€ 5,00
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI
Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XLII n. 4 - 2016
4
Fibrillazione atriale aumenta il rischio di patologie CV non stroke Oncologia screening colorettale e incidenza di tumore Nutrizione inquadramento clinico dell’intolleranza al lattosio Professione presente e futuro dell’assistenza primaria
MP
SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico
Assicurarsi tutti i numeri di Medico e Paziente è facile
Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012
6
DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
MP
Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con
CLINICA
Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico
> Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
TERAPIA
Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci
> Domenico D’Amico
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - € 3,00
Anno VIII- n. 2 - 2012 Mensile € 5,00
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI
RINNOVA SUBITO L'ABBONAMENTO!
64° AAN ANNUAL MEETING
Le novità dal Congresso dei neurologi americani
2
I farmaci in fase avanzata di sviluppo per la SM
MP
15,00 euro
Medico e Paziente
25,00 euro
Medico e Paziente + La Neurologia Italiana
Le modalità di pagamento sono le seguenti Bollettino di c.c.p. n. 94697885 intestato a: M e P Edizioni - Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Bonifico Bancario Beneficiario: M e P Edizioni IBAN: IT 70 V 05584 01604 000000023440 Specificare nella causale l'indirizzo a cui inviare la rivista
Medico e paziente n. 4 anno XLII - 2016 Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia
MP
Periodico della M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Tel./Fax 024390952 info@medicoepaziente.it
Direttore Responsabile Antonio Scarfoglio
in questo numero
sommario
Direttore Commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952
Immagine di copertina hobbitfoot / 123RF Archivio Fotografico
Redazione Anastasia Zahova
p
Progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Segreteria di redazione Concetta Accarrino Hanno collaborato a questo numero: Cinzia Campari, Stefania Caroli, Folco Claudi, Vito Domenico Corleto, Enza Di Felice, Francesca Ferrari, Lucia Mangone, Giacomo Milillo, Luisa Paterlini, Annamaria Pezzarossi, Luca Piretta, Francesca Roncaglia, Paolo Giorgi Rossi, Roberto Sacchero, Claudio Sacchettini, Romano Sassatelli, Giuliana Sereni, Angelo Testa, Paolo Usai, Riccardo Valdagni, Massimo Vicentini, Marco Zappa
6 letti per voi
p 10 oncologia Terapie osservazionali Il protocollo di sorveglianza attiva nel tumore alla prostata La sorveglianza attiva si sta affermando come un’alternativa sempre più valida per i pazienti affetti da Ca. prostatico poco invasivo. Si tratta di un protocollo di monitoraggio che permette di “aggirare” le terapie radicali spesso impegnative dal punto di vista degli effetti collaterali, a condizione che vi sia un’accurata selezione dei pazienti candidati a cura della Redazione
p 15 oncologia
Lo stato dell’arte della sorveglianza attiva in Italia Il parere dell’esperto
Intervista al professor Riccardo Valdagni Direttore del Programma Prostata, Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano
MEDICO E PAZIENTE
>>>> 4.2016
3
Registrazione del Tribunale di Milano n. 32 del 4/2/1975 Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura. Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) I dati sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’Editore “M e P Edizioni Medico e Paziente” per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Ai sensi dell’art. 7 D. LGS 196/2003 è possibile in qualsiasi momento e gratuitamente consultare, modificare e cancellare i dati o semplicemente opporsi al loro utilizzo scrivendo a: M e P Edizioni Medico e Paziente, responsabile dati, via Dezza, 45 - 20144 Milano. Comitato scientifico Prof. Vincenzo Bonavita Professore ordinario di Neurologia, Università “Federico II”, Napoli Dott. Fausto Chiesa Direttore Divisione Chirurgia Cervico-facciale, IEO (Istituto Europeo di Oncologia)
>>>>>>
sommario
p 18 prevenzione oncologica Screening colorettale e incidenza di tumore Studio di coorte nella provincia di Reggio Emilia
Il tumore al colon retto è una delle neoplasie a maggiore insorgenza tra la popolazione italiana. Lo screening di massa è un programma di prevenzione offerto gratuitamente dal SSN ai cittadini di età compresa tra 50 e 69 anni. A seconda della regione, il programma prevede la ricerca del sangue occulto fecale o la rettosigmoidoscopia Paolo Giorgi Rossi, Massimo Vicentini, Claudio Sacchettini, Enza Di Felice, Stefania Caroli, Francesca Ferrari, Lucia Mangone, Annamaria Pezzarossi, Francesca Roncaglia, Cinzia Campari, Romano Sassatelli, Roberto Sacchero, Giuliana Sereni, Luisa Paterlini, Marco Zappa
p 24 nutrizione
Intolleranza al lattosio: miti e certezze Opinioni e testimonianze dalla medicina generale, gastroenterologia e nutrizione
Tre specialisti ci aiutano a inquadrare questa sfuggente condizione clinica e a organizzare meglio le informazioni circa il ruolo delle diete di esclusione e di altri rimedi
Prof. Sergio Coccheri Professore ordinario di Malattie cardiovascolari-Angiologia, Università di Bologna
Luca Piretta, Vito Domenico Corleto, Paolo Usai
Prof. Giuseppe Mancia Direttore Clinica Medica e Dipartimento di Medicina Clinica Università di Milano - Bicocca Ospedale San Gerardo dei Tintori, Monza (Mi)
p 32 professione
Dott. Alberto Oliveti Medico di famiglia, Ancona, C.d.A. ENPAM
p 28
Accordi collettivi nazionali Spiragli d’intesa tra sindacati e Regioni per il rinnovo dell’Assistenza primaria
Folco Claudi
p 36
Come abbonarsi a medico e paziente
Abbonamento annuale ordinario Medico e paziente € 15,00 Abbonamento annuale sostenitore Medico e paziente € 30,00 Abbonarsi è facile: w basta una telefonata 024390952 w un fax 024390952 w o una e-mail abbonamenti@medicoepaziente.it Numeri arretrati € 10,00
4
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
Farminforma
NEWSsanità
Modalità di pagamento 1 Bollettino di ccp n. 94697885 intestato a: M e P Edizioni srl - via Dezza, 45 - 20144 Milano 2 Bonifico bancario: Beneficiario: M e P Edizioni IBAN: IT 70 V 05584 01604 000000023440 Specificare nella causale l’indirizzo a cui inviare la rivista
I QUADERNI
di Medico & Paziente
A partire dal mese di gennaio 2017 è disponibile il secondo Quaderno dedicato al DIABETE
Come ricevere i Quaderni di Medico e Paziente Tutti gli abbonati di Medico e Paziente riceveranno gratuitamente il Quaderno Chi sottoscrive un nuovo abbonamento alla rivista Medico e Paziente al costo di 20,00 euro riceverà gratuitamente il Quaderno In assenza di abbonamento è possibile richiedere il Quaderno versando un contributo di 9,00 euro comprensivo di spese di spedizione Le modalità di pagamento sono le seguenti:
Bollettino di c.c.p. n. 94697885 intestato a: M e P Edizioni - Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano
Bonifico Bancario: Beneficiario: MeP Edizioni IBAN: IT 70 V 05584 01604 000000023440 Conto intestato a M e P Edizioni-Medico e Paziente Specificare nella causale l'indirizzo per la spedizione
letti per voi Aritmie cardiache
La fibrillazione atriale correla con un ampio spettro di patologie cardiovascolari non stroke, e l’aumento del rischio sembrerebbe ben più elevato rispetto a quello finora quantificato per l’ictus £
In presenza di fibrillazione atriale non aumenta solo l’incidenza di stroke, ma di un ampio ventaglio di patologie cardiovascolari (CV) maggiori, prima fra tutte l’insufficienza cardiaca congestizia il cui rischio è addirittura quantuplicato. È quanto emerge da un’ampia metanalisi recentemente
apparsa sul BMJ, che aveva proprio lo scopo di valutare la relazione esistente tra la più comune delle aritmie cardiache, la fibrillazione atriale (FA), e gli outcome cardiovascolari. È ben nota e documentata l’associazione negativa tra FA e ictus, tanto che la prevenzione di quest’ultimo è il target delle
attuali terapie nei pazienti con FA. Non altrettanto chiara a oggi è la correlazione tra FA e altre patologie CV maggiori non stroke. Alcuni recenti lavori hanno ipotizzato che la FA fosse legata a patologie quali le cardiopatie ischemiche e la nefropatia cronica. In questa review sono state analizzate le associazioni della FA con la mortalità complessiva, la mortalità CV, gli eventi CV maggiori, gli stroke di qualsiasi natura (e poi indipendentemente lo stroke ischemico ed emorragico), cardiopatia ischemica, morte cardiaca improvvisa, scompenso cardiaco congestizio, nefropatia cronica e arteriopatia periferica. I dati sono stati estrapolati da 104 studi (da Medline ed Embase) che rispondevano ai criteri di selezione; complessivamente i pazienti erano
£ La vitamina D è oggetto di ricerche continue, specialmente per quel che riguarda i suoi effetti extra-scheletrici, In donne molto anziane e e ora nuovi dati mostrano un’associazione positiva con sopravvivenza in donne molto anziane. Bassi livelli di polipatologiche, l’ipovitaminosi D laquesto ormone sono da tempo riconosciuti come fattore si delinea come determinante per di rischio per patologie a elevata mortalità quali quelle alcune forme di cancro, diabete e malatla sopravvivenza a breve e lungo cardiovascolari, tie respiratorie. Alcuni studi di tipo osservazionale hanno termine, indipendentemente dalle suggerito una relazione della vitamina con la mortalità patologia-specifica e per tutte le cause, relazione che però comorbilità presenti non ha trovato conferme in altri studi (osservazionali e randomizzati). Resta il fatto tuttavia, che la vitamina D apporti benefici in termini di sopravvivenza, specie nei soggetti molto anziani polipatologici. Lo studio longitudinale qui presentato ha avuto un follow up di 15 anni, ed è stato condotto in donne svedesi con età 75 anni o più, per valutare se la relazione tra ipovitaminosi D e mortalità fosse diretta o per così dire mediata dal fragile stato di salute delle pazienti. Per questo motivo nell’analisi dei dati sono stati inclusi come potenziali fattori confondenti le comorbilità cardiovascolari, respiratorie, le nefropatie, il diabete e l’osteoporosi. Nel complesso la coorte era costituita da 1.044 donne. I livelli di 25-idrossivitamina D (25 (OH)D) sono stati quantificati per le donne di 75 (1.011 pz.), 80 (642 pz.) e 85 anni (348 pz.), e sono stati suddivisi in bassi (<50 nmoli/l), intermedi (50-75 nmoli/l) ed elevati (>75 nmoli/l). I valori di rischio espressi come hazard ratio (HR) sono stati calcolati nel range di età 75-90 anni rispetto ai livelli di vitamina D. Nelle pazienti di età compresa tra 80 e 90 anni, la mortalità per tutte le cause è risultata significativamente più elevata nelle donne con bassi livelli di (25 (OH)D) rispetto a quanto osservato per quelle che avevano livelli più alti (HR 1,8 CI 95 per cento 1,3-2,4, P <0,001); il trend veniva confermato anche dopo aggiustamento per le comorbilità (aHR 1,9, CI 95 per cento 1,4-2,6, P <0,001). Sulla mortalità pesava maggiormente l’osteoporosi. Tuttavia escludendo dall’analisi le donne che avevano subito una frattura osteoporotica durante il periodo di osservazione, il rischio di mortalità rimaneva elevato tra le pazienti con bassi livelli di (25 (OH)D) (HR 1,8 95 CI 1,2-2,7, P =0,002; a HR 1,7, CI 95 1,22,5, P =0,006). Gli Autori sottolineano che nella coorte di pazienti esaminata, livelli di (25 (OH)D) <50 nmoli/l sono in relazione con un’elevata mortalità nell’arco di un periodo di 10 anni. La differenza rispetto alle categorie con valori più alti inoltre, sembrerebbe indipendente dalle comorbilità e dall’osteoporosi, suggerendo che bassi livelli di vitamina D oltre a essere un indicatore dello stato (compromesso) di salute, abbiano un ruolo sulla sopravvivenza.
Geriatria
Buchebner D, McGuigan F et al. J Am Geriatr Soc 2016; 64(5): 990-7
6
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
14 – 17 NOVEMBER 2016 DÜSSELDORF GERMANY 14www.medica-tradefair.com – 17 NOVEMBER 2016 DÜSSELDORF GERMANY
WORLD FORUM FOR MEDICINE www.medica-tradefair.com
WORLD FORUM FOR MEDICINE
Ogni anno a Novembre, MEDICA offre un'esperienza eccezionale per gli esperti di tutto il mondo. Il Forum mondiale per la medicina Ogni anno a Novembre, MEDICA presenta un'ampiaeccezionale gamma di prodotti offre un'esperienza presentati da circa 5.000 espositori. per gli esperti di tutto il mondo. Il Approfi tta di MEDICA e dei suoi Forum mondiale per la medicina prodotti tuadiarea presenta speciali un'ampianella gamma prodotti presentati da circa 5.000 espositori. di interesse. Approfitta di MEDICA e dei suoi
prodotti speciali nella area BE PART OFtuaIT! di interesse.
BE PART OF IT!
