Neuro 2 18

Page 1

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - € 3,00

Anno XIV - n. 2 - 2018

Patologie rare

Polineuropatia amiloidosica ereditaria (TTR-FAP) Una malattia non tanto rara e adesso curabile

> Giuseppe Vita, Anna Mazzeo •

Patologie neurodegenerative

Smart technology per la malattia di Parkinson L’inizio di una rivoluzione?

Di Nuzzo, Laura Campiglio, Roberta Ferrucci, > Chiara Sara Marceglia, Alberto Priori •

encefalopatie

Nodding syndrome

2

L’epilessia autoimmune che colpisce bambini malnutriti

> Cesare Peccarisi •

MP


SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico

Assicurarsi tutti i numeri di Medico e Paziente è facile

Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012

6

DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico

MP

Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con

CLINICA

Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico

> Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci

TERAPIA

Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci

> Domenico D’Amico

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - € 3,00

Anno VIII- n. 2 - 2012 Mensile € 5,00

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI

RINNOVA SUBITO L'ABBONAMENTO!

64° AAN ANNUAL MEETING

Le novità dal Congresso dei neurologi americani

2

I farmaci in fase avanzata di sviluppo per la SM

MP

15,00 euro

Medico e Paziente

25,00 euro

Medico e Paziente + La Neurologia Italiana

Le modalità di pagamento sono le seguenti Bollettino di c.c.p. n. 94697885 intestato a: M e P Edizioni - Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Bonifico Bancario Beneficiario: M e P Edizioni IBAN: IT 70 V 05584 01604 000000023440 Specificare nella causale l'indirizzo a cui inviare la rivista


Anno XIV - n. 2 - 2018

Anno XIV - n. 2 - 2018

MP

Periodico della M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Tel. 02 4390952 - Fax 02 56561838 Registrazione del Tribunale di Milano n. 781 del 12/10/2005 - Filiale di Milano

Sommario 6

Patologie rare

Polineuropatia amiloidosica ereditaria (TTR-FAP)

2

info@medicoepaziente.it

Una malattia non tanto rara e adesso curabile

Direttore editoriale Anastassia Zahova

Fino a pochi anni fa, l’unico trattamento disponibile era il trapianto di fegato. Adesso un farmaco è già in commercio e due nuovi farmaci saranno presto disponibili. È attivo in Italia un Registro Nazionale finanziato dalla Fondazione Telethon

abbonamenti Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 redazione Folco Claudi, Piera Parpaglioni, Cesare Peccarisi segreteria di redazione Concetta Accarrino progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Hanno collaborato a questo numero Laura Campiglio, Chiara Di Nuzzo, Roberta Ferrucci, Sara Marceglia, Michela Marcon, Anna Mazzeo, Alberto Priori, Giuseppe Vita

direttore commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it Stampa Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) Comitato scientifico Giuliano Avanzini, Milano Giorgio Bernardi, Roma Vincenzo Bonavita, Napoli Giancarlo Comi, Milano Ferdinando Cornelio, Milano Fabrizio De Falco, Napoli Paolo Livrea, Bari Mario Manfredi, Roma Corrado Messina, Messina Leandro Provinciali, Ancona Aldo Quattrone, Catanzaro Nicola Rizzuto, Verona Vito Toso, Vicenza

Comitato di redazione Giuliano Avanzini, Milano Alfredo Berardelli, Roma Giovanni Luigi Mancardi, Genova Roberto Sterzi, Milano Gioacchino Tedeschi, Napoli Giuseppe Vita, Messina

Giuseppe Vita, Anna Mazzeo

12 Patologie neurodegenerative Smart technology per la malattia di Parkinson L’inizio di una rivoluzione? Come sarà in futuro l’assistenza al paziente con Parkinson alla luce della crescente diffusione delle tecnologie smart? Gli Autori offrono una panoramica degli “ausili” in fase più o meno avanzata di sperimentazione che potranno (forse) rivoluzionare la gestione della MP

Chiara Di Nuzzo, Laura Campiglio, Roberta Ferrucci, Sara Marceglia, Alberto Priori

20 encefalopatie

Nodding syndrome L’epilessia autoimmune che colpisce bambini malnutriti

Cesare Peccarisi

22 insonnia

Sonno e declino cognitivo Fascino della semplicità nella complessità non prevista

Michela Marcon

rubr ich e

4 26 30 32

news dalla letteratura news dai congressi news farmaci news dalle associazioni

Direttore Responsabile Sabina Guancia Scarfoglio

la neurologia italiana

numero 2 2018

3


NEWS dalla letteratura R. Perri, C.S. Turchetta, A.G. Carlesimo et al.

E. Rubino, I. Rainero, P. Limone et al.

I correlati neuropsicologici delle componenti affettiva, emotivoaffettiva e di auto-attivazione dell’apatia nella malattia di Alzheimer

L’ipotiroidismo subclinico sembrerebbe esporre a un maggiore rischio di emicrania: i risultati di uno studio caso-controllo

❱❱❱ Neuropsychologia 2018 Jan 31. pii: S0028-3932(18)30045-9. doi: 10.1016/j. neuropsychologia.2018.01.039. [Epub ahead of print]

❱❱❱ Cephalalgia 2018 Jan 1: 333102418769917. First published April 22, 2018

I sintomi di apatia includono diverse dimensioni: cognitiva (C), emotivo-affettiva (E-Aff) e di auto-attivazione. Essi risultano correlati a disfunzioni nelle connessioni tra corteccia prefrontale dorso-laterale, orbito-basale e sottocorticale frontale, rispettivamente, e gangli della base. Nella letteratura sulla malattia di Alzheimer, è stata documentata una correlazione della gravità dell’apatia sia con l’alterazione del funzionamento esecutivo sia con l’atrofia della corteccia prefrontale dorso-laterale. Tuttavia, non è chiaro se queste associazioni riguardino solo gli aspetti cognitivi dell’apatia, o anche la dimensione emotivo-affettiva e quella relativa all’auto-attivazione. Inoltre, non sono noti studi che riguardino una possibile associazione dell’apatia emotivo-affettiva alla teoria della mente e alle funzioni cognitive che coinvolgono la corteccia prefrontale orbito-basale. In un nuovo studio pubblicato sulla rivista Neuropsychologia, Roberta Perri, direttrice del Centro per i Disturbi cognitivi e le demenze dell’Irccs Santa Lucia di Roma, insieme con i colleghi dell’Università Tor Vergata della stessa città, ha studiato la possibile relazione tra le diverse forme di apatia e le prestazioni nei test che indagano le funzioni cognitive esecutive e la teoria della mente in soggetti affetti da Alzheimer. A tale scopo, 20 pazienti con Alzheimer e apatia e 20 controlli sani sono stati sottoposti a una valutazione dell’apatia (con un diario settimanale creato appositamente) nonché a una valutazione neuropsicologica delle funzioni esecutive e della teoria della mente. L’analisi statistica ha mostrato che per i soggetti con Alzheimer esiste effettivamente una correlazione tra apatia, in particolare per la sua componente cogntiva, e deficit delle funzioni esecutive. Inoltre, per la prima volta, si è documentata un’associazione tra prestazioni scadenti nei test che valutano la teoria della mente e la componente affettivo-emotiva dell’apatia. In conclusione, questi risultati sono in linea con l’idea che la componente di auto-attivazione dell’apatia sia la somma dei deficit di elaborazione emotiva e cognitiva.

4

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

Esiste un’associazione tra emicrania e ipotiroidismo franco o subclinico? Alcuni studi recenti suggeriscono di sì. La questione è stata quindi affrontata in questo studio pubblicato sulla rivista Cephalalgia da ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze Rita Levi Montalcini dell’Università degli studi di Torino, dell’AO Ordine Mauriziano e dell’AOU Città della Salute e della Scienza del capoluogo piemontese. Lo scopo del lavoro era di stimare la comorbilità dell’emicrania in pazienti con ipotiroidismo subclinico e di valutare le caratteristiche cliniche associate. Utilizzando una metodologia caso-controllo, sono stati reclutati 151 pazienti con ipotiroidismo subclinico (età media 48,36 ±15,86 anni) e 150 controlli (età media 50,86 ±9,19 anni). Per tutti i soggetti, sono stati raccolti alcuni parametri clinici e biochimici cruciali, quali TSH, triiodotironina libera, tiroxina libera e anticorpi antitiroidei. Le caratteristiche dell’emicrania sono state invece documentate mediante un colloquio diretto. Infine, gli Autori hanno confrontato i dati dei pazienti con ipotiroidismo subclinico con e senza emicrania. Dall’analisi dei dati nei pazienti con ipotiroidismo subclinico è emersa una prevalenza dell’emicrania significativamente più alta rispetto ai controlli (46 vs 13 per cento, p <0,001; OR 5,80 CI 95 per cento 3,3510,34). Sia l’emicrania con aura sia quella senz’aura erano significativamente più elevate nei pazienti con ipotiroidismo subclinico rispetto ai controlli (p <0,001 e p =0,010, rispettivamente). Gli ormoni tiroidei e le concentrazioni di anticorpi non differivano tra i pazienti con ipotiroidismo subclinico con e senza emicrania. È interessante notare che una comorbilità per malattie autoimmuni è stata osservata in pazienti con ipotiroidismo subclinico con emicrania rispetto a quelli senza emicrania (p =0,005). In conclusione, sebbene siano necessari ulteriori studi, i dati ottenuti suggeriscono che l’emicrania è più frequente tra i pazienti con ipotiroidismo subclinico rispetto ai controlli.


NEWS S. Nannucci, V. Rinnoci, L. Pantoni et al.

Posizione, numero e fattori associati ai microsanguinamenti cerebrali in una coorte italo-britannica di CADASIL ❱❱❱ PLoS One 2018 Jan 25; 13(1): e0190878 I microsanguinamenti cerebrali sono tra i possibili segni neuroradiologici caratteristici dell’arteriopatia cerebrale autosomica dominante con infarto sottocorticale e leucoencefalopatia (CADASIL). Eppure la frequenza, i correlati clinici e i fattori di rischio relativi sono ancora poco conosciuti. Per colmare questa lacuna, Leonardo Pantoni, dell’Ospedale Sacco di Milano, e colleghi di un’ampia collaborazione tra istituti italiani e britannici hanno condotto uno studio raccogliendo i dati relativi a 125 pazienti con CADASIL afferenti a due centri di riferimento in Italia e Regno Unito. La posizione e il numero dei microsanguinamenti nei soggetti partecipanti è stata valutata analizzando le sequenze gradient echo di risonanza magnetica e applicando la scala Microbleed A. Pichiecchio, F. Alessandrino, F. Calliada et al.

Distrofia di Duchenne: l’elastografia shear-wave potrebbe rappresentare un’utile metodica non invasiva per monitorare i cambiamenti muscolari nelle fasi iniziali di malattia ❱❱❱ Neuromuscular Disorders 2018 Apr 13. pii: S0960-8966(17)31411-6. doi: 10.1016/j. nmd.2018.02.007. [Epub ahead of print] Il lavoro qui presentato è stato condotto da un gruppo di ricerca dell’Irccs Fondazione Istituto neurologico Mondino, Fondazione Irccs San Matteo e Università di Pavia insieme all’Irccs Besta di Milano, per determinare l’elasticità del tessuto muscolare in pazienti affetti da distrofia di Duchenne. A questo scopo i ricercatori hanno utilizzato una tecnica di elastografia a onde trasversali o shearwave in muscoli selezionati degli arti inferiori di cinque pazienti distrofici in età prescolare, correlando poi i dati ottenuti con quelli registrati in cinque bambini sani appaiati per età, e con i dati di

Anatomical Rating Scale in CADASIL. La presenza di microsanguinamenti, fortemente influenzata dall’età, è stata documentata nel 34 per cento dei pazienti. Il 29 per cento dei pazienti, in particolare, presentava tali alterazioni a livello delle regioni sottocorticali profonde, il 22 per cento in quelle lobari e il 18 per cento in quelle infratentoriali. Dopo aggiustamento per età, i fattori associati in modo significativo a un numero complessivamente più elevato di microsanguinamenti cerebrali sono stati: ictus emorragico, demenza, incontinenza da urgenza e uso di statine (quest’ultimo non confermato dall’analisi multivariata). I microsanguinamenti infratentoriali e profondi erano associati a demenza e incontinenza da urgenza, quelli lobari a ictus emorragico, demenza e uso di statine. Inaspettatamente, i pazienti con emicrania, con o senza aura, avevano un numero totale, profondo e lobare di microsanguinamenti inferiore rispetto ai pazienti senza emicrania. In conclusione, la formazione di microsanguinamenti in CADASIL sembra aumentare con l’età. Inoltre, una storia di ictus emorragico, demenza, incontinenza da urgenza e uso di statine è associata a un maggior numero di microlesioni. Tuttavia, concludono gli Autori, questi risultati devono essere confermati da studi longitudinali. risonanza magnetica degli stessi bambini distrofici. L’elastografia shear-wave è una metodica che si basa sulla generazione di onde meccaniche trasversali determinate dallo spostamento dei tessuti, indotto dalla forza di un fascio di ultrasuoni focalizzato o da una pressione esterna. Nei piccoli pazienti con distrofia, la rigidità muscolare è risultata moderatamente più alta rispetto ai controlli sani nei seguenti muscoli: retto femorale, vasto laterale, grande adduttore e grande gluteo. Nessuna correlazione significativa è stata osservata tra valori di rigidità e punteggi ottenuti alla risonanza magnetica. In conclusione, nei muscoli degli arti inferiori dei pazienti con distrofia muscolare di Duchenne in età prescolare la risonanza magnetica ha documentato la presenza di sostituzione di fibre muscolari con tessuto adiposo e di edema a chiazze, mentre l’elastografia a onde trasversali ha mostrato una maggiore rigidità del tessuto muscolare. Sebbene siano necessari ulteriori e più approfonditi studi in popolazioni più ampie, l’elastografia a onde trasversali potrebbe essere considerata un utile strumento non invasivo per monitorare facilmente i cambiamenti muscolari nelle prime fasi della malattia. la neurologia italiana

numero 2 2018

5


Patologie rare

POLINEUROPATIA AMILOIDOSICA EREDITARIA (TTR-FAP) Una malattia non tanto rara e adesso curabile Fino a pochi anni fa, l’unico trattamento disponibile era il trapianto di fegato. Adesso un farmaco è già in commercio e due nuovi farmaci saranno presto disponibili. È attivo in Italia un Registro Nazionale finanziato dalla Fondazione Telethon Giuseppe Vita, Anna Mazzeo UOC di Neurologia e Malattie Neuromuscolari, AOU Policlinico di Messina

L

a polineuropatia amiloidosica familiare (FAP) associata a mutazioni nel gene della transtiretina (TTR) è la forma più comune di amiloidosi genetica. Si tratta di una malattia multisistemica progressiva, trasmessa come carattere autosomico dominante, con esito fatale nel giro di circa dieci anni dall’esordio. La mutazione Val30Met è la più frequente con diversi focolai endemici, per esempio in Portogallo, Svezia e Giappone. Tuttavia, più di un centinaio di altre mutazioni sono state descritte, con varia distribuzione geografica e differente coinvolgimento di organi e apparati (Planté-Bordeneuve, Said 2011).

