Periodico di aggiornamento e informazione in collaborazione con
Patologie cerebrovascolari
CADASIL Ruolo dei fattori di rischio vascolare e dei deficit della memoria sulla funzionalità Pantoni, Serena Nannucci, Francesca Pescini, > Leonardo Domenico Inzitari •
terapia
Sclerosi multipla Definizione della risposta all’interferone
>
• Maria Pia Sormani, Nicola De Stefano
Clinica
dolore neuropatico Percorso diagnostico e indicazioni di terapia
> Francesca Magrinelli, Giampietro Zanette, Stefano Tamburin •
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Contiene inserto redazionale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - € 3,00
Anno X - n. 3 - 2014
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SEMPRE PIÙ DIFFICILE! La crisi economica e le difficoltà dell'editoria rendono sempre più difficile far arrivare la rivista sulla scrivania del Medico
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Periodico di formazione e informazione per il Medico di famiglia Anno XXXVIII n. 6 - 2012
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DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
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CLINICA
Le Miopatie metaboliche Approccio diagnostico e terapeutico
>s Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
TERAPIA
Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci
>s Domenico D’Amico
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Anno X - n. 3 - 2014
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Periodico della M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Tel./Fax 024390952 info@medicoepaziente.it Direttore Responsabile Antonio Scarfoglio direttore commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it abbonamenti Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 redazione Anastasia Zahova segreteria di redazione Concetta Accarrino Hanno collaborato a questo numero: Duccio Maria Cordelli, Nicola De Stefano, Domenico Inzitari, Francesca Magrinelli, Serena Nannucci, Leonardo Pantoni, Cesare Peccarisi, Francesca Pescini, Francesco Pisani, Antonino Romeo, Maria Pia Sormani, Stefano Tamburin, Giampietro Zanette
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Patologie cerebrovascolari
CADASIL Ruolo dei fattori di rischio vascolare
e dei deficit della memoria sulla funzionalità
L’articolo presenta i risultati dello studio MILES che è stato condotto in pazienti affetti da CADASIL confrontati con soggetti affetti da leucoencefalopatia età-correlata
Leonardo Pantoni, Serena Nannucci, Francesca Pescini, Domenico Inzitari
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Sclerosi multipla Definizione della risposta all’interferone Questa review si concentra sulle molte definizioni della risposta clinica all’interferone ed esamina i marker in grado di predire tale risposta
Maria Pia Sormani, Nicola De Stefano
progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno
19 speciale
Stampa Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG)
Comitato scientifico Giuliano Avanzini, Milano Giorgio Bernardi, Roma Vincenzo Bonavita, Napoli Giancarlo Comi, Milano Ferdinando Cornelio, Milano Fabrizio De Falco, Napoli Paolo Livrea, Bari Mario Manfredi, Roma Corrado Messina, Messina Leandro Provinciali, Ancona Aldo Quattrone, Catanzaro Nicola Rizzuto, Verona Vito Toso, Vicenza
Comitato di redazione Giuliano Avanzini, Milano Alfredo Berardelli, Roma Giovanni Luigi Mancardi, Genova Roberto Sterzi, Milano Gioacchino Tedeschi, Napoli Giuseppe Vita, Messina
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Sommario
epilessia
A cura di Duccio Maria Cordelli, Francesco Pisani, Antonino Romeo
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24 clinica
Il dolore neuropatico Percorso diagnostico e indicazioni di terapia Il dolore neuropatico interessa il 6-8 per cento della popolazione generale e può avere un rilevante impatto su qualità di vita, umore e sonno
Francesca Magrinelli, Giampietro Zanette, Stefano Tamburin
rubrich e
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news dalla letteratura news farmaci news dalle associazioni la neurologia italiana
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NEWS dalla letteratura L. Buratti, C. Balucani, M. Silvestrini et al.
R. Perri, M. Monaco, G. A. Carlesimo et al.
L’esplorazione del circolo cerebrale mediante TCD e breath holding index si rivela utile per individuare tra i pazienti con stenosi carotidea severa asintomatica quelli a maggior rischio di declino cognitivo
Correlati neuropsicologici della sintomatologia comportamentale in diverse forme di demenze: i risultati di uno studio comparativo
❱❱❱ Stroke 2014; 45: 2072-7 L’alterazione del flusso cerebrale gioca un importante ruolo nel determinismo di episodi ischemici e la stenosi carotidea asintomatica è riconosciuta come fattore di rischio per demenza vascolare. Lo studio qui presentato è stato condotto con lo scopo di monitorare per un periodo di 3 anni le funzioni cognitive in 159 pazienti affetti da stenosi carotidea asintomatica bilaterale interna severa, e di esplorare il ruolo delle alterazioni emodinamiche cerebrali e della patologia aterosclerotica nello sviluppo di alterazioni cognitive. Per la valutazione dell’emodinamica cerebrale è stato usato il Doppler transcranico (TCD) appaiato al breath holding index (BHI), mentre per stratificare il grado di stenosi è stato misurato lo spessore dell’intima media. Sono stati considerati come cut off patologici i valori di 1,0 mm per lo spessore dell’intima media e di 0,69 per il BHI. Per quanto riguarda le performance cognitive, esse sono state valutate mediante MMSE (Mini Mental State Examination) al basale e durante il follow up. Il rischio di diminuzione del punteggio allo MMSE aumentava progressivamente, passando dai pazienti con BHI bilaterale normale a quelli con BHI unilaterale anomalo, raggiungendo la più alta probabilità nei soggetti con BHI bilaterale anomalo (P <0,0001). I valori patologici dello spessore dell’intima media non sono risultati associati con il rischio di cambiamento del punteggio allo MMSE. Secondo gli Autori, i pazienti con stenosi carotidea asintomatica bilaterale interna severa potrebbero essere esposti a un aumentato rischio di manifestare decadimento cognitivo. La valutazione dell’emodinamica cerebrale, oltre a dare indicazioni sul possibile meccanismo che lega la stenosi al decadimento cognitivo, potrebbe costituire un importante aiuto per la stratificazione dei pazienti, in quanto permetterebbe di individuare i casi, per i quali potrebbe rivelarsi utile un approccio terapeutico precoce e più aggressivo.
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❱❱❱ Journal of Alzheimer’s Disease 2014; 39: 669-77 I sintomi cognitivi e quelli comportamentali e psicologici (BPSD) costituiscono parte integrante delle sindromi dementigene. Le relazioni tra queste due sfere tuttavia sono molto articolate e difficilmente percettibili. Questo lavoro si è proposto di valutare i correlati neuropsicologici degli BPSD in soggetti affetti da diverse forme di demenza. Sono stati inseriti nello studio 21 pazienti con demenza frontotemporale variante frontale (fvFTD), 21 con demenza a corpi di Lewy (LBD), 22 con malattia di Alzheimer (AD) e 22 con demenza vascolare ischemica sottocorticale (SIVD), che sono stati appaiati sulla base della severità della malattia. I partecipanti sono stati sottoposti a una batteria di test neuropsicologici e allo NPI (Neuropsychiatry Inventory). Sintomi comportamentali e psicologici sono stati individuati nel 99 per cento dei soggetti. La maggior parte di questi sintomi non correlava con una particolare forma di demenza oppure con uno specifico deficit cognitivo. È stato osservato però che la diagnosi di fvFTD era predittiva di euforia e di disinibizione comportamentale. La LBD era predittiva di allucinazioni, e queste ultime erano correlate con la gravità dei deficit visuospaziali nell’intero campione di studio. In tutti i gruppi di pazienti è stata riscontrata la presenza di apatia correlata con le funzioni esecutive. La ridotta capacità di set-shifting e la diagnosi di fvFTD erano predittive per l’apatia. Nel complesso, i risultati ottenuti confermano l’elevata prevalenza dei sintomi comportamentali e psicologici nelle fasi lievi-moderate delle demenze, mostrando come tali sintomi siano equamente distribuiti tra le varie forme. In conclusione, la maggior parte degli BPSD si configurano come una sfera indipendente delle sindromi dementigene. Tuttavia le allucinazioni nella demenza a corpi di Lewy, e l’euforia e la disinibizione comportamentale osservate nella demenza frontotemporale variante frontale sono riconducibili ad alterazioni strutturali a livello cerebrale, che sono a loro volta responsabili del declino cognitivo in questi gruppi di demenze. Infine, è da notare come l’apatia derivi da un danno nelle aree corticali frontali che sono anche coinvolte nelle capacità esecutive.
NEWS D. Aquino, V. Contarino, L. Chiapparini et al.
Uno studio con imaging multimodale in RM evidenzia come alcuni parametri morfologici della substantia nigra siano sensibili ai cambiamenti precoci indotti dalla malattia di Parkinson e ne tracciano l’evoluzione ❱❱❱ Neurological Science 2014; 35: 753-8 Lo studio dei complessi fenomeni patologici indotti dalla malattia di Parkinson (MP) necessita di una valutazione strutturale e funzionale delle aree encefaliche coinvolte, allo scopo di individuare, sia in fase precoce che avanzata, i potenziali marker biologici della patologia. La MRI è utile in tal senso, e in particolare l’uso di metodi integrati. Il presente lavoro è focalizzato sullo studio della substantia nigra (SN) con MR multimodale a 1,5 T. I ricercatori hanno voluto valutare se l’estensione della SN, i cambiamenti microstrutturali espressi dalla diffusività media (MD) e dalle modificazioni dell’anisotropia frazionata (FA), e l’accumulo di ferro differissero in pazienti con MP precoce (MPP), avanzata (MPA) e in controlli sani, e se le eventuali differenze potessero correlare con la gravità dei sintomi motori. Sono stati studiati 22 soggetti MPP, 20 MPA e 20 controlli sani, di età sovrapponibile. Tutti sono stati sottoposti a MRI multimodale, con misurazione dell’area relativa della SN, della MD, della FA e di R* nelle regioni di interesse della SN. Successivamente è stata determinata la correlazione con lo score all’UPDRS. Nei pazienti MPA l’area della SN è risultata significativamente ridotta rispetto ai pazienti MPP (p =0,04) e rispetto ai controlli (p <0,001); una riduzione si osservava anche nei pazienti MPP quando confrontati con i controlli. Il volume della SN differiva in maniera significativa tra il gruppo MPA e i controlli (p =0,001), e tra il gruppo MPP e il gruppo MPA (p =0,049). Sia l’area della SN che il volume correlavano con il punteggio UPDRS. Secondo gli Autori, i parametri morfologici della SN osservati sono sensibili ai cambiamenti precoci indotti dalla MP e potrebbero essere in grado di delinearne l’evoluzione, mentre le misure della MD e della FA, come pure della relaxometria non forniscono risultati di interesse significativo in tal senso.
G. Gini, T. Pozzoli, A. Vieno et al.
Essere vittime di bullismo in età scolare aumenta il rischio di cefalea: le conferme da una metanalisi di studi osservazionali ❱❱❱ Headache: The Journal of Head and Face Pain 2014; 54 (6): 976-86 Aver vissuto episodi di bullismo durante l’età scolare espone a una serie di ripercussioni negative, che possono manifestarsi anche a distanza di molti anni. Obiettivo di questa metanalisi, che è stata condotta da un’équipe dell’Università di Padova, era quello di determinare se l’essere vittime di bullismo costituisca un fattore di rischio per cefalea nella popolazione in età scolare. Allo scopo è stata condotta una ricerca della letteratura nel mese di settembre 2013 per individuare gli studi osservazionali che si occupavano dell’associazione vittime di bullismo-cefalea; sono stati poi determinati i valori di odds ratio (OR) utilizzando un modello a effetto random. Sono stati selezionati 20 studi per un totale di 173.775 soggetti, e di questi, 14 riportavano dati sulla prevalenza del mal di testa: in media 32,7 per cento (range 9,1-71,7 per cento) tra i ragazzi che avevano subito atti di bullismo e 19,1 per cento (range 5,3-46,1 per cento) tra il gruppo controllo. Due differenti metanalisi sull’associazione vittime di bullismo-mal di testa sono state condotte sulla base dei dati provenienti da 3 studi longitudinali (OR 2,10 CI 95 per cento 1,19-3,71) e da 17 studi con disegno di tipo cross sectional (OR 2,00 CI 95 per cento 1,70-2,35), rispettivamente. I risultati hanno mostrato come i ragazzi (bambini e adolescenti) che hanno subito episodi di bullismo presentano un rischio significativamente più alto di cefalea, rispetto ai coetanei che non erano vittime di tali comportamenti. Negli studi cross sectional il “peso” dell’effetto diminuiva significativamente all’aumentare della quota di femmine partecipanti allo studio. Dunque viene confermata un’associazione positiva tra l’essere vittime di bullismo e rischio di cefalea. Alla ricerca futura spetterà chiarire se vi possano essere (e quali) fattori ambientali in grado di influenzare questa associazione. la neurologia italiana
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Patologie cerebrovascolari
CADASIL Ruolo dei fattori di rischio vascolare e dei deficit della memoria sulla funzionalità Gli Autori presentano i risultati dello studio MILES che è stato condotto per valutare l’influenza dei fattori di rischio vascolare e l’effetto delle performance in diversi domini cognitivi sul grado di disabilità in pazienti affetti da CADASIL confrontati con soggetti affetti da leucoencefalopatia età-correlata
Leonardo Pantoni1, Serena Nannucci2, Francesca Pescini1, Domenico Inzitari2 1. Stroke Unit e Neurologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze 2. Dipartimento NEUROFARBA, Sezione Neuroscienze, Università degli Studi di Firenze, Firenze
L
a CADASIL (Cerebral Autosomal Dominant Arteriopathy with Subcortical Infarcts and Leukoencephalopathy) [MIM 125310] è una microangiopatia ereditaria causata da mutazioni del gene NOTCH3, che è localizzato sul cromosoma 19 e codifica per un recettore transmembrana espresso sulla superficie delle cellule muscolari lisce della parete arteriolare [Joutel et al., 1996]. Questo recettore esercita un ruolo nel processo di differenziazione e maturazione delle cellule muscolari e nell’acquisizione delle loro normali caratteristiche morfostrutturali e competenze funzionali [Joutel et al., 1996; Chabriat et al., 2009]. A oggi le mutazioni descritte del gene NOTCH3 e responsabili della malattia sono più di 150; esse sono per la maggior parte altamente stereotipate, essendo puntiformi e determinando la delezione o la creazione di un residuo cisteinico negli esoni 2-24, che codificano per i domini Epidermal Growth Factor (EGF)-like, localizzati nella porzione extracellulare del recettore NOTCH3 [Joutel et al., 1997]. Il gold standard per la diagnosi di CADASIL è ancora oggi l’indagine genetica, dotata di una specificità del 100 per cento e una sensibilità di poco inferiore [Chabriat et al., 2009]. Un reperto patologico patognomonico della malattia è la presenza di depositi extracellulari di materiale granulare osmiofilico (GOM), evidenti alla microscopia elettronica e prevalentemente localizzati all’interno della tunica media della parete vascolare [Baudrimont et al., 1993; Chabriat et
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al., 2009]. Oltre che a livello cerebrale, i GOM sono presenti anche nelle arteriole di altri organi o tessuti, per cui possono essere ricercati anche nella biopsia di cute che è facilmente accessibile. Tuttavia, tale metodica non è usata routinariamente perché è gravata da una bassa sensibilità, pari al 50 per cento circa [Markus et al., 2002; Malandrini et al., 2007].
