervalli di confidenza al 95 per cento (CI 95%). Nell’analisi della sopravvivenza si calcola il rapporto (ratio) tra i tassi di rischio istantanei (hazard) di un evento (decesso) tra due gruppi di esposizione. Secondo i due modelli, le pazienti con tumore alla mammella esposte a quartili superiori di PM2.5 hanno un rischio di decesso significativamente maggiore rispetto a chi vive in aree esposte al primo quartile (<21,10 µg/m3) e i risultati sono tutti statisticamente significativi. Per il modello multivariato, l’aumento di rischio va dal 72 (quarto quartile) all’82 per cento (secondo quartile) e il p-value del test è pari a 0,029: questo indica che l’ipotesi nulla di non associazione tra mortalità per tumore


Tabella 2 Associazione tra mortalità per tumore alla mammella ed esposizione al PM2.5 Quartili di PM2.5 (μµg/m3)

Casi (N)

Decessi (N)

I (<21,10)

504

II (21,10-24,20)

HR (CI 95%), decesso per tumore della mammella Univariata

Multivariata *

40

1

1

462

56

1,56 (1,04-2,34)

1,82 (1,15-2,89)

III (24,20-26,50)

530

71

1,55 (1,06-2,29)

1,73 (1,12-2,67)

IV (≥26,50)

525

79

1,49 (1,02-2,19)

1,72 (1,08-2,75)

Note: *Multivariata stratificata per età, stadio, grado, diagnosi e partecipazione allo screening

alla mammella e PM non può essere accettata. La figura 2 mostra le curve di sopravvivenza di Kaplan-Meier per quartili di PM. La figura 3 mostra la stima di Nelson-Aalen del rischio cumulativo di decesso per tumore alla mammella per quartili di PM. Da queste figure si osserva che le pazienti esposte ai tre quartili superiori di PM (>21,10 µg/m3) hanno un rischio significativamente superiore di decesso per tumore alla mammella rispetto a quelle che vivono nell’area con il più basso livello di PM.

Commenti e conclusioni

circolatorio attraverso i polmoni e le particelle estrogeniche possono trovare la via per arrivare al tessuto della mammella. Comunque, le nostre conoscenze attuali non ci permettono di stabilire con certezza se il PM possa raggiungere il tessuto mammario e sono necessari ulteriori studi in proposito. Questa ricerca ha diversi elementi di forza. È stato usato un Registro Tumori di popolazione per identificare tutti i casi di tumore alla mammella nell’area di studio durante il periodo di osservazione, legati poi con il database della mortalità per ottenere informazioni accurate e complete sulla sopravvivenza. Un altro punto di forza è l’uso dei dati di PM da misure satellitari. I metodi tradizionali di misura al suolo possono essere molto accurati a livello locale, ma i punti di misura

Lo studio ha mostrato che l’esposizione ad alti livelli di PM, pur correggendo per gli effetti di una serie di fattori che possono influenzare la sopravvivenza, è associata a un aumento di mortalità per tumore alla mammella. Riguardo a Figura 2 Sopravvivenza dei casi di tumore tutti i possibili meccanismi che possono spiegare questa as- alla mammella, diagnosticati tra il 2003-2009 sociazione ci sono però poche evidenze. Un recente studio e residenti nella Provincia di Varese rispetto condotto a Taiwan, investigando gli effetti del particolato all’esposizione a PM2.5 (quartili) atmosferico su linee cellulari ha trovato che le particelle stesse e i loro estratti solventi hanno una varietà di effetti sulle linee cellulari, compreso l’aumento di generazione di specie ossidate (ROS), aumento di rotture di DNA e attività estrogenica e antiestrogenica (dipendente dalla concentrazione) (9). Questo è in linea con l’associazione positiva tra esposizione a idrocarburi policiclici aromatici da traffico veicolare e incidenza di tumore alla mammella, riportato dal Long Island Breast Cancer Study (10). Un report di una ricerca in corso in Cina sul legame tra PM e sopravvivenza per tumore alla mammella ha indicato un incremento di rischio con l’aumento di esposizione a PM e anche che la sopravvivenza era più bassa per le donne con recettore estrogeno positivo (11). Gli autori suggeriscono che il PM può agire come xenoestrogeno, in linea con i dati dello studio su PM e linee cellulari di tumore alla mammella (9). La scoperta che il particolato abbia effetti estrogenici e di danneggiamento del DNA suggerisce un meccanismo potenziale per un effetto sul tumore alla mammella: se inalato, il particolato entra nel sistema MEDICO e PAZIENTE | 1.2018 |