CME EDUCATION CME CONFERENCE EDUCATION CONFERENCE
ECON FORUM
ECON FORUM
TECH FORUM TECH FORUM
La scienza incontra la tecnologia medicale
Lawww.medica.de/MEC2 scienza incontra la tecnologia medicale
www.medica.de/MEC2
Gli operatori sanitari a dialogo
Gliwww.medica.de/MEF2 operatori sanitari a dialogo
www.medica.de/MEF2
Le tematiche politiche, scientifiche e tecniche
Le tematiche politiche, scientifiche e tecniche
www.medica.de/MTF2
www.medica.de/MTF2
L'ABC della cura della ferita
L'ABC della cura della ferita
www.medica.de/MWCF2 www.medica.de/MWCF2 Il T5 della carriera medica Il T5 della carriera medica
www.medica.de/MCF2 www.medica.de/MCF2
Honegger Gaspare Srl Honegger Gaspare Srl Via F. Carlini, 1 _ 20146 Milano Via F. Carlini, 1 _ 20146 Milano Tel +39 02 4779141 _ Fax +39 02 48953748 Tel +39 02 4779141 _ Fax +39 02 48953748 contact@honegger.it _ www.honegger.it
contact@honegger.it _ www.honegger.it
2016-07-18 MEDICA 2016_Italien_Ärzte_137 x 275mm_Medico e Paziente_4c_4881
9.686.513, di cui oltre 587mila con FA. Analizzando i diversi outcome è emerso che nei soggetti con fibrillazione atriale il rischio di mortalità complessiva è aumentato del 46 per cento, di cardiopatia ischemica del 61 per cento, di nefropatia cronica del 64. Per la morte cardiaca improvvisa si è calcolato un aumento addirittura dell’88 per cento, e per gli episodi CV maggiori il valore si avvicina a 100, essendo del 96 per cento! In presenza di FA inoltre, il rischio di mortalità CV raddoppia, il rischio di stroke aumenta di più del doppio (2,3 volte), mentre per lo scompenso cardiaco il valore è quantuplicato. La correlazione è risultata ben più robusta sia in termini di rischio relativo che assoluto per lo scompenso cardiaco di quanto non lo sia per lo stroke. Peraltro dallo studio emerge come la FA non abbia particolare peso sullo stroke emorragico. Dalla revisione presentata emerge dunque un forte legame tra la FA e le patologie CV maggiori non stroke; un legame probabilmente ancora poco esplorato, certamente degno di attenzione che si aggiunge al ben noto impatto sull’ictus. Il meccanismo attraverso il quale la FA comporti un aumento del rischio di un così ampio ventaglio di patologie CV non è al momento noto ed è oggetto di ricerca. Attualmente la maggior parte degli interventi, secondo gli Autori, è focalizzata sulla prevenzione/gestione dello stroke, che tuttavia, stando ai risultati di questo lavoro, dovrebbe essere affiancata da percorsi ad hoc che includano anche la valutazione del rischio per patologie CV “big killer”. Un altro lavoro, frutto di ricercatori italiani, ha ipotizzato un meccanismo attraverso cui la presenza di FA aumenterebbe il rischio cardiovascolare nei pazienti anziani. Nello specifico, lo studio chiama in causa lo stato di ossidazione mediato da alcuni enzimi come possibile determinante di rischio. Partendo da osservazioni precliniche sugli effetti antitrombotici della gluta-
letti per voi tione perossidasi 3 (GPx3) (enzima ad attività antiossidante che catabolizza il perossido di idrogeno), è stato condotto uno studio di coorte su 909 pazienti con FA. Nei partecipanti è stata misurata l’attività al basale della GPx3, della superossido dismutasi (SOD) e della catalasi; i valori sono stati messi in relazione con il rischio CV in un follow up di 43,4 mesi (3.291 persona/ anni). Nell’arco di tempo considerato sono stati registrati 160 eventi CV, significativamente in numero maggiore tra le persone che presentavano livelli più bassi di GPx3 (P <0,001) e SOD (P
=0,037) rispetto a quelli con valori più elevati. Anche il tasso di sopravvivenza sembra essere in qualche modo legato allo status ossidativo: valori inferiori sono stati osservati tra le persone che avevano livelli di attività antiossidante più bassi rispetto alla media. La glutatione perossidasi 3 è risultata il determinante maggiore del rischio CV (HR 0,647, 95 per cento CI 0,524-0,798, P <0,001) come dimostrato nell’analisi di regressione di Cox. Il dato interessante è che con l’invecchiamento l’attività della GPx3 diminuisce progressivamente (P <0,001), specialmente
Pneumologia
Nella BPCO severa funziona l’associazione “tre in uno” ICS/LABA/LAMA e si dimostra superiore rispetto a uno dei trattamenti standard ovvero la combinazione a dose fissa ICS/LABA £ La scarsa aderenza dei pazienti alla terapia è il tallone d’Achille nella gestione della BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva). Spesso gli schemi comprendono due o tre farmaci, somministrati per inalazione e che devono essere ripetuti diverse volte al giorno; tenendo conto che l’età media dei pazienti è piuttosto alta, la percentuale di chi dimentica la terapia unita a quella di chi sbaglia la somministrazione rendono in gran parte inefficace la cura. Ecco perché diversi studi si stanno concentrando per verificare se combinazioni fisse di farmaci inalate con un solo device possano apportare miglioramenti in tal senso. Significativo è dunque lo studio TRILOGY da poco apparso su Lancet, in cui per la prima volta viene dimostrata la superiorità di un’associazione tripla fissa ICS/LABA/LAMA (beclometasone/ formoterolo/glicopirronio) rispetto a uno degli “standard of care” ovvero la duplice fissa ICS/LABA nelle forme severe o molto severe di BPCO. Si 8
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
tratta di un trial di fase 3 multicentrico, controllato, randomizzato in doppio cieco in cui la terapia è stata somministrata per 52 settimane. Lo studio ha coinvolto 1.368 pazienti con un FEV1 post broncodilatatore <50 per cento dell’atteso, e una o più riacutizzazioni moderate o gravi negli ultimi 12 mesi. I pazienti sono stati dapprima trattati tutti con l’associazione doppia fissa ICS/LABA per 2 settimane e poi sono stati randomizzati in due gruppi: metà ha continuato la terapia ICS/ LABA (100/6µg, due volte al giorno), l’altra metà è stata invece trattata con la tripla fissa ICS/LABA/LAMA (100/6/12,5µg, due volte al giorno). I pazienti sono stati valutati a 4, 12, 26, 40 e 52 settimane. I vantaggi della terapia “tre in uno” sono emersi già alla 26esima settimana, e in particolare si è registrato un netto miglioramento della funzionalità polmonare antecedente la dose di assunzione del farmaco al mattino: il FEV1 è risultato più alto di 81 ml in media rispetto a quanto osser-
dopo i 70 anni. Gli Autori dunque, puntano l’attenzione sul fatto che la ridotta attività antiossidante, mediata dalla glutatione perossidasi 3, possa essere associata all’aumento del rischio di eventi CV nei pazienti con fibrillazione atriale, e che tale meccanismo possa essere rilevante soprattutto nella popolazione anziana. Odutayo A, X Wong C et al. BMJ 2016; 354: i4482; doi: 10.1136/bmj.i4482; Pastori D, Pignatelli P et al. J Am Heart Assoc 2016; 5: e003682; doi: 10.1161/Jaha.116.003682
vato con la doppia associazione ICS/ LABA. Analogo trend è stato osservato per il FEV1 a 2 ore dall’assunzione della triplice, che è risultato 117 ml più alto in media rispetto alla doppia ICS/LABA. Questo significa che l’effetto del farmaco si manifesta molto rapidamente. Positivi sono stati anche gli effetti sulla dispnea: a 26 settimane, il Transition Dyspnea Index (TDI) score medio è stato di 1,71 per la triplice rispetto a 1,50 per la duplice, con una differenza di 0,21 (CI 95 -0,08-0,51, P =0,160). Tutti i risultati sono stati confermati alla 52esima settimana. In questo arco di tempo è stata riscontrata una riduzione del 23 per cento delle riacutizzazioni, che più di ogni altro evento peggiorano la qualità di vita del paziente con BPCO, causandone molto spesso il ricovero ed essendo la principale causa di decesso. Lo studio dimostra l’importanza di trattare la BPCO severa con tutti e tre i principi attivi, erogati contemporaneamente. Vantaggi che si traducono nella pratica clinica in una maggiore efficacia della terapia grazie alla co-deposizione dei tre principi attivi nelle vie aeree centrali e in quelle periferiche, e in un conseguente miglioramento dell’aderenza, specie nei pazienti anziani che hanno maggiore difficoltà a gestire più dispositivi. Singh D, Papi A et al. Lancet 2016; 388 (10048): 963-73
la nuova versione del sito e n i l n o www.medicoepaziente.it cambia volto!
Il nuovo sito si presenta come una galassia, che ha come centro la figura del Medico di Medicina generale. www.medicoepaziente.it non è un portale generico, e nemmeno la versione elettronica della rivista, ma un aggregatore di contenuti, derivanti da una pluralità di fonti, che possano essere utili al Medico di Medicina generale nel suo lavoro quotidiano.
www.medicoepaziente.it
info@medicoepaziente.it
oncologia
Terapie osservazionali Il protocollo di sorveglianza attiva nel tumore alla prostata La sorveglianza attiva si sta affermando come un’alternativa sempre più valida per i pazienti affetti da Ca. prostatico poco invasivo. Si tratta di un protocollo di monitoraggio che permette di “aggirare” le terapie radicali spesso impegnative dal punto di vista degli effetti collaterali, a condizione che vi sia un’accurata selezione dei pazienti candidati
N
on si interviene sempre nei casi diagnosticati di carcinoma della prostata, ma per così dire li si osserva. Questa è la sorveglianza attiva, una delle possibili strade da percorrere nel caso di un tumore prostatico poco invasivo. Le terapie standard utilizzate possono produrre pesanti effetti collaterali, quali disfunzione erettile, incontinenza, sanguinamento rettale e urinario. Si tratta di conseguenze in grado di compromettere la qualità di vita dei pazienti, come spesso viene segnalato dagli stessi. Per questo motivo, da qualche anno in diversi Centri oncologici viene proposta la sorveglianza attiva per i soggetti che sono affetti da tumori poco aggressivi, con evoluzione molto lenta. In questo servizio cercheremo di chiarire di che cosa esattamente si tratta, le differenze rispetto alla vigile
A cura della Redazione
10
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
attesa, e quali sono i pazienti candidati al protocollo di sorveglianza. Al tema sono stati dedicati numerosi focus sulla rivista Europa Uomo, pubblicazione periodica di Europa Uomo Italia Onlus, un’associazione che da anni si batte per l’informazione, la prevenzione e il supporto nell’ambito delle patologie prostatiche, di cui presenteremo una sintesi.
Lo screening mediante PSA: una discussione aperta Il Ca. prostatico negli ultimi 10 anni è diventato il tumore più frequente tra la popolazione maschile dei Paesi occidentali. L’incidenza ha registrato un sensibile aumento tra il 1998 e il 2003, causato con molta probabilità dall’ampia diffusione, specie nei Paesi nordeuropei, ma anche Italia e negli USA, dello screening mediante test del PSA (prostate specific antigen), e si è stabilizzata successivamente. Per quel che riguarda il nostro Paese,
nel 2015 i casi registrati ammontavano a 35mila. La mortalità associata è in lieve diminuzione, e i decessi si registrano per lo più tra i pazienti “over 70”. Secondo le stime in Europa il 40 per cento degli uomini con più di 50 anni è portatore di focolai di tumore prostatico; tuttavia solo in una persona su 11, secondo i dati, la malattia si manifesterà clinicamente, e solo un paziente su 28 morirà a causa del tumore. In pratica questi dati indicano come vi siano diverse forme di tumore, che spaziano da quelle indolenti a quelle aggressive e potenzialmente letali. In passato, come accennato poc’anzi, si è fatto largo uso dello screening mediante PSA. Tale strategia tuttavia è stata ed è tuttora ampiamente in discussione, tanto da rappresentare uno dei temi più controversi in ambito urologico, come sottolinea un articolo curato da Stacey Loeb, uscito sul BJUI nel 2014. Ricordiamo infatti che il PSA è un marcatore della prostata, e non è un marcatore unicamente tumorale. Il suo valore può crescere anche in caso di infiammazione della ghiandola o in presenza di iperplasia benigna. Da un lato vi sono ampie evidenze a supporto dell’efficacia dello screening mediante test del PSA nella diagnosi di tumori in fase molto precoce, quindi meglio responsivi alle terapie e con una più favorevole prognosi. In parallelo però, vanno considerate le biopsie multiple eseguite inutilmente nei casi di falsi positivi, le sovra-diagnosi e non ultimo il potenziale impatto non solo delle biopsie, ma anche dei trattamenti. Queste considerazioni bene si riflettono nei documenti ufficiali e raccomandazioni emanate dalle principali società scientifiche internazionali. Le istituzioni regolatorie statunitensi disincenti-
vano il test del PSA come esame di screening di popolazione (documento USPSTF del 2012). La comunità onco-urologica europea sembra essere su una linea un po’ diversa. L’orientamento europeo, che rispecchia anche la posizione della SIUrO (Società italiana di urologia oncologica), è quello di non utilizzare in maniera indiscriminata il test del PSA come strumento di screening: esso rappresenta un buon indizio di tumore (ma non una prova), senza essere in grado di discriminare tra forme indolenti e aggressive. Un utilizzo “a tappeto” del PSA potrebbe portare a una sovra-diagnosi e di conseguenza a un trattamento inappropriato. Parliamo di “over treatment” dal momento che verrebbero trattati tutti i tumori indipendentemente dalle loro caratteristiche biologiche. In ambito di screening è stato calcolato che è necessario sottoporre a test del PSA 721 soggetti per diagnosticare e trattarne 27 per salvare una vita dopo 13 anni. Ed ecco dunque che cosa raccomanda la SIUrO, in linea con i colleghi europei: il test del PSA va eseguito su indicazione del medico di medicina generale e/o dello specialista urologo dopo i 50 anni, dopo i 40 se c’è familiarità per questo tumore, oppure in presenza di disturbi urinari (riquadro a lato).
Le attuali strade terapeutiche Per i pazienti affetti da Ca. prostatico esistono diverse opzioni di trattamento che vanno dalla chirurgia alla chemioterapia alla sorveglianza attiva (che sarà trattata separatamente nel prossimo paragrafo), ed eventualmente possono essere usate anche in regime di combinazione. Chirurgia. Il tipo di intervento può variare in base alle situazioni. In alcuni casi si opta per la prostatectomia radicale, in altri questa può essere affiancata alla rimozione dei linfonodi. Nel corso degli anni, le tecniche sono diventate via via sempre meno invasive, in modo da ridurre le complicanze post-intervento. Radioterapia. Si tratta di un intervento finalizzato alla sola distruzione delle cellule tumorali mediante fasci di radiazioni ionizzanti. La radioterapia può essere usa-
ta a scopo curativo, come adiuvante nel post-operatorio, come opzione di salvataggio dopo chirurgia (in caso di recidiva o di aumento del PSA), oppure infine a scopo palliativo. Una declinazione della radioterapia è la brachiterapia. Quest’ultima prevede il posizionamento sotto guida ecografica di sorgenti radioattive direttamente all’interno della prostata. L’intervento viene effettuato in anestesia e richiede circa due ore. La brachiterapia solitamente è presa in considerazione per tumori a basso rischio di progressione; per le forme di cancro a rischio medio e alto, può essere associata alla radioterapia “classica” e alla terapia ormonale. Ormonoterapia. Può essere impiegata da sola o in associazione alla chirurgia e alla radioterapia, ed è riservata al controllo della malattia in fase avanzata o metastatica, a prevenire le recidive in caso di linfonodi positivi, a ridurre il volume della prostata prima della brachiterapia. Chemioterapia. È usata nei casi di malattia resistente alla castrazione ovvero forme non responsive alla terapia ormonale di prima linea. Il docetaxel rappresenta a oggi il gold standard nella terapia di prima linea del carcinoma prostatico refrattario ai trattamenti ormonali; in caso di ripresa della malattia nonostante il docetaxel, un chemioterapico di salvataggio è rappresentato da carbazitaxel. Recentemente sono stati introdotti l’abiraterone e l’enzalutamide che possono essere impiegati sia prima che dopo terapia con docetaxel. Vigile attesa. È un atteggiamento di tipo osservazionale che viene riservato e proposto in genere a persone già affette da altre importanti patologie oppure a quelli che hanno un’aspettativa di vita minore di 10 anni, indipendentemente dalle caratteristiche del tumore. La vigile attesa che come vedremo è ben diversa dalla sorveglianza attiva (Tabella 1), consiste in controlli, solitamente da effettuarsi ogni 6 mesi, che comprendono test del PSA e visita urologica con esplorazione rettale. In questi casi non viene indicata la ripetizione della biopsia. Solo in caso di comparsa di sintomi e disturbi, si prende in considerazione una terapia in genere di tipo ormonale.