Manifestazioni cliniche Sebbene la microangiopatia che deriva dalla mutazione del gene NOTCH3 sia sistemica, le manifestazioni cliniche della CADASIL, per motivi ancora oggi non chiari, sono pressoché esclusivamente a carico del sistema nervoso centrale. La CADASIL è infatti caratterizzata da attacchi ischemici transitori (TIA) e ictus ricorrenti, prevalentemente ischemici e di tipo lacunare, ma talora anche emorragici [Chabriat et al., 2009; Rinnoci et al., 2013], emicrania con aura, disturbi psichiatrici, crisi epilettiche e deficit cognitivi, che classicamente sono stati definiti, almeno nelle fasi iniziali, di tipo sottocorticale [Peters et al., 2005; Chabriat et al., 2009]. Spesso l’emicrania è il sintomo d’esordio, occorrendo nella seconda o terza decade di vita; successivamente, tra i 40 e i 60 anni di vita, si verificano eventi cerebrovascolari acuti (presenti nel 60-85 per cento dei pazienti) e disturbi del tono dell’umore [Chabriat et al., 2009].
Figura 1. Alterazioni RM tipiche della CADASIL A
B
Estesa iperintensità della sostanza bianca sottocorticale (A), dei poli temporali (B) e delle capsule esterne (C) nelle sequenze FLAIR. Infarti lacunari multipli (sequenze T1) (D). Microsanguinamenti nelle sequenze T2W_FFE (E).
C
D
Nelle fasi più avanzate della malattia si manifestano deficit cognitivi fino a determinare, in alcuni pazienti, un quadro di demenza conclamata e una sindrome pseudobulbare che, nel complesso, comportano un crescente grado di disabilità [Opherk et al., 2004; Chabriat et al., 2009]. La malattia è tuttavia caratterizzata da un’estrema variabilità fenotipica, per cui sempre più frequentemente sono riportati in letteratura pazienti con quadri clinici piuttosto lievi anche in età avanzata [Mourad et al., 2006; Pescini et al., 2008]. Dal punto di vista neuroradiologico, la CADASIL è caratterizzata da un’estesa leucoencefalopatia che coinvolge anche il polo anteriore dei lobi temporali, da iperintensità della capsula esterna, infarti lacunari e microsanguinamenti localizzati prevalentemente a livello dei gangli della base e dei talami [Auer et al., 2001; Lesnik Oberstein et al., 2001; Dichgans et al., 2002; Markus et al., 2002; van den Boom et al., 2003] (Figura 1). Per quanto tipico, il coinvolgimento dei poli temporali e della capsula esterna non è patognomonico e manca in circa un quarto dei pazienti [Pantoni et al., 2010; Pescini et al., 2012].
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Influenza dei fattori di rischio vascolare Nella CADASIL non è stata dimostrata alcuna correlazione genotipo-fenotipo tantoché si può osservare una notevole variabilità dell’espressività clinico-radiologica anche tra individui appartenenti alla stessa famiglia e quindi portatori della stessa mutazione [Singhal et al., 2004; Adib-Samii et al., 2010]. Tale variabilità potrebbe essere giustificata dall’effetto di altri fattori, ambientali o genetici. Sebbene in passato si ritenesse che la presenza dei comuni fattori di rischio vascolare, particolarmente se gravi, fosse un criterio di esclusione per la diagnosi di CADASIL [Davous, 1998], nel corso degli anni si è visto come, soprattutto nella fascia d’età medio-avanzata, la concomitante presenza di fattori di rischio vascolare, particolarmente ipertensione arteriosa e dislipidemia, sia comune anche nei pazienti affetti da CADASIL [Adib-Samii et al., 2010; Pantoni et al., 2010]. Negli ultimi anni vi è stata dunque una crescente attenziola neurologia italiana
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Patologie cerebrovascolari
Figura 2. Influenza delle performance cognitive sull’autonomia funzionale (punteggio totale alla scala DAD). Analisi di regressione lineare
Memoria Funzioni esecutive Velocità psicomotoria
CADASIL Memoria β= -0,418; p= 0,003 Funzioni esecutive Velocità psicomotoria
ne ai fattori di rischio vascolare quali possibili modulatori del fenotipo, nonostante a oggi siano ancora pochi gli studi effettuati al riguardo. Singhal e coautori nel 2004 hanno riportato una casistica di 127 pazienti, appartenenti a 65 diverse famiglie, in cui l’età d’esordio di ictus/TIA risultava più precoce nei pazienti CADASIL fumatori al momento dell’evento rispetto a coloro che non fumavano e l’età d’insorgenza di emicrania più giovanile in pazienti con iperomocisteinemia [Singhal et al., 2004]. Successivamente, lo stesso gruppo ha confermato, in una popolazione di pazienti più ampia e solo parzialmente riportata nello studio precedente, l’associazione tra fumo di sigaretta e ictus; il rischio di ictus è risultato aumentato anche nei pazienti ipertesi dopo correzione per età e presenza di altri fattori di rischio vascolare [Adib-Samii et al., 2010]. In particolare nella fascia di età medio-avanzata, l’età d’esordio dell’ictus era anticipata di 15-20 anni nei pazienti CADASIL affetti anche da ipertensione arteriosa [Adib-Samii et al., 2010]. Sebbene non si possano trarre conclusioni definitive dato l’esiguo numero di soggetti, è stato riportato che la maggior parte dei pazienti CADASIL che ha presentato un ictus emorragico (talora recidivante) era affetta anche da ipertensione arteriosa, la quale sembrerebbe dunque favorire tale tipo di evento anche in questa popolazione [Choi et al., 2013; Rinnoci et al., 2013]. Molto recentemente il ruolo dell’ipertensione arteriosa quale fattore modulante nella CADASIL è stato confermato nell’ambito di uno studio osservazionale multicentrico italiano, il MIcrovascular LEukoencephalopathy Study (MILES) [Pescini et al., 2010]. Gli Autori hanno comparato un gruppo di 51 pazienti CADASIL di età media intorno a 50 anni e 68 pazienti con leucoencefalopatia età-correlata di età media intorno a 70 anni, in cui la diagnosi di CADASIL era stata esclusa geneticamente. Lo scopo era valutare l’effetto dei fattori di rischio vascolare e delle prestazioni
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Leucoencefalopatia età-correlata Memoria Funzioni esecutive β= -0,321; p= 0,028 Velocità psicomotoria
in differenti domini cognitivi sul grado di disabilità, definita come compromissione dell’autonomia nello svolgimento di almeno 2 attività strumentali della vita quotidiana, e di dipendenza funzionale, misurata con la scala Disability Assessment of Dementia (DAD) [Ciolli et al., 2014]. I fattori di rischio vascolare presi in considerazione erano la storia di ipertensione, il diabete mellito, l’ipercolesterolemia, l’ipertrigliceridemia, il tabagismo e l’indice di massa corporea. La batteria neuropsicologica impiegata era stata scelta per valutare funzionamento globale, memoria verbale, funzioni attentive ed esecutive, fluenza verbale e abilità visuo-spaziali. I punteggi ottenuti nelle singole prove, corretti per età e scolarità, erano poi integrati in modo tale da ottenere degli indici per tre principali domini cognitivi: memoria, velocità psico-motoria e funzioni esecutive. Nei pazienti CADASIL, tra tutti i fattori di rischio vascolare, l’unico che correlava in modo statisticamente significativo con il livello di disabilità e di dipendenza funzionale era la storia di ipertensione arteriosa, sia a una prima analisi di regressione lineare che dopo correzione per età e sesso [Ciolli et al., 2014]. Nel complesso questi dati, uniti a quanto già precedentemente riportato in letteratura, suggeriscono che l’ipertensione arteriosa possa modulare, almeno entro certi limiti, la gravità della malattia e che, pertanto, lo stretto controllo di essa e forse di altri fattori di rischio vascolare (come il fumo di sigaretta) potrebbe prevenire o almeno ritardare la comparsa delle manifestazioni più gravi della malattia e di disabilità anche nei pazienti affetti da CADASIL.
Profilo cognitivo e autonomia funzionale Relativamente allo studio dei deficit in specifici domini cognitivi e alla loro influenza sulla funzionalità, nello studio sopra citato si metteva in evidenza che le prestazioni di me-
la nuova versione del sito e n i l n o www.medicoepaziente.it cambia volto!
Il nuovo sito si presenta come una galassia, che ha come centro la figura del Medico di Medicina generale. www.medicoepaziente.it non è un portale generico, e nemmeno la versione elettronica della rivista, ma un aggregatore di contenuti, derivanti da una pluralità di fonti, che possano essere utili al Medico di Medicina generale nel suo lavoro quotidiano.
www.medicoepaziente.it
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Patologie cerebrovascolari moria erano quelle che nei pazienti CADASIL risultavano associate in modo statisticamente significativo a un peggiore stato di funzionalità misurato con la scala DAD [Ciolli et al., 2014]. Nel gruppo con leucoencefalopatia età-correlata, invece, lo stato di funzionalità era influenzato soltanto dalla compromissione delle funzioni esecutive [Ciolli et al., 2014] (Figura 2). Che i deficit di memoria siano i più rilevanti per la funzionalità nella CADASIL appare in linea con quanto riportato in letteratura negli ultimi anni, con l’evidenza che anche domini mnesici possono essere compromessi nei pazienti affetti da CADASIL, nonostante questa sia stata a lungo ritenuta un prototipo puro di demenza vascolare sottocorticale [Amberla et al., 2004; Peters et al., 2005; Buffon et al., 2006; Epelbaum et al., 2011]. Nella CADASIL le alterazioni cognitive, ipotizzate come effetto diretto della microangiopatia cerebrale, si verificano già in età precoce, quando la concomitante presenza di alterazioni di tipo neurodegenerativo è ritenuta poco probabile. Un declino cognitivo può essere infatti osservato anche precocemente nel corso della malattia, indipendentemente dall’occorrenza di ictus ed è inizialmente evidente a carico delle funzioni del lobo frontale, con alterazione delle funzioni esecutive e una riduzione della velocità di processazione [Amberla et al., 2004; Peters et al., 2005; Charlton et al., 2006; Chabriat et al., 2009]. Tuttavia alcuni studi hanno trovato come nelle fasi iniziali possano essere compromesse anche alcune funzioni mnesiche quali la memoria di lavoro e quella a breve termine, con relativo risparmio della memoria episodica [Amberla et al., 2004; Buffon et al., 2006]. All’aumentare dell’età poi, e nelle fasi più avanzate di malattia, un numero crescente di pazienti affetti da CADASIL risulta demente, presentando pertanto un profilo cognitivo più omogeneo e meno specifico che coinvolge tutti i domini cognitivi, compresa la memoria verbale e visiva, pur permanendo un relativo risparmio della capacità di richiamo verbale con aiuto [Buffon et al., 2006; Chabriat et al., 2009]. Alcuni Autori hanno ipotizzato che il profilo di compromissione dei domini mnesici sia correlato alla distruzione di circuiti frontali-sottocorticali [Amberla et al., 2004; Buffon et al., 2006], mentre altri hanno suggerito un ruolo dell’atrofia corticale cerebrale [Epelbaum et al., 2011]. Inoltre O’Sullivan e coautori hanno rilevato che un’atrofia selettiva dell’ippocampo sarebbe alla base del deterioramento delle capacità mnesiche anche nei pazienti affetti da CADASIL [O’Sullivan et al., 2009].