CLINICA La presentazione più tipica della TTR-FAP è una polineuropatia sensitivo-motoria lunghezza-dipendente con decorso progressivo e di tipo assonale, che di solito inizia con la perdita o alterazione della sensibilità termica e dolorifica ai piedi (neuropatia delle piccole fibre) e lentamente ascende fino agli arti superiori. Un altro tipo di esordio clinico è quello con deficit secondari a depositi focali di amiloide (per es. sindrome del tunnel carpale). Dopo pochi anni dall’esordio, compaiono manifestazioni disautonomiche (per es. ipotensione ortostatica, impotenza,

6

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

fasi alterne di diarrea e stipsi, alterazioni della sudorazione) ed extra-neurologiche variabili, soprattutto una cardiomiopatia, meno frequentemente disturbi oculari e renali. L’esordio può essere precoce (4° decade) o tardivo (6°- 8° decade).

PATOGENESI La TTR è una proteina sintetizzata soprattutto a livello epatico e in minima quantità nella retina e nei plessi corioidei ed è deputata al trasporto della tiroxina e del retinolo. Quattro monomeri costituiscono la struttura finale tetramerica della molecola. Mutazioni del gene TTR diminuiscono la stabilità del tetramero e aumentano la dissociazione in monomeri, che tendono ad aggregarsi nello spazio extracellulare e a formare fibrille insolubili di amiloide. I depositi di amiloide possono riscontrarsi in qualsiasi tessuto. Nei nervi periferici, l’amiloide si accumula soprattutto attorno ai capillari endoneurali. Si manifesta per primo un danno delle fibre amieliniche e successivamente si riduce la densità delle fibre mieliniche di piccolo e poi anche di grosso calibro. Il danno prodotto dai depositi di amiloide nei nervi e nei gangli è legato sia a un effetto meccanico che a un effetto tossico. Sono stati suggeriti numerosi meccanismi patogenetici, quali


Tabella 1

Esami strumentali utili nella diagnosi di TTR-FAP

EMG e neurografia QST, potenziali evocati laser (LEP), Sudoscan Batteria di test vegetativi cardiovascolari Biopsia (grasso periombelicale, ghiandole salivari, mucosa rettale, nervo) Test genetico NT-pro-BNP (marker ematico di disfunzione del ventricolo sinistro) ECG Ecocardiogramma RM cardiaca Scintigrafia con 99mTc-DPD (uptake cardiaco)

un edema endoneurale, ischemia dei nervi, stress ossidativo, infiammazione, apoptosi. Più di 100 mutazioni amiloidogeniche sono state descritte nel mondo con una buona correlazione genotipo-fenotipo. Infatti alcune varianti sono associate a forme prevalentemente neuropatiche, altre a forme cliniche con prevalente o esclusivo interessamento cardiaco (Rapezzi et al. 2013).

cilmente in errore (Tabella 3). La conseguenza è un ritardo diagnostico di circa 4 anni. Un aspetto particolare riveste la diagnosi dello stato di portatore nei parenti asintomatici di pazienti già diagnosticati, a causa degli ovvi aspetti etici, legali e psico-sociali. È necessario programmare un supporto psicologico prima e dopo la comunicazione dell’esito dell’esame genetico sia nei soggetti con risultato positivo sia in quelli con risultato negativo (sindrome del sopravvissuto) (Graceffa et al. 2009).

TERAPIA Il trapianto di fegato o combinato di cuore-fegato, introdotto negli anni 90, è rimasto l’unico trattamento fino a pochi anni fa. Rappresenta una terapia specifica per la TTR-FAP, consentendo la soppressione della principale fonte di TTR mutata. Tuttavia, la sua efficacia è maggiore nei pazienti con mutazione comune Val30Met rispetto ai pazienti nonVal30Met, nei soggetti con esordio precoce, breve durata di malattia, migliore stato nutrizionale, minore coinvolgimento cardiaco (Ericzon et al. 2015). Non bisogna però dimenticare i rischi chirurgici e l’uso continuo di immunosoppressori. Nel 2011 è stato approvato dall’Agenzia Europea del Farmaco il primo farmaco specifico per la TTR-FAP, il tafamidis,

Tabella 2

Condizioni cliniche che associate a una polineuropatia devono fare sospettare una TTR-FAP

DIAGNOSI

Sindrome del tunnel carpale bilaterale

La diagnosi si basa sull’analisi genetica, mentre è dibattuto il ruolo della conferma bioptica dei depositi di amiloide (Tabella 1). Le cosiddette “red flags”, cioè i sintomi e segni che devono fare sospettare una TTR-FAP sono un decorso rapido di una polineuropatia sensori-motoria assonale, una atassia sensitiva ingravescente, neuropatia delle piccole fibre (mani e piedi), un coinvolgimento del sistema nervoso vegetativo, cardiopatia, perdita di peso senza altre cause, opacità del vitreo (Tabella 2). La diagnosi può essere non facile, soprattutto quando non viene riportata una chiara storia familiare e quando le manifestazioni cliniche non sono tipiche (Dohrn et al. 2013; Cortese et al. 2017). Gli errori diagnostici più frequenti sono: polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica (CIDP) a causa di un rallentamento della velocità di conduzione nervosa con lieve aumento delle proteine liquorali, radicolopatia lombo-sacrale, stenosi del canale lombare, neuropatia alcolica, amiloidosi AL, malattia di CharcotMarie-Tooth. Inoltre una scarsa attenzione dei neurologi alla presenza di disturbi vegetativi, la contemporanea presenza di un diabete mellito o di una gammopatia monoclonale, l’assenza di amiloide alla biopsia (grasso addominale, mucosa rettale, ghiandole salivari o nervo periferico) inducono fa-

Parestesie distali Neuropatia delle piccole fibre Instabilità della marcia Ipotensione ortostatica Impotenza Diarrea Stitichezza Secchezza salivare Secchezza lacrimale Aumento o diminuzione della sudorazione Incontinenza urinaria Perdita di peso Cardiopatia Ipertrofia ventricolare in assenza di ipertensione Aumento dei livelli ematici dei peptidi natriuretici (BNP, NT-pro-BNP)

la neurologia italiana

numero 2 2018

7


Patologie rare Studi clinici indipendenti hanno anche riportato l’efficacia del diflunisal, un farmaco non steroideo antinfiammatorio che stabiCondizione clinica Errore diagnostico lizza i tetrameri TTR (Berk et al. 2013). AlCIDP tri farmaci, come l’antibiotico doxiciclina Radicolopatia lombo-sacrale Atassia e parestesie distali e l’acido tauroursodesossicolico (TUDCA) Stenosi del canale lombare sembrano avere un effetto sinergico (Obici Sclerosi laterale amiotrofica et al. 2012). Compromissione motoria Il trattamento sintomatico richiede un apRadicolopatia motoria proccio multidisciplinare per il dolore neuSindrome del tunnel carpale ropatico, la gestione delle aritmie, l’insuffiPolineuropatia idiopatica cienza cardiaca, l’ipotensione ortostatica, i Neuropatia paraneoplastica Debolezza degli arti superiori disturbi gastrointestinali, la malnutrizione, CIDP la perdita di peso (Russo et al. 2016). Alla fine del 2017 si sono conclusi due trial Malattia dei motoneuroni clinici di fase 3, rispettivamente con inoterDebolezza degli arti inferiori Malattia di Charcot-Marie-Tooth sen e patisiran, che utilizzano la tecnologia Parestesie e dolori con storia Neuropatia alcolica antisenso il primo e la capacità di interferire di abuso di alcol con l’RNA messaggero il secondo. EntramNeuropatia associata Neuropatia diabetica bi i farmaci inducono una soppressione fino a diabete al 80-90 per cento dei livelli circolanti di Amiloidosi AL TTR. Inotersen ha inibito la progressione Biopsia positiva per amiloide Amiloidosi AA della neuropatia e migliorato la qualità di vita, indipendentemente dal tipo di mutauna piccola molecola che stabilizza e inibisce la dissocia- zione, stadio di malattia e presenza della cardiomiopatia. zione dei tetrameri TTR in circolazione, prevenendo così la Patisiran è stato addirittura capace di indurre un miglioradeposizione e la formazione delle fibrille amiloidogeniche. Il mento della neuropatia, della qualità di vita, dello stato nufarmaco è disponibile in Italia, è indicato solo per i pazienti trizionale e dei sintomi disautonomici. I risultati di ambedue con neuropatia periferica e deambulazione autonoma (Fase gli studi sono in corso di pubblicazione sul New England 1 di malattia) ed è capace di rallentare la progressione della Journal of Medicine. I due farmaci saranno presto disponineuropatia periferica (Cortese et al. 2016). bili in alcuni centri italiani “per uso compassionevole” e nel 2019 si prevede la loro approvazione da parte di AIFA. Tabella 3

Condizioni cliniche e rischio di errore diagnostico

Figura 1. Distribuzione presunta delle mutazioni TTR-FAP in Italia

Fonte: Parman et al. 2016

8

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

DIFFUSIONE DELLA MALATTIA IN ITALIA La TTR-FAP è una malattia presente in tutto il mondo, che in Europa ha una diffusione endemica ad alta prevalenza nel Nord del Portogallo e nel Nord della Svezia e in misura minore nell’isola di Maiorca e nell’isola di Cipro. Sono conosciute circa 100 mutazioni differenti, con oltre il 70 per cento dei pazienti con la variante Val30Met. Alcuni dati preliminari indicano che l’Italia ha una distribuzione geografica peculiare della malattia con meno di un quarto dei pazienti portatori della mutazione Val30Met e focolai endemici di altre mutazioni soprattutto nel Sud Italia (Figura 1). L’unico studio epidemiologico italiano è stato effettuato recentemente in Sicilia dai ricercatori dell’Università di Messina (Mazzeo et al. 2015). La variante Val30Met è risultata assente, mentre sono stati individuati tre foci endemici per le mutazioni Glu89Gln, Phe64Leu e Thr49Ala con una prevalenza totale di 8,8 casi per milione di abitanti. Le tre varianti hanno differenze significative per quanto riguarda l’età di esordio (Figura 2), i primi sintomi, la prevalente compromissione (neuropatia periferica, disautonomia o car-


ricevuto. Il progetto è stato finanziato (GUP15010) ed è coordinato da Giuseppe Vita (Messina); la rete è costituita da Giampaolo Merlini (Pavia), Claudio Rapezzi (Bologna), Davide Pareyson (Milano), Marina Grandis (Genova), Mario Sabatelli (Roma, Policlinico Gemelli), Gian Maria Fabrizi (Verona), Lucio Santoro (Napoli), Alessandro Mauro (Verbania). Ne fa parte anche la psichiatra Lorenza Magliano (Napoli) che ha il compito di coordinare la parte sul carico psicosociale dei pazienti e dei caregivers. Allo studio collabora anche fAMY, l’Associazione Italiana Amiloidosi Familiare. Recentemente quattro nuovi centri si sono aggregati: Federico Perfetto (Firenze), Giovanni Antonini (Roma, Ospedale Sant’Andrea), Maria Grazia Chiappini (Roma, Ospedale Fatebenefratelli) e Giuseppe Di Iorio (Napoli). Il progetto del Registro Italiano per la TTR-FAP è anche una occasione per sensibilizzare i neurologi sulla diagnosi di questa malattia, che avviene ancora con troppo ritardo dall’esordio dei sintomi. L’attuale disponibilità di terapie farmacologiche rende doverosa una particolare attenzione, anche in assenza di storia familiare positiva. Il Registro Italiano ha l’obiettivo ambizioso di raccogliere tutti i pazienti presenti sul territorio nazionale. A questo scopo, i neurologi non appartenenti ai centri sopramenzionati, che seguono pazienti con TTR-FAP o che sospettano la malattia, sono invitati a prendere contatto con il responsabile del centro più vicino o direttamente con il responsabile del progetto prof. Giuseppe Vita (giuseppe.vita@unime.it).

Figura 2. Curve di penetranza stimate nelle tre diverse varianti identificate in Sicilia. È evidente la differente età di esordio della malattia

Fonte: Mazzeo et al. 2015

diopatia), l’aspettativa di vita (in media tra 7 e 11 anni) e la causa della morte.