I sintomi (aspecifici) del tumore alla prostata In fase iniziale il Ca. prostatico non presenta in genere sintomi specifici, ma disturbi che possono essere comuni anche all’ipertrofia prostatica benigna. Tra questi rientrano: • Indebolimento del getto urinario • Frequente e incontenibile necessità di urinare • Possibile dolore alla minzione • Possibile presenza di sangue nelle urine
La sorveglianza attiva Il protocollo di sorveglianza attiva (introdotto all’inizio del Duemila) è stato sviluppato nel tentativo di evitare i trattamenti inutili, e dunque per rispondere a un criterio di appropriatezza della cura. Un articolo pubblicato sulla rivista Europa Uomo (Valdagni R, Marenghi C. Europa Uomo, giugno 2014) molto bene delinea tale strategia, definendo la sorveglianza attiva come un atteggiamento osservazionale che consiste in un attento monitoraggio della malattia attraverso il dosaggio del PSA, la visita e la ripetizione periodica delle biopsie prostatiche. Le finalità sono da un lato evitare del tutto o ritardare i trattamenti inutili e gli effetti collaterali derivanti delle forme tumorali indolenti, e dall’altro identificare precocemente i tumori aggressivi che in misura maggiore possono trarre vantaggio sia da una diagnosi precoce che dalle terapie curative tempestive. Ben differente dunque dalla vigile attesa, la sorveglianza attiva (Tabella 1) si basa sul presupposto che l’evoluzione clinica dei tumori a basso rischio di progressione è così lenta che pur rinviando il trattamento al momento in cui compaiono i primi sintomi di una forma
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
11
oncologia Tabella 1. Sorveglianza
attiva e vigile attesa a confronto
Sorveglianza attiva
Vigile attesa
Obiettivo
Individualizzare la terapia in base all’aggressività della malattia
Minimizzare gli effetti collaterali, preservare la qualità di vita
Caratteristiche dei pazienti
Candidati a terapie radicali
Attesa di vita <5-10 anni
Strumenti di monitoraggio
PSA, visita, biopsia
PSA, visita
Indicazioni al trattamento
Riclassificazione della malattia alla biopsia. Tempo di raddoppiamento del PSA
Paziente sintomatico
Tempistica del trattamento
Precoce
Dilazionato
Obiettivo del trattamento
Curativo
Palliativo
Fonte: Valdagni R, Marenghi C. Europa Uomo 2014, giugno.
a maggiore rischio, è possibile mantenere alte le possibilità di guarigione. I risultati di alcune ricerche molecolari suggeriscono che per esempio alcuni tumori classificati dal punto vista anatomo-patologico come Gleason score 3 sono comunque privi delle tipiche alterazioni dei tumori maligni, caratteristiche che si riscontrano invece nelle forme con Gleason maggiore. Da queste considerazioni è nata l’ipotesi che l’aggressività o l’indolenza di un tumore possa essere determinata fin dalla sua insorgenza e tenda a mantenersi nel tempo.
Per quali pazienti? I soggetti che potrebbero trarre maggiore
Il progetto SIUrO PRIAS Italia
12
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
vantaggio da un protocollo di sorveglianza attiva devono presentare caratteristiche ben precise, che identificano tumori di dimensioni piccole e con basso grado di aggressività biologica. La tabella 2 riporta i criteri per la selezione dei pazienti utilizzati nei protocolli di alcuni centri. L’utilizzo di criteri differenti integrandoli tra loro è fondamentale per poter “incasellare” i tumori come indolenti o aggressivi. I criteri che attualmente vengono usati sono buoni, ma non ottimali. Pertanto può succedere che un tumore inquadrato come indolente debba essere successivamente trattato oppure un paziente escluso dalla sorveglianza attiva
sia portatore di un tumore non evolutivo. Qui presentiamo i criteri che sono usati nello studio internazionale PRIAS, che finora ha incluso più di 4mila pazienti, di cui 500 reclutati in Italia tra i partecipanti al progetto SIUrO-PRIAS-Ita, coordinato dall’INT (Istituto Nazionale dei Tumori) di Milano (riquadro sotto). Un paziente può entrare in un protocollo di sorveglianza attiva se affetto da adenocarcinoma della prostata con GPS (Gleason Pattern Score) massimo 3+3, non più di 2 campioni positivi alla biopsia prostatica, PSA ≤10 ng/ml, densità del PSA (PSA/ volume prostata) ≤0,2 ng/ml/cc.
Il follow up Anche per quel che riguarda i controlli durante il periodo di osservazione (Tabella 3) vi sono diversi protocolli, in analogia a quanto visto per i criteri di selezione. Le biopsie prostatiche durante il monitoraggio servono a identificare precocemente eventuali segni di aggressività non evidenti al momento della diagnosi oppure insorti nel tempo, che farebbero uscire il soggetto dalla sorveglianza per farlo entrare in un protocollo di cura. I controlli di follow up comprendono dosaggio del PSA, visita e biopsia prostatica. In generale la prima biopsia dopo quella diagnostica viene indicata/programmata entro 12 mesi, le successive ripetute a un intervallo di 1 e 4 anni a seconda dei protocolli; nel caso di PRIAS, dopo il primo anno, ogni 3 anni. Naturalmente possono essere eseguite biopsie “fuori programma” sulla base dei
Nel 2009 la SIUrO ha promosso la diffusione nel nostro Paese del protocollo PRIAS attraverso lo studio SIUrO PRIAS Ita. I partecipanti sono dieci centri che sono coordinati dal Programma prostata dell’Istituto Nazionale dei Tumori (INT) di Milano (che partecipa a PRIAS dal 2007). Coordinatore di SIUrO PRIAS Ita è Riccardo Valdagni (intervista a seguire), e co-responsabile è Giario Conti, del Dipartimento di Chirurgia dell’Ospedale S. Anna di Como e past president della Società italiana di urologia oncologica. Sul sito www.siuro.it sono disponibili tutte le informazioni relative ai centri partecipanti (elenco completo, indirizzo e contatti), alle caratteristiche dei pazienti e alle modalità di arruolamento.
Tabella 2. Protocolli
di sorveglianza attiva: le casistiche
Istituzione e anno di pubblicazione dei dati
Pazienti inclusi
GPS
Numero campioni positivi
Interessamento del singolo campione
PSA density
Pazienti (%) rimasti in sorveglianza
University of California – San Francisco, 2008
321
≤3+3
<33%
≤50%
-
67 a 5 anni
Memorial Sloan-Kettering Cancer Center – New York e altri, 2009
262
≤3+3
≤3
≤50%
-
75 a 5 anni
University of Miami, 2010
230
≤3+3
≤2
≤20%
-
85,7 a 5 anni
University of Toronto, 2010
450
≤3+3 (3+4, se >70 anni)
-
-
-
72 a 5 anni, 62 a 10 anni
John Hopkins University, 2011
769
≤3+3
≤2
≤50%
≤0,15 ng/ml/cc
59 a 5 anni
2.454
≤3+3 (3+4, se >70 anni)
≤2
-
≤ 0,2 ng/ml/cc
68 a 4 anni
University of Göteborg, 2013
439
≤3+3
≤2
-
-
61,5 a 5 anni
Royal Marsden Hospital, 2013
471
≤3+3 (3+4, se >65 anni)
≤50%
-
-
70 a 5 anni
University of Copenhagen, 2013
167
≤3+3
≤3
-
-
60 a 5 anni
SIUrO PRIAS Italia, 2014
480
≤3+3 (3+4, se >70 anni)
≤2
-
PRIAS: ≤0,2 ng/ml/cc
74 a 24 mesi
454 tot: 287 PRIAS, 187 SAINT
PRIAS: ≤3+3 (3+4, se >70 anni), SAINT: ≤3+3
PRIAS: ≤2, SAINT: ≤25%
SAINT: ≤50%
PRIAS: ≤0,2 ng/ml/cc
PRIAS: 56 a 4 anni, SAINT: 48 a 4 anni
PRIAS, 2013
Fondazione Irccs INT Milano, 2013
Note: GPS, Gleason pattern score; INT, Istituto Nazionale dei Tumori Fonte: Valdagni R, Marenghi C. Europa Uomo 2014, giugno.
valori del PSA. Nello studio PRIAS l’andamento del PSA nel tempo viene misurato attraverso il tempo di raddoppiamento del valore (PSA-DT, PSA doubling time). Il PSA-DT viene usato come elemento di sospetto e dunque indicativo per approfondimenti diagnostici, e come criterio di abbandono della sorveglianza attiva se è inferiore a 3 anni. Solitamente l’interruzione del protocollo e l’avvio a una terapia curativa sono guidati dalla biopsia. La riclassificazione della malattia alla rebiopsia ossia il riscontro di parametri al di
fuori dei criteri di sorveglianza è la causa più frequente di avvio (tempestivo) al trattamento; questa evenienza interessa circa un terzo dei pazienti, come sottolineato nel lavoro già citato di Valdagni e Marenghi. Il cambiamento della classe di rischio sia per un aumento dei campioni positivi alla biopsia che per l’aumento di GPS (verso GPS 3+4) in genere avviene entro i primi due anni, e non viene ritenuto un’evoluzione del tumore verso forme aggressive quanto piuttosto il risultato di una migliore conoscenza (derivante dalla re-biopsia) del tumore iniziale.
Il futuro della sorveglianza attiva La ricerca nell’ambito della sorveglianza attiva si sta focalizzando su diversi temi nell’ottica di migliorare i criteri di selezione dei pazienti come anche l’accuratezza delle biopsie. Un argomento centrale è il potere diagnostico in fase di identificazione del tumore, in modo da distinguere le forme indolenti che possono entrare in sorveglianza attiva da quelle aggressive per le quali è necessario un trattamento immediato. I risultati delle ricerche in corso sulla caratterizzazione biologica dei tumori probabilmente permetteranno di
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
13
oncologia Tabella 3.
Criteri di sicurezza nel follow up
• Aderenza al programma di controlli periodici (PSA, PSA-DT, visita clinica con esplorazione rettale e biopsia a intervalli regolari a seconda del protocollo) • Aderenza alle procedure del controllo nella fase di inclusione, esclusione, monitoraggio • Tempestiva interruzione del programma osservazionale alla modifica delle caratteristiche iniziali della malattia e indicazione di trattamenti attivi possibili • Expertise del patologo incaricato della lettura delle biopsie
Un manuale dedicato ai pazienti Il tumore della prostata…visto dalle donne
E
uropa Uomo Italia Onlus e ProAdamo Fondazione Onlus sono le realtà che nel nostro Paese si battono quotidianamente per diffondere la prevenzione e l’informazione sul tumore alla prostata. Un’ulteriore testimonianza di questo impegno è la pubblicazione di un manuale “Il tumore della prostata” dedicato ai pazienti, e non solo. La pubblicazione è disponibile in formato pdf, scaricabile dal sito www.proadamo.it (nella sezione link download), ed è frutto del lavoro multidisciplinare di medici e ricercatori del Programma prostata, dell’Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, coordinati dal professor Riccardo Valdagni, direttore del Programma. Nella prefazione curata da Ettore Fumagalli, presidente di Europa Uomo Italia Onlus si legge “Se l’uomo dedicasse alla prevenzione del tumore della prostata la stessa attenzione che oggi la donna dedica a quella del seno, si valuta che su ogni mille uomini visitati per un
14
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
controllo annuale, 76 scoprirebbero di presentare patologie dell’apparato genitourinario. Patologie non significa tumore, bensì allarme per qualcosa che non funziona nel proprio organismo… L’informazione adeguata – e di conseguenza una prevenzione diffusa – ha dimezzato i casi di morte per tumore al seno. Il fine del libretto, realizzato con la competente collaborazione delle dottoresse specialiste dell’Istituto dei tumori di Milano che partecipano al Programma prostata, è quello di avvicinarsi a questo obiettivo. Lo sforzo delle autrici – che abbiamo voluto fossero tutte donne – è stato quello della chiarezza e della semplicità, senza trascurare però la precisione tecnica. Si è cercato di rispondere a tutti gli interrogativi che un uomo che sospetta di essere malato può porsi, di accompagnarlo nel decorso della malattia, di spiegare quali sono le possibilità di cura e che cosa succede dopo. Mi auguro che questo prezioso opuscolo possa contribuire a formare una
compiere preziosi passi in avanti in questo ambito. Anche il miglioramento dell’accuratezza delle procedure bioptiche, individuare metodi alternativi alla biopsia nel follow up come pure la creazione di una banca dati mondiale di confronto dei risultati ottenuti nei protocolli di sorveglianza attiva sono temi oggetto della ricerca futura.
Considerazioni conclusive Il tumore della prostata presenta un profilo molto variegato, con forme indolenti e poco aggressive, e forme maligne e a rapida evoluzione. La migliore conoscenza di questo tipo di tumore ha permesso di sviluppare come alternativa alle terapie radicali, un protocollo
nuova conoscenza che l’uomo deve avere di sé. È il primo passo di una politica della salute che può aiutare ad individuare per tempo il male, affrontarlo, curarlo”. E Gianfranco Negri-Clementi, presidente di ProAdamo Fondazione Onlus, prosegue “È per me una doppia soddisfazione poter presentare questa piccola, ma importante opera. Lo è sia come presidente della Fondazione ProAdamo, che ha voluto contribuire alla realizzazione e alla pubblicazione
osservazionale ovvero la sorveglianza attiva che permette di procrastinare il trattamento attivo oppure non adottarlo affatto, in casi di pazienti affetti da forme poco aggressive e che rispondono a determinati criteri. Oggi la sorveglianza attiva viene riconosciuta come atteggiamento osservazionale del Ca. prostatico in classe di rischio bassa e molto bassa dalle principali linee guida nazionali e internazionali. I risultati di due recenti indagini statunitensi mostrano tuttavia che questa opzione, seppure nella consapevolezza dell’efficacia, gode di poca considerazione da parte del clinico (Valdagni R, Avuzzi B, Europa Uomo giugno 2015). Solo il 20 per cento infatti dei pazienti riceve una proposta di sorveglianza attiva! Dalle
di questo opuscolo, sia come uomo, perché la vita e l’esperienza mi consentono ogni giorno di più di apprezzare il valore della conoscenza e della sua diffusione. Leggete con attenzione. Che siate pazienti, o loro familiari, o medici, o solo curiosi di sapere. Vi accorgerete che il tumore della prostata è una patologia che non si cura solo in ospedale. È una malattia che non riguarda solo il medico e il paziente. Il tumore della prostata diventa anche una patologia dell’anima. Ogni uomo che ne sia colpito deve affrontare paure e incognite che lo costringono a ricostruire la sua identità maschile. Deve ricomporre la sua immagine sociale. Per questo parlarne è vitale, e diffondere questa preziosa pubblicazione è per noi di ProAdamo e per gli amici di Europa Uomo Italia un obiettivo di primaria importanza…La scelta di un team solo femminile non è casuale. Vuole dare un ulteriore segnale, ai pazienti e ai loro familiari, dell’importanza del ruolo della donna per la capacità di attenzione e di cura che le sono proprie e che troppo spesso mancano a noi uomini”.
indagini è emerso come nella scelta del trattamento sia determinante l’influenza del medico che ha comunicato la diagnosi: il paziente sceglie il trattamento consigliato dal medico e se quest’ultimo è fortemente influenzato dall’esperienza professionale personale, il paziente è
privato della possibilità di conoscere e scegliere opzioni alternative. Sono tematiche meritevoli di una migliore e maggiore informazione e comunicazione sia in ambito specialistico che nella medicina generale, oltre naturalmente che a livello di popolazione generale.