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medicina

Epidemiologia

Figura 3 Rischio cumulativo di mortalità per tumore alla mammella in casi diagnosticati tra il 2003-2009 e residenti nella Provincia di Varese rispetto all’esposizione a PM2.5 (quartili)

esposizione (1,82, 1,73 e 1,72 rispettivamente). Quindi è importante sottolineare che il primo quartile di esposizione del nostro studio non è una categoria a rischio zero, ma solo la categoria di riferimento per il confronto con gli altri quartili. In conclusione, i risultati sono in linea con quelli dello studio californiano e con il report dello studio cinese, che indicano una forte associazione tra decesso per tumore alla mammella ed esposizione a particolato atmosferico. Chiaramente sono necessarie ancora ricerche per esplorare più a fondo l’associazione, anche in prospettiva dell’aumento di tumore alla mammella e dell’aumento dei livelli di PM a livello globale (2). I nostri risultati aggiungono evidenze sul fatto che il PM ha molteplici effetti avversi sulla salute umana e indicano il bisogno urgente di ridurne i livelli nel mondo. Tratto da Tagliabue G, Borgini A, Tittarelli A, van Donkelaar A, Martin RV, Bertoldi M, Fabiano S, Maghini A, Codazzi T, Scaburri A, Favia I, Cau A, Barigelletti G, Tessandori R, Contiero P. Atmosferic fine particulate matter and breast cancer mortality: a population-based cohort study. BMJ Open 2016; Nov 14; 6(11): e012580

Bibliografia essenziale sono distribuiti in modo irregolare e inducono molta incertezza nell’assegnazione di valori di esposizione individuale in un’area vasta. I dati satellitari hanno permesso di stimare l’esposizione in ogni area 10x10 km in cui erano localizzate le residenze dei soggetti. Si può considerare quest’area particolarmente adatta a descrivere una zona in cui le donne possono aver condotto la maggior parte delle loro attività quotidiane. Certo, alcune donne possono aver passato molto tempo fuori da quell’area, per esempio al lavoro, e questa è una debolezza. Ma la cosa importante è che l’esposizione sia descritta nello stesso modo per tutte le donne in tutto il periodo di studio. Un altro elemento positivo dello studio è che sono stati considerati alcuni fattori (ad esempio stadio, grado e partecipazione allo screening) noti o sospettati di avere influenza sulla mortalità per tumore alla mammella. Non erano disponibili però informazioni sugli stili di vita (inclusi dieta e consumo di alcol) o sulle comorbidità, che possono anch’essi influenzare la mortalità per tumore alla mammella. Lo studio californiano, l’unico pubblicato che studia la relazione tra mortalità per tumore alla mammella e PM, trova anch’esso una forte associazione tra mortalità per tumore alla mammella ed esposizione a PM. L’esposizione a PM di persone che vivono in California è però molto più bassa di quella di chi vive nella provincia di Varese, che ha livelli tra i più alti al mondo. La categoria di esposizione più bassa in California era <11,64 µg/m3: solo tre pazienti del nostro studio avevano questo livello di esposizione. I ricercatori californiani hanno comunque calcolato un rischio di 1,76 per la categoria maggiormente esposta, che è simile a quanto trovato nei nostri tre quartili di

