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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XLII n. 5 - 2016
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Reumatologia inquadramento clinico e terapeutico del dolore cronico Epidemiologia la relazione tra mortalità CV e dolore artrosico nelle donne Healthy aging tra la popolazione del Cilento si nasconde l’elisir di lunga vita Farmacovigilanza nuove indicazioni sulla sicurezza CV dei coxib
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DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
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Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico
> Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
TERAPIA
Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci
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Medico e paziente n. 5 anno XLII - 2016 Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia
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Direttore Responsabile Antonio Scarfoglio
in questo numero
sommario
Direttore Commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 Redazione Anastasia Zahova Progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Segreteria di redazione Concetta Accarrino Hanno collaborato a questo numero: Claudio Baracchini Ombretta Di Munno Antonio Raviele Vito Toso
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6 letti per voi
Osteoporosi post-menopausale Il farmaco sperimentale abaloparatide si mostra promettente nella prevenzione delle fratture vertebrali (e non), con effetti positivi sulla BMD: i risultati dello studio di fase 3 ACTIVE reumatologia Il dolore osteoarticolare al ginocchio aumenta la mortalità nelle donne? La risposta da uno studio britannico Farmacovigilanza Nuove indicazioni sulla sicurezza CV del trattamento con celecoxib, in pazienti affetti da artrite reumatoide e osteoartrosi Epidemiologia Nell’adrenomedullina, un ormone che regola la perfusione degli organi, si nasconde il segreto della longevità : i risultati preliminari del Cilento Initiative on Aging Outcome
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Registrazione del Tribunale di Milano n. 32 del 4/2/1975 Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura. Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) I dati sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’Editore “M e P Edizioni Medico e Paziente” per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Ai sensi dell’art. 7 D. LGS 196/2003 è possibile in qualsiasi momento e gratuitamente consultare, modificare e cancellare i dati o semplicemente opporsi al loro utilizzo scrivendo a: M e P Edizioni Medico e Paziente, responsabile dati, via Dezza, 45 - 20144 Milano. Comitato scientifico Prof. Vincenzo Bonavita Professore ordinario di Neurologia, Università “Federico II”, Napoli Dott. Fausto Chiesa Direttore Divisione Chirurgia Cervico-facciale, IEO (Istituto Europeo di Oncologia) Prof. Sergio Coccheri Professore ordinario di Malattie cardiovascolari-Angiologia, Università di Bologna Prof. Giuseppe Mancia Direttore Clinica Medica e Dipartimento di Medicina Clinica Università di Milano - Bicocca Ospedale San Gerardo dei Tintori, Monza (Mi) Dott. Alberto Oliveti Medico di famiglia, Ancona, C.d.A. ENPAM
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MEDICO E PAZIENTE
p 10 approfondimenti
I nuovi anticoagulanti orali nella fibrillazione atriale
Alcuni specialisti delle Regioni Veneto e FriuliVenezia Giulia hanno messo a frutto la propria esperienza clinica sull’impiego dei NAO nella fibrillazione atriale non valvolare (FANv) delineando una “carta” che si fonda sulla collaborazione tra cardiologi e neurologi, e che potrebbe rappresentare un punto di partenza per migliorare la gestione clinica dell’ictus cerebrale. Pubblichiamo la Carta di Venezia, che rispecchia l’opinione degli Autori, con l’auspicio di aprire un confronto costruttivo con tutti i medici italiani che vorranno inviarci i propri contributi ed esperienze di pratica clinica sull’argomento Responsabili scientifici Claudio Baracchini, Antonio Raviele, Vito Toso
p 18 clinica
Il dolore cronico nelle malattie reumatiche Fisiopatologia e indicazioni di terapia
Differenze nell’origine e nella tipologia del dolore rendono spesso necessario un approccio multimodale, strutturato su più livelli, che prevede terapie farmacologiche e non, sistemiche e locali, complementari e alternative Ombretta Di Munno
p 26
Abbonamento annuale ordinario Medico e paziente € 15,00 Abbonamento annuale sostenitore Medico e paziente € 30,00 Abbonarsi è facile: w basta una telefonata 024390952 w un fax 024390952 w o una e-mail abbonamenti@medicoepaziente.it Numeri arretrati € 10,00
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sommario
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Farminforma
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letti per voi Osteoporosi post-menopausale
Il farmaco sperimentale abaloparatide si mostra promettente nella prevenzione delle fratture vertebrali (e non), con effetti positivi sulla BMD: i risultati dello studio di fase 3 ACTIVE £
Abaloparatide è un analogo della proteina correlata all’ormone paratiroideo (PTHrP) in sperimentazione nel trattamento dell’osteoporosi postmenopausale. In modelli preclinici e in uno studio di fase II, la molecola ha indotto un miglioramento della densità minerale ossea (BMD) a livello del rachide e degli altri siti scheletrici. Lo studio di fase 3 ACTIVE conferma i promettenti risultati preclinici, aprendo la strada verso nuove opportunità
di terapia. Lo studio è stato condotto per valutare l’efficacia e la sicurezza di abaloparatide 80 µg rispetto a placebo, per la prevenzione di nuove fratture vertebrali, in un follow up di 18 mesi. Erano eleggibili donne in postmenopausa con T score ≤-2,5 e >-5,0 a livello della colonna lombare o del collo del femore e prove radiologiche ≥2 lievi o ≥1 frattura vertebrale moderata lombare o toracica, o storia di trauma lieve o frattura non vertebrale
negli ultimi 5 anni. Le donne (> 65 anni) con i criteri di frattura e T score ≤-2,0 e >-5,0 o senza criteri di frattura e T score ≤-3,0 e >-5,0 potevano essere arruolate. Le partecipanti (2.463 donne, di cui 1.901 hanno completato lo studio) sono state randomizzate a ricevere iniezioni sc quotidiane di placebo o abaloparatide 80 µg, oppure teriparatide 20 µg in aperto, per 18 mesi. Endpoint primario era la percentuale di partecipanti con una nuova frattura vertebrale nei diversi gruppi. Endpoint secondari erano la variazione della BMD totale dell’anca, del collo del femore e della colonna lombare e il tempo fino alla prima frattura non vertebrale. L’ipercalcemia era endpoint di sicurezza pre-specificato nel gruppo abaloparatide, rispetto al
£ Esiste un collegamento tra il dolore al ginocchio e il rischio di mortalità complessiva, e per cause cardiovaIl dolore osteoarticolare al ginocchio scolari nelle donne. Questa è la conclusione alla quale sono arrivati ricercatori dell’Università di Oxford e del aumenta la mortalità nelle donne? King’s College di Londra. La relazione tra mortalità e La risposta da uno studio britannico condizioni dolorose osteoarticolari è oggetto di ricerca da tempo. Sempre maggiori evidenze suggeriscono che un basso livello di infiammazione sistemica è associata a dolori articolari, incidenza di alterazioni radiografiche, sviluppo di patologie cardiovascolari (CV), con un qualche collegamento anche con la patogenesi delle malattie oncologiche. Secondo uno studio, i pazienti con sintomi radiografici KOA (osteoartrosi del ginocchio) e/o OA (osteoartrosi) dell’anca sono risultati ad aumentato rischio di mortalità rispetto alla popolazione generale. I dati attuali però non sono univoci, e lasciano ampio margine di discussione. Lo studio qui presentato è stato condotto proprio con l’obiettivo di fare un po’ di chiarezza su un argomento certamente di interesse clinico. Le patologie osteoarticolari infatti sono diffusissime, specie tra la popolazione anziana, ma non solo. Il lavoro aveva lo scopo di esaminare la relazione tra KOA e OA della mano e il rischio di mortalità in una coorte longitudinale di comunità (donne di mezza età), con 23 anni di follow up. Le partecipanti sono state divise in quattro sottogruppi sulla base della presenza o dell’assenza di dolore e osteoartrosi confermata radiograficamente (ROA): Dolore-/ ROA-; Dolore+/ ROA-; Dolore-/ ROA+; Dolore+ /ROA+. Il dolore è stato definito come dolore sito-specifico nel mese precedente, mentre il ROA sito-specifico è stato definito come artrosi ≥al grado 2 della classificazione di Kellgren-Lawrence. Per valutare nei 23 anni di follow up la mortalità generale e specifica per cause CV e per cancro sono stati usati i dati dell’Office for National Statistics. L’associazione è stata calcolata con un modello di regressione di Cox, aggiustato per variabili quali età, BMI, fattori di rischio CV tradizionali, occupazione, attività fisica pregressa, patologie CV concomitanti, glicemia e trattamenti farmacologici. Sono state incluse 821 e 808 donne, rispettivamente per le analisi sul ginocchio e sulla mano. Rispetto al gruppo dolore-/ ROA- al ginocchio, il gruppo dolore+/ ROA- ha avuto un aumento del rischio di mortalità specifica cardiovascolare (HR 2,93, 95 per cento CI 1,47-5,85), mentre il gruppo dolore+/ ROA+ al ginocchio aveva un hazard ratio aumentato di 1,97 (95 CI 1,23-3,17) per tutte le cause e di 3,57 (95 CI 1,53-8,34) per la mortalità CV specifica. Non sembra invece esserci alcuna relazione tra OA della mano e mortalità. Cosa possiamo dire dunque in conclusione? Secondo quanto riportato sembrerebbe che nelle donne che presentano dolore al ginocchio con o senza ROA (ma non ROA da solo) vi sia un significativo aumento del rischio di mortalità per tutte le cause e di mortalità specifica per problemi cardiovascolari. E questo porta a ipotizzare che il dolore al ginocchio più che i cambiamenti strutturali indotti dall’osteoartrosi sia responsabile dell’eccesso di mortalità osservato.