Riferimenti bibliografici • Loeb S. Guideline of guidelines: prostate cancer screening. BJUI Int 2014; 114: 323-5. • Graefen M, Schlomm T et al. Detailed quantification of high-grade cancer allows precise prediction of prostate cancer prognosis. Eur Urol 2016; 69: 436-7. • Epstein JI, Montironi R. Grading of prostate cancer in the 21st century. Urologia 2016; 83 (1): 1-3 • Valdagni R, Marenghi C. La sorveglianza attiva. Europa Uomo 2014; giugno: 14-21 • Valdagni R, Avuzzi B. Tutti i medici la conoscono, i più la evitano. Lo strano caso della sorveglianza attiva. Europa Uomo 2015; giugno: 22-4.
Lo stato dell’arte della sorveglianza attiva in Italia Il parere dell’esperto Intervista al professor Riccardo Valdagni Direttore del Programma Prostata, Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano Perché e come nasce il concetto di sorveglianza attiva in Europa? Il tumore della prostata è in Italia la neoplasia più frequente nella popolazione maschile, con circa 35mila nuovi casi nel 2015. L’incidenza è significativamente e progressivamente aumentata a partire dagli anni ’90 in seguito all’introduzione del PSA, un semplice test sul sangue che ha giocato un duplice ruolo: ha da
un lato favorito la diagnosi precoce della malattia, ancor prima che insorgano sintomi, ma, parallelamente, ha svelato moltissimi tumori scarsamente aggressivi, che non si sarebbero altrimenti manifestati nell’arco della vita del paziente e non ne avrebbero causato la morte. Questi tumori sono chiamati indolenti o clinicamente non significativi, mentre questo fenomeno è chiamato sovra-diagnosi. Il tradizionale approccio al problema oncologico è di
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
15
oncologia “trattare per sconfiggere” e questo cliché è stato applicato anche al caso del tumore della prostata. Ne risulta che anche i tumori indolenti sono principalmente trattati con le terapie radicali standard (chirurgia, radioterapia esterna e brachiterapia), approcci sicuramente curativi, ma gravati da effetti collaterali che possono impattare sulla qualità della vita dei pazienti. Questo fenomeno è chiamato sovra-trattamento. La sorveglianza attiva nasce come risposta al problema della sovra-diagnosi e, soprattutto, del sovra-trattamento. Si tratta di un atteggiamento osservazionale, quindi di non immediato intervento, proposto a selezionati pazienti con ben precise caratteristiche di malattia: PSA inferiore a 10 ng/ml, Gleason score alla biopsia non superiore a 3+3, malattia piccola, localizzata. Sono i pazienti che rientrano nelle classi di rischio di progressione basso e molto basso. La sorveglianza attiva è proposta in
alternativa alle terapie radicali, e consiste in un programma di periodici controlli clinici e strumentali con PSA, biopsie di follow up (e, in alcuni protocolli, risonanza magnetica multiparametrica), possibilmente inserendo il paziente all’interno di protocolli di studio. Il programma di sorveglianza attiva è interrotto se le caratteristiche cliniche e istopatologiche iniziali del tumore si modificano. In questo caso il paziente è indirizzato al trattamento attivo. L’Istituto Nazionale dei Tumori ha iniziato a proporre la sorveglianza attiva ai pazienti con tumore della prostata in classe di rischio bassa e molto bassa nel 2005 ed è, dopo 11 anni di esperienza, tra i centri internazionali con la casistica più numerosa. Al 30 settembre 2016, l’Istituto ha incluso 814 pazienti nei due protocolli di sorveglianza attiva, il protocollo multicentrico internazionale “Prostate cancer Research International: Active Surveillance” (PRIAS)
Il tumore della prostata In europa Nel 2013 Europa Uomo ha pubblicato un manuale che contiene le raccomandazioni per migliorare l’accesso alle cure a tutti i pazienti europei e per implementare la diagnosi precoce. La cartina illustra le previsioni per il 2020 di incidenza del Ca. prostatico nel Vecchio Continente (i valori sono calcolati su 100.000 persone).
16
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
e lo studio osservazionale istituzionale SAINT. 411 pazienti sono attualmente in sorveglianza attiva, mentre 403 hanno interrotto il percorso osservazionale per i seguenti motivi: • 63,3 per cento per modifica delle caratteristiche istopatologiche iniziali • 15,6 per cento per altre cause (cinetica del PSA, morte non legata al tumore, peggioramento delle condizioni generali di salute, altro) • 14,4 per cento per scelta personale • 4,5 per cento per l’età avanzata • 2,2 per cento per ansia. Ed ecco alcuni dati: • Follow-up mediano: 54 mesi (2,3142,72) • Morti per tumore alla prostata: 0 per cento • Sopravvivenza globale 10 anni: 99,5 per cento • Pazienti ancora in sorveglianza attiva a 5 anni: 42,5 per cento. L’Istituto Nazionale dei Tumori coordina dal 2009 i 10 centri italiani (Policlinico di Bari; Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna; Ospedale M. Bufalini di Cesena; Ospedale Sant’Anna di Como; Ospedale Civile Desenzano; Policlinico Careggi di Firenze; Istituto Nazionale dei Tumori Milano; Ospedale Umberto I Nocera; Istituto Regina Elena di Roma e Istituto Clinico Humanitas di Rozzano) che partecipano al protocollo PRIAS sotto l’egida della Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO PRIAS Italia). Al 30 settembre, SIUrO PRIAS Italia ha reclutato 951 pazienti. Di questi 351 hanno interrotto il percorso osservazionale per i seguenti motivi: • 68,4 per cento per modifica delle caratteristiche istopatologiche iniziali • 14,8 per cento per scelta • 14,1 per cento per altre cause (cinetica del PSA, morte non legata al tumore, peggioramento delle condizioni generali di salute, altro) • 2,7 per cento per l’età avanzata. Per la sua expertise l’Istituto Nazionale dei Tumori è l’unico centro in Italia a partecipare, insieme ai maggiori istituti internazionali che propongono la sorveglianza
attiva (tra cui Erasmus Medical Center di Rotterdam, John Hopkins di Baltimora, University of California di San Francisco, Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York), al General Action Plan (GAP) 3 “Active Surveillance”, promosso e finanziato dalla Movember Foundation con due milioni di dollari.
Quali sono i criteri attualmente utilizzati per indirizzare un paziente verso un protocollo di sorveglianza attiva? I pazienti a cui può essere proposto un percorso di sorveglianza attiva presentano delle caratteristiche ben precise: - diagnosi di tumore della prostata in seguito a biopsia adeguata al volume (in genere almeno 10-12 prelievi); - Gleason Score non superiore a 3+3; - PSA inferiore a 10 ng/ml - stadio clinico all’esplorazione rettale definito come T1c-T2a, quindi una malattia di piccolo volume, non palpabile o limitata a un lobo prostatico - aspettativa di vita superiore a 10 anni. Esistono poi delle differenze a seconda del protocollo utilizzato. In alcuni, è previsto un numero massimo di biopsie positive con Gleason Score 3+3, in altri è considerata la percentuale di tumore presente nel campione prelevato, in altri ancora non c’è limite al numero di campioni positivi e alla percentuale di tumore contenuta nel campione a patto che il paziente abbia effettuato una risonanza magnetica multiparametrica risultata negativa o seguita da biopsie mirate sulle aree identificate dalla risonanza come sospette (PIRADS3). Anche la densità del PSA, data dal rapporto tra il PSA e il volume della prostata, è un criterio di selezione in alcuni protocolli.
Spostando nel tempo il trattamento curativo per un determinato paziente, non si corre il rischio di restringere la finestra di curabilità ovvero le chance terapeutiche del paziente stesso? La sorveglianza attiva è inclusa nelle prin-
cipali linee guida internazionali, come quelle americane NCCN (National Comprehensive Cancer Network) ed europee EAU (Europen Association of Urology), ed è considerata da alcuni una valida alternativa ai trattamenti radicali nei pazienti a basso rischio di progressione, e la proposta ottimale nei pazienti a rischio molto basso. L’analisi della letteratura mostra che la sorveglianza attiva non riduce la finestra di curabilità. I tumori indolenti non subiscono modifiche e non necessitano di trattamento. Grazie ai controlli, soprattutto con l’esecuzione di nuove biopsie, è invece possibile intercettare i tumori che non presentano caratteristiche iniziali di indolenza e necessitano quindi di trattamento. Ecco perché è davvero importante fare i controlli e questo è un discorso che va rivolto ai pazienti, ma anche ai clinici, che devono prestare la massima attenzione alla puntualità dei controlli e degli esami. L’aderenza allo schema di lavoro permette di essere tempestivi nel trattare i tumori significativi.
I criteri oggi usati per definire l’aggressività di malattia sono di natura clinico-patologica, buoni, ma non ottimali. Quali direzioni sta seguendo la ricerca nel tentativo di migliorare e rendere più accurata la selezione dei pazienti che potrebbero beneficiare di un protocollo di sorveglianza attiva? La ricerca vuole migliorare sempre più la capacità di distinguere i pazienti con malattia indolente a cui proporre la sorveglianza attiva dai pazienti con malattia aggressiva da indirizzare immediatamente al trattamento multimodale. Al contempo però, stiamo cercando di introdurre metodi in grado di identificare e monitorare il tumore senza l’invasività della biopsia prostatica. Dati promettenti vengono dall’utilizzo della risonanza magnetica multiparametrica che pare identificare con buona precisione i tumori potenzialmente aggressivi. La risonanza magnetica può concorrere a migliorare la selezione dei pazienti, a limitare il ricorso a biopsie
ripetute e permettere di mirare le biopsie sulle lesioni aggressive sospette. Un altro interessante campo di indagine si rivolge ai biomarcatori, sostanze di varia natura dosabili nel sangue o nelle urine che potrebbero correlare con l’aggressività del tumore. Fondamentale nella prospettiva di migliorare i protocolli di sorveglianza attiva esistenti è la collaborazione tra centri e istituti, e la condivisione dei risultati e delle esperienze.
Esistono dati riguardanti l’impatto psicologico del protocollo di sorveglianza attiva sul paziente? Psicologi dedicati del Programma Prostata della Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori stanno conducendo dal 2008 uno studio sulla qualità della vita dei pazienti in sorveglianza attiva per rilevare lo stato di salute psichica ed emotiva. Molto si discute su quanto oneroso in termini psicologici possa essere “convivere con l’idea del tumore”. I risultati della nostra ricerca sono molto incoraggianti e confermano che: gli uomini che decidono di intraprendere la strada della sorveglianza hanno alti livelli di benessere emotivo, sociale e fisico. Dopo lo shock della diagnosi, gli uomini in sorveglianza attiva hanno modo e tempo di realizzare, a volte contro iniziali aspettative catastrofiche, che sono “sorvegliati speciali” e che tutto sommato la loro vita quotidiana procede come prima. Una quota minore di pazienti, compresa tra il 2 e il 13 per cento a seconda degli studi, abbandona, generalmente nei primi mesi, la sorveglianza per “ansia”. Questa differenza in percentuali riflette anche una differente definizione del termine ansia da parte dei vari gruppi di ricerca. Se la indichiamo in modo più specifico, come la difficoltà a convivere con la diagnosi di una malattia maligna e la paura di un peggioramento della malattia, l’ansia è meno frequente di quanto ci si aspetti. Nello studio sulla qualità di vita dei pazienti seguiti in sorveglianza attiva presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, l’ansia è causa di uscita dalla sorveglianza solo in circa il 2 per cento dei casi.
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
17
prevenzione oncologica
Screening colorettale e incidenza di tumore Studio di coorte nella provincia di Reggio Emilia Il tumore al colon retto è una delle neoplasie a maggiore insorgenza tra la popolazione italiana. Lo screening di massa è un programma di prevenzione offerto gratuitamente dal SSN ai cittadini di età compresa tra 50 e 69 anni. A seconda della regione, il programma prevede la ricerca del sangue occulto fecale o la rettosigmoidoscopia
N
el 2005 a Reggio Emilia è stato avviato un programma di screening per il tumore del colon retto. Tale programma prevede che le persone fra i 50 e i 69 anni residenti nel territorio della ASL vengano invitate ogni due anni
a effettuare un test del sangue occulto fecale immunochimico (FIT); qualora il test risulti positivo, si passa all’approfondimento di secondo livello con colonscopia. Finora si è verificata un’adesione all’invito fra le più alte d’Italia (64 per cento) e così
A cura di Paolo Giorgi Rossi1,2, Massimo Vicentini1,2, Claudio Sacchettini1,2,
Enza Di Felice1,2, Stefania Caroli1,2, Francesca Ferrari1,2, Lucia Mangone1,2, Annamaria Pezzarossi1,2, Francesca Roncaglia1,2, Cinzia Campari2,3, Romano Sassatelli4, Roberto Sacchero5, Giuliana Sereni4, Luisa Paterlini3, Marco Zappa6 1. Servizio interaziendale di epidemiologia, Registro Tumori, Direzione sanitaria Ausl Reggio Emilia 2. Arcispedale Santa Maria Nova Irccs, Reggio Emilia 3. Servizio controllo e pianificazione Ausl Reggio Emilia, Reggio Emilia 4. Divisione di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva, Arcispedale Santa Maria Nova Irccs, Reggio Emilia 5. Divisione di Endoscopia digestiva, Ausl Reggio Emilia 6. Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (Ispo), Firenze
18
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
pure per la colonscopia (92 per cento). Obiettivo dello studio qui presentato è valutare l’impatto di un programma di screening con FIT biennale sull’incidenza e la mortalità correlata al cancro del colon retto.
