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clinica
Depressione nella malattia di Parkinson Complessità diagnostica e terapeutica
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Diagnosi
Epilessia ed emicrania Terminologia, aspetti clinici comuni e divergenze
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Anno X - n. 1 - 2014
Patologie rare
Omocistinuria
1
Inquadramento clinico e indicazioni di terapia
> Alessandro Burlina •
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Anno X - n. 1 - 2014
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Anno X - n. 1 - 2014
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Sommario 8
clinica
Depressione nella malattia di Parkinson Complessità diagnostica e terapeutica
La depressione è un sintomo frequente nei pazienti con Parkinson. La difficoltà diagnostica e la scarsità di studi farmacologici controllati condizionano un inadeguato trattamento con inevitabili ricadute sulla qualità di vita
Ubaldo Bonuccelli, Roberto Ceravolo, Daniela Frosini
14 Diagnosi
Epilessia ed emicrania Terminologia, aspetti clinici comuni e divergenze La cefalea/emicrania di origine epilettica dovrebbe essere sospettata in pazienti che non rispondono ai farmaci antiemicranici sintomatici, al fine di eseguire prontamente una registrazione EEG e formulare una corretta diagnosi
Vincenzo Belcastro, Pasquale Striano, Pasquale Parisi
20 Patologie rare Omocistinuria
Inquadramento clinico e indicazioni di terapia L’omocistinuria comprende un gruppo di patologie rare, autosomiche recessive, dovute ad alterato metabolismo degli aminoacidi solforati e associate all’accumulo di omocisteina nel sangue e nelle urine. La forma ereditaria più comune è l’omocistinuria classica
Alessandro Burlina
rubrich e
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news dalla letteratura news farmaci news dalle associazioni la neurologia italiana
numero 1 2014
3
NEWS dalla letteratura M. Giannotta, S. Benedetti, E. Dejana et al.
E. Cumbo, L. D. Ligori
Individuato un nuovo bersaglio che permetterebbe di aumentare l’efficacia del trapianto con cellule staminali nelle distrofie muscolari
Tra le opzioni di trattamento per la malattia di Alzheimer, memantina e rivastigmina sembrano mostrare effetti favorevoli sui sintomi comportamentali e psicologici associati alla demenza
❱❱❱ EMBO Molecular Medicine 2014; Jan 8 Epub ahead of print Al momento non esistono terapie risolutive per le distrofie muscolari, ma sono in fase di studio diversi approcci sperimentali. Uno di questi è rappresentato dal trapianto di mesoangioblasti (MAB): queste cellule vengono isolate dai muscoli di donatori compatibili e iniettate nella circolazione sanguigna di pazienti distrofici. La procedura tuttavia presenta diversi ostacoli che ne compromettono la potenziale efficacia. Uno dei principali limiti consiste nella necessità per i MAB di superare le pareti endoteliali dei vasi sanguigni per raggiungere il muscolo distrofico e generare così nuove e funzionali fibre muscolari. In questo passaggio solo un limitato numero di cellule riesce a raggiungere il tessuto danneggiato. E finora non si conosceva un meccanismo in grado potenziare il numero di cellule in grado di “attecchire” nel tessuto bersaglio. Merita di essere segnalata la scoperta fatta da un gruppo di ricercatori afferenti all’IFOM di Milano, all’Università degli Studi di Milano, al San Raffaele di Milano e all’University College di Londra. Il team ha identificato un nuovo bersaglio, la proteina JAM-A (junctional adhesion molecule-A), utile nell’aumentare l’efficacia del trapianto permettendo ai MAB di raggiungere il muscolo danneggiato con maggiore efficienza. JAM-A, coinvolta nelle giunzioni endoteliali, sarebbe un fattore chiave nella regolazione del flusso dei MAB. Il meccanismo in realtà è molto articolato. I ricercatori hanno evidenziato in un modello animale di distrofia muscolare che l’inattivazione del gene JAM-A e gli anticorpi che bloccano JAM-A aumentano significativamente l’attecchimento dei MAB nel muscolo distrofico. In assenza di JAM-A, le proteine EPAC-1 e 2 (exchange protein directly activated by cAMP) sono “sottoregolate”, prevenedo così l’attivazione della piccola proteina GTPasica Rap 1. La conseguenza è una riduzione del restringimento giunzionale, e successiva facilitazione della diapedesi dei MAB. Lo studio ha identificato alcune molecole che potrebbero migliorare l’efficacia delle terapie cellulari. Siamo ancora lontani dalla sperimentazione clinica, ma i risultati sono davvero incoraggianti e meriterebbero di essere approfonditi, anche in altre patologie quali i tumori.
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numero 1 · 2014 la neurologia italiana
❱❱❱ Journal of Alzheimer’s Disease 2014; 39: 477-85 I sintomi psicologici e comportamentali della demenza sono le manifestazioni più desolanti e impressionanti della malattia di Alzheimer (MA), sia per i pazienti che per i caregiver. Si tratta di sintomi molto frequenti, dato che si riscontrano in oltre l’80 per cento dei pazienti con MA, e sono la causa più comune di istituzionalizzazione, ma anche di aumento dei costi di gestione della malattia. Lo studio qui presentato aveva lo scopo di valutare gli effetti di quattro diversi farmaci specifici per la terapia dell’Alzheimer, memantina, donepezil, rivastigmina e galantamina, sui sintomi comportamentali e psicologici in 177 pazienti affetti da MA. Lo studio prospettico, longitudinale, randomizzato in aperto e a 4 bracci paralleli, con una durata di 12 mesi ha esaminato l’azione sui sintomi comportamentali e psicologici dei diversi farmaci attraverso scale di valutazione quali NPI (Neuropsychiatric Inventory) e BEHAVE-AD (Behavioural Pathology in Alzheimer’s Disease). Le valutazioni sono state eseguite al basale e al termine del trattamento rispettivamente con memantina, galantamina, rivastigmina e donepezil. Un miglioramento statisticamente significativo nello score di entrambe le scale è stato osservato nei soggetti trattati con memantina, donepezil e rivastigmina, ma non in quelli trattati con galantamina. Nella scala NPI, l’item aggressività/agitazione ha mostrato la migliore evoluzione positiva (valori significativi rispetto al basale per memantina e rivastigmina), mentre nella scala BEHAVE-AD i risultati migliori sono stati osservati per aggressività e ansia/fobia. Sotto il profilo della sicurezza, tutti i trattamenti hanno mostrato una buona tollerabilità; gli effetti avversi più frequenti erano comunque transienti e di intensità lieve-moderata. Gli Autori suggeriscono che tra i farmaci indicati per la MA, memantina e rivastigmina potrebbero migliorare i sintomi comportamentali e psicologici in soggetti affetti da forme lievi-moderate di Alzheimer, in assenza di importanti effetti collaterali.
la nuova versione del sito e n i l n o www.medicoepaziente.it cambia volto!
Il nuovo sito si presenta come una galassia, che ha come centro la figura del Medico di Medicina generale. www.medicoepaziente.it non è un portale generico, e nemmeno la versione elettronica della rivista, ma un aggregatore di contenuti, derivanti da una pluralità di fonti, che possano essere utili al Medico di Medicina generale nel suo lavoro quotidiano.
www.medicoepaziente.it
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NEWS dalla letteratura F. Mattioli, C. Ambrosi, R. Gasparotti et al.
La riabilitazione precoce nel paziente con afasia post-stroke si associa a una riattivazione funzionale del giro frontale inferiore sinistro: i risultati di uno studio pilota ❱❱❱ Stroke 2014; 45: 545-52 L’afasia è uno dei disturbi neuropsicologici che si presenta con maggiore frequenza nei soggetti colpiti da ictus. Il percorso neurologico riabilitativo nei pazienti afasici prevede interventi mirati a correggere i disturbi del linguaggio, e sembra che se intrapreso precocemente, a pochi giorni dall’episodio ictale, possa essere particolarmente utile e avere effetti duraturi. È quanto emerge da questo studio pilota, condotto da ricercatori degli Spedali Civili e dell’Università di Brescia, e dell’IRCCS Fondazione Stella Maris di Pisa. Obiettivo di questo studio longitudinale era indagare gli effetti della riabilitazione precoce e i correlati funzionali alla fMRI (Risonanza Magnetica funzionale). Sono stati presi in esame 12 pazienti con afasia lieve/ moderata (classificata come: Broca 8 pz., anomica 3
pz., Wernicke 1pz.), che sono stati assegnati random a ricevere terapia riabilitativa quotidiana per 2 settimane (con inizio in media 2,2 giorni dopo l’episodio ictale), o a non ricevere terapia riabilitativa. Durante l’esecuzione di compiti di comprensione uditiva sono stati registrati i dati della fMRI ed è stato somministrato l’Aachen Aphasia Test (AAT), in tre intervalli di tempo: in media 2,2 (T1), 16,2 (T2) e 190 (T3) giorni dopo lo stroke. I pazienti nei due gruppi erano sovrapponibili per età, educazione, gravità dell’afasia, volume delle lesioni cerebrali, attivazione fMRI basale. I soggetti che avevano ricevuto la riabilitazione mostravano un miglioramento significativo nei compiti relativi alla denominazione e al linguaggio scritto (P <0,05) rispetto a quelli che non l’avevano ricevuta, e questo è stato osservato sia a T2 che a T3. I dati fMRI al follow up rivelavano un aumento dell’attivazione corticale: al tempo T2 e T3 nei pazienti sottoposti a riabilitazione vi era una maggiore attivazione delle aree dell’emisfero sinistro, e a T2 un effetto tempo-trattamento nell’area di Broca inferiore sinistra. L’attivazione del giro frontale inferiore sinistro osservata in T2 correlava con un miglioramento nella denominazione. Gli Autori concludono che il trattamento precoce dell’afasia post-stroke si rivela utile, con effetti positivi che si mantengono nel tempo, e i correlati funzonali sarebbero legati a una riattivazione precoce di alcune aree cerebrali, in particolare il giro frontale inferiore sinistro, che persiste anche nella fase cronica.