reumatologia
Kluzek S, Sanchez-Santos MT et al. Ann Rheum Dis 2016 75(10): 1749-56
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gruppo teriparatide. Il trattamento con abaloparatide correlava con una riduzione dell’86 per cento dell’incidenza di fratture vertebrali rispetto al placebo (rischio relativo 0,14 CI 95 per cento 0,05-0,39; P <0,001). Anche se questo effetto è simile alla riduzione dell’80 per cento dell’incidenza delle fratture vertebrali ottenibile con teriparatide, l’analogo osteoanabolico della PTHrP attualmente disponibile, abaloparatide comportava una diminuzione significativamente maggiore delle fratture non vertebrali sia rispetto al placebo sia rispetto a teriparatide. Inoltre, abaloparatide era gravato da un’incidenza inferiore di ipercalcemia rispetto a teriparatide. Il tasso di Kaplan-Meier stimato per fratture non vertebrali è stato del 2,7 per cento per abaloparatide, 4,7 per il placebo (HR 0,57 CI 95 0,32 e -1,00; P =0,049) e 3,3 per il gruppo teriparatide. Per quel che riguarda l’ipercalcemia, l’incidenza è stata inferiore con abaloparatide (3,4 per cento) rispetto a teriparatide (6,4 per cento) con una differenza di rischio di -2,96 (CI 95 -5,12 -0,87; P =0,006). Infine, aumenti maggiori della BMD sono stati osservati nel gruppo abaloparatide rispetto al placebo (P <0,001). Sebbene siano necessari ulteriori studi per approfondire il profilo di efficacia e sicurezza della molecola anche rispetto ad altri trattamenti, i risultati di ACTIVE suggeriscono per abaloparatide un effetto sovrapponibile quanto meno a quello di teriparatide. Come sottolineano gli Autori del lavoro nelle conclusioni, il nuovo farmaco rappresenta davvero uno strumento che potrebbe essere molto interessante e trovare una sua collocazione nell’ambito dell’algoritmo terapeutico per l’osteoporosi postmenopausale. Se infatti al momento, vi sono a disposizione molte scelte all’interno della classe dei bisfosfonati, ve ne sono ben poche in quella degli anabolizzanti per l’osso. Miller PD, Hattersley G et al. Jama 2016; 316(7): 722-33. doi:10.1001/jama.2016.11136
letti per voi Farmacovigilanza
Nuove indicazioni sulla sicurezza CV del trattamento con celecoxib, in pazienti affetti da artrite reumatoide e osteoartrosi £ La sicurezza cardiovascolare (CV) dei coxib, come dei FANS non selettivi è oggetto di discussione da tempo. Lo studio prospettico PRECISION ha messo a confronto celecoxib, con due FANS “classici”, naprossene e ibuprofene in pazienti con dolore da osteoartrosi (OA) o da artrite reumatoide (AR), e ad aumentato rischio CV. Obiettivo era verificare la non inferiorità di celecoxib rispetto all’endpoint composito di decesso per cause CV, infarto miocardico non fatale o stroke non fatale. A dosi moderate, celecoxib produce effetti simili al naprossene e all’ibuprofene dal punto di vista CV, mentre sembra leggermente superiore sul piano gastrointestinale (GI). I partecipanti, 24.081 pazienti, avevano
diagnosi confermata di OA o AR e dolore cronico. Tutti sono stati trattati anche con esomeprazolo, e sono stati randomizzati a celecoxib (media [± DS] dose giornaliera, 209±37 mg), naprossene (852±103 mg) e ibuprofene (2.045±246 mg). La durata media del trattamento e del follow-up sono state 20,3±16,0 e 34,1±13,4 mesi. Nell’analisi intention to treat, l’endpoint primario si è verificato in 188 pazienti nel gruppo celecoxib, in 201 nel gruppo naprossene e in 218 nel gruppo ibuprofene: l’hazard ratio per celecoxib rispetto a naprossene è stato 0,93 (CI 95 0,76-1,13), e rispetto a ibuprofene 0,85 (CI 95 0,70-1,04; P di non inferiorità <0,001 in entrambi i confronti). Nell’analisi on-treatment l’endpoint pri-
Epidemiologia
mario si è verificato in 134 pazienti in celecoxib, in 144 nel gruppo naprossene e in 155 nel gruppo ibuprofene. I valori di HR corrispondenti sono stati: celecoxib vs naprossene 0,90 (95 CI 0,71- 1,15), e celecoxib vs ibuprofene 0,81 (95 CI 0,65-1,02; p <0,001 di non inferiorità in entrambi i confronti). Celecoxib dunque, sia nel confronto con naprossene che con ibuprofene, ha “centrato” tutti i requisiti di non inferiorità prespecificati. Sul fronte della sicurezza GI, il rischio di eventi è stato significativamente inferiore nel gruppo celecoxib rispetto a naprossene o ibuprofene. I risultati dimostrano che non è attribuibile alcun maggiore rischio CV all’uso cronico del celecoxib, alle dosi da prescrizione. Gli Autori fanno notare tuttavia, che non può essere fatta alcuna estrapolazione sulla sicurezza di un impiego intermittente di basse dosi di FANS “da banco”. Nissen SE, Yeomans ND et al. New England J Med 2016; Doi: 10.1056/JMoa1611593
£ Avere un microcircolo “super efficiente” sarebbe il presupposto per arrivare centenari (o quasi) e in buona Nell’adrenomedullina, un ormone salute. Questa è la nuova strada che ha aperto lo studio CIAO (Cilento Initiative on Aging Outcome). Un gruppo che regola la perfusione degli organi, di ricerca dell’Università la Sapienza di Roma, guidato si nasconde il segreto della longevità: da Salvatore Di Somma, in collaborazione con l’Università californiana di San Diego ha avviato nella zona del i risultati preliminari del Cilento Cilento uno studio sulla popolazione: nel solo comune Initiative on Aging Outcome di Pollica, in provincia di Salerno, la densità di persone “over 100” è superiore a quella finora calcolata per l’isola giapponese di Okinawa, ben nota per il suo altissimo numero di ultracentenari. I ricercatori hanno effettuato valutazioni dettagliate sullo stato di salute e sullo stile di vita di due gruppi di persone: nel primo erano inseriti 29 “super-longevi” (età ≥90 anni), mentre nel secondo 52 conviventi piú giovani (età media 60 anni). L’ipotesi è che questo secondo gruppo abbia la stessa aspettativa di vita del primo, in quanto esposto allo stesso ambiente e a un analogo stile di vita; in alcuni casi inoltre vi è la condivisione del patrimonio genetico. Dalle analisi dei campioni di sangue, è emerso che tutti mostravano bassi livelli di adrenomedullina (ADM), un ormone peptidico solubile principalmente rilasciato dalla parete interna dei vasi sanguigni, la cui funzione biologica è controllare la vasodilatazione, che a sua volta svolge un importante ruolo regolatorio sulla pressione arteriosa e la perfusione degli organi. Bassi livelli ematici di ADM bioattiva rappresentato specifici indicatori per un’intatta microcircolazione, assicurando un buon rifornimento di sangue, senza alcuno stress cardiovascolare, ai muscoli e agli organi. I ricercatori dello studio pilota CIAO stanno ora pianificando di estendere queste osservazioni a 2.000 persone, residenti sempre nel territorio del Cilento. Tra gli obiettivi c’è quello di valutare se componenti della dieta mediterranea locale abbiano o meno effetti sui livelli di ADM. La cucina tipica della regione usa tradizionalmente molte piante native dell’area. Un’altra idea è quella di “trapiantare” soggetti con livelli elevati di bio-ADM in Cilento e misurare se l’ambiente ha effetto sui livelli del biomarcatore della microcircolazione. Di Somma S et al. www.eurekalert.org/pub-releases/2019-09/sg-gmi-1090216.php
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I QUADERNI
di Medico & Paziente
A partire dal mese di gennaio 2017 è disponibile il secondo Quaderno dedicato al DIABETE
Come ricevere i Quaderni di Medico e Paziente Tutti gli abbonati di Medico e Paziente riceveranno gratuitamente il Quaderno Chi sottoscrive un nuovo abbonamento alla rivista Medico e Paziente al costo di 20,00 euro riceverà gratuitamente il Quaderno In assenza di abbonamento è possibile richiedere il Quaderno versando un contributo di 9,00 euro comprensivo di spese di spedizione Le modalità di pagamento sono le seguenti:
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I nuovi anticoagulanti orali nella fibrillazione atriale Alcuni specialisti delle Regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia hanno messo a frutto la propria esperienza clinica sull’impiego dei NAO nella fibrillazione atriale non valvolare (FANv) delineando una “carta” che si fonda sulla collaborazione tra cardiologi e neurologi, e che potrebbe rappresentare un punto di partenza per migliorare la gestione clinica dell’ictus cerebrale. Pubblichiamo la Carta di Venezia, che rispecchia l’opinione degli Autori, con l’auspicio di aprire un confronto costruttivo con tutti i medici italiani che vorranno inviarci i propri contributi ed esperienze di pratica clinica sull’argomento Responsabili scientifici
Claudio Baracchini (neurologo), Antonio Raviele (cardiologo), Vito Toso (neurologo) La collaborazione tra cardiologi e neurologi vascolari è indispensabile per il migliore trattamento dell’ictus cerebrale. Inoltre le due specialità adottano misure di prevenzione che sono comuni alle pur differenti sedi delle malattie delle arterie e delle vene. Da una parte il neurologo conosce le modalità diagnostiche utilizzate dai cardiologi e le diverse tecniche di terapia invasiva cardiologica. Di converso il cardiologo è consapevole della difficoltà di distinguere i sottogruppi di ictus e condivide la responsabilità di indagare a fondo ogni caso di ictus ischemico. Ambedue hanno l’obbligo di conoscere i problemi della terapia anticoagulante e antiaggregante per ottenere il massimo dei benefici, riducendone al minimo i rischi. Con queste finalità è nato un gruppo di lavoro tra
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cardiologi e neurologi vascolari che operano nelle regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia. L’incontro a Mestre del 9 e 10 aprile 2015 è stato occasione di un dibattito, seguito da un documento di consenso sul ruolo dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) nella fibrillazione atriale (FA). Abbiamo prodotto questo documento utilizzando i take home messages proposti dal relatore di ogni tema, vagliati da due moderatori e sottoposti alle domande e ai commenti dei partecipanti. Per alcuni argomenti abbiamo aggiunto dei commenti dei responsabili scientifici del corso. I diversi capitoli sono spesso preceduti da una messa a punto del tema da trattare, ancora opera dei responsabili del corso. Tutti i partecipanti hanno collaborato per fornire risposte pratiche e utili in rispetto alla finalità del consenso.