Metodi L’incidenza (1997-2012) è stata studiata attraverso i dati del Registro Tumori. I soggetti con tumore colorettale nati fra il 1923 e il 1962 e in età 50-74 anni sono stati divisi in base all’esposizione a screening a seconda che il tumore sia stato diagnosticato nel periodo di pre-screening, screening (1°, 2°, 3° e 4° round) e postscreening. La popolazione è stata considerata esposta a screening indipendentemente dall’aver effettuato il test, ma solo sulla base dell’attivazione del programma, in un’ottica intention to screen. Gli incidence rate-ratio (IRR) sono stati calcolati con un modello multivariato di Poisson aggiustato per sesso ed età (Figura 1). Inoltre due coorti aperte, una di controllo mai screenata (residenti di 50-69 anni nel 1997) e l’altra di screening (residenti di 50-69 anni nel 2005), sono state seguite per 8 anni per calcolare l’incidenza cumulata e l’incidence-based mortality causa specifica e per tutte le cause (Figura 2).
Risultati L’adesione allo screening è del 64 per cento, circa il 70 per cento ha eseguito
almeno un FIT. I tassi di positività e detection rate sono rispettivamente 5,0 e 2,2 per mille. Gli incidence rate-ratio aggiustati per sesso ed età, confrontati con il pre-screening sono: 1,60 [95 per cento CI 1,43-1,79], 0,86 [95 per cento CI 0,78-0,94] e 0,59 [95 per cento CI 0,50-0,69] rispettivamente per il primo round, round successivi e post-screening. Rispetto alla coorte di controllo, la coorte screening mostra un rischio di incidenza (IRR) significativamente ridotto dopo 8 anni (IRR 0,90 [95 per cento CI 0,830,97]) (Figura 3). L’incidence-based mortality ratio causa specifica è 0,64 [95 per cento CI 0,520,68], quello per tutte le cause è 0,73 [95 per cento CI 0,62-0,87] (Figura 4).
Figura 1
Dati utilizzati per il calcolo dell’incidenza di cancro colorettale anno di nascita età
Conclusioni Nello studio è stato utilizzato un approccio intention to screen, che presenta le seguenti caratteristiche: w Più conservativo; w Impatto su tutta la popolazione e non solo sui rispondenti; w Non vi è self-selection bias. Cosa già si sapeva
• Grandi studi clinici randomizzati hanno mostrato una riduzione della mortalità del 16 per cento con lo screening con test del sangue occulto delle feci di vecchia concezione (test al Guaiaco), ma non una riduzione di incidenza [1-3] • Test di concezione più recente, i test immunochimici (FIT), sono più sensibili nell’individuazione di adenomi rispetto al test al Guaiaco [4-9] • Studi clinici randomizzati sulla rettosigmoidoscopia (una tecnica endoscopica) hanno mostrato una riduzione del 20 per cento della mortalità e una lieve riduzione di incidenza [10-15]
anno di diagnosi
pre-screening
round di prevalenza
II round
III round
IV round
post screening
Quali sono i nuovi risultati
• Per la prima volta uno studio osservazionale ha dimostrato una significativa riduzione dell’incidenza con il test del sangue occulto immunochimico (FIT) su tutta la popolazione invitata allo screening • Uno screening basato sul FIT è in grado di ridurre l’incidenza e la mortalità del cancro al colon retto
L’adesione allo screening da parte della popolazione invitata è stata elevata (65 per cento). w Dopo otto anni l’incidenza cumulata della coorte screening è minore rispetto al pre-screening (-10 per cento); w La riduzione di mortalità correlata al cancro del colon retto (CCR) è stata del 27 o del 36 per cento, a seconda della definizione di mortalità CCR correlata che adottiamo. I dati qui presentati sono stati pubblicati sulla rivista American Jorurnal of Gastroenterology del gruppo Nature
Bibliografia 1. Mandel JS, Bond TH, Church TR et al. Reducing mortality from colorectal cancer by screening for faecal occult blood. N Engl J Med 1993; 328: 1365–71. 2. Hardcastle JD, Chamberlain LO, Robinson MHE et al. Randomised controlled trial
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
19
prevenzione oncologica Figura 2
Dati utilizzati per il calcolo dell’incidenza e della mortalità specifica e per tutte le cause anno di nascita
età
anno di diagnosi
coorte pre-screening
coorte screening
coorte no screening di conferma 1
coorte fuori screening di conferma 2
of faecal occult blood screening for colorectal cancer. Lancet 1996; 348: 1472–7. 3. Kewenter J, Brevinge H, Engaras B et al. Results of screening, rescreening, and follow-up in a prospective, randomized study for the detection of colorectal cancer by fecal occult blood testing. Results for 68308 subjects. Scand J Gastroenterol 1994; 29: 468–73. 4. Dancourt V, Lejeune C, Lepage C et al. Immunochemical faecal occult blood tests are superior to guaiac-based tests for the detection of colorectal neoplasms. Eur J Cancer 2008; 44: 2254–8. 5. Guittet L, Bouvier V, Mariotte N et al. Comparison of a guaiac based and an immunochemical faecal occult blood test in screening for colorectal cancer in a general average risk population. Gut 2007; 56: 210–14. 6. van Rossum LG, van Rijn AF, Laheij RJ et al. Random comparison of guaiac and immunochemical fecal occult blood tests for colorectal cancer in a screening population. Gastroenterology 2008; 135: 82–90. 7. Brenner H, Tao S. Superior diagnostic
Figura 3
Riduzione significativa del rischio di incidenza dopo 8 anni
Coorti aperte
incidenza cumulativa
mai “screenati” “screenati”
anno
20
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
L’incidenza cumulata descrive i nuovi casi di malattia ponendo al denominatore i soggetti reclutati all’inizio del periodo di osservazione e rappresenta la proporzione di soggetti, inizialmente sani, che sviluppa la malattia in un determinato periodo di tempo (in questo caso 8 anni)
performance of faecal immunochemical tests for haemoglobin in a head-to-head comparison with guaiac based faecal occult blood test among 2235 participants of screening colonoscopy. Eur J Cancer 2013; 49: 3049–54. 8. Faivre J, Dancourt V, Denis B et al. Comparison between a guaiac and three immunochemical faecal occult blood tests in screening for colorectal cancer. Eur J Cancer 2012; 48: 2969–76. 9. Raginel T, Puvinel J, Ferrand O et al. A Population-based Comparison of Immunochemical Fecal Occult Blood Tests for Colorectal Cancer Screening. Gastroenterology 2013; 144: 918–25. 10. Hoff G, Grotmol T, Skovlund E et al., for the Norwegian Colorectal Cancer Prevention Study Group. Risk of colorectal cancer seven years after flexible sigmoidoscopy screening: randomised controlled trial. BMJ 2009; 338: b1846. 11. Atkin WS, Edwards R, Kralj-Hans I, et al. Once-only flexible sigmoidoscopy screening in prevention of colorectal cancer: a multicentre randomised controlled
trial. Lancet 2010; 375: 1624-33. 12. Segnan N, Armaroli P, Bonelli L et al. Once-only sigmoidoscopy in colorectal cancer screening: follow-up findings of the Italian Randomized Controlled Trial— SCORE. J Natl Cancer Inst 2011; 103: 1310-22. 13. Schoen RE, Pinsky PF, Weissfeld JL et al. Colorectal-cancer incidence and mortality with screening flexible sigmoidoscopy. N Engl J Med 2012; 366: 2345-57. 14. Brenner H, Stock C, Hoffmeister M. Effect of screening sigmoidoscopy and screening colonoscopy on colorectal cancer incidence and mortality: systematic review and meta-analysis of randomised controlled trials and observational studies. BMJ 2014 Apr 9; 348: g2467. 15. Atkin WS, Edwards R, Kralj-Hans I et al. Once-only flexible sigmoidoscopy screening in prevention of colorectal cancer: a multicentre randomised controlled trial. Lancet 2010; 375: 1624-33
Il carcinoma del colon retto (CCR) è una malattia “importante” in termini di salute pubblica. I dati del registro nazionale AIRTUM per l’anno 2015 indicano 29.100 nuovi casi tra gli uomini e 22.800 tra le donne. Il tumore colorettale si colloca al secondo posto tra le neoplasie più frequenti nelle donne e al terzo negli uomini. In entrambi i sessi rappresenta la seconda causa di morte per tumore, preceduto dal cancro del polmone negli uomini e da quello della mammella nelle donne. Il 90 per cento delle persone si ammala dopo i 50 anni
Figura 4
Andamento della mortalità incidence-based causa specifica e per tutte le cause
Coorti aperte
incidence-based mortality cumulativa
mai “screenati” “screenati”
Incidence-based mortality è la mortalità calcolata solo sulla base dei casi incidenti nel periodo in studio, escludendo tutti i soggetti che erano già ammalati prima dell’inizio del periodo temporale analizzato
anno
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
21
nutrizione
Intolleranza al lattosio: miti e certezze Opinioni e testimonianze dalla medicina generale, gastroenterologia e nutrizione tre specialisti ci aiutano a inquadrare questa sfuggente condizione clinica e a organizzare meglio le informazioni circa il ruolo delle diete di esclusione e di altri rimedi
Breve trattazione del problema Nel mare magno di disinformazione riguardante le allergie e le intolleranze alimentari, l’intolleranza al lattosio rappresenta una situazione clinica piuttosto chiara in termini di inquadramento patologico, ma molto meno in termini di inquadramento clinico. L’intolleranza al lattosio viene definita come la mancanza relativa (raramente assoluta) di un enzima, la lattasi, incaricato di digerire il lattosio nelle sue molecole base: il glucosio e il galattosio. Queste due
Prof. Luca Piretta
molecole possono essere normalmente assorbite solo se separate dalla lattasi, ma non unite sotto forma di lattosio. Il lattosio è uno zucchero disaccaride sintetizzato esclusivamente nella ghiandola mammaria da una lattosio sintetasi presente soltanto nel latte dei mammiferi. L’enzima comunemente definito lattasi è una β-galattosidasi, determina la scissione del lattosio nelle due componenti ed è presente sulla superficie apicale degli enterociti del piccolo intestino, soprattutto a livello medio-digiunale. La sua attività raggiunge il massimo di espressione alla nascita per decrescere a iniziare dallo
svezzamento a volte sino alla scomparsa nell’età adulta. Negli altri mammiferi questo comportamento è abituale. Nell’uomo una diversa percentuale di soggetti nelle varie popolazioni mantiene l’attività della lattasi per tutta l’età adulta come avviene soprattutto nel Nord Europa. In Italia il deficit di lattasi o non persistenza è presente nel 40 per cento circa della popolazione, con un andamento crescente da Nord verso Sud; in Sardegna per esempio, è stato rilevato in circa il 90 per cento della popolazione generale, mentre nella penisola scandinava in un terzo della popolazione. Per l’ipolattasia si distingue una forma congenita rara che impedisce al bambino di alimentarsi con latte, incluso quello materno, dalla nascita. Una forma secondaria può essere causata da danno acuto (virus) o cronico (celiachia, morbo di Crohn) della mucosa digiunale la cui risoluzione è associata all’andamento della specifica causa. Un deficit secondario transitorio può manifestarsi anche quando i batteri intestinali si alterano per una dieta non salutare o dopo una
Gastroenterologo e nutrizionista, MMG, Docente di allergie e intolleranze alimentari, Università Campus Biomedico di Roma
Prof. Vito Domenico Corleto Professore aggregato di gastroenterologia, Facoltà di Medicina e Psicologia, Università Sapienza, Ospedale Sant’Andrea, Roma Prof. Paolo Usai
24
MEDICO E PAZIENTE
Professore di gastroenterologia, Direttore Scuola di specializzazione in malattie apparato digerente, Università degli Studi di Cagliari
4.2016
terapia antibiotica. La forma più comune o primaria dell’adulto è caratterizzata da una non-persistenza della lattasi nel corso della vita. Il declino progressivo nella vita dell’attività enzimatica è geneticamente determinato ed è associato a un singolo polimorfismo funzionale (C/T-13910) del gene della lattasi correlato alla persistenza/non persistenza della lattasi presente nelle popolazioni europee. Nell’uomo l’ipolattasia provoca maldigestione del lattosio ingerito, ma solo in una percentuale minore, si calcola il 50 per cento, di quelli che lo maldigeriscono questa dà origine ai sintomi definiti come intolleranza. I sintomi possono essere determinati da molteplici fattori come: il carico giornaliero di lattosio, la forma in cui viene assunto se in un liquido o in alimenti solidi, il cibo che viene assunto insieme, la velocità del transito intestinale, la capacità della flora batterica intestinale di digerire tale zucchero, la sensibilità viscerale individuale. Comunque questi insorgono entro circa 2 ore dall’ingestione di lattosio e sono vari e aspecifici; tuttavia scompaiono molto rapidamente dopo l’esclusione dalla dieta dei prodotti contenenti lattosio. Il lattosio non idrolizzato nell’ileo terminale produce un effetto osmotico con richiamo di acqua e sodio che porta alla modificazione della consistenza delle feci fino alla diarrea. Nel colon invece lo stesso lattosio, fermentato dai batteri, produce sintomi soggettivi come il gonfiore e/o dolore addominale e oggettivi come flatulenza e distensione addominale. È importante ricordare che il lattosio è presente non solo nel latte, ma anche nei formaggi freschi, ed è quasi assente nei formaggi stagionati e nello yogurt. Quindi è inutile che gli intolleranti al lattosio si privino di questi ultimi alimenti o evitino (come spesso capita) di assumere farmaci contenenti lattosio, perché questo è presente in quantità ininfluenti.
