Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con
Malattie rare
Il paziente con atassia cerebellare sporadica geneticamente determinata Indicazioni per un possibile percorso diagnostico
> Michelangelo Mancuso
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malattia di parkinson
Terapia con levodopa Uno studio in pazienti de novo in Africa Cilia, Albert Akpalu, Fred Stephen Sarfo, Momodou Cham, > Roberto Marianna Amboni, Emanuele Cereda, Margherita Fabbri, Patrick Adjei,
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John Akassi, Alba Bonetti, Gianni Pezzoli
terapia
Profilassi dell’emicrania con potenziatori metabolici Il ruolo del coenzima Q10
> Piero Barbanti, Serena Piroso
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Contiene inserto redazionale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - € 3,00
Anno XI - n. 1 - 2015
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SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico
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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012
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DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
MP
Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con
CLINICA
Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico
>s Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
TERAPIA
Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci
>s Domenico D’Amico
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Anno XI - n. 1 - 2015
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Anno XI - n. 1 - 2015
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Periodico della M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Tel./Fax 024390952 info@medicoepaziente.it Direttore Responsabile Antonio Scarfoglio direttore commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it abbonamenti Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 redazione Anastasia Zahova
Sommario 6
Malattie rare
Il paziente con atassia cerebellare sporadica geneticamente determinata Indicazioni per un possibile percorso diagnostico
Michelangelo Mancuso
14 terapia
Profilassi dell’emicrania con potenziatori metabolici Il ruolo del coenzima Q10
segreteria di redazione Concetta Accarrino
Hanno collaborato a questo numero:
17 speciale
Patrick Adjei, John Akassi, Albert Akpalu, Marianna Amboni, Piero Barbanti, Alba Bonetti, Momodou Cham, Emanuele Cereda, Roberto Cilia, Giovanni De Maria, Margherita Fabbri, Michelangelo Mancuso, Stefano Meletti, Francesca Morgante, Cesare Peccarisi, Gianni Pezzoli, Serena Piroso, Fred Stephen Sarfo, Alberto Verrotti
progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Stampa Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) Comitato scientifico Giuliano Avanzini, Milano Giorgio Bernardi, Roma Vincenzo Bonavita, Napoli Giancarlo Comi, Milano Ferdinando Cornelio, Milano Fabrizio De Falco, Napoli Paolo Livrea, Bari Mario Manfredi, Roma Corrado Messina, Messina Leandro Provinciali, Ancona Aldo Quattrone, Catanzaro Nicola Rizzuto, Verona Vito Toso, Vicenza
Comitato di redazione Giuliano Avanzini, Milano Alfredo Berardelli, Roma Giovanni Luigi Mancardi, Genova Roberto Sterzi, Milano Gioacchino Tedeschi, Napoli Giuseppe Vita, Messina
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Piero Barbanti, Serena Piroso
epilessia
A cura di Giovanni De Maria, Stefano Meletti, Alberto Verrotti
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21 malattia di parkinson
Inutile tardare l’inizio della levodopa Uno studio in pazienti de novo in Africa
Roberto Cilia, Albert Akpalu, Fred Stephen Sarfo, Momodou Cham, Marianna Amboni, Emanuele Cereda, Margherita Fabbri, Patrick Adjei, John Akassi, Alba Bonetti, Gianni Pezzoli
27 terapia
Malattia di Parkinson Strategie per migliorare l’assorbimento gastrointestinale di levodopa
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Francesca Morgante
rubrich e
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news dalla letteratura news farmaci news dalle associazioni la neurologia italiana
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NEWS dalla letteratura A. Montuschi, B. Iazzolino, A. Chiò et al.
A.E. Vaudano, A. Ruggieri, S. Meletti et al.
Caratterizzazione del declino cognitivo e comportamentale nella SLA: uno studio di popolazione piemontese
Analisi del sistema visivo in pazienti affetti da una forma di epilessia riflessa caratterizzata da fotosensibilità
❱❱❱ Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry 2015; 86: 168-73
❱❱❱ Annals of Neurology 2014; 76 (3): 412-27
Il riscontro di un deterioramento cognitivocomportamentale nei pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) ha condotto a ipotizzare che ci fosse un legame tra le due patologie, rappresentando un continuum dello stesso processo neurodegenerativo. Lo studio qui presentato è stato condotto da ricercatori dell’Università di Torino, per analizzare i correlati cognitivi in una serie di pazienti con SLA, residenti in Piemonte. I pazienti stati sottoposti a valutazione neuropsicologica e lo status cognitivo è stato classificato come: normale, demenza frontotemporale (SLA-FTD), compromissione cognitiva nelle funzioni esecutive (SLA-ECI), compromissione cognitiva non esecutiva (SLA-NECI), compromissione comportamentale (SLABi), compromissione cognitiva non classificabile. Nello studio sono stati anche inclusi 127 soggetti controllo, appaiati per età e sesso che sono stati selezionati dai registri dei MMG. I pazienti con SLA analizzati sono stati 207, di questi sono stati esclusi 19 a causa di condizioni pregresse che avevano un impatto a livello cognitivo. Dei restanti 188 soggetti SLA, 91 (49,7 per cento) erano “normali”, 23 (12,6) SLA-FTD, 36 (19,7) SLA-ECI, 10 (5,5) SLA-NECI, 11 (6,0) SLA-Bi, 11 (6,0) sono risultati non classificabili e 1 era affetto da malattia di Alzheimer. I soggetti con SLA-FTD erano più anziani, avevano un livello di istruzione più basso e una sopravvivenza minore rispetto a tutti gli altri gruppi. Andando a vedere la relazione tra genotipo e compromissione cognitiva, dei 9 casi con mutazione C9ORF72, 6 avevano FTD, 2 ECI e uno era normale. Uno dei pazienti con mutazione SOD1 e uno dei 5 pazienti con mutazione TARBDP erano SLA-Bi. Circa il 50 per cento dei malati di SLA presenta un diverso grado di compromissione cognitiva. I risultati sono in linea, come sottolineano gli Autori, con quanto riscontrato in un lavoro sulla popolazione irlandese, nonostante le diversità genetiche tra le due popolazioni. Il basso livello di istruzione tra i pazienti con FTD suggerisce un possibile ruolo della riserva cognitiva nelle condizioni SLA-relate che deteriorano lo status cognitivo. Le forme ECI e NECI potrebbero rappresentare sindromi separate nel continuum SLA-FTD.
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L’epilessia con mioclonie palpebrali e assenze (EMA), o Sindrome di Jeavons è una forma rara di epilessia riflessa idiopatica generalizzata caratterizzata da fotosensibilità. La chiusura dell’occhio in presenza di luce fissa è il principale fattore scatenante la crisi. Questo lavoro condotto da ricercatori afferenti a diversi Centri (Modena, Parma, Verona, Milano, Roma) è focalizzato sullo studio del sistema visivo. L’obiettivo era analizzare i correlati cerebrali strutturali e funzionali delle crisi in questa particolare sindrome. Sono stati coinvolti 15 pazienti EMA, 14 con epilessia idiopatica generalizzata (IGE) non sensibile alla chisura dell’occhio e 16 controlli sani. Tutti sono stati sottoposti a EEG; i dati EEG sono stati correlati con immagini di risonanza magnetica funzionale (fMRI) e morfometria cerebrale basata sui voxel (VBM). Sono stati annotati i seguenti eventi all’EEG e sono state ottenute le rispettive mappe fMRI: tempo di chiusura dell’occhio, sbattimento spontaneo delle palpebre, chiusura spontanea dell’occhio con scariche di punta-onda. Successivamente è stato eseguito il confronto dei dati ottenuti nei diversi gruppi. Rispetto ai soggetti sani e a quelli con IGE, nei pazienti EMA è stato osservato un segnale dipendente da un più elevato livello di ossigenazione del sangue, correlato alla chiusura dell’occhio a livello della corteccia visiva, della parte posteriore del talamo, e del network coinvolto nel controllo motorio della chiusura dell’occhio, delle saccadi e del movimento lento d’inseguimento, come anche un aumento di concentrazione della sostanza grigia a livello della corteccia visiva e del pulvinar, mentre si osservavano decrementi a livello dei campi oculari frontali. Tali osservazioni evidenziano un’alterazione nelle proprietà anatomiche e funzionali del sistema visivo nei pazienti con EMA. Tali anomalie sono a carico del circuito che comprende la corteccia occipitale e i sistemi corticali e subcorticali, fisiologicamente coinvolti nel controllo motorio della chiusura dell’occhio e dei movimenti oculari. Questo lavoro supporta il fatto che l’EMA rappresenti una condizione con caratteristiche peculiari, e come tale dovrebbe essere classificata tra le sindromi epilettiche.
NEWS F. Agosta, D. Dalla Libera, R. Furlan et al.
Le microvescicole di origine mieloide nel fluido cerebrospinale: un nuovo fattore prognostico e diagnostico per l’Alzheimer ❱❱❱ Annals of Neurology 2014; 76 (6): 813-25 Le microvescicole di origine mieloide nel fluido cerebrospinale (CSF) si associano con un danno alla mielina e perdita neuronale sia nel Mild cognitive impairment (MCI) che nell’Alzheimer (MA), e pertanto si candidano a diventare un nuovo fattore per la diagnosi e la prognosi. A queste conclusioni è arrivato un gruppo di ricerca, dell’Irccs San Raffaele di Milano. Lo studio ha coinvolto 106 pazienti MA, 51 pazienti MCI e 29 controlli. Sono stati analizzati sia il contenuto delle microvescicole che i marker per la MA. Un
sottogruppo di pazienti con MA (34) e con MCI (21) è stato sottoposto a MRI con tensore di diffusione. Rispetto al gruppo controllo, nel CSF dei soggetti MA sono stati osservati livelli più elevati di microvescicole, come anche nei pazienti MCI che nei successivi 3 anni sviluppavano la malattia conclamata. Un aumento seppure di entità minore è stato osservato anche nei soggetti MCI che non evolvevano verso la MA. Le microvescicole inoltre correlavano con i livelli di proteina Tau nel CSF, ma non con quelli di A ß1-42. I dati di MRI hanno evidenziato un’associazione tra i livelli di microvescicole e danno della materia bianca nei pazienti con MCI, e atrofia dell’ippocampo nei pazienti MA. I ricercatori sottolineano come le microvescicole siano neurotossiche e mielinotossiche in presenza di A ß1-42. Inoltre, vi è una correlazione tra microvescicole e danno delle connessioni cerebrali strutturali. Il dato potrebbe sostenere il ruolo attivo della microglia nel processo di diffusione delle alterazioni patologiche della MA. Le microvescicole e l’MRI avanzato potrebbero contribuire alla diagnosi precoce e alla definizione di fattori predittivi nelle persone affette da malattia di Alzheimer.
A. Santamato, M.F. Micello, M. Ranieri et al.
Nei pazienti reduci da ictus con spasticità dell’arto superiore, l’iniezione sotto guida ecografica della tossina botulinica A si rivela più efficace in termini di miglioramento funzionale rispetto alla tecnica “manuale” ❱❱❱ Journal of the Neurological Sciences 2014; 347 (1-2): 39-43 La tossina botulinica di tipo A rappresenta il trattamento di prima linea nei pazienti reduci da stroke che presentano spasticità focale. L’accuratezza nella somministrazione della tossina sui muscoli target potrebbe però influire sull’outcome clinico del trattamento. Ecco perché è stato realizzato questo studio da ricercatori afferenti a diverse strutture universitarie (Foggia, Bari, Lecce, Novara, Padova), che ha voluto confrontare la tecnica di posizionamento manuale dell’ago a livello dei muscoli dell’arto superiore con il posizionamento sotto guida ecografica, rispetto ad outcome quali, riduzione della spasticità e miglioramento della posizione delle dita a riposo. La spasticità a carico dell’arto superiore è una delle sequele più frequenti dell’ictus e compromette, come ben noto, lo svolgimento anche delle più semplici attività quotidiane. I pazienti reduci da un episodio ictale sono stati randomizzati in due gruppi, da 15 soggetti ciascuno. In entrambi i gruppi, i pazienti sono stati trattati con tossina botulinica A a livello dei muscoli flessori delle dita e del polso, dell’arto affetto, ma in un gruppo l’iniezione è stata eseguita sotto guida ecografica mentre nell’altro il posizionamento dell’ago è stato manuale. Per valutare gli effetti della terapia nei due gruppi in termini di miglioramento funzionale, al basale e a un mese dall’iniezione sono state usate la Modified Ashworth Scale e la posizione delle dita a riposo. A un mese dal trattamento, si è osservato un miglioramento significativo in termini di spasticità in tutti i pazienti, anche se quelli trattati per via ecografica hanno mostrato una migliore performance. In conclusione, gli Autori del lavoro sottolineano come l’utilizzo della tecnica di iniezione ecoguidata della tossina botulinica A potrebbe rappresentare un efficace strumento per ottimizzarne la somministrazione, assicurando risultati clinici migliori nei pazienti reduci da ictus. la neurologia italiana
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Malattie rare
Il paziente con atassia cerebellare sporadica geneticamente determinata Indicazioni per un possibile percorso diagnostico Tra le atassie cerebellari ereditarie (CA), oggi si conoscono almeno 36 forme a ereditarietà autosomica dominante, 20 recessive, due atassie X -linked e numerose atassie associate a difetti mitocondriali. Nella pratica clinica, il segno atassia si può presentare come sindrome cerebellare isolata o, più spesso, associato a un ampio spettro di manifestazioni neurologiche e sistemiche. Una stretta integrazione tra i dati clinici, neurofisiologici, neuroradiologici e, in alcuni casi, biochimici, può aiutare il Neurologo nel percorso diagnostico con possibili ripercussioni terapeutiche. Alcune forme di CA sono, infatti, potenzialmente trattabili, e l’efficacia della terapia è correlata a una diagnosi precoce. Nonostante i progressi della neurogenetica, numerosi pazienti rimangono ancora senza diagnosi molecolare. La maggior parte dei casi di atassia cerebellare sono sporadici, e il work-up diagnostico rimane una sfida. In questo scritto, guideremo il lettore attraverso il labirinto delle CA, cercando di proporre un possibile percorso diagnostico
Michelangelo Mancuso Clinica Neurologica, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa
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L
e atassie cerebellari comprendono un’ampia gamma di patologie neurologiche in cui l’atassia rappresenta il segno clinico cardine, spesso accompagnato da altri segni di disfunzione neurologica e\o di altri organi o apparati. Una volta escluse le atassie secondarie a patologie (Tabella 1), il paziente atassico deve essere indirizzato a un work-up diagnostico molecolare. Le atassie cerebellari genetiche (CA) sono di solito patologie croniche e progressive, molto raramente episodiche. Tra le CA, che hanno una prevalenza di circa 9 casi per 100.000 abitanti, ci sono almeno 36 forme autosomiche dominanti (ADCAs), 20 recessive (ARCAs), due atassie X-linked e varie forme associate a difetti mitocondriali. Nonostante i progressi delle neuroscienze, numerosi pazienti rimangono senza diagnosi molecolare (si stima circa il 40 per cento). La maggior parte dei casi di atassia cerebellare è sporadico, e il work-up diagnostico rimane una sfida. In questo scritto, guideremo il lettore attraverso il labirinto della CA sporadiche o recessive, cercando di proporre un possibile percorso diagnostico, tenendo conto che per alcune forme di CA potenzialmente trattabili, l’efficacia della terapia è correlata alla precocità della diagnosi.