F. Caputo, T. Vignoli, M. Bernardi et al.
L’importanza di caratterizzare il profilo individuale del paziente nell’approccio terapeutico della dipendenza da alcol ❱❱❱ European Neuropsychopharmacology 2014; 24 (2): 181-91 Approssimativamente circa il 10 per cento della popolazione mondiale soffre di disturbi legati all’uso di alcol. A oggi però, il trattamento della dipendenza da alcol (DA) costituisce una sfida per i clinici, anche perché i pazienti affetti da DA spesso presentano caratteristiche assai diverse, e inoltre la terapia farmacologica combinata molto spesso non sortisce gli effetti desiderati. Attualmente esistono tre farmaci, approvati dallo FDA statunitense (disulfiram, naltrexone e acamprosato) per il trattamento dell’alcoldipendenza, e in alcuni Paesi europei è anche disponibile il sodio oxibato. La review condotta da questo gruppo di ricercatori afferenti a diversi Centri italiani ha esaminato le diverse strategie terapeutiche della DA, partendo dal presupposto che non esiste un farmaco ideale ed efficace per tutti i pazienti. Recenti dati hanno messo in luce che questo obiettivo potrebbe essere raggiunto con l’aiuto della farmacogenetica, un approccio quest’ultimo solo da poco applicato nel trattamento delle dipendenze da sostanze, che permetterebbe di personalizzare la strategia di trattamento in funzione della variabilità individuale. Inoltre, anche molecole come il sodio oxibato potrebbero rappresentare un’opportunità di trattamento in quest’ottica. La riduzione del consumo di alcol viene considerata come un obiettivo terapeutico da perseguire, e l’impiego di nalmefene al bisogno potrebbe rivelarsi di aiuto in tal senso. Vagliando le diverse molecole oggi disponibili e le strategie di terapia, gli Autori fanno notare l’importanza di caratterizzare il profilo di ogni singolo paziente, prima di qualsiasi intervento terapeutico. Solo in questo modo infatti, si arriverebbe a una scelta razionale dell’opzione di trattamento in modo da ottenere risultati fruttuosi.
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clinica
Depressione nella Malattia di Parkinson Complessità diagnostica e terapeutica La depressione è un sintomo frequente fino al 40 per cento nei pazienti con malattia di Parkinson (MP), presente talora prima dell’inizio dei sintomi motori. Nonostante questo dato epidemiologico, la difficoltà diagnostica dovuta almeno in parte alla sovrapposizione dei sintomi affettivi con quelli motori e la scarsità di studi farmacologici controllati e su casistiche adeguate, condizionano un inadeguato trattamento con inevitabili ricadute sulla qualità di vita di questi pazienti
Ubaldo Bonuccelli, Roberto Ceravolo, Daniela Frosini UO Neurologia, Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale, Università di Pisa, Pisa
Diagnosi di depressione nella MP Il riconoscimento di sintomi depressivi in un paziente con MP è denso di difficoltà per il sovrapporsi dei sintomi depressivi con i sintomi motori e con gli altri sintomi non motori. Pertanto l’applicazione dei criteri diagnostici utilizzati nella popolazione generale è ritenuta inadeguata e si è resa necessaria la stesura di criteri diagnostici specifici. Disforia, pessimismo, ansia, sintomi somatici e anedonia sono i sintomi più comunemente riferiti in questa categoria di pazienti. Con le riserve di cui sopra, l’utilizzo dei criteri del DSM IV ha consentito di identificare nel 30 per cento dei pazienti depressione maggiore, nel 20 per cento distimia, nel 10 per cento depressione minore e nell’8 per cento depressione subsindromica (1). Sono definiti affetti da depressione subsindromica o sottosoglia i pazienti che presentino almeno due sintomi depressivi per almeno due settimane secondo i criteri di Judd del 2005. Questa categoria diagnostica che potrebbe sembrare ridondante, trova giustificazione nell’impatto che anche sintomi isolati possono avere sulla qualità di vita (2). I limiti di applicabilità dei criteri utilizzati nella popola-
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numero 1 · 2014 la neurologia italiana
zione generale hanno condotto comunque alla redazione di una proposta di criteri per la diagnosi di depressione in MP. I principali suggerimenti del gruppo di lavoro del NINDS/NIMH sono: utilizzare un criterio diagnostico inclusivo che cioè non tenga conto della causa del sintomo depressivo, ma del sintomo soltanto così da migliorare la sensibilità diagnostica, eliminando conseguentemente l’affermazione del DSM IV secondo la quale il disturbo depressivo non può essere dovuto all’effetto di una condizione medica generale, eliminare il criterio “perdita di interessi” dalla diagnosi di depressione minore e subsindromica e comunque, valutarlo attentamente anche nella diagnosi di depressione maggiore e distimia così da ridurre l’errore diagnostico con l’apatia e la demenza (3). Un’ulteriore difficoltà diagnostica, e ancor più nel monitoraggio dell’andamento dei sintomi depressivi e della loro risposta alla terapia, è rappresentata dalla fluttuazione di tali sintomi in rapporto alla terapia dopaminergica. Nei pazienti con fluttuazioni motorie non sono infatti infrequenti le fluttuazioni di sintomi non motori in particolare di ansia e depressione. Recentemente (4) in un gruppo di 100 pazienti con MP e fluttuazioni motorie è stata dimostrata la consensuale fluttuazione di molti sintomi non motori tra
tabella 1
Scale cliniche per la depressione applicate nella malattia di Parkinson secondo il suggerimento della Movement Disorders Society
Scala clinica
Cut-off suggerito nella MP
Hamilton Depression (HAM-D)
9-10
Beck Depression Inventory (BDI)
13-14
Geriatric Depression Scale 30 (GDS 30)
9-10
Geriatric Depression Scale 15 (GDS 15)
4-5
Montgomery-Asberg Depression Rating Scale (MADRS)
14-15
Fonte: (Schrag et al. Mov Disord 2007; 22: 1077-92)
cui ansia, depressione, fatica e dolore, indipendente anche dalla entità delle fluttuazioni motorie. Questo implica che inevitabilmente la gravità dei sintomi depressivi sarà influenzata dal momento della giornata in cui si effettua la valutazione e ancor più dalla tempistica rispetto all’assunzione della terapia dopaminergica. Di qui il suggerimento del gruppo di lavoro del NINDS/NIMH di effettuare le valutazioni longitudinali a orari sovrapponibili e comunque nella stessa fase motoria, preferibilmente in ON. L’insieme delle considerazioni e delle difficoltà descritte rende la diagnosi di depressione in corso di MP un’entità ancora fortemente sottodiagnosticata in almeno il 50 per cento dei pazienti con evidenti ricadute sull’impostazione di un adeguato trattamento.
Dati epidemiologici L’esatta epidemiologia della depressione in MP è difficilmente definibile vista l’estrema variabilità dei risultati nei diversi studi (5). Numerosi fattori contribuiscono alle differenze che si osservano: diversità dei criteri diagnostici, differenti setting di studio (centri di riferimento, studi di popolazione ecc.), differenti fasi di malattia indagate e differenti strumenti di screening utilizzati. Complessivamente comunque tutti gli studi concordano su una prevalenza più alta nella MP rispetto alla popolazione generale e anche rispetto ad altri pazienti affetti da differenti malattie croniche. Si ritiene che sia affetto da depressione circa il 35 per cento dei pazienti con MP; all’esordio di malattia, la depressione interessa circa il 15 per cento dei pazienti mentre nei soggetti con durata media di malattia di 5-7 anni vengono riportate prevalenze tra il 25 e il 68 per cento. L’incidenza di nuovi casi di depressione in corso di MP, più raramente indagata, viene stimata tra il 2,6 e il 13 per cento per anno. La relazione tra depressione e MP è ulteriormente rafforzata dall’evidenza che la presenza di depressione può aumentare il rischio di sviluppare in un tempo successivo la MP (6,7) confermando quindi che la depressione possa costituire un sintomo pre-motorio di MP e condividere con essa elementi patogenetici.
Scale cliniche di valutazione L’utilizzo delle comuni scale cliniche sia a scopo di screening che di monitoraggio della risposta alla terapia risulta controverso. Sono disponibili molte scale sia somministrabili dal personale medico (Hamilton Depression Rating Scale [HAM-D], Montgomery-Asberg Depression Rating Scale [MADRS], Unified Parkinson’s Disease Rating Scale [UPDRS] Depression item) sia autosomministrate (Beck Depression Inventory [BDI I-II], 30-item e 15-item Geriatric Depression Scale [GDS]). Nel 2007 un panel della Movement Disorder Society (8) ha rivisto l’appropriatezza di ognuna di queste scale suggerendo misure di sensibilità e specificità per ciascuna di esse nonché i valori di cut-off più adeguati da considerare nella popolazione con MP, ricordando come sia la BDI che la HAM-D siano state entrambe ampiamente validate nella popolazione con MP (Tabella 1). Più recentemente uno studio comparativo di molteplici scale (9) ha mostrato buone proprietà psicometriche, di sensibilità e specificità sia per la GDS 30 (≥10) che per la BDI II (≥7), ma a favore della prima sarebbe una maggiore rapidità di somministrazione.
Neurochimica e neuroimaging Numerose evidenze epidemiologiche suggeriscono che l’esordio della depressione possa precedere anche di anni la comparsa dei sintomi motori. Sebbene il substrato di tale sintomo non motorio non sia ancora chiaro, un deficit di noradrenalina e serotonina sono stati documentati nella MP e secondo il modello di Braak, la degenerazione del locus coeruleus e dei nuclei del rafe avviene precocemente nella MP, anche prima della degenerazione della sostanza nera. I dati provenienti dal neuroimaging funzionale suggeriscono ulteriormente il coinvolgimento di questi due sistemi neurotrasmettitoriali. Gli studi con traccianti selettivi per il trasportatore della dopamina (DAT) indicano l’esistenza di una correlazione tra il grado di denervazione dopaminergica e la presenza /gravità dei sintomi depressivi (10-13). La PET con 11C-RTI-32 che consente di visualizzare in vivo sia il trasportatore della dopamina che la neurologia italiana
numero 1 2014
9
clinica della noradrenalina ha permesso di dimostrare nei pazienti con MP e depressione rispetto ai pazienti non depressi una maggiore denervazione nel locus coeruleus nel talamo, nel cingolo anteriore, nell’amigdala e nello striato ventrale (14). Analogamente traccianti selettivi per il trasportatore della serotonina hanno mostrato un più alto grado di uptake di tracciante nel cingolo posteriore, nell’amigdala, nell’ippocampo, nella porzione caudale dei nuclei del rafe nei pazienti con depressione a indicare una riduzione del tono serotoninergico (15). Il coinvolgimento di strutture limbiche emerge anche dalle revisioni degli studi di neuroimaging strutturale che hanno documentato una perdita neuronale nella corteccia orbitofrontale, nel giro retto, nel giro frontale superiore (16), ma anche un’alterazione della sostanza bianca del cingolo anteriore a destra e della regione orbitofrontale (17). Queste stesse aree sono coinvolte, come dimostrato da numerose evidenze di Risonanza Magnetica, anche nella depressione idiopatica (18). Complessivamente i dati a disposizione consentono di
di criteri diagnostici e misure psicometriche spesso eterogenee. A fronte di questa scarsità di dati corrisponde nella pratica clinica uno scarso riconoscimento del disturbo e conseguentemente un non ottimale e talora assente trattamento. Secondo un recente studio su una popolazione di oltre 200 pazienti con MP, solo il 25 per cento di quelli con sintomi depressivi moderati o gravi ricevevano terapia antidepressiva, la terapia era rappresentata da inibitori del reuptake di serotonina (SSRI) nel 60 per cento, antidepressivi triciclici (TCA) nei rimanenti (19). Anche quando la depressione viene diagnosticata e il trattamento iniziato inoltre, molti pazienti, secondo alcuni studi fino al 50 per cento (20), continuano a essere depressi suggerendo quindi un trattamento inadeguato.