Solo in apparenza semplice l’intolleranza al lattosio è invece un argomento complesso con origini molto antiche… ❱❱ Luca Piretta Il deficit di lattasi ha origine genetica, ma può accentuarsi come abbiamo visto poc’anzi, in caso di pato-
logie gastrointestinali e non, che danno sintomi come la diarrea. La complessità nasce dalla cattiva interpretazione clinica che si dà ai sintomi che invece devono essere valutati con molta accuratezza. ❱❱ Vito Corleto Recenti studi di paleobiologia hanno ipotizzato che l’intolleranza al lattosio abbia avuto un ruolo non secondario nello sviluppo delle prime comunità umane (Brüssow H. Environ Microbiol 2013 Aug; 15(8): 2154-61). Milioni di anni fa gli umani erano tutti intolleranti al lattosio o meglio lo digerivano solo nei primissimi anni di vita. La prolattina mantenuta elevata dall’allattamento rendeva le donne non fertili, quando nel primo nato la capacità di digerire il lattosio diminuiva nettamente, questo rifiutava tale alimento e iniziava lo svezzamento con altri cibi rendendo la madre nuovamente fertile. Dopo una successiva gravidanza il primo nato non competeva con il secondo nato per il latte materno dando a questo le stesse possibilità di sopravvivenza. Questo meccanismo ha funzionato fino al Neolitico quando gli uomini da cacciatori e raccoglitori sono passati a essere coltivatori e allevatori. È stato ricostruito che perlomeno in Europa due siano stati gli eventi che hanno reso edibile il latte. Il primo avvenuto geograficamente nell’Anatolia, sembra determinato dal particolare clima caldo che ha permesso lo sviluppo di lattobacilli; questi fermentando il lattosio hanno trasformato il latte in un cibo edibile senza particolari problemi dagli umani. Il secondo è più complesso, ma altrettanto affascinante: si pensa che sotto la spinta evolutiva a un certo punto sia avvenuta una mutazione genica che manteneva la capacità di digerire il lattosio nell’età adulta, e tali individui siano quindi stati favoriti perché in grado di alimentarsi con un alimento nutriente e pulito evitando potenziali inquinamenti batterici o ancora più probabilmente capaci di sopravvivere alle carestie. Tali eventi genetici sono avvenuti soprattutto nel Nord Europa come dimostrato dalla bassa percentuale (5 per cento circa) di intolleranti al lattosio presente oggi in quei popoli.
Come giudica l’approssimazione e/o disinformazione sull’intolleranza al lattosio e consumo di latte e latticini oggi? ❱❱ Luca Piretta La disinformazione in campo alimentare si nutre quotidianamente di notizie prive di fondamento. Inoltre, nei confronti del latte si assiste a una frequente, immotivata demonizzazione che non ha alcuna ragione scientifica, ma segue soltanto mode e disinformazione. Il latte e i latticini sono un alimento molto importante nell’ambito di una corretta dieta mediterranea, e privarsene per motivi di ignoranza scientifica può essere dannoso. ❱❱ Vito Corleto Questo argomento purtroppo, seppure con maggiori conoscenze scientifiche sta subendo la stessa sorte di altri meno chiariti come la sensibilità al glutine in soggetti non celiaci. La diffusione di informazioni non controllate attraverso i media e i social, il dilagante generale atteggiamento a determinare il proprio stile alimentare, la complicità del mercato che amplifica e sfrutta tali tendenze, l’esecuzione di test diagnostici non affidabili sono alla base dell’alterata informazione che spesso si riscontra sull’intolleranza al lattosio. ❱❱ Paolo Usai Purtroppo non tutti sanno che la carenza di lattasi non è sinonimo di intolleranza; infatti solo alcuni individui carenti sviluppano sintomi causati dal lattosio. Molti ritengono che l’intolleranza al lattosio sia una malattia che causa danno intestinale, malassorbimento di altre sostanze, infiammazione, dimagrimento o altri segni di allarme; ritengono pertanto che il lattosio debba sempre essere eliminato dalla dieta. Molti non sanno che il lattosio deve essere escluso dalla dieta solo se necessario, ovvero solo se è causa di sintomi, e che la sua esclusione può ridurre la concentrazione nel colon di sostanze che hanno azione antinfiammatoria, rappresentano un’importante fonte energetica per il colon, acidificano l’ambiente intestinale, inibiscono le specie batteriche ad azione putrefattiva, che potrebbero avere effetti positivi nella
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
25
nutrizione prevenzione del cancro del colon, stimolano la proliferazione della flora batterica “buona” acidofila.
Nel sospetto di intolleranza al lattosio cosa fareste, un test per confermare la diagnosi o una prova di esclusione del lattosio? ❱❱ Luca Piretta Una volta che si ha il sospetto clinico si può eseguire il “test del respiro”, ovvero il breath test al lattosio, unico accertamento validato in grado di identificare una tipologia di intolleranza. Ma anche questo test ha dei falsi positivi e dei falsi negativi. Conviene, spesso guidati da un nutrizionista, attuare una dieta senza lattosio per valutare la scomparsa dei sintomi, e reinserirlo successivamente per interpretare la risposta clinica. ❱❱ Vito Corleto L’ipolattasia, la maldigestione e l’intolleranza al lattosio non sono sinonimi, ma tre aspetti diversi dello stesso problema, in sintesi le prime due possono esistere senza obbligatoriamente determinare i sintomi dell’intolleranza. Detto ciò io indagherei solo in presenza di intolleranza cioè in presenza di sintomi correlati all’assunzione di lattosio: infatti eseguire un’indagine relativamente costosa come la determinazione del polimorfismo del gene della lattasi ha poca utilità se il problema non è presente. Quindi indagare solo nei sintomatici iniziando con l’accurata esclusione del lattosio per un congruo periodo, almeno una settimana. Nei casi non chiari si può ricorrere al breath test sapendo che nonostante sia facile da eseguire non possiede un’elevata accuratezza diagnostica (falsi negativi o falsi positivi). Un test rapido eseguito su biopsia della mucosa della seconda porzione duodenale è stato recentemente introdotto, ma non è assolutamente indicato un esame invasivo come la esofagogastro-duodenoscopia per eseguire un test per l’ipolattasia; è magari utile associarlo quando il soggetto facendo l’esame endoscopico per più appropriati motivi presenti il sospetto clinico di intolleranza al lattosio. ❱❱ Paolo Usai Oltre allo H2 breath test
26
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
si può ricorrere anche a un sistema empirico, basato sull’esclusione del lattosio dalla dieta e se i sintomi si risolvono o comunque migliorano significativamente possiamo parlare di intolleranza; in caso dovessero persistere invariati sia per intensità, frequenza e severità, è verosimile che siano determinati da altre condizioni come il colon irritabile, l’intolleranza non celiaca al glutine o ad altri zuccheri fermentabili non assorbibili, ma anch’essi digeriti dal microbiota, e che possono essere trattate con l’esclusione dalla dieta, o condizioni patologiche come le malattie infiammatorie croniche intestinali, in particolare il morbo di Crohn, la celiachia, i tumori del colon, che hanno necessità di un iter diagnostico laboratoristico strumentale accurato. Queste malattie devono essere sospettate soprattutto quando i sintomi compaiono per la prima volta dopo i 50 anni o si associano a sintomi di allarme quali, perdita dell’appetito, dimagrimento, febbre, presenza di sangue nelle feci, stanchezza, basse concentrazioni di ferro nel sangue, aumento degli indici di infiammazione.
Quali suggerimenti per evitare di escludere importanti alimenti dalla dieta senza patire fastidiosi disturbi ❱❱ Luca Piretta Il suggerimento principale è quello di fare una diagnosi corretta. E anche in quel caso si può bere il latte delattosato, che non determina la comparsa dei sintomi nella maggior parte dei pazienti con una lieve intolleranza. Non serve rinunciare ai formaggi stagionati, che al contrario diventano la più importante fonte di calcio e fosforo per il paziente. Non bisogna dare credito ai vari test delle intolleranze alimentari (a eccezione del breath test al lattosio) perché non hanno una validazione scientifica al momento attuale. Bisogna sincerarsi con il proprio medico che i sintomi citati dipendano dall’intolleranza al lattosio o piuttosto da altre patologie molto frequenti come la sindrome dell’intestino irritabile. ❱❱ Vito Corleto. L’apparato digerente seppure in possesso di un complesso ap-
parato neurosensoriale tanto da essere definito come un “secondo cervello” è tuttavia molto monotono nell’espressione dei sintomi; in pratica quelli relativi all’intolleranza al lattosio potrebbero essere invece dati da eccessivo introito di altri zuccheri comunemente malamente digeriti dagli umani come molti disaccaridi, polialcoli o monosi per esempio il fruttosio. Questi aspetti sono meno conosciuti e penso che si attribuisca al lattosio molto di più di quanto strettamente dovuto. Quindi un’accurata anamnesi sul tipo e quantità di frutta, verdura e legumi consumata in relazione ai sintomi è senz’altro utile. Ridurre il carico di lattosio e nel caso del latte, consiglierei di assumerlo con altri alimenti (pane, biscotti ecc.), ricordarsi che i formaggi stagionati non hanno lattosio e altri freschi come, lo stracchino o la mozzarella di bufala artigianale ne posseggono pochissimo. In pratica per prima cosa non demonizzare i cibi con il lattosio, ma sceglierli accuratamente nella loro varietà e quantità. Certamente nei rari casi di grave intolleranza comprovata, l’esclusione è d’obbligo. Preparazioni di lattasi da assumere per bocca nell’occasione di ingestione di lattosio sono oggi disponibili. Queste differiscono tra loro per il loro contenuto in unità di enzima lattasi e possono essere provate ed eventualmente usate ad hoc. ❱❱ Paolo Usai È utile sfatare il mito che i formaggi magri hanno poco lattosio: ai formaggi magri viene rimosso il grasso e non il lattosio, quindi spesso i formaggi magri hanno molto più lattosio di quelli definiti invece grassi. Per scegliere formaggi senza lattosio è meglio orientarsi su prodotti stagionati, infatti già dopo 6 o 7 mesi il contenuto di lattosio è estremamente ridotto (su 100 g arriva a 0,1-0,2 di valore contenuto). Pertanto, formaggi come parmigiano reggiano, grana padano, provolone, fontina stagionata, pecorino stagionato, emmenthal potranno essere assunti anche in caso di intolleranza al lattosio. Nello yogurt, grazie al processo di fermentazione del lattosio da parte dei fermenti lattici il contenuto di lattosio è comunque ridottissimo.
Dal 2013 puoi trovare LA NEUROLOGIA ITALIANA anche on line
Nelle prossime settimane la rivista sarà disponibile in Internet all’indirizzo
www.neurologiaitaliana.it I nostri lettori vi troveranno ● L’archivio storico della rivista ● Video-interviste con le Novità dei principali congressi di Neurologia ● Notizie dalle riviste internazionali, Linee Guida e Consensus in originale ● L’attività delle principali Associazioni di pazienti
Per accedere al sito de La Neurologia Italiana
Registrati su www.medicoepaziente.it www.neurologiaitaliana.it
Mylan
MMG e farmacisti alleati per migliorare l’aderenza terapeutica nel paziente cronico
L’
aderenza terapeutica rappresenta un problema annoso nell’ambito della gestione delle patologie croniche. Gli errori di dosaggio, le omissioni parziali o totali nell’assunzione per diversi periodi di tempo, gli errori nella frequenza di assunzione, le interruzioni del trattamento sono tutti aspetti che possono compromettere l’efficacia della cura, con importanti conseguenze sulla salute dei pazienti. Da tempo sono allo studio diverse soluzioni e proposte per cercare di ottimizzare l’aderenza da parte del paziente, e una delle ultime in ordine di tempo è il progetto Seguilaterapia, patrocinato da FIMMG insieme a Federfarma e FOFI, e realizzato con il sostegno di Mylan. Ma di che cosa si tratta esattamente? Seguilaterapia è un servizio gratuito dedicato ai pazienti cronici e/o politrattati che prevede l’invio di reminder per l’assunzione del farmaco o per l’imminente esaurimento della confezione. In pratica, ogni paziente avrà la possibilità di ricevere dei promemoria personalizzati, e così potrà assumere ogni farmaco all’orario giusto, riducendo in questo modo il rischio di errori e dimenticanze.
Secondo i dati dell’AIFA, in Italia almeno un paziente su tre non segue pienamente la terapia prescritta dal medico con conseguenze sia per la salute dei malati, sia per la sostenibilità del Sistema sanitario, che deve impiegare risorse di personale ed economiche per far fronte a interventi di cura causati dalla non adeguata aderenza terapeutica. È un progetto che vede in prima linea la collaborazione tra MMG e farmacista. Per usufruire del servizio Seguilaterapia infatti, è sufficiente che il paziente si rechi in una delle farmacie aderenti e richiedere di essere inserito gratuitamente nel sistema, fornendo al farmacista il piano di cura rilasciato dal medico e il numero di telefono sul quale desidera ricevere i promemoria o essere contattato. Le modalità tra le quali scegliere sono notifica tramite App dedicata, Sms al numero di telefono fornito o messaggio vocale ricevuto direttamente sul telefono di casa. I dati rilasciati dal paziente sono protetti dalla normativa sulla privacy, e il piano di cura può essere modificato in base alle indicazioni del medico; al farmacista
spetta il ruolo di inserire questi dati nel software e di aggiornarli eventualmente su indicazione del paziente o del medico. In alternativa, medico e farmacista possono interagire direttamente tramite Netmedica, il portale della FIMMG che è collegato direttamente a quello di Seguilaterapia.“Questo progetto, che usufruisce di un sistema di alta tecnologia per aiutare le persone a seguire correttamente le cure, presenta l’indubbio vantaggio di mettere in collegamento due figure fondamentali dell’assistenza primaria, il medico e il farmacista. Due professionisti la cui collaborazione consente di migliorare la salute dei pazienti e andare incontro a un minor rischio di complicanze e di ospedalizzazione, grazie a una maggiore sicurezza ed efficacia delle terapie” ha dichiarato Giacomo Milillo, segretario generale nazionale FIMMG, in occasione della presentazione del progetto. A oggi al progetto hanno aderito 730 farmacie (l’elenco è disponibile sul sito http:// www.seguilaterapia.it/?r=farmacie/index). La partecipazione a Seguilaterapia è gratuita sia per le farmacie che per i medici.
Merck
Una settimana dedicata ai tumori testa-collo
L
a settimana europea di sensibilizzazione sui tumori del distretto testa-collo (19-23 settembre), organizzata dalla European Head and Neck Society, si è da poco conclusa. Numerose sono state le iniziative anche in questa edizione, tutte volte ad aumentare la conoscenza di un gruppo eterogeneo di tumori (nemmeno tanto rari). Nei 16 Paesi aderenti all’iniziativa, tra cui naturalmente anche l’Italia, è stata lanciata una campagna social (Uniting Voices) che diffonde informazioni e racconta storie di pazienti. Maggiore conoscenza e consapevolezza infatti, possono fare la differenza, specialmente considerando che la maggior parte dei pazienti arriva alla diagnosi quando il tumore è già in fase metastatica.
28
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
In Italia, le stime indicano un’incidenza di circa 16 casi/100.000, dei quali il 24 per cento in persone sopra i 70 anni. La disponibilità di nuovi trattamenti ha portato a miglioramenti nella sopravvivenza, che in media si è attestata sui 5 anni nel 57 per cento dei malati. Tuttavia esiste ancora oggi un’elevata variabilità nella scelta della terapia e nelle modalità di gestione del paziente. In quest’ottica vi è l’impegno concreto dell’Associazione italiana di oncologia cervico-facciale che ha intrapreso un percorso evidence based per la definizione dei PDTA di alcuni tumori del distretto testa-collo. Si tratta di una strategia volta a ottimizzare le risorse destinate alla cura e migliorare l’accesso al percorso di trattamento più appropriato su tutto il territorio nazionale.