Atassie mitocondriali I mitocondri sono organelli cellulari la cui principale funzione è produrre energia sotto forma di ATP. Originando da un procariote primordiale in grado di utilizzare la fosforilazione ossidativa allo scopo di produrre energia, essi sono gli unici organelli delle cellule animali dotate di un proprio genoma, il DNA mitocondriale (mtDNA), trasmesso per via matrilineare dalla cellula uovo alle figlie. Le malattie mitocondriali (MM) sono malattie rare dovute a disfunzione della fosforilazione ossidativa, con una prevalenza calcolata di almeno 1 su 5.000. Esse sono pertanto le patologie neurogenetiche di più frequente riscontro. Gli effetti delle mutazioni che causano MM tendono a essere multisistemici ed estremamente variabili. Accanto alla variabilità delle manifestazioni cliniche (variabilità fenotipica), nel campo delle MM è nota l’estrema “variabilità genotipica”, poiché sono note numerose cause genetiche diverse responsabili di MM, sia nel mtDNA che nel DNA nucleare (nDNA), causanti un fenotipo simile. Oltre a MM da mutazione del mtDNA, esiste poi un ampio gruppo di MM causate da mutazioni del nDNA (dove viene codificata la maggior parte delle proteine mitocondriali). I sistemi più frequentemente interessati dalle MM sono l’apparato muscolare e il sistema nervoso centrale e periferico, ma possono essere coinvolti, con variabile gravità e in diverse combinazioni, anche
Tabella 1. Cause di atassia acquisita Stroke
–
Tossiche
• Etanolo • Farmaci (antiepilettici, litio, antineoplastici, ciclosporina, metronidazolo, altri) • Metalli pesanti • Solventi
Immuno-mediate
Sindromi paraneoplastiche
Infezioni
Ascessi, cerebelliti
Trauma
–
Neoplasie
Primitive cerebrali, ripetizioni
Endocrinologiche
Ipotiroidismo
Anomalie strutturali
Malformazione di Chiari, agenesia, ipoplasia
le vie visive e uditive, il cuore, le ghiandole endocrine ecc. Le “red flags” che inducono a prendere in considerazione una diagnosi di MM sono bassa statura, ipoacusia neurosensoriale, atassia, crisi epilettiche, episodi tipo stroke, ptosi palpebrale, oftalmoplegia, neuropatia assonale, diabete mellito, miopatia, cardiomiopatia ipertrofica, emicrania. Queste manifestazioni devono essere ricercate nel paziente e nei familiari. Nella sezione che segue, sono brevemente descritte le forme di MM in cui l’atassia rappresenta un segno cardine. Mutazioni puntiformi del mtDNA Le mutazioni puntiformi del mtDNA sono ereditate secondo le regole della genetica mitocondriale (ereditarietà materna, eteroplasmia ed effetto soglia, segregazione mitotica). Ogni cellula contiene copie multiple di mtDNA (poliplasmia), che negli individui sani sono tutte uguali (omoplasmia). Quando si parla di eteroplasmia si fa riferimento alla coesistenza di due popolazioni di mtDNA, normale e mutato. La popolazione mutata in un dato tessuto deve raggiungere un valore soglia prima che il metabolismo ossidativo sia compromesso e porti a disfunzione. L’epilessia mioclonica con fibre ragged red (MERRF) è prevalentemente caratterizzata da mioclono, epilessia, atassia e ipoacusia neurosensoriale. Questa sindrome è stata associata a diverse mutazioni puntiformi del mtDNA, di cui le più frequenti sono l’A8344G e la T8356C nel tRNA della lisina. Studi recenti del Network Italiano delle MM hanno mostrato che il mioclono è maggiormente associato all’atassia piuttosto che all’epilessia, la neurologia italiana
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Malattie rare
Figura 1. Approccio al paziente atassico
Paziente con atassia cerebellare
Storia familiare
Esordio acuto
SÌ
AD
AR
NO
X
mt
> Esame neurologico > NCS-EMG > RM ENCEFALO > Biomarkers
SÌ
ATASSIA ACQUISITA O SPORADICA
Fonte: modificata da Mancuso e coll. J Neurology 2014
suggerendo che la MERRF potrebbe essere meglio definita come atassia mioclonica piuttosto che come epilessia mioclonica. Encefalomiopatia mitocondriale, episodi simil-stroke e acidosi lattica (MELAS): MM a carattere progressivo caratterizzata da ripetuti eventi simil-stroke (spesso coinvolgenti il circolo posteriore), cefalea ricorrente, intolleranza allo sforzo, crisi epilettiche e acidosi lattica. Le mutazioni di più frequente riscontro in questa mitocondriopatia sono le A3243G e T3271C nel tRNA della leucina (UUR) nel mtDNA. L’atassia può essere presente, anche se non è un sintomo tipico della malattia, almeno all’esordio. Sindrome di Leigh a trasmissione materna (MILS): si manifesta nei primi anni di vita con ritardo e regressione psicomotori, ipotonia, atassia, crisi epilettiche, mioclono, neuropatia, atrofia ottica e acidosi lattica. La causa più comune è la mutazione puntiforme T8993G nel gene ATP6. Se la percentuale di mtDNA mutato è <90 per cento, il fenotipo clinico è più benigno, l’esordio più tardivo ed è caratterizzato da neuropatia, atassia e retinite pigmentosa (NARP). Altre mutazioni puntiformi del mtDNA sono state asso-
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ciate a fenotipi neurologici complessi che includono tra le manifestazioni cliniche l’atassia; pertanto, l’analisi del mtDNA sarebbe indicata in tutte le sindromi atassiche inusuali e di difficile interpretazione, anche in assenza di una chiara ereditarietà materna. Riarrangiamenti sporadici del mtDNA Le forme sporadiche di mitocondriopatia, come l’oftalmoplegia esterna progressiva (PEO) e la sindrome di Kearns-Sayre (KSS; PEO associata a retinite pigmentosa e disturbi di conduzione cardiaca) sono causate da una delezione mitocondriale singola. La KSS è caratterizzata da retinite pigmentosa e PEO. Altri segni clinici di malattia possono essere disturbi di conduzione cardiaca e atassia cerebellare. Altri sintomi possono essere ritardo di sviluppo, bassa statura, sordità, ipostenia, endocrinopatie, tubulopatie renali e iperlattacidemia. L’atassia cerebellare può inoltre essere una caratteristica dei fenotipi “PEO plus” causati da delezioni singole del mtDNA. Atassie associate a mutazioni di POLG1 La DNA polymerase gamma (POLG) è l’unica DNA polimerasi nei mitocondri umani ed è essenziale per la
replicazione e la riparazione del mtDNA. I geni nucleari codificano per le subunità 1 e 2 di questa polimerasi (POLG1 e POLG2). Le mutazioni di POLG1 sono causa di malattie a trasmissione autosomica dominante o recessiva in cui si ha un coinvolgimento multisistemico spesso severo. Queste MM sono associate ad accumulo di delezioni multiple nel mtDNA. Atassia e disturbi del movimento sono manifestazioni comuni. Recentemente si è visto che mutazioni di POLG1 sono di frequente riscontro in pazienti atassici dell’Europa centrale, causando atassia spesso associata a PEO, comorbidità psichiatrica ed epilessia. In particolare, la sindrome mitocondriale atassica recessiva (MIRAS) è una comune causa di CA sporadica causata dalle mutazioni A467T e W748S, talora con esordio anche dopo la VI decade di vita. Un’altra forma recessiva di CA da mutazione POLG è la SANDO, caratterizzata da neuropatia atassica sensitiva, disartria e oftalmoparesi. Atassia spinocerebellare a esordio infantile (IOSCA) La IOSCA è una grave malattia ereditaria caratterizzata da una progressiva atrofia del cervelletto, del tronco encefalico, dei cordoni spinali e da neuropatia assonale sensitiva, causata da mutazioni recessive del gene C10orf2, codificante Twinkle, un’elicasi mtDNA specifica.
Deficit di coenzima Q10 Le malattie da deficit di coenzima Q10 sono un gruppo di patologie recessive che clinicamente si manifestano in cinque sindromi maggiori: (i) encefalomiopatia; (ii) malattia multisistemica severa dell’infanzia; (iii) atassia cerebellare; (iv) sindrome di Leigh; (v) miopatia isolata. Numerosi sono i geni che mutati causano deficit di biosintesi di coenzima Q10. L’atassia cerebellare è il fenotipo più comune nel deficit del coenzima Q10. Altre manifestazioni di malattia includono neuropatia, crisi comiziali, ritardo mentale, emicrania, disturbi psichiatrici, ipostenia e intolleranza allo sforzo, ipotonia congenita, segni piramidali, distonia e corea, ptosi e oftalmoplegia, retinite pigmentosa, atrofia ottica, aprassia oculomotoria, ipoacusia, l’ipogonadismo e altri disturbi endocrinologici. Il precoce riconoscimento di tali pazienti è essenziale. Il deficit di coenzima Q10 è potenzialmente trattabile, indipendentemente dall’origine genetica, con alte dosi di coenzima Q10.
Atassia associata a paraparesi spastica ereditaria (HSP) Le HSP sono un gruppo eterogeneo di disordini causati da una degenerazione del tratto cortico-spinale clini-
Figura 2. Approccio diagnostico differenziale al paziente con atassia cerebellare autosomica dominante
EREDITARIETÀ AD
Segni clinici aggiuntivi
Segni piramidali
Saccadi lente
Solo segni cerebellari
Parkinsonismo
Corea, discinesie
Degenerazione retinica
SCA1,3,7
SCA2
SCA6
SCA2,3,17,6 POLG
SCA3,17
SCA7
Fonte: modificata da Mancuso e coll. J Neurology 2014
la neurologia italiana
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Malattie rare camente manifeste con la spasticità degli arti inferiori, iperreflessia e Babinski. L’età d’esordio è variabile, dall’infanzia all’età adulta. Esistono forme pure e complicate di HSP, secondo la presenza o meno di altri sintomi neurologici associati quali atassia, neuropatia periferica, amiotrofia distale, retinopatia, atrofia ottica, segni extrapiramidali, decadimento cognitivo, sordità ed epilessia. Molti casi di HSP a trasmissione dominante sono puri, mentre i fenotipi complessi tendono a essere recessivi; SPG4 (SPAST, spastina), SPG3A e SPG31 (REEP1) sono le forme più comuni di HSP pura a trasmissione dominante. Mutazioni del gene SPG7 (paraplegina) sono le cause più comuni di HSP recessiva, sia come forme pure che come fenotipi più complessi, che frequentemente includono atrofia cerebellare e segni cerebellari alla valutazione neurologica. I sottotipi di HSP che più comunemente causano “atassia spastica” sono forme re-
cessive di SPG7 e SPG15; queste condizioni entrano in diagnosi differenziale con altre forme di CA quali l’atassia spastica di Charlevoix-Saguenay (ARSACS), e con le atassie spino-cerebellari (SCA) con spasticità (per esempio, SCA1, 3, 7, 10, 11, 12).
Atassia di Friedreich L’atassia di Friedreich (FA), la più comune forma di atassia autosomica recessiva della popolazione caucasica, è causata da mutazioni nel gene FXN, in genere espansioni della tripletta intronica GAA. L’età d’esordio è variabile tra 5–25 anni. Il sintomo cardine è la presenza di un’atassia mista (cerebellare e sensitiva). La storia naturale di malattia è variabile, ma solitamente a 10-15 anni dall’esordio di malattia i pazienti perdono la capacità di deambulare autonomamente e di alzarsi o sedersi senza
Figura 3. Approccio multidisciplinare al paziente con atassia CA SUBACUTA-CRONICA (no episodica) SPORADICA O CONSANGUINEITÀ
ATASSIA CEREBELLARE RECESSIVA
SEGNI CLINICI ASSOCIATI
ETÀ DI ESORDIO STORIA NATURALE PROGRESSIONE
ESAMI LABORATORIO
10
Biochimica
Neuroimaging
• Vit. E • AFP→AT,AOA2 • Abetalipoproteinemia • Ac.lattico, CK→ mt • Coenzima Q10 • (muscolo, fibroblasti) →mt • Ossisteroli → NPC • Colesterolo ↑ → AOA1 • Colesterolo ↓ →abetalipop • Colestanolo →CTX • Albumina ↓→AT, AOA1
• Atrofia cerebellare: mt, SANDO, AT, ARCA, FXTAS, AOA1,2 • No atrofia cerebellare: FA, AVED, abetalipoproteinemia • Leucodistrofia: Krabbe, xantomatosi cerebrotendinea ecc.
numero 1 · 2015 la neurologia italiana
Velocità di conduzione sensitivo motoria • Neuropatia sensitiva → FA, AVED, SANDO, abetalipoproteinemia • Neuropatia sensitivomotoria → mt, AT, AOA1,2 • No neuropatia → NP-C, ANO10
Fonte: modificata da Mancuso e coll. J Neurology 2014
un supporto. I neuroni sensitivi dei gangli delle radici posteriori sono i primi a essere compromessi, con una degenerazione secondaria del tratto spinocerebellare e piramidale e delle colonne dorsali. FA è caratterizzata da progressiva atassia della marcia e degli arti, da disartria, perdita della sensibilità pallestesica e propriocettiva, areflessia, movimenti oculari abnormi e segni piramidali. Nel corso della malattia in genere compaiono altre manifestazioni sistemiche quali la cardiomiopatia ipertrofica, il diabete mellito e la scoliosi. La RM non mostra atrofia cerebellare, ma atrofia lieve-moderata del tronco encefalico e dei cordoni spinali.
Atassia associata a deficit di vitamina E L’atassia associata a deficit di vitamina E è un disturbo
autosomico recessivo clinicamente simile alla FA, ma in cui cardiomiopatia e diabete sono molto meno comuni. La malattia è causata da una mutazione nel gene che codifica la proteina trasportatrice dell’α-tocoferolo. La concentrazione sierica di vitamina E, nei pazienti affetti, è bassa. La supplementazione con vitamina E può moderatamente migliorare il quadro.
Abetalipoproteinemia L’abetalipoproteinemia è una sindrome metabolica rara a trasmissione autosomica recessiva, causata dal deficit di una proteina MTP (microsomal triglyceride transfer protein) essenziale per la sintesi di chilomicroni e lipoproteine a bassa densità. Il fenotipo neurologico si manifesta prima dei 20 anni ed è simile alla FA; in questa patologia, oltre ai sintomi neurologici sono presenti malassorbimento lipidico, ipocolesterolemia, acantocitosi e retinite pigmentosa.
Malattia di Refsum Neurologici: • Disordini del movimento • Oftalmoparesi verticale • Ritardo mentale • Declino cognitivo • Alterazione oculomozione • Segni piramidali • Mioclono, epilessia
Coinvolgimento organi • Cataratta • Retinopatia • Sordità • Cardio(mio)patia • Disturbi psichiatrici • Dismotilità gastrointestinale • Splenomegalia • Scoliosi, piede cavo
Esame ispettivo generale • Lipomi • Ittiosi • Xantomi • Teleangectasie • Angiocheratomi
La malattia di Refsum è una patologia neurometabolica ereditaria recessiva, causata da una mutazione del gene fitanoil-CoA idrossilasi (PHYH), ed è clinicamente caratterizzata da atassia cerebellare, polineuropatia periferica, sordità neurosensoriale, retinite pigmentosa e anosmia con anomalie scheletriche, ictiosi, insufficienza renale, cardiomiopatia e/o aritmie. L’esordio è tipicamente intorno ai 20 anni. L’acido fitanico si accumula ad alte dosi nel tessuto adiposo e nella mielina.