La carta di Venezia
obiettivi raggiunti e difficoltà applicative Tema 1. Diagnosticare la fibrillazione atriale: una sfida con nuovi alleati Moderatori: R. Quatrale (neurologo) A. Raviele (cardiologo) V. Toso (neurologo) • Dopo un TIA o ictus attribuiti a FAnv aumenta il rischio embolico e quello emorragico; • I trials clinici RCT sono la base per l’accettazione di una molecola farmacologica nuova; • I loro risultati giustificano la preferenza (e scelta esclusiva in prevenzione secondaria) dei NAO (anticoagulanti diretti) nella FAnv; • L’impiego dei nuovi farmaci nella vita reale è indispensabile per il loro migliore utilizzo; • Le azioni di controllo economico della spesa dei farmaci rientrano solo nelle scelte politiche (Toso V, 2014). La fibrillazione atriale (FA) è la più frequente aritmia cardiaca sostenuta. Con una prevalenza che varia dall’1 al 2 per cento nella popolazione generale e aumenta con l’età. Per raggiungere l’8 per cento nei soggetti ultraottantenni. L’aritmia da sola è associata all’aumento di cinque volte del rischio di ictus. Di tutti gli ictus ischemici, la FA è responsabile del loro 20-30 per cento. Il rischio di ictus è indipendente dal tipo di FA, perché capita sia con la forma permanente sia con quella parossistica e persistente. Recenti studi hanno dimostrato che la durata maggiore della FA aumenta il rischio di ictus. La FA può essere sintomatica, perché sostiene
palpitazioni, dispnea, astenia, angina, sintomi vertiginosi o sincopi. In un’importante quota di casi, secondo il registro EORP-AF nel 40 per cento, i pazienti non avvertono la turba del ritmo. La prevalenza della FA silente è variabile in funzione del tipo di paziente o del setting in cui si esegue un ECG. Il riscontro accidentale alla registrazione ECG standard oscilla tra il 6 e il 25 per cento in pazienti non trattati con antiaritmici, ma raggiunge il 54-70 per cento in quelli che li assumono. In portatori di devices cardiaci impiantati (pacemaker, defibrillatori, devices di resincronizzazione cardiaca) la percentuale di riscontro di FA è del 51-74 per cento. Il trattamento con anticoagulanti orali, sia gli inibitori della vitamina K sia gli anticoagulanti orali diretti riducono del 60-70 per cento l’incidenza di embolie sistemiche e di ictus. Gli ictus ischemici di natura non aterotrombotica, cioè da emboli arteria-arteria o da infarti lacunari sono considerati di origine embolica indeterminata, quando manca la storia di fibrillazione o di flutter atriale (ESUS) e rappresentano il 25 per cento circa di tutti gli ictus (Hart RG, 2014). Si presume che la maggior parte di essi sia causata da una fibrillazione atriale non valvolare (FAnv). Da qui l’importanza di individuare pazienti con questo sottotipo di stroke per sottoporli a un approfondimento diagnostico volto alla ricerca dell’aritmia. La diagnosi di ESUS va posta solo dopo avere escluso, con TC o RM, un infarto non lacunare (cioè che coinvolga la corteccia o se sottocorticale abbia un diametro >1,5 cm). Inoltre bisogna escludere i casi con: a) con studio di ultrasuoni una stenosi >50 per cento a carico di
un’arteria extra- o intracranica che irrora l’area ischemica; b) con ecocardiogramma transtoracico o transesofageo una sorgente cardioembolica (trombosi intracardiaca, fibrillazione atriale, flutter atriale, vegetazioni valvolari, endocardite, stenosi mitralica severa o moderata, tumori cardiaci, recente infarto del miocardio) al monitoraggio cardiaco; c) altre cause specifiche di ictus (dissezioni, vasculiti, emicrania con aura/vasospasmo, uso di droghe). Questi pazienti sono ad alto rischio di recidiva di ictus (Bang OY, 2003) e attualmente ci sono due studi in corso il RESPECT-ESUS e il NAVIGATE-ESUS, che randomizzano i pazienti al trattamento con acido acetilsalicilico o a uno di due nuovi anticoagulanti orali, rispettivamente il dabigatran o il rivaroxaban. 1.1. Il monitoraggio della fibrillazione atriale nei pazienti portatori di dispositivi cardiaci Moderatori: F. Paladin (neurologo) F. Perini (neurologo) F. Rigo (cardiologo) D. Facchini (cardiologo) • La diagnostica dei moderni pacemaker (PM) e defibrillatori impiantabili (ICD) è completa e affidabile nel monitoraggio degli eventi aritmici atriali; • Il controllo tramite telemedicina consente una diagnosi aritmica più precoce rispetto al controllo ambulatoriale e quindi un precoce intervento terapeutico; • Il burden aritmico atriale può rappresentare un parametro clinica-
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mente rilevante nella valutazione del profilo di rischio cardioembolico del paziente; • L’approccio alla valutazione del rischio cardioembolico di un paziente non può prescindere da: - contesto clinico (prevenzione primaria o secondaria), - CHA₂DS₂-VASc score, - HAS-BLEd score. 1.2 La presenza di fibrillazione atriale nei pazienti con ictus criptogenetico: risultati del Crystal-AF V. Di Lazzaro (cardiologo) Il monitoraggio a lungo termine dell’attività cardiaca deve essere preso in considerazione nei pazienti con ictus che si conferma essere criptogenetico dopo esecuzione di protratto monitoraggio dell’attività cardiaca e dopo l’esecuzione di esami neuroradiologici inclusa angioRMN/TC del circolo intracranico, ecocardiogramma (sicuramente transesofageo nell’ictus giovanile) ed eco-doppler dei vasi epiaortici. • Il monitoraggio continuo dell’attività cardiaca attraverso l’impianto di loop recorder risulta essere estremamente più efficace rispetto alla pratica clinica standard per la diagnosi di FA parossistica a 6 (HR =6,43), 12 (HR =7,32), e 36 mesi (HR =8,78) nei pazienti con ictus criptogenetico; • Non è ancora definita la migliore strategia di monitoraggio a lungo termine in particolare in termini di costi/benefici anche se lo studio Crystal ha dimostrato una netta superiorità dell’impianto di loop recorder rispetto alla gestione standard (Sanna T, 2014); • I pazienti con stroke devono essere ricoverati in una stroke unit per effettuare un’estensiva ricerca delle possibili cause di ictus, in particolare con monitoraggio continuo della frequenza cardiaca.
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1.3 La fibrillazione atriale asintomatica: impatto nella pratica clinica e iter diagnostico
Tema 2. I farmaci orali con azione diretta sui fattori della coagulazione (NAO)
G. Molon (cardiologo) 2.1 I NAO sono tutti uguali? • La fibrillazione atriale asintomatica si associa a elevata mortalità e comparsa di ictus, maggiore rispetto alla fibrillazione atriale sintomatica; • L’utilizzo del monitoraggio continuo prolungato è di grande aiuto per evidenziare presenza e burden della fibrillazione atriale nei pazienti asintomatici; • La prevenzione dello stroke mediante l’uso di farmaci anticoagulanti è il primo e più importante intervento da effettuare nei pazienti con fibrillazione atriale, soprattutto se asintomatica; • Le nuove tecnologie e le nuove terapie anticoagulanti sembrano promettere un ulteriore miglioramento dei risultati in questo campo.
• I NAO, così come i pazienti, sono molto diversi tra di loro; • Una strategia “stessa taglia per tutti” per la prevenzione dello stroke nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare non è applicabile; • Un’attenta valutazione del profilo di rischio ischemico/rischio emorragico e della funzionalità renale ci possono servire da guida per la scelta del miglior farmaco per il nostro paziente.
Commento dei responsabili scientifici
Commento dei responsabili scientifici
I vari studi finora eseguiti (TENDS, ASSERT, IMPACT) non hanno mostrato una stretta relazione temporale tra fibrillazione atriale silente, scoperta con monitoraggio elettrocardiografico continuativo, e l’ictus. Inoltre non è noto qual è il burden di FA asintomatica e la durata dei singoli episodi aritmici che comportano un rischio sostanziale di ictus. Infine mancano ancora studi prospettici randomizzati sull’utilità della terapia anticoagulante orale in sogggetti con FA silente. Resta un capitolo a parte la ricerca di FA e l’eventuale trattamento anticoagulante nei casi inquadrati come ictus criptogenetico. Speriamo che lo studio ESUS dia risposte chiare a queste domande. Per ora l’utilizzo di anticoagulanti orali deve essere deciso solo in casi con qualsiasi tipo di FA e con score CHADS-VASc ≥2 (Hohnloser S, 2012).
Rispetto al warfarin, i NAO hanno dimostrato la stessa efficacia (rivaroxaban) o addirittura una maggiore efficacia (dabigatran, apixaban) nella prevenzione di stroke/embolia sistemica. Tutti i NAO sono più sicuri del warfarin per quanto riguarda il rischio di emorragia cerebrale. In generale, il rischio emorragico è simile (per dabigatran 150 mg bid e per rivaroxaban) o inferiore (per dabigatran 110 mg bid e per apixaban) al warfarin, mentre si è osservata una maggiore incidenza di emorragie dell’apparato digerente con dabigatran e rivaroxaban. Infine va segnalata una minore mortalità CV per dabigatran e per tutte le cause con apixaban. Le differenze sulla farmacodinamica e sulla farmacocinetica associate al fatto che le molecole impiegate agiscono su differenti fattori della coagulazione permettono di escludere che alla base ci sia solo un effetto di classe.