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1. IARC: GLOBOCAN 2012. Estimated Cancer Incidence, Mortality and Prevalence Worldwide in 2012. http://globocan.iarc.fr/Pages/fact_sheets_cancer.aspx. 2. Van Donkelaar A, Martin RV, Brauer M et al. Use of satellite observations for long-term exposure assessment of global concentrations of fine particulate matter. Environ Health Perspect. 2015 Feb; 123(2): 135-43. 3. IARC Scientific Publication No. 161. Air Pollution and Cancer. http:// www.iarc.fr/en/publications/books/sp161/AirPollutionandCancer161. pdf. 4. IARC Monographs: Volume 109. Outdoor Air Pollution. http://monographs.iarc.fr/ENG/Monographs/vol109/mono109.pdf. 5. Hystad P, Villeneuve PJ, Goldberg MS et al. Canadian Cancer Registries Epidemiology Research Group. Exposure to traffic-related air pollution and the risk of developing breast cancer among women in eight Canadian provinces: a case-control study. Environ Int. 2015 Jan; 74: 240-8. 6. Tagliabue G, Maghini A, Fabiano S et al. Consistency and accuracy of diagnostic cancer codes generated by automated registration: comparison with manual registration. Popul Health Metr 2006; 4:10. 7. Contiero P, Tittarelli A, Maghini A et al. Comparison with manual registration reveals satisfactory completeness and efficiency of a computerized cancer registration system. J Biomed Inform. 2008 Feb; 41(1): 24-32. 8. Contiero P, Tittarelli A, Tagliabue G et al. The EpiLink record linkage software: presentation and results of linkage test on cancer registry files. Methods Inf Med. 2005; 44(1): 66-71. 9. Chen ST, Lin CC, Liu YS et al. Airborne particulate collected from central Taiwan induces DNA strand breaks, Poly(ADP-ribose) polymerase-1 activation, and estrogen-disrupting activity in human breast carcinoma cell lines. Environ Sci Health A Tox Hazard Subst Environ Eng. 2013; 48(2): 173-81. 10. Mordukhovich I, Beyea J, Herring AH, Hatch M et al. Vehicular Traffic-Related Polycyclic Aromatic Hydrocarbon Exposure and Breast Cancer Incidence: The Long Island Breast Cancer Study Project (LIBCSP). Environ Health Perspect. 2015 May 22. 11. Huo Q, Cai C, Yang Q. Atmospheric particulate matter and breast cancer survival: estrogen receptor triggered? Tumour Biol. 2015 May; 36(5): 3191-3.


Aesculapius Farmaceutici

una sostanza naturale come e meglio dei farmaci nella cefalea dell’adolescente Nuovi dati presentati all’ultimo congresso EHF-SISC confermano l’efficacia di una miscela naturale a base di Tanacetum, Griffonia e magnesio

D

i fianco ai triptani, per il trattamento dell’età pediatrica sono spesso stati proposti i nutraceutici, trattamenti supplementari a base di vitamine (coenzima Q10, vitamina D), minerali (magnesio), melatonina ecc. Dal Congresso EHF-SISC svoltosi lo scorso dicembre a Roma potrebbe arrivare una svolta grazie a una miscela di sostanze (Tanacetum partenium, griffonia e magnesio), già segnalata nel 2016 sulla rivista Headache e poi entrata in commercio con il nome Aurastop anche in Italia come

integratore in capsule e in bustine (da preferire in età pediatrica). Magnesio e Tanacetum erano già presenti dal 2011 nelle linee guida di terapia delle cefalee della SISC, ma la formulazione con l’aggiunta di Griffonia è stata presentata per la prima volta in Italia l’anno scorso al congresso ANIRCEF-SISC. I nuovi dati evidenziano un’efficacia anche nei più giovani (5-16 anni) dove si verifica riduzione della frequenza e dell’intensità (valori del 76,19 per cento) sia nell’emicrania con che senza aura, con calo del ricorso ad