Xantomatosi cerebrotendinea Questa malattia è causata da una mutazione nel gene che codifica per l’enzima 27-sterolo idrossilasi mitocondriale (CYP27), coinvolto nella sintesi degli acidi biliari, con secondario accumulo di elementi intermedi degli acidi biliari nei vari tessuti tra cui quello nervoso. I sintomi neurologici iniziano intorno ai 20 anni e includono atassia, segni piramidali ed extrapiramidali, neuropatia periferica sensitivo-motoria, crisi comiziali, disturbi psichiatrici e demenza. Altre caratteristiche sono la cataratta giovanile, la xantomatosi tendinea, l’osteoporosi e la diarrea cronica. La RM mostra atrofia cerebrale generalizzata e atrofia cerebellare con lesioni diffuse della sostanza bianca. La terapia si basa sull’uso di acido chenodessosicolico.
Malattia di Niemann-Pick tipo C TEST GENETICI
Con il nome di malattia di Niemann-Pick si fa riferimento a un gruppo di malattie multisistemiche da accumulo lisosomiale, autosomiche recessive, che possono prela neurologia italiana
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Malattie rare
sentare, in grado variabile, manifestazioni neurologiche. D’interesse neurologico è il tipo C, causato da mutazione nei geni NPC1 e NPC2. I disturbi neurologici variano con l’età e includono ipotonia, impaccio motorio, cadute, crisi comiziali, difficoltà di apprendimento, atassia, deficit cognitivi e psicosi. Elemento caratteristico di questa malattia è la paralisi di verticalità dello sguardo. Il riconoscimento precoce di questa malattia è essenziale in quanto esiste in commercio un farmaco, il miglustat, che ha mostrato un positivo impatto sul management clinico dei pazienti.
Atassia teleangectasica L’atassia teleangectasica è una ARCA causata da mutazione di una kinasi (ATM) coinvolta nei meccanismi di trasduzione del segnale innescati da danni del DNA. La disfunzione cerebellare si manifesta intorno al 2-3 anno di vita ed è severamente progressiva; l’aprassia oculomotoria è comune. Altre manifestazioni sono la teleangectasia cutanea e oculare, l’immunodeficienza, l’aumentato rischio di leucemia e linfomi. L’alta concentrazione di alfa-fetoproteina sierica è un riscontro tipico.
Atassia con aprassia oculomotoria tipo 1 e 2 L’atassia con aprassia oculomotoria di tipo 1 si manifesta prima dei 10 anni di età con atassia della marcia e degli arti, neuropatia sensitivo-motoria, disturbi della motilità oculare con nistagmo, disturbi della fissazione dello sguardo, aprassia oculomotoria, segni extrapiramidali e decadimento cognitivo. L’atrofia cerebellare, l’ipoalbuminemia e l’ipercolesterolemia sono caratteristici. La malattia è causata da una mutazione nel gene dell’apratassina (APTX). L’atassia con aprassia oculomotoria di tipo 2 ha un fenotipo analogo al tipo 1; si differenzia per l’età d’esordio che nel tipo 2 è nella prima adolescenza, e per il riscontro di normali livelli plasmatici di albumina ed elevata concentrazione sierica di alfa-fetoproteina. Essa è causata da una mutazione nel gene della senatassina (SETX), un’elicasi DNA/RNA.
Atassia spastica autosomica recessiva di Charlevoix-Saguenay (ARSACS) ARSACS è una malattia neurodegenerativa, causata da mutazioni nel gene che codifica per la proteina chaperone sacsina (SACS); è caratterizzata da disfunzione cerebellare progressiva, segni piramidali e neuropatia sensitivo-motoria con amiotrofia.
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La malattia esordisce intorno a 1-5 anni di età e la risonanza magnetica mostra atrofia del verme cerebellare.
Atassia cerebellare autosomica recessiva tipo 1, 2 e 3 L’atassia cerebellare autosomica recessiva tipo 1 (ARCA1) è un’atassia dell’età adulta, lentamente progressiva, caratterizzata da disartria marcata e atrofia cerebellare causata da mutazioni nel gene SYNE1. Una forma simile di atassia pura, causata da mutazioni in omozigosi di ADCK3, è stata denominata ARCA2. Infine, mutazione nel gene codificante l’anoctamina 10 (ANO10) è stata di recente riscontrata in numerosi pazienti con CA a esordio in età adulta associata ad atrofia cerebellare e segni piramidali, in assenza di segni di neuropatia periferica.
Sindrome dell’X fragile associata a tremore/atassia La sindrome dell’X-fragile associata ad atassia e tremore (FXTAS) è una malattia neurodegenerativa a esordio tardivo che colpisce individui portatori della premutazioneespansione (55–200 CGG ripetute) nella regione 5’ non tradotta del gene FMR1 (fragile X mental retardation 1). Tale malattia è caratterizzata da tremore intenzionale a esordio tardivo e atassia della marcia, con possibile parkinsonismo, neuropatia, disfunzione autonomica e demenza. È una delle più comuni forme di CA dell’adulto. Tipiche della malattia sono le iperintensità di segnale nelle sequenze T2, simmetriche, nei peduncoli cerebellari medi e nella sostanza bianca cerebellare.
Approccio al paziente con atassia Le nuove tecniche di sequenziamento del DNA hanno consentito lo studio di una larga parte del genoma in modo rapido e relativamente economico negli ultimi anni, portando all’identificazione di numerosi nuovi geni causa di patologia, inclusi quelli correlati a CA. Tuttavia, molti casi di CA sono sporadici e a oggi un work-up diagnostico resta una sfida, con almeno il 40 per cento di pazienti senza una diagnosi molecolare. Un’anamnesi dettagliata e uno studio approfondito dell’albero genealogico sono solitamente sufficienti a discriminare le forme genetiche da quelle acquisite (Figura 1). Una volta che le forme acquisite sono state escluse, l’analisi dettagliata dell’albero genealogico può essere indicativa del modello di ereditarietà. Nei casi di ADCAs, non trattati in quest’articolo, i test genetici devono essere mirati anche in considerazione di segni clinici aggiuntivi, che
talora possono definire una forma etiologica piuttosto che un’altra (Figura 2). Nei casi sporadici, un approccio multidisciplinare è essenziale, ed è proposto in Figura 3. Il Neurologo deve sempre tenere in considerazione i seguenti punti: (i) esordio e decorso clinico della malattia (le forme più comuni dell’adulto sono la FXTAS, FA, ARCA3 e quelle correlate al gene POLG; quelle a esordio infantile AT, IOSCA, ARSACS); (ii) sintomi e segni clinici associati (neurologici, ma anche psichiatrici, oftalmologici, dermatologici; Figura 3); (iii) parametri neurofisiologici, con particolare attenzione allo studio delle conduzioni
nervose e alla presenza o meno di neuropatia periferica (sensitiva o sensitivo-motoria); (iv) aspetti di neuroimaging (presenza o meno di leucodistrofia e atrofia cerebellare); (v) aspetti laboratoristici. Nonostante non tutti i test siano disponibili come esami di routine, la ricerca dettagliata di alcuni di questi parametri può portare il medico a una diagnosi corretta. Dovremmo essere tutti consapevoli che l’atassia sporadica a esordio tardivo, là dove altre possibili cause siano già state escluse, potrebbe essere dovuta a disturbi metabolici (per esempio, NP-C o malattie mitocondriali), che in alcuni casi possono essere trattati.
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terapia
Profilassi dell’emicrania con potenziatori metabolici
Il ruolo del Coenzima Q10 Piero Barbanti, Serena Piroso
L’
Unità per la Cura e la Ricerca su Cefalee e Dolore - Dipartimento di Scienze Neurologiche, Motorie e Sensoriali - IRCCS San Raffaele Pisana, Roma
emicrania è il prodotto dell’interazione tra predisposizione genetica e fattori ambientali e si caratterizza per un’abnorme elaborazione cerebrale intercritica delle informazioni sensoriali e nocicettive. Montagna fu il primo a descrivere interessanti correlazioni tra emicrania e malattie del metabolismo mitocondriale, enfatizzando la presenza di cefalea migraine-like in pazienti con patologie mitocondriali e di alterazioni istochimiche tipiche delle mitocondriopatie negli emicranici (2,3,4,18,22). Da tali considerazioni sono derivati negli anni studi di base e farmacologici che hanno portato oggi all’impiego terapeutico di sostanze (potenziatori metabolici) in grado di potenziare la fosforilazione ossidativa mitocondriale nella terapia dell’emicrania. Il cervello emicranico manifesta una condizione d’ipereccitabilità con aumentata suscettibilità alla cortical spreading depression, eccesso di trasmissione glutammatergica e disfunzione dei meccanismi neuronali di modulazione della concentrazione ionica. Il paziente emicranico presenta in condizioni intercritiche un deficit del fenomeno neurofisiologico dell’abitudine nel processamento dell’informazione: ciò comporta un’eccessiva reattività delle aree corticali sensoriali a fronte di stimoli ripetuti. La causa viene imputata a una disritmia talamo-corticale conseguente a deficit della trasmissione monoaminergica (13). L’emicranico presenta pertanto come tratto distintivo un maggiore dispendio energetico cerebrale in condizioni basali rispetto al soggetto sano. A questa peculiarità si associa, paradossalmente, un deficit del metabolismo energetico neuronale sia in fase ictale che interictale, condizione che sta alla base del concetto di soglia emicranica: l’emicranico si trova stabilmente in una condizione ipoenergetica cerebrale facilmente scompensabile di fronte ad aumentate richieste di controllo omeostatico prodotte da variazioni dell’ambiente interno (es: stress, ormoni) o esterno (es: clima) all’organismo (20). Il risultato è lo scatenamento dell’attacco a seguito di stimoli non dolorosi. Secondo recenti vedute, questo deficit energetico sarebbe responsabile dello shift del metabolismo della tirosina dalla sua fisiologica idrossilazione (che conduce alla produzione di catecolamine) verso la sua decarbossilazione, con produzione di amine elusive quali tiramina, octopamina, sinefrina, provocando così una sorta di regressione metabolica verso forme più arcaiche di neurotrasmissione. Tale sbilanciamento di neurotrasmettitori e neuromediato-
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ri nelle sinapsi dopaminergiche e noradrenergiche della pain matrix attiverebbe il sistema trigeminale scatenando l’attacco (20).
Mitocondri ed emicrania
La principale funzione dei mitocondri è la produzione energetica attraverso la catena respiratoria. Altre funzioni includono la produzione di derivati reattivi dell’ossigeno (ROS), la regolazione dell’apoptosi e dell’omeostasi del calcio. I mitocondri giocano un ruolo nel controllo del tono vasale attraverso la regolazione della concentrazione intracellulare dello ione calcio e dei ROS. In questo processo sembra essere coinvolto l’ossido nitrico (NO), potente vasodilatatore a sua volta legato dalla citocromo-ossidasi (COX), conosciuta anche come complesso IV della catena respiratoria. Quando la COX è prodotta in abbondanza può verificarsi un sequestro di NO con inibizione della vasodilatazione. L’encefalo, tessuto altamente dipendente dal metabolismo ossidativo, risulta severamente danneggiato nelle malattie mitocondriali, patologie relativamente frequenti con una prevalenza di 1/5.000. La frequenza delle 10 mutazioni patogenetiche del DNA mitocondriale più conosciute nella popolazione generale è pari a circa 1/200, suggerendo che individui con fenotipo normale possano essere portatori di mutazioni a rischio, clinicamente manifeste solo in determinate condizioni di stress. Diverse evidenze sperimentali suggeriscono che una disfunzione mitocondriale possa contribuire alla patogenesi di almeno alcuni tipi di emicrania attraverso un alterato metabolismo ossidativo (3,14,18,22). La corticalspreadingdepression, base neurofisiopatologica dell’aura emicranica, deriva da una disfunzione del ricambio neurotrasmettitoriale e da un’instabilità della membrana neuronale, fenomeni entrambi legati al metabolismo energetico. Il riciclo dei radicali liberi risulterebbe alterato in pazienti con emicrania cronica, come suggerito dall’accumulo di ione ferroso a livello del troncoencefalo. Un importante contributo alla conoscenza del metabolismo mitocondriale nell’emicrania è derivato dagli studi di risonanza magnetica spettroscopica (1). Essi hanno evidenziato nel cervello emicranico un alterato rapporto tra i livelli intracellulari di fosfocreatina e di fosfato inorganico (indice di minore disponibilità energetica cellulare), una minore concentrazione encefalica di N-acetil-aspartato (marker d’integrità neuronale prodotto esclusivamente a livello dei mitocondri neuronali) e una riduzione
attacchi/mese (95%CI)
Figura 1. Biosintesi del Coenzima Q10 DNA mutato potrebbe essere molto basdel picco di colina a livello del talamo. Si ritiene che disfunzioni mitocondriali sa, così come potrebbe essere più alta in Acetil CoA e anomalie del metabolismo energetico cellule che non si dividono attivamente, mitocondriale delle piastrine del paziencome i neuroni; c) è possibile che l’emite emicranico siano responsabili di aucrania possa essere associata a mutazioni HMG CoA del DNA mitocondriale non ancora idenmentate concentrazioni di oftraceamina, sucastiramina, octopamina e sinefrina, tificate o a mutazioni del DNA nucleare Mevalonato neuromodulatori implicati nell’alterazioche influenzino la produzione di energia a livello dei mitocondri. Una disfunzione della soglia del dolore (20). Gli emicranici presentano inoltre concentrazioni ne mitocondriale può ridurre la soglia di Farnesilpirofosfato ematiche di lattato e piruvato significascatenamento di un attacco emicranico attraverso diverse modalità. Innanzitutto tivamente maggiori rispetto ai soggetti Squalene le aree corticali a ridotta riserva metabosani per via di una ridotta utilizzazione nel ciclo di Krebs del piruvato, ridotto lica mitocondriale dopo stimoli esogea lattato dalle lattato-deidrogenasi. Un ni possono andare incontro a un deficit Dolicolo Colesterolo aumento dei livelli ematici e liquorali di energetico che può accelerare l’aumento lattato, marker di malattia mitocondriadella concentrazione dei lattati normalCoenzima Q10 le indicante un difetto del metabolismo mente indotto dall’attività neuronale con ossidativo, è stato riscontrato negli emipossibile attivazione del sistema trigemicranici durante gli attacchi. All’aumento no-vascolare. Inoltre, un difetto del medella concentrazione di lattato contributabolismo ossidativo mitocondriale nel nucleo trigeminale o nel troncoencefalo isce anche un aumento del consumo di potrebbe influenzare il processamento glicogeno e dell’attività glicolitica nei Note: Acetil CoA, acetil coenzima A; HMG CoA, degli input nocicettivi (10). La presenza tessuti con un difetto del metabolismo idrossi-metil-glutaril coenzima A di anomalie strutturali mitocondriali nelaerobico. È stato suggerito che mutazioni del DNA mitocondriale possano avere le cellule della parete dei vasi meningei un ruolo nella patogenesi dell’emicrania e della sindrome del vomito potrebbe spiegare la loro iperresponsività a stimoli esogeni. ciclico (14). Tuttavia, gli studi sono risultati finora negativi verosimilmente per ragioni diverse: a) le malattie mitocondriali sono eteroI potenziatori metabolici plasmiche e varie proporzioni di DNA normale e mutato coesistono Il deficit di produzione energetica neuronale costituisce il razionale in diversi tessuti; b) nei pazienti oligosintomatici la proporzione di per l’impiego dei potenziatori metabolici nella profilassi dell’emicrania. L’esistenza di dati favorevoli da studi randomizzati controllati ne ha valso la considerazione e il Figura 2. Frequenza media mensile degli attacchi emicranici suggerimento nelle vigenti linee guida diagnosticonei gruppi placebo (triangoli grigi) e coenzima Q10 (circoli neri). terapeutiche dell’AGENAS. Il primo potenziatore 6 metabolico studiato è stato la riboflavina. In un trial multicentrico randomizzato su 55 emicranici alla dose di 400 mg/die per 3 mesi, essa si è dimostrata superiore al placebo nella riduzione della frequenza degli attac5 chi e del numero di giorni di cefalea con un NNT di 2,3. Un successivo studio farmacogenetico in aperto ha 4,3 evidenziato nei portatori dell’aplotipo non-H mtDNA 4 una risposta alla riboflavina superiore rispetto agli H mtDNA, ipotizzando una associazione tra l’aplotipo H e aumentata attività del complesso I, principale target 3,2 della riboflavina (5,7). 3