Un altro dato recentemente riportato è che, in pazienti affetti da CADASIL anche piccoli infarti sottocorticali risultano associati a una riduzione di spessore delle aree corticali corrispondenti, suggerendo che l’impatto sul quadro cognitivo di lesioni ischemiche sottocorticali potrebbe essere almeno parzialmente mediato da una degenerazione corticale secondaria [Duering et al., 2012]. Indubbiamente, ulteriori studi sono necessari per meglio definire tali correlazioni e determinarne il substrato patologico.
Considerazioni conclusive In conclusione, qualche dato recente della letteratura sembra suggerire che alcuni classici fattori di rischio vascolare possano modulare, almeno parzialmente, il fenotipo della CADASIL. Tali dati sembrano avere delle potenziali ricadute terapeutiche e preventive. Tuttavia maggiori elementi sono necessari a conferma di queste prime osservazioni, mentre altri fattori e modulatori biochimici sono attualmente in fase di studio per quanto riguarda un loro possibile effetto modulante sul fenotipo della CADASIL.
Ringraziamenti
Lo studio MIcrovascular LEukoencephalopathy Study (MILES) è stato finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), come Progetto di Ricerca di rilevante Interesse Nazionale (PRIN), programmi di ricerca cofinanziati 2006 (MIUR 2006-prot. 2006065719) e 2009 (MIUR 2009-prot. 20095JPSNA). Leonardo Pantoni ha ricevuto supporto dalla Regione Toscana, nell’ambito del progetto “Evaluation of NOTCH3 mutations and correlation with clinical phenotypes” (Prot. reg. AOO GRT 190899/Q.20.70.20), programma per la Ricerca Regionale in Materia di Salute, 2009. Si ringraziano la dottoressa Silvia Bianchi, la professoressa Maria Teresa Dotti e il professor Antonio Federico (Dipartimento di Scienze Neurologiche e del Comportamento, Università degli studi di Siena) per la continua e duratura collaborazione.
Bibliografia 1. Adib-Samii P, Brice G, Martin RJ, Markus HS. Clinical spectrum of CADASIL and the effect of cardiovascular risk factors on phenotype: study in 200 consecutively recruited individuals. Stroke 2010; 41: 630-4. 2. Amberla K, Wäljas M, Tuominen S, Almkvist O, Pöyhönen M, Tuisku S, Kalimo H, Viitanen M. Insidious cognitive decline in CADASIL. Stroke 2004; 35: 1598-602. 3. Auer DP, Pütz B, Gössl C, Elbel G, Gasser T, Dichgans M. Differential lesion patterns in CADASIL and sporadic subcortical arteriosclerotic ence-
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SCLEROSI MULTIPLA Definizione della risposta all’interferone L’introduzione di un gran numero di nuove terapie per la sclerosi multipla (SM) rende necessario lo sviluppo di strumenti in grado di selezionare la migliore opzione di trattamento per ogni nuovo paziente con la malattia. Le evidenze dagli studi clinici supportano l’efficacia degli interferoni per il trattamento della SM, tuttavia sono emersi solo pochi fattori in grado di predire la risposta a questi farmaci nel singolo paziente. Il fatto può essere dovuto, almeno in parte, alla mancanza di una definizione standardizzata dell’outcome clinico usato per valutare un miglioramento/ peggioramento della malattia. I marker della risonanza magnetica (RM) e le ricadute cliniche sono stati i fattori a breve termine più studiati per predire la risposta a lungo termine all’interferone, ma con risultati contrastanti. Di recente, strategie integrate che combinano la RM e i marker clinici in sistemi di punteggio hanno fornito un approccio potenzialmente utile per la gestione dei pazienti con SM. Questa review si concentra sulle molte definizioni della risposta clinica all’interferone ed esamina i marker in grado di predire tale risposta. Mette in luce inoltre i vantaggi e i limiti degli attuali sistemi di punteggio nel predire la risposta all’interferone, in previsione di una futura espansione di questi modelli ai marker biologici e ad altre classi di nuove terapie emergenti per la SM
Maria Pia Sormani*, Nicola De Stefano** *Unità di Biostatistica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università di Genova **Dipartimento di Scienze Neurologiche e del Comportamento, Università di Siena
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a sclerosi multipla (SM) è una malattia cronica infiammatoria e demielinizzante del Sistema nervoso centrale che colpisce principalmente i giovani adulti, i quali invariabilmente sviluppano disabilità neurologiche serie e irreversibili nell’arco di 10-30 anni (1). Sebbene al momento non esista una cura, la gamma dei trattamenti disponibili si sta ampliando rapidamente, almeno per la forma della malattia a decorso recidivante-remittente (RR) (2). L’impiego di terapie iniettive con differenti formulazioni di interferone (IFN) beta e di glatiramer acetato (GA) per il trattamento della SM ha cambiato il corso della malattia (3), riducendo sia il tasso di recidive sia lo sviluppo di nuove lesioni rilevabili alla RM (3). L’esperienza a lungo termine con questi farmaci testimonia la loro sicurezza nel lungo periodo con un’efficacia, in termini di riduzione delle recidive, di circa il 30 per cento (4-7), con la contropartita, tuttavia, della necessità di iniezioni regolari. Più di recente, la terapia con natalizumab, un anticorpo monoclonale somministrato per via endovenosa una volta al mese, ha mostrato di ridurre fortemente la frequenza delle recidive e la formazione di lesioni visibili alla RM nei pazienti con SMRR, con un impatto significativo anche sul rischio di progressione della disabilità (8). Tuttavia, il rischio di leucoencefalopatia multifocale progressiva limita il suo impiego ai pazienti con SMRR che non rispondono bene alle terapie di prima scelta. Su una linea simile, l’uso di fingolimod, un modulatore del recettore per sfingosina-1-fosfato attivo per via orale, ha dimostrato un’efficacia superiore
tabella 1 Il punteggio di Rio e il punteggio di Rio modificato Rio Score
Modified Rio Score
Sul primo anno
Sul primo anno
Criterio RM = 0
≤2 lesioni attive in T2
Criterio RM = 0
≤4 (5) lesioni nuove in T2
Criterio RM = 1
>2 lesioni attive in T2
Criterio RM = 1
>4 (5) lesioni nuove in T2
Criterio ricadute = 0
0 ricadute
Criterio ricadute = 0
0 ricadute
Criterio ricadute = 1
≥1 ricaduta
Criterio ricadute = 1
1 ricadute
Criterio ricadute = 2
≥2 ricadute
Criterio EDSS = 0
Aumento EDSS <1 punto
Criterio EDSS = 1
Aumento EDSS ≥1 punto, sostenuto per 6 mesi
Rio Score = criterio RM+criterio ricadute+criterio EDSS
Modified Rio Score = criterio RM+criterio ricadute
Fonte: modificata da Sormani M, De Stefano N. Nat Rev Neurol 2013; Sep; 9(9): 504-12
rispetto al placebo e all’IFNbeta-1a a basso dosaggio negli studi di fase III, con una profonda soppressione dell’attività infiammatoria (in termini sia di lesioni visibili alla RM sia di recidive) e un effetto anche sull’atrofia cerebrale e sulla progressione della disabilità (9). Tuttavia, a causa del suo profilo di sicurezza, il trattamento con fingolimod richiede un monitoraggio intensivo sia precedente alla prima dose, sia in corso di trattamento (10). Infine, due nuovi farmaci orali (teriflunomide [11] e dimetil fumarato [12-13]) sono stati di recente approvati negli Stati Uniti per il trattamento dei pazienti con SMRR e varie altre nuove molecole hanno mostrato risultati promettenti negli studi di fase III (14-16) e potrebbero approdare alla pratica clinica nel prossimo futuro. In questo scenario complesso diventa imperativo per i medici disporre di strumenti per effettuare scelte di trattamento rapide nei pazienti con risposte subottimali alla terapia, al fine di evitare che la SM progredisca a un punto tale che ogni altro aggiustamento della terapia non possa più essere efficace. Tuttavia, la scoperta di marker precoci
di risposta al trattamento è una vera e propria sfida nella SM. E questo, almeno in parte, a causa della complessità intrinseca della definizione di cosa siano risposta e non-risposta alla terapia in una malattia cronica come la SM. Malgrado queste difficoltà, numerosi studi hanno cercato di mettere a punto regole e strategie per meglio identificare i pazienti che abbiano oppure no una buona risposta al trattamento. Di seguito passeremo in rassegna questi studi, concentrandoci soprattutto sulla risposta al trattamento con IFN. Metteremo a fuoco le molte definizioni della risposta clinica all’IFN fornite fino a oggi ed esploreremo i marker in grado di predire questa risposta. Passeremo quindi in rassegna l’uso negli studi clinici sulla SM di “sistemi di punteggio” in grado di combinare vari marker clinici e della RM per migliorare la definizione di risposta precoce, evidenziando vantaggi e limiti di questi approcci. Il nostro obiettivo è di mettere in chiaro, se possibile, sulla base dei marker di risposta al trattamento con IFN già identificati, una strategia comune di stratificazione che consenta di andare
verso un uso personalizzato delle terapie in grado di modificare il decorso della malattia (DMT) nella SM.
DEFINIZIONI DELLA RISPOSTA ALL’IFN NELLA SM In generale, si ha una risposta a una data terapia quando si ha un beneficio indotto dal trattamento che non si sarebbe manifestato senza il trattamento stesso. È piuttosto difficile identificare questo fenomeno nella SM, per molte ragioni. Primo, la SM ha un decorso clinico imprevedibile, che può variare grandemente tra i pazienti, che siano trattati oppure no. Secondo, i pazienti spesso mostrano remissioni spontanee (quasi) complete dopo le recidive acute (soprattutto nella fase RR), il che rende difficoltoso attribuire esclusivamente al trattamento un cambiamento anche drammatico nell’attività della malattia. Terzo, le terapie disponibili sono efficaci solo in parte, il che implica la possibilità di avere pazienti che rispondono, ma con un’attività residuale della malattia. Infine, manca una definizione standardizzata dell’outcome clinico
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terapia usato per valutare il miglioramento/ peggioramento del corso della malattia. Tale definizione si basa principalmente su tre outcome o sulla loro combinazione: la progressione della disabilità, l’incidenza delle ricadute e la presenza di lesioni cerebrali alla RM. La progressione della disabilità si misura di solito con l’Expanded Disability Status Scale (EDSS) e si definisce progressione della disabilità un aumento di 1 punto EDSS (o di 0,5 punti se l’EDSS al basale >5,5) confermato alle visite successive, in modo da escludere i cambiamenti transitori associati alle ricadute. Si definiscono ricadute cliniche i sintomi neurologici nuovi o in peggioramento che durano
tamento, possono essere misurate in modo più precoce o più pratico rispetto all’endpoint clinico di interesse sono state studiate come marker potenziali della risposta al trattamento. Questi marker sono utili se sono in grado di predire l’effetto della terapia sull’endpoint clinico di interesse e così di identificare i pazienti che rispondono alla terapia (sono chiamati anche “marker surrogati”). La valutazione dei marker surrogati deve essere fatta confrontando un trattamento con un gruppo di controllo, in modo da escludere l’effetto di variabili che sono semplici fattori prognostici. Sia le ricadute cliniche sia le lesioni attive alla RM hanno dimostrato di
In generale, si ha una risposta a una data terapia quando si ha un beneficio indotto dal trattamento che non si sarebbe manifestato senza il trattamento stesso. È piuttosto difficile individuare questo fenomeno nella sclerosi multipla per oltre 24 ore, preceduti da un minimo di 30 giorni di stabilità clinica o di miglioramento e confermati da riscontri obiettivi all’esame neurologico. I cambiamenti dei pattern delle lesioni cerebrali visibili con RM riflettono cambiamenti nella patologia della malattia sottostante, e forniscono il razionale per utilizzare le lesioni riscontrate con la RM (di solito quantificate come numero di lesioni dopo somministrazione di gadolinio (Gd) sulla sequenza pesata in T1 o di nuove lesioni sulla sequenza pesata in T2) come misure dell’attività della malattia.