Verso le nuove carte del rischio cardiovascolare Bayer

L’

evoluzione della prevenzione cardiovascolare nel nuovo millennio: adeguamento degli strumenti per la valutazione del rischio: è questo il titolo di un meeting che si è tenuto a Roma lo scorso dicembre e che ha visto riuniti esponenti delle principali società scientifiche che nel nostro Paese si occupano di patologie cardiovascolari (CV) nell’intento di mettere a punto una strategia condivisa per riadattare le attuali carte del rischio. L’esigenza nasce dall’emergere di una serie di limitazioni di quelle in uso oltre che dai cambiamenti verificatisi nella popolazione, ma che passa anche attraverso l’evoluzione dell’epidemiologia del rischio CV e degli strumenti di prevenzione, che a loro volta si ripercuotono sui costi sociosanitari. “Le carte del rischio CV sono state prodotte ormai molti anni fa quando il profilo del rischio nella popolazione mondiale e in quella italiana era sostanzialmente diverso da quello attuale”, ha spiegato Claudio Cricelli, presidente SIMG. “Questi strumenti sono stati estremamente utili: le carte sono state utilizzate innanzitutto dai medici per individuare il rischio nei singoli individui all’interno della popolazione, ma anche per stimolare la cultura del rischio CV e per favorire un corretto impiego delle risorse e dei farmaci per la prevenzione. Naturalmente con il passare del tempo sono invecchiate anche loro: non possiamo dire che siano superate, ma sono sicuramente da rivedere”.

analgesici pari al 61,90 per cento. Anche il confronto con un farmaco come l’amitriptilina da tempo usata in profilassi non ha evidenziato vantaggi significativi per il farmaco, peraltro a fronte di effetti collaterali come incremento ponderale e sonnolenza (18,20 per cento), mentre solo 1 paziente in trattamento con Aurastop ha riferito parestesie a una mano. Andando ad agire sugli stessi recettori TRP su cui puntano i più recenti anticorpi monoclonali, il partenolide del Tanacetum partenium interviene nei processi di

Diversi sono i punti da aggiornare. Innanzitutto le carte attuali si focalizzano sul rischio ischemico, escludendo condizioni quali la fibrillazione atriale e lo scompenso, e poi fanno riferimento alla popolazione italiana degli anni Novanta, oggi assai diversa. Inoltre, le attuali carte escludono una serie di fattori di rischio, la cui importanza è ampiamente dimostrata in letteratura; fra questi vi sono l’iperuricemia, la familiarità CV, la durata della malattia diabetica, i livelli dell’emoglobina glicata e le sue variazioni, la variabilità dell’ipertrigliceridemia e l’uso degli antipsicotici. Si rende quindi necessaria una loro revisione all’interno di uno sforzo coordinato per ottimizzare la prevenzione cardiovascolare. C’è dunque ampio spazio per intervenire e molti sono gli aspetti da aggiornare. “Il vero lavoro ovvero la riscrittura delle carte” ha sottolineato Cricelli “si svolgerà in continuità con le vecchie carte del rischio rispetto alle quali non c’è alcuna frattura, e dovrebbe durare per tutto il 2018 e il 2019”.

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rilascio del CGRP e blocca la crisi dolorosa con un’azione più naturale. A ciò si aggiungono l’azione del magnesio, la cui carenza notoriamente innesca la spreading depression, la depolarizzazione elettrica dell’attacco emicranico, e l’azione del 5-idrossi-triptofano contenuto nei semi della G. simplicifolia che si oppone al legame fra l’amminoacido eccitatorio glutammato e i recettori NMDA, i principali canali ionici che consentono l’ingresso di ioni calcio nella cellula nervosa con conseguente iperattivazione e attacco emicranico.