Moderatori: D. Marchese (cardiologo) F. Paladin (neurologo) C. Fresco (cardiologo)
2.2 I NAO, dai trials clinici al mondo reale Moderatori: M. Bottero (cardiologo) L. Lazzarino De Lorenzo (neurologo)
ha dimostrato che l’anticoagulante diretto ha meno ictus e meno sanguinamenti maggiori nell’osservazione media di 329 giorni (Camm AJ, 2015). Al momento non sono conosciuti i risultati dell’impiego dell’apixaban nella vita reale.
S. Themistoclakis (cardiologo)
Commento dei responsabili scientifici
• I NAO sono stati testati in rigorosi studi clinici randomizzati e controllati su oltre 70.000 pazienti e hanno dimostrato una non inferiorità (o in alcuni casi la superiorità) rispetto al warfarin per gli endpoint di efficacia; • I NAO hanno dimostrato un ottimo profilo di sicurezza rispetto al warfarin con una riduzione significativa in particolare delle emorragie intracraniche; • Nella pratica clinica sono stati raccolti dati a lungo termine (oltre 6 anni) su oltre 200.000 pazienti trattati in particolare con dabigatran, confermando i risultati dei trials clinici; • Anche in sottogruppi di pazienti più fragili come i soggetti anziani i NAO hanno dimostrato un rapporto rischio-beneficio favorevole rispetto al warfarin; • Secondo le linee guida europee quando un anticoagulante orale è raccomandato nei pazienti con FAnv, un NAO dovrebbe essere considerato al posto degli AVK (anti-vitamina K) per il loro miglior beneficio netto. Lo studio condotto dall’Ufficio di Sorveglianza ed Epidemiologia dell’FDA dà via libera al dabigatran, riconoscendone la superiorità su warfarin (ictus ischemici ridotti del 20 per cento ed emorragie intracraniche del 66 per cento), pur in presenza di un aumento delle emorragie gastrointestinali maggiori (+28 per cento) (Graham DJ, 2015). Lo studio prospettico osservazionale Xantus condotto in Canada, di confronto tra warfarin e rivaroxaban
L’impiego delle molecole nella vita reale ha permesso di uscire dalle rigidità del protocollo degli studi e di poter scegliere le molecole e le loro dosi in funzione delle caratteristiche individuali. Questi dati provengono da registri condotti con metodologie corrette e su ampie pololazioni non selezionate. Solo con queste caratteristiche diventano esperienze fondamentali, alla stregua dei trials. Non esistono studi di confronto diretto dei diversi NAO, per questo è difficile stabilire quale molecola usare nel singolo caso. Comunque alcune caratteristiche farmacologiche e farmacocinetiche delle varie molecole e le differenze cliniche dei pazienti suggeriscono le possibili scelte, individualizzate caso per caso. Le regole generali a cui ci si uniforma sono la presenza di comorbilità, l’utilizzo di altri farmaci, l’età, il peso corporeo e le funzioni degli emuntori, renale ed epatico.
Tema 3. Le condizioni cliniche speciali 3-1. I NAO e l’alterata funzionalità renale Moderatori: C. Fattorello Salimbeni (neurologo) R. L’Erario (neurologo) L. Calò (nefrologo) • La FA è più frequente nei casi con insufficienza renale terminale. In questi casi la mortalità è raddoppiata
in confronto ai casi privi di FA; • Il rapporto rischio/beneficio della terapia anticoagulante in questi casi è diverso in confronto a quello dei casi con funzione renale normale. I dati a disposizione affermano con sicurezza che il trattamento con warfarin non è la cura migliore per i casi di FA con insufficienza renale; • La preferenza dei NAO è ragionevole nei casi di FA con insufficienza renale lieve-moderata; • L’effetto dei NAO nei pazienti con insufficienza renale grave o in trattamento dialitico deve ancora essere studiato, e non è al momento raccomandato il loro impiego; • L’effetto del warfarin nei gradi più elevati di insufficienza renale e nei pazienti in dialisi è poco conosciuto; • Sono indispensabili studi randomizzati controllati per la terapia anticoagulante orale in casi con insufficienza renale grave o in dialisi (Reinecke H, 2013). 3.2 I NAO e l’alterata funzionalità epatica Moderatori: P. Passadore (neurologo) R. Valle (cardiologo) M.T. Sartori (internista) • Le informazioni sulla farmacocinetica dei NAO in presenza di epatopatia sono molto limitate; • Non vi sono studi clinici relativi all’efficacia e sicurezza dei NAO in pazienti con epatopatia; • Le specifiche restrizioni all’uso dei NAO in presenza di una compromissione della funzione epatica, indicate nei singoli RCP, si basano sui criteri di esclusione per epatopatia applicati negli studi clinici principali e sulla classificazione di Child-Pugh; • La malattia epatica associata a coagulopatia e rischio emorragico clinicamente significativo costituisce una
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controindicazione all’uso dei NAO; • È opportuno valutare gli indici di funzionalità epatica prima di iniziare la terapia con NAO e periodicamente durante il trattamento, essendovi segnalazioni post-marketing di danno epatico indotto da NAO, seppur come evento avverso raro/molto raro (Caldeira D, 2014).
3.3.1 Associazione di NAO e antiaggreganti: bilancio rischi/benefici
3.3 I NAO e le interazioni farmacologiche
• L’associazione di FA, ACS e SCAD rappresenta un problema per la cura; • Il rischio di trombosi dello stent è basso usando i nuovi stents medicati, specie con everolimus secondo lo studio WOEST; • Il profilo di rischio di stroke e di sanguinamenti del paziente deve portare alla selezione appropriata dello stent da usare; • La scelta della terapia con TAO più due antiaggreganti piastrinici (TOAT) piuttosto che TAO più un antiaggregante piastrinico deve essere riferita al profilo di rischio del paziente (ACS, tipo di rivascolarizzazione, rischio di sanguinamenti, tipo di stroke) (Dewilde WJ, 2013 ).
Moderatori: B. Giometto (neurologo), P. Manganotti (neurologo) A. Tosetto (ematologo) • Anche per i NAO esistono possibili interazioni farmacologiche, ma in modo inferiore di quanto accade per gli AVK; • Non ci sono evidenze cliniche che dimostrino un rischio emorragico/ trombotico associato all’uso di farmaci interferenti; • I registri nella vita reale sono utili anche per individuare associazioni a rischio; • Il laboratorio potrebbe teoricamente essere di aiuto, ma nell’uso pratico non si raccomanda per il dosaggio dei NAO in chi assume farmaci interferenti; • L’uso di una triplice terapia anticoagulante/antiaggregante (NAO+clopidogrel+ASA) va sconsigliato, escludendo solo i casi con esigenze particolari. Commento dei responsabili scientifici Solo i risultati di studi appropriati con anticoagulanti orali nei casi con vari gradi di insufficienza epatica e con insufficienza renale terminale permetteranno di fare scelte corrette. I registri di popolazione potrebbero essere sufficienti per riconoscere le interferenze dei NAO con altri farmaci specialmente per il potenziamento del rischio emorragico.