IL REGISTRO ITALIANO DI MALATTIA I Centri clinici italiani che hanno condotto uno studio longitudinale per tre anni sugli effetti del tafamidis (Cortese et al. 2016) hanno costituito una rete e presentato alla Fondazione Telethon il progetto di un Registro Nazionale di malattia (http://www.registronmd.it) con l’obiettivo di raccogliere informazioni sulla epidemiologia, il decorso di malattia, le variazioni nel corso di un anno di varie misure di outcome motorie e cardiologiche, sulle correlazioni genotipofenotipo, il carico psicosociale e il supporto professionale

Bibliografia Berk JL, Suhr OB, Obici L, Sekijima Y, Zeldenrust SR, Yamashita T, Heneghan MA, Gorevic PD, Litchy WJ, Wiesman JF, Nordh E, Corato M, Lozza A, Cortese A, Robinson-Papp J, Colton T, Rybin DV, Bisbee AB, Ando Y, Ikeda S, Seldin DC, Merlini G, Skinner M, Kelly JW, Dyck PJ; Diflunisal Trial Consortium. Repurposing diflunisal for familial amyloid polyneuropathy: a randomized clinical trial. JAMA. 2013; 310: 2658-67. Cortese A, Vegezzi E, Lozza A, Alfonsi E, Montini A, Moglia A, Merlini G, Obici L. Diagnostic challenges in hereditary transthyretin amyloidosis with polyneuropathy: avoiding misdiagnosis of a treatable hereditary neuropathy. J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2017; 88: 457-8. Cortese A, Vita G, Luigetti M, Russo M, Bisogni G, Sabatelli M, Manganelli F, Santoro L, Cavallaro T, Fabrizi GM, Schenone A, Grandis M, Gemelli C, Mauro A, Pradotto LG, Gentile L, Stancanelli C, Lozza A, Perlini S, Piscosquito G, Calabrese D, Mazzeo A, Obici L, Pareyson D. Monitoring effectiveness and safety of Tafamidis in transthyretin amyloidosis in Italy: a longitudinal multicenter study in a non-endemic area. J Neurol. 2016; 263: 916-24. la neurologia italiana

numero 2 2018

9


Patologie rare

Dohrn MF, Röcken C, De Bleecker JL, Martin JJ, Vorgerd M, Van den Bergh PY, Ferbert A, Hinderhofer K, Schröder JM, Weis J, Schulz JB, Claeys KG. Diagnostic hallmarks and pitfalls in late-onset progressive transthyretin-related amyloid-neuropathy. J Neurol. 2013; 260: 3093-108. Ericzon BG, Wilczek HE, Larsson M, Wijayatunga P, Stangou A, Pena JR, Furtado E, Barroso E, Daniel J, Samuel D, Adam R, Karam V, Poterucha J, Lewis D, Ferraz-Neto BH, Cruz MW, Munar-Ques M, Fabregat J, Ikeda S, Ando Y, Heaton N, Otto G, Suhr O. Liver Transplantation for Hereditary Transthyretin Amyloidosis: After 20 Years Still the Best Therapeutic Alternative? Transplantation. 2015; 99: 1847-54. Graceffa A, Russo M, Vita GL, Toscano A, Dattola R, Messina C, Vita G, Mazzeo A. Psychosocial impact of presymptomatic genetic testing for transthyretin amyloidotic polyneuropathy. Neuromuscul Disord. 2009; 19: 44-8. Mazzeo A, Russo M, Di Bella G, Minutoli F, Stancanelli C, Gentile L, Baldari S, Carerj S, Toscano A, Vita G. Transthyretin-related familial amyloid polyneuropathy (TTR-FAP): A single-center experience in Sicily, an Italian endemic area. J Neuromuscul Dis. 2015; 2: S39-48. Obici L, Cortese A, Lozza A, Lucchetti J, Gobbi M, Palladini G, Perlini S, Saraiva MJ, Merlini G. Doxycycline plus tauroursodeoxycholic acid for transthyretin amyloidosis: a phase II study. Amyloid. 2012; 19(Suppl 1): 34-6. Parman Y, Adams D, Obici L, Galán L, Guergueltcheva V, Suhr OB, Coelho T; European Network for TTR-FAP (ATTReuNET). Sixty years of transthyretin familial amyloid polyneuropathy (TTR-FAP) in Europe: where are we now? A European network approach to defining the epidemiology and management patterns for TTR-FAP. Curr Opin Neurol. 2016; 29(Suppl 1): S3-S13. Planté-Bordeneuve V, Said G. Familial amyloid polyneuropathy. Lancet Neurol. 2011; 10: 1086-97. Rapezzi C, Quarta CC, Obici L, Perfetto F, Longhi S, Salvi F, Biagini E, Lorenzini M, Grigioni F, Leone O, Cappelli F, Palladini G, Rimessi P, Ferlini A, Arpesella G, Pinna AD, Merlini G, Perlini S. Disease profile and differential diagnosis of hereditary transthyretin-related amyloidosis with exclusively cardiac phenotype: an Italian perspective. Eur Heart J. 2013; 34: 520-8. Russo M, Vita GL, Stancanelli C, Mazzeo A, Vita G, Messina S. Parenteral nutrition improves nutritional status, autonomic symptoms and quality of life in transthyretin amyloid polyneuropathy. Neuromuscul Disord. 2016; 26: 374-7.

10

numero 2 · 2018 la neurologia italiana


e n i l n o

Torna con interessanti novitĂ per il Medico di Medicina generale

zionati Una newsletter con sele ssione, fe ro P lla su ti en im d n fo ro app ratura aggiornamenti dalla Lette si nazionali e highlights dai Congres e internazionali. agile Una versione del sito piĂš ricchita e veloce da consultare, ar li, di contenuti multimedia che possa essere di aiuto tidiana. nella pratica clinica quo

i e n t e b a s t a i s c r i ve rs i z a p e o c i d e iM Pe r r ic ev e r e l a n e w s l e t t e r d ent e .i t i z a p e o c i d e w.m on line al s it o ww n f o @ m e d i c oepa z ie nt e. i t i a l i a m e o z o pp ur e c o m u n i c a r e i l p r o p r i o i n d i r i z


Patologie neurodegenerative

Smart Technology per la malattia di Parkinson L’Inizio di una rivoluzione?

Come sarà in futuro l’assistenza al paziente con Parkinson alla luce della crescente diffusione delle tecnologie smart? Gli Autori offrono una panoramica degli “ausili” in fase più o meno avanzata di sperimentazione che potranno (forse) rivoluzionare la gestione della MP Chiara Di Nuzzo1, Laura Campiglio2, Roberta Ferrucci1,2,3, Sara Marceglia3,4, Alberto Priori1,2 1. ”Aldo Ravelli” Research Center for Neurotechnology and Experimental Brain Therapeutics, Università degli Studi di Milano; 2. Clinica Neurologica III, Polo Universitario San Paolo, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano; 3. Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Milano; 4. Dipartimento di Bioingegneria, Università degli Studi di Trieste;

U

no dei momenti più incisivi alla proclamazione degli Oscar 2017 è stato quando Michael J. Fox –celebre malato di Parkinson - è “tornato dal futuro” mostrando un nuovo modello di scarpe sportive in grado di allacciarsi da sole. Nonostante sembri fantascienza, la ricerca in campo tecnologico sta effettivamente progredendo così velocemente da far diventare oggetti ordinari qualcosa di straordinario, in grado, nel caso della malattia di Parkinson (MP), di aiutare i pazienti a vivere una quotidianità quasi “normale”, dove i disturbi motori e non, impattano sempre meno sulle attività quotidiane. Viviamo in un’epoca caratterizzata dal proliferare di applicazioni (App) e di tecnologie connesse a internet (Internet of Things, IoT) per la salute che consentono di monitorare costantemente l’attività motoria, i parametri fisiologici e di avere quasi una reale cartella clinica sul proprio telefonino (1,2). Oggi parliamo di tecnologia intelligente, intuitiva e facile da usare. “Smart” sono i telefoni, gli orologi, i bracciali

12

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

e gli oggetti in casa, le cui componenti sono miniaturizzate e sofisticate, rendendo tali strumenti funzionali e spesso indispensabili. Date le grandi potenzialità, anche la sanità si sta da tempo affacciando al mondo tecnologico esplorando la nuova frontiera della medicina supportata da strumenti informatici (eHealth) e dell’utilizzo di dispositivi mobili (mHealth) allo scopo di facilitare la pratica clinica (3) registrando accuratamente diversi parametri di interesse in qualsiasi momento e luogo, direttamente dal paziente (4). Una delle malattie che più necessita di questo continuo controllo è la MP, caratterizzata da disturbi motori e non motori che causano un progressivo impatto sulla vita quotidiana del paziente e della sua famiglia (2). La gravità e il decorso estremamente variabile di tale malattia creano altre problematiche come, per esempio, il ricevere cure individualizzate (3), gestire in modo più adeguato la malattia a casa, accedere più facilmente ai medici specialisti (4) e ridurre i costi di gestione della malattia che, solo in Europa, è stimato a più di tredici miliardi di euro l’anno (5).


Di fronte a questo quadro, in che modo la tecnologia può essere di aiuto? In Italia e nel mondo sono ancora pochi gli strumenti tecnologici costruiti ad hoc per un paziente con MP e, la maggior parte di questi è ancora in fase prototipale, non fruibile dai pazienti al di fuori di protocolli sperimentali. Inoltre, la disponibilità e la diffusione di tecnologie e app non validate, in vari ambiti clinici, può esporre il paziente al rischio di selezionare supporti non adatti alla propria condizione, in quanto non basati su un solido background scientifico (9). Pertanto, la validazione e valutazione da parte della ricerca è essenziale e deve essere inclusa nella fase divulgativa a salvaguardia del paziente. Sviluppata secondo criteri riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale, la tecnologia per la MP permetterebbe di raggiungere numerosi traguardi per l’ambito clinico, come: • velocizzare e facilitare la comunicazione con il paziente, • monitorare i sintomi direttamente dal domicilio del malato, • personalizzare le cure, • incrementare l’autonomia e la sicurezza del paziente sostenendo un corretto stile di vita, • raccogliere numerosi dati utili all’avanzamento della ricerca.

Smart technology per monitorare la malattia di Parkinson

Le tecnologie, quali i sensori indossabili e le applicazioni scaricabili sugli smartphone, hanno catturato l’attenzione per la possibilità di rilevare informazioni clinicamente utili nell’ambiente quotidiano del paziente, registrando in modo economico e poco invasivo i movimenti del corpo e i parametri fisiologici (10) (Figura 1). Numerose ricerche hanno dimostrato l’efficacia di tali dispositivi nel monitorare i sintomi del paziente parkinsoniano, risultando anche più precise dei metodi tradizionali (7). Ad esempio, Horne e colleghi (12) hanno indagato la variazione tra discinesie e bradicinesie per estrarre un punteggio relativo alle fluttuazioni motorie che fosse utile a livello clinico. 64 pazienti hanno indossato i sensori per sei giorni consecutivi e i dati, estratti ogni due minuti, venivano elaborati attraverso un algoritmo. I risultati ottenuti hanno evidenziato un’accuratezza del punteggio rilevato grazie agli accelerometri comparabile alle scale standardizzate comunemente usate nella pratica clinica (es. the Unified Parkinson’s Disease Rating Scale, Abnormal Invouluntary Movement Scale e Modified Bradykinesia Rating Scale), dimostrando l’efficacia del segnale acceleromeFigura 1. Dati di rilevanza clinica acquisibili trico nell’individuare quei pada sensori indossabili zienti le cui fluttuazioni motorie sono progressive e richiedono modifiche costanti del piano terapeutico. La rilevanza clinica delle registrazioni di segnali tramite le tecnologie indossabili è stata ulteriormente dimostrata da Moore e colleghi (13) che hanno individuato una configurazione specifica composta da sette sensori posizionati sulla zona lombare, sulla coscia, sotto al ginocchio e sulle caviglie, per analizzare gli episodi di freezing in 25 pazienti con MP. Il campione ha eseguito 134 Time Up and Go (TUG) test e l’esecuzione veniva videoregistrata per poi essere analizzata da due clinici esperti. Questa configurazione di sensori è risultata ideale per studiare in dettaglio le differenze individuali tra i pazienti negli episodi di freezing (episodi improvvisi di difficoltà della marcia con gli Fonte: Piwek et al., 2016 arti inferiori che sembrano conla neurologia italiana

numero 2 2018

13


Patologie neurodegenerative gelati appunto), dimostrandosi un metodo preciso e corretto. Tremore (14), bradicinesia (12), alterazioni vocali (15), disturbi dell’andatura e fluttuazioni motorie (16) sono solo alcuni dei sintomi della MP indagati mediante accelerometro, giroscopio, audio e video registrazioni, possibili grazie ad applicazioni su smartphone e a bracciali indossati dal paziente. Tali risultati hanno permesso l’ideazione di progetti sperimentali più globali per monitorare il paziente [es. SensePark (16), RemPark (17)] promossi all’interno del percorso di cura con la supervisione del clinico [es. PD_Manager (18)]. A supporto della diagnosi clinica e accettato nell’ambito sanitario, è stato individuato Kinesia 360TM (19), sistema che utilizza un’applicazione su smartphone collegata a sensori indossabili per monitorare la gravità dei sintomi della MP durante la giornata; i dati raccolti sono trasmessi via internet a medici e a ricercatori (mantenendo la privacy dei pazienti). Prodotti dalla casa americana mc10, BioStampMD™ e BioStampRC® sono cerotti dotati di sensori in grado di monitorare la percentuale di movimento delle articolazioni, la temperatura e la frequenza cardiaca. I dati sono poi trasmessi a un’applicazione su cellulare per renderli fruibili dai clinici (20). La Start Up Ybrain, di origine coreana, ha prodotto Brain Wellness, una banda che produce una forma di stimolazione non invasiva cerebrale con l’obiettivo di trattare il decadimento cognitivo e la deflessione dell’umore. Infine, la casa australiana Global Kinetics ha prodotto il Parkinson’s KinetiGraph, un braccialetto dotato di accelerometro e giroscopio per valutare le fluttuazioni motorie giornaliere nel paziente parkinsoniano (21) (Tabella 1). Reperibili su internet sono anche PD-Watch, un prototipo indossabile nato per supportare la diagnosi di MP dotato di accelerometro per monitorare il tremore dell’arto nel paziente, che rilascia le informazioni di ventiquattro ore consecutive, e Smartwatch “Emma” anch’esso prototipo di un orologio dotato di sensore che inizia a vibrare al tremore della mano per ridurlo. Tra le applicazioni da scaricare sul proprio smartphone e costruite appositamente per il malato di MP, infine, sono state individuate mPower, CloudUPDRS, Tremor 12 (22), Beats Medical Parkinson’s treaments app, Parkinson’s Diary, My Parkinson’s Manager e My Parkinson’s Exercises. Esse permettono di registrare i dati provenienti da altri sensori indossabili, di annotare le attività da svolgere e appuntare quelle già compiute, di monitorare l’alimentazione e di esercitare la propria mente con appositi esercizi pensati per l’allenamento cognitivo (23).