SSRI. Sono gli antidepressivi più comunemente utilizzati nella pratica clinica nella MP anche se le evidenze di una loro efficacia, analogamente a quanto documentato nella malattia di Alzheimer, sono estremamente deboli. Il confronto di efficacia antidepressiva tra un TCA come nortriptilina, paroxetina o FIGURA 1. PATOGENESI DELLA DEPRESSIONE NELLA MP placebo (21) ha dimostrato un miglioramento dei sintomi depressivi con nortriptilina mentre la paroxetina non produceva Alterazioni Alterazioni effetti clinici differenti dal placebo. Il beneurochimiche strutturali neficio mostrato della nortriptilina, sebbene associato a effetti collaterali, si legava a Deficit di serotonina, Corteccia del cingolo/ un effettivo miglioramento della qualità di dopamina, noradrenalina, orbitofrontale, amigdala, vita che persisteva anche nell’estensione acetilcolina sostanza bianca frontale in aperto a 16 settimane dello studio (22). Anche nel confronto tra desimipramina Depressione e citalopram, l’efficacia a breve termine nella malattia era dimostrata solo per il TCA benché a di Parkinson 30 giorni dall’inizio della terapia anche il citalopram si mostrasse superiore al placebo (23). Genetica? Alterazioni mitocondriali? Asse ipotalamo-ipofisario? Più recentemente (24), in un altro studio, Deficit di fattori di crescita? la paroxetina (dose media giornaliera di 40 mg) ha evidenziato un beneficio signiidentificare nella depressione associata a MP sia altera- ficativo (mediamente di 6,2 punti della HAM-D) nei pazioni strutturali e, soprattutto, neurochimiche che sugge- zienti in trattamento attivo rispetto al placebo al termine riscono la possibile utilità della terapia dopaminergica, delle 12 settimane di osservazione. serotoninergica e noradrenergica nel trattamento di questo sintomo (Figura 1). DOPAMINOAGONISTI. Il coinvolgimento del sistema dopaminergico emerge da evidenze neurochimiche e di Terapia della depressione nella MP neuroimmagine, e suggerisce che la terapia dopaminergica possa costituire un’opzione per il trattamento della dew Considerazioni generali pressione nella MP. Dopo una serie di evidenze da studi in Il maggior limite nella scelta di una adeguata terapia della aperto, nel 2010 (25) uno studio doppio cieco, controllato depressione nella MP è la scarsità di studi adeguatamente con placebo, ha dimostrato l’efficacia di pramipexolo al condotti, randomizzati e doppio cieco. Gran parte degli dosaggio di circa 2 mg/die nel migliorare i sintomi depresstudi sono stati condotti in aperto o su piccole casistiche sivi in un ampio campione di pazienti con MP indipendene l’interpretazione è resa difficoltosa anche dall’utilizzo temente dal miglioramento dei sintomi motori. L’entità di
10
numero 1 · 2014 la neurologia italiana
tabella 2 Autori anno
Leentjens 200333
Studi sull’utilizzo di SSRI nei pazienti con malattia di Parkinson e depressione (2003-2013) n. casi
6 6
Fregni 200434
21
Serrano Duenas 200235
37
21
40
Avila 200336
7
Antonini 200637
12
Barone 200638
33
9
11
34
Disegno
Durata
Farmaco
Doppio cieco
10 settimane
Doppio cieco
8 settimane
Randomizzato
12 mesi
Randomizzato
12 settimane
Doppio cieco
3 mesi
Doppio cieco
12 settimane
Menza 200921
15
Fluoxetina TMS
Amitriptilina Fluoxetina Nefazodone Sertralina Amitriptilina Pramipexolo Sertralina
Doppio cieco
4 settimane
Citalopram
17
Desimipramina
17
Placebo
18
Doppio cieco
8 settimane
HAM-D /BDI HAM-D
Paroxetina
HAM-D
HAM-D
12 settimane
34
Paroxetina
-9 -11 -9§/-8§ -10§/-8§ Inefficace Efficace
-12§ -11§ -10§ -9§ -9
MADRS
-14* -20* -4
HAM-D
-6 -11*
Placebo Doppio cieco
Risultati (decremento punteggio scala)
Ugualmente efficaci§
BDI
Nortriptilina
39 42
MADRS
Placebo
17 Richard 201224
Placebo
Fluoxetina
16 Devos 200823
Sertralina
Scala usata
-6,8 HAM-D
Venlafaxina ER
-13* -11*
Note: * differenza significativa rispetto al placebo; § differenza significativa rispetto al basale
questo miglioramento era modesta e la stessa entità dei sintomi trattati lieve, per cui questo risultato importante sul piano euristico ha una limitata applicabilità clinica. Le evidenze per il ropinirolo sono meno robuste perché valutate solo in studi in aperto (26), ma suggeriscono comunque una sua efficacia; analogamente la rotigotina (27) ha mostrato un’efficacia nel migliorare gli item “Mood/ apathy” della scala per i sintomi non motori, indicando che in generale i dopaminoagonisti migliorano i sintomi depressivi. A suggerire un effetto psicotropo antidepressivo di questi farmaci vi è l’osservazione che una loro brusca sospensione produce una vera sindrome da privazione caratterizzata da ansia, depressione, attacchi di panico, agorafobia e fatica (28).
ALTRE TERAPIE FARMACOLOGICHE. L’efficacia di atomoxetina, un inibitore selettivo della ricaptazione noradrenergica, è stata valutata positivamente in un piccolo studio in aperto, ma nel successivo studio controllato con placebo tale efficacia non è stata confermata (29). Tale studio non dimostra sembra pertanto un’efficacia antidepressiva della modulazione isolata del sistema noradrenergico anche se un’analisi post-hoc modificando il cut-off di efficacia, mostrava un più alto tasso di responders fra i pazienti trattati con atomoxetina. La terapia con inibitori combinati della captazione serotoninergica e noradrenergica (SNRI) è stata indagata in pochi studi: recentemente il trattamento di venlafaxina ER ha mostrato un miglioramento significativo del punteggio la neurologia italiana
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clinica della HAM-D (4,2 punti) nei pazienti trattati rispetto al placebo (24). L’utilizzo degli inibitori combinati sembra pertanto offrire nella MP un prospettiva terapeutica adeguata come confermato anche da uno studio in aperto sulla sicurezza ed efficacia di duloxetina 60 mg, in un gruppo di 150 pazienti parkinsoniani con diagnosi di depressione maggiore. Sebbene manchi il confronto con il placebo i pazienti hanno mostrato una buona tollerabilità nei confronti di duloxetina (drop-out rate 8,6 per cento), la mancanza di effetti negativi sui sintomi motori della MP, e un significativo miglioramento delle scale di valutazione della depressione (HAM-D, BDI) e della qualità di vita (30). TERAPIA NON FARMACOLOGICA. Psicoterapia: l’approccio rappresentato dalla terapia cognitivo-comportamentale potrebbe costituire un’alternativa terapeutica nella depressione in corso di MP, ma le evidenze sono ancora scarse. Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS): la TMS è una metodica non invasiva che è risultata efficace nella depressione idiopatica. Nella depressione associata a MP dati isolati mostrano una certa efficacia sia al termine di un ciclo di 10 giorni di stimolazione della corteccia frontale dorso-laterale sinistra che a 30 giorni dal termine della stessa (31). Il limite maggiore di questa terapia è la mancanza di dati sulla persistenza della sua efficacia nel
tempo. Più recentemente la stimolazione dell’area supplementare motoria non ha dimostrato efficacia antidepressiva (32).
Conclusioni Complessivamente dalla revisione degli studi randomizzati o doppio cieco (Tabella 2) sull’utilizzo degli SSRI nella depressione associata a MP si osserva un’efficacia modesta di questo gruppo di farmaci che si caratterizzano peraltro per un buon profilo di tollerabilità e per l’assenza di significativi effetti collaterali di tipo motorio. Questo aspetto costituisce probabilmente l’elemento che più contribuisce a rendere gli SSRI i farmaci maggiormente impiegati anche a dispetto di scarse prove di efficacia. Evidenze recenti suggeriscono una possibile utilità dei farmaci dopaminoagonisti e probabilmente, vista la complessità neurochimica alla base della depressione nella MP, un approccio terapeutico efficace sarà rappresentato dall’utilizzo di inibitori combinati del reuptake di serotonina e noradrenalina. Nonostante i dati epidemiologici indichino un’elevata frequenza di questo disturbo, le evidenze attuali non sono ancora sufficienti per fornire delle raccomandazioni di trattamento, e sono necessari pertanto nuovi studi con campioni più numerosi che valutino efficacia e sicurezza delle varie classi di antidepressivi.