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Moderatori: L. La Vecchia (cardiologo) M.R. Valente (neurologo) C. Cernetti C (cardiologo)
Commento dei responsabili scientifici L’uso contemporaneo di NAO e antiaggreganti piastrinici è necessario in circa il 20-30 per cento della pratica clinica. Tra questi ci sono i casi di FA che soffrono di IMA o di SCA o che vengono sottoposti a una procedura di PTCA, e quelli che soffrono di carotidopatia critica. Questi pazienti sono a rischio elevato di ictus ischemico, di ischemia cardiaca e di trombosi dello stent. La terapia di associazione di antiaggreganti (prevalentemente aspirina e clopidogrel) è necessaria, anche in caso di terapia anticoagulante in atto, con la conseguenza di elevare di molto il rischio emorragico. In mancanza di studi randomizzati controllati si prendono spunti da studi prospettici, da studi post-hoc dei trials e dai risultati dei registri. Dopo
un IMA o SCA trattato con terapia medica o con PTCA, la regola è di attuare la terapia anticoagulante e due antiaggreganti (triplice) per almeno 6 mesi, dopo i quali si può passare a uno solo antiaggregante. Nei pazienti con rischio emorragico elevato la triplice terapia può essere ridotta a un mese. Anche dopo procedura di PTCA elettiva con stent metallici o con DES di ultima generazione basta un mese di triplice terapia. Al contrario la triplice terapia deve essere continuata per 12 mesi nei casi a elevato rischio aterotrombotico o che hanno ricevuto un DES di prima generazione, sempre che il rischio emorragico non sia troppo alto. In tutti i casi dopo un anno la terapia con NAO prevede l’associazione a un solo antiaggregante piastrinico (Rui Providência, 2014). L’altra area problematica è quella della stenosi carotidea congrua con il lato dell’ischemia cerebrale in paziente trattato con NAO per FA. In casi simili, il paziente va indirizzato all’endoarterectomia (TEA) e non sottoposto a trattamento endovascolare di angioplastica e stenting, poiché richiederebbe una triplice terapia antitrombotica (doppia antiaggregazione+anticoagulazio ne) esponendolo a un elevato rischio emorragico. Ai pazienti in NAO che devono essere sottoposti a TEA carotidea, si dovrà somministrare ASA al minimo dosaggio efficace (75mg/die) appena prima dell’intervento e per 10 giorni dopo la TEA (Taylor DW, 1999). 3.4 NAO e cardioversione/ ablazione Moderatori: A. Bonso (cardiologo) G. Maccarrone (neurologo) E. Bertaglia (cardiologo) • Nei pazienti con FAnv di durata >48 h che devono essere sottoposti
a cardioversione elettrica, la terapia anticoagulante orale dovrebbe essere assunta per almeno 3 settimane prima e 4 settimane dopo la procedura; • La cardioversione elettrica e l’ablazione transcatetere presentano rischio tromboembolico ed emorragico sovrapponibile nei pazienti trattati con dabigatran e rivaroxaban rispetto ai pazienti trattati con AVK; • La cardioversione elettrica e l’ablazione transcatetere possono essere eseguite anche in pazienti che assumono NAO; • L’utilizzo di un contapillole è consigliato per verificare l’aderenza alla terapia con i NAO prima della procedura; • Nel caso in cui l’aderenza alla terapia con i NAO sia dubbia, è opportuno effettuare un ETE prima della procedura di cardioversione; • In attesa dei trial clinici randomizzati, al momento non è prudente eseguire l’ablazione transcatetere durante terapia ininterrota con i NAO. 3.5 NAO e stroke ischemico ed emorragico Moderatori: R. Eleopra (neurologo) L. Roncon (cardiologo) G. Merlino (neurologo) • Tra i NAO solo il dabigatran 150 mg bid ha dimostrato maggiore efficacia rispetto a warfarin nella prevenzione dello stroke ischemico; • Dabigatran 150 mg bid risulta essere superiore a warfarin nella prevenzione dello stroke ischemico e più sicuro riguardo al sanguinamento intracranico anche quando il warfarin è assunto in maniera ottimale (TTR >70 per cento); • I tre trial registrativi dimostrano che un migliore profilo di sicurezza di dabigatran, rivaroxaban, apixaban rispetto al warfarin riguardo alla com-
parsa di sanguinamento intracranico; • Il profilo di sicurezza dei tre NAO riguardo al sanguinamento intracranico si conferma anche in pazienti anziani e in quelli in prevenzione secondaria per pregresso TIA/ictus; • Dubbi rimangono in merito a come comportarsi di fronte a un paziente con FA non valvolare con recente ictus ischemico (quando avviare NAO?) e nei pazienti con emorragia cerebrale intraparenchimale (se e quando avviare NAO?). Commento dei responsabili scientifici Il dato epidemiologico afferma che dopo un ictus, ischemico o emorragico, collegabile a FA la possibilità di recidive si raddoppia. La comparsa di ictus ischemico o TIA riferibili a FAnv rende indispensabile un TAO. I trials con i NAO e gli studi con dabigatran e rivaroxaban nella vita reale, sono concordi nel sostenere un’importante riduzione delle emorragie intracraniche in confronto ai casi che usano warfarin. In questi casi la superiorità dei NAO nel senso del benefico clinico è dimostrata, e il ricorso a queste molecole deve essere preferito all’utilizzo di warfarin (Toso V, 2014). 3.6 La trombolisi nel paziente in terapia anticoagulante orale Moderatori: M. Carletti (cardiologo) M. Gentile (neurologo)
specifici e standardizzati per i NAO (di minima aPTT per dabigatran, e aPTT e PT per rivaroxaban e apixaban; • In ogni caso per la trombolisi intravenosa in corso di TAO va cercato il migliore rapporto rischio-beneficio per il singolo individuo (Graeme J, 2014). Commento dei responsabili scientifici Il trattamento in acuto con la trombolisi endovenosa nei casi trattati con NAO è possibile solo dopo una ponderata valutazione dei rischi/benefici. Alla base del rischio si considera il tempo dell’ultima assunzione (la trombolisi è controindicata se il farmaco è stato assunto nelle ultime 48 ore), e si ricorre alla valutazione indiretta dei livelli delle molecole con esami di laboratorio, possibilmente semplici. La trombolisi intravenosa risulta possibile con lo score normale di aPTT per dabigatran e di aPTT e PT per rivaroxaban e apixaban. Nei casi di stroke ischemico del circolo anteriore da occlusione di carotide interna o di arteria cerebrale media, verificatisi in corso di NAO in cui è controindicata la trombolisi, si potrà avviare il paziente a trombectomia meccanica. La disponibilità dell’inattivatore di dabigatran (idarucizumab) che ne neutralizza l’azione entro 5 minuti apre la possibilità della trombolisi endovenosa in tutti i casi trattati con dabigatran (Pollack CV, 2015). 3.7 NAO: quali e per chi?
P. Bovi (neurologo) • La trombolisi intravenosa in caso di TAO con AVK è indicata in caso di INR ≤1,7; • La trombolisi intravenosa in caso di TAO con NAO è da considerare solo in relazione a precisi dati clinici e di laboratorio; • È necessario che i laboratori siano in grado di fornire in tempi rapidi test
Moderatori: Z. Olivari (cardiologo), S. Tonello (neurologo) C. Baracchini (neurologo) • Rispetto al warfarin, tutti i NAO hanno: – almeno la stessa efficacia nel prevenire lo stroke ischemico,
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Tabella 1. suggerimenti per la scelta del NAO più appropriato Prima scelta
Seconda scelta
Terza scelta
Ischemia rischio elevato CHADS-VASC ≥2
Dabigatran 150
Apixaban 5
Rivaroxaban 20
Emorragie rischio elevato HAS-BLED >4
Apixaban 5 Dabigatran 110
Apixaban 2,5 Rivaroxaban 15/20
Emorragie rischio basso HAS-BLED <4
Dabigatran 150
Apixaban 5
Emorragie gastrointestinali rischio elevato (precedente emorragia)
Apixaban 5/2,5
Dabigatran 110 Rivaroxaban 15/20
IM/SCA rischio elevato
Rivaroxaban 20
Compliance bassa (demenza, o richiesta)
Rivaroxaban 20
Insufficienza renale Clearance della creatinina tra 30-15
Rivaroxaban 15 Apixaban 2,5
– riducono il rischio di emorragia cerebrale; • Un confronto indiretto fra i vari NAO è viziato dall’eterogeneità dei pazienti studiati nei trials; • Le caratteristiche del paziente (rischio cardiovascolare, comorbidità, terapia concomitante ecc.) e del farmaco possono aiutare nella scelta più appropriata del NAO; • Pur con i limiti dovuti al confronto indiretto tra molecole posso, assieme, a Olivari e Tonello dare i suggerimenti raccolti in Tabella 1.
Commento dei responsabili scientifici Mancando studi di confronto diretto, è attualmente difficile dare raccomandazioni definitive su quale NAO somministrare e a chi somministrarlo, poiché un confronto indiretto fra i vari NAO è viziato dall’eterogeneità dei pazienti studiati nei trials. Tuttavia, tenendo conto di questo limite, le caratteristiche del paziente (rischio cardiovascolare, comorbidità, terapia concomitante ecc.) e del farmaco possono aiutare nella scelta
Rivaroxaban 20 Dabigatran 110
più appropriata del NAO. I suggerimenti possibili sono sempre viziati dal fatto di derivare da valutazioni post-hoc degli studi di registrazione e dai risultati dell’impiego nella vita reale, per i quali mancano molte informazioni sui casi che sono inclusi nei registri. Per questi motivi si parla di consigli lasciando la definizione di raccomandazioni solo alle valutazioni derivate da studi randomizzati e controllati, e quando rispondono a domande che rientrano negli obiettivi dello studio.
Partecipanti Adami A. Ospedale, Negrar (VR); Baracchini C. Ospedale/Università, Padova; Basile AM. Ospedale, Padova; Bertaglia E. Ospedale/Università, Padova; Bonso A. Ospedale, Feltre; Bottero M. Ospedale, Venezia; Bovi P. Ospedale/Università, Verona; Calò L. Ospedale/Università, Padova; Carletti M. Ospedale/Università, Verona; Cernetti C. Ospedale, Castelfranco Veneto (TV); Di Lazzaro V. Università, Roma; Eleopra R. Ospedale/Università, Udine; Facchin D. Ospedale/Università, Udine; Fattorello Salimbeni C. Ospedale, Mirano VE; Fresco C. Ospedale/ Università, Udine; Gentile M. Ospedale, Belluno; Giometto B. Ospedale, Treviso; Guzzon S. Ospedale, Monselice (PD); La Vecchia L. Ospedale, Vicenza; Lazzarino De Lorenzo L. Gorizia; L’Erario R. Ospedale, Rovigo; Maccarrone G. Ospedale, Castelfranco Veneto (TV); Manganotti P. Ospedale/Università, Trieste; Marchese D. Ospedale, Padova; Merlino G. Ospedale/Università, Udine; Molon G. Ospedale, Negrar (VR); Naccarato M. Ospedale/ Università, Trieste; Olivari Z. Ospedale,Treviso; Paladin F. Ospedale, Venezia; Passadore P. Ospedale, Pordenone; Perini F. Ospedale, Vicenza; Raviele A. Venezia-Mestre; Rigo F. Ospedale, Venezia-Mestre; Roncon L. Ospedale, Rovigo; Sartori MT. Ospedale/Università, Padova; Themistoclakis S. Ospedale, Venezia-Mestre; Tonello S. Ospedale, Treviso; Tosetto A. Ospedale, Vicenza; Toso V. Italian Stroke Organisation; Valente MR. Ospedale/ Università, Udine; Valle R. Ospedale, Chioggia (VE); Villalta S. Ospedale, Treviso.