Bruno Farmaceutici Disponibile anche in Italia l’associazione anti-obesità naltrexone-bupropione

A

partire dallo scorso novembre anche nel nostro Paese è disponibile l’associazione naltrexone-bupropione per il trattamento dell’obesità. Formulato in compresse a rilascio prolungato, il farmaco

è indicato in aggiunta a una dieta ipocalorica e a un’aumentata attività fisica, per la gestione del peso in pazienti adulti (≥ 18 anni) con un indice di massa corporea (BMI) iniziale ≥30 kg/m2 (obesi), oppure con BMI da ≥27 kg/m2 a <30 kg/m2 (sovrappeso) in presenza di una o più comorbilità correlate al peso (diabete di tipo 2, dislipidemia o ipertensione controllata). I costituenti sono due molecole ampiamente conosciute con un profilo di sicurezza ben documentato in letteratura: il naltrexone, un antagonista del recettore μ-oppioide e il bupropione, un inibitore debole della ricaptazione di dopamina e norepinefrina a livello neuronale. Le due molecole agiscono in sinergia sul sistema nervoso centrale, riducendo il senso di fame e il desiderio di cibo. La formulazione a rilascio prolungato ha diversi “plus” quali la riduzione del numero delle somministrazioni giornaliere, una miglior accettazione da parte del paziente e un’ottimizzazione dell’aderenza terapeutica.

Fondazione Roche Nasce

una

realtà a tutela del diritto alla salute della popolazione

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l Gruppo Roche festeggia i 120 anni di presenza nel nostro Paese con la costituzione dell’omonima Fondazione. Contribuire alla ricerca indipendente, dialogare in modo aperto e continuo con le istituzioni per individuare soluzioni innovative, sostenere le associazioni di pazienti e le realtà no profit: sono questi i tre obiettivi della Fondazione. “Ho accolto con entusiasmo il progetto di Fondazione Roche, perché oggi più che mai l’impegno a promuovere e tutelare la salute e l’assistenza sanitaria necessita di una solida e trasparente partnership tra il pubblico e il mondo privato” ha commentato Mariapia Garavaglia, presidente della Fondazione, alla presentazione del progetto lo scorso 16 gennaio a Roma. “Il tema della salute infatti interessa tutti, perché se c’è salute, il Paese produce e guarda al futuro. Sono convinta che facendo leva sui principi ispiratori di sussidiarietà, equità e sostenibilità, la Fondazione potrà dare un grande contributo alla sfida dell’universalismo che è già in corso”.

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Recordati Nuova opzione di trattamento per l’eiaculazione precoce

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iceve scarsa attenzione, eppure è una condizione che interessa circa 4 milioni di italiani e ha un forte impatto negativo sulla vita di coppia. Si tratta dell’eiaculazione precoce una patologia che interessa tra il 20 e il 30 per cento della popolazione maschile ed è la più importante disfunzione sessuale nell’uomo. Il tema è stato trattato in un incontro che si è tenuto lo scorso 21 febbraio a Milano, nell’ambito del quale è stata presentata una nuova opzione di trattamento. Si tratta di uno spray (il primo finora) a base di lidocaina e prilocaina, due anestetici locali che bloccano temporaneamente la trasmissione degli impulsi nervosi nel glande, riducendone la sensibilità e comportando di conseguenza, un ritardo del tempo di latenza eiaculatoria. Il farmaco è soggetto a prescrizione medica.

Johnson & Johnson Diabetes Care Il controllo del diabete in un’App

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i primi di febbraio è stato presentato un nuovo servizio di teleassistenza mediante l’App OneTouch24 interamente “made in Italy”, dedicato al paziente diabetico, che fornisce supporto gratuito 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Al momento dell’attivazione del servizio OneTouch24 (l’App è disponibile su Apple Store e Google Play), vengono impostati i limiti di intervallo minimo e massimo dei valori entro cui è raccomandabile che il paziente mantenga il proprio livello glicemico. Nel caso i dati siano fuori range, si attiva il servizio di teleassistenza con un duplice sistema di riscontro ovvero invio di messaggi che si differenziano per contenuti in relazione al valore riscontrato e chiamata diretta dalla Centrale operativa in caso di valori fortemente al di fuori dei limiti. Il servizio OneTouch24 si mette in contatto con l’utente o con il contatto fornito in fase di iscrizione, offrendo un consulto e concordando l’intervento più appropriato.


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