I MARKER DELLA RISPOSTA ALLA TERAPIA Variabili che, dopo l’inizio del trat-
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essere marker surrogati validi per la disabilità clinica nella SM. Infatti una recente analisi (17) ha mostrato, in accordo con i criteri Prentice per la validazione dei marker surrogati (18), che sia le lesioni RM attive che le ricadute cliniche a 1 anno erano in gardo di spiegare oltre il 60 per cento dell’effetto dell’IFN sul peggioramento EDSS a due anni. Inoltre, quando le lesioni RM attive e le ricadute a 1 anno erano usate in combinazione, l’effetto dell’IFN sulla progressione della disabilità a 2 anni appariva interamente mediato dalla riduzione indotta dal trattamento del numero di lesioni RM attive e di ricadute durante il primo anno di trattamento. In generale, la difficoltà a trovare risultati omogenei quando si usano i diversi marker di risposta in
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modo isolato, e l’osservazione che si può predire l’effetto dell’IFN nel singolo paziente usando in combinazione l’effetto sulle lesioni RM attive e le ricadute cliniche a 1 anno, suggerisce che si può tentare di trovare un punteggio composito clinica/RM per poter dare indicazioni pratiche sulle future probabilità di progressione della disabilità durante il trattamento con IFN. L’uso combinato dei parametri di attività della malattia per predire la risposta alla terapia costituisce la base delle Raccomandazioni per l’Ottimizzazione del Trattamento (TOR), pubblicate dal Canadian MS Working Group (19) e quindi testate con i dati dello studio PRISMS (20). Le TOR descrivono un modello, derivato da un consenso di esperti, basato su differenti livelli di progressione della disabilità, ricadute e attività alla RM durante il trattamento, che classificano la gravità dello stato del paziente come “degna di nota”, “preoccupante” e “che richiede un intervento”. Anche se questo schema non fornisce regole quantitative per indicare quando passare a un altro trattamento, quando è stato applicato ai dati del PRISMS (usando solo le ricadute e la progressione della disabilità) si è dimostrato in grado di identificare un gruppo di pazienti con risposta subottimale, l’89 per cento dei quali aveva una attività di malattia a rapida progressione, in termini di ricadute e di disabilità accumulata. Più di recente Rio e coll. (21), analizzando un registro clinico di 222 pazienti con SMRR trattati con differenti formulazioni di IFN per oltre 1 anno, ha proposto una versione più quantitativa di un punteggio composito. La proposta è basata sulla valutazione combinata, a 1 anno dall’inizio del trattamento, della presenza di ricadute cliniche, di progressione della disabilità (misurata da un aumento di 1 punto EDSS confermato a 6 mesi) e di lesioni attive visibili con RM (> 2 nuove lesioni T2 o dopo somministrazione di Gd) per identificare i pazienti con un outcome sfavorevole nei 2 anni
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FIGURA 1. Proposta di algoritmo basato sul punteggio di Rio modificato per classificare i pazienti con SM trattati con IFN per 1,5 anni, a seconda del rischio di progressione a 4 anni
Note: * Attività rilevante in termini di lesioni T2 è definita come >4-5 nuove lesioni in T2 nel primo anno di terapia22 o >1-2 nuove lesioni in T2 se lo scan RM di riferimento per la conta delle nuove lesioni T2 è stato fatto dopo 6 mesi dall’inizio della terapia20 Fonte: modificata da Sormani M, De Stefano N. Nat Rev Neurol 2013; Sep; 9(9): 504-12
successivi (Tabella 1). I pazienti che erano positivi per almeno due dei tre criteri analizzati dopo il primo anno di terapia con IFN risultavano quelli che avevano una probabilità più alta di andare incontro a una progressione della disabilità o di mostrare una recidiva al follow up. Questi pazienti sarebbero stati pertanto ottimi candidati a un cambiamento della terapia. È degno di nota che anche in questo studio la presenza isolata di ricadute o di attività alla RM dopo 1 anno di trattamento non prediceva in modo significativo il rischio di nuova attività clinica o di progressione della malattia nei 2 anni successivi. Inoltre, un aumento isolato della disabilità durante il primo anno di trattamento aveva un potere di predizione debole della successiva progressione della disabilità. Partendo da questi lavori basilari, uno
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studio più recente (22) ha proposto una versione semplificata del punteggio Rio (denominata punteggio Rio modificato), basata sui dati dei bracci trattati dello studio PRISMS (8), che consistevano di 365 pazienti con SMRR trattati con due dosi di IFNbeta-1a sottocutaneo (training set). In base all’osservazione che le lesioni RM attive e le ricadute durante il primo anno di trattamento con IFN erano in grado di rendere conto dell’effetto complessivo sulla progressione della disabilità (17), questi soli marker sono stati usati come componenti del punteggio. I valori cut-off per il numero di ricadute e il numero di nuove lesioni T2 verificate dopo il primo anno di trattamento sono stati stabiliti con un modello statistico (Tabella 1). Per evitare una sovrastima, i risultati di questa analisi sono stati validati su un
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registro indipendente (quello usato per sviluppare il punteggio Rio originario) (21). Il punteggio Rio modificato ha raggruppato i pazienti in tre gruppi di rischio (Tabella 1) e ha mostrato nel database di validazione una probabilità di progressione della disabilità del 24 per cento nel gruppo a basso rischio, del 33 per cento nel gruppo a rischio intermedio e del 65 per cento nel gruppo ad alto rischio. I pazienti classificati come a rischio intermedio con il punteggio Rio modificato sono quelli più difficili da definire in termini di risposta al trattamento e di pianificazione. Si è visto che un’ulteriore valutazione con RM e una visita clinica 6 mesi dopo il primo anno di terapia potrebbero consentire una migliore classificazione di questi pazienti (23), arrivando a un vero e proprio algoritmo per la definzione dei rispondenti all’IFN dopo un anno e mezzo di terapia (Figura 1). In uno studio preliminare (24), sia il punteggio Rio sia quello modificato sono stati ulteriormente validati su un ampio registro indipendente di 516 pazienti con un follow up di almeno 5 anni, trattati con IFN in un contesto clinico. Entrambi i sistemi di punteggio hanno confermato di consentire una buona discriminazione dei pazienti a rischio di progressione della malattia a 1 anno dall’inizio del trattamento.
L’impiego dei sistemi di punteggio nella SM Nella pratica clinica quotidiana, i medici devono prendere decisioni su quale sia l’approccio terapeutico migliore per il singolo paziente. Nella SM, queste decisioni si fondano principalmente sull’attività rilevabile a livello clinico e con la RM sebbene, come discusso sopra, ci sia una mancanza di procedure basate sull’evidenza. La rilevanza maggiore dei sistemi di pun-
teggio è nello stabilire regole di decisione quantitative e basate sull’evidenza, integrando parametri differenti che riguardano l’attività della malattia. È opportuno sottolineare che i sistemi di punteggio combinati hanno performance subottimali quando sono valutati come sistemi di classificazione. Se prendiamo per esempio il punteggio Rio modificato, vediamo che esso classifica i pazienti arruolati nello studio PRISMS in tre gruppi con una probabilità di progressione di circa il 30, 40 e 50 per cento, quando la probabilità precedente per l’intero gruppo era attorno al 40 per cento (22). Lo si può considerare un guadagno modesto in termini di classificazione. Tuttavia, questi limiti sono in qualche modo dovuti a caratteristiche specifiche della SM, come la sua variabilità clinica (per esempio, pazienti non rispondenti alla terapia possono avere periodi di malattia stabile e vice versa) e la sua risposta imperfetta alla terapia (per esempio, i “veri” responders all’IFN non sono guariti e pertanto non ci si può aspettare di avere una probabilità di progressione uguale o vicina allo zero). In tale contesto, i punteggi proposti non dovrebbero essere valutati in base alla loro riuscita come sistemi di classificazione; la loro capacità discriminante dovrebbe essere piuttosto pesata in rapporto alle piccole differenze nella progressione della disabilità riscontrabili tra gruppi di pazienti con SM. Se infatti confrontiamo il guadagno in termini di riduzione di progressione di disabilità su 2 anni nei pazienti definiti come rispondenti dal punteggio di Rio modificato paragonati ai pazienti trattati con placebo nello studio PRISMS, otteniamo una riduzione di rischio del 52 per cento (25). Tale differenza è maggiore, per esempio, della differenza nella progressione della disabilità indotta da due tra i farmaci considerati come i più efficaci nella SM, come fingolimod e natalizumab confrontati con placebo. I dati degli studi clinici mostrano infatti che fingolimod riduce il tasso di progressione della disabili-
tà nell’arco di 2 anni di circa il 30 per cento (HR =0,70) (9) e natalizumab di circa il 42 per cento (HR =0,58) (8). Il punetggio di Rio modificato pertanto, è stato in grado di identificare il sottogruppo di pazienti trattati con IFN che hanno un beneficio clinico paragonabile a quello di farmaci ritenuti più efficaci. In base a questi dati, si può stabilire che l’uso di sistemi di punteggio nella SM, sebbene possa e debba essere migliorato con l’integrazione di componenti nuove e più specifiche della malattia, permette una buona discriminazione tra gli individui affetti da SM che rispondono oppure no al trattamento con IFN. Tuttavia, tutti i sistemi di punteggio proposti necessitano di ulteriori convalide in ampie coorti di pazienti con SMRR trattati con IFN, preferibilmente con dati provenienti dai registri della pratica clinica, poiché lo stretto monitoraggio messo in atto negli studi clinici può in qualche modo sovrastimare la sensibilità dei punteggi una volta tradotti nella pratica clinica.
ha fornito l’evidenza che misurare le lesioni focali T2 che si accumulano nel corso della malattia non è sufficiente per fornire un profilo adeguato dell’eterogeneità clinica della SM e per controllare la sua progressione (26). Dati recenti mostrano che, tra i vari parametri della RM, l’atrofia cerebrale è quello che la maggior parte dei ricercatori giudica più promettente per assumere un ruolo significativo in futuro (26). La sfida che ci attende per un approccio personalizzato al trattamento della SM basato su sistemi di punteggio combinati sarà duplice: in primo luogo, sono necessari nuovi studi per chiarire il valore di nuovi e promettenti biomarker che possono essere integrati con variabili cliniche e paracliniche in modo da fornire punteggi predittivi; in secondo luogo, si dovrebbe considerare anche l’applicabilità alla pratica clinica, cercando di mettere a punto sistemi di punteggio che siano così semplici da poter essere facilmente implementati in qualsiasi contesto clinico.
LE DIREZIONI FUTURE
Ringraziamenti
L’avvento di un gran numero di nuove terapie per la SM rende auspicabile lo sviluppo di strumenti per selezionare il trattamento migliore per ogni nuovo paziente con SM, e per identificare i fattori in grado di predire se quel paziente risponderà alla terapia prescelta. Questo potrebbe rendere possibili decisioni precoci, basate sull’evidenza e individualizzate su un punto clinico così cruciale. A questo fine è necessario un approccio integrato, che combini biomarcatori clinici e paraclinici in modo da quantificare accuratamente il rischio individuale e da guidare strategie di trattamento paziente-specifiche. Un tale approccio integrato dovrebbe incorporare in futuro nuovi biomarker di diagnostica per immagini e di laboratorio che abbiano mostrato un potenziale come predittori della risposta al trattamento. Un ampio numero di studi di imaging
Gli Autori ringraziano Merck Serono S.A., Ginevra, Svizzera per aver concesso l’uso del registro dei pazienti dello studio PRISMS. Questa ricerca non ha ricevuto finanziamenti specifici da alcuna agenzia pubblica, privata o non-profit.