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clinica
Il dolore cronico nelle malattie reumatiche Fisiopatologia e indicazioni di terapia Differenze nell’origine e nella tipologia del dolore rendono spesso necessario un approccio multimodale, strutturato su più livelli, che prevede terapie farmacologiche e non, sistemiche e locali, complementari e alternative A cura di Ombretta Di Munno Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa
I
l dolore cronico, nell’ambito del quale quello presente nelle malattie reumatiche (MR) rappresenta uno dei sottotipi di maggior impatto medico e sociale, ha origine da un complesso interplay di fattori neurologici, meccanici, biochimici e psicologici [1-4]. Questo tipo di dolore colpisce otto milioni di individui in Italia, quarantatre milioni se si considerano globalmente Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna, cinquanta milioni negli USA, dati questi ultimi segnalati recentemente dalla American Pain Society. La sua prevalenza, nell’ambito delle condizioni che il Medico di medicina generale si trova ad affrontare, è compresa fra il 5 e il 33 per cento [1] e la spesa per il SSN in Italia, secondo dati del Libro Bianco del 2014 [5], ammonta a 11,2 miliardi di euro, cifra che sale a 100 miliardi l’anno negli USA [4]. Un profondo e radicale cambiamento nel concetto di salute, percepita non più come la sola assenza di malattia, ma come “uno stato di benessere fisico, psichico e
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sociale” secondo la recente definizione dell’OMS, ha modificato in modo rilevante anche l’approccio diagnostico e terapeutico al dolore cronico. In quest’ottica la legge 38 del 2010 è apparsa come una legge fortemente innovativa in quanto, oltre a garantire l’accesso alla terapia del dolore da parte del paziente, sottolinea l’importanza del rispetto della dignità e autonomia della persona umana, il bisogno di salute, e il diritto a programmi di cure che non solo siano appropriati, ma individuali e pertanto adeguati alle priorità e preferenze del paziente, della famiglia e del contesto sociale in cui il paziente vive.
I meccanismi del dolore Un altro cambiamento di rilievo è stato il passaggio dalla definizione del dolore cronico, sinonimo di “sintomo” che dura da oltre sei mesi e che si prolunga oltre il periodo atteso di guarigione [4], al “dolore malattia” da cui la necessità non solo di identificarne i meccanismi fisiopatologici, ma di trattare la malattia concomitante in modo specialistico, attraverso le specifiche competenze. La multidisciplinarietà rappresenta dunque un elemento indispensabile per gestire correttamente la complessità del dolore
cronico, che si riconduce a cause e meccanismi patogenetici molto diversi fra loro. Nella figura 1 sono identificati i principali meccanismi biologici del dolore (neuropatico, muscolare, infiammatorio, meccanico/compressivo) [1], ai quali si devono aggiungere quelli psicologici e cognitivocomportamentali che hanno certamente il loro ruolo più rilevante in malattie come la fibromialgia [6], ma che sono comuni anche ad altre malattie (osteoporosi, artriti, sindromi miofasciali, ecc) [2, 3, 7] e più in generale presenti in circa il 50 per cento dei pazienti con dolore cronico [4]. Sempre nell’ambito dei meccanismi biologici dobbiamo includere il ruolo dell’ipovitaminosi D, spesso come cofattore e talvolta come fattore eziologico primario (nei casi di severo deficit) del dolore muscoloscheletrico. In aggiunta ai ben noti effetti metabolici ossei della vitamina D, l’individuazione di specifici recettori nel tessuto muscolare scheletrico ne ha messo infatti in evidenza il coinvolgimento anche nella funzione muscolare con mialgie e astenia spesso marcate; aspetti peraltro già da tempo noti nell’osteomalacia [8]. Ridotti livelli di vitamina D sono sempre più diffusamente documentati in studi epidemiologici condotti in pazienti con dolore muscoloscheletrico specifico e non nei Paesi occidentali [8, 9] e recentemente anche in India [10]; l’ipovitaminosi D e per contro la supplementazione con vitamina D sono apparse importanti nel modulare l’intensità e la progressione del dolore (misurato con la scala WOMAC) in alcuni studi randomizzati e controllati condotti in pazienti con artrosi dell’anca e del ginocchio [11, 12]. È stato inoltre segnalato che il mancato riconoscimento del ruolo patogenetico
Figura 1
Principali meccanismi del dolore Meccanismi biologici del dolore
Dolore neuropatico • Periferico (sindrome dolorosa regionale complessa, neuropatia sensitiva da HIV, disordini metabolici, sindrome dell’arto fantasma…) • Centrale (malattia di Parkinson, sclerosi multipla, mielopatie, dolore post-ictus, fibromialgia)
dell’ipovitaminosi D nel dolore muscoloscheletrico cronico, ha indotto spesso a errate diagnosi (patologie virali, fibromialgiche, neuropsichiatriche, ischemiche ecc.), con la conseguenza di trattamenti inappropriati, con effetti collaterali anche severi, e soprattutto inefficaci [9]. La realizzazione di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA), coordinato da un team multidisciplinare di specialisti, che attraverso le specifiche competenze possa identificare e mettere in atto la strategia più appropriata per la gestione del dolore cronico come malattia, rappresenta dunque l’obiettivo da raggiungere per ottenere i migliori risultati in termini di salute e qualità di vita per il paziente.
Il dolore nelle malattie reumatiche Nelle MR il dolore cronico, che spesso rappresenta per il paziente la priorità assoluta da gestire, trae origine da meccanismi neurofisiologici molto diversi fra loro, ma che spesso interagiscono (Figura 1) [1]. Nelle artriti (artrite reumatoide, spondiloartriti ecc.) il complesso network di citochine pro-infiammatorie (TNF, interleuchine 1, 17, 6 ecc.), prostanoidi, fattori di crescita, anche se presente a livello locale, induce una neurostimola-
Dolore muscolare • Sindrome dolorosa miofasciale
Dolore infiammatorio • Artropatie infiammatorie (artrite reumatoide) • Infezioni • Dolore postoperatorio • Lesioni tissutali
zione e una sensibilizzazione periferica e centrale; nella fibromialgia, considerata fino a 10 anni fa una malattia immaginaria, e la cui patogenesi è ancora in larga parte non definita (ridotti livelli di amine biogene, aumentata concentrazione di neurotrasmettitori eccitatori come la sostanza P, aumentati livelli di interleuchina 8 nel liquido cerebrospinale, alterazioni neuroendocrine, disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, polimorfismi dei geni per i recettori degli oppioidi e delle proteine del sistema nervoso centrale) [6, 13], il dolore è prevalentemente di tipo neuropatico centrale e l’allodinia (ipersensibilità a uno stimolo che abitualmente non causa dolore) e l’iperalgesia (aumentata sensazione dolorosa per una più bassa soglia del dolore) sono di frequente riscontro. Per questa sua multifattorialità fisiopatologica, il dolore può essere nocicettivo/ infiammatorio (artrite reumatoide, spondiloartriti), neuropatico periferico (vasculiti, connettiviti, algodistrofia riflessa), neuropatico/funzionale centrale (fibromialgia) e meccanico/compressivo (artrosi, discopatie). L’esperienza clinica ci insegna infatti che il danno tissutale e l’infiammazione cronica non sono gli unici responsabili della percezione del dolore, ma che allodinia e iperalgesia sono ad esempio di frequente riscontro anche in MR diffe-
Dolore meccanico/ da compressione • Dolore lombare • Dolore al collo • Dolore muscoloscheletrico di spalle, gomito ecc. • Dolore viscerale
renti dalla fibromialgia [2]. Nella figura 2 [2] le MR sono differenziate in base alla localizzazione del dolore (articolare, extra-articolare, localizzato, generalizzato, vertebrale) e alla presenza di una risposta infiammatoria. Sebbene i DMARDs (disease-modifying anti-rheumatic drugs) convenzionali e i farmaci biologici riescano a controllare l’attività di malattia e la progressione del danno articolare e d’organo in modo rapido ed efficace nella maggior parte delle MR (artriti, connettiviti, vasculiti), il loro effetto sul dolore che spesso non appare correlato alla remissione della malattia, risulta talvolta modesto o tardivo. Poiché è proprio il dolore il sintomo di maggior impatto sulla qualità di vita del paziente, si rende necessario un approccio ottimale attraverso strategie a vari livelli, che comprendono anche le indagini clinimetriche; la valutazione qualitativa e quantitativa del dolore con scale e questionari validati come VAS, HAQ, HRQOL, SF-36, FAQ5 (specifico per la fibromialgia) è infatti fondamentale prima di iniziare un qualunque intervento, farmacologico e non farmacologico [1, 2, 14].
Interventi farmacologici Questo tipo di interventi prevede l’impiego di farmaci per via sistemica (analgesici,
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clinica FANS, COX-2 inibitori, oppioidi, farmaci adiuvanti) e locale (iniezioni intra-articolari, applicazioni topiche) (Figura 3) [2-4, 7, 14, 15].
w FANS, COX-2-inibitori, paracetamolo FANS e COX-2-inibitori sono considerati il trattamento di prima linea nella scala analgesica dell’OMS (Figura 4) e secondo le linee guida e raccomandazioni di numerose società scientifiche (ACR, EULAR, AIPA, APS) (Figura 3) [2-4, 7, 14, 15]. Per quanto riguarda i FANS, a fronte di una documentata efficacia, ne sono ormai ampiamente documentati gli eventi avversi gastrointestinali, renali, epatici e cardiovascolari con una minore incidenza di questi ultimi [2-4, 7, 15] con l’utilizzo del naprossene [7, 16]. Dei COX-2-inibitori viene confermata la minore gastrolesività, mentre è ormai ampiamente acquisito che anche questi farmaci non sono privi di effetti collaterali cardiovascolari e renali [2-4, 7, 15]. Il paracetamolo, l’analgesico di più largo consumo negli USA e nella UE, è stato recentemente oggetto di numerose over-
views e studi epidemiologici che ne hanno riconsiderato efficacia e sicurezza [2, 3, 7, 15]. Da queste è emersa infatti una scarsa efficacia, sicuramente inferiore a quella dei FANS e dei COX-2 inibitori, a fronte di effetti collaterali epatici, renali, cardiovascolari talvolta molto gravi [3, 7, 15, 17-19]; la tossicità del paracetamolo rappresenta infatti la causa più comune di insufficienza epatica acuta nei Paesi industrializzati e il motivo prevalente di trapianto di fegato nella UE [20]. Pertanto l’FDA e numerose società scientifiche raccomandano di non prescrivere posologie giornaliere superiori a 4 grammi o combinazioni analgesiche che ne contengano più di 325 mg [3, 7, 15, 21]. Per quanto concerne l’efficacia, una recentissima metanalisi di studi randomizzati [22] che ha valutato nell’artrosi del ginocchio e dell’anca vari FANS, COX2-inibitori e paracetamolo verso placebo, ha concluso per una scarsa efficacia del paracetamolo, e un’efficacia comparabile di FANS e COX-2-inibitori, seppur con alcune differenze. Analoghi risultati derivano da un’altra metanalisi di interventi farmacologici sistemici (paracetamolo,
FANS e COX-2-inibitori) e intra-articolari (steroidi e acido ialuronico) in pazienti con artrosi del ginocchio [17]: tutti i trattamenti, sistemici e intra-articolari sono risultati efficaci sul dolore, seppure con alcune differenze, con l’eccezione del paracetamolo, e i trattamenti intra-articolari si sono dimostrati più efficaci di quelli sistemici. In realtà nel nostro Paese l’utilizzo di tale farmaco è sempre stato limitato a favore di un maggiore uso di FANS, talvolta anche eccessivo.