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Diagnosi
Epilessia ed emicrania
Terminologia, aspetti clinici comuni e divergenze La cefalea/emicrania di origine epilettica dovrebbe essere sempre sospettata in pazienti che non rispondono a un trattamento con farmaci antiemicranici sintomatici, al fine di eseguire prontamente una registrazione EEG e formulare di conseguenza una corretta diagnosi
Vincenzo Belcastro1, Pasquale Striano2, Pasquale Parisi3 1. UO Neurologia, Azienda Ospedale Sant’Anna di Como; 2. UO Neurologia Pediatrica e Malattie Muscolari, DINOGMI-Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia, Genetica e Scienze Materno-Infantili, Istituto G. Gaslini, Università di Genova; 3. Neurologia Pediatrica, Dipartimento NESMOS, Università Sapienza di Roma, Ospedale S. Andrea, Roma
E
micrania ed epilessia sono entrambe disordini neurologici cronici, con attacchi episodici, che presentano sintomi specifici che permettono di distinguerle una dall’altra (1). L’emicrania è caratterizzata da attacchi ricorrenti di dolore cefalico e sintomi associati. L’epilessia è caratterizzata da attacchi ricorrenti di sintomi neurologici che spesso progrediscono con l’alterazione dello stato di coscienza e convulsioni. Sintomi come l’aura, le modificazioni dell’umore e del comportamento, i sintomi sensitivi e motori possono presentarsi in entrambe le condizioni. Emicrania ed epilessia spesso si presentano in comorbidità, tuttavia l’esistenza di un reale link fisiopatologico ed epidemiologico tra le due condizioni è ancora oggetto di discussione. La cefalea, sia tensiva sia con caratte-
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ristiche emicraniche, può rappresentare un sintomo di accompagnamento o isolato nella fase pre-ictale, peri-ictale e post-ictale di una crisi epilettica. In rari casi, la cefalea può essere l’unica manifestazione clinica di una crisi epilettica in pazienti con epilessia sia sintomatica sia idiopatica.
Aspetti clinici comuni Gli attacchi di emicrania e di epilessia sono simili nella sequenza in 4 fasi. 1) Fase prodromica. Precede di ore o giorni l’esordio della cefalea nel 60 per cento dei pazienti con emicrania senza aura (ESA) e con emicrania con aura (ECA), e può essere caratterizzata da un’alterazione dello stato mentale (depressione, iperattività, euforia, irritabilità, agitazione), da un’alterazio-
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ne dello stato neurologico (fotofobia, fonofobia, necessità di sbadigliare), da un’alterazione dello stato generale (desiderio di cibo, anoressia, diarrea, stipsi, torcicollo). Sintomi premonitori simili sono stati riportati da pazienti epilettici prima dell’esordio della crisi. 2) Fase dell’aura. L’aura emicranica si presenta con sintomi neurologici focali con esordio graduale da 5 a 20 minuti, che precedono l’inizio della cefalea. Generalmente nell’emicrania l’aura è di maggior durata (superiore a 5 minuti) rispetto all’aura dell’epilessia, tuttavia sono possibili allucinazioni visive di durata inferiore a 5 minuti nell’emicrania e aure visive prolungate come nell’epilessia post-traumatica. L’aura epilettica è di solito breve (secondi), si sviluppa rapidamente e può associarsi a sintomi insoliti come sensazione di paura e déjà-vu. Illusioni o allucinazioni visive possono presentarsi in entrambi i disturbi. Durante una crisi epilettica, i segni neurologici focali possono variare in base all’area cerebrale coinvolta dalla scarica critica. Nell’emicrania l’aura può essere visiva o sensitiva (ipoestesie o parestesie), afasica o motoria (nella emicrania emiplegica familiare), e i sintomi neurologici possono succedersi in progressione; di solito prece-
dono la cefalea, tuttavia possono essere contemporanee alla cefalea o non essere seguite da cefalea. I sintomi visivi dell’emicrania variano da disturbi visivi minori, come fosfeni o scotomi, fino ad aure complesse caratterizzate da teicopsia (aura scintillante), micropsia, macropsia. Nell’epilessia, invece, le aure visive normalmente consistono in punti o figure geometriche circolari luminose (Tabella 1), variamente colorate (2). Gli automatismi sono frequenti nelle crisi parziali complesse e insolite nell’emicrania, come pure i sintomi olfattivi. Tuttavia non è sempre facile distinguere le due condizioni; la sindrome ”Alice nel paese delle meraviglie”, caratterizzata da un’alterazione della visione della forma (metamorfopsia) con micropsia e macropsia e da un’alterata percezione del passare del tempo, è stata descritta sia nell’epilessia (con focus epilettico parietooccipito-temporale) che nell’emicrania (3-5). Tra i sintomi visivi positivi, le allucinazioni elementari semplici sono frequenti sia nell’ECA sia nelle epilessie occipitali (10-47 per cento), mentre gli “spettri di fortificazione” (teicopsie) sono tipici dell’emicrania. Le allucinazioni visive complesse relative alla percezione corporea o alla forma, distanza e posizione degli oggetti nel campo visivo sono più frequenti nell’epilessia. I sintomi visivi negativi (cecità, emianopsia e offuscamento del visus) sono, invece, più frequenti nell’emicrania. L’aura sensitiva emicranica consiste in parestesie cheiro-orali con la migrazione dell’intorpidimento dalla mano fino all’avambraccio e alla faccia; solitamente questo avviene contemporaneamente all’aura visiva. La progressione dei sintomi richiede da 5 fino a 60 minuti, contrariamente all’epilessia in cui le parestesie possono durare da secondi fino a pochi minuti. Disturbi motori focali (paresi transitoria) possono essere sia una manifestazione critica sia postcritica (paralisi di Todd) oppure caratterizzano l’aura motoria dell’emicrania emiplegica (1). 3) Cefalea e fase critica. La cefalea è il sintomo predominante nell’emicrania;
tabella 1
Elementi di diagnosi differenziale tra crisi occipitali ed emicrania con aura Crisi occipitali
Emicrania con aura
Allucinazioni visive Durata
2-3 minuti
30-60 minuti
Anche pluriquotidiane
Più rara
Pattern visivo
Immagini colorate di forma circolare
Più spesso immagini acromatiche o in bianco e nero di forma lineare
Movimento dell’immagine
Si muovono al lato opposto del campo visivo
Si espandono dal centro verso la periferia dell’emicampo visivo
Seguite da una deviazione tonica degli occhi
È possibile
Mai
Seguite da alterazione di coscienza con o senza convulsioni
È possibile
Rara o eccezionale
Seguite da cefalea
Frequente
Costituisce la regola
Cecità ed emianopsia senza che sia preceduta o seguita da altri sintomi
Frequente
Mai
Raro
Frequente
Frequenza
Vomito post-critico
altri sintomi che si possono associare comprendono difficoltà di memoria e concentrazione, torcicollo, irritabilità, anoressia, capogiri, diarrea e poliuria. Nell’epilessia, la cefalea non è un sintomo frequente e di solito compare nella fase post-critica. La cefalea postcritica si osserva frequentemente nelle epilessie occipitali, ma può presentarsi anche nelle epilessie generalizzate; può avere le caratteristiche della cefalea tensiva, ma anche dell’emicrania. Circa il 50 per cento dei pazienti con epilessia presenta cefalea post-critica (6-7). La cefalea può comparire più raramente in fase pre-critica oppure rappresentare l’unica manifestazione clinica di una crisi epilettica. In rari casi l’emicrania con aura può scatenare una crisi epilettica (migralepsy). Tuttavia la migralepsy è stata osservata raramente rispetto a quanto atteso considerando l’alta comorbidità tra emicrania ed epilessia (8). Infatti in una serie di 412
pazienti con epilessia, le crisi favorite dall’emicrania rappresentavano solo l’1,7 per cento dei casi (3). 4) Risoluzione. In questa fase, nel paziente emicranico, il dolore s’interrompe e possono essere presenti cambiamenti dell’umore (euforia o depressione) e astenia. Nel paziente con epilessia, la fase post-critica è spesso caratterizzata da sonnolenza e disforia.
Comorbidità tra epilessia ed emicrania Per comorbidità s’intende la presenza di una condizione coesistente aggiuntiva in un paziente con una particolare malattia oppure l’associazione non casuale di due disordini (9). Non sono considerate secondo tale definizione, le condizioni o sindromi che tipicamente si presentano sia con crisi epilettiche sia con cefalea emicranica, come le malformazioni artero-venose, i traumi
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Diagnosi cranici severi, la sindrome MELAS o la sindrome di Sturge-Weber. La relazione di comorbidità tra emicrania ed epilessia non è completamente chiarita e può essere spiegata secondo quattro teorie (10): 1) la comorbidità può originare come coincidenza o come bias di selezione; 2) una condizione può causare l’altra; 3) entrambe le condizioni possono essere collegate da fattori di rischio ambientali o genetici comuni; 4) gli stessi fattori di rischio ambientali o genetici possono determinare uno stato di diseccitabilità cerebrale che produce entrambi i disordini (11). La prima ipotesi prevede una relazione casuale tra emicrania ed epilessia che sembra tuttavia improbabile considerando che alcune sindromi epilettiche come le epilessie parziali benigne sono osservate più frequentemente in comorbidità (12). Se l’associazione dei due disordini fosse puramente casuale, la prevalenza attesa di epilessia sarebbe dell’1 per cento negli emicranici e la prevalenza di emicrania sarebbe del 12 per cento negli epilettici (1), mentre la letteratura riporta dati di prevalenza significativamente maggiori rispetto a quanto atteso sulla base di un’associazione casuale (13). Diversi studi epidemiologici indicano un’associazione tra emicrania ed epilessia con un’aumentata prevalenza di emicrania nei pazienti con epilessia e viceversa. Infatti, la prevalenza di epilessia in pazienti con emicrania varia dall’1 al 17 per cento, con una media di 5,9 per cento; questa percentuale supera largamente quella della popolazione generale che è approssimativamente 0,5-1 per cento (14). La prevalenza complessiva di emicrania nei bambini con epilessia varia dall’8 al 15 per cento; con valori anche maggiori nei bambini con punte centro-temporali all’EEG (63 per cento) e nell’epilessia con assenze (33 per cento) (14-15). La seconda ipotesi potrebbe suggerire una relazione causale unidirezionale. Ad esempio nel caso in cui l’emicrania potrebbe causare un’ischemia cerebrale o un danno cerebrale e di conseguen-
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za l’epilessia, oppure nel caso della migralepsy in cui l’aura emicranica può scatenare una crisi epilettica (16). Più frequentemente una crisi epilettica scatena una cefalea post-critica, spesso con caratteristiche emicraniche; in questo caso è stato ipotizzato che l’epilessia potrebbe scatenare l’emicrania mediante l’attivazione del sistema trigemino-vascolare o attraverso meccanismi tronco-encefalici (16). Tuttavia l’ipotesi unidirezionale non è stata confermata nello studio di Marks e Ehrenberg (17) poiché nella maggior parte dei pazienti con emicrania ed epilessia gli attacchi erano completamente indipendenti. Una terza ipotesi prevede che fattori di rischio ambientali comuni, come ad esempio un trauma cranico, possano causare sia l’emicrania sia l’epilessia. Infatti, è stato riscontrato un aumentato rischio di emicrania nelle persone con epilessia causata da trauma cranico. Tuttavia la presenza di fattori ambientali comuni non spiegherebbe l’aumentato rischio di emicrania nei pazienti con epilessia idiopatica. L’ipotesi genetica (quarta ipotesi) è stata testata da Ottman e Lipton (18), che avevano ipotizzato una maggiore incidenza di emicrania nelle famiglie con forme genetiche di epilessia rispetto a quelle con forme non genetiche, e che i parenti di pazienti con emicrania ed epilessia avessero un’incidenza aumentata di epilessia rispetto ai parenti di pazienti affetti solo da epilessia. Questa ipotesi tuttavia non è stata confermata nel loro studio (18).