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terapia
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numero 3 · 2014 la neurologia italiana
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L’eslicarbazepina in monosomministrazione giornaliera è efficace e ben tollerata in pazienti con crisi epilettiche a esordio focale A cura di FRANCESCO PISANI Università degli Studi di Messina
I
risultati di un’analisi integrata di 3 studi multicentrici, randomizzati, eseguiti in doppio cieco vs placebo, indicano che l’eslicarbazepina acetato (ESL), in monosomministrazione giornaliera e in aggiunta alla terapia basale, è efficace nel ridurre crisi focali resistenti ed è ben tollerata. L’efficacia è risultata essere indipendente dal sesso, età, esordio e durata della malattia, numero e tipo di farmaci associati. L’analisi, pubblicata su Epilepsia nel 2013, è stata eseguita da Antonio Gil-Nagel et al., i quali hanno valutato, integrandoli, i risultati di 3 studi multicentrici internazionali (BIA2093- 301, 302, 303) che hanno reclutato 1.049 pazienti adulti (≥18 anni). Le dosi di ESL sono state 400, 800 e 1.200 mg. Dopo 2 settimane di aggiustamento posologico, il trattamento con una dose stabile di farmaco è stato mantenuto per 12 settimane. Risultati altamente significativi rispetto al placebo sono stati ottenuti con 800 e 1.200 mg: a) riduzione delle crisi del 35 e 39%, rispettivamente (15% con placebo); b) incremento dei pazienti che hanno ottenuto almeno un dimezzamento delle crisi: 36 e 44%, rispettivamente, vs 22% con placebo; c) percentuale di pazienti liberi da crisi: 3,8 e 7,5%, rispettivamente, vs 2-3% con placebo. Nessuna differenza di efficacia è emersa tra pazienti in terapia basale con carbamazepina, valproato o lamo-
trigina o in assenza di essi, indicando l’assenza di effetti di sinergismo o antagonismo terapeutici tra ESL e questi farmaci. Gli eventi avversi più comuni (≥10% dei pazienti), osservati più frequentemente nelle donne rispetto agli uomini e nei pazienti che assumevano carbamazepina, sono stati sensazioni vertiginose, sonnolenza e cefalea, riportate principalmente durante le prime settimane di trattamento. Altri eventi meno frequenti sono stati diplopia, visione appannata, nausea, vomito, astenia, difficoltà nella coordinazione dei movimenti. Tali effetti, evidenziatisi principalmente nelle prime 6 settimane di trattamento, sono risultati dosedipendenti: 35-45% dei pazienti a dosi di 400 mg, 51% a dosi di 600 mg e 73-78 % a 800 mg. Differenze con il placebo sono state riscontrate solo nelle prime fasi di trattamento; con il proseguire dello studio, infatti, l’incidenza di questi eventi avversi, usualmente lievi-moderati, è risultata simile tra i vari gruppi. La sospensione del farmaco dovuta a gravi eventi avversi è avvenuta complessivamente nel 14% dei pazienti, raggiungendo valori massimi del 19% nel gruppo trattato con 1.200 mg (5% nel gruppo con placebo). Tali valori sono minori rispetto a quelli riportati per vari altri farmaci antiepilettici di comune uso. Gli esami emato-
chimici non hanno mostrato variazioni anomale durante il trattamento, tranne una diminuzione della sodiemia da valori normali a bassi (<135 mM) in <10% dei pazienti; una franca iposodiemia (<125 mM) è stata osservata in 4 pazienti, tutti co-trattati con carbamazepina e tutti con valori di partenza bassi (<135 mM). Un altro dato emerso dallo studio è un lieve abbassamento dei livelli plasmatici di carbamazepina (13%) e della lamotrigina (25%) indotto dalla ESL. In sintesi, le caratteristiche di questo nuovo farmaco antiepilettico, approvato dall’EMA nel 2009 quale farmaco aggiuntivo nel trattamento di crisi focali con o senza generalizzazione secondaria in pazienti adulti, sono le seguenti: esso viene trasformato quasi completamente in eslicarbazepina e presenta metaboliti in comune con l’oxcarbazepina (i pazienti in terapia con questa sono stati esclusi dagli studi sopra analizzati); l’analisi integrata di tre studi multicentrici, sopra esposta, indica che l’ESL può essere assunta una volta al dì (con una conseguente migliore aderenza al trattamento da parte dei pazienti); non si verificano interazioni significative da un punto di vista clinico con altri farmaci antiepilettici; la dose ottimale nella maggior parte dei pazienti è 800 mg, risultando simile come efficacia a 1.200 mg, ma essendo meglio tollerata.
Sindrome di Lennox-Gastaut Valutazione a lungo termine della terapia aggiuntiva con rufinamide A cura di Duccio Maria Cordelli U.O. Neuropsichiatria Infantile - Policlinico S. Orsola Malpighi, Università di Bologna
L
a Sindrome di Lennox-Gastaut (LGS) è una grave encefalopatia epilettica che insorge durante l’infanzia. La LGS è caratterizzata dalla presenza di frequenti crisi polimorfe (toniche, atoniche, assenze atipiche, miocloniche, crisi generalizzate tonico-cloniche) e da un pattern EEG con frequenti anomalie tipo punta lentaonda lenta. Le crisi della LGS sono spesso estremamente resistenti anche a una politerapia farmacologica e l’obiettivo principale dell’intervento terapeutico è quindi quello di ridurre frequenza e impatto delle crisi sulla qualità di vita dei pazienti. Uno dei pochi farmaci licenziati per il trattamento delle crisi nella LGS è la rufinamide, un triazolo derivato che sembra agire sui canali del sodio. Alcuni studi randomizzati in doppio cieco hanno dimostrato l’efficacia a breve termine della rufinamide nella LGS. Degno di nota è lo studio di Kluger et al. (Adjunctive rufinamide in LennoxGastaut syndrome: a long-term, open label extension study), pubblicato su Acta Neurologica Scandinavica nel 2010, che ha valutato in aperto l’efficacia e la tollerabilità del farmaco a lungo termine. In questo studio, prosecuzione in aperto di uno studio randomizzato in doppio cieco contro placebo (Glau-
ser et al. Rufinamide for generalized seizures associated with LennoxGastaut syndrome, pubblicato su Neurology nel 2008), gli Autori hanno valutato 124 pazienti (età 4-34 anni) trattati con rufinamide in add-on per un tempo medio di 432 giorni. Per accedere allo studio i pazienti dovevano avere una frequenza critica ≥90 episodi nell’ultimo mese prima dell’inizio della fase in doppio cieco. Rufinamide è stato utilizzato a una dose media di 52,9 mg/Kg/die (range 10-60 mg/Kg/ die) in aggiunta a 1-3 ulteriori farmaci antiepilettici. Le valutazioni di efficacia (sul numero delle crisi totali e delle crisi di caduta) e tollerabilità sono state effettuate a 2, 4, 8, 12, 24 e 36 mesi dopo il termine della fase in doppio cieco; inoltre è stata valutata la percentuale di responders (definita come una riduzione della frequenza critica ≥50%) negli ultimi 6 e 12 mesi dello studio. I dati sull’efficacia della rufinamide nella LGS evidenziati durante la fase randomizzata a doppio cieco sono stati confermati anche durante questo studio in aperto. Nei pazienti che hanno proseguito la terapia a lungo termine è stato infatti osservato che l’efficacia nella riduzione delle crisi tendeva a persistere nel tempo. In dettaglio, i pazienti che hanno sospeso la terapia per scarsa efficacia sono stati 51/124.
Una riduzione ≥50% della frequenza critica negli ultimi 12 mesi è stata osservata nel 41% dei pazienti per quanto concerne il computo totale delle crisi, e nel 47% per quanto concerne le crisi di caduta; una scomparsa totale delle crisi di caduta è stata osservata in 8 pazienti. Per quanto riguarda la tollerabilità del farmaco circa il 70% dei pazienti ha segnalato almeno un evento avverso correlabile con il farmaco, tra cui 9 pazienti hanno segnalato un evento avverso di entità maggiore. La terapia con rufinamide è stata sospesa per eventi avversi da 12 pazienti. Questi dati confermano come la rufinamide possa essere una valida opportunità come terapia aggiuntiva per i pazienti affetti da LGS. Il farmaco ha mostrato di possedere una discreta tollerabilità anche a lungo termine considerato il numero relativamente basso di eventi avversi maggiori segnalati e di drop-out legati a scarsa tollerabilità. Il mantenimento dell’efficacia per un periodo prolungato documentato in questo studio assume un particolare valore in una forma di encefalopatia epilettica come la LGS, caratterizzata da frequenti fluttuazioni e possibili peggioramenti. Inoltre la conferma della buona efficacia di rufinamide sulle crisi di caduta (drop attacks) ha una considerevole valenza clinica vista la natura invalidante di questo tipo di crisi.
S p e c i a l e e p i l e ss i a
Terapia con zonisamide Il farmaco mostra un profilo di efficacia e sicurezza sovrapponibile a quello di carbamazepina A cura della Redazione
L’
Pazienti (%)
utilizzo di zonisamide (ZNS) no variare in base alla risposta clinica era 67,6% e 74,7%, rispettivamente. In nel trattamento dell’epilessia a e alla tollerabilità. Sono stati arruolaentrambi i gruppi, l’endpoint primario esordio parziale nell’adulto ha trovato è stato raggiunto con il dosaggio tarti 583 pazienti (n =282, ZNS; n =301, recentemente ulteriori conferme in CBZ); di questi, 456 (223 ZNS e 233 get: 87% dei pazienti del gruppo ZNS letteratura. L’ILAE nell’ultimo aggiorCBZ) sono stati valutati per l’endpoint con 300 mg in monosomministrazione primario, rappresentato dalla quota e 88,7% dei pazienti del gruppo CBZ con namento delle sue linee guida (2012), di pazienti in cui si evidenziava un 600 mg frazionato in due somministrariconosce a ZNS il livello di evidenza periodo libero da crisi di almeno 26 A (farmaco certamente efficace) inzioni giornaliere (Figura 1). L’incidenza settimane con un dosaggio stabile di globale di eventi avversi è risultata sisieme ad altri 3 farmaci solamente. farmaco. Endpoint secondari erano: Lo studio più importante, condotto per mile nei due gruppi. I principali eventi il tempo mediano di raggiungimento dimostrare la non inferiorità di ZNS vs avversi emersi in corso di trattamento della libertà da crisi e il tempo di ricarbamazepina (CBZ), è quello di Bau(≥5% dei pazienti) sono stati cefalea, riduzione dell’appetito, sonnolenza, lac M et al., del 2012 (Lancet Neurol tenzione in trattamento. L’efficacia di capogiri e calo ponderale. Riduzione 2012; 11: 579-88), che ha confrontato ZNS è risultata comparabile a quella di dell’appetito e calo ponderale sono l’efficacia e la tollerabilità di ZNS in CBZ per la durata di osservazione di un stati segnalati più frequentemente monosomministrazione giornaliera anno. La proporzione di pazienti liberi nel gruppo ZNS, mentre i capogiri nel vs CBZ a rilascio prolungato sommida crisi per 26 settimane era del 79,4% gruppo CBZ. Le evidenze di sicurezza nel gruppo ZNS vs 83,7% nel gruppo nistrata due volte/die. È uno studio e tollerabilità di ZNS in monoterapia CBZ; a 52 settimane tale proporzione prospettico, di fase III, multicentrico, in pazienti con epilessia focale randomizzato, in doppio cieco e di nuova diagnosi confermano a gruppi paralleli, in cui pazienti Figura 1. Dose necessaria al raggiungimento della libertà dalle crisi per 26 settimane i dati dei rapporti di farmacodi età 18-75 anni con epilessia (popolazione per-protocollo) focale di nuova diagnosi sono vigilanza (Wroe et al., 2008). 100 stati randomizzati a monoteraL’incidenza di effetti collaterali risulta inferiore in monoterapia pia con ZNS o CBZ. I pazienti 80 rispetto all’impiego del farmaco ricevevano una dose iniziale di in terapia aggiuntiva (Ohtahara 100 mg/die di ZNS e 200 mg/die 60 et al., 2006), probabilmente per in due somministrazioni giornal’assenza di interazioni farmaliere di CBZ, fino a raggiungere, dopo una fase di titolazione, la codinamiche e farmacocineti40 dose target di 300 mg/die e 600 che; la migliore tollerabilità in mg/die rispettivamente. Sucmonoterapia rende più sicura 20 la prosecuzione del trattamento cessivamente i pazienti entraa lungo termine, migliora l’adevano nella fase di flessibilità di 0 200mg 300mg 400mg 500mg 400mg 600mg 800mg 1200mg dosaggio, della durata di 26-78 renza al trattamento e la rispoZonisamide (dose/die) Carbamazepina (dose/die) settimane, in cui le dosi potevasta terapeutica globale.
S p e c i a l e e p i l e ss i a
AMPA-antagonisti Una classe emergente di farmaci nel trattamento dell’epilessia A cura di Antonino Romeo Struttura Complessa Neurologia Pediatrica e Centro Regionale per l’Epilessia, Dipartimento di Neuroscienze Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico, Milano
I
n virtù della loro potenziale implicazione nella terapia antiepilettica, è andato via via aumentando l’interesse verso una nuova classe di recettori denominati AMPA: si tratta di recettori post-sinaptici di tipo ionotropico non-NMDA, presenti in quasi tutti i neuroni eccitatori che trasmettono i segnali indotti dal glutammato, e capaci di generare una risposta eccitatoria rapidissima. Si ritiene che tali recettori partecipino allo sviluppo di varie malattie del SNC, fra cui l’epilessia. Gli antagonisti esogeni di tali recettori che sono stati sviluppati negli ultimi anni presentano potenzialità anticomiziali: verosimilmente, anche gli antiepilettici di corrente utilizzo hanno sempre agito su tali recettori, cosicchè questi nuovi antagonisti potrebbero dimostrarsi particolarmente efficaci in combinazione con i farmaci tradizionali. Il legame del recettore AMPA con i suoi ligandi endogeni (α-amino-3-idrossi-5-metil4-isoxazol-propinato, glutammato, aspartato, quisqualato e in parte anche kainato) provoca una modifica conformazionale che consente il passaggio di ioni, inducendo la depolarizzazione con un EPSP molto rapido. Sono state di recente individuate anche particolari subunità proteiche ausiliarie di transmembrana denominate TARPs, che controllano il traffico recettoriale e l’apertura dei pori-canale. In un’ampia review sui nuovi antagonisti AMPA in
epilessia (Russo E et al. Expert Opin Investig Drugs 2012), viene descritta l’architettura dei recettori AMPA e il loro funzionamento, la definizione e l’identificazione dei loro antagonisti, le meno recenti e le nuove molecole più promettenti individuate e, infine, vengono riportati i risultati sia preclinici che dei trials clinici. Nel modello animale è stato rilevato che lo spettro di attività anticonvulsiva più ampio, sia nelle epilessie focali che in quelle generalizzate, è dato proprio dai recettori antagonisti; proprietà che si è evidenziata fin dai primi composti e poi in quelli successivi come l’NBQX, dimostratosi attivo sia sulle convulsioni da elettroshock massimale, sia su quelle indotte da PTZ. Durante le crisi epilettiche prolungate, le concentrazioni di glutammato aumentano negli spazi extracellulari producendo l’apertura di un gran numero di canali: questo eccesso di afflusso ionico produce morte neuronale eccito tossica. Le recenti molecole capaci di bloccare i canali ionofori del glutammato possono pertanto dimostrare un’efficacia sia nel bloccare le scariche epilettiche, sia nel ridurre la morte neuronale da ischemia focale. Di recente nello scenario dei farmaci antiepilettici è comparso un antagonista AMPA denominato perampanel: la sua azione selettiva sul glutammato ne ha presto dimostrato l’efficacia anche a lungo termine, sulle crisi epilettiche a esordio
parziale, refrattarie a precedenti trattamenti, associata a un favorevole profilo di tollerabilità (tra gli effetti avversi maggiori: capogiri, cefalea e sonnolenza). Lo sviluppo clinico di perampanel è costituito da tre studi di Fase III per un totale di 1.480 pazienti, adolescenti e adulti, affetti da crisi parziali e crisi parziali secondariamente generalizzate, refrattarie. I trials hanno dimostrato un’importante efficacia con modificazione significativa della frequenza media delle crisi e una buona tollerabilità in tutto il range di dosaggi giornalieri; inoltre, i dati provvisori degli studi di estensione, dimostrano che i risultati di sicurezza vengono mantenuti per diversi anni. Nella review di Russo et al. oltre a perampanel, vengono illustrati altri nuovi antagonisti AMPA e di questi (a parte perampanel) soltanto talampanel e BGG492 sono stati studiati nell’uomo. In particolare, il talampanel è stato utilizzato in add-on e in monoterapia in pazienti con epilessia parziale refrattaria con buona efficacia sulle crisi, ma con comparsa di effetti collaterali e soprattutto di atassia in una buona percentuale di pazienti. Gli Autori della review concludono che gli antagonisti dei recettori AMPA sono sicuramente promettenti farmaci per l’epilessia e che i recenti eccellenti risultati clinici ottenuti da perampanel confermano che questa area di ricerca farmacologica rappresenta un grande potenziale terapeutico.