w Oppioidi Negli ultimi anni gli oppioidi, che occupano rispettivamente il secondo (oppioidi deboli) e terzo (oppioidi forti) scalino della scala analgesica dell’OMS (Figura 4) hanno trovato un più largo impiego nelle MR (Figura 3), quando i FANS sono controindicati o insufficienti per il controllo del dolore [2-4, 14, 15, 23]; tali farmaci dovrebbero comunque essere sempre utilizzati in un approccio multimodale alla sintomatologia dolorosa o nelle fasi di riacutizzazione della malattia. Gli oppioidi si classificano in base alla loro
Figura 2
Diagnosi differenziale delle malattie reumatiche in base a localizzazione e caratteristiche del dolore Articolare
Infiammatorio
Mono articolare
Artrite settica Artrite reattiva Condrocalcinosi Emocromatosi Neoplasie maligne
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Extra-articolare
Non infiammatorio
Oligo/poli articolare
Artrite reattiva Spondiloartropatia Artrite psoriasica Artrite reumatoide Artrite virale Connettiviti
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Infiammatorio
Localizzato
Osteoartrosi Necrosi asettica Trauma
Borsiti Tendiniti Sclerosi sistemica
Generalizzato
Polimialgia reumatica Miosite LES Miopatie indotte da cortisone
Vertebrale
Non infiammatorio
Localizzato
Miopatie dei tendini Sindrome da compressione dei nervi
Generalizzato
Osteoporosi Fibromialgia
Spondilite anchilosante Spondilite psoriasica Spondilite tubercolare Spondilite settica Neoplasie maligne Osteoporosi
Figura 3
Terapia del dolore nelle malattie reumatiche Educazione Fisioterapia Psicoterapia
Analgesici - FANS - Oppioidi
Generalizzata
Localizzata
Terapia topica Iniezioni
efficacia in deboli e forti, e in base alla loro attività intrinseca in agonisti completi o parziali, agonisti/antagonisti e agonisti completi (Tabella 1) [23]. In base alla durata d’azione si distinguono poi in oppioidi ad azione rapida ma breve, come il tramadolo, e ad azione più lenta ma duratura, come l’idromorfone [3]. Gli oppioidi differiscono, oltre che in efficacia, metabolismo e potenza, anche per caratteristiche farmacocinetiche che ne determinano differenti modalità di somministrazione: ad esempio l’elevata liposolubilità e il basso peso molecolare fanno del fentanil un farmaco ideale anche per la somministrazione transdermica e transmucosa [23]. La farmacodinamica è invece simile ed è responsabile di effetti collaterali comuni a tutti gli oppioidi, fra cui i più frequenti sono nausea, vomito, stipsi, sonnolenza, vertigini [2, 23]; l’entità e la frequenza di tali effetti ne raccomandano l’uso per brevi periodi poiché i dati sui loro effetti a lungo termine sono scarsi.
w Farmaci adiuvanti I farmaci adiuvanti sono presenti a tutti
Pregabalin o gabapentin
Antidepressivi triciclici
i livelli della scala analgesica dell’OMS e possono essere associati ai FANS, ai COX-2 inibitori e agli oppioidi (Figura 4). Recentemente farmaci come gli antidepressivi triciclici (l’amitriptilina è quello più utilizzato), gli anticonvulsivanti (gabapentin e pregabalin), gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina e della norepinefrina (duloxetina, milnacipran) hanno trovato un largo impiego per il controllo del dolore muscolo scheletrico e neuropatico presenti in molte connettiviti, artriti e nella fibromialgia (Figura 3) [24, 6, 7, 24, 25], anche se in quest’ultima la risposta è risultata molto variabile in rapporto alla complessità fisiopatologica che la caratterizza [6, 24, 25].
Interventi non farmacologici complementari e alternativi Un crescente interesse negli ultimi anni è suscitato dalle terapie complementari e alternative, che spesso si sono dimostrate efficaci anche sul dolore cronico che caratterizza alcuni tipi di malattie reumatiche
Duloxetina o milnacipran
[2, 3, 6, 7, 24, 25]. Questo tipo di approccio al dolore prevede interventi attivi di tipo fisioterapico, psicologico, cognitivo comportamentale, training funzionale, biofeedback, agopuntura, neuromodulazione elettrica (TENS), laserterapia, taping neuromuscolare, esercizi aerobici, pet therapy. Una gestione multimodale, strutturata su più livelli che preveda dunque interventi farmacologici tradizionali, ma anche interventi innovativi appare promettente non solo nella fibromialgia, ma anche in altre malattie reumatiche [3, 4, 6, 7, 24, 25].
Interventi locali Infine non va sottovalutata l’importanza di interventi mini invasivi locali (Figura 3), come l’iniezione intra-articolare di steroidi e anestetici e la viscosupplementazione con acido ialuronico [2-4, 7] che hanno dimostrato efficacia sul dolore, talvolta superiore a quella delle terapie sistemiche [17]. Anche le applicazioni topiche di FANS (creme, gel, cerotti) e anestetici, spesso in
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clinica Figura 4
Scala analgesica dell’OMS a 3 gradini (1986) OPPIOIDI FORTI morfina, idromorfone, metadone, levorfanolo, fentanil, oxicodone
I + III OPPIOIDI DEBOLI Codeina, idrocodone, oxicodone, diidrocodeina, tramadolo
Dolore severo
VAS 7-10
I + II NON-OPPIOIDI ± ADIUVANTI FANS + COX-2-inibitori, antidepressivi, anticonvulsivanti I
Dolore moderato
combinazione, si sono dimostrate efficaci nel dolore (Figura 3) [2-4, 7] e con minori effetti a livello sistemico. Una recente revisione ha messo in evidenza un buon profilo di efficacia e sicurezza nel dolore osteoartrosico della capsaicina [26], un derivato dal pepe di cayenna (chili peppers); la capsaicina, già approvata nel 2009 dell’FDA per il trattamento del dolore neuropatico, è stata inserita da sola o in associazione con altri farmaci, nelle raccomandazioni di molte società scientifiche per la gestione del dolore cronico e riacutizzato dell’osteoartrosi [4, 26].
CONCLUSIONI Il dolore, più frequentemente quello muscoloscheletrico, è il sintomo principale di molte malattie reumatiche, causa di disabilità e di una compromessa qualità di vita. La sua origine è multifattoriale, con componenti di tipo centrale e periferico, in-
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Dolore medio
VAS 5-6
VAS 1-4
fiammatorio e non, cognitivo ed emotivo, e la sua comparsa e intensità sono spesso non correlate con l’attività o la remissione della malattia stessa. I DMARDs e i farmaci biologici, che hanno dimostrato una grande efficacia e rapidità nell’indurre la remissione della malattia, spesso sono caratterizzati da effetti modesti o tardivi sulla sintomatologia dolorosa. Differenze nell’origine e tipologia del dolore ne rendono spesso necessario un approccio multimodale, strutturato su più livelli, che prevede terapie farmacologiche e non, sistemiche e locali, complementari e alternative. Nell’ottica di una gestione ottimale del dolore e più in generale di una visione olistica del paziente con MR, la combinazione di terapie tradizionali e di altri interventi più innovativi può e deve dunque differire in rapporto non solo alla malattia dolore, ma alle esigenze e aspettative individuali.
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Il nuovo sito si presenta come una galassia, che ha come centro la figura del Medico di Medicina generale. www.medicoepaziente.it non è un portale generico, e nemmeno la versione elettronica della rivista, ma un aggregatore di contenuti, derivanti da una pluralità di fonti, che possano essere utili al Medico di Medicina generale nel suo lavoro quotidiano.
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clinica Tabella 1.