I dati epidemiologici Una stretta associazione è emersa tra ECA ed epilessia. In uno studio condotto su 134 bambini e adolescenti cefalalgici, vi era un’alta prevalenza di ECA (30,4 per cento) rispetto agli altri tipi di cefalea primaria nei bambini con crisi epilettiche (19). Un altro studio di popolazione caso-controllo ha documentato che il rischio di crisi epilettiche era aumentato nei bambini con ECA e non nei casi con ESA (20). Quest’associazione è stata confermata
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anche da Leniger e colleghi (21). Recentemente Kelly e colleghi (22), con uno studio cross-sectional condotto su 400 pazienti, hanno indagato la frequenza di emicrania in una popolazione di bambini con epilessia. Gli Autori riportavano una frequenza del 25 per cento di emicrania nei bambini con epilessia. Da questo studio emergevano alcuni dati interessanti: 1) la comorbidità epilessia-emicrania era più frequente nei bambini con epilessia rolandica e con epilessia mioclonica giovanile; 2) l’esordio dell’emicrania avveniva dopo la diagnosi di epilessia; 3) solo il 50 per cento dei pazienti aveva discusso il sintomo emicrania con il medico di riferimento.
La Classificazione ICHD e la terminologia La recente Classificazione Internazionale delle Cefalee ICHD-III (23) distingue tre entità: i) l’epilessia indotta dall’emicrania con aura (codice 1.4.4); ii) l’emicrania epilettica (codice 7.6.1); iii) la cefalea post-convulsiva (codice 7.6.2) (Tabella 2). w Epilessia indotta dall’emicrania con aura (codice ICHD-III 1.4.4) Il termine migralepsy è stato utilizzato per la prima volta nel 1960 per definire una condizione di “emicrania oftalmica con associati nausea e vomito alla quale seguivano sintomi caratteristici dell’epilessia” (24). Tuttavia, tale termine fu accantonato per molti anni. Dopo la prima descrizione, ulteriori 19 casi sono stati riportati in letteratura e per tale motivo il termine migralepsy venne reintrodotto nel 1993 da Marks e Ehrenberg (24). Tuttavia il termine migralepsy inteso come sequenza temporale di un attacco di emicrania con aura che sfocia in una crisi epilettica tonico-clonica è stato ampiamente criticato da molti Autori, e i casi codificati come migralepsy sono stati interpretati successivamente come crisi epilettiche del lobo occipitale (2,3,8). Inoltre, a oggi, non è disponibile in letteratura
una chiara documentazione EEG dei casi riportati come migralepsy dove sia dimostrata una scarica critica all’EEG di scalpo in pazienti che hanno esordito con un’emicrania con aura e che hanno poi sviluppato una crisi epilettica tonico-clonica (25-26). Nonostante lo scetticismo dimostrato da vari Autori a riguardo, la migralepsy è stata inserita come entità nella precedente classificazione ICHD-II del 2004 (27) come complicanza dell’emicrania mentre nell’ultima classificazione ICHD-III del 2013 è stata codificata come “epilessia indotta dall’emicrania con aura” (codice 1.4.4) omettendo però il termine migralepsy. Secondo i nuovi criteri ICHD-III, ”epilessia indotta dall’emicrania con aura” è definita come una crisi epilettica che si presenta entro un’ora da un attacco di emicrania con aura in assenza di altre cause (Tabella 2). Nonostante l’epilessia e l’emicrania siano tra le malattie neurologiche più comuni, tale evento è molto raro. Infatti, Sances e colleghi hanno recentemente dimostrato che di 50 casi di migralepsy riportati in letteratura, solo 2 pazienti soddisfacevano i criteri ICHDII (8). w Emicrania epilettica (codice ICHD-III 7.6.1) Questa condizione, sebbene molto rara, è stata inserita nella Classificazione ICHD-II e confermata nella nuova classificazione ICHD-III: a) cefalea della durata di secondi-minuti, con caratteristiche emicraniche e che soddisfi i criteri C e D per emicrania; b) il paziente presenta una crisi epilettica parziale; c) la cefalea si sviluppa in sincronia con la crisi ed è omolaterale alla scarica ictale; d) la cefalea si risolve immediatamente dopo la convulsione. La diagnosi è basata sulla contemporanea presenza della cefalea e della attività parossistica ictale all’EEG. w Cefalea post-ictale (codice ICHD-III 7.6.2) La cefalea con caratteristiche emicraniche è un’evenienza che si presenta in
Classificazione ICHD-III della cefalea correlata tabella 2 alle crisi epilettiche e criteri proposti per la cefalea ictale di origine epilettica (ictal epileptic headache) Migraine-triggered seizure (codice ICHD-III. 1.4.4) Criteri diagnostici: A. Emicrania con aura secondo i criteri 1.2. per emicrania con aura. B. Una crisi epilettica che si verifica durante o entro 1 ora dopo l’emicrania con aura. Emicrania epilettica (codice ICHD-III 7.6.1) Criteri diagnostici: A. Cefalea della durata di secondi-minuti con i criteri dell’emicrania C e D. B. Il paziente ha una crisi epilettica focale. C. La cefalea è sincrona con la crisi epilettica ed è ipsilaterale alla scarica critica all’EEG. D. La cefalea si risolve immediatamente dopo la crisi. Cefalea post-ictale (codice ICHD-III 7.6.2) Criteri diagnostici: A. Cefalea con caratteristiche tensive o emicraniche. B. Il paziente aveva avuto una crisi epilettica focale o generalizzata. C. La cefalea inizia entro tre ore dopo una crisi. D. La cefalea si risolve entro 72 ore dopo una crisi. Criteri proposti per la ictal epileptic headache A. Cefalea con caratteristiche tensive o emicraniche con durata da secondi fino a giorni. B. Cefalea ipsilaterale o controlaterale alla scarica critica all’EEG. C. Evidenza di una scarica epilettica all’EEG. D. Cefalea che si risolve immediatamente dopo somministrazione ev di farmaci antiepilettici.
circa il 50 per cento dei pazienti dopo una crisi epilettica convulsiva. Questo sintomo tuttavia è frequentemente misconosciuto poiché l’attenzione clinica è spesso rivolta esclusivamente alla manifestazione della crisi epilettica. Secondo i criteri ICHD-III la cefalea post-ictale è definita come: 1) cefalea con le caratteristiche della tensiva o emicraniche che soddisfi i criteri C e D; 2) il paziente ha presentato una crisi epilettica parziale o generalizzata; 3) la cefalea si sviluppa entro 3 ore dalla crisi convulsiva; 4) la cefalea si risolve entro 72 ore dalla crisi convulsiva. La cefalea post-ictale, sebbene sia stata spesso associata all’epilessia sintomatica, è un’evenienza di frequente riscontro nelle epilessie idiopatiche occipitali del bambino.
La cefalea come unico sintomo di una crisi epilettica (ictal epileptic headache) In letteratura, la cefalea come unica manifestazione ictale di una crisi epilettica è stata raramente riportata e, nei pochi casi descritti, la cefalea con caratteristiche prevalentemente emicraniche rappresentava l’unica espressione clinica di uno stato di male epilettico non convulsivo (28-29). Il termine ictal epileptic headache è stato quindi introdotto per definire una crisi epilettica che si presenta solo con cefalea (30-32). Tale tipo di crisi può essere associata a quadri EEG ictali differenti: 1) attività rapida di alto voltaggio, associata a onde aguzze, ad andamento reclutante con origine dalle regioni temporo-occi-
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Diagnosi pitali; 2) attività theta di alto voltaggio a maggiore espressione sulle regioni posteriori; 3) punta-onda bilaterale e continua (28-29). Per quanto riguarda l’eziologia, la ictal epileptic headache può presentarsi sia in pazienti con forme idiopatiche sia con forme sintomatiche di epilessia e può coesistere nello stesso paziente con altri tipi di crisi epilettiche. In tutti i casi descritti, la cefalea/emicrania si risolveva rapidamente soltanto dopo l’infusione endovenosa di farmaci antiepilettici (FAE). La ictal epileptic headache è stata descritta sia in casi pediatrici sia nella popolazione adulta e recentemente sono stati proposti dal nostro gruppo i criteri diagnostici (32): 1) cefalea (emicrania o tensiva) di durata variabile da secondi a giorni, 2) ipsilaterale o controlaterale alla scarica epilettica registrata all’EEG di scalpo, 3) la cefalea si risolve dopo la somministrazione endovenosa di FAE (Tabella 2). Recentemente è stato ipotizzato un possibile meccanismo per spiegare come la cefalea/emicrania possa essere l’unica manifestazione clinica di una crisi epilettica (31). Secondo tale ipotesi, una scarica epilettica subclinica potrebbe attivare il sistema trigeminovascolare determinando un attacco di
cefalea/emicrania senza altri segni/sintomi associati a una possibile attivazione corticale della scarica epilettica. In tal senso, i networks (a livello corticale e sottocorticale) autonomici hanno una più bassa soglia epilettogena di attivazione rispetto ai networks che possono sottendere una crisi epilettica a semiologia motoria e/o sensoriale. È stato dimostrato che la soglia di attivazione per la cortical spreading depression (CSD) è inferiore rispetto a quella necessaria per una scarica epilettica. Pertanto, la scarica epilettica potrebbe attivare la CSD e questa, a sua volta, attivare i networks sottocorticali autonomici e il sistema trigemino-vascolare (30-31). Questa evenienza sarebbe prevalentemente unidirezionale poichè la CSD raramente attiverebbe un focus epilettogeno corticale. a teoria spiegherebbe il perché, in ambito clinico, è molto più frequente osservare un paziente epilettico che presenta una cefalea peri-ictale rispetto a un paziente emicranico che presenta crisi epilettiche.