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clinica
IL DOLORE NEUROPATICO Percorso diagnostico e indicazioni di terapia Il dolore neuropatico (DN) insorge come diretta conseguenza di una lesione o patologia che interessa le vie somatosensitive nel sistema nervoso centrale o periferico ed è presente in numerose patologie neurologiche (neuropatie periferiche, lesioni midollari, ictus, sclerosi multipla), nonché in comuni condizioni di non stretta pertinenza neurologica (radicolopatie, sindrome del tunnel carpale). Il DN interessa il 6-8 per cento della popolazione generale e può avere un rilevante impatto su qualità della vita, umore e sonno. Questo articolo si propone di fornire un aggiornamento su definizione, fisiopatologia, clinica, diagnosi e terapia del DN per superare le incertezze su questa condizione, a lungo considerata difficile da diagnosticare e trattare
I
l dolore neuropatico (DN) interessa il 6-8 per cento della popolazione generale con un elevato impatto su qualità della vita (QoL), sonno e umore e un rilevante carico di disabilità [1]. Sebbene il DN abbia una prevalenza simile a quella del diabete mellito e dell’asma bronchiale, esso è tuttora considerato una condizione oscura, difficile da diagnosticare e trattare, sia per il Medico di medicina generale (MMG), che per lo specialista in neurologia o terapia del dolore. La classica definizione di DN come dolore iniziato o causato da una lesione o disfunzione primaria del sistema nervoso [2] non specificava quali condizioni rientrassero sotto il vago termine di disfunzione e includeva pazienti con dolore da ipertono muscolare (es. spasticità, malattia di Parkinson), la cui fisiopatologia differisce da quella del DN. Per superare tali limitazioni, il DN è stato recentemente ridefinito come dolore che insorge quale diretta conseguenza di una lesione o patologia del sistema somatosensitivo [3]; tale ridefinizione distingue nettamente il DN dal dolore nocicettivo, condizione caratterizzata dalla presenza di uno stimolo lesivo o potenzialmente tale a livello di un tessuto, in presenza di una normale funzione del sistema somatosensitivo. Alcune condizioni tradizionalmente classificate come DN putativo (es. fibromialgia) non rientrano nel DN secondo questa nuova definizione [1]. Oltre a essere più specifica della precedente, la ridefinizione del DN è corredata di un algoritmo diagnostico simile a quello utilizzato in altre malattie neurologiche (es. malattia di Parkinson, sclerosi multipla). Il DN può essere suddiviso in centrale e periferico in base alla sede anatomica della lesione o patologia. Le principali cause periferiche di DN comprendono mononeuropatie compressive (es. sindrome del tunnel carpale, neuropatia ulnare al gomito), traumatiche e post-chirurgiche, mononeuropatie dolorose su base diabetica, plessopatie, radicolopatie associate a spondilodiscoartrosi, nevralgia post-erpetica, nevralgia del trigemino e altre nevralgie del comparto cranico, polineuropatie dolorose (es. diabetica, alcolica, da chemioterapia, da HIV). Le principali cause centrali di DN sono patologie del midollo spinale, stroke e sclerosi multipla [1]. La fisiopatologia è caratterizzata da meccanismi di sensibilizzazione periferica, cioè alterazioni nell’eccitabilità del nervo
Francesca Magrinelli1, Giampietro Zanette2, Stefano Tamburin1 1. Dipartimento di Scienze Neurologiche e del Movimento, Sezione di Neurologia, Università di Verona; 2. Sezione di Neurologia, Clinica Pederzoli, Peschiera del Garda (VR)
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SIN TO MI
ES EG NI
PO SIT IVI
Figura 1. Aspetti clinici e terminologia del dolore neuropatico
SINTOMI Parestesia: anomala sensazione somatica che si manifesta in assenza di stimolo Anestesia dolorosa: dolore spontaneo in una regione corporea anestetizzata
SEGNI (DOLORE EVOCATO) Iperestesia tattile, termica, puntoria: aumentata sensibilità allo stimolo tattile, termico, puntorio Iperalgesia: aumentata sensibilità allo stimolo nocicettivo Allodinia: dolore in risposta ad uno stimolo che normalmente non provoca dolore (es. stimolo tattile) Sommazione temporale: aumento dell'intensità della sensazione dolorosa in risposta ad uno stimolo nocicettivo ripetuto nel tempo
DOLORE NEUROPATICO Dolore che insorge come diretta conseguenza di una lesione o di una patologia del sistema somatosensitivo Nelle sindromi da dolore neuropatico coesistono sintomi e segni negativi (espressione di perdita di funzione del sistema somatosensitivo) e sintomi e segni positivi (espressione di guadagno di funzione del sistema somatosensitivo)
TIV
I
SINTOMI
NI
NE
GA
Ipoalgesia: diminuzione della sensibilità dolorifica Analgesia: assenza di dolore in risposta allo stimolo nocicettivo
SIN
TO
MI
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SEGNI Ipoestesia tattile, termica, puntoria: ridotta sensibilità allo stimolo tattile, termico, puntorio Ipopallestesia: ridotta sensibilità allo stimolo vibratorio
periferico e del ganglio della radice dorsale, e di sensibilizzazione centrale, che include fenomeni di ipereccitabilità dei neuroni del midollo spinale e anomalie nei sistemi di controllo discendente del dolore e nella plasticità cerebrale [4].
CLINICA Il DN può essere descritto come bruciante, freddo, sordo, profondo, simile a una scossa elettrica, associato a parestesie o evocato dal contatto con la cute. Sebbene tali descrittori siano tradizionalmente considerati come specifici del DN, essi non hanno significato diagnostico, essendo spesso presenti in altri tipi di dolore [5]. Inoltre, alcuni pazienti hanno difficoltà nel riferire precisamente le caratteristiche del DN. La combinazione di segni e sintomi negativi (perdita di sensibilità) e positivi (dolore spontaneo ed evocato) suggerisce fortemente la presenza di DN (Figura 1), ma non è essa stessa specifica di tale condizione, potendosi riscontrare anche nel dolore nocicettivo [6]. Vari test di screening (es. DN4, PainDETECT, StEP), composti da domande sulla qualità del dolore e da un esame obiettivo semplificato, sono stati proposti per una pri-
ma valutazione del paziente con sospetto DN [1]. Sebbene essi presentino sensibilità e specificità elevata se applicati in centri specializzati o in specifiche eziologie di DN, il loro valore predittivo in altri contesti (es. MMG, neurologo territoriale) non è mai stato indagato. Tali test di screening possono rappresentare una base per una più solida valutazione diagnostica, ma non dovrebbero sostituirla [7].
DIAGNOSI La ridefinizione del DN è accompagnata da un algoritmo [3], che comprende quattro quesiti e definisce cinque livelli diagnostici (DN improbabile, possibile, probabile, definito e non confermato; Figura 2). I primi due quesiti (Il dolore ha una distribuzione neuroanatomica plausibile? L’anamnesi suggerisce una lesione o patologia del sistema somatosensitivo?) rientrano nell’anamnesi del paziente; se la risposta a entrambi è affermativa, il livello diagnostico è possibile. Il paziente può riportare la distribuzione del dolore mostrandola sul segmento corporeo affetto, oppure tracciandola su una schematica mappa corporea. Per distribuzione neuroanatomica plausibile la neurologia italiana
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clinica
Figura 2
ALGORITMO DIAGNOSTICO DEL DOLORE NEUROPATICO QUESITO 1. Il dolore ha una distribuzione neuroanatomica plausibile?
SÌ
NO
QUESITO 2. L’anamnesi suggerisce una lesione o patologia del sistema somatosensitivo?
SÌ
X
NO
X
QUESITO 3. Sono presenti segni positivi o negativi limitati al territorio di innervazione della struttura nervosa lesionata?
SÌ
Se la risposta ai quesiti 1 e/o 2 è NO DOLORE NEUROPATICO IMPROBABILE non procedere con i quesiti 3 e 4 ----------------------------------------------------Se la risposta ai quesiti 1 e 2 è SÌ DOLORE NEUROPATICO POSSIBILE: procedere con i quesiti 3 e 4 ----------------------------------------------------Se la risposta ai quesiti 1 e 2 è SÌ Ma ai quesiti 3 e 4 è NO DOLORE NEUROPATICO NON
NO
CONFERMATO ----------------------------------------------------Se la risposta ai quesiti 1, 2 e 3 è SÌ o ai quesiti 1, 2 e 4 è SÌ
QUESITO 4. La lesione o patologia responsabile del dolore è confermata da un test diagnostico?
SÌ
NO
si intende una distribuzione del dolore compatibile con una lesione a qualche livello del sistema nervoso periferico (SNP) (nervo, plesso, radice) o centrale (midollo spinale o encefalo). Laddove il clinico non abbia familiarità con la complessa anatomia del SNP, mappe dei territori sensitivi delle principali radici o tronchi nervosi periferici in versione tascabile o app per smartphone o tablet possono essere di ausilio nel definire se una distribuzione del dolore sia neuroanatomicamente plausibile oppure no. La frequente diffusione extraterritoriale del DN, fenomeno dovuto a meccanismi di sensibilizzazione spinale, può talora rendere difficile stabilire se un dolore presenti una distribuzione neuroanatomica plausibile [8]. Raccogliendo l’anamnesi, l’intensità del DN dovrebbe essere misurata mediante la scala analogica visiva, la scala numerica e la scala verbale (Figura 3). Tutte queste scale sono valide e la scelta tra esse può dipendere dalle preferenze del clinico o dalle caratteristiche del paziente (es. età, livello di istruzione). La scala di Wong-Baker è usata in età pediatrica, ma può essere utile in alcuni pazienti adulti con bassa scolarità, disturbi del linguaggio o deterioramento cognitivo. Scale che misurano l’intensità di specifici descrittori del DN (es. scala NPSI) sono utilizzate prevalentemente a scopo di ricerca [9], ma possono essere utili nella valutazione di alcune caratteristiche
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DOLORE NEUROPATICO PROBABILE ----------------------------------------------------Se la risposta ai quesiti 1, 2, 3 e 4 è SÌ DOLORE NEUROPATICO DEFINITO
del DN, come l’allodinia. Il terzo quesito (Sono presenti segni positivi o negativi limitati al territorio di innervazione della struttura nervosa lesionata?) viene affrontato durante l’esame obiettivo del paziente, con l’indagine della sensibilità tattile, vibratoria, termica, e puntoria, nonché la ricerca dell’eventuale allodinia meccanica [1]. La sensibilità dovrebbe essere indagata sia nella regione dove è presente il dolore sia in altri distretti corporei al fine di documentare se le alterazioni siano specifiche dell’area dolorosa ed escludere condizioni di dolore diffuso come la fibromialgia. L’esame della forza e dei riflessi osteotendinei (ROT), seppure non specificatamente richiesto dall’algoritmo diagnostico, è di ausilio per confermare il danno di una specifica struttura nervosa oppure la presenza di segni subclinici (es. polineuropatia periferica). In caso di difficoltà o dubbi nell’esame del paziente (es. scarsa cooperazione, difficoltà linguistiche o cognitive, sospetto di disturbo psicogeno o simulazione del paziente), gli esami strumentali possono aiutare a rispondere al terzo quesito diagnostico, ma solitamente essi sono utilizzati nel quarto e ultimo quesito (La lesione o patologia responsabile del DN è confermata da un test diagnostico?). Le indagini neurofisiologiche per il SNP (elettroneurografia, elettromiografia) hanno un ruolo importante nella diagnosi del DN sia perché ampiamente disponibili
sia perché la maggior parte dei pazienti presenta un’etiologia periferica del DN. Oltre a confermare un danno del SNP, esse offrono importanti informazioni sul processo patologico (danno mielinico o assonale, neuroaprassia o assonotmesi/neurotmesi), sul sito di lesione (radice, plesso, tronco nervoso), sull’entità del danno (denervazione parziale o completa, coinvolgimento sensitivo o sensitivo-motorio), anche subclinico, e sulla prognosi (presenza di segni di reinnervazione). Altri test neurofisiologici comprendono lo studio dei riflessi trigeminali, utilizzati nell’indagine del dolore cefalico, e i potenziali evocati somatosensoriali, che possono documentare una lesione delle vie somatosensitive centrali. Tutte le suddette indagini esplorano esclusivamente le fibre nervose mieliniche di grosso calibro Aß e le vie sensitive lemniscali, responsabili della sensibilità tattile e propriocettiva. Esse sono negative nelle patologie coinvolgenti solo le piccole fibre nervose Aδ e C e le vie spinotalamiche responsabili della sensibilità termodolorifica, come nella comune neuropatia diabetica dolorosa limitata alle piccole fibre. Gli esami radiologici possono documentare una lesione responsabile del DN, ma sono spesso richiesti in modo ingiustificato, come nel caso della lombalgia. Essi devono essere pertanto inquadrati nel contesto clinico, dato il frequente riscontro di reperti dubbi o di falsi positivi nella spondilodiscoartrosi cervicale o lombosacrale e di alterazioni aspecifiche a livello encefalico interpretate come segni di malattia demielinizzante, pur in assenza di una clinica a supporto di tale ipotesi. L’ecografia di nervo periferico è un esame di recente introduzione e, seppur eseguita solo in pochi centri specializzati, può fornire informazioni complementari alle indagini neurofisiologiche. La valutazione psicofisica o quantitative sensory testing (QST), e i potenziali evocati laser (LEP) sono esami disponibili in centri di secondo o terzo livello, che permettono di documentare il danno delle piccole fibre nervose Aδ e C e delle vie spinotalamiche, senza specificarne la sede di lesione [10]. La biopsia di cute permette la misurazione della densità delle fibre Aδ e C presenti negli strati più superficiali della cute, ma è una tecnica costosa e limitata a pochissimi centri. Test autonomici, microneurografia e RMN funzionale hanno valenza quasi esclusivamente di ricerca [10].