Smart technology non specifiche per la malattia di Parkinson La possibilità di registrare e memorizzare i dati acquisiti dai sensori sull’applicazione di riferimento rende lo smartphone uno strumento tecnologico estremamente versatile e necessario. Tra i sensori indossabili sul mercato e fruibili sia

14

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

dai medici sia dai malati, emergono i Fitness tracker, quali smartwatch e smartband. Tali dispositivi nascono come strumenti per l’ambito wellness e sportivo come supporto all’automonitoraggio dell’utente. Tuttavia, tali dispositivi sono sempre più diffusi in ambito riabilitativo dove sono sfruttati dallo specialista per valutare, in modo oggettivo e veloce, i progressi del paziente e permettere un intuitivo automonitoraggio al paziente stesso (24). Questi strumenti non sono trattamenti medici quindi non necessitano di prescrizioni per il loro utilizzo; è lo specialista che, a propria descrizione, consiglia di far adottare all’utente il dispositivo. Per facilitare alcune mansioni in ambito domestico, infine, può essere utile Smarthings Hub, un dispositivo che si collega tramite wireless alle tecnologie smart in casa, quali sensori di sicurezza, illuminazione e serrature.

Dispositivi tecnologici di ausilio per la malattia di Parkinson Tra le tecnologie costruite ad hoc per il paziente parkinsoniano, si rintracciano dispositivi per supportare la pratica clinica, comunemente accettati e riconosciuti come dispositivi medici, ausili tecnologici pensati per semplificare alcune attività della vita quotidiana rivolte al paziente e dispositivi a supporto della riabilitazione motoria e cognitiva (esclusivamente citati nel presente articolo in quanto necessiterebbero di un ulteriore approfondimento). Tra gli ausili tecnologici utili al paziente per gestire i sintomi nella vita quotidiana e presenti sul mercato italiano, emergono il Liftware (25), un cucchiaio che grazie a un sistema di stabilizzazione riduce il tremore fino al 76 per cento, rendendo più agevole il portare le posate alla bocca, e un bastone laser per superare gli episodi di freezing grazie al cue visivo (26). Sempre per facilitare l’andatura, si sta approfondendo l’utilizzo dei Google Glass nella vita quotidiana, un particolare tipo di occhiale per la realtà aumentata che viene collegato ad apposite applicazioni (27), di cui ne è esempio il progetto promosso dal Centro Ricerca sul Parkinson e sui Disturbi motori dell’Irccs San Raffaele Pisana di Roma. Da citare è anche Cupid che, sempre in fase sperimentale, utilizza realtà virtuale e videogiochi per svolgere la riabilitazione motoria direttamente a casa (28) (Tabella 1).

Le potenzialità per il medico e il paziente

Le tecnologie smart si propongono come potenzialmente utili nel far fronte alle difficoltà oggettive della MP e delle procedure sanitarie che si rivelano spesso lunghe e complesse, portandoci a riflettere sulla possibilità di avvalersi di nuovi strumenti che rispondano ai bisogni clinici dei pazienti. È inequivocabile, infatti, che per gli specialisti in ambito medico poter catturare in remoto informazioni comportamentali oggettive nella vita quotidiana di un paziente, permettereb-


Smart technologies individuate nel panorama italiano e internazionale utili per il monitoraggio della MP da parte del medico e per aiutare il paziente a diminuire l’impatto negativo dei sintomi sulla qualità di vita

Tabella 1

Tipologia

Nome

In commercio o sperimentali

Sensori / Caratteristiche utili per MP

Certificazione europea (CE)

Fascia di prezzo

Ausili per il paziente

Per supporto medico

Tecnologie in commercio e sperimentali costruite per la malattia di Parkinson a livello nazionale e internazionale Kinesia 360™

Applicazione su smartphone collegata a sensori indossabili per monitorare la gravità dei sintomi della MP durante la giornata

In commercio internazionale

CE per uso medico

Non pervenuto

BioStampMD™ e BioStampRC® prodotti da mc10

Cerotti dotati di sensori in grado di monitorare la percentuale di movimento delle articolazioni, la temperatura e la frequenza cardiaca. I dati sono poi trasmessi a un’applicazione su cellulare

In commercio internazionale

Extra europeo

Non pervenuto

Brain Wellness prodotto da Ybrain

Banda che produce una forma di stimolazione non invasiva cerebrale con l’obiettivo di trattare il decadimento cognitivo e la deflessione dell’umore

In commercio in Corea

Extra europeo

Non pervenuto

Parkinson’s KinetiGraph, prodotto da Global Kinetics

Braccialetto dotato di accelerometro e In commercio giroscopio per valutare le fluttuazioni motorie internazionale giornaliere

CE per uso medico

Non pervenuto

PD-Watch

Dispositivo indossabile nato per supportare la diagnosi di MP dotato di accelerometro per monitorare il tremore dell’arto

Prototipo

-

Smartwatch “Emma”

Orologio dotato di sensore che inizia a vibrare al tremore della mano per ridurlo

Prototipo

-

Liftware

Posata con motore auto-stabilizzante e antitremore

In commercio anche in Italia

CE

350 euro

Bastone laser

Bastone dotato di un laser che crea un cue visivo per terra per superare il freezing durante la camminata

In commercio anche in Italia

CE

189 euro

Applicazioni per Google Glass

Applicazioni per realtà aumentata finalizzate alla riabilitazione motoria e per sostenere l’andatura

Sperimentale

-

Cupid

Realtà virtuale e videogiochi per la riabilitazione motoria

Sperimentale

-

Le tecnologie in commercio e sperimentali non specifiche per la malattia di Parkinson disponibili in Italia

Smartphone

Dispositivo tecnologico di supporto per scaricare applicazioni comunicanti con i sensori indossabili e per la gestione quotidiana

In commercio anche in Italia

CE

Da 200 euro

Smartwatch

Vivavoce, microfono, cardio- frequenzimetro, accelerometro, giroscopio, barometro, GPS, monitoraggio del sonno, contapassi

In commercio anche in Italia

CE

Da 40 euro a 450 euro

Smartband

Obiettivi giornalieri e barra motivazionale, GPS, cronometro, contapassi, distanza percorsa; monitoraggio del sonno, cardiofrequenzimetro, accelerometro, registrazione delle calorie bruciate, respirazione

In commercio anche in Italia

CE

Da 33 euro a 450 euro

Smart Things Hub

Collegato, tramite wireless, ai dispositivi smart in casa per controllare termostato, sensori di sicurezza, illuminazione e serrature. Dotato di speaker

In commercio

CE

Da 199 a 239 euro

la neurologia italiana

numero 2 2018

15


Patologie neurodegenerative

Figura 2. Smart patient ecosystem

Implementazione di un sistema di cura a distanza basato su smart technology: sensori indossabili per monitorare i disturbi motori, strumenti domotici per controllare il paziente nell’ambiente domestico, smartphone per memorizzare i dati acquisiti che vengono inviati al medico e al caregiver tramite internet be di ottimizzare le strategie di trattamento e di ampliare le conoscenze riguardo la MP dal punto di vista scientifico, individuando quei predittori che permettono di differenziare le fasi della malattia come supporto alla diagnosi clinica (14,29). Inoltre, numerosi sono i risultati scientifici che avvalorano l’accuratezza (88 per cento) e l’alta sensibilità (95 per cento) delle registrazioni effettuate da sensori indossabili comparate alle valutazioni condotte dai test classicamente usati (r >0,65) (10). Di recente, uno studio americano ha impiegato lo smartphone per misurare la risposta dopaminergica in 129 pazienti con MP, dimostrando senza ombra di dubbio la sua efficacia (30). È stata costruita un’applicazione (HopkinsPD) da installare sul telefonino capace di valutare cinque attività (voce, finger tapping, camminata, equilibrio e tempi di reazione), il cui grado di severità era misurato grazie un apposito indice (mPDS). Comparando con i test clinici comunemente utilizzati, le misure acquisite sono risultate correlate con UPDRS (Totale: r =0,81; p <0,001; Parte III: r = 0,88; p <0,001), Timed Up and Go test (r =0,72; p =0,002) e H&Y (r =0,91; p <0,001), dimostrando così la validità nell’utilizzare lo smartphone per monitorare la severità dei sintomi motori della MP (30). Da questa serie di dati emergono le grandi potenzialità nell’utilizzare le nuove tecnologie che si riversano sui ma-

16

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

lati. Per il paziente, essere monitorato a distanza significherebbe ricevere un intervento medico individualizzato, basato sulle necessità riscontrate nel proprio quotidiano; gli consentirebbe di ridurre i costi delle visite specialistiche e le difficoltà logistiche che spesso comportano; gli permetterebbe di essere costantemente in comunicazione con il proprio medico, facendolo sentire più sicuro e seguito, migliorando la relazione con lo specialista; sarebbe coinvolto attivamente nel monitorare la propria condizione di salute, supportando maggiore consapevolezza del proprio percorso di cura.

Le tecnologie stanno spostando la cura del malato di Parkinson all’interno delle mura domestiche? L’attuale scenario è rappresentativo di un rapido progresso tecnologico e di IoT che stanno influenzando l’ambito della salute promuovendo un modello di cura centrato sul paziente. È il caso della MP, patologia neurodegenerativa estremamente complessa nel suo decorso e nella sua manifestazione sintomatologica, che richiederebbe una supervisione costante da parte sia del paziente sia del medico. Il futuro promosso dalle nuove tecnologie indossabili è di poter implementare un modello di cura a distanza creando un “smart patient ecosystem”, ovvero l’introduzione dei sen-


sori indossabili e di nuova generazione che comunicano con l’ambiente di casa, mantenendo un continuo monitoraggio e un dialogo tra paziente e medico (31) (Figura 2). Molti dispositivi non sono ancora fruibili a livello commerciale e, tra gli strumenti presenti sul mercato, non tutti rispettano e sono indirizzati a un uso medico specifico per la MP. I dati di ricerca tuttavia, confermano l’elevata compliance e la soddisfazioni dei pazienti di fronte all’introduzione di tali nuove tecnologie per monitorare costantemente il proprio stato di malattia, rinforzando ulteriormente la fattibilità di un progetto di cura traslato in ambiente domestico. In tale scenario, emergono numerose potenzialità sia per il paziente sia per il clinico nell’utilizzare tali dispositivi. La persona con MP è più coinvolta nel processo di cura, più informata della sua progressione e consapevole delle modalità per gestirla. Gli specialisti, dall’altra parte, si trovano di fronte a strumenti che supportano un intervento efficace, una riduzione dei tempi nelle valutazioni specialistiche, una semplificazione logistica delle visite e un supporto per le diagnosi (32). Ciò comporterebbe un rivoluzionario modo di trattare la MP, una nuova forma di comunicazione e di relazione tra medico e paziente centrata sulla cooperazione. Di fronte a questi numerosi aspetti positivi, affiorano tuttavia alcuni limiti da tenere presenti nell’utilizzo di queste nuove tecnologie: spesso, i fattori sociali ed economici influenzano notevolmente l’uso e l’accesso a tali dispositivi in casa così come dimostrato, infatti, dalla bassa familiarità verso la tecnologia dei pazienti anziani (33). Non solo i malati, ma anche i medici e le strutture sanitarie devono essere disposte e preparate all’utilizzo delle nuove tecnologie per promuovere un monitoraggio del paziente all’interno del suo ambiente domestico; ne deriva l’importanza di promuovere dispositivi che vengano validati scientificamente e sviluppati in

base a requisiti normativi specifici. Emerge infine una lacuna nell’individuare modalità e strumenti tecnologici all’avanguardia, poco invasivi e piacevoli che aiutino a controllare anche i sintomi non chiaramente individuabili come quelli non motori quali, il decadimento cognitivo, la deflessione dell’umore, i sintomi psichiatrici e i disturbi del sonno, che rappresentano spesso i fattori che più incidono sulla qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie (34). Si deduce quindi la necessità dell’implementazione di un modello di cura costruito in base alle necessità e alle difficoltà percepite dal malato e che soddisfi le esigenze cliniche, in modo da promuovere non solo un percorso medico più economico, efficace e funzionale, ma anche un miglioramento reale della qualità di vita. È da precisare che l’introduzione delle nuove tecnologie non sostituirebbe il ruolo fondamentale delle strutture sanitarie, ma gioverebbe per una cura continuativa e costante, permettendo di raggiungere traguardi quali, velocizzare e facilitare la comunicazione con il paziente, monitorare i sintomi direttamente dal domicilio del malato, personalizzare le cure, incrementare l’autonomia e la sicurezza del paziente sostenendo un corretto stile di vita e raccogliere numerosi dati utili all’avanzamento della ricerca. Le smart technology dimostrano di essere un alleato indispensabile per medici e pazienti nel rivoluzionare e migliorare la gestione e la convivenza con la malattia. L’assistenza sanitaria si sta inevitabilmente trasferendo all’interno delle mura domestiche iniziando in qualche modo a rivoluzionare le tradizionali forme di cura e il rapporto medico-paziente. Ringraziamenti: La dottoressa Chiara di Nuzzo è assegnista di ricerca dell’Università degli Studi di Milano supportata dalla donazione in memoria di “Aldo Ravelli”.