Conclusioni In età pediatrica epilessia ed emicrania si presentano in comorbidità con
un’elevata frequenza, con percentuali fino al 25 per cento dei casi. L’associazione è più evidente in bambini con sindromi elettrocliniche specifiche come l’epilessia con punte centro-temporali, l’epilessia mioclonica giovanile e le epilessie occipitali idiopatiche (33). I dati nella popolazione generale non hanno dimostrato una chiara comorbilità per emicrania ed epilessia; tuttavia i dati sulla comorbidità in età pediatrica sono differenti rispetto all’adulto (33-35). La ictal epileptic headache, sebbene rara, rappresenta un evento epilettico puro (tipo di crisi) e può essere (potenzialmente) presente in differenti sindromi epilettiche (34). La migralepsy, in accordo ai dati della letteratura, sembra essere una sequenza temporale ECA-crisi epilettica e potrebbe quindi essere interpretata come una crisi sintomatica acuta (36). Tuttavia tale evento è molto raro e molti Autori ne mettono in dubbio l’esistenza (3,8,26). La cefalea/emicrania di origine epilettica dovrebbe essere sempre sospettata in pazienti che non rispondono a un trattamento con farmaci antiemicranici sintomatici, al fine di eseguire prontamente una registrazione EEG e formulare quindi una corretta diagnosi (37).
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Patologie rare
OMOCISTINURIA Inquadramento clinico e indicazioni di terapia L’omocistinuria comprende un gruppo di patologie rare, autosomiche recessive, dovute ad alterato metabolismo degli aminoacidi solforati e associate all’accumulo di omocisteina nel sangue e nelle urine. La forma ereditaria più comune è rappresentata dal deficit congenito di cistationina beta-sintetasi (omocistinuria classica)
Alessandro Burlina U.O.C. di Neurologia, Ospedale San Bassiano, Bassano del Grappa (VI)
V
i sono varie condizioni cliniche associate a un aumento dei livelli di omocisteina (Tabella 1). In condizioni di normalità le concentrazioni plasmatiche di omocisteina totale (tHcy) sono <15 µmol/l. Tuttavia molti esperti nel campo delle malattie metaboliche ereditarie concordano che la soglia di tHcy al di sopra della quale un difetto genetico del metabolismo dell’omocisteina dovrebbe essere indagato e quindi una specifica terapia instaurata è intorno a 50 µmol/l. I valori di tHcy vanno comunque interpretati nell’ambito del contesto clinico, considerando variabili quali l’età (in genere più bassi fino a 15 anni, più elevati nelle donne in menopausa), il regime dietetico (più elevati nei soggetti in dieta vegetariana; incremento della tHcy 6-8 ore dopo un pasto altamente proteico), eventuali condizioni patologi-
Abbreviazioni CBS (cistationina beta-sintetasi); Hcy (omocisteina); MTHFR (metilenetetraidrofolato reduttasi); tHcy (omocisteina totale plasmatica), Vit. B2 (vitamina B2, riboflavina), Vit. B6 (vitamina B6, piridossina), Vit. B9 (vitamina B9, acido folico), Vit. B12 (vitamina B12, cobalamina)
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che diverse dalle malattie metaboliche ereditarie (la tHcy aumenta nei pazienti con insufficienza renale moderata/ severa), la presenza di terapie in atto (la tHcy aumenta nei pazienti in trattamento con L-dopa, fenitoina), e da ultimo un’adeguata gestione del campione di sangue prelevato. In questo articolo si tratterà dell’omocistinuria classica e del deficit severo di MTHFR, con specifico riferimento ai pazienti adulti affetti da tali patologie.
OMOCISTINURIA CLASSICA L’omocistinuria classica veniva descritta per la prima volta contemporaneamente, poco più di 50 anni fa, da due medici in Irlanda del Nord e negli Stati Uniti d’America. Due anni dopo, nel marzo 1964, veniva pubblicato l’articolo che dimostrava il deficit enzimatico di cistationina beta-sintetasi in un bambino con omocistinuria. L’omocistinuria classica è una malattia metabolica ereditaria, a trasmissione autosomica recessiva, la cui incidenza varia da 1:65.000 (Irlanda del Nord) a 1:344.000 (resto del mondo). Il gene per la CBS è localizzato sul cromosoma 21 (21q22.3) e gli studi molecolari hanno riportato più di 150 mutazioni, la maggior parte di queste sono mutazioni private.
Biochimica e fisiopatologia
L’omocisteina è un aminoacido solforato prodotto durante
il metabolismo della metionina (amiL’omocisteina e i maggiori disulfidi correlati tabella 1 noacido essenziale). Il metabolismo in presenti nel plasma umano tracellulare della Hcy è controllato da due vie metaboliche: transulfurazione Abbreviazione Terminologia a cisteina e rimetilazione a metionina. Hcy Omocisteina fHcy La maggior parte della Hcy è catabolizHcy-Hcy Omocistina (disulfide) fHcy zata, mediante una reazione dipendente dalla Vit. B6, a cistationina. L’enzima Hcy-Cys disulfide misto Omocisteina-cisteina disulfide misto fHcy cistationina beta-sintetasi catalizza il bHcy Albumina-omocisteina disulfide misto primo passaggio della transulfurazione Hcy = omocisteina ed è l’enzima deficitario nell’omocistibHcy = omocisteina legata a proteine nuria classica. La seconda via metabofHcy = omocisteina libera, non legata a proteine lica che coinvolge la Hcy è costituita tHcy = omocisteina totale; tHcy = bHcy + fHcy dalla rimetilazione della Hcy a metionina grazie alla metionina sintetasi, enzima che richiede sia direttamente che indirettamente (convertendosi in Smetiltetraidrofolato e Vit. B12 come cofattori (Figura 1). adenosilomocisteina, potente inibitore delle reazioni di L’omocisteina, accumulandosi, diventa un agente tossico, metilazione). Sebbene non sia stato ancora completamenFIGURA 1. VIA METABOLICA DEL METABOLISMO DEGLI AMINOACIDI SOLFORATI
Vit. B9
Serina Tetraidrofolato
Vit. B6
Metionina
Glicina S-Adenosilmetionina 5,10 Metilene tetraidrofolato
Vit. B12
MS
Reazioni di metilazione
Betaina
S-Adenosilomocisteina
MTHFR Vit. B2
5-Metil
Omocisteina
tetraidrofolato
Serina
CBS
Cistationina Omoserina
CTH
Vit. B6 Vit. B6
Cisteina In blu sono rappresentati gli enzimi e in rosso le vitamine coinvolte come cofattore enzimatico. Vitamina B9: acido folico; vitamina B6: piridossina; vitamina B12: cobalamina; vitamina B2: riboflavina. MS: Metionina sintetasi; MTHFR: Metilene tetraidrofolato reduttasi; CBS: Cistationina beta-sintetasi; CTH: Cistationina gamma-liasi; SO: Solfito ossidasi
Sulfito SO
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Patologie rare
FIGURA 2. ALGORITMO DIAGNOSTICO SEMPLIFICATO PER GIUNGERE ALLA DIAGNOSI DI OMOCISTINURIA CLASSICA E DEFICIT SEVERO DI MTHFR (OMOCISTINURIA TIPO II) IN UN PAZIENTE ADULTO
Sospetto clinico
Iperomocisteinemia
Acido metilmalonico urinario
aumentato
normale Metionina plasmatica normale o ridotta Metionina plasmatica elevata
Difetti di cobalamina
Omocistinuria classica Deficit di MTHFR, polimorfismo genetico C677T (eterozigote od omozigote)
Deficit severo di MTHFR
Vit. B6-dipendente
Vit. B6-indipendente
Dopo aver misurato i livelli plasmatici totali di omocisteina (tHcy) il secondo punto importante risulta la misurazione dell'acido metilmalonico urinario (mediante la determinazione degli acidi organici urinari) e successivamente la misurazione della metionina plasmatica (mediante determinazione degli aminoacidi plasmatici). Tra i difetti genetici di cobalamina va ricordato il deficit di cobalamina C, il più frequente negli adulti, caratterizzato da elevati livelli di omocisteinemia e metilmalonico aciduria.
te chiarito il meccanismo determinante nella genesi della tossicità indotta da Hcy, evidenze sperimentali hanno dimostrato un danno diretto sull’endotelio vasale e un’azione sulla proliferazione delle cellule della tonaca muscolare liscia, anche mediante un effetto diretto sul collagene. Infine, studi sperimentali hanno dimostrato un’aumentata vulnerabilità dei neuroni ippocampali di ratto all’insulto eccitotossico e allo stress ossidativo.
Diagnosi
Le indagini biochimiche per giungere alla diagnosi, qua-
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lora vi sia un fondato sospetto clinico, sono le seguenti (Figura 2): 1) dosaggio della tHcy, 2) dosaggio degli acidi organici urinari per la ricerca dell’acido metilmalonico urinario, 3) in assenza di un aumento patologico di acido metilmalonico procedere con il dosaggio della metionina, mediante dosaggio degli aminoacidi plasmatici, 4) la presenza di una metionina plasmatica elevata è indicativa di un’omocistinuria classica. Va segnalato che spesso nell’omocistinuria classica le
tabella 2
Manifestazioni cliniche dell’omocistinuria
Sistemiche
Neurologiche
Oculari: miopia severa, ectopia lentis, (iridodonesi), glaucoma, cataratta, distacco di retina, degenerazione retinica
Ritardo psicomotorio
Scheletriche: dolicostenomelia (habitus marfanoide), pectus carenatum o excavatum, genu valgum, pes cavus, scoliosi, osteoporosi, fratture vertebrali Vascolari: tromboembolismo venoso e arterioso, embolia polmonare, dissezione delle arterie coronarie, prolasso mitralico Cutaneo-connettivali: ulcere, striae distensae
Disturbi psichiatrici Epilessia Infarti cerebrali (inclusi ictus da dissezione delle arterie carotidi o vertebrali) Disturbi extrapiramidali: distonia, corea, tremore, bradicinesia, discinesie oromandibolari, disartria, disfonia spasmodica, scialorrea
Le principali manifestazioni cliniche dell’omocistinuria classica coinvolgono l’occhio, il sistema scheletrico, l’albero circolatorio, il sistema nervoso. I segni e i sintomi clinici descritti nella tabella, non indicati in ordine di frequenza, rispecchiano quanto riportato dalla letteratura scientifica come pure testimoniato dall’esperienza clinica dell’Autore
concentrazioni di tHcy possono essere molto elevate (fino a 500 µmol/l), mentre ad esempio nella variante termolabile MTHFR (il polimorfismo C677T) la tHcy in genere non supera 30-40 µmol/l, ma si tratta di valori indicativi che non debbono essere considerati discriminanti al punto da indurci a una diagnosi “affrettata”, senza aver proceduto metodologicamente come indicato nell’algoritmo diagnostico. La diagnosi biochimica andrà quindi confermata con il test enzimatico su colture di fibroblasti e con studi molecolari per individuare la mutazione causativa. Solo alcune mutazioni sono state riportate come rilevanti dal punto di vista epidemiologico. Tra queste vanno segnalate la mutazione c.833T>C (p.I278T), particolarmente frequente in Danimarca, e le mutazioni P422L, S466L riscontrate in pazienti con interessamento cerebrovascolare, ma senza segni clinici d’interessamento scheletrico-connettivale. Non sono invece state ancora identificate chiare correlazioni tra mutazioni e severità di malattia.