TRATTAMENTO I farmaci con dimostrata efficacia sul DN in studi clinici randomizzati controllati (RCT) sono antidepressivi triciclici (TCA) e inibitori del reuptake di serotonina e noradrenalina (SNRI), antiepilettici attivi sui canali del sodio (carbamazepina, lamotrigina) e del calcio (ligandi α2-δ), oppioidi, lidocaina e capsaicina per uso topico, cannabinoidi. Nonostante la disponibilità di numerosi farmaci e la disponibilità di recenti linee guida (LG) [11-14], il trattamento del DN è difficile, come dimostrato dal fatto che solo il 30-50 per cento dei pazienti raggiunge una soddisfacente risposta. I pazienti con DN richiedono spesso più farmaci, che in generale sono
meno efficaci di quelli usati nel dolore nocicettivo. Ai pazienti con DN sono spesso prescritti farmaci senza efficacia provata per il DN oppure farmaci per il DN a dosaggio inadeguato e gli effetti collaterali causano di frequente sospensione della terapia [1]. Inoltre, gli RCT reclutano per lo più pazienti con DN diabetico e nevralgia post-erpetica e le loro conclusioni potrebbero essere scarsamente applicabili ad altre condizioni di DN. Infine, aspetti come QoL, sonno, ansia e depressione sono indagati solo in studi più recenti, mentre negli studi più vecchi l’unico outcome è l’intensità del DN. Di conseguenza, le evidenze per farmaci indagati con RCT meno recenti (es. TCA) potrebbero essere meno robuste [11]. Le LG concordano nel classificare TCA, ligandi α2-δ, SNRI, carbamazepina (per la nevralgia del trigemino) e lidocaina topica (per il DN periferico localizzato) come di prima scelta, e tramadolo e oppioidi come di seconda scelta [11-14]. La scelta di uno specifico principio attivo deve tenere in considerazione la presenza di comorbidità o terapie concomitanti (Tabella 1). I dubbi su effetti collaterali, sicurezza a lungo termine, fenomeni di tolleranza e il rischio di abuso rendono gli oppioidi terapia di seconda scelta, tranne che nel DN oncologico, acuto o incidente, o quando è necessario un rapido sollievo dal dolore durante la titolazione di altri farmaci. I trattamenti di terza scelta comprendono inibitori selettivi della ricaptazione di serotonina, altri antidepressivi (bupropione, citalopram, paroxetina), antiepilettici (carbamazepina, oxcarbazepina, lamotrigina, fenitoina, topiramato, valproato), capsaicina topica ad alta concentrazione, cannabinoidi, mexiletina, memantina, destrometorfano, clonazepam, tossina botulinica di tipo A e immunoglobuline endovena [1]. La terapia di combinazione nel DN è stata indagata in pochi RCT, che hanno documentato maggiore efficacia di ligandi α2-δ+oppiodi, ligandi α2δ+TCA e ligandi α2-δ+SNRI rispetto ai singoli farmaci. Il dolore misto (cioè la coesistenza di dolore nocicettivo e DN) è presente in molte condizioni, tra cui lombalgia, neuropatie e radicolopatie da intrappolamento e dolore oncologico. Non vi sono evidenze da RCT per il trattamento del dolore misto e in tale condizione è ragionevole utilizzare una combinazione di analgesici per il dolore nocicettivo e farmaci per il DN. Trattamenti invasivi come neurostimolazione, infusione intratecale di oppioidi, anestetici locali, baclofene e ziconotide sono riservati a pazienti con DN refrattario. La stimolazione midollare è un’opzione nei casi di lombalgia refrattaria. I pazienti con DN ricevono spesso trattamenti non farmacologici, tra cui attività fisica, terapie fisiche (es. stimolazione nervosa elettrica transcutanea), terapia cognitivo-comportamentale o psicoterapia. Tali trattamenti presentano evidenze limitate, ma possono avere un ruolo nella gestione multidisciplinare di un problema clinico complesso quale il DN. I MMG svolgono un ruolo importante nel primo approccio terapeutico al DN e la valutazione specialistica andrebbe riservata ai casi non responsivi. I centri di secondo o terzo livello dovrebbero includere varie figure mediche e paramediche per offrire un trattamento multidisciplinare. la neurologia italiana
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clinica
tabella 1 Principali farmaci usati nella terapia del DN Classe farmacologica
Posologia (A: dose di attacco, T: titolazione, M: dosaggio massimo)
Effetti collaterali
Vantaggi
Svantaggi, controindicazioni, interazioni e precauzioni d’uso
TCA1 Amitriptilina
A: 6-10 mg prima di coricarsi, T: aumentare di 2-5 mg ogni 2-3 giorni, M: 75 mg.
Efficaci sulla depressione (necessari alti dosaggi) e sui disturbi del sonno.
Cardiopatie (il rischio di morte cardiaca improvvisa aumenta per dosaggi equivalenti di amitriptilina >100 mg/die), ipertrofia prostatica, glaucoma, convulsioni, rischio suicidario. L’uso concomitante di tramadolo o IMAO può aumentare il rischio di sindrome serotoninergica. Utilizzare bassi dosaggi e titolazione lenta nei pazienti anziani.
Gabapentin
A: 300 mg prima di coricarsi, T: aumentare di 300 mg ogni 2-3 giorni, M: 1.200 mg x3.
Vertigini, sonnolenza, se- Efficaci su ansia e didazione, edema agli arti sturbi del sonno, non inferiori, aumento pon- presentano significative derale interazioni farmacocinetiche.
Pregabalin
A: 75 mg prima di coricarsi; T: aumentare di 75 mg ogni 2-3 giorni, M: 300 mg x2.
Insufficienza renale (modificare dosaggio iniziale e titolazione in base alla clearance della creatinina). Gabapentin può richiedere titolazione più lunga e l’assunzione di numerose compresse al giorno.
Nortriptilina
Desipramina
Sedazione, sonnolenza, bocca secca, visione offuscata, stipsi, ritenzione urinaria, aumento ponderale, ipomania (gli A: 10 mg prima di co- effetti collaterali sono riricarsi, T: aumentare di dotti partendo da bassi 10 mg ogni 3-5 giorni, dosaggi e con lenta titolazione). M: 100 mg.
Ligandi α2-δ
SNRI Duloxetina
Venlafaxina
A: 30 mg (a stomaco pieno), T: portare a 60 mg dopo 1 settimana, M: 120 mg.
Nausea e vomito (ridotti con l’assunzione a stomaco pieno), vertigini, sedazione, agitazione, possibile sindrome di A: 37,5 mg, T: aumen- astinenza in caso di brutare a 75 mg dopo 1 sca sospensione. settimana, quindi di 37,5-75 mg ogni settimana, M: 225 mg.
Efficaci su depressione e ansia. Alcune linee guida [14] li indicano come prima scelta per il DN diabetico.
Insufficienza renale, insufficienza epatica, rischio suicidario. L’uso concomitante di tramadolo o IMAO può aumentare il rischio di sindrome serotoninergica.
Lidocaina topica (cerotto 5%)
A: 1-3 cerotti per 12 Effetti collaterali locali Può essere efficace Ipersensibilità agli anestetici loore/die, M: 3 cerotti (eritema, rash). sull’allodinia. Nessun ef- cali. Non usare sulla cute infiamper massimo 12 ore/ fetto sistemico. mata o lesa o sulle mucose. die.
Tramadolo
A: 50 mg x1-2/die, T: Nausea, vomito, seda- Effetto rapido sul DN, efaumentare di 50-100 zione, stipsi, sonnolenza, ficace anche nel dolore mg (in dosi separate) vertigini. nocicettivo e misto. ogni 3-7 giorni, M: 400 mg (100 mg x4), 300 mg nei pazienti anziani.
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Abuso di farmaci, rischio suicidario, convulsioni, depressione respiratoria. L’uso concomitante di TCA, SNRI, SSRI o IMAO può aumentare il rischio di sindrome serotoninergica. Utilizzare titolazione più lenta nei pazienti anziani.
Classe farmacologica
Posologia (A: dose di attacco, T: titolazione, M: dosaggio massimo)
Effetti collaterali
Vantaggi
Nausea, vomito, flushing e prurito (di solito di breve durata), sedazione, confusione, stipsi (può essere ridotta con le formulazioni di oppioidi orali +naloxone), sonnolenza, vertigini, ipogonadismo.
Effetto rapido sul DN, efficaci anche nel dolore nocicettivo e misto. Il tapentadolo ha anche un effetto NRI.
Svantaggi, controindicazioni, interazioni e precauzioni d’uso
Oppioidi Morfina Ossicodone Idromorfone Buprenorfina Fentanyl Tapentadolo
A: 10 mg di morfina ogni 4 ore o al bisogno (dosi equianalgesiche per gli altri oppioidi2), T: dopo 1-2 settimane convertire il dosaggio totale2 a una dose equianalgesica di oppioide a lunga durata d’azione, eventualmente proseguendo gli oppioidi a breve durata d’azione al bisogno, M: non esiste dosaggio massimo (nel DN fino a 300 mg di morfina).
Abuso di farmaci, depressione respiratoria, rischio suicidario. Usare titolazione più lenta e dosaggi più bassi nei pazienti anziani e nella BPCO. Consultare un terapista del dolore per l’uso di dosaggi più alti. Le formulazioni a breve durata d’azione (lollipop o sublinguale) sono utili per il dolore episodico intenso. Gli oppioidi transdermici non rappresentano le formulazioni di prima scelta e dovrebbero essere prescritte solo nei pazienti che già utilizzano oppioidi. Per il tapentadolo, l’uso concomitante di TCA, SNRI, SSRI o IMAO può aumentare il rischio di sindrome serotoninergica.
Antiepilettici Carbamazepina
Sonnolenza, SSJ, NET, Farmaco di prima scelta Il rischio di SSJ o di NET è magA: 100 mg x3/die, T: aumentare di 100 SIADH, anemia aplastica. nella NT. giore nei pazienti asiatici portamg ogni 3-5 giorni, M: tori dell’allele HLA-B*1502. Mo1.600 mg. nitorare emocromo con formula.
Oxcarbazepina
A: 300 mg, T: aumen- Sonnolenza, vertigini, ce- Farmaco di prima scelta Meglio tollerata della carbamatare di 600 mg ogni falea SIADH. nella NT. zepina. Usare minore dosaggio settimana, M: 2.400 iniziale e titolazione più lenta nei mg. pazienti anziani.