Classificazione degli oppioidi
Organizzazione Mondiale della Sanità
Classificazione funzionale
Oppioidi deboli
Agonisti completi
Codeina, diidrocodeina, destropropoxifene, tramadolo
Morfina, metadone, fentanil, idromorfone, oxicodone, buprenorfina, tapentadolo, tramadolo
Oppioidi forti
Agonisti parziali
Morfina, metadone, fentanil, idromorfone, oxicodone, buprenorfina, tapentadolo
Buprenorfina, pentazocina, buturfanolo Agonisti/antagonisti Nalbufina, nalorfina Antagonisti completi Naloxone, naltrexone, metilnaltrexone, alvimopan
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Un strumento in piĂš per il Medico Il supplemento di Medico e Paziente, destinato a Medici di famiglia e Specialisti Algosflogos informa e aggiorna sulla gestione delle patologie osteo-articolari, sulla terapia del dolore e sulle malattie del metabolismo osseo
Abiogen
Dermatite atopica e psoriasi Nuova formulazione “patient friendly” di mometasone furoato
I
corticosteroidi topici rappresentano la terapia antinfiammatoria topica più efficace per la dermatite atopica (DA) e per la psoriasi. Secondo gli specialisti della Società italiana di dermatologia però, vi sono alcuni aspetti di questa terapia che negli anni ne hanno fortemente limitato l’uso da parte dei pazienti. In primo luogo vi è una sorta di “corticofobia”, ovvero il timore degli effetti collaterali dei farmaci a base di cortisone, e poi la disponibilità di formulazioni obsolete, poco attente alle esigenze dei pazienti. Di questo si è parlato nell’ambito di un media tutorial che si è tenuto a Milano, lo scorso 27 settembre. “Fino al 50 per cento dei pazienti con DA – ha spiegato il prof. Giampiero Girolomoni, dell’Azienda Universitaria Integrata di Verona – è preoccupato o considera negativamente l’uso dei cortisonici, per
paura degli effetti collaterali. Il timore è spesso generato da una conoscenza insufficiente delle differenze tra vecchi e nuovi farmaci e del modo appropriato di usarli. La prima conseguenza è un utilizzo sbagliato della terapia, con la tendenza dei pazienti a considerare questi farmaci come una sorta di ultima risorsa da assumere solo quando la malattia è gravemente peggiorata. Le evidenze scientifiche chiariscono invece come i possibili effetti collaterali siano ben noti agli specialisti e i rischi possano essere facilmente minimizzati; precisano come non tutti i composti siano uguali ed esistano sostanziali differenze di formulazione per efficacia e tollerabilità e infine, attribuiscono alla fase di dialogo tra medico e paziente una grande importanza, proprio per trasmettere le raccomandazioni su quando e
Società italiana di comunicazione scientifica e sanitaria
Parte il progetto Bridge per la psoriasi e l’artrite psoriasica
P
atologie fortemente invalidanti, la psoriasi e l’artrite psoriasica colpiscono circa 2,5 milioni di italiani. Il cammino per i pazienti è spesso in salita: la diagnosi non è quasi mai precoce e si allungano i tempi di accesso a terapie adeguate. A fornire un quadro esaustivo è un’indagine realizzata dall’Associazione per la difesa degli psoriasici e dalla Società italiana di comunicazione scientifica e sanitaria, che raccoglie i dati di sei ricerche che hanno coinvolto 167 pazienti di cui, 103 affetti da psoriasi e 64 da artrite psoriasica e quasi 2mila operatori sanitari (di cui 1.158 MMG), e getta le basi per il progetto Bridge. Il progetto unisce clinici, pazienti e decisori per individuare il Patient Journey, ovvero la mappatura del percorso assistenziale, dall’ingresso nella struttura di cura alla gestione “ottimale” della patologia. L’auspicio è che Bridge possa essere il motore per un modello organizzativo più efficace che coinvolga in maggiore misura i MMG e garantisca un buon collegamento fra la dermatologia territoriale e i centri di riferimento per la cura della psoriasi.
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quanto applicare i preparati topici”. Oggi a disposizione del clinico e del paziente vi è una nuova formulazione topica, arricchita di acqua, di mometasone furoato. Grazie al giusto equilibrio tra potenza e basso rischio di effetti avversi sistemici, la nuova formulazione si candida a colmare alcuni dei gap finora illustrati, perché oltre al documentato profilo di sicurezza ed efficacia, è stata studiata per superare i limiti finora propri di questi farmaci, in termini di accettabilità, spalmabilità, facilità di applicazione e di conservazione. I dati disponibili mostrano come questa nuova formulazione arricchita di acqua, oltre a essere più gradita ai pazienti, è sovrapponibile per efficacia a quella tradizionale in termini di effetto antinfiammatorio e di riduzione dello score di severità dei segni.
ALK Abellò
Il primo Osservatorio dedicato alle allergie agli acari
È
stato presentato lo scorso 4 ottobre a Milano, l’Osservatorio HOME, patrocinato da FederAsma e Allergie Federazione Italiana Pazienti Onlus, dalle maggiori società scientifiche nazionali nell’ambito delle patologie respiratorie, e realizzato con il sostegno non condizionato di ALK Abellò. Molteplici sono gli obiettivi dell’Osservatorio, tra cui favorire la collaborazione tra allergologi, pneumologi e rinologi, sensibilizzare l’opinione pubblica, far “emergere la malattia”, attraverso un percorso diagnostico e terapeutico capillare ed efficace. Da una ricerca DoxaPharma emerge l’identikit del soggetto con allergia da acaro: un paziente polisensibile, polisintomatico, poco controllato, in cui la malattia compromette significativamente la qualità di vita. Il paziente “tipo” invece di curarsi, sembra fare di tutto per tollerare o abituarsi alla malattia. Sul fronte del trattamento, interessanti novità sono attese per il prossimo anno con l’arrivo di un’immunoterapia allergene specifica in tablet sublinguali, già approvata dall’Ente regolatorio europeo in pazienti adulti con asma allergico da acari non ben controllato.
SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico
Assicurarsi tutti i numeri di Medico e Paziente è facile
Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012
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DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
MP
Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con
CLINICA
Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico
> Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
TERAPIA
Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci
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Premio Galeno
Un farmaco orfano “made in Italy” vince l’edizione britannica e olandese
A
distanza di pochi giorni Holoclar®, un trattamento con cellule staminali in grado di restituire la vista a pazienti con gravi ustioni della cornea, ha vinto l’edizione sia britannica che olandese del Premio Galeno 2016. Lo scorso anno, Holoclar® aveva ricevuto l’approvazione per la commercializzazione in Europa, con indicazione in adulti affetti da deficit di cellule staminali limbari da moderato a grave; una condizione oculare rara che porta alla cecità. Questo nuovo trattamento è prodotto nei laboratori di Holostem Terapie Avanzate s.r.l., spin off dell’Università di Modena e Reggio Emilia, presso il Centro di medicina rigenerativa Stefano Ferrari dell’Ateneo modenese. Grazie al contributo di Chiesi Farmaceutici è stato possibile certificare il Centro di medicina rigenerativa di Modena, e procedere nel cammino di registrazione del farmaco. Ricordiamo tra l’altro che in anticipo rispetto agli altri Paesi, nel 2015 la giuria italiana del Premio Galeno aveva ritenuto opportuno rilasciare una menzione speciale per Holoclar®, per l’alto valore innovativo della candidatura.
Incyte
MSD
Al via la campagna Menopausa…Meno Male
L
a menopausa è considerata una fase negativa della vita per troppe donne italiane. Per affrontare questo periodo con più serenità nasce la campagna Menopausa Meno...Male, lanciata dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia (SIGO) e realizzata grazie a un educational grant di MSD, che vede la collaborazione di diverse società scientifiche come l’Associazione Italiana di Oncologia Medica, la Società Italiana di Endocrinologia e la Fondazione Insieme contro il Cancro. Si articola attraverso un sito internet (www.menopausamenomale. org), la distribuzione di materiale informativo, l’elaborazione di sondaggi tra la popolazione e le società scientifiche. Nei prossimi mesi si terrà la prima conferenza nazionale sulla salute della donna in menopausa che riunirà ginecologi, oncologi, cardiologi, endocrinologi, medici di famiglia. “Con la nostra campagna vogliamo raggiungere anche tutti i camici bianchi che si interfacciano direttamente con le over 50” ha affermato il presidente della SIGO Paolo Scollo in occasione del lancio del progetto (18 ottobre, Roma). “Siamo gli specialisti del benessere femminile e seguiamo le nostre assistite fin dall’inizio dell’età fertile. Possiamo quindi dare il nostro contributo affinché i vari professionisti della salute migliorino il loro approccio verso chi sta affrontando una fase complessa della vita”.
Nasce una nuova realtà biofarmaceutica in Italia
L
a statunitense Incyte Corporation, specializzata in sviluppo e commercializzazione di farmaci in diversi ambiti, tra cui quello oncologico, ha annunciato la costituzione di Incyte Biosciences Italy (precedentemente Ariad Italy). “Incyte Italy è orgogliosa di mettere a disposizione dei colleghi statunitensi ed europei esperienza, risorse ed elevati standard operativi, al fine di accelerare la crescita aziendale per i nostri azionisti e offrire nuovi farmaci a pazienti e classe medica” ha affermato così alla presentazione della Società (11 ottobre, Milano) Giancarlo Parisi, direttore generale di Incyte Biosciences Italy. I prodotti commercializzati da Incyte includono un inibitore di JAK1/JAK2, Jakavi® (ruxolitinib), che rimane l’unica terapia approvata dallo Fda per la mielofibrosi intermedia o ad alto rischio e la policitemia vera incontrollata, e in Europa, il prodotto a licenza esclusiva Iclusig® (ponatinib), un inibitore del BCR-ABL, approvato per il trattamento della leucemia mieloide cronica e della leucemia linfoblastica acuta con cromosoma Philadelphia positivo in pazienti adulti resistenti o intolleranti a specifici inibitori della tirosin-chinasi di seconda generazione, oppure nei quali è stata identificata la mutazione T315I.
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Pharmanutra
Dalla natura una crema contro il dolore osteoarticolare
È
da poco disponibile una nuova opzione per il controllo della sintomatologia dolorosa a carico dell’apparato muscoloscheletrico. Si tratta di una crema (Cetilar®) ad alta concentrazione di esteri cetilati (7,5 per cento CFA) che attraverso il massaggio terapeutico produce sollievo dal dolore. Non solo, ma favorisce il recupero della mobilità articolare anche nei periodi di riabilitazione conseguenti a fenomeni infiammatori o traumi. La crema è indicata sia in caso di traumi sportivi, sia per il dolore osteoartrosico, tipico dei pazienti anziani. La formulazione a base di acidi grassi naturali possiede un profilo di sicurezza che ne permette l’impiego anche per periodi di tempo prolungati, delineandosi come una valida alternativa ai FANS. Ancora una volta dunque Pharmanutra, azienda italiana leader nello sviluppo di prodotti nutraceutici e dispositivi medici, conferma il suo impegno in campo osteoarticolare.