Bibliografia 1. Marceglia S, Fontelo P, Ackerman MJ. Transforming consumer health informatics: connecting CHI applications to the health-IT ecosystem. J Am Med Inf Assoc 2015; ocu030. 2. Marceglia S, Conti C. A technology ecosystem for chronic pain: promises, challenges, and future research. mHealth 3, 2017. 3. Cortez NG, Cohen IG. FDA Regulation of Mobile Health Technologies. N Engl J Med. 2014; 371(4): 372–9. 4. Ferreira JJ et al. Quantitative home-based assessment of Parkinson’s symptoms: The SENSE-PARK feasibility and usability study. BMC Neurol 2015; 15(1): 89. 5. Martinez-martin P. The importance of non-motor disturbances to quality of life in Parkinson’s disease. J Neurol Sci 2011; 310(1–2): 12–6. 6. Maetzler W, Klucken J, Horne M. A clinical view on the development of technology-based tools in managing Parkinson’s disease. Mov Disord 2016 Sep; 31(9): 1263–71. 7. Stocchi F, Bloem BR. Move for Change Part II: a European survey evaluating the impact of the EPDA Charter for people with Parkinson’s disease. Eur J Neurol 2013; 20(3): 461–72. 8. Olesen J et al. The economic cost of brain disorders in Europe. Eur J Neurol 2011; 19(1): 155–62. 9. Shuren J, Califf RM. Need for a national evaluation system for health technology. Jama 2016; 316(11): 1153–4. 10. Del Din S, Godfrey A, Mazzà C, Lord S, Rochester L. Free-living monitoring of Parkinson’s disease: Lessons from the field. Mov

la neurologia italiana

numero 2 2018

17


Patologie neurodegenerative

Disord 2016 Sep; 31(9): 1293–313. 11. Espay A, Bonato P, Nahab F, Maetzler W. Technology in Parkinson’s disease: Challenges and opportunities. Movement Disord 2016; 31(9): 1272-1282. 12. Horne MK, McGregor S, Bergquist F. An objective fluctuation score for Parkinson’s disease. PLoS One 2015; 10(4): e0124522. 13. Moore ST, Yungher DA, Morris TR, Dilda V, MacDougall HG, Shine JM et al. Autonomous identification of freezing of gait in Parkinson’s disease from lower-body segmental accelerometry. J Neuroeng Rehabil 2013; 10(1): 19. 14. Patel S, Hughes R, Huggins N, Standaert D, Growdon J, Dy J et al. Using wearable sensors to predict the severity of symptoms and motor complications in late stage Parkinson’s Disease. In: 2008 30th Annual International Conference of the IEEE Engineering in Medicine and Biology Society. IEEE 2008; 3686–9. 15. Tsanas A, Little MA, McSharry PE, Ramig LO. Nonlinear speech analysis algorithms mapped to a standard metric achieve clinically useful quantification of average Parkinson’s disease symptom severity. Journal of the royal society interface, 2011; 8(59): 842-855. 16. Ferreira JJ et al. Quantitative home-based assessment of Parkinsonian symptoms: The SENSE-PARK feasibility and usability study. BMC Neurol 2015; 15(1): 89. 17. Samà A et al. A double closed loop to enhance the quality of life of Parkinson’s Disease patients: REMPARK system. Stud Health Technol Inform 2014; 207:115-124. 18. Gatsios D, Rigas G, Miljkovic D. mhealth platform for Parkinson’s disease management. In Proceedings of 18th International Conference on Biomedicine and Health Informatics CBHI, 2016. 19. Heldman DA, Giuffrida JP, Cubo E. Wearable Sensors for Advanced Therapy Referral in Parkinson’s Disease. J Parkinsons Dis 2016; 6(3): 631–8. 20. Chandler DL. John Rogers and the Ultrathin Limits of Technology: His Flexible, Skin-Mounted Biostamp Is Changing the Game for Wearable Diagnostic Devices. IEEE pulse 7.1 2016: 9-12. 21. Griffiths RI et al. Automated assessment of bradykinesia and dyskinesia in Parkinson’s disease. Journal of Parkinson’s disease 2012; 2(1): 47-55. 22. Kubben P, Kuijf ML, Ackermans LP, Leentjes AF, Temel Y. TREMOR12: An open-source mobile app for tremor quantification. Stereotact Funct Neurosurg 2016; 94(3): 182–6. 23. Brouillette RM et al. Feasibility, reliability, and validity of a smartphone based application for the assessment of cognitive function in the elderly. PloSone 2013; 8(6): e65925. 24. Casamassima F et al. A wearable system for gait training in subjects with Parkinson’s disease. Sensors 2014; 14(4): 6229–46. 25. Pathak A et al. A noninvasive handheld assistive device to accommodate essential tremor: a pilot study. Movement Disorders 2014; 29(6): 838-842. 26. Pezzoli G, Tesei S. Guida alla malattia di Parkinson. AIP editore, 2001. 27. Zhao Y et al. Feasibility of external rhythmic cueing with the Google Glass for improving gait in people with Parkinson’s disease. Journal of Neurology 2016; 263 (6): 1156-1165. 28. Ginis P et al. Feasibility and effects of home-based smartphone-delivered automated feedback training for gait in people with Parkinson’s disease: a pilot randomized controlled trial. Parkinsonism & Related disorders 2016; 22: 28-34. 29. Marceglia S et al. Web-based Telemonitoring and delivery of caregiver support for patients with Parkinson disease after deep brain stimulation: protocol. JMIR research protocols 2015; 4(1). 30. Zhan A et al. Using Smartphones and Machine Learning to Quantify Parkinson Disease Severity: The Mobile Parkinson Disease Score. JAMA Neurology 2018; Mar 26. doi: 0.1001/jamaneurol.2018.0809. [Epub ahead of print]. 31. Arora S, Venkataraman V, Zhan A, Donohue S, Biglan KM, Dorsey ER, Little MA. Detecting and monitoring the symptoms of Parkinson’s disease using smartphones: A pilot study. Parkinsonism & related disorders 2015; 21(6): 650-653. 32. Espay AJ et al. Technology in Parkinson’s disease: Challenges and opportunities. Movement Disorders 2016; 31(9): 1272-1282. 33. Smith A. Older adults and technology use: Adoption is increasing, but many seniors remain isolated from digital life. Pew Research Center 2014. 34. Stamford JA, Schmidt PN, Friedl KE. What engineering technology could do for quality of life in Parkinson’s disease: A review of current needs and opportunities. IEEE journal of biomedical and health informatics 2015; 19(6): 1862-1872.

18

numero 2 · 2018 la neurologia italiana


SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico

Assicurarsi tutti i numeri di Medico e Paziente è facile

Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012

6

DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico

MP

Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con

CLINICA

Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico

> Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci

TERAPIA

Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci

> Domenico D’Amico

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - € 3,00

Anno VIII- n. 2 - 2012 Mensile € 5,00

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI

RINNOVA SUBITO L'ABBONAMENTO!

64° AAN ANNUAL MEETING

Le novità dal Congresso dei neurologi americani

2

I farmaci in fase avanzata di sviluppo per la SM

MP

15,00 euro

Medico e Paziente

25,00 euro

Medico e Paziente + La Neurologia Italiana

Le modalità di pagamento sono le seguenti Bollettino di c.c.p. n. 94697885 intestato a: M e P Edizioni - Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Bonifico Bancario Beneficiario: M e P Edizioni IBAN: IT 70 V 05584 01604 000000023440 Specificare nella causale l'indirizzo a cui inviare la rivista


encefalopatie

Nodding syndrome L’epilessia autoimmune che colpisce bambini malnutriti A cura della redazione (Cesare Peccarisi)

D

all’unico centro in Uganda per il trattamento della cosiddetta Nodding syndrome, attrezzato a Odek nel distretto di Omoro, arriva un grido d’allarme per il recente aumento di casi che si sta verificando con due ragazzi di 15 e 17 anni deceduti nel mese di febbraio per l’incuria e la negligenza di parenti e familiari a seguito di malnutrizione, incidenti o infezioni secondarie dopo che i due giovani con questa forma epilettica caratterizzata da crisi atoniche erano stati dimessi con altri 27 dall’ospedale in conseguenza del taglio dei fondi governativi. La Nodding syndrome, che significa malattia dell’annuire dall’inglese to nod cioè “ciondolare il capo”, sua caratteristica peculiare, è stata osservata per la prima volta in Tanzania nel 1960 per poi interessare l’Africa Sub-Sahariana, soprattutto Uganda e Sudan del sud. Si tratta di un’encefalopatia che, oltre al caratteristico ciondolamento del capo, presenta anche altri tipi di accessi epilettici e un progressivo deterioramento neurologico. “La crisi economica che ha colpito il Paese sta mettendo a rischio i nostri giovani perché l’unico Centro che dava loro una speranza è stato chiuso –ha denunciato Peter Okello della Omoro District Nodding Syndrome Task Force dalle pagine del quotidiano online http://allafrica.com - e secondo indagini di fonti governative adesso la loro salute è peggiorata del 55 per cento”. Eppure l’anno scorso questa malattia aveva addirittura conquistato la copertina di Science Translational Medicine grazie a uno studio con l’imprimatur di NIH, NINDS, CDC e Ministero della Sanità ugandese (DOI:10.1126/ scitranslmed.aaf6953) che ne indicava il

20

possibile trattamento dopo che la sua eziopatogenesi era stata ricondotta al parassita Onchocerca volvulus, un nematode trasmesso dalle femmine delle mosche nere Simulium, ancora assenti in Italia, ma diffuse da tempo anche in America del Sud. Si tratterebbe degli stessi parassiti responsabili della cecità dei fiumi dell’Africa Centrale e del Sud-America i cui sintomi principali sono intenso prurito, dermatiti e lesioni oculari fino alla cecità e per la quale James A. Cotton del Wellcome Trust Sanger Institute di Hinxton (UK) ha proposto nel 2016 lo sviluppo di farmaci anti-oncocerchiasi da sollecitare alla FDA, in uno studio multicentrico pubblicato insieme ad altri otto centri universitari USA e quattro canadesi su Nature Microbiology (doi: 10.1038/nmicrobiol.2016.216).

Le ipotesi sulla patogenesi Il più recente studio di Science Translational Medicine sulla Nodding syndrome ha però prospettato possibilità di trattamento diverse basate sull’immunoterapia precoce indicando che l’insolita forma epilettica che colpisce soprattutto giovani fra 5 e 15 anni ha come causa l’auto-anticorpo leiomodina-1 indotto dal contatto con il nematode. Peccato infatti che sia neurotossico, per cui la reazione immunitaria all’agente parassitico dell’oncocercosi o oncocerchiasi diventa causa della sindrome nodding, che riconoscerebbe quindi una causa neurologica autoimmune parainfettiva. Resta da chiarire se l’anticorpo rivolto

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

contro la leiomodina-1 sia la risposta all’insulto neurologico piuttosto che la sua causa e occorrerano futuri studi immunoneuropatologici che potrebbero evidenziare la presenza anche di una risposta citotossica T-mediata e allora l’anticorpo per la leiomodina-1 assumerebbe i caratteri di biomarker. Il trattamento dello “spiacevole effetto collaterale” potrebbe dunque puntare su immunoterapia precoce in modo da attenuare la risposta infiammatoria indotta dai nematodi filariformi dell’oncocercosi, come peraltro i ricercatori della Mayo Clinic indicavano già nel 2012 quando per primi definirono la “Nodding” un’epilessia autoimmune in un articolo pubblicato sugli Archives of Neurology (doi: 10.1001/archneurol.2011.2985), lo stesso numero in cui Gregory K. Bergey della Johns Hopkins University di Baltimora aveva pubblicato un comment dal titolo alquanto allusivo Autoantibodies in the patient with drug-resistant epilepsy: are we missing a treatable etiology? (doi: 10.1001/archneurol.2012.354). Fatto sta che ancora 4 anni dopo, nel 2016, Richard Idro e coll. del Makerere University College of Health Sciences di Kampala pubblicavano sull’International Journal of Infectious Diseases una review su questa malattia (doi: 10.1016/j.ijid.2016.03.002.) scrivendo che la Nodding syndrome è un devastante disturbo neurologico dall’incerta eziopatogenesi che affligge i bambini africani e per la quale non esisterebbero né un test diagnostico, né fattori di rischio ed è scarsa la documentazione su


sintomi precoci che possano favorirne una diagnosi precoce. Gli Autori precisano inoltre che l’Uganda è uno dei Paesi subshariani più colpiti (secondo l’OMS oltre 16mila casi solo dal 2013) e che a partire dal 21 dicembre 2015 il locale Ministero della Salute ha intrapreso una sistematica campagna di prevenzione e di ricerche, che come abbiamo visto, è stata ora bruscamente interrotta per esaurimento dei fondi. Su quella stessa rivista solo 2 anni prima Robert Colebunders e coll. dell’Università belga di Antwerp avevano segnalato una chiara correlazione epidemiologica fra la sindrome e la presenza di larve nei corsi d’acqua di Sudan e Uganda, proponendo come soluzione il trattamento dei fiumi con larvicidi (https://doi.org/10.1016/j. ijid.2014.08.00) e sottolineando come la prevalenza di questa forma epilettica fosse più alta nelle aree endemiche per oncocercosi. Farmaco di scelta per i pazienti sarebbe l’ivermectina, oggetto del Premio Nobel 2015 ai parassitologi William C. Campbell dell’Università del New Jersey e Satoshi Omura dell’Università di Tokio per le loro ricerche sulle patologie tropicali neglette. Con un’unica somministrazione ogni sei mesi per dieci anni (periodo di sopravvivenza del nematode) l’ivermectina evita la perdita della vista a chi è stato colpito dall’infezione. Guardacaso, quando in Uganda questa campagna di prevenzine era stata impiegata a tappeto contro la sindrome della cecità dei fiumi, i casi di Nodding syndrome erano pressoché scomparsi per poi risalire quando tale campagna di prevenzione è stata sospesa. Resta da capire perché la Nodding sia comparsa improvvisamente in aree dove l’oncocercosi era comunemente presente da secoli e perché colpisca quasi esclusivamente soggetti al di sotto dei 15 anni d’età. Nel 2016 Peter S. Spencer e coll. del Nodding Syndrome Research Team avevano formulato sul Journal of the Neurological Sciences (https://doi. org/10.1016/j.jns.2016.08.023) alcune risposte, correlando l’andamento epi-

demiologico della malattia nei primi 13 anni del nuovo millennio nel distretto Kitgum dell’Uganda del nord ai cambiamenti climatici e alla disponibilità di cibo nelle aree colpite e indicando alcuni punti fermi: w Cibo fresco: i picchi di malattia verificatisi fra il 2003 e il 2008 combaciano con i periodi di minor raccolto e conseguentemente di minor disponibilità di cibo fresco (mesi di aprile e giugno). w Cibo conservato: nel periodo immediatamente precedente l’esordio della malattia nei bambini, la sussistenza delle famiglie in cui si sono verificati uno o più casi, si è basata in maniera significativa su cibo conservato, spesso ammuffito, per lo più mais.

w Morbillo e PESS: i picchi verificatisi

fra il 2003 e il 2008 sono stati preceduti da una pregressa infezione di morbillo e la Nodding condivide caratteristiche cliniche con la PESS, la panencefalite subacuta sclerosante, notoriamente associata a virus del morbillo quiescenti e carenze alimentari. w Causa indipendente: la conclusione degli Autori è che l’oncocercosi sia una causa indipendente della malattia a cui si associano le altre messe in luce dalla loro indagine epidemiologica, un’ipotesi però contestata dalla review pubblicata l’anno scorso sull’International Journal of Infectious Diseases e dai risultati riportati da Robert Colebunders sull’efficacia dell’ivermectina.