Q10
Coenzima Q10 ed emicrania
placebo 2 baseline (1)
2
mesi
3
4
La riduzione della frequenza rispetto al basale è risultata significativa per il coenzima Q10 (p =0,01), ma non per il placebo (p =0,81) Fonte: Sandor et al. 2005
Il coenzima Q10 (CoQ10) è un lipide idrofobico che agisce come carrier di elettroni a livello della catena respiratoria (Figura 1). All’interno dei mitocondri facilita la trasformazione di grassi e zuccheri in energia, ed è in grado di muoversi nel core idrofobico del doppio strato lipidico della membrana mitocondriale la neurologia italiana
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terapia interna trasportando un elettrone per volta dai complessi I e II al complesso III della catena respiratoria. Il CoQ10 protegge le lipoproteine e stabilizza l’endotelio mediante stimolazione del rilascio di NO, proteggendo la membrana mitocondriale dal collassamento e impedendo l’apertura dei pori di transizione. Il CoQ10 contrasta inoltre eventi pro-apoptotici come la deplezione di ATP, il rilascio di citocromo C nel citosol, l’attivazione della caspasi-9, la depolarizzazione della membrana mitocondriale e la frammentazione del DNA. È inoltre un potente scavenger di radicali liberi ed esercita numerosi effetti antinfiammatori, modulando l’espressione dell’NFKB1. Esistono due isoforme di CoQ10 denominate ubichinolo, elettrondonatore, e ubichinone, elettron-accettore. Gli elettroni rilasciati dall’ubichinolo neutralizzano i radicali liberi. La capacità del CoQ10 di riciclarsi da un’isoforma all’altra ne spiega l’azione protettiva su DNA, proteine e lipidi in presenza di reazioni ossidative tossiche. I livelli di CoQ10 diminuiscono con l’età, verosimilmente per ridotta sintesi o aumentato consumo per aumentata lipoperossidazione. Sono stati condotti diversi trial clinici con il CoQ10 nella profilassi emicranica. In un primo studio in aperto su 32 pazienti con emicrania con e senz’aura, il CoQ10 (150 mg/die per 3 mesi) si è dimostrato efficace nel ridurre la frequenza degli attacchi e il numero di giorni con cefalea con una percentuale di responders del 61,3 % (9). Un successivo trial randomizzato in doppio cieco verso placebo su 42 emicranici ha dimostrato che la profilassi con CoQ10 (300 mg/die per 4 mesi) induce una significativa riduzione di attacchi emicranici, giorni di cefalea e giorni con nausea a partire dal 3° mese di trattamento, con una percentuale di responders del 47,6 % e un NNT di 3 (11; Figura 2). Boles ha confrontato 22 soggetti affetti da sindrome del vomito ciclico in trattamento con CoQ10 con 162 in trattamento con amitriptilina, riscontrando in questi ultimi una percentuale di ri-
sposta solo di poco superiore al CoQ10 (72 % vs 68 %), ma con maggiore incidenza di eventi avversi (50 % vs 0 %) (15). In uno studio crossover, randomizzato, controllato con placebo su 120 bambini e adolescenti emicranici, il CoQ10 (100 mg/die per 224 giorni) ha mostrato un’efficacia superiore al placebo in termini di riduzione della frequenza degli attacchi nelle prime 4 settimane di trattamento (16). Uno studio in aperto su 252 pazienti emicranici pediatrici con bassi livelli di CoQ10 ha dimostrato che la supplementazione di CoQ10 (1- 3 mg/kg/die) induce una riduzione significativa della frequenza (P <0,0001) e della disabilità degli attacchi (P <0,001) (12).
Conclusioni
Il deficit del metabolismo energetico mitocondriale è un tratto caratteristico del paziente emicranico, responsabile – in associazione con la condizione d’ipereccitabilità cerebrale – della bassa soglia per lo scatenamento del dolore cefalico per stimoli non dolorosi. Ciò rappresenta il razionale d’uso dei potenziatori metabolici nella cura dell’emicrania. Sulla base di RCTs, le linee guida nazionali e internazionali riconoscono che il CoQ10 e la riboflavina sono strumenti efficaci, tollerabili e sicuri per la prevenzione emicranica (23). Tali caratteristiche li rendono composti ideali per la terapia profilattica in età evolutiva e strumenti utili per il trattamento dell’adulto. L’interesse futuro dovrà essere indirizzato su trial controllati su casistiche più ampie e sulla possibilità di utilizzo dei potenziatori metabolici come “add-on therapy” a fianco di trattamenti attivi sull’eccitabilità neuronale (es: topiramato e valproato) nelle forme emicraniche più severe, episodiche e croniche. Sarà auspicabile chiarire se i livelli di CoQ10 pre-trattamento abbiano una qualche influenza sull’efficacia della terapia e identificare al meglio il dosaggio pediatrico, attualmente stimato in 1–3 mg/kg/die (21).
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S pecia l e epi l essia
PERAMPANEL
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Efficacia e sicurezza della terapia aggiuntiva nell’epilessia parziale refrattaria A cura di Alberto Verrotti Clinica Pediatrica, Università di Perugia
Il
perampanel, di recente approvato in Europa per il trattamento delle epilessie farmacoresistenti, è il primo antagonista selettivo non competitivo dei recettori ionotropici AMPA del glutammato e ha un’influenza diretta sulla trasmissione glutammatergica post-sinaptica. I recettori AMPA sono i mediatori principali della trasmissione eccitatoria nel SNC e sono fondamentali nella genesi e nella diffusione dell’attività epilettica. L’analisi aggregata di 3 studi multicentrici (gli studi di fase III 304, 305 e 306), randomizzati, in doppio cieco, indica che perampanel riduce la frequenza delle crisi parziali e migliora il tasso di responder, con un buon profilo di tollerabilità. L’analisi, pubblicata recentemente (nel 2013) su Epilepsia, è stata effettuata da Bernhard J. Steinhoff et al. Gli studi hanno coinvolto 1.478 pazienti refrattari al trattamento con 1-3 farmaci antiepilettici (AEDs) e sono stati condotti in più di 40 Paesi dei 5 continenti. Questi 3 studi hanno valutato l’uso aggiuntivo di perampanel in adolescenti e adulti con crisi parziali non controllate nonostante il trattamento con 1-3 AEDs. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere una volta al giorno il placebo, perampanel alla dose di 8 o 12 mg (studi 304 e 305), o placebo e perampanel alla dose di 2, 4 o 8 mg (studio 306). Gli studi comprendevano un periodo di osservazione al basale di 6 settimane
e una fase di trattamento in doppio cieco (fase di titolazione della durata di 6 settimane e fase di mantenimento di 13 settimane). Gli endpoint primari di efficacia erano la variazione percentuale mediana della frequenza delle crisi (fase in doppio cieco rispetto al basale) e la responder rate (percentuale di pazienti che hanno ottenuto una riduzione della frequenza delle crisi ≥50%) (fase di mantenimento vs basale). Questi endpoint, unitamente agli endpoint secondari ed esplorativi, sono stati valutati aggregando i risultati dei tre studi. Perampanel alla dose di 2 mg/die forniva risultati analoghi al placebo, mentre le dosi efficaci (4-12 mg) erano generalmente ben tollerate e associate a una riduzione della frequenza di tutte le crisi e a una responder rate significativamente superiori rispetto al placebo. Alle dosi di 4-12 mg anche le variazioni percentuali mediane della frequenza delle crisi parziali complesse ±secondariamente generalizzate e delle crisi secondariamente generalizzate erano significativamente superiori con il perampanel che con il placebo. Va notato che la riduzione della frequenza delle crisi era più bassa nei pazienti che erano in trattamento con carbamazepina rispetto ai pazienti che ricevevano altri AEDs non induttori: i pazienti in trattamento a 12 mg di perampanel con carbamazepina mostravano una riduzione di -20%, con lamotrigina -31,2%, con
levetiracetam -34,7%. In conseguenza di questo dato è verosimile che i pazienti che sono in terapia con farmaci induttori debbano assumere dosi più elevate di perampanel. Il perampanel è stato in genere ben tollerato: infatti, gli effetti avversi erano nella maggioranza dei pazienti di entità lievemoderata e in pochi pazienti si sono verificati eventi avversi gravi; gli eventi avversi più frequenti sono stati capogiri, sonnolenza e cefalea: in particolare alla dose di 2 mg le percentuali erano 10,0, 12,2 e 8,9% rispettivamente; alla dose di 4 mg, 16,3, 9,3 e 11,0%; alla dose di 8 mg, 31,8, 15,5 e 11,4%; alla dose di 12 mg, 42,7, 17,6, 13,3%. Eventi avversi gravi di tipo psichiatrico sono stati riscontrati in 4 pazienti che hanno ricevuto placebo (0,9%) e in 12 (1,2%) che hanno ricevuto perampanel (il più comune era l’aggressività); un caso di ideazione suicidaria è stato riportato in un paziente che riceveva perampanel 8 mg. A completamento di questo dato, non ci sono stati decessi, né importanti alterazioni nei valori di laboratorio, nei reperti ECG o nei segni vitali. In conclusione, le evidenze di efficacia, sicurezza e tollerabilità di perampanel derivanti dall’analisi aggregata degli studi sono in accordo con i risultati dei singoli studi e confermano l’efficacia di perampanel come terapia aggiuntiva, in monosomministrazione giornaliera, su tutti i tipi di crisi in pazienti con epilessia parziale refrattaria.
Epilessia di nuova diagnosi Sicurezza ed efficacia a lungo termine di zonisamide in monoterapia per il trattamento di crisi parziali in adulti A cura di Stefano Meletti Centro Epilessia. Dipartimento di Scienze Biomediche, Metabolismo, Neuroscienze; Università di Modena e Reggio Emilia
L’
epilessia è uno dei disturbi neurologici più comuni, che colpisce circa 50 milioni di persone nel mondo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta che il costo per la salute dovuto all’epilessia sia lo 0,5% del carico globale di malattia, con un costo totale annuo di circa 15,5 miliardi di euro in Europa e 9,5 miliardi di dollari negli USA. In termini generali, circa il 50% dei pazienti con epilessia di nuova diagnosi dovrebbe diventare libero da crisi con la prima monoterapia. Un altro 20% può raggiungere il controllo delle crisi con un secondo farmaco o con una bi-terapia. Pertanto, è evidente che la scelta del primo farmaco antiepilettico è critica. Inoltre, la monoterapia ha una serie di vantaggi in termini di buona compliance del paziente, basso rischio di interazioni farmacologiche, e di riduzione di costi sanitari diretti e indiretti. La zonisamide è un derivato benzisossazolico chimicamente correlato ad altri farmaci antiepilettici (FAE), che mostra una varietà di meccanismi d’azione, tra cui l’inibizione dei canali del sodio e la riduzione delle correnti tipo-T dei canali del calcio. Attualmente zonisamide è approvata in Europa come monoterapia per il trattamento delle crisi parziali (con o senza generalizzazione secondaria) nei pazienti
adulti con epilessia di nuova diagnosi, e come terapia aggiuntiva delle crisi parziali (con o senza generalizzazione secondaria) in adulti, adolescenti e bambini a partire da 6 anni di età. L’approvazione di zonisamide in monoterapia si è basata sui risultati di uno studio multicentrico di fase III, randomizzato in doppio-cieco, di non inferiorità [Baulac et al., Lancet Neurology 2012; 11:589-588]. In questo studio la monosomministrazione giornaliera di zonisamide ha dimostrato di essere non inferiore rispetto alla somministrazione di carbamazepina a rilascio controllato due volte al giorno, secondo i criteri di non inferiorità raccomandati dalla International League Against Epilepsy (ILAE). Nello studio il 79,4% dei pazienti (177/223) nel gruppo zonisamide e l’83,7% dei pazienti (195/233) nel gruppo carbamazepina hanno raggiunto la libertà da crisi per ≥26 settimane (endpoint primario). Inoltre, nel corso dello studio, che ha avuto una durata superiore a 1 anno come raccomandato dalla ILAE, l’incidenza di eventi avversi emergenti dal trattamento era simile per la zonisamide (60,5%) rispetto a carbamazepina (61,7%), così come l’incidenza di eventi avversi gravi (5% vs 6%). A seguito dei risultati emersi da questo studio, zonisamide è stata inclusa nelle linee
guida ILAE come avente livello A di evidenza come monoterapia iniziale per il trattamento di adulti con crisi epilettiche parziali. Attualmente, solo carbamazepina, fenitoina, e levetiracetam sono gli altri FAE con questo livello di raccomandazione. Presentiamo qui i risultati dello studio di estensione a lungo termine (2 anni) nei pazienti che hanno completato il trial registrativo di fase III [Baulac et al., Epilepsia 2014; 55(10): 1534-43]. Gli obiettivi dello studio di estensione (sempre in doppio-cieco) erano di valutare (a) sicurezza/tollerabilità e (b) efficacia di zonisamide a lungo termine somministrata in monoterapia una volta al giorno rispetto alla somministrazione due volte al giorno di carbamazepina a rilascio controllato in pazienti adulti con diagnosi recente di epilessia parziale. Un totale di 295 pazienti ha partecipato allo studio in estensione dopo aver completato lo studio registrativo di fase III. Di questi, hanno completato lo studio 120/137 (87,6%) pazienti randomizzati a zonisamide e 134/158 (84,8%) pazienti randomizzati a carbamazepina. Durante lo studio, la maggior parte dei pazienti ha ricevuto un trattamento a dosi di zonisamide di 300 mg/die (82,5%) e di carbamazepina 600 mg/die (84,2%).
S pecia l e epi l essia Sicurezza e tollerabilità di zonisamide a lungo termine L’incidenza di eventi avversi (EA) correlati al trattamento è stata del 26,3% per la zonisamide rispetto al 19,6% per carbamazepina. Gli EA più frequentemente riportati sono stati una riduzione del peso (5,1% vs 0%), diminuzione dell’appetito (3,6% vs 0%), deficit della memoria (2,9% vs 3,2%). L’incidenza di EA gravi è stata pari al 5,1% per il gruppo zonisamide e del 4,4% per il gruppo carbamazepina. Non ci sono stati decessi durante lo studio. Tre pazienti hanno presentato EA che hanno determinato l’interruzione dello studio (zonisamide n =2; carbamazepina n =1). C’è stata una segnalazione di rash nel gruppo carbamazepina e non ci sono state segnalazioni di sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi epidermica tossica in nessuno dei due gruppi. Infine, sono stati segnalati due casi di iponatriemia nel gruppo carbamazepina.