Un strumento in piĂš per il Medico Il supplemento di Medico e Paziente, destinato a Medici di famiglia e Specialisti Algosflogos informa e aggiorna sulla gestione delle patologie osteo-articolari, sulla terapia del dolore e sulle malattie del metabolismo osseo
Takeda
Integratori Italia-AIIPA
Un libro bianco sull’integrazione alimentare
O
mega-3, omega-6, calcio, vitamina D, probiotici, ma anche agnocasto, iperico, passiflora sono solo alcuni dei micronutrienti e “botanicals” per i quali le persone chiedono informazioni al proprio medico di fiducia. Una ricerca condotta da Gfk Eurisko per Integratori Italia-Associazione italiana industrie prodotti alimentari (AIIPA), che riunisce le principali aziende del settore, dimostra che 7 italiani su 10 hanno usato un integratore alimentare, oltre 4 su 10 desiderano ricevere notizie e informazioni sugli integratori, in particolare sui benefici per l’organismo, sui rischi e le controindicazioni, sul corretto utilizzo dei principi attivi. E il MMG è un riferimento di elezione, per il 53 per cento dei partecipanti all’indagine. Per stare al passo con i tempi, Integratori Italia ha presentato lo scorso 23 giugno a Milano un manuale che raccoglie tutte le evidenze scientifiche finora disponibili sugli integratori alimentari e che è stato realizzato grazie al lavoro di otto specialisti italiani. “Per rispondere sempre più e sempre meglio ai bisogni informativi”, ha sottolineato il presidente di Integratori Italia, Alessandro Colombo alla conferenza di presentazione del manuale, “abbiamo realizzato questo progetto, che ci auguriamo possa costituire un utile complemento a supporto dell’attività di counselling dei professionisti della salute e un ulteriore stimolo alle accresciute esigenze di informazione da parte di consumatori e media”. Uno stile di vita sano e l’adozione di comportamenti virtuosi per la salute sono un caposaldo per mantenere il benessere dell’organismo. Ci possono tuttavia essere situazioni particolari, che richiedano un’integrazione della dieta con elementi concentrati di sostanze di provata efficacia, a supporto dell’organismo. “Sebbene l’adozione di uno stile di vita alimentare vario ed equilibrato sia ritenuta sufficiente per garantire i nutrienti necessari”, ha spiegato Franca Marangoni, responsabile della ricerca Nutrition Foundation of Italy “sempre più osservazioni epidemiologiche supportano la necessità di una maggiore attenzione alla copertura del fabbisogno nutrizionale e al sostegno delle funzioni fisiologiche. Gli integratori possono rappresentare una valida e sicura opportunità per favorire l’assunzione ottimale di una o più sostanze e il sostegno di funzioni fisiologiche, contribuendo anche alla prevenzione di fattori di rischio di malattia”.
30
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
Colite ulcerosa e malattia di Crohn L’anticorpo monoclonale vedolizumab disponibile anche in Italia
N
uove speranze di cura arrivano per i pazienti affetti da malattie croniche intestinali (MICI), colite ulcerosa e morbo di Crohn, grazie alla disponibilità di vedolizumab, un anticorpo monoclonale (primo e unico biotecnologico) a selettività intestinale. Il farmaco (Entyvio®) è indicato per il trattamento di adulti con colite ulcerosa attiva da moderata a grave, e di adulti con malattia di Crohn attiva da moderata a grave che sono non responder, o mostrano risposta inadeguata alle terapie convenzionali o a un antagonista del TNF-alfa. Queste patologie colpiscono in Italia circa 200mila persone, e sono particolarmente disabilitanti sul piano fisico e psicologico. Per le MICI al momento non esistono cure risolutive. Le numerose opzioni di trattamento oggi disponibili mirano infatti a indurre e mantenere per il maggiore tempo possibile la remissione o l’assenza di sintomi. “Le malattie infiammatorie croniche intestinali sono patologie caratterizzate da un processo infiammatorio che nella colite ulcerosa è limitato alla mucosa del colon e retto, mentre nella malattia di Crohn è transmurale e segmentario, e può interessare potenzialmente qualunque segmento del tratto gastrointestinale” ha sottolineato Fernando Rizzello, dell’Università di Bologna, all’incontro di presentazione del farmaco (Milano, 7 giugno scorso). “I pazienti tipici sono giovani dai 20 ai 30 anni, la cui diagnosi spesso arriva in ritardo e per i quali il decorso di entrambe le patologie è caratterizzato da fasi di attività intervallate da periodi di remissione, con un variabile rischio di complicanze”. Nonostante la terapia, molti pazienti non riescono a raggiungere e mantenere la remissione nel tempo, con elevate percentuali di mancata risposta primaria (25-50 per cento) o perdita di risposta secondaria (30-50 per cento). Va poi considerato che una quota non trascurabile di soggetti non può essere trattata con gli anti-TNF-alfa per la presenza di comorbilità. In questo scenario complesso, dominato da chiari bisogni insoddisfatti dei pazienti si inserisce vedolizumab. L’immissione in commercio si basa sui risultati degli studi GEMINITM, un ampio programma clinico internazionale condotto su 2.700 pazienti con colite ulcerosa o malattia di Crohn, che avevano fallito una terapia convenzionale, inclusi i corticosteroidi, gli immunomodulatori e/o un anti-TNF-alfa.
Allergan
Focus sulla sindrome dell’intestino irritabile
“N
uove prospettive per migliorare la gestione clinica del paziente con IBS” è il titolo di un evento che si è tenuto lo scorso 8 giugno, in concomitanza con il Congresso internazionale sull’intestino irritabile (8-10 giugno, Bologna), che ha visto riuniti i maggiori esperti internazionali. L’attenzione verso la sindrome del colon irritabile (IBS) deriva dal fatto che si tratta di una condizione estremamente diffusa e debilitante. In Italia riguarda circa l’1112 per cento delle persone, in particolare le donne (in rapporto di 3 a 1 rispetto agli uomini) e con un tasso più alto di prevalenza dai 20 ai 50 anni. “Questo disturbo è caratterizzato da gonfiore o dolore addominale”, ha spiegato Giovanni Barbara, dell’Università di Bologna “associati all’alterazione della funzione intestinale come diarrea, stitichezza o una
fastidiosa alternanza delle due condizioni. Tutti sintomi, quelli descritti, che contribuiscono a un costante senso di disagio e a un diffuso stato di ansia, con ricadute significative sulle attività quotidiane”. Tra le cause dell’IBS, lo stress ha un ruolo importante, ma non è l’unico fattore scatenante. La ricerca ha mosso passi importanti verso la conoscenza sempre più approfondita dei meccanismi alla base dei sintomi. “Si pensi ad esempio al ruolo del microbiota intestinale: miliardi di batteri che popolano il nostro intestino e che quando si alterano per infezioni, l’uso di antibiotici o una dieta sbagliata, producono gas, gonfiore e disturbi delle funzioni intestinali”, ha precisato Enrico Corazziari, dell’Università “La Sapienza” di Roma. “Negli ultimi anni si è ipotizzato, infatti, un possibile legame tra i geni che controllano
il sistema immunitario e il microbiota. Infine, non meno importante, in 1 paziente su 10 anche la gastroenterite, la classica influenza intestinale, dà il via allo sviluppo di IBS”. “Nella cura è importante tener conto delle diverse caratteristiche di IBS, che ad esempio può comportare diarrea o stipsi, che richiedono un approccio terapeutico diverso”, ha sottolineato il prof. Barbara. “Sono molte le novità in termini di possibilità terapeutiche con la disponibilità a livello mondiale e anche in Italia, di farmaci innovativi che curano l’intera sintomatologia. Tra questi spicca la linaclotide (agonista del recettore della guanilato ciclasi di tipo C) che combina un effetto analgesico sul dolore con un miglioramento della stipsi. Novità anche per i pazienti con diarrea sono previste a breve”.
Daiichi Sankyo
L’anticoagulante orale edoxaban prescrivibile in classe A
L’
anticoagulante orale in monosomministrazione giornaliera edoxaban (Lixiana®) è disponibile anche in Italia in classe A, a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 198 del 25 Agosto 2016 della Determina 1105/2016. Il farmaco è un inibitore specifico, reversibile, diretto del fattore Xa, e ha ottenuto il regime di rimborsabilità per la prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica in pazienti adulti con fibrillazione atriale non valvolare (FANV), per il trattamento della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare e per la prevenzione delle loro recidive. La dose raccomandata di edoxaban è di 60 mg in monosomministrazione giornaliera, con dose ridotta a 30 mg in pazienti con insufficienza renale moderata o severa (clearance della creatinina 30-50 ml/min), peso corporeo uguale o inferiore a 60 kg, o uso concomitante di inibitori della glicoproteina P (ciclosporina, dronedarone, eritromicina, ketoconazolo). Il piano terapeutico integrale di edoxaban è consultabile sul portale AIFA nella sezione Registri farmaci sottoposti a monitoraggio. Edoxaban amplia così la classe dei nuovi anticoagulanti orali (NAO), disponibili nel nostro Paese. I NAO seppure presenti
da qualche anno, con evidenze di efficacia e sicurezza nei pazienti con fibrillazione atriale, sono farmaci poco utilizzati. I dati di diversi sondaggi mostrano come sempre più spesso si ricorra alla terapia tradizionale per la prevenzione dell’ictus nei pazienti affetti da FA, con il risultato che questi ultimi si trovano a dover fare i conti con uno schema di trattamento complesso, che prevede la somministrazione di più di 4 pillole al giorno. In particolare, un sondaggio europeo condotto su pazienti con FA dall’agenzia OpinionHealth, su richiesta di Daiichi Sankyo, mostra come al 55 per cento dei pazienti interpellati non è mai stata prospettata la possibilità di una terapia differente da quella standard, e solo al 15 per cento dei pazienti ai quali vengono spiegate le opzioni alternative, i NAO vengono presentati come strumento di trattamento. La conferma di questi dati è che la metà degli intervistati non ha mai modificato la terapia, nonostante sia un’esigenza chiaramente avvertita a causa della mancanza di efficacia (32 per cento), degli effetti collaterali (30 per cento) e dei frequenti monitoraggi rappresentati dai numerosi appuntamenti dal medico (18 per cento).
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
31
Professione
Accordi collettivi nazionali Spiragli d’intesa tra sindacati e Regioni per il rinnovo dell’Assistenza primaria La primavera e l’estate hanno portato consiglio nella lunga trattativa per la riorganizzazione delle cure primarie del Sistema sanitario nazionale: il confronto tra le diverse sigle sindacali dei medici e la SISAC sembra aver imboccato una strada di collaborazione franca e produttiva. Dopo le critiche avanzate dalle organizzazioni sindacali - FIMMG, SNAMI, SMI e Intesa sindacale - sul testo del documento integrativo dell’atto d’indirizzo uscito in aprile, la SISAC, l’ente statale preposto ai rinnovi contrattuali, ha corretto il tiro, accogliendo parte delle richieste dei medici. La nuova bozza, che per quanto ancora criticabile, sembra andare nella direzione giusta per arrivare a un compromesso che possa andare bene a tutte le parti. Ma per capire come si è giunti all’attuale situazione può essere utile fare qualche passo indietro per ricostruire brevemente il complesso iter burocratico per il rinnovo dell’assistenza primaria A cura di Folco Claudi
lll La lunga marcia degli Accordi collettivi nazionali Come si ricorderà, l’inizio di tutto è stata la cosiddetta Legge Balduzzi (D. L. 158 del 17 ottobre 2012 convertito in legge con pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’8 novembre 2012) che prevede il riassetto della medicina sul territorio con l’istituzione delle AFT (Aggregazioni funzionali territoriali) e delle UCCP
32
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
(Unità Complesse di Cure Primarie), le due organizzazioni a cui dovrebbero afferire i professionisti dell’assistenza primaria. Le AFT, formate da soggetti con la stessa professionalità e coordinate da un rappresentante eletto, avrebbero dovuto garantire l’assistenza primaria h24 e sette giorni su sette, coordinando MMG e medici di continuità assistenziale. Le UCCP, invece, avrebbero dovuto essere organizzazioni multiprofessionali, all’interno delle quali dovranno operare i medici di Medicina generale così come i pediatri di libera scelta, nonché personale infermieristico, amministrativo e di assistenza sociale.
La seconda tappa importante è stato l’Atto d’indirizzo per la medicina convenzionata del 12 febbraio 2014, una sorta di road map per il confronto tra le Regioni e le sigle sindacali della Medicina generale per i nuovi accordi nazionali che dovrebbero disciplinare AFT e UCCP sia per la parte organizzativa sia per quella economico-finanziaria. Tutta la revisione degli accordi collettivi nazionali “dovrebbe avvenire” secondo il testo “senza alcun onere aggiuntivo a carico della finanza pubblica”. L’altra svolta significativa è stata la pubblicazione, avvenuta il 13 aprile scorso, di un Documento integrativo dell’Atto d’indirizzo. Esso definisce l’AFT come “Modello organizzativo territoriale monoprofessionale in ambito distrettuale attraverso il quale i medici del ruolo unico di cure primarie (attualmente assistenza primaria e continuità assistenziale), i pediatri di libera scelta e gli specialisti ambulatoriali che vi partecipano garantiscono l’assistenza e la realizzazione di specifici programmi e progetti di assistenza”. “Con l’istituzione delle AFT” - recita ancora il documento integrativo dell’atto d’indirizzo - “si superano e si sostituiscono le diverse tipologie di forme associative e le altre tipologie di aggregazioni funzionali e/o strutturali realizzate dalle varie Regioni”. In sintesi, ciò significa che le AFT non saranno un luogo fisico, quanto piuttosto una rete, ciascuna con un bacino di utenza non superiore a 30mila abitanti.
lll Dall’H24 all’H16 La grossa novità della bozza di aprile è che il modello di riferimento non sarà più l’H24, ma l’H16. Il documento integrativo dell’atto d’indirizzo recita
infatti che “Le AFT dei medici di cure primarie e quelle dei pediatri di libera scelta assicurano l’accessibilità di tutti gli assistiti articolando l’apertura degli studi dalle 8,00 alle 20,00, dei giorni feriali dal lunedì al venerdì. I medici di cure primarie a rapporto orario, nell’ambito dell’organizzazione distrettuale, assicurano prioritariamente la loro attività tutti i giorni dalle ore 20,00 alle ore 24,00 e nei giorni di sabato e festivi dalle ore 8,00 alle ore 20,00, al fine di realizzare pienamente la continuità dell’assistenza in favore di tutta la popolazione e per garantire ai cittadini un riferimento preciso cui rivolgersi quando lo studio del proprio medico è chiuso. Nella successiva fascia oraria l’assistenza è assicurata dal servizio di emergenza urgenza – 118”. Durante i giorni feriali, dunque, ogni assistito potrà afferire all’AFT dalle 8 alle 24: quando il medico di fiducia ha finito il proprio turno, sarà disponibile un collega che ha accesso a tutti i dati clinici del paziente. Cruciale per questo nuovo assetto organizzativo dell’assistenza è il Ruolo unico del medico di cure primarie, che porterà al superamento dell’attuale distinzione tra medici di assistenza primaria e medici di continuità assistenziale. L’attività sarà però di due tipologie: a rapporto fiduciario con scelta del cittadino e a carattere orario, con sistema retributivo differenziato rispettivamente in quota capitaria e quota oraria. Il medico di cure primarie potrà svolgere sia attività professionale di tipo fiduciario sia su base oraria.