Quali conclusioni si possono trarre? Forse la risposta può derivare da tutte le ipotesi finora formulate: la Nodding syndrome è riapparsa improvvisamente a seguito dei fenomeni di riscaldamento globale che hanno portato a scarsità di piogge con riduzione dei raccolti e della disponibilità di cibo fresco, a cui si è aggiunto un aumento della diffusione del morbillo in quelle aree che ha portato soprattutto i bambini a una maggior vulnerabilità, in cui si è inserita l’oncocercosi che ha potuto agire su un terreno fertile dando luogo alla misteriosa forma epilettica nota come Nodding syndrome. Resta da vedere se quando fu osservata per la prima volta nel 1960 tutti questi cofattori erano già presenti. “I nuovi dati sull’associazione fra infezione da Onchocerca volvulus, la cosiddetta Nodding syndrome e il supposto meccanismo patogenetico di natura autoimmune della sindrome sono certamente assai suggestivi -commenta Francesco Castelli, Direttore della Clinica di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Brescia - ASST Spedali Civili di Brescia- ma vanno ancora risolti i dubbi connessi all’incostante presenza dell’anticorpo anti-leiomodina1 nel liquor cefalo-rachidiano dei soggetti affetti e alla possibile presenza di altri cofattori confondenti, possibilmente anche di natura nutrizionale. Il mosaico è probabilmente complesso e forse non univocamente monofattoriale, richiedendo ulteriori studi di follow up sia clinico che epidemiologico, con l’impiego di stretti sistemi di sorveglianza sull’incidenza della sindrome nelle aree dove le campagne di massa con ivermectina diminuscono la carica parassitologica di popolazione di Onchocerca volvulus, come avvenuto in Africa Occidentale negli ultimi 20 anni del secolo passato”. Se quindi nella pratica clinica capitasse di osservare un giovane immigrato con questo tipo di sintomi, magari proveniente dal Sudan, il sospetto di una Nodding andrebbe considerato, anche se poi resta comunque il dubbio su quale terapia adottare: puntare sull’ivermectina dei premi Nobel del 2015 o associarla a un’immunoterapia con immunoglobuline, ciclosporine oppure monoclonali? Per quanto forse ormai parzialmente superate, potrebbero allora essere ancora d’aiuto le linee guida di trattamento proposte nel 2013 dai ricercatori dell’Università di Kampala su African Health Sciences (http://dx.doi. org/10.4314/ahs.v13i2.4). la neurologia italiana

numero 2 2018

21


insonnia

Sonno e declino cognitivo Fascino della semplicità nella complessità non prevista Michela Marcon

U.O. Neurologia, Centro Declino Cognitivo Ospedale Civile San Bortolo, Vicenza

L’

invecchiamento cerebrale, immaginato anche come una modificazione della flessibilità delle connessioni interneuronali, è probabilmente parte di una riconfigurazione di multipli sistemi di funzionamento, secondaria a eventi “fisiologici” o a una sommatoria di noxae patogene di diversa natura, per cui ogni soggetto subisce cambiamenti più o meno drastici delle proprie abilità, innate e/o acquisite. Non ci stupisce quindi, per esempio, che declino cognitivo e disturbi del sonno siano condizioni molto comuni nell’età medio-avanzata. Grazie a numerosi studi di questi ultimi anni, sappiamo che il sonno, in particolare quello a onde lente, è necessario per il buon funzionamento del cervello e per il consolidamento della memoria (1,2). Durante la veglia i neuroni, per riorganizzare le loro interazioni in risposta a stimoli intrinseci o estrinseci e per mantenere un circuito neuronale funzionale, devono aumentare la forza sinaptica e questo richiede importanti costi energetici a livello cellulare, con incremento dello stress metabolico (tradotto in termini ipnologici come processo S). L’aumento della forza sinaptica riduce anche la selettività delle risposte neuronali e satura la capacità di imparare. Funzione fondamentale del sonno è il ripristino dell’omeostasi sinaptica (3); rinormalizzando la forza delle connessioni, si riduce il peso sinaptico del cervello con conseguente effetto positivo sulle funzioni neuronali e sul consolidamento e integrazione dei ricordi. Un altro modello per spiegare la plasticità sinaptica è quello descritto da Diekelmann e Born (1), in cui si ipotizza che l’ippocampo durante

22

il sonno ripristini dei circuiti con la neocorteccia, rinforzando connessioni selettive, solo a livello neocorticale. Secondo entrambe queste visioni, il sonno avrebbe quindi un ruolo fondamentale nel selezionare le informazioni da cancellare o da salvare, in modo da recuperare una capacità cerebrale funzionale sufficiente per il giorno successivo. Un’alterazione dei meccanismi del sonno potrebbe quindi interferire con la funzione di diverse vie neuronali, in particolare quelle GABAergiche, con conseguente compromissione della plasticità sinaptica (4). Numerosi studi sperimentali ed evidenze epidemiologiche suggeriscono un’associazione tra accumulo di β-amiloide e alterazione dei ritmi sonno-sveglia (5) (Figura 1). Si è dimostrato che durante il sonno vi è un incremento di più del 60 per cento dello spazio interstiziale corticale con conseguente aumento dei flussi convettivi del liquido interstiziale (via glinfatica) e secondaria maggiore clearance di β-amiloide e degli altri prodotti di degradazione dell’attività neurale che si sono accumulati durante la veglia (6). La privazione e/o una ridotta qualità di sonno sono associate ad aumentato accumulo di β-amiloide. È stato anche dimostrato che con l’invecchiamento si riducono i neuroni che secernono orexina (7), ormone prodotto a livello ipotalamico, fondamentale nel promuovere e nel mantenere la veglia, e che questa sua diminuzione sia da mettere in relazione con un patologico accumulo di β-amiloide (8). Anche altri neurotrasmettitori (acetilcolina, adenosina, istamina, serotonina, noradrenalina e dopamina) subiscono modificazioni nel corso delle varie

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

fasi del sonno e nel passaggio sonno veglia, oltre a essere implicati in diversi meccanismi cognitivi (9). La perdita dei neuroni colinergici, per esempio, durante l’invecchiamento e nella malattia di Alzheimer potrebbe contribuire al declino cognitivo alterando sia i processi di sonno che di memoria.

Disturbi del sonno nell’età avanzata w Architettura del sonno ed età

Come per molti altri processi fisiologici, l’architettura del sonno si modifica con l’avanzare dell’età: l’efficienza e il tempo totale di sonno si riducono, si incrementano latenza e frammentazione del sonno, diminuiscono il sonno a onde lente (SWS) e il sonno REM (10, 11). Anche se alcuni di questi cambiamenti sembrano essere funzione di una normale senescenza (12), altri invece potrebbero derivare da sottostanti e differenti noxae patogene che compromettono l’integrità delle aree cerebrali e dei sistemi neurotrasmettitoriali e ormonali che regolano i ritmi sonno veglia. Grazie a una metanalisi allargata su 65 diversi studi in adulti sani, si è osservata una maggiore alterazione del sonno secondaria all’invecchiamento negli uomini rispetto alle donne. In questa analisi, gli uomini hanno mostrato un ridotto tempo totale di sonno, una diminuita percentuale di sonno N3 e dei WASO (risvegli dopo l’insorgenza del sonno) rispetto alle donne che invece esibivano, per contro, un aumento del tempo di addormentamento rispetto agli uomini (13) (Figura 2). Questi risultati sono di particolare interesse dato che le donne spesso de-


Figura 1. Relazione bidirezionale tra sonno e malattia di Alzheimer

Note: AD, malattia di Alzheimer

nunciano maggiori problemi di sonno rispetto agli uomini e fanno soprattutto maggior ricorso ai farmaci ipnotici. Analoghi risultati sono stati confermati dallo Sleep Heart Health Study (esteso su 2.685 partecipanti). Non è chiaro se questa differenza di genere nell’architettura del sonno dipenda da cambiamenti ormonali o da fattori ambientali. w Insonnia/Disturbi del sonno

L’insonnia è un disturbo caratterizzato dalla difficoltà nell’inizio o nel mantenimento del sonno o da sensazione di sonno non ristoratore, presenti da almeno un mese. Si stima che circa il 25 per cento delle persone oltre i 55 anni lamenti insonnia in cui la sintomatologia è principalmente correlata a sonno ritardato, sonno interrotto, risvegli precoci al mattino, scarsa qualità del sonno con associate conseguenze negative diurne. Studi di immagine hanno cercato di correlare, in maniera non conclusiva, la presenza di atrofia ippocampale e della sostanza grigia orbitofrontale e parietale alla presenza di insonnia (14, 15).

Una recentissima review ha analizzato le evidenze presenti in letteratura relative all’associazione tra sonno e neurogenesi dell’ippocampo negli adulti in condizioni fisiologiche e disturbi dell’umore (16). Come mostrato in figura 3, diversi fattori, tra cui ambientali (ad esempio esercizio fisico, stress fisico/psicosociale) ed endogeni hanno una possibile azione nella modulazione della neurogenesi dell’ippocampo adulto. Numerose evidenze suggeriscono che il sonno agisce come un modulatore della neurogenesi dell’ippocampo adulto; è stato dimostrato, attraverso studi preclinici, che i disturbi del sonno (cioè privazione del sonno, frammentazione, privazione del sonno REM selettiva) portino a una diminuzione della velocità basale della proliferazione e della sopravvivenza delle cellule. Rimane tuttavia da chiarire un ruolo selettivo per il sonno REM sulla maturazione e differenziazione delle cellule. Inoltre, l’interruzione del sonno ha un impatto negativo sulla plasticità sinaptica e funzioni dipendenti dall’ip-

pocampo. I risultati della review confermano quindi che gli effetti del sonno sulle funzioni dipendenti dall’ippocampo potrebbero essere mediati, in parte, dalla neurogenesi ippocampale alterata. Un recente studio clinico su volontari sani ha confermato che l’interruzione delle attività a onde lente aumenta in acuto i livelli di proteina β-amiloide, mentre una cattiva qualità del sonno protratta per numerosi giorni aumenta i livelli di proteina tau (17).

Conclusioni Molteplici ricerche epidemiologiche hanno individuato sette fattori di rischio, potenzialmente modificabili, correlati all’insorgenza di demenza di Alzheimer (diabete, ipertensione e obesità in età avanzata, fumo, depressione, bassa scolarizzazione e sedentarietà). Anche l’alterazione dei meccanismi del sonno può contribuire alla neurodegenerazione promuovendo la neuroinfiammazione e inibendo la neurogenesi, soprattutto nelle aree ippocampali, regione neuroanatomica chiave per l’ap-

la neurologia italiana

numero 2 2018

23


insonnia

Figura 2. Effetto dell’invecchiamento sulla struttura del sonno

Fonte: Dorffner G et al., 2015 (13)

prendimento e la memoria. I disturbi del sonno, generalmente trattati come un sintomo, dovrebbero essere unanimemente riconosciuti come un fattore di rischio per demenza, potenzialmente modificabile, se diagnosticato e correttamente trattato. Le alterazioni del sonno, inoltre, potendo precedere di molti anni l’insorgenza di svariate patologie neurodegenerative, possono rappresentare un biomarker clinico utile alla diagnosi precoce. Diventa quindi importante diffondere la cultura del sonno come possibile arma preventiva nei confronti delle patologie neurodegenerative.

riferimenti bibliografici 1. Diekelmann S et al. Nat Rev Neurosci 2010; 11: 114–26. 2. Stickgold R. Nature 2005; 437: 1272–78. 3. Tononi G et al. Brain Research Bulletin 2003; 62: 143–150. 4. Havekes R et al. Cell Signal 2012; 24: 1251–60. 5. Ju YE et al. Nat Rev Neurol 2013; 10: 115–119. 6. Lulu X et al. Science 2013; 342. 7. Sakurai T et al. Ann N.Y. Acad. Sci 2010; 1200: 149–161. 8. Kang JE et al. Science 2009; 326: 1005–07. 9. Boutrel B et al. Sleep 2004; 27: 1181-94.

10. Ohayon MM et al. Sleep 2004; 27: 1255–73. 11. Floyd JA et al. Sleep 2007; 30: 829–36. 12. Vitiello MV. Sleep Med Clin 2006; 1: 171–6. 13. Dorffner G et al. Adv Exp Med Biol 2015; 821: 93–100. 14. Riemann D et al. Sleep 2007; 30: 955–58. 15. Altena E et al. Biol Psychiatry 2010; 67: 182–85. 16. Navarro-Sanchis C et al. Front Neural Circuits. 2017 Oct 12; 11: 74. 17. Ju YS et al. Brain 2017; 140: 210411.

Figura 3. Fattori potenzialmente implicati nella modulazione della neurogenesi dell’ippocampo nell’adulto

Fonte: Navarro-Sanchis C et al., 2017 (16)

24

numero 2 · 2018 la neurologia italiana


e n i l n o

Torna con interessanti novitĂ per il Medico di Medicina generale

zionati Una newsletter con sele ssione, fe ro P lla su ti en im d n fo ro app ratura aggiornamenti dalla Lette si nazionali e highlights dai Congres e internazionali. agile Una versione del sito piĂš ricchita e veloce da consultare, ar li, di contenuti multimedia che possa essere di aiuto tidiana. nella pratica clinica quo

i e n t e b a s t a i s c r i ve rs i z a p e o c i d e iM Pe r r ic ev e r e l a n e w s l e t t e r d ent e .i t i z a p e o c i d e w.m on line al s it o ww n f o @ m e d i c oepa z ie nt e. i t i a l i a m e o z o pp ur e c o m u n i c a r e i l p r o p r i o i n d i r i z


NEWS congressi

Positivi i dati di estensione a 7 anni per alemtuzumab nei pazienti con SMRR Durante il 70simo meeting AAN sono stati presentati i risultati dell’estensione a 7 anni degli studi registrativi CARE-MS I e CARE-MS II relativi al trattamento con alemtuzumab in pazienti con sclerosi multipla relapsingremitting (SMRR). In sintesi è emerso che in più di due terzi dei pazienti non è stato osservato un peggioramento della disabilità confermata al settimo anno, dall’inizio del trattamento con alemtuzumab , e inoltre gli effetti sulle rica-

dute e a livello di risonanza magnetica (MRI) inclusa la perdita di volume cerebrale, sono stati mantenuti nel tempo, sebbene la maggior parte dei pazienti non avesse ricevuto alcun trattamento aggiuntivo nei precedenti sei anni. In particolare, dopo i primi due cicli con il farmaco, somministrati all’inizio dello studio e 12 mesi dopo, il 59 per cento dei pazienti trattati con alemtuzumab nello studio CARE-MS I e il 47 per cento nel CARE-MS II non hanno ricevuto ulte-

riore trattamento nei successivi sei anni. Il tasso annualizzato di ricadute osservato nei pazienti trattati nel CARE-MS I (0,18) e nel CARE-MS II (0,26) è rimasto basso durante tutta la fase di estensione. Trend positivo anche per la progressione della disabilità: al settimo anno, il 74 e il 69 per cento dei pazienti trattati negli studi CARE-MS I e CARE-MS II rispettivamente, non hanno riscontrato un peggioramento della disabilità confermata. Al termine del settimo anno, i pazienti che hanno ricevuto alemtuzumab hanno mostrato un rallentamento della perdita di volume cerebrale; in particolare negli anni dal terzo al settimo, la perdita media annuale del volume cerebrale è stata pari a -0,20 per cento o inferiore, più bassa di quella osservata durante gli studi registrativi. Sul fronte della tollerabilità, l’estensione ha sostanzialmente confermato il profilo osservato nei trial registrativi. La frequenza di eventi avversi tiroidei è stata più alta al terzo anno (CARE-MS I: 15 per cento; CARE-MS II: 17 per cento) per poi diminuire successivamente.