Efficacia di zonisamide a lungo termine Il parametro primario di efficacia misurato è stato la retention rate, definito
come la percentuale di pazienti rimasti nello studio di estensione a ogni visita [per la popolazione intention-to-treat (ITT)]. La retention rate è stata molto simile tra i gruppi di trattamento, a tutti gli intervalli di osservazione (Figura 1). Nel complesso, 24/281 pazienti in zonisamide (8,5%) e 24/300 pazienti in carbamazepina (8,0%) si sono ritirati per mancanza di efficacia. Infine per quanto riguarda l’efficacia misurata dalla percentuale di pazienti liberi da crisi per ≥24 mesi, lo studio ha dimostrato risultati simili nei due gruppi: 32,3% (95% CI 26,5-38,0%) per i pazienti che assumevano zonisamide e 35,2% (95% CI 29,5-40,9%) per i pazienti in carbamazepina (popolazione ITT ).
Conclusioni Questo studio a lungo termine sull’efficacia e tollerabilità di zonisamide in monoterapia è notevole perché nessun altro FAE attualmente disponibile è stato valutato in monoterapia attraverso uno studio con un disegno in doppio cieco di tale durata. I risultati dello studio dimostrano che zonisamide somministrata una volta al giorno e carbamazepina a rilascio controllato somministrata due volte al giorno sono entrambi ben tollerate in
Pazienti rimasti nello studio (%)
Figura 1. Curva di Kaplan-Meier per la retention rate, misurata a partire dall’inizio dello studio di estensione (popolazione 314-ITT)
Zonisamide Carbamazepina
Tempo al ritiro (giorni)
monoterapia negli adulti con epilessia di nuova diagnosi. I due farmaci hanno simili percentuali di EA ed EA gravi. Come nello studio registrativo originale, l’incidenza di perdita di peso e diminuzione dell’appetito erano più alti con zonisamide rispetto a carbamazepina, in linea con le precedenti segnalazioni. Nel complesso non sono emersi nuovi o inattesi problemi di sicurezza con la monoterapia a lungo termine con zonisamide. Anche gli endpoint secondari hanno dimostrato che l’efficacia a lungo termine della monoterapia con zonisamide rispetto carbamazepina è paragonabile. Infatti, simili proporzioni di pazienti in ciascun gruppo di trattamento hanno interrotto lo studio a causa della mancanza di efficacia o di eventi avversi, e simili proporzioni di pazienti hanno raggiunto 24 mesi di libertà dalle crisi. Questo è un dato rilevante perché la libertà da crisi è particolarmente importante per la qualità complessiva della vita. È da notare che nessun altro studio ha confrontato i tassi di libertà da crisi in condizioni di doppio cieco a 24 mesi. In termini generali, tutti i dati presentati suggeriscono che la zonisamide è un farmaco efficace e ben tollerato per i pazienti adulti con epilessia focale. Il profilo farmacocinetico di zonisamide ha anche un certo numero di vantaggi. In primo luogo, la lunga emivita consente un dosaggio una volta al giorno, migliorando la compliance del paziente. In secondo luogo, la mancanza di proprietà inducenti implica un basso potenziale di interazioni farmacologiche. Inoltre, l’ampio spettro di efficacia nel trattamento di diversi tipi di crisi può essere vantaggioso in forme di epilessia non chiaramente classificate. Sono però necessari ulteriori dati sulla monoterapia in popolazioni speciali, come per esempio le donne in età fertile.
S pecia l e epi l essia
Epilessia a esordio focale Efficacia e tollerabilità nella pratica clinica di eslicarbazepina in terapia aggiuntiva A cura di Giovanni De Maria Servizio di Neurofisiopatologia, Azienda ospedaliera Spedali Civili, Brescia
L’
Eslicarbazepina acetato (ESL) è un farmaco antiepilettico (AED) approvato come terapia aggiuntiva negli adulti con crisi a esordio focale con o senza generalizzazione secondaria. Agisce come bloccante dei canali sodio (Na+) voltaggio dipendenti, interagendo con lo stato inattivato dei canali Na+ così da esercitare un maggior effetto inibitorio sui neuroni che scaricano rapidamente. ESL ha superato la fase III con evidenze di efficacia provenienti da trials controllati e randomizzati, e possiede anche evidenze di “real practice” da studi osservazionali tra cui uno dei più interessanti è lo studio ESLIBASE (Villanueva V et al. Epilepsy Research 2014; 108: 1243-1252) che si prefigge di valutare, in un contesto di pratica clinica, l’efficacia e la tollerabilità di ESL. ESLIBASE è uno studio retrospettivo, multicentrico per valutare efficacia e tollerabilità di ESL in pazienti con diagnosi di epilessia con crisi focali, con un follow-up di almeno un anno. I pazienti sono stati valutati clinicamente considerando il numero di crisi, gli eventi avversi (AEs) e le modifiche alla terapia con AEDs concomitanti; è stata effettuata un’analisi intention-totreat per valutare efficacia e tollerabilità di ESL a 3, 6 e 12 mesi. Sono stati definiti responders i pazienti con una riduzione in frequenza delle crisi di almeno il 50% rispetto al basale e seizure free i pazienti senza crisi alla fine dello studio. Sono stati inoltre analizzati e confrontati i risultati provenienti da pazienti in trat-
tamento con AEDs Na+ bloccanti o nonNa+ bloccanti. Un’ultima analisi infine è stata condotta relativamente alla sostituzione di CBZ o di OXC con ESL. Sono stati arruolati 327 pazienti, di età media di 41,9 anni con durata media di malattia di 19 anni e con una frequenza media di 9,7 crisi al mese. All’arruolamento, 314 pazienti erano in terapia con altri AEDs, nell’80,4% dei casi con almeno un AED Na+ bloccante (prevalentemente lamotrigina e lacosamide), mentre nel 15,6% dei casi con un AED non Na+ bloccante (prevalentemente levetiracetam e valproato). Nel 4% dei casi non era presente un AED concomitante. ESL è stata introdotta a seguito di uno scarso controllo delle crisi nell’86,9% dei pazienti, mentre nel 13,1% dei casi ESL è stata introdotta in terapia nei pazienti già in trattamento con CBZ o OXC. A 12 mesi, la responder rate era del 52,5% mentre la percentuale di pazienti seizure free era del 25,3% . I risultati hanno mostrato inoltre che la responder rate e la percentuale di pazienti seizure free erano significativamente superiori nel gruppo di pazienti in trattamento con AEDs non Na+ bloccanti rispetto ai pazienti trattati con AEDs Na+ bloccanti. Il dosaggio medio di ESL è stato di circa 1.032 mg/die a 12 mesi. I più frequenti effetti collaterali sono stati vertigine e nausea nell’11,3% dei casi, sonnolenza nel 6,1% dei casi, atassia nel 5,1% dei casi, rash nel 3,6% dei casi, indipendentemente dal tipo di AED associato. Iponatremia è stata riportata nel
2,7% dei casi. Non si è osservato alcun decesso. La sostituzione di CBZ con ESL è stata effettuata nel 75% dei pazienti in trattamento con CBZ. In questo gruppo di pazienti, a 12 mesi, l’11,4% è risultato seizure free, mentre la responder rate è stata del 38,7%, il 20% dei pazienti ha riportato un peggioramento. La sostituzione di OXC con ESL è stata effettuata nel 96% dei pazienti in trattamento con OXC. In questo gruppo, a 12 mesi, il 31,3% è risultato seizure free, la responder rate era del 45,9% e si è avuto un peggioramento nel 16,7% dei pazienti. Il 47,1% dei pazienti nei quali CBZ è stata sostituita da ESL, a causa di scarsa tollerabilità, ha avuto una remissione degli EA; la stessa valutazione sui pazienti nei quali OXC è stata sostituita da ESL ha portato a una remissione degli AE nel 57,7%. Il rapporto di dose nelle sostituzioni è stato il seguente: CBZ:ESL =1:1,5; OXC:ESL =1:1. In conclusione, lo studio ESLIBASE dimostra che ESL come terapia aggiuntiva è risultata efficace e ben tollerata anche nella pratica clinica quotidiana. I migliori risultati si sono ottenuti nei pazienti che non utilizzavano altri AEDs Na+ bloccanti. Gli AEs erano sovrapponibili a quelli degli studi pivotali. La maggior parte dei pazienti con scarsa tollerabilità a CBZ o OXC ha avuto una sensibile riduzione degli EA quando ESL ha sostituito in terapia gli altri Na+ bloccanti, a riprova del suo profilo di tollerabilità. ESL è pertanto un utile AED nella terapia pratica aggiuntiva in pazienti adulti con crisi focali.
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Malattia di Parkinson
Inutile tardare l’inizio della levodopa I risultati di uno studio in pazienti de novo in Africa Lo studio qui presentato è stato condotto da un gruppo di ricercatori italiani e ghanesi e aveva l’obiettivo di valutare se la comparsa di complicanze motorie nella malattia di Parkinson (MP) era principalmente legata alla durata della terapia con levodopa oppure a fattori dipendenti dalla patologia. Sono stati studiati pazienti italiani e africani affetti da MP
Roberto Cilia1, Albert Akpalu2, Fred Stephen Sarfo3, Momodou Cham4, Marianna Amboni5, Emanuele Cereda6, Margherita Fabbri7, Patrick Adjei2, John Akassi3, Alba Bonetti1, Gianni Pezzoli1 1. Centro Parkinson, ICP, Milano; 2. Korle Bu Teaching Hospital, Accra, Ghana; 3. Komfo Anokye Teaching Hospital, Kumasi, Ghana; 4. Ospedale Comboni, Sogakope, Ghana; 5. Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università di Salerno, Salerno; IDC Hermitage-Capodimonte, Napoli; 6. Servizio di Nutrizione e Dietetica, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia; 7. IRCCS Istituto di Scienze Neurologiche, Bologna
È
noto che dopo più di 50 anni dalla sua introduzione nella pratica clinica la levodopa (1) è ancora il farmaco più efficace in assoluto per il controllo della sintomatologia motoria nella malattia di Parkinson, ma che a lungo termine la sua efficacia viene limitata dalla comparsa di complicazioni motorie ovvero le fluttuazioni motorie e le discinesie, che hanno un impatto pesante sulla qualità di vita dei pazienti (2).
Lo stato dell’arte sulla levodopa Molti si sono posti la domanda se la comparsa di queste complicazioni motorie sia un effetto collaterale a lungo termine del farmaco oppure la conseguenza della progressione del processo neurodegenerativo. Nell’animale da esperimento sono associate sia all’entità della perdita dei neuroni dopaminergici, che alla dose e
alla durata della terapia con levodopa (3-5). Tuttavia, non è certo che questi dati siano validi anche nell’uomo, in quanto la patologia viene indotta con una lesione in acuto che non riflette la natura progressiva della malattia. Per questo è stata effettuata una serie di studi nell’uomo nel tentativo di chiarire questo aspetto. Diversi studi, che hanno confrontato pazienti che iniziavano la terapia dopaminergica con levodopa subito con pazienti che posticipavano l’introduzione della levodopa assumendo prima dopamino agonisti, hanno suggerito che l’uso di questi ultimi in monoterapia nei primi anni di malattia permettesse di ridurre l’incidenza delle complicazioni motorie (6-8). Inoltre, altri studi hanno evidenziato che l’incidenza delle discinesie aumentava man mano che aumentava la dose e si allungava il periodo di trattamento con levodopa (911). Al contrario, lo studio ELLDOPA (EarLier vs Later levoDOPA ovvero levodopa prima vs più tardi), una sperimentazione condotta in doppio cieco con assegnazione randomizzata al placebo oppure a una di tre diverse dosi di levodopa non ha evidenziato una progressione più rapida della malattia nei pazienti trattati con levodopa (12). Nonostante i dati clinici non fossero univoci, i neurologi giunsero alla conclusione che le complicazioni motorie fossero un effetto collaterale a lungo termine della terapia a
la neurologia italiana
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Malattia di Parkinson
base di levodopa. Di conseguenza, diventava una fonte aggiuntiva di invalidità (13) e pertanto doveva essere aggiunta solo quando era diventata veramente indispensabile (12, 14). In altre parole, la sua introduzione doveva essere posticipata il più possibile, soprattutto nei pazienti più giovani, tranne nei pazienti che non tolleravano i dopamino agonisti. Del resto, lo studio che avrebbe dimostrato inequivocabilmente se la levodopa era o non era responsabile per le complicazioni motorie non era fattibile per motivi etici: serviva uno studio controllato di confronto tra pazienti trattati subito con terapia dopaminergica a base di levodopa e pazienti in cui questa
terapia veniva posticipata di anni e questo non era ammissibile. Pertanto, l’evidenza che serviva veramente non sarebbe mai stata disponibile.
L’ambulatorio per i parkinsoniani in Africa della Fondazione Grigioni Nel 2008 la Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson ha contribuito all’apertura di un ambulatorio per i pazienti parkinsoniani presso un centro comboniano italiano a Sogakote, in Ghana. L’Africa sta vivendo una transizione demografica e la popolazione anziana diventerà molto più numerosa
negli anni a venire. Pertanto, anche lì la popolazione comincia a sviluppare le malattie neurodegenerative e i neurologi scarseggiano: secondo le stime dell’Oms, è necessario un neurologo ogni 100.000 abitanti, e in Africa ci sono solo 0,3 neurologi per milione di abitanti – in Ghana due in tutto. L’ambulatorio, oltre ad avere scopi umanitari, è stato organizzato fin dall’inizio per effettuare ricerca. Era chiaro che in Ghana ci sarebbe stato un ambiente particolare, con la presenza di fattori ambientali molto diversi da quelli del mondo occidentale, nonché la possibilità di esaminare pazienti con un patrimonio genetico diverso e mai trattati con la terapia farmacologica moderna.