lll Le posizioni dei sindacati Mentre scriviamo, la SISAC ha convocato le varie sigle sindacali ai tavoli di trattativa separati, decisi prima dell’estate, e si è ancora in una fase interlocutoria delle trattative. Ma sembra che qualcosa si stia muovendo anche in favore dei medici di famiglia. “La Legge Balduzzi prevedeva un rapido processo di rinnovamento della Convenzione secondo criteri che FIMMG ha
Giacomo Milillo
sempre sostenuto”, ha spiegato a Medico e Paziente Giacomo Milillo, segretario nazionale della FIMMG, ricostruendo i passi fondamentali della riforma. “Questo rinnovamento ha incontrato una forte resistenza da parte delle Regioni che hanno rinviato più volte il problema, fino alla pubblicazione del primo Atto d’indirizzo, a cui noi abbiamo contrapposto una piattaforma ribadendo i punti di nostro interesse, perché crediamo che per la Medicina di famiglia in rapporto convenzionale il ruolo fondamentale sia quello di stare a fianco del cittadino e in un rapporto fiduciario con il Sistema sanitario, rifiutando qualunque ipotesi di subordinazione gerarchica”. Tra le righe del documento infatti era possibile leggere un’impostazione differente. “A nostro parere, il tentativo delle regioni era quello di mantenere il MMG in regime convenzionato, ma di imporgli una serie di obblighi di un rapporto di dipendenza, senza peraltro fornire le garanzie tipiche di questo tipo di rapporto: è un approccio sbagliato sia dal punto di vista fiscale sia da quello funzionale, perché va contro l’interesse dei cittadini”, ha aggiunto Milillo. “Al centro della Medicina generale, secondo FIMMG, deve continuare a rimanere un rapporto di fiducia individuale continuato nel tempo: su di esso si può costruire la sostenibilità del Sistema sanitario di fronte alla sfida delle malattie croniche”. La risposta istituzionale, inizialmente, non è stata positiva, con la SISAC irremovibile sulle sue posizioni e le Regioni
Angelo Testa
che facevano resistenza. La svolta è arrivata prima con una mediazione tra le parti, promossa anche dal Governo, e poi con il rinnovo dei vertici SISAC, con Vincenzo Pomo che ha assunto la carica che prima era di Franco Rossi. “L’avvicendamento ha prodotto un nuovo atto d’indirizzo: si tratta formalmente di una modifica del precedente, che però ha contenuti completamente diversi e, secondo noi, migliorativi”, ha sottolineato Milillo. “Ciò non significa che noi condividiamo tutto quello che c’è scritto, ma che individuiamo una base adeguata per la trattativa: per questo ringraziamo la SISAC che ha contribuito a scrivere un Atto d’indirizzo migliore”. Resta da stabilire chiaramente tutto ciò che va scritto nel contratto: a questo scopo sono state avviate prima dell’estate le contrattazioni tra la SISAC e le diverse sigle sindacali per arrivare gradualmente a un testo che verrà firmato da tutti o dalla maggioranza degli aventi diritto. E durante la pausa di agosto la SISAC si è riservata di riformulare il testo, e le trattative sono riprese dopo la metà di settembre. Ma in che cosa la SISAC ha recepito le richieste dei MMG e quali sono i problemi ancora sul tavolo? “Intanto ha recepito il principio secondo cui noi siamo liberi professionisti convenzionati”, ha risposto Milillo. “Rimangono da discutere alcuni temi come il sistema disciplinare, che nella proposta della SISAC era troppo sbilanciato a nostro sfavore; c’è poi la questione economica: abbiamo superato l’ipotesi
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
33
Professione di una ridistribuzione delle indennità e si sta lavorando all’ipotesi di un fondo virtuale delle AFP in modo che, in attesa che tutti i medici abbiano maturato il finanziamento dei fattori produttivi, le indennità vengano indirizzate ai medici che ne hanno diritto adesso: quindi dal punto di vista economico non ci sarà guadagno, ma non ci sarà neppure perdita”. “Il tema economico chiaramente non si esaurisce qui: non possiamo pensare che si possa fare una convenzione a isorisorse: se come si è detto nel caso del pubblico impiego risorse ci sono per gli obiettivi e per i risultati, allora noi siamo disposti a impostare un maggior compenso dei medici sulla base di risultati accertabili e rendicontati”, ha aggiunto il segretario FIMMG. Non si può infine dimenticare che nei prossimi 5 anni quasi 20mila medici andranno in pensione. “Stiamo ragionando alle dinamiche del pensionamento prossimo e anche come la convenzione può facilitare l’inseri-
mento dei giovani”, ha concluso Milillo. Partendo da una posizione originariamente più intransigente, anche SNAMI giudica con favore le recenti aperture della SISAC. “La legge Balduzzi che ha dato il via a questo tipo di rinnovo non ci è mai piaciuta e l’abbiamo sempre detto: ma quest’anno si è aperta con una SISAC un po’ più ragionevole, che si è impegnata a recepire le posizioni dei sindacati”, ha esordito Angelo Testa, segretario nazionale dello SNAMI. “In sintesi, SNAMI chiede che non venga toccata la parte degli incentivi dei fattori di produzione, che riguardano il personale infermieristico e di segreteria, l’associazionismo, l’informatica ecc., che si cerchi di portare per quanto possibile i medici della continuità assistenziale al completamento delle ore e che, in generale, nulla sia improvvisato e nulla sia improvviso: i cambiamenti devono avvenire con gradualità”, ha aggiunto Testa. Qualche cautela SNAMI la riserva an-
che al ruolo unico e alle Aggregazioni funzionali territoriali. “Sul ruolo unico avevamo esposto una posizione contraria, perché secondo noi le due figure del medico di cure primarie e del medico di continuità assistenziale avrebbero dovuto restare separate: ora ci adopereremo affinché il ruolo unico non diventi una guerra tra quelli che lavorano a quota capitaria e quelli che lavorano a quota oraria”, ha spiegato Testa. “Per quanto riguarda le AFT, la SISAC ha recepito la nostra idea che le AFT debbano essere funzionali e non strutturali, perché in questo secondo caso si correva il rischio che venissero riassorbiti tutti i fattori di produzione”. Chiusa questa tornata di consultazioni settembrine, tutto è rimandato all’autunno, quando sarà concluso il periodo congressuale. Ma con tutta probabilità, occorreranno ancora molti mesi affinché le trattative arrivino alla definizione di un contratto che possa essere sottoscritto da tutte le parti.
l Giornata mondiale Alzheimer
Cambiare la cultura dell’assistenza al malato In occasione della Giornata Mondiale Alzheimer (lo scorso 21 settembre), la Federazione Alzheimer Italia ha presentato nel nostro Paese il Rapporto mondiale Alzheimer 2016, intitolato “Migliorare l’assistenza sanitaria ai soggetti con demenza” (consultabile online al sito www.alz. co.uk/worldreport2016). La demenza colpisce 47 milioni di persone in tutto il mondo, destinate a triplicarsi entro il 2050. Attualmente solo circa metà dei malati nei Paesi ad alto reddito e uno su dieci nei Paesi a medio e basso reddito hanno ricevuto una diagnosi. È possibile estendere la copertura dei servizi alle sempre più numerose persone con demenza – scongiurando una crisi – solo se si migliorano le capacità e l’efficienza con cui l’assistenza viene erogata, anche attraverso il coinvolgimento di personale non specializzato. Chiari “percorsi di cura” dovrebbero definire ruoli e responsabilità all’interno del sistema assistenziale e stabilire standard da monitorare e rispettare. Percorsi di
34
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
cura, coordinamento strutturato e organizzato, risorse e assistenza continua sono attualmente diffuse nell’assistenza alle persone con malattie croniche di altro tipo, quali diabete, ipertensione e tumori. La presa in carico e la gestione del caso prevedono coordinamento e integrazione dell’assistenza e possono contribuire a far sì che i servizi siano efficienti e focalizzati sulla singola persona. Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia, ha così commentato alla presentazione del Rapporto: “In Italia si stima che attualmente le persone con demenza siano 1.241.000. Per tutte loro è giunto il momento di cambiare la cultura dell’assistenza, ovvero di cambiare il modo di prendersi cura di loro mettendo al primo posto qualità di vita e dignità della persona stessa. È questa necessità che ha spinto la Federazione Alzheimer Italia a mettere a punto e realizzare il progetto pilota ad Abbiategrasso, primo in Italia, di Comunità amica delle persone con demenza”.
SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico
Assicurarsi tutti i numeri di Medico e Paziente è facile
Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012
6
DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
MP
Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con
CLINICA
Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico
> Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
TERAPIA
Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci
> Domenico D’Amico
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - € 3,00
Anno VIII- n. 2 - 2012 Mensile € 5,00
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI
RINNOVA SUBITO L'ABBONAMENTO!
64° AAN ANNUAL MEETING
Le novità dal Congresso dei neurologi americani
2
I farmaci in fase avanzata di sviluppo per la SM
MP
15,00 euro
Medico e Paziente
25,00 euro
Medico e Paziente + La Neurologia Italiana
Le modalità di pagamento sono le seguenti Bollettino di c.c.p. n. 94697885 intestato a: M e P Edizioni - Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Bonifico Bancario Beneficiario: M e P Edizioni IBAN: IT 70 V 05584 01604 000000023440 Specificare nella causale l'indirizzo a cui inviare la rivista
news
sanitÀ l società scientifiche
Gestione del dolore cronico La nuova G.U.I.D.A. è made in Italy
È
stata presentata lo scorso 8 luglio a Roma nell’ambito di un incontro istituzionale, un’alleanza scientifica e culturale che si occuperà specificatamente della gestione del dolore muscolo-scheletrico e dell’algodistrofia. G.U.I.D.A, questo il nome della nuova società, è presieduta da Ombretta Di Munno, dell’Università di Pisa, mentre la direzione esecutiva è affidata a Giovanni Iolascon, della Seconda Università di Napoli. Il dolore cronico, come ben noto, è molto frequente nell’anziano (74 per cento della popolazione nella fascia di età 60-80 anni), come anche nella popolazione a basso reddito e tra le donne. Le cause sono molteplici; tra le più comuni rientrano l’artrosi e le artriti (nel 42 per cento dei casi), le lombalgie, i dolori delle spalle e del collo, i disturbi del disco intervertebrale, le fratture, le cefalee, le sindromi da dolore delle fasce muscolari. “Il dolore muscoloscheletrico cronico, secondo i dati - ha sottolineato la prof. Di Munno alla presentazione - riguarda oltre il 26 per cento della popolazione e rappresenta un tema di spesa sanitaria di primaria importanza, sia in termini di costi diretti che indiretti. Con queste premesse abbiamo scelto di fondare G.U.I.D.A, con l’obiettivo di colmare una lacuna importante nel panorama della scienza italiana e con l’aspirazione di creare un’alleanza culturale e scientifica fra gli specialisti ortopedici, fisiatri e reumatologi, figure professionali che gestiscono con maggiore frequenza i pazienti affetti da dolore muscolo-scheletrico”. “Il dolore acuto, se non gestito – ha spiegato il prof. Iolascon - può
36
MEDICO E PAZIENTE
4.2016
evolvere in dolore cronico con conseguenze serie che vanno dalla disabilità parziale o totale del paziente, all’aumentato rischio di complicanze cliniche, di prolungamento della degenza ospedaliera con un relativo incremento dei costi sanitari. Oggi in base alle nuove evidenze cliniche, sappiamo che la definizione di dolore cronico muscolo-scheletrico va aggiornata, non basta più classificarlo come cronico se la durata supera i tre mesi, ma è necessario integrare anche il criterio fisiopatologico”. Veniamo all’impatto economico, che è davvero esorbitante: tra costi diretti e indiretti si arriva al 2,3 per cento del PIL. Per farmaci, ricoveri, diagnostica a carico del SSN si stima un costo annuale di circa 1.400 euro per paziente, mentre le giornate lavorative perse, le interruzioni del lavoro e l’assistenza familiare nel complesso comportano un costo di 4.557 euro/anno per paziente. Di fronte a queste cifre diventa prioritario migliorare l’appropriatezza terapeutica, anche attraverso l’introduzione di un PDTA (percorso diagnostico e terapeutico) dedicato al dolore cronico che possa guidare il medico nella gestione del paziente. Come ha ricordato la prof. Di Munno “G.U.I.D.A. intende mettere al servizio delle Istituzioni e del Ministero della Salute la competenza degli specialisti ortopedici, reumatologi e fisiatri, che di fatto, sono da sempre dedicati in prima linea nella gestione interdisciplinare delle patologie osteoarticolari e al dolore connesso. La proposta che intendiamo portare avanti è quella di dare concretezza alle ottime indi-
cazioni della Legge 38/2010, elaborando e proponendo dei PDTA dedicati alle varie condizioni di dolore muscolo-scheletrico con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei pazienti e di razionalizzare la spesa sanitaria, attraverso il principio dell’appropriatezza”. Ma nelle priorità di G.U.I.D.A vi è anche l’algodistrofia, patologia relativamente rara (26,2 per 100.000 persone all’anno) e spesso di non facile identificazione che ha una maggiore incidenza tra le donne, nella fascia di età compresa tra i 55 e i 75 anni. “L’algodistrofia nota anche come sindrome dolorosa regionale complessa rappresenta un caso emblematico per la sua connessione con il dolore (iperalgesia e allodinia), quale principale sintomo”, ha ricordato il prof. Iolascon. Vale la pena di ricordare che oggi disponiamo di un farmaco, il neridronato che segna una svolta nella gestione di questa condizione. Il trattamento è in grado di fare regredire la patologia, a condizione che essa venga identificata precocemente. La terapia con neridronato funziona infatti se attuata nelle primissime fasi di malattia. È fondamentale ricordare che se non trattata fin dall’inizio, l’algodistrofia può causare invalidità permanente specialmente nella funzione della mano e del piede, compromettendo la qualità di vita del paziente. Tante sono le sfide dunque che il “pianeta” dolore pone di fronte ai clinici, sfide che la neonata società raccoglie nel tentativo di dare risposte concrete ai pazienti, garantendo loro una qualità di vita migliore.