Nella sclerosi multipla recidivante, ocrelizumab si rivela promettente anche sul declino cognitivo Il trattamento con ocrelizumab si associa a una significativa riduzione dell’attività di malattia e della progressione della disabilità nei pazienti con sclerosi multipla recidivante (SMR). Ma non solo. Gli effetti positivi del trattamento sembrano interessare anche le funzioni cognitive, ritardando il declino cognitivo dei pazienti. Questi in estrema sintesi i risultati che emergono dalle numerose presentazioni nell’ambito del Congresso AAN, e che mettono in evidenza come questa molecola diretta contro i linfociti B abbia un impatto favorevole sui diversi parametri di attività e disabilità. Interessanti sono i risultati relativi all’attività cerebrale alla RM misurata nel periodo randomizzato e nella fase di estensione in aperto (OLE) degli studi di fase III. I pazienti che hanno proseguito la terapia con ocrelizumab hanno mantenuto un basso numero di lesioni in T1 Gd+ e di lesioni in T2 nuove e/o in espansione fino al secondo anno della fase OLE. I pazienti che sono passati dal trattamento con interferone beta-1a a ocrelizumab all’inizio del periodo OLE hanno evidenziato una soppressione

26

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

completa delle lesioni T1 Gd+ per scansione al primo e al secondo anno, nonché una riduzione delle lesioni T2 nuove o in espansione per scansione pari all’85 e al 96 per cento rispettivamente al primo e al secondo anno. I nuovi dati sulla performance cognitiva sono stati oggetto di una presentazione orale e hanno evidenziato che nei soggetti affetti da SMR, rispetto a interferone beta-1a, ocrelizumab ha ridotto il rischio di deterioramento cognitivo confermato a 12 e 24 settimane del 38 e del 39 per cento (rispettivamente p ≤ 0,001 e p = 0,002) durante il periodo di 96 settimane. Un dato questo di particolare interesse, dal momento che la compromissione cognitiva interessa fino al 65 per cento dei soggetti affetti da sclerosi multipla. Inoltre, l’analisi ad interim dello studio di fase III OBOE ha mostrato un impatto favorevole del trattamento sui livelli di biomarcatori nel liquor, con una riduzione nei valori per le catene leggere dei neurofilamenti e per i linfociti B CD19+. In tutte queste sperimentazioni, i dati sulla sicurezza sono rimasti coerenti con il profilo beneficio-rischio favorevole del farmaco.


NEWS nuovi risultati per la molecola sperimentale siponimod nella SMSP Siponimod (BAF312) è un modulatore selettivo di specifici sottotipi del recettore della sfingosina-1-fosfato (S1P) in fase di sperimentazione nei pazienti affetti da sclerosi multipla secondariamente progressiva (SMSP), una forma della malattia per la quale attualmente non vi sono opzioni efficaci di trattamento. I risultati presentati a Los Angeles derivanti da un’analisi dello studio di fase III EXPAND fanno ben sperare e vanno ad aggiungersi ai dati già promettenti riguardo al trattamento con siponimod, tanto che l’azienda che sta sviluppando il farmaco (Novartis) ha avviato la domanda di registrazione negli Stati Uniti per siponimod nella SMSP, mentre la sottomissione della richiesta di approvazione nell’UE è prevista entro la fine di quest’anno. Nei pazienti affetti da SMSP, il trattamento con siponimod somministrato per via orale una volta al giorno ha determinato una riduzione del rischio di progressione della disabilità confermata nei pazienti con e senza recidive; è da notare che tale riduzione è risultata indipendente dalle recidive stesse. Rispet-

to al placebo, si è osservata una riduzione stimata del rischio di progressione della disabilità sostenuta a tre mesi del 14-20 per cento per i pazienti non recidivanti. Per la disabilità sostenuta a sei mesi, la riduzione del rischio è stata ancora maggiore ed è risultata compresa tra il 29 e il 33 per cento. Alcune analisi hanno valutato anche l’effetto di siponimod sulla rapidità di elaborazione cognitiva, misurato mediante il Symbol Digit Modalities Test (SDMT). Dal basale al mese 24, il trattamento ha dimostrato, rispetto al placebo, un significativo beneficio sulla rapidità di elaborazione cognitiva per tutti i pazienti (SDMT p =0,0004), sia in quelli che avevano avuto recidive entro i due anni precedenti l’avvio dello studio clinico (SDMT p =0,0151) sia quelli che non ne avevano avute (SDMT p =0,0099). Il declino della capacità di elaborare rapidamente le informazioni colpisce più della metà dei pazienti con SM, ed è più grave nella SMSP rispetto alla SMRR. Siponimod dunque sulla base di questi dati, potrebbe avere un positivo impatto sulle attività quotidiane dei pazienti, migliorandone la qualità di vita.

Atrofia muscolare spinale: conferme per nusinersen a lungo termine in diverse popolazioni di pazienti Da Los Angeles arrivano nuovi dati che supportano gli effetti positivi del trattamento con nusinersen in pazienti con atrofia muscolare spinale (SMA), sia a esordio infantile sia a esordio tardivo. Tali evidenze derivano dai risultati intermedi dello studio di estensione in open-label SHINE e dalle analisi degli effetti del famaco sulla mobilità e sull’affaticabilità dei partecipanti agli studi CS2/CS12 con SMA a esordio tardivo. L’analisi dei dati dello studio SHINE, condotto su pazienti con SMA a esordio infantile e provenienti dallo studio di fase 3 ENDEAR, ha mostrato che i partecipanti hanno sperimentato un miglioramento della funzionalità motoria e un aumento della sopravvivenza libera da eventi. Tale trend è stato osservato sia nei pazienti che hanno iniziato pri-

ma il trattamento nello studio ENDEAR e lo hanno poi continuato nello SHINE, sia per i pazienti che hanno iniziato il trattamento nello studio SHINE, dopo avere ricevuto il trattamento sham nello studio ENDEAR. Dai dati emerge anche che l’avvio precoce al trattamento con nusinersen correlava con performance migliori nel raggiungimento degli obiettivi motori e questo miglioramento è continuato nel corso del tempo, senza problemi di safety. Il tempo mediano al decesso o alla ventilazione permanente nei partecipanti che hanno iniziato il trattamento con nusinersen in SHINE è stato di 73 settimane, mentre tra i partecipanti del gruppo sham in ENDEAR, il tempo mediano è stato pari a 22,6 settimane. La maggioranza dei soggetti in vita, che non necessitavano la venti-

lazione permanente inclusi nel gruppo sham di ENDEAR, non ha subito eventi di malattia per un tempo mediano di 9,2 mesi, dopo la somministrazione di nusinersen in SHINE. Un’ulteriore analisi ha considerato un sottoinsieme di dati degli studi CS2 e CS12, due trial multicentrici open-label che valutavano i cambiamenti nelle performance dei partecipanti nel test 6MWT e nei parametri di affaticamento. Durante l’analisi sono state esaminate la capacità di camminare e l’affaticabilità dei partecipanti deambulanti (n=14) dai due ai quindici anni d’età e con SMA di Tipo 2 (n=1) o di Tipo 3 (n=13) al momento dell’arruolamento. La distanza mediana percorsa dai partecipanti al basale ammontava a 250,5 metri, mentre il livello di affaticamento al basale era del 14,8 per cento. In seguito al trattamento, la distanza percorsa dai partecipanti è aumentata (con una media di 98 metri) mentre il loro livello di affaticamento è rimasto stabile o è diminuito (con una mediana di -3,8 per cento) nel corso di quasi 3 anni.

la neurologia italiana

numero 2 2018

27


NEWS congressi SMRR: un profarmaco sperimentale del DMF “disegnato” per migliorare la tollerabilità GI È indicato con la sigla ALKS 8700 ed è in fase di sviluppo per il trattamento della sclerosi multipla relapsing-remitting, e la sua peculiarità sta nel fatto che si tratta di un profarmaco del ben noto dimetilfumarato (DMF), molecola orale approvata per il trattamento della SMRR che ha dimostrato di ridurre significativamente l’attività clinica di malattia e alla RM, ma è comunemente associata a eventi avversi gastrointestinali (GI). Il monometilfumarato (MMF) è il metabolita attivo del DMF; ALKS 8700 viene convertito rapida-

mente in MMF, ed è stato sviluppato dunque per funzionare in modo simile al DMF, ma con una tollerabilità GI migliorata. I primi dati relativi a 374 pazienti trattati, presentati al meeting AAN, sono incoraggianti e mostrano effetti positivi della molecola sul numero di lesioni Gd+, con una riduzione a 1 anno dell’80 per cento rispetto la basale. Le sperimentazioni proseguono e saranno i risultati definitivi a fare maggiore chiarezza sul profilo di efficacia/tollerabilità della nuova molecola.

Settimana mondiale del cervello 12-18 marzo 2018

Sclerosi multipla Incoraggiare un’attenta esposizione al sole fin da piccoli per ridurre il rischio di malattia

U

no studio recentemente pubblicato su Neurology dai ricercatori dell’università canadese British Columbia di Vancouver diretti da Helen Tremlett (Tremlett H et al. Neurology 2018, Mar 7; doi: 10.1212/ WNL.0000000000005257) fornisce l’ennesima conferma che la sclerosi multipla (SM) colpisce soprattutto popolazioni nordiche, tanto da essere stata soprannominata la malattia dei Visigoti, i barbari scandinavi che ne sarebbero stati particolarmente affetti e che sotto la guida di Alarico invasero il nord Europa contribuendo alla caduta dell’impero romano. Un altro studio pubblicato sempre su Neurology nel 2011 dai ricercatori della California University di San Francisco diretti da Ari J. Green aveva cercato di dare una spiegazione a questo fenomeno: studiando gli afro-americani, popolazione in cui la SM è meno frequente che nei bianchi, i ricercatori californiani avevano scoperto che i neri che l’avevano comunque contratta presentavano livelli serici di vitamina D inferiori agli altri (Gelfand JM et al. Neurology 2011; May 23; https://doi.org/10.1212/

28

WNL.0b013e31821cccf5). Il colore della pelle dipende dalla melanina che viene prodotta per scurire la pelle in difesa dai raggi solari ultravioletti. Tale processo è legato alla quantità di vitamina D circolante, la cui produzione è notoriamente stimolata dalla luce solare, importante anche nell’osteoporosi. Nello studio californiano chi risultava geograficamente meno esposto al sole andava incontro a SM con più frequenza (4,8 vs 3,8) rispetto a chi invece viveva in aree più soleggiate, e la concentrazione serica di vitamina D di questi soggetti era rispettivamente del 77 e del 71 per cento. Ma oltre a quello dei “visigoti di colore” canadesi esistono altri esempi clamorosi come quello riportato quello stesso anno sul Multiple Scelorosis Journal (Alonso A et al. Multiple Sclerosis Journal 2011; February 15; doi: 10.1177/1352458510) dai ricercatori delle Università di Minneapolis, Newark e Londra che indicano una minor frequenza di SM fra le donne iraniane che non mettono lo chador, esponendosi così di più al sole. La luce solare irradia il corpo con raggi UVA e UVB che sarebbero quelli che

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

inducono la maggior formazione di vitamina D, ma non è detto che anche gli UVA giochino un ruolo in questo meccanismo. Nello studio recentemente pubblicato su Neurology da Tremlett e colleghi i partecipanti sono stati divisi a seconda dell’area di residenza in zone di lieve, media e alta esposizione a UVB per latitudine, altezza e grado medio di copertura nuvolosa: la più elevata esposizione solare riduce il rischio del 45 per cento, ma è la riduzione osservata nell’arco della vita, un dato mai valutato nei tanti studi precedenti, a fornire risultati anche più sorprendenti: chi trascorre più tempo al sole dall’età dei 5 ai 15 anni manterrà poi un rischio ridotto del 51 per cento rispetto agli altri e in chi lo ha fatto soprattutto durante l’estate e nelle aree più soleggiate la riduzione è ancora più elevata con valori del 55 per cento. “Quest’ultimo riscontro è il dato davvero nuovo della ricerca –ha precisato il Presidente della Società italiana di neurologia Gianluigi Mancardi, dell’Università di Genova in occasione della Settimana mondiale del cervello indetta dal 12 al 18 marzo scorsi- ed è una buona notizia soprattutto per gli italiani del Sud che, abituati a giocare all’aperto fin da piccoli grazie al clima favorevole, vedono più che dimezzato il loro rischio di SM. L’esposizione va ovviamente fatta cum grano salis per il rischio di scottature e l’aumentato rischio di cancro cutaneo, ma un’attenta esposizione al sole sembra da incoraggiare fin da giovani”.


SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico

Assicurarsi tutti i numeri di Medico e Paziente è facile

Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012

6

DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico

MP

Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con

CLINICA

Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico

> Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci

TERAPIA

Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci

> Domenico D’Amico

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - € 3,00

Anno VIII- n. 2 - 2012 Mensile € 5,00

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI

RINNOVA SUBITO L'ABBONAMENTO!