FIGURA 1. DIAGRAMMA CHE ILLUSTRA L’IMPOSTAZIONE DELLO STUDIO
Screening
Casi africani
Disegno dello studio e analisi
Pazienti con qualsiasi forma di parkinsonismo diagnosticata dal team italiano e inclusi nello studio (N =101)
Pazienti controllo italiani
Pazienti consecutivi con MP idiopatica, visitati presso il Centro Parkinson di Milano dal dicembre 2008 al novembre 2012 (N =2.282)
Parkinsonismo atipico primario (N =2); parkinsonismo secondario (N =8)
Analisi longitudinale
Analisi trasversale
Accertamenti al basale
22
Malattia di Parkinson idiopatica (N =91)
Pazienti de novo (N =32)
MP in terapia cronica con levodopa (N =59)
“Gruppo appaiato in modo consecutivo” pazienti con MP appaiati in rapporto 1:2 (casi:controlli) (N =182)
“Gruppo appaiato per terapia” pazienti con MP mai esposti a DA-A e iCOMT (N =50)
Pazienti MP in terapia cronica con levodopa (N =160)
Pazienti con MP con almeno 2 visite effettuate a distanza di almeno 6 mesi (N =32)
Pazienti de novo (N =21)
Accertamenti di follow up
numero 1 · 2015 la neurologia italiana
Note: MP, malattia di Parkinson; DA-A, dopaminoagonisti; iCOMT, inibitori delle COMT
FIGURA 2. RELAZIONE TRA INIZIO DELLA TERAPIA CON LEVODOPA E COMPARSA DI FLUTTUAZIONI MOTORIE, E INIZIO DELLA LEVODOPA E COMPARSA DI DISCINESIE IN PAZIENTI AFRICANI CON MP E PAZIENTI CONTROLLO ITALIANI CON MP CON FLUTTUAZIONI MOTORIE (A). IL GRUPPO CONTROLLO MP È STATO ULTERIORMENTE APPAIATO PER IL REGIME DI TERAPIA (B) Tempo dall’esordio alla diagnosi Tempo dalla diagnosi alla levodopa Durata della terapia con levodopa in assenza di complicazioni motorie Wearing-OFF Italiani Discinesie (n =64)
Coorte MP con fluttuazioni motorie
Levodopa
Discinesie
Wearing-OFF
(3,5 anni)
(5,5 anni)
(6,5 anni)
Africani
(n =33)
Diagnosi
Levodopa Wearing-OFF Discinesie
(4,9 anni)
Durata della patologia (anni)
Levodopa
(5,9 anni)
Wearing-OFF
(1,6 anni)
(6,0 anni)
(7,0 anni)
Discinesie
(5,5 anni)
(6,0 anni)
Italiani
(n =28)
Coorte MP con fluttuazioni motorie Appaiamento per terapia
Africani (n =33)
Diagnosi Durata della patologia (anni)
Inizialmente le ricerche erano imperniate soprattutto sulle cause della malattia (studi genetici e sui fattori ambientali, tra cui l’alimentazione), ma i neurologi, dopo l’osservazione di fluttuazioni motorie in pazienti de novo con una storia di parecchi anni di malattia poco dopo l’introduzione della levodopa (in una paziente di 61 anni con una storia di 6 anni di malattia di Parkinson e sintomatologia relativamente lieve-UPDRS III 19/108-addirittura dopo la prima somministrazione di 150 mg, 2,2 mg/kg) si sono resi conto che là vi era un’opportunità unica nel suo genere per comprendere il ruolo della levodopa nelle complicazioni motorie, effettuando gli studi impossibili da eseguire nel mondo occidentale. Si è così deciso di avviare uno studio con questo scopo che è ora stato pubblicato su Brain (15).
(4,9 anni)
L’impostazione dello studio Analisi trasversale Una casistica di pazienti parkinsoniani africani è stata confrontata con un gruppo di controllo di pazienti parkinsoniani italiani, appaiati per sesso, età e durata di malattia avente numerosità doppia ovvero vi erano 2 pazienti italiani per ogni paziente africano; successivamente è stata effettuata una analisi aggiuntiva in un sottogruppo dei pazienti italiani che stavano assumendo una terapia sovrapponibile a quella dei pazienti africani (senza dopamino agonisti e inibitori delle COMT). w Analisi prospettica longitudinale I pazienti dei gruppi descritti sopra
Levodopa Wearing-OFF Discinesie (5,9 anni)
(6,0 anni)
(7,0 anni)
sono stati inseriti nella analisi longitudinale prospettica se erano disponibili almeno due visite effettuate a distanza di almeno 6 mesi (Figura 1).
La casistica La casistica africana comprendeva 101 pazienti reclutati tra il mese di dicembre 2008 e novembre 2012, da cui 10 sono stati esclusi perché non avevano una diagnosi di malattia di Parkinson confermata da neurologi italiani secondo criteri moderni (16, 17). In caso di dubbio, il paziente veniva ricoverato per una valutazione approfondita basata su reperti clinici e di neuroimaging. Tra questi, 32 pazienti erano de novo ovvero non avevano mai assunto levodopa, 32 pazienti avevano abbastanza dati di follow-up per l’analisi longitudinale; tra questi 21 erano de novo.
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Malattia di Parkinson
La casistica italiana comprendeva 2.282 pazienti visitati presso il centro Parkinson ICP a Milano nel periodo sovracitato. Di essi sono stati presi in considerazione come gruppo di controllo 182 pazienti appaiati per sesso, età e durata di malattia a quelli africani; tra questi, 50 non erano mai stati trattati con dopamino agonisti e inibitori delle COMT e 160 sono stati inseriti nell’analisi longitudinale. Il confronto tra i 91 pazienti africani e i 2.282 pazienti italiani ha evidenziato caratteristiche simili (sesso maschile 63,7 per cento in Ghana, 56,6 per cento in Italia), età media all’esordio 60,6 (range 27-91 anni) rispetto a 62,0 (range 20-89 anni), esordio prima dei 50 anni 20,9 per cento, rispetto a 15,1 per cento; storia familiare di Parkinson 20,9 per cento rispetto a 15,6 per cento, esordio a destra 51,7 per cento, rispetto a 59,4 per cento. Le principali differenze erano: mai
trattati 35,2 vs 6,3 per cento e fumo di sigaretta 6,6 vs 15,8 per cento.
Gli accertamenti Oltre ai dati demografici sono state raccolte informazioni anamnestiche sulla malattia, quali anno e caratteristiche all’esordio, anno in cui è stata introdotta la levodopa. La raccolta è stata effettuata adattando le domande alla cultura locale. Per esempio, per stabilire l’anno di esordio, quando era comparso il primo sintomo, veniva chiesto se era avvenuto prima o dopo eventi importanti nella vita del paziente, come il matrimonio di un figlio, la nascita di un nipotino, il giorno in cui un nipotino aveva cominciato a camminare; dato l’elevato numero di figli e nipoti, questo metodo permetteva di collocare l’esordio nel tempo in maniera abbastanza precisa. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a
un esame neurologico completo con annotazione dei punteggi sulla scala UPDRS (18), lo stadio secondo Hoehn & Yahr (19), e formulazione di un’eventuale diagnosi di demenza secondo DSM-IV-TR (20). Altri parametri erano il fenotipo motorio in OFF, la risposta alla somministrazione di 150-200 mg levodopa dispersibile/75-100 mg benserazide a seconda del peso corporeo (> 70 kg) per una durata di 4 ore. Tutti i pazienti sono stati valutati in OFF (12 ore dopo la sospensione della terapia) e in ON (90 minuti dopo l’assunzione della levodopa). A ogni visita veniva accertata la presenza o assenza di fluttuazioni motorie (wearing off prevedibile, fluttuazioni ON-OFF imprevedibili e periodi OFF improvvisi) e discinesie, che comprendevano movimenti involontari anormali, movimenti coreici e distonie (ma non la distonia in OFF).
tabella 1 Analisi di regressione: le variabili predittive di complicanze motorie Modello predittivo (AUC)a Set di variabilib,c
Fluttuazioni motorie
Discinesie
A+B+C
0,77d
0,79e
B+C+D
0,71
0,75
OR (95% CI)
Valore di P
Dose di levodopa (mg/kg)
1,33 (1,05-1,68)
0,019
Durata della terapia con levodopa all’evento (anni)
1,09 (0,80-1,48)
0,606
Durata di malattia alla comparsa delle fluttuazioni motorie (anni)
1,36 (1,01-1,83)
0,040
Dose di levodopa (mg/kg)
1,19 (1,00-1,42)
0,045
Durata della terapia con levodopa all’evento (anni)
0,93 (0,73-1,18)
0,550
Durata di malattia alla comparsa delle fluttuazioni motorie (anni)
1,42 (1,07-1,87)
0,014
Modello per le fluttuazioni motoried
Modello per le discinesie
e
Note: a capacità di classificare correttamente i casi positivi come quantificato dall’area sotto la curva (AUC): valori vicini a 1 sono indicativi di una migliore performance del modello; b A, dose giornaliera di levodopa (mg/kg); B, durata della levodopa alla comprasa di complicanze (anni); C, durata di malattia alla comparsa di complicanze (anni); D, gravità della malattia (stato in OFF punteggio UPDRS parte III); c il modello che include il set di variabili A+B+C+D non può essere usato data l’elevata collinearità (indice di correlazione di Pearson r >0,5) tra la gravità della patologia e il dosaggio giornaliero di levodopa; d, e i modelli predittivi migliori per le complicanze motorie sono quelli che includono il dosaggio di levodopa, durata della levodopa e durata della patologia alla comparsa; i valori in bold sono quelli statisticamente significativi (p <0,05)
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I pazienti venivano visitati da un neurologo italiano ogni 6 mesi e ogni 2 mesi dal medico locale, che valutava la tollerabilità, la presenza di complicazioni motorie e riforniva i pazienti di levodopa
Terapia a base di levodopa nei pazienti africani de novo La levodopa è stata introdotta subito iniziando con 50 mg x1/die e aumentando lentamente fino a 100 mg tre volte al giorno 20-30 minuti prima dei pasti. Se tale terapia era insufficiente, la posologia poteva essere aumentata ulteriormente in base alle necessità.
Risultati w Analisi trasversale Le principali differenze tra i 91 pazienti africani rispetto ai 182 pazienti italiani erano: • maggiore durata media ± DS della malattia alla diagnosi negli africani (3,9 anni ± 2,4 anni; vs 1,1 ± 1, 4 anni) (p <0,001); • maggiore durata media della malattia al momento di introduzione della levodopa negli africani (4,2 anni ± 2,4 anni; vs 1,1 ± 1, 4 anni) (p <0,001); • fenotipo con tremore predominante più frequente negli africani (74,7 vs 52,2 per cento) (p <0,001); • la dose media ± DS giornaliera di levodopa era inferiore solo in termini assoluti (365 ± 154 mg vs 426 ± 182 mg p =0,01), ma quando i valori venivano aggiustati in base al peso corporeo la dose risultava addirittura leggermente superiore nei pazienti africani (6,5 ± 3,2 mg/kg vs 6,0 ± 2,2 mg p =0,58). Il tasso di fluttuazioni motorie nei pazienti africani è stato del 56 per cento, mentre il tasso di discinesie era del 14 per cento. La durata mediana di malattia quando
sono comparse le complicazioni motorie era sovrapponibile nei due gruppi: africani 6,0 rispetto a 5,5 anni negli italiani per le fluttuazioni motorie (principalmente wearing off – 90,9 per cento); 7,0 vs 6,5 anni per discinesie. La durata mediana della terapia a base di levodopa invece differiva significativamente nei due gruppi: 0,5 negli africani vs 2 anni negli italiani per le fluttuazioni motorie (p =0,001) e 1,0 vs 3 anni per le discinesie (p =0,004; Figura 2A). L’analisi è stata ripetuta tra il gruppo di 91 pazienti africani e 50 pazienti italiani non trattati con dopamino agonisti o inibitori delle COMT, per escludere il fattore confondente della diversità della terapia farmacologica. In questa analisi il tasso di fluttuazioni motorie è stato del 56 per cento in entrambi i gruppi, mentre le discinesie sono state più frequenti negli italiani (13,6 vs 34 per cento). I risultati sono stati simili. La durata mediana di malattia quando sono comparse le fluttuazioni motorie era sovrapponibile nei due gruppi (africani 6,0 rispetto a 5,5 anni negli italiani; 7,0 vs 6,0 anni per le discinesie. La durata mediana della terapia a base di levodopa invece differiva significativamente nei due gruppi: 0,5 negli africani vs 4,5 anni negli italiani (p <0,001) per le fluttuazioni motorie e 1,0 vs 5 anni per le discinesie (p =0,003; Figura 2B). L’analisi di regressione logistica ha confermato che sia lo wearing-off che le discinesie sono associate alla durata della malattia (p =0,04) e alla dose di levodopa, ma non alla durata della terapia con quest’ultima (Tabella 1). w Analisi longitudinale Durante il follow-up dei pazienti africani, la terapia a base di levodopa è stata corretta per ottimizzare il controllo della funzione motoria. Dopo un follow-up medio di 2,6 anni 10 dei 21 pazienti de novo inseriti in questa analisi (48 per cento) presen-
tavano wearing-off e 3 su 21 (14 per cento) presentavano discinesie. Le complicazioni motorie sono comparse molto presto, dopo una durata mediana di terapia con levodopa di soli 6 mesi, mentre la durata mediana della malattia era di 7 anni.
È più importante la durata di malattia oppure il regime posologico della levodopa? Tra i due fattori che contribuiscono alla comparsa delle complicazioni motorie ovvero la durata di malattia e la dose di levodopa, appare più importante il primo, in quanto le complicazioni motorie sono comparse nei pazienti africani a una dose media inferiore alla soglia per le discinesie individuata nello studio STRIDE-PD (in media 365 rispetto alla soglia di 400 mg) (10). Inoltre, in uno studio basato su neuroimmagini acquisite con PET e il tracciante [11C]raclopride, dosi identiche di levodopa hanno indotto cambiamenti progressivamente maggiori dei livelli di dopamina nello striato man mano che la durata della malattia aumentava in seguito a un meccanismo compensatorio secondario alla riduzione della capacità di tamponamento e della ricaptazione presinaptica della dopamina che si verifica man mano che la malattia di Parkinson progredisce.
Conclusioni In base a questo studio in pazienti de novo dell’Africa subsahariana (Ghana) risulta che le complicazioni motorie con la terapia a base di levodopa nella malattia di Parkinson sono associate alla durata della malattia e alla dose giornaliera somministrata di levodopa, ma non alla durata della terapia con quest’ultima.
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Malattia di Parkinson
Pertanto non vi è alcun motivo per posticipare l’inizio di una terapia adeguata a base di levodopa nei pazienti affetti da malattia di Parkinson. È importante ricordarsi di prescrivere
la dose di levodopa in funzione del peso corporeo del paziente (tenere presente il rapporto mg/kg). È importante inoltre, consigliare al paziente lo spostamento del consumo
di alimenti proteici, che interferiscono con l’assorbimento della levodopa, alla sera, in modo da poter ridurre al minimo il dosaggio di levodopa prescritto.
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terapia
Malattia di Parkinson Strategie per migliorare l’assorbimento gastrointestinale di Levodopa L’apparato digerente è uno dei sistemi primariamente affetti dalla malattia di Parkinson. La disfunzione gastrointestinale si manifesta in tutti gli stadi di malattia, con una frequenza del 45-75 per cento dei casi
Francesca Morgante Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Messina
D
opo circa 50 anni dalla sua scoperta, la levo-3,4-diidrossi-fenilalanina (Levodopa) costituisce ancora il farmaco più rilevante nel trattamento della Malattia di Parkinson (MP). L’ipotesi che la Levodopa fosse tossica è stata superata nel corso degli anni [1] così come l’idea che fosse necessario procrastinarla il più possibile per ritardare le complicanze motorie. È ormai chiaro che le fluttuazioni motorie e le discinesie sono legate all’interazione della modalità pulsatile di somministrazione della Levodopa con la progressione di malattia [2]. Per tale motivo, nel corso degli anni numerose formulazioni sono state sviluppate per consentire di migliorare l’assorbimento e la biodisponibilità della Levodopa, specie nelle fasi più complicate della malattia. L’assorbimento della Levodopa avviene in un tratto relativamente breve del duodeno e della porzione prossimale digiunale attraverso il sistema di trasporto degli aminoacidi aromatici situato nella parete intestinale e nella barriera emato-encefalica. In entrambi questi siti l’uptake della Levodopa entra in competizione con quello di altri aminoacidi aromatici. L’uso degli inibitori della Dopa decarbossilasi (carbidopa, benserazide) nelle comuni formulazioni di Levodopa è necessario per ridurre la conversione periferica a dopamina e a minimizzare gli effetti periferici.