Manifestazioni cliniche
Nella Tabella 2 sono riportate le principali manifestazioni cliniche riscontrate nei pazienti affetti da omocistinuria classica. La presentazione clinica può essere varia, con i segni e i sintomi cardine della malattia che possono presentarsi fin dall’infanzia, ma anche più tardivamente con diversi gradi di severità. Manifestazioni oculari Come spesso avviene nel campo delle malattie metaboliche ereditarie l’occhio è coinvolto precocemente e in modo importante. La dislocazione del cristallino (Figura 3) è spesso preannunciata dal riconoscimento dell’iridodonesi. Raramente si manifesta prima dei 3 anni ed è generalmente presente all’età di 10 anni.
È spesso preceduta da un rapido peggioramento della miopia. Manifestazioni scheletriche Le manifestazioni scheletriche sono spesso presenti, con un abito morfologico caratteristico (longitipo con aracnodattilia), ma la personale esperienza clinica mi permette di affermare che una bassa statura non deve necessariamente escludere la diagnosi di omocistinuria classica. La comparsa di fratture vertebrali in un soggetto di giovane età, apparentemente sano, deve porre il sospetto di malattia. Manifestazioni vascolari Le manifestazioni vascolari possono essere a carico di vari distretti, come indicato in Tabella 2, e rappresentano un importante elemento d’indirizzo diagnostico e per la gestione clinica. Manifestazioni neurologiche Gli infarti cerebrali possono presentarsi in qualsiasi territorio vascolare e possono essere anche conseguenza di dissezione dei vasi carotidei o vertebrali; le dissezioni possono essere unilaterali, bilaterali o multiple. I disturbi extrapiramidali, e in particolare le distonie, sono di difficile trattamento. Per i pochi pazienti con deficit di CBS, descritti in letteratura, la risposta ai farmaci comunemente usati nelle distonie si è dimostrata scarsa e con durata variabile nel tempo. Gli anticolinergici, in particolare il triesifenidile, e il clonazepam hanno dimostrato una qualche efficacia nei pazienti adulti.
Terapia
Lo scopo principale della terapia è ridurre gli alti livelli di tHcy. Ciò permette di prevenire ulteriori eventi tromboembolici anche se i livelli di Hcy rimangono al di sopra di quelli normali. La terapia dietetica, con limitato apporto di metionina è la neurologia italiana
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Patologie rare
FIGURA 3. DISLOCAZIONE DEL CRISTALLINO La sublussazione del cristallino occorre frequentemente (oltre il 90% dei casi) nei pazienti affetti da omocistinuria classica. In genere la dislocazione avviene verso il basso, mentre nella sindrome di Marfan avviene verso l’alto
Fonte: Burlina A, Burlina AP. Eye Disorders. In: Hoffmann GF, Zschocke J, Nyhan WL (eds.). Inherited metabolic diseases: a clinical approach. Springer-Verlag, Berlin Heidelberg 2010 (per gentile concessione di Springer-Verlag)
indicata per i pazienti con omocistinuria “B6-non dipendente”. La dieta si basa sull’utilizzo di alimenti a basso contenuto proteico con l’aggiunta di miscele di aminoacidi sintetici prive di metionina. Vitamina B6. Nell’omocistinuria classica la terapia con Vit. B6 rappresenta un elemento chiave anche per distinguere le due forme cliniche principali: quella “B6-dipendente” e quella “B6-non dipendente”. Nei pazienti adulti con forma “B6-dipendente” il dosaggio può variare tra 200 e 1.200 mg/die per os e, un’adeguata aderenza terapeutica, assicura un risultato clinico ottimale. Nei pazienti adulti con forma “B6-non dipendente” un dosaggio che varia tra 50 e 500 mg/die per os può essere aggiunto alle restanti terapie. La Vit. B6 dovrebbe sempre essere associata all’acido folinico (vedi di seguito). Il dosaggio della Vit. B6 dovrebbe essere mantenuto, a ogni modo, ai livelli più bassi possibili (a causa di possibili danni sul sistema nervoso, quali neuropatie periferiche), ma tali da permettere un adeguato controllo metabolico. La terapia per il deficit di CBS deve mirare a tre obiettivi principali: 1) incrementare l’attività enzimatica residua con la somministrazione di Vit. B6 (nelle forme non responsive ciò avviene somministrando piridossina tra 50 e 100 mg/die); 2) ridurre l’aggravio sulle vie metaboliche interessate con limitazione di metionina e, secondo alcuni Autori, con una supplementazione di cisteina; 3) incrementare la rimetilazione a metionina con
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folati, Vit. B12 e betaina per ridurre l’accumulo di tHcy. Vitamina B12. La Vit. B12 è il cofattore dell’enzima metionina sintetasi (Figura 1). La sua forma naturale, l’idrossicobalamina, è più efficace della forma sintetica, la cianocobalamina. Nel deficit di CBS il dosaggio orale d’idrossicobalamina consigliato varia da 1 mg/die a 1 mg alla settimana, in accordo con i livelli sierici di vitamina B12. Folati (Vitamina B9). La Vit. B9 è disponibile in tre differenti forme: acido folico (forma sintetica usata negli alimenti), acido folinico o 5-formil-tetraidrofolato (la più stabile forma ridotta della vitamina attiva) e il 5-metiltetraidrofolato (la principale forma naturale della vitamina). L’acido folinico risulta essere il più appropriato tra i folati da somministrare nel deficit di CBS perché è la forma più stabile allo stato ridotto. Il dosaggio consigliato è tra 1 e 5 mg/die per os. Va ricordato che per ottenere una risposta alla piridossina è necessario che non vi sia in atto una carenza di folati; ne consegue che per testare la risposta alla Vit. B6 è prima necessario aver testato ed eventualmente corretto un’eventuale carenza di folati. Betaina. La betaina è un derivato della colina ed è il substrato per l’enzima betaina-omocisteina metiltransferasi che agisce come donatore di gruppi metile (Figura 1: l’enzima non è rappresentato nella via metabolica). La betaina (Cystadane®) somministrata oralmente, riduce i livelli di tHcy. Non vi è ancora un consenso unanime sulla posologia per i pazienti adulti. Anche se la RCP del farmaco riporta un dosaggio pari a 6 g/die, i dati della letteratura e l’esperienza clinica personale orientano su dosaggi tra 5 e 20 g/die, in due o tre somministrazioni. La terapia con betaina causa incremento dei livelli di metionina (Figura 1), al di sopra dei già elevati livelli presenti nei pazienti non trattati. In letteratura vi sono dati contrastanti sul possibile danno indotto da concentrazioni troppo elevate di metionina. È consigliabile monitorare periodicamente i livelli plasmatici di metionina.
IL DEFICIT SEVERO DI MTHFR (HOMOCYSTINURIA TYPE II) Il deficit di MTHFR è il più frequente tra i deficit che interessano il metabolismo dei folati. La trasmissione è autosomica recessiva e vi sono oltre 50 mutazioni riportate a tutt’oggi. Le manifestazioni cliniche possono presentarsi a qualsiasi età. Nell’età adulta prevalgono i sintomi psichiatrici (allucinazioni, depressione atipica, psicosi, catatonia) e neurologici (ritardo psicomotorio, paraparesi spastica, degenerazione combinata del midollo spinale, insulti cerebrovascolari arteriosi e venosi, epilessia, mioclonie, atassia, neuropatia periferica demielinizzante). Il quadro neurologico può evolvere rapidamente e in modo fatale, o in modo cronico-progressivo. La diagnosi si avvale dei dati biochimici (in questo caso
il dato saliente, come evidenziato in Figura 2, è rappresentato da una metionina plasmatica normale o ridotta) e della RMN cerebrale che può mostrare un quadro di leucoencefalopatia associata ad atrofia cerebrale. La diagnosi va quindi confermata mediante analisi genetica. La betaina costituisce il trattamento di scelta, associato a vitamina B6, idrossicobalamina e folati. I dosaggi sono
i medesimi riportati sopra per l’omocistinuria classica, a eccezione dei folati. In questo caso sarebbe consigliato un dosaggio più elevato di acido folinico (5-30 mg/die) o alternativamente di 5-metiltetraidrofolato, dato che il deficit si caratterizza per un’inadeguata sintesi di 5-metiltetraidrofolato. Anche per questo difetto genetico viene proposta una dieta a basso contenuto di metionina.