64° AAN ANNUAL MEETING

Le novità dal Congresso dei neurologi americani

2

I farmaci in fase avanzata di sviluppo per la SM

MP

15,00 euro

Medico e Paziente

25,00 euro

Medico e Paziente + La Neurologia Italiana

Le modalità di pagamento sono le seguenti Bollettino di c.c.p. n. 94697885 intestato a: M e P Edizioni - Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Bonifico Bancario Beneficiario: M e P Edizioni IBAN: IT 70 V 05584 01604 000000023440 Specificare nella causale l'indirizzo a cui inviare la rivista


NEWS farmaci Cristalfarma

Il paziente con MCI Gli effetti di un approccio integrato, basato su stimolazione cognitiva e fitoterapia

I

l decadimento cognitivo lieve noto anche con l’acronimo MCI (dall’inglese mild cognitive impairment) è una condizione clinica che si caratterizza da una sfumata difficoltà in uno o più domini cognitivi (per esempio memoria, attenzione o linguaggio), oggettivata da test neuropsicologici, tale però da non compromettere le normali e quotidiane attività di una persona. Il concetto di MCI è stato introdotto per definire lo stato di transizione tra il fisiologico invecchiamento e la demenza. Pur rappresentando una condizione “lieve”, l’MCI si associa a un aumentato rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer: i dati al riguardo sono estremamente variabili, ma in linea di massima è stato stimato che i tassi di conversione verso la malattia conclamata siano dell’ordine del 10-15 per cento/anno fino a 20-50 per cento a 2-3 anni. Si tratta dunque di una condizione clinica meritevole di attenzione, e una volta individuata, di un trattamento appropriato. La gestione del paziente con MCI ha come obiettivo quello di contrastare il più possibile il declino cognitivo, in modo da rallentarne l’evoluzione e l’eventuale conversione alla forma conclamata. Sul piano farmacologico, la terapia dell’MCI rappresenta una sfida per il clinico. Diversi studi condotti con i farmaci tradizionalmente impiegati nella malattia di Alzheimer (per esempio donepezil, galantamina, rivastigmina) non hanno prodotto i risultati auspicati, evidenziando sostanzialmente un’azione neutra di queste molecole sul tasso di conversione verso la malattia. Nell’ottica di superare questi gap, sono state proposte diverse strategie di gestione multidisciplinare e integrata. Tra gli approcci più promettenti vi sono le tecniche di stimolazione cognitiva, che si sono mostrate in grado di migliorare le

30

diverse abilità del soggetto con MCI. In tempi più recenti poi, questo approccio si è ulteriormente evoluto, avvalendosi dell’utilizzo di integratori fitoterapici a base di sostanze che da un lato possano contrastare lo stress ossidativo e la neuroinfiammazione, ovvero i processi biologici alla base del declino cognitivo, e dall’altro possano favorire la neuroprotezione. Tra le diverse miscele proposte, spicca in particolare un preparato a base di Bacopa monnieri, astaxantina (estratta dall’alga Haematococcus fluvialis), fosfatidilserina e vitamina E (illumina®, Cristalfarma) che si è mostrato in grado di apportare un significativo miglioramento dello stato cognitivo in pazienti con MCI. Sulla base di queste osservazioni è stato disegnato lo studio clinico qui presentato (Trequattrini A. et al. 2018) e che è stato recentemente pubblicato sulla rivista Psicogeriatria. Il lavoro aveva come finalità quella di indagare l’efficacia del percorso di training cognitivo e valutare il beneficio aggiuntivo di un’integrazione alla dieta con il fitoterapico in 60 soggetti MCI che sono stati osservati per 7 mesi. Obiettivo secondario era anche la valutazione degli effetti del washout di un mese da integratore rispetto alla somministrazione continuativa per 7 mesi. I partecipanti sono stati assegnati a tre bracci di trattamento: il gruppo A eseguiva due cicli trimestrali di palestra cognitiva con l’aggiunta dell’integratore, intervallati da un mese di interruzione; il gruppo B seguiva lo stesso schema di trattamento, ma l’interruzione di un mese riguardava solo il training cognitivo (l’integratore in questo gruppo è stato assunto per 7 mesi); il gruppo C infine prendeva l’integratore solo durante il secondo trimestre di osservazione. Per valutare gli effetti dei diversi regimi i pazienti sono stati sottopo-

numero 2 · 2018 la neurologia italiana

sti al basale, dopo il primo trimestre e a 7 mesi a una batteria di test; nello specifico le performance cognitive sono state valutate mediante MMSE (per lo status cognitivo generale), SPB (memoria verbale a breve termine), Rey-Copy (memoria visiva a breve termine e funzioni esecutive), Rey-Delay (memoria visiva a lungo termine). Sui dati ottenuti è stata eseguita sia un’analisi intra-gruppo, che inter-gruppo.

Risultati dello studio I risultati ottenuti nel gruppo C ovvero quello in cui l’integratore è stato aggiunto al secondo trimestre confermano innanzitutto gli effetti positivi del training sullo status cognitivo complessivo dei pazienti, sulle capacità costruttive prassiche e sulle funzioni esecutive (Rey-Copy p =0,001 al primo trimestre); meno evidenti sembrano gli effetti sulla memoria visiva e sulla memoria verbale a breve termine, anche se quest’ultima migliora significativamente dopo l’aggiunta dell’integratore. Per quanto riguarda il gruppo A (training+illumina®), l’analisi al primo trimestre evidenzia un miglioramento significativo del punteggio MMSE (p =0,009), come anche degli altri domini considerati. Al secondo trimestre, il trend viene sostanzialmente confermato, anche se si registra un netto miglioramento per le capacità costruttive prassiche e funzioni esecutive. Nel complesso, in questo gruppo sono stati riscontrati miglioramenti significativi rispetto al basale per tutti i domini mnemonici considerati. Infine l’integrazione per 7 mesi (analisi gruppo B) apporta significativi e positivi cambiamenti, sia nel punteggio MMSE, che SPB e Rey-Copy. I dati più interessanti vengono dai confronti inter-gruppo. Per approfondire se


farmaci NEWS ci fossero eventuali differenze tra il percorso A e C (stimolazione+illumina® vs stimolazione) il confronto è stato eseguito sulla distribuzione dei soggetti rispetto a un valore soglia di 24 al MMSE (raramente gli anziani non MCI ottengono valori inferiori). La quota di soggetti con MMSE ≥24 passa dal 55 al 75 per cento nel gruppo A, ma resta invariata nel gruppo C (p =0,037). Ma quali sono le implicazioni di tutti questi dati? Nel primo trimestre il gruppo A esprime variazioni statisticamente significative rispetto al basale per tutti i domini cognitivi analizzati, avanzando l’ipotesi che l’integrazione al training possa apportare benefici aggiuntivi; il gruppo C infatti evidenzia miglioramenti solo per MMSE e Rey-Delay, ma non per SPB e Rey-Copy. Il secondo trimestre di percorso integrato è risultato determinante soprattutto per le capacità costruttive prassiche e le funzioni esecutive, e i benefici acquisiti nel primo trimestre vengono mantenuti. Nel gruppo C, l’inserimento “posticipato” dell’integratore non gene-

ra benefici osservabili sul lungo periodo. Gli Autori del lavoro sottolineano come l’applicazione per lungo tempo del percorso integrato risulti migliorativa rispetto ai protocolli che prevedono tempi di osservazione più brevi. Una considerazione merita il confronto tra i gruppi A e B, che mette in luce come il wash out di un mese non comprometta l’efficacia del trattamento sul lungo tempo, consentendo un’applicazione razionale del percorso integrato anche a cicli trimestrali. In conclusione, il lavoro evidenzia come nella gestione del paziente con MCI il training cognitivo sebbene stabilizzante resti non esaustivo, e l’aggiunta di un integratore fitoterapico apporti vantaggi supplementari sulle performance mentali dei pazienti. L’integratore è risultato efficace già dopo tre mesi di utilizzo, con effetti crescenti nel tempo. In parallelo all’efficacia e agli effetti sinergici osservati, il prodotto è risultato sicuro e ben tollerato dai pazienti, anche dopo un utilizzo prolungato.

Biogen

Sclerosi multipla: è online l’App “Io non sclero”

L

e persone affette da sclerosi multipla (SM) hanno a disposizione un nuovo canale per condividere le proprie storie e testimonianze. A metà maggio è stata lanciata l’App “Io non sclero”, disponibile gratuitamente su Google Play e Apple Store, che rientra nell’omonimo progetto di informazione e sensibilizzazione sulla malattia che 5 anni fa Biogen ha sviluppato insieme all’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, in collaborazione con l’Associazione italiana sclerosi multipla e con il patrocinio della Società italiana di neurologia. Raccontare la forza di chi guarda avanti e non si ferma è l’obiettivo del progetto, che ha dato vita in questi anni a una numerosa community Facebook e che oggi si rinnova con un’App dedicata. Scaricandola si potrà accedere a tutti i contenuti della campagna, dalle due web-serie, all’e-book, fino alla gallery delle numerose storie e testimonianze condivise dai pazienti in questi anni. Attraverso l’App è anche possibile partecipare all’iniziativa “Il mio grazie”, che fino all’8 giugno coinvolge i pazienti per dire grazie a ciò che per loro è davvero importante per affrontare la malattia e guardare avanti. Tutti i messaggi saranno pubblicati sul sito www.iononsclero.it e saranno visibili anche attraverso l’App. Una selezione tra i messaggi ricevuti diventerà protagonista di una campagna di affissioni in alcune città italiane. Per maggiori informazioni è disponibile il sito web www.iononsclero.it e la pagina Facebook @IoNonSclero.it.

Pharmaelle

Disponibili nuove formulazioni per os di vitamina B12

I

l ruolo della vitamina B12 nel sistema nervoso è oggi al centro di grande interesse. Cofattore necessario alle reazioni di metilazione, la vitamina B12 è essenziale per la produzione della mielina. Una carenza di questo nutriente può essere dovuta a un ridotto apporto alimentare (come nelle diete vegetariane/ vegane), al malassorbimento secondario a gastropatie quali l’anemia perniciosa, o all’uso di farmaci come i gastroprotettori o alcuni ipoglicemizzanti orali come la metformina. Dal punto di vista neurologico, un quadro carenziale comprende segni e sintomi di coinvolgimento midollare, cerebellare o polineuropatico; inoltre, recenti studi hanno mostrato uno stretto rapporto fra la vitamina B12 e le prestazioni cognitive, suggerendo un legame causale con lo sviluppo di demenza. L’anemia megaloblastica, altro segno distintivo della carenza di vitamina B12, può precedere o seguire le manifestazioni neurologiche. L’approccio terapeutico è suppletivo, per via parenterale o orale. La terapia classica comprende iniezioni intramuscolari quotidiane di 1.000 μg di vitamina B12 per una settimana, seguite da iniezioni settimanali per almeno due mesi. Oggi sono inoltre disponibili formulazioni orali innovative, come ad esempio la forma sublinguale da 500 mcg da assumersi una volta al giorno fino a ristabilimento delle condizioni di normovitaminosi, con efficacia pari o superiore alla terapia parenterale senza gli effetti collaterali della terapia parenterale (dolore in sito iniettivo). Un trattamento tempestivo è fondamentale per favorire la regressione, anche completa, della sintomatologia neurologica.

la neurologia italiana

numero 2 2018

31


NEWS associazioni World meningitis day 2018

Le mamme del mondo unite contro la meningite I movimenti delle mamme di tutto il mondo si uniscono per guidare la sensibilizzazione sulla malattia da meningococco in occasione della Giornata mondiale che si è celebrata lo scorso 24 aprile Il movimento globale Mums Vs Meningitis, Mamme contro la Meningite, nasce con l’obiettivo di aiutare a proteggere i bambini nei confronti della meningite meningococcica grazie alle attività di sensibilizzazione sulla patologia e favorendo l’educazione sulle opzioni di prevenzione e trattamento che possono aiutare a proteggere dall’infezione. L’iniziativa ha preso il via con 24 mamme che hanno offerto il proprio supporto partecipando a un servizio fotografico con Anne Geddes, la fotografa australiana famosa in tutto il mondo per i suoi ritratti creativi di neonati, bambini

e mamme, e condividendo il loro vissuto di malattia. Mamme contro la Meningite ha l’obiettivo di aiutare le persone a comprendere quanto siano importanti le prime 24 ore dalla comparsa dei sintomi in un bambino che presenta una sospetta meningite e guidare la sensibilizzazione attraverso un movimento di mamme di tutto il mondo unico e connesso. La rappresentante per l’Italia è Amelia Vitiello, presidente del Comitato Nazionale contro la meningite, che ha partecipato al servizio fotografico di Anne Geddes, e afferma “Il Comitato nazionale contro la meningite è impegnato

per aiutare le persone a saperne di più sulla malattia meningococcica invasiva e sulle misure da mettere in atto per favorire la protezione dei loro bambini dalle conseguenze potenzialmente devastanti della patologia. Unendoci al movimento Mamme contro la Meningite, insieme a mamme provenienti da tutto il mondo, possiamo contribuire ad aumentare la sensibilizzazione sul rischio di meningite e sull’importanza della vaccinazione”. Per ulteriori informazioni e approfondimenti è possibile consultare i siti www.mumsvsmeningitis.com e www.liberidallameningite.it.

Registrazione del Tribunale di Milano n. 781 del 12/10/2005 - Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura.

Come abbonarsi a la neurologia italiana

Stampa: Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG)

Numeri arretrati € 6,00

I dati sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’Editore “MeP EDIZIONI MEDICO E PAZIENTE SRL” per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Ai sensi dell’art. 7 D. LGS 196/2003 è possibile in qualsiasi momento e gratuitamente consultare, modificare e cancellare i dati o semplicemente opporsi al loro utilizzo scrivendo a: M e P Edizioni Medico e Paziente srl, responsabile dati, via Dezza, 45 - 20144 Milano.

Modalità di pagamento

32

Abbonamento annuale € 12,00 Abbonarsi è facile: ❱ basta una telefonata allo 024390952 ❱ un fax allo 0256561838 ❱ o una e-mail abbonamenti@medicoepaziente.it

1.

Bollettino di ccp n. 94697885 intestato a: M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Si prega di scrivere i dati e l’indirizzo in stampatello

2. Bonifico bancario: Beneficiario: M e P Edizioni IBAN: IT 70 V 05584 01604 000000023440 numero 3 · 2017 la neurologia italiana Specificare nella causale l’indirizzo a cui inviare la rivista


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.