Coinvolgimento gastrointestinale nella MP Uno dei problemi principali che condiziona la farmacocinetica della Levodopa è determinato dal fatto che l’apparato digerente è uno dei sistemi primariamente affetti dalla
MP. La disfunzione gastrointestinale è comune in tutti gli stadi della MP con una frequenza dei sintomi gastrointestinali che va dal 45% nelle fasi più precoci al 75% nelle fasi più avanzate [3]. Tutto l’apparato digerente è colpito da disfunzione sia funzionale che strutturale con una vasta gamma di sintomi che includono la scialorrea, la disfagia, il rallentato svuotamento gastrico, la stipsi (Tabella 1). È noto ormai da parecchi anni come la disfunzione gastrointestinale preceda spesso l’esordio dei sintomi motori e che il sistema nervoso enterico è uno dei primi sistemi a essere coinvolto dall’aggregazione patologica di α-sinucleina, la proteina che costituisce i corpi di Lewy nigrali e la cui propagazione sembra associata alla patogenesi della MP [4]. Studi autoptici condotti in pazienti con MP o in soggetti con corpi di Lewy incidentali hanno dimostrato una più elevata concentrazione di α-sinucleina nelle ghiandole sottomandibolari, nella porzione inferiore dell’esofago, nello stomaco, nell’intestino tenue, nel colon e nel retto. Studi bioptici ottenuti dalla mucosa del colon, dalle ghiandole salivari minori e dallo stomaco hanno confermato la presenza di queste inclusioni in elevata concentrazione nei pazienti con MP [5,6]. Il rallentato svuotamento gastrico è uno dei sintomi gastrointestinali più frequenti che riduce l’assorbimento della Levodopa e che determina ritardo nell’inizio del beneficio motorio (fase ON), prolungati periodi di disabilità motoria (Fase OFF), mancata o minore risposta alla Levodopa (“dose failure” e ON subottimale) (Figura 1). Secondo una recente revisione sistematica della letteratura, il rallentato svuotamento gastrico si presenterebbe nel 70-100% dei casi con MP, sebbene in una proporzione non chiara la neurologia italiana
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terapia
Tabella 1. Sintomi gastrointestinali associati alla malattia di Parkinson Sito di disfunzione
Disturbo associato alla MP
Cavo orale
• Scialorrea • Deterioramento dentale
Faringe
• Disfagia
Esofago
• Disfagia
Stomaco
• Ritardato svuotamento gastrico • Reflusso gastroesofageo
Intestino tenue
• Dilatazione
Colon
• Stipsi • Disturbi della motilità intestinale • Volvolo • Megacolon • Perforazione
Retto
• Difficoltà defecatorie
di pazienti sia asintomatico [7]. Il meccanismo del rallentato svuotamento gastrico nella MP non è noto, ma la deposizione di α-sinucleina nel nucleo dorsale motore del vago e nel sistema nervoso enterico sin dalle fasi precoci di malattia potrebbe contribuire al disturbo della motilità gastrica. È tuttavia noto che anche nei pazienti con MP non ancora trattati farmacologicamente vi è un rallentamento dello svuotamento gastrico. Poiché la Levodopa è assorbita
quando raggiunge la porzione prossimale del duodeno, la velocità di svuotamento gastrico è uno dei fattori principali che ne condizionano il suo assorbimento. La velocità di svuotamento gastrico e i livelli plasmatici di Levodopa sono correlati, supportando l’ipotesi che la gastroparesi contribuisce alle fluttuazioni motorie [8]. Altri fattori che inficiano l’assorbimento della Levodopa sono costituiti dall’infezione da Helicobacter pylori (HP) e dalle infezioni intestinali (Figura 1). La Sindrome da proliferazione batterica intestinale (small intestinal bacterial overgrowth, SIBO) è una condizione in cui nel piccolo intestino si verifica un’eccessiva proliferazione di batteri appartenenti alla normale flora intestinale, spesso provenienti dal colon. La SIBO ha un’alta frequenza nella MP ed è associata al tipo e gravità delle fluttuazioni motorie [9,10]; l’eradicazione della SIBO tramite terapia antibiotica si associa a un miglioramento delle fluttuazioni motorie, ma tuttavia vi è un’elevata frequenza di recidiva (circa il 40%), il che rende la terapia antibiotica insufficiente [9].
Le opzioni che favoriscono l’assorbimento di Levodopa
Da quanto esposto precedentemente, è evidente come in mancanza di un sistema di raccolta e sintesi della dopamina a livello nigrale così come si realizza con il progredire della MP, la causa principale che determina le fluttuazioni motorie è legata al passaggio della Levodopa dal tubo digerente al sistema nervoso centrale. Le fluttuazioni motorie sono il fenomeno clinico maggiormente studiato e associato al problematico assorbimento della Levodopa, specie per ciò che concerne il fenomeno del “delayed ON” (ritardo nella Figura 1. Fattori intrinseci alla Malattia di Parkinson che influiscono fase ON). Vi sono numerose strasull’assorbimento intestinale della Levodopa tegie per migliorare tale delicato passaggio, sia dietetiche (limitare il consumo di proteine all’ora Il rallentato transito di pranzo) che farmacologiche. gastrico e l’infezione Fra le strategie farmacologiche, da Helicobacter pylori l’uso di formulazioni solubili di (HP) a livello gastrico Levodopa è associato a una mie la “small intestinal bacterial overgrowth” gliore biodisponibilità rispetto (SIBO) riducono alle formulazioni in compresse l’assorbimento solide. La Levodopa metilestere della Levodopa (melevodopa) è un profarmae si associano ad co altamente solubile prodotto aumentata frequenza dall’esterificazione del gruppo di fluttuazioni motorie, carbossilico della Levodopa; specie imprevedibili, grazie alle sue caratteristiche ritardata fase ON chimico-fisiche, melevodopa è (delayed ON) e minore 250 volte più solubile di Levodorisposta alla Levodopa pa [11,12] consentendo un assor(ON subottimale) bimento più consistente e meno erratico e un’azione più rapida ri-
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spetto alle formulazioni standard di Levodopa. Uno studio recente ha dimostrato un inizio della fase ON più precoce nei pazienti parkinsoniani che assumevano melevodopa rispetto alla formulazione standard di levodopa, con una durata d’azione comparabile fra queste due formulazioni [13]. Altre strategie farmacologiche per minimizzare la variabilità nella riposta legata all’assorbimento intestinale della Levodopa sono i sistemi di infusione di apomorfina (per via sottocutanea) o di levodopa (per via enterale); tuttavia, tali procedure sono proponibili solo a una piccola percentuale di pazienti avanzati che soddisfano gli stretti criteri di selezione per tali procedure. Sebbene il ruolo dell’assorbimento enterale della Levodopa sia consolidato nei pazienti con MP e fluttuazioni motorie, non sono ancora del tutto chiari i fattori che determinano una variabilità della risposta nei pazienti in fase iniziale e stabili, indipendentemente dalla presenza di complicanze motorie. Infatti, è noto che l’entità della risposta alla Levodopa mostra variabilità interindividuale: alcuni pazienti hanno una risposta eccellente con un abbattimento quasi totale della disabilità motoria, altri invece presentano un beneficio minore. Un’iniziale buona risposta alla Levodo-
pa spesso è predittiva di fluttuazioni motorie e discinesie; coloro che invece hanno una minore riposta spesso hanno una minore frequenza di complicanze motorie, ma un più frequente impegno assiale precoce. Uno dei fattori che condiziona la variabilità di risposta è l’età; più è avanzata, minore è la riposta in un test acuto con 250/25 mg di Levodopa/Carbidopa [14]. È altresì stato dimostrato che i pazienti con MP e disturbo del comportamento in sonno REM (RBD) presentano una minore risposta alla Levodopa [15]. Tuttavia, il ruolo dell’assorbimento intestinale della Levodopa non è stato sistematicamente studiato come variabile in grado di condizionare la grandezza della risposta nei pazienti con MP in fase stabile. Studi prospettici che valutino formulazioni solubili di Levodopa in grado di migliorare l’assorbimento sono auspicabili nei pazienti con MP che presentano una minore risposta alla Levodopa. La concomitante patologia gastrointestinale causa di alterato svuotamento gastrico e assorbimento intestinale deve essere presa in considerazione anche nei pazienti iniziali e/o stabili che mostrano minore beneficio dalle formulazioni standard di Levodopa in modo tale da poter adottare precocemente terapie con formulazioni solubili di Levodopa.
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NEWS farmaci Epilessia
La posizione della LICE sull’impiego di valproato nelle donne in età fertile e prefertile
R
ecentemente l’Ema ha apportato importanti restrizioni sull’impiego di valproato. Tali raccomandazioni derivano da evidenze che documentato gravi rischi derivanti dall’utilizzo di farmaci contenenti valproato nelle donne in gravidanza. Com’era prevedibile, la decisione dell’Ema ha generato preoccupazione, soprattutto perché i medicinali a base di valproato sono largamente impiegati in diverse forme di epilessia. Di questo si è discusso nell’ambito della riunione policentrica (29-30 gennaio, Roma) annuale della Lice (Lega Italiana contro l’Epilessia). Gli specialisti presenti concordano con le nuove raccomandazioni Ema che hanno portato alle modifiche della scheda tecnica, e hanno delineato una sorta di “road map”, con lo scopo di fornire informazioni corrette sia ai neurologi che ai pazienti. Di seguito sintetizziamo le indicazioni di rilievo. Anche se alcuni rischi del farmaco erano già conosciuti, i nuovi dati scientifici, che hanno condotto le autorità all’aumento delle restrizioni
per l’utilizzo del valproato, impongono ulteriori cautele per le donne con epilessia in età fertile e prefertile. Si legge nella nota europea che i bambini in età prescolare, esposti a valproato durante la gravidanza, hanno dal 30 al 40 per cento di rischio di avere problemi di sviluppo, inclusi ritardi nel camminare e parlare, problemi di memoria, difficoltà di linguaggio e riduzione del quoziente intellettivo. I nuovi dati suggeriscono anche che questi bambini hanno un rischio tre volte superiore di avere un disturbo dello spettro autistico. Inoltre, dato già noto, hanno un maggiore rischio per malformazioni alla nascita in confronto alla popolazione generale e ai figli di donne con epilessia che assumono altri antiepilettici. La Lice raccomanda di osservare scrupolosamente la scheda tecnica, e in particolare le modifiche recentemente introdotte relative all’utilizzo del valproato in gravidanza, che indicano di: • evitare la prescrizione di valproato come primo farmaco in donne in età fertile;
• utilizzare il valproato solo dopo che altri farmaci antiepilettici si siano rivelati inefficaci; • raccomandare l’uso di un’efficace contraccezione in caso di utilizzo di valproato; • informare le donne che lo assumono, o lo dovranno assumere, dei rischi connessi all’utilizzo di valproato; • discutere, con le donne che già lo assumono, le problematiche recentemente emerse e prendere in considerazione trattamenti alternativi se una donna in trattamento con valproato dovesse pianificare una gravidanza o rimanere incinta; • utilizzare la più bassa dose efficace visto il legame tra il livello plasmatico e le problematiche emerse. Si raccomanda fortemente, comunque, di non interrompere l’assunzione del farmaco senza aver prima consultato il proprio epilettologo di riferimento. Inoltre, in caso di gravidanza non programmata, la Lice raccomanda di valutare attentamente i benefici del trattamento con valproato contro i possibili rischi per il nascituro.
Autismo. I farmaci molecolari, la nuova frontiera della terapia
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no studio realizzato in collaborazione tra ricercatori dello IEO e dell’Università Statale di Milano, e dell’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (FG) apre la strada all’uso di farmaci molecolari per la cura dell’autismo e, più in generale, delle malattie mentali del neurosviluppo. Il lavoro ha portato a scoprire come la disfunzione nell’attività di alcuni geni, provocata da alterazioni del loro “dosaggio” alteri fin da subito lo sviluppo del cervello, del cuore, delle strutture del viso, insomma di tutti i principali organi coinvolti in malattie genetiche che associano disabilità mentale e/o autismo a varie anomalie a carico di numerosi organi. I ricercatori hanno studiato due malattie (sindrome di Williams e autismo) causate da alterazioni speculari nel dosaggio genico, cioè la perdita o la duplicazione di 26 geni che stanno sul cromosoma 7. Tra questi 26 geni, uno in particolare, GTF2I, gioca un ruolo chiave come “fattore di trascrizione”, cioè è un regolatore della funzione di molti altri geni. GTF2I non agisce da solo, ma in associazione con un importante enzima, LSD1. Ebbene, i ricercatori hanno dimostrato che la somministrazione di farmaci contro LSD1 è in grado di ripristinare il corretto funzionamento di alcuni circuiti molecolari, anche in presenza di anomalo dosaggio di GTF2I, aprendo dunque la strada allo studio di come questi inibitori farmacologici possano essere un giorno impiegati anche nell’autismo e più in generale nelle malattie mentali del neurosviluppo.
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farmaci NEWS Malattia di Parkinson Il Chmp dell’EMA “promuove” safinamide
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i primi di gennaio il Chmp ha dato parere positivo per l’approvazione di Xadago® (safinamide; Newron PharmaceuticalsZambon) come terapia in aggiunta alla sola levodopa o alla levodopa in combinazione con agonisti dopaminergici, entacapone, amantadina, e/o anticolinergici, per il trattamento di pazienti affetti da malattia di Parkinson (MP) in stadio medio-avanzato, con fluttuazioni motorie, pur stabilizzati con lo standard di cura. Safinamide è la prima new chemical entity (NCE) negli ultimi 10 anni a ricevere dal Chmp un’opinione positiva per il trattamento dei pazienti affetti da malattia di Parkinson. La decisione positiva è basata sui risultati di due studi internazionali di fase III, condotti verso placebo, su oltre 1.100 pazienti, in cui il farmaco ha dimostrato un’efficacia nel lungo termine. Safinamide ha dimostrato di raggiungere l’efficacia in due settimane e di riuscire a mantenere i benefici di miglioramento dei tempi ON e OFF, senza un aumento delle discinesie. Questo effetto è stato mantenuto nel corso dei due anni, quando il farmaco è stato utilizzato quale terapia add-on in pazienti affetti da MP con fluttuazioni motorie indotte dalla levodopa, verso lo standard di cura. Gli effetti di safinamide dipendono da meccanismi farmacologici differenti rispetto a quelli delle altre molecole utilizzate nella terapia del Parkinson. La molecola agisce con un doppio meccanismo d’azione, consistente nell’inibizione delle MAOB altamente selettiva e reversibile, e nel blocco stato e uso dipendente dei canali del sodio, coinvolti nel rilascio del glutammato, implicato a sua volta nell’insorgenza delle discinesie. Oltre a migliorare le fluttuazione motorie, il trattamento con safinamide è ben tollerato; inoltre non richiede un monitoraggio clinico specifico, restrizioni dietetiche o precauzioni particolari, perché il rischio di interazioni con altri farmaci è molto basso. Gli effetti positivi sui sintomi motori si riflettono anche in un miglioramento della qualità di vita dei pazienti trattati. Ora è attesa l’autorizzazione all’immissione in commercio da parte della Commisssione europea, verosimilmente entro il primo semestre dell’anno.