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NEWS farmaci Epilessia focale farmacoresistente
Le potenzialità di eslicarbazepina acetato in regime add-on
L’
eslicarbazepina acetato (ESL) è un nuovo farmaco antiepilettico, approvato dall’EMA nel 2009 come terapia aggiuntiva negli adulti con epilessia focale, in monosomministrazione giornaliera. I meccanismi d’azione dell’ESL non sono noti con esattezza. Tuttavia studi elettrofisiologici in vitro indicano che ESL e i suoi metaboliti stabilizzano lo stato inattivato dei canali del sodio voltaggio-dipendenti, impedendone il ritorno allo stato attivato e quindi mantenendo il firing neuronale ripetitivo. I dati relativi al profilo di efficacia e sicurezza della ESL sono stati riportati in una recente pubblicazione su Epilepsia (Gil-Nagel A et al. Efficacy and safety of eslicarbazepine acetate as add-on treatment in patients with focal-onset seizures: integrated analysis of pooled data from double-blind phase III clinical studies. Epilepsia 2013; 54: 98-107). In tale articolo gli Autori effettuano un’analisi combinata retrospettiva di dati provenienti da tre studi di fase III, multicentrici, randomizza-
ti, in doppio cieco e controllati con placebo, sull’efficacia e sicurezza della ESL in add-on in pazienti adulti con epilessia focale farmacoresistente. Nei tre studi, secondo protocollo, l’ESL è stata titolata in due settimane, in aggiunta a 1-3 antiepilettici, al dosaggio di 400, 800 e 1.200 mg in monosomministrazione giornaliera, per 12 settimane. Sono stati esaminati i dati di 1.049 pazienti, uomini e donne di età ≥18 anni, con crisi focali farmacoresistenti, con o senza generalizzazione secondaria, da almeno 12 mesi e con un intervallo libero da crisi non > 21 giorni nelle 8 settimane dal baseline. L’ESL si è dimostrata più efficace, rispetto al placebo, ai dosaggi di 800 mg e 1.200 mg (p <0,0001) con una riduzione relativa media nella frequenza delle crisi rispettivamente del 35 e 39 per cento (placebo 15 per cento) e un tasso di risposta del 36 e 44 per cento (placebo 22 per cento). L’efficacia dell’ESL è risultata indipendente da variabili quali sesso, durata dell’epilessia, età al momento del-
la diagnosi, tipo di crisi, e numero e tipo di farmaci antiepilettici in add-on. Dall’analisi emerge che l’ESL presenta un buon profilo di sicurezza con eventi avversi lievi/moderati e una percentuale di sospensioni legata al trattamento simile a quella riportata per altri antiepilettici. L’incidenza degli eventi avversi è dose dipendente, per cui la maggior parte delle reazioni avverse si è verificata nella prima settimana di terapia e al dosaggio di 1.200 mg. Gli eventi avversi più comuni (> 10 per cento dei pazienti) sono stati capogiri, sonnolenza e cefalea, con una incidenza simile tra i vari gruppi di studio e i corrispondenti gruppi del placebo. Dal punto di vista farmacocinetico sono state documentate lievi interazioni con i farmaci in add-on e comunque tali da non richiedere aggiustamenti posologici. In conclusione, l’analisi combinata dei tre studi conferma che ESL al dosaggio di 800 mg/die è efficace, maneggevole e ben tollerata nel trattamento in add-on dell’epiles-
Sindrome delle gambe senza riposo
Dagli oppioidi un’opportunità di cura per i pazienti “difficili”
N
on esistono a oggi cure risolutive per la Sindrome delle gambe senza riposo, ma solo farmaci in grado di attenuarne i sintomi; 4 pazienti su 10 tuttavia, non rispondono ai trattamenti di prima linea, mentre altri devono sospenderli a causa degli effetti collaterali. Un significativo progresso in tal senso è rappresentato dall’associazione fissa ossicodone/ naloxone per i soggetti con sintomatologia severa, resistenti alle terapie standard. In uno studio recentemente pubblicato su Lancet Neurology è emersa l’efficacia dell’associazione nel ridurre i sintomi iniziali di oltre il 50 per cento già dopo 12 settimane di terapia. Inoltre, il 67 per cento dei pazienti trattati con ossicodone/naloxone dichiarava un miglioramento significativo nella qualità della vita e del sonno, mentre un 42 per cento era ormai asintomatico o con sintomi clinicamente non rilevanti. La combinazione fissa di ossicodone/naloxone ha mantenuto l’efficacia anche a distanza di un anno, senza indurre augmentation, evidenziando un buon profilo di tollerabilità e senza casi di dipendenza da oppioidi.
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farmaci NEWS sia focale farmacoresistente negli adulti. L’efficacia dell’ESL in pazienti già in trattamento con altri bloccanti dei canali sodio (carbamazepina, lamotrigina) lascia ipotizzare per tale molecola un più ampio profilo farmacodinamico. Eslicarbazepina acetato (Zebinix®, Eisai) sarà disponibile in Italia dal
L
mese di aprile 2014, completamente rimborsata dal SSN nelle indicazioni approvate. Antonio Gambardella, professore associato di Neurologia Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro
Emicrania restrizioni d’uso per metisergide
o scorso 21 febbraio l’Ema ha emesso un comunicato in cui raccomanda la restrizione d’uso di metisergide a causa di un aumento del rischio di fibrosi associato al farmaco. Secondo l’Agenzia europea, il medicinale dovrebbe essere usato solo per la prevenzione dell’emicrania severa e della cefalea a grappolo nei pazienti non responsivi alle terapie standard. Quando iniziato, il trattamento deve essere supervisionato da uno specialista con esperienza nella terapia dell’emicrania e della cefalea a grappolo, e i pazienti dovrebbero essere sottoposti a screening per la fibrosi all’inizio del trattamento e ogni sei mesi. Lo screening iniziale dovrebbe includere ecografia cardiaca, risonanza magnetica addominale e test di funzionalità respiratoria. Al follow up di 6 mesi, dovrebbe essere rivalutato il profilo di beneficio/rischio individuale. La terapia va sospesa nel caso in cui il paziente manifesti sintomi di fibrosi. Queste restrizioni derivano da una revisione condotta dal Chmp dell’Ema che ha evidenziato un aumentato rischio di fibrosi dei tessuti correlato all’uso di metisergide e altri farmaci ergot derivati. Per quanto riguarda il profilo di efficacia, la revisione ha confermato i benefici di metisergide nella prevenzione dell’emicrania e della cefalea a grappolo nei soggetti per i quali le opzioni di trattamento sono limitate.
Premio
Importante riconoscimento europeo per Orphan Europe
L’
azienda del Gruppo Recordati Orphan Europe ha ricevuto il prestigioso premio EURORDIS (Organizzazione Europea per le Malattie Rare) per essersi distinta nel campo delle malattie rare, contribuendo in maniera significativa nello sviluppo di farmaci orfani. Il premio è stato conferito durante la cerimonia EURORDIS tenutasi a Bruxelles il 25 febbraio scorso, che rientra nelle iniziative dedicate alla Giornata delle malattie rare (28 febbraio). Orphan Europe ottiene il riconoscimento per il lavoro realizzato nella creazione di reti scientifiche, l’impegno con le organizzazioni di malati e per il programma di volontariato del suo staff. Recentemente Orphan Europe ha costituito la Fondazione Recordati Rare Diseases per migliorare la conoscenza delle malattie rare attraverso l’istruzione e l’addestramento professionale e indipendente. I premi EURORDIS sono assegnati ad aziende pioniere nello sviluppo di terapie per le malattie rare. I vincitori sono scelti sulla base del numero di cure approvate o in corso di sviluppo, la politica aziendale di accesso ai farmaci, i risultati ottenuti con le organizzazioni di malati e la collaborazione con EURORDIS.
Sclerosi multipla
L’UE approva il trattamento orale con dimetil fumarato
I
pazienti europei affetti da sclerosi multipla relapsingremitting (SMRR) hanno a disposizione una nuova opzione di terapia orale. Dopo la già avvenuta approvazione negli Stati Uniti, ora il dimetil fumarato (Tecfidera®, Biogen Idec) è stato approvato anche dalla Commissione europea (CE) come trattamento orale per i pazienti con sclerosi multipla recidivante-remittente, la forma di sclerosi multipla più comune. L’approvazione in Europa si basa su un solido programma di sviluppo clinico che include due trial globali di Fase 3, il DEFINE e il CONFIRM, e uno studio di estensione tuttora in corso, l’ENDORSE, in cui alcuni pazienti vengono seguiti per un periodo di oltre sei anni. È stato clinicamente dimostrato che il dimetil fumarato riduce in modo significativo i parametri di attività di malattia, tra cui le recidive e lo sviluppo di lesioni cerebrali, rallenta la progressione di disabilità, dimostrando nel contempo un profilo favorevole di tollerabilità e sicurezza. Gli eventi avversi più comuni associati al dimetil fumarato sono stati flushing ed eventi gastrointestinali (diarrea, nausea, dolore addominale, dolore addominale superiore), che però hanno condotto solo in pochi casi a un’interruzione del trattamento. Nei pazienti in trattamento non si sono verificate infezioni opportunistiche e non si è registrato un aumento del rischio di gravi infezioni.
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NEWS dalle associazioni ricerca
AISM
La Fondazione Michael J. Fox sostiene un progetto dell’Università di Salerno L’istituzione statunitense fondata dall’attore Michael J. Fox ha finanziato un progetto di ricerca, proposto dalla dottoressa Maria Teresa Pellecchia, del Centro per le malattie neurodegenerative, dell’Unversità di Salerno, diretto dal prof. Paolo Barone. La ricerca mira a identificare nuovi marcatori sierici e di imaging per il declino cognitivo nella malattia di Parkinson (MP), sia in pazienti in fase precoce di malattia sia in quelli a rischio di sviluppare la MP. L’ateneo salernitano è l’unico centro italiano a far parte del progetto internazionale Ppmi (Parkinson’s Progression Markers Initiative) che coinvolge venticinque gruppi di ricerca nel mondo, tutti impegnati nell’identificazione di possibili biomarcatori nella MP.
Registrazione del Tribunale di Milano n. 781 del 12/10/2005 - Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura.
Una gardenia per aiutare la ricerca sulla sclerosi multipla Anche quest’anno l’Associazione italiana sclerosi multipla (AISM) ha promosso l’iniziativa di raccolta fondi a favore della ricerca, in occasione della Festa della donna. L’8 e il 9 marzo scorso in oltre 3mila piazze italiane, sotto lo slogan “Don(n)a la gardenia di AISM”, più di 10mila volontari hanno reso possibile l’iniziativa di solidarietà che ormai è diventata una tradizione, e ha permesso finora il finanziamento di numerosi progetti di ricerca. Abbinata alla “gardenia” è anche la donazione solidale di 2 euro via SMS al numero 45509 (fino al 16 marzo).
EURORDIS-UNIAMO
Settima Giornata delle malattie rare “Unirsi per un’assistenza migliore” è lo slogan ufficiale scelto quest’anno per celebrare la settima edizione della Giornata mondiale delle malattie rare, che si è celebrata, come da tradizione, lo scorso 28 febbraio. Il tema dunque scelto è quello dell’assistenza a 360 gradi: consulenza medica e specialistica, terapia fisica, farmaci, prodotti e dispositivi, diagnostica, servizi sociali e del sollievo per i familiari, sono solo alcuni esempi delle necessità assistenziali dei pazienti affetti da malattie rare e dei loro familiari. Diverse sono state le iniziative promosse nel nostro Paese. Segnaliamo per esempio la mostra “FotografRARE: tra il dire e il fare” che ha toccato Milano, Roma e Modena. È un’esposizione interattiva, realizzata grazie al contributo di diversi artisti, fotografi e fumettisti che hanno donato le loro opere. A chiusura della mostra, una parte delle opere esposte sarà messa all’asta, e il ricavato andrà a finanziare i progetti MIR-Onlus (Movimento italiano malati rari) dedicati alle malattie rare.
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