Iniziative
Maggiore attenzione alla qualità di vita del paziente psichiatrico
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a centralità del benessere del paziente nella pratica clinica in psichiatria è stato il filo conduttore di un simposio “Benessere in psichiatria”, realizzato con il supporto non condizionato di Takeda Italia, nell’ambito del 19°Congresso SOPSI che si è tenuto lo scorso febbraio. La schizofrenia rientra tra le prime dieci patologie a più alto impatto di disabilità sociale: insorge frequentemente in adolescenza, tra i 16 e 18 anni, ed è caratterizzata da vulnerabilità genetica ai fattori ambientali quali, abuso di stupefacenti e di alcol, e da disagio sociale. Nelle aree urbane la prevalenza dei disturbi psicotici è in aumento. Infatti, nascere e vivere fino a 13 anni in ambienti metropolitani aumenta il rischio di schizofrenia. “Benessere in psichiatria” è un’iniziativa volta a identificare strumenti teorici e operativi, per definire e perseguire la science of well-being come standard e come meta terapeutica. Il progetto ha preso il via sul sito www. benessereinpsichiatria.it. e ha l’obiettivo di superare il concetto di remissione sintomatologica e di recupero funzionale in favore di un approccio integrato alla salute globale della disabilità in generale e allo stigma.
Prevenzione dell’ictus Estensione delle indicazioni d’impiego per rivaroxaban
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mportanti novità arrivano nelle indicazioni di impiego per rivaroxaban. La scheda tecnica infatti è stata aggiornata includendo il trattamento di pazienti con fibrillazione atriale (FA)sottoposti a cardioversione elettrica. Rivaroxaban è il primo anticoagulante orale che può essere utilizzato in questa tipologia di pazienti (sia naïve alla terapia anticoagulante sia in terapia con rivaroxaban o altro anticoagulante), per il quale sono disponibili precise indicazioni per l’impiego sia nella cardioversione immediata sia in caso di cardioversione ritardata. L’aggiornamento si basa sui risultati ottenuti nello studio X-VeRT, in cui rivaroxaban in monosomministrazione giornaliera si è mostrato in grado di offrire ai pazienti con FA un’efficace protezione antitrombotica prima, durante e dopo la cardioversione elettrica, riducendo il rischio di instabilità della scoagulazione. X-VeRT è il primo studio prospettico su un nuovo anticoagulante orale, in pazienti con FA sottoposti a cardioversione, disegnato con l’intento di fornire informazioni importanti sull’utilità e i vantaggi pratici di rivaroxaban nella cardioversione immediata e ritardata, rispetto agli antagonisti della vitamina K. Lo studio X-VeRT fa parte di un ampio programma di valutazione di rivaroxaban, in corso su oltre 275.000 pazienti, tra studi clinici e real life. la neurologia italiana
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NEWS farmaci Patologie neurodegenerative
Depressione e demenza: quale relazione
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a relazione tra disturbi dell’umore e patologie croniche neurodegenerative legate all’età è un tema ampiamente studiato, anche in passato, che ha portato di recente a identificare la depressione come fattore di rischio per alcune forme di demenza, tipiche dell’anziano. Un recente convegno, “Memory in the Diseased Brain”, che si è tenuto lo scorso 27 gennaio a Roma si è focalizzato proprio su questo tema, e sull’approfondimento dei meccanismi che stanno alla base dei processi cognitivi e della memoria in relazione alle patologie del sistema nervoso centrale. L’incontro è stato promosso dall’Accademia Pontificia delle Scienze, in collaborazione con Lundbeck Italia. La demenza, e in particolare la sua forma più comune rappresentata dalla malattia di Alzheimer, costituisce un problema di salute pubblica enorme, con un impatto economico e sociale incommensurabile. Negli Stati Uniti per esempio, il costo della malattia di Alzheimer è stimata in 100 miliardi di dollari l’anno. Una recente review su
23 studi ha messo in relazione la depressione e la demenza: su oltre 50mila uomini e donne anziani, quelli che hanno riferito una diagnosi di depressione avevano una possibilità doppia di sviluppare demenza e il 65 per cento in più di avere l’Alzheimer. Una ricerca apparsa su Neurology inoltre ha analizzato 1.764 persone, senza problemi di memoria, che sono state seguite per 8 anni: ebbene i soggetti che sviluppavano un declino cognitivo seppure lieve mostravano anche sintomi di depressione già prima che la demenza fosse diagnosticata, e tra i segni più evidenti c’era proprio la diminuzione del livello di memoria. “L’ipotesi è che trattare la depressione possa diminuire l’incidenza di demenza e che gli antidepressivi non siano una terapia per l’Alzheimer, ma rappresentino una forma di ‘protezione’. Il trattamento per la depressione infatti ha un effetto sia sul recupero del funzionamento individuale e sociale dell’individuo, che di stimolo sulla plasticità cerebrale e la creazione di nuove connessioni grazie a un’azione neuro-
trofica che stimola la produzione di fattori di crescita” ha spiegato all’incontro Marco Andrea Riva, dell’Università di Milano. “I nuovi farmaci antidepressivi multi-modali hanno un meccanismo di azione diverso rispetto a quelli tradizionali come gli SSRI. Non solo aumentano i livelli sinaptici di serotonina, ma modulano significativamente anche altri neurotrasmettitori, tra cui il glutammato, con un’attività importante su due aree cerebrali: l’ippocampo e la corteccia prefrontale. Il risultato è sia una modulazione del tono dell’umore che il miglioramento dei sintomi cognitivi (memoria, attenzione, focalizzazione), che rappresentano un aspetto importante nei disturbi psichici. Infatti, le terapie precedenti determinavano spesso una remissione parziale della sintomatologia, che rendeva il paziente più a rischio di recidive. Abbiamo necessità di ristabilire il paziente nel suo funzionamento affettivo, ma anche in quello intellettuale, risultato che possiamo ottenere se agiamo in maniera integrata su più bersagli cellulari”.
Ricerca
Identificato un nuovo gene collegato alla SLA
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a ricerca italiana nel campo della sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è molto attiva ed è un “fiore all’occhiello” per la neurologia. A ulteriore testimonianza vi è un recentissimo studio pubblicato su Science, che ha portato all’identificazione di un nuovo gene coinvolto nella patologia. Al lavoro, multicentrico e internazionale, hanno preso parte Vincenzo Silani e Nicola Ticozzi dell’Irccs Istituto Auxologico Italiano – Centro “Dino Ferrari”, che hanno coordinato il Consorzio Slagen, costituito da sei centri di ricerca italiani dedicati alla ricerca sulla SLA. Nello studio i ricercatori hanno confrontato il genoma di 2.874 pazienti affetti da SLA con 6.405 individui sani, e hanno identificato un eccesso di mutazioni nel gene TBK1, codificante per la proteina TANK-binding kinase 1. Quale sia l’esatto ruolo biologico di questa proteina non è al momento noto, ma si ritiene che TBK1 sia coinvolta, insieme ad altri geni associati alla SLA, nei processi di autofagia, cioè quei meccanismi con cui i motoneuroni sono in grado di eliminare i componenti cellulari danneggiati. Si ritiene che l’alterazione di questi meccanismi determini un progressivo accumulo di proteine anomale all’interno delle cellule, portandole a morte. La scoperta delle mutazioni in TBK1 suggerisce quindi che alterazioni nei processi di autofagia e degradazione proteica possano essere determinanti nel causare la malattia. Sarà quindi di estremo interesse per il futuro studiare questo nuovo meccanismo patogenetico nell’obiettivo di sviluppare terapie neuroprotettive efficaci. La strada è ancora lunga, ma questo nuovo studio aggiunge un tassello in più nella comprensione dei meccanismi che sottendono la patologia.
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farmaci NEWS NON un altro libro sul mal di testa
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emicrania, la più nota delle cefalee conosciute, affonda le sue radici più profonde in una patologica incapacità di adattamento ai continui cambiamenti dell’equilibrio neuro-psico-fisico cui veniamo esposti nell’arco della vita. Laddove il soggetto normale recupera più o meno rapidamente l’equilibrio perduto, l’emicranico vede saltare i suoi sistemi di omeostasi e risponde con il dolore: ne parla diffusamente il Presidente ANIRCEF (Associazione Neurologica Italiana per la Ricerca nelle Cefalee) Pietro Cortelli dell’Università di Bologna nel 4° capitolo intitolato “Emicrania: il cervello ipersensibile”. L’emicrania vestibolare rappresenta l’apoteosi di questo tallone d’Achille omeostatico perché proprio la vertigine che la caratterizza costituisce l’epifenomeno dell’alterazione del sistema principe dell’equilibrio, quello vestibolare, la cui funzione coinvolge numerosi organi e apparati, interconnessi nell’ambito di sistemi complessi che vanno dal controllo del campo visivo (pensiamo ad es. alla visual vertigo cui è dedicato l’8° capitolo), a quello della funzione motoria e dell’orientamento spazio-temporale, alle funzioni autonomiche o all’attività psichica. Un intreccio così intricato che ancora non tutte le sue connessioni sono state chiarite, restando tuttora oggetto di studio da parte di specialisti di tutto il mondo. A fare un po’ di chiarezza ci ha provato Bruno Colombo, neurologo dell’ospedale San Raffaele di Milano, che insieme al collega otorinolaringoiatra Roberto Teggi ha pubblicato per i tipi della Springer il libro “Vestibular Migraine and Related Syndromes” dove sono raccolti i contributi dei principali esperti italiani ed esteri sull’argomento: ne è nato il primo libro in grado di guidare specialisti e non attraverso quella che viene sempre più considerata una nuova variante dell’emicrania e non già soltanto un’emicrania con un particolare tipo di aura. La ricca messe di dati epidemiologici, fisiopatologici, clinici e diagnostici ne fanno un testo di utile consultazione didattica e pratica, con informazioni up-to-date soprattutto riguardo l’indagine strumentale di ultima generazione che vanno dal classico EEG alla MEG (magnetoencefalografia), ai potenziali evocati, alla TMS (stimolazione magnetica transcranica) alla PET o ai metodi di perfusione e diffusione guidata per lo studio della spreading depression corticale che si verifica nell’attacco emicranico. Ma anche la sezione dedicata all’indagine clinica offre spunti particolari: se, come ad esempio dice nel suo contributo Michael von Brevern di Berlino, nell’emicrania vestibolare non esiste alcun tipo di test specifico con cui rilevare una qualche alterazione né durante gli episodi acuti, né negli intervalli liberi, il libro focalizza l’attenzione del lettore sull’importanza di un segno facilmente rilevabile da qualsiasi medico come il nistagmo e fornisce precise indicazioni sul tipo più spesso associato a questa cefalea: nistagmo spontaneo, posizionale ecc. La terapia dell’emicrania in generale è stata affidata a esperti italiani come Domenico D’Amico e Marcella Curone del Centro Cefalee del Besta di Milano e quella dell’emicrania vestibolare ad Alexandre Bisdorff del Centre Hospitalier Emile Mayrisch del Lussemburgo: anche questi due capitoli saranno di grossa utilità al lettore, sia dal punto di vista didattico, sia da quello pratico, consentendogli di riordinare informazioni che finora poteva trovare solo frammentate in letteratura. A tal proposito va rilevato che la ricchissima bibliografia associata a ogni capitolo consente in ogni caso di risalire puntualmente alle varie fonti originali per eventuali verifiche e approfondimenti. A cura di Cesare Peccarisi
Cervello, mente, dolore: nasce un gruppo di interesse europeo
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ell’ambito della campagna promossa da Grünenthal “My pain feels like…” nasce ora una nuova iniziativa tesa a continuare l’impegno nel migliorare e agevolare la diagnosi e il trattamento dei pazienti affetti da condizioni inabilitanti, come il dolore neuropatico localizzato. È stato istituito, con la co-sponsorizzazione di Grünenthal fino al 2020, un Gruppo di interesse formato da Membri del Parlamento europeo di diverse nazionalità, su “Cervello, Mente e Dolore”. Questo Gruppo di interesse cross-nazionale è supportato dalla Federazione Europea delle Neurological Associations (EFNA) e da Pain Alliance Europe (PAE), l’organizzazione paneuropea che raggruppa le associazioni di pazienti, sia nazionali che europee, impegnate nella lotta al dolore. Il Gruppo si focalizzerà inizialmente sui problemi più comuni che le persone con dolore si trovano a dover affrontare; e uno dei più impattanti è senza dubbio lo stigma sociale.
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NEWS dalle associazioni Fondazione Don Carlo Gnocchi onlus
Superare la disabilità attraverso i “Movimenti di vita“ Fondazione Don Gnocchi nasce sessant’anni fa con l’obiettivo di assicurare cura e assistenza, riabilitazione e integrazione sociale ai bambini rimasti menomati durante la seconda guerra mondiale. Ancora oggi la Fondazione, con i suoi 28 centri in 9 regioni d’Italia, organizza ed eroga prestazioni per la tutela della salute, la cura e il recupero funzionale, sociale e morale di soggetti svantaggiati: non solo giovani portatori di handicap, ma persone di ogni età che necessitano di interventi riabilitativi a seguito di traumi o di patologie invalidanti. Per riuscire ad affrontare al meglio queste situazioni così delicate e difficili, nel mese di marzo la Fondazione promuove la campagna Movimenti di Vita (con donazioni via sms solidali), fondata sull’idea che la disabilità e in generale la malattia non devono essere vissute come un limite alle possibilità di vita dell’individuo, ma come un elemento della vita stessa della persona e di chi è chiamato ad assisterla. Con Movimenti di Vita, la Fondazione
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ha intenzione di proporre, erogare e distribuire uno specifico modello riabilitativo (MecFES), che lavora sull’individuazione, lo stimolo e lo sviluppo del movimento residuo nei pazienti che hanno subito gravi lesioni del sistema nervoso centrale. In particolare, i fondi raccolti verranno utilizzati per la messa a punto di un dispositivo che, già brevettato dalla Fondazione nel mercato internazionale, è capace di restituire un elevato grado di autonomia al paziente neuroleso. L’obiettivo finale è di estendere i vantaggi clinici e assistenziali di questo macchinario al più elevato numero possibile di persone che hanno vissuto l’esperienza devastante di un ictus o di un trauma spinale.
Giornata mondiale delle malattie rare
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uello delle malattie rare è un pianeta in ombra, ma è giunto il momento di farlo emergere e di scoprirlo. È questo il messaggio lanciato in occasione della Giornata mondiale delle malattie rare (28 febbraio) con la presentazione di The Rarest Ones, un video realizzato da Dompé con il patrocinio della Federazione Italiana Malattie Rare UNIAMO F.I.M.R. Onlus. Il protagonista è Tommaso Galluppi, 22 anni, paziente “raro”, volto ufficiale della campagna che focalizza l’attenzione su un tema spesso sottovalutato: quello di chi convive ogni giorno con una di queste patologie. Quasi come se gli animali ne divenissero “testimonial”, in una sorta di “staffetta” virtuosa, Tommaso porta sullo schermo la suggestiva analogia tra questi due mondi. Un messaggio che vuole scuotere le coscienze e spingere alla riflessione e alla condivisione, come mezzo per promuovere uno sguardo consapevole su questo tema. Il video è visualizzabile su Youtube al link: http://youtu.be/Tmv2LKNeEoI.
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