Lamotrigina
A: 25 mg, T: aumen- Sonnolenza, disturbi visi- Farmaco di prima scelta La lenta titolazione riduce le reatare di 25 mg ogni 2 vi, SSJ, NET, DRESS. nel CPSP. zioni avverse. Il raggiungimento settimane, M: 400 mg. di una dose terapeutica efficace richiede molte settimane.
Note: DN, dolore neuropatico; TCA, antidepressivi triciclici; SNRI, inibitori del reuptake di serotonina e noradrenalina; SSJ, sindrome di Stevens-Johnson; NET, necrolisi epidermica tossica; SIADH, sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico; DRESS, reazione da farmaco con eosinofilia e sintomi sistemici; NRI, inibitore del reuptake della noradrenalina; NT, nevralgia del trigemino; CPSP, dolore centrale post-stroke; IMAO, inibitori delle monoamino ossidasi; SSRI, inibitori selettivi del reuptake di serotonina; BPCO, broncopneumopatia cronica ostruttiva; 1 . I dosaggi di TCA usati nel DN sono generalmente minori rispetto a quelli usati per ottenere un effetto antidepressivo. Dosaggi maggiori di quelli riportati nella tabella sono solitamente mal tollerati nei pazienti anziani, ma possono essere utilizzati in pazienti più giovani, monitorando effetti collaterali e alterazioni ECG. 2 . Le tabelle di equianalgesia degli oppioidi sono disponibili in format tascabile ed esistono calcolatori o convertitori scaricabili come app per dispositivi smartphone o tablet iPhone®, IPad® o Android™.
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clinica
Figura 3. Valutazione clinica del paziente con dolore neuropatico
SCALE DELL’INTENSITÀ DEL DOLORE
ESAME OBIETTIVO DEL DOLORE Sensibilità tattile ed allodinia meccanica. Si applica un tocco delicato sulla cute con un dito, un batuffolo di cotone o un pennellino. Si chiede al paziente di chiudere gli occhi e dire 'sì' quando viene toccato. Si confronta la sensazione in regioni differenti del corpo. In questo modo si indaga l’eventuale presenza di allodinia meccanica (sensazione dolorosa da stimolo tattile). Sensibilità termica. Si utilizza il manico del martelletto o il diapason, normalmente percepiti come freddi, ed il palmo della mano, normalmente percepito come caldo, per testare la sensibilità termica. Si chiede al paziente di chiudere gli occhi e riconoscere quando viene applicato uno stimolo caldo o freddo. Sensibilità puntoria. Si applicano stimoli con uno spillo alternati ad altri con una punta smussa. Si chiede al paziente di identificare se sente toccare o pungere ad occhi chiusi. Sensibilità vibratoria (pallestesia). Si posizione un diapason a 128 Hz su una prominenza ossea. Si chiede al paziente di riferire se sente la vibrazione e di segnalare quando essa termina. Sommazione temporale degli stimoli (wind-up). Si applica un singolo stimolo puntorio e poi una serie di 5-10 stimoli puntori. Si chiede al paziente di attribuire un punteggio NRS al singolo stimolo ed uno alla serie di stimoli. Il wind-up si misura come rapporto tra NRS della serie di stimoli ed NRS del singolo stimolo.
Note: VAS, scala analogica visiva; NRS, scala numerica. VRS, scala verbale; FPS, scala delle facce di Wong-Baker.
CONDIZIONI SPECIFICHE DI DN Presentiamo una breve rassegna di alcuni quadri di DN che mostrano aspetti diagnostici e terapeutici peculiari. Nevralgia del trigemino. La nevralgia del trigemino (NT) è caratterizzata da parossismi dolorosi unilaterali, simili a una scossa elettrica e di breve durata (secondi, minuti), che seguono la distribuzione di uno o più rami del V nervo cranico e possono essere scatenati da attività della vita quotidiana (lavare viso o denti, parlare, mangiare) e il contatto con zone trigger [15]. La NT classica comprende casi idiopatici o con potenziale conflitto vascolare. La NT sintomatica è secondaria a patologie della fossa cranica posteriore e talora può essere bilaterale. Test neurofisiologici e RMN encefalo sono di ausilio nella diagnosi di NT. Carbamazepina e oxcarbazepina sono farmaci di prima scelta, mentre altri antiepilettici, come ligandi α2-δ, fenitoina e lamotrigina e baclofene sono di seconda scelta nella NT. Varie procedure invasive sono utilizzate nei casi refrattari. La NT va distinta dal dolore faciale idiopatico persistente
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(DFIP), che è presente per la maggior parte del giorno, inizia in modo focale per estendersi alla mascella o ad ampie aree del volto e del collo indipendentemente dai rami di distribuzione del trigemino ed è profondo e poco localizzato [15]. La fisiopatologia del DFIP non è chiara, ma spesso procedure odontoiatriche ne precedono l’insorgenza e le indagini radiologiche e neurofisiologiche sono sempre negative. Il DFIP può rispondere ai FANS, soprattutto all’indometacina e ai TCA. Lombalgia. Il dolore lombare ha una prevalenza del 70 per cento della popolazione e un impatto rilevante, soprattutto se cronico. Numerose strutture osteoarticolari del rachide sono responsabili di dolore nocicettivo, mentre ernie discali e stenosi del canale possono causare DN. Sebbene la lombalgia rappresenti un dolore misto nel 25-30 per cento dei casi, distinguere i pazienti con una componente di DN è difficile. L’irradiazione agli arti inferiori da coinvolgimento radicolare (L4: crurale, L5 e S1: sciatica) talora si confonde con un’irradiazione pseudoradicolare da dolore osteoarticolare riferito. I segni di Lasègue e Wassermann sono poco specifici per una compressione radicolare. Grande atten-
zione va posta alla ricerca di red flags (calo ponderale, febbre, dolore a riposo, di notte o persistente dopo 2 mesi di terapia, sintomi e segni sensitivi o motori agli arti inferiori o a carico della sella, disturbi sfinteriali, riduzione ROT), che suggeriscono un’etiologia neurologica o potenzialmente grave [16]. In presenza di red flags sono indicate indagini neuroradiologiche e/o neurofisiologiche, che sono invece inutili e non informative nella maggior parte dei casi di lombalgia. Dolore post-stroke. Circa metà dei pazienti presenta dolore dopo stroke, includendo sindromi dolorose preesistenti (3040 per cento), dolore alla spalla (30-40 per cento), dolore da spasticità (7-10 per cento), cefalea (5-10 per cento) e dolore centrale post-stroke (CPSP, 6-8 per cento) [17]. Solo il CPSP è un vero DN ed è solitamente secondario a uno stroke che coinvolge la via spino-talamica a livello di fossetta laterale del bulbo, talamo ventroposteriore e insula. Seppur esistano criteri diagnostici per il CPSP [17], la diagnosi di tale condizione è talora difficile e, oltre a un accurato esame della sensibilità e una RMN encefalo, può richiedere indagini non routinarie come QST e LEP. Il trattamento del CPSP è deludente, data la scarsa efficacia dei farmaci di prima scelta (TCA, ligandi α2-δ e lamotrigina). Altri farmaci (SNRI, oppioidi, lidocaina e propofol per via endovenosa), terapia cognitivo-comportamentale, neurostimolazione della corteccia motoria e stimolazione profonda del talamo e del grigio periacqueduttale possono avere un ruolo nei casi refrattari.
Dolore nella sclerosi multipla. Circa il 60 per cento dei pazienti con sclerosi multipla (SM) riferisce DN (dolore alle estremità 12-28 per cento, fenomeno di Lhermitte 15 per cento, NT 2-5 per cento), dolore muscolo-scheletrico (dolore da spasticità <50 per cento, spasmi tonici dolorosi 6-11 per cento, lombalgia 10-16 per cento), cefalea (21-34 per cento) e dolore da neurite ottica (8 per cento) [18]. Il dolore alle estremità è continuo e bruciante, coinvolge gambe e piedi e peggiora di notte e durante l’attività fisica. Il fenomeno di Lhermitte è una sensazione di scossa elettrica che coinvolge collo, schiena e talora gli arti, durante la flessione del collo. Gli spasmi tonici dolorosi sono stereotipati e di breve durata (<2 minuti), possono comparire più volte al giorno ed essere innescati da movimenti, stimoli sensoriali o emozioni. Gli studi sulla terapia del dolore nella sclerosi multipla sono scarsi. Carbamazepina e oxcarbazepina sono i farmaci di prima scelta per la NT. TCA, ligandi α2-δ e lamotrigina, che sono efficaci in altri tipi di DN centrale, possono rappresentare la prima linea terapeutica nel DN della SM, seguiti da SNRI, tramadolo e oppioidi. Nonostante qualche RCT positivo, i cannabinoidi hanno importanti effetti collaterali (psicosi, rischio di dipendenza) e vanno usati con cautela nel DN e nella spasticità da sclerosi multipla. Tossina botulinica, baclofene, dantrolene, diazepam, e tizanidina possono ridurre la spasticità, ma il loro effetto sul dolore non è stato studiato.
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NEWS farmaci terapia
Impatto favorevole di natalizumab sulla velocità di deambulazione nei soggetti con SMRR
L
a sclerosi multipla (SM) incide in maniera significativa sulla deambulazione delle persone che ne sono affette. Ecco perché è importante segnalare questi nuovi dati, secondo cui il trattamento con natalizumab (Tysabri, Biogen Idec) si è rivelato efficace nel migliorare la velocità di deambulazione in pazienti affetti dalla forma relapsingremitting (SMRR). Secondo un’analisi post-hoc dei dati dello studio AFFIRM infatti, natalizumab ha aumentato in modo significativo la percentuale di pazienti SMRR con un miglioramento confermato della velocità di deambulazione (CIWS, Confirmed Improvement in Walking Speed) rispetto al placebo, dopo due anni. Ricordiamo che AFFIRM è uno studio randomizzato, multicentrico, controllato verso placebo in doppio cieco, della durata di 2 anni condotto su 942 pazienti affetti da SMRR per la valutazione degli effetti di natalizumab sulla progressione della disabilità fisica e sul tasso di recidive
cliniche. L’analisi post-hoc ha valutato l’impatto di natalizumab sulla percentuale di pazienti con CIWS, definito come l’aumento rispetto al basale di ≥20 per cento della velocità di deambulazione determinata al test dei 25 piedi (T25FW), confermato dopo 12 settimane, rispetto al placebo. Nel corso dei due anni inoltre, il CIWS si è associato in modo significativo al miglioramento delle funzionalità fisiche riportate dai pazienti. Rispetto al placebo, dopo 2 anni di trattamento natalizumab ha aumentato la quota di pazienti con CIWS del 79 per cento (natalizumab 12,3 per cento, placebo 6,9; p =0,0133). Gli effetti sono stati maggiormente significativi e precoci nei soggetti con disabilità di grado più elevato, per i quali il CIWS è aumentato di cinque volte rispetto al placebo dopo il primo anno. Oltre al favorevole impatto di natalizumab, questi risultati danno anche un’indicazione importante circa il ruolo del CIWS come endpoint più
sensibile rispetto alla misura della deambulazione inclusa nell’EDSS, finora utilizzata in molti studi. Infine, segnaliamo gli effetti positivi del passaggio a natalizumab dopo recidiva in corso di terapia con IFNβ (interferone beta) o GA (glatiramer acetato), rispetto alla prosecuzione dello stesso trattamento o al passaggio a un altro IFNβ o a GA. In questo caso, natalizumab ha ridotto il rischio di future recidive, di progressione della disabilità e di interruzione del trattamento. Tali risultati derivano dal confronto di soggetti di tre ampi studi clinici osservazionali: TYSABRI Observational Program (TOP), uno studio prospettico osservazionale in aperto della durata di 10 anni attualmente in corso sui pazienti affetti da SMRR, MSBase, un registro in continuo aggiornamento, longitudinale, aperto ai neurologi di tutto il mondo, e MSCOMET, un sottostudio del registro MSBase volto a valutare l’efficacia di IFNβ e GA in 1.000 pazienti di 14 Paesi.
Peginterferone beta-1a: nuova opzione di trattamento per la SM
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lla fine di luglio, la Commissione europea ha concesso l’autorizzazione all’immissione in commercio per peginterferone beta-1a (Plegridy, Biogen Idec) nel trattamento di pazienti adulti affetti da sclerosi multipla recidivante-remittente (SMRR). L’approvazione si basa sui risultati dello studio ADVANCE, che ha visto la partecipazione di oltre 1.500 pazienti SMRR. Nel corso dello studio, il farmaco somministrato ogni due settimane ha ridotto il tasso annualizzato di recidive a un anno del 36 per cento rispetto al placebo (p =0,0007), e il rischio di progressione della disabilità sostenuta, confermata a 12 settimane del 38 per cento (p =0,0383), e a 24 settimane del 54 per cento (p = 0,0069, analisi post-hoc). Inoltre, anche il numero di lesioni captanti gadolinio era significativamente ridotto rispetto a quanto osservato per il placebo (86 per cento; p <0,0001). I risultati ottenuti nei due anni di studio confermano che la sua elevata efficacia è stata mantenuta oltre il primo anno di trial controllato verso placebo. Il peginterferone beta-1a viene somministrato una volta ogni due settimane per via sottocutanea mediante un autoiniettore pronto all’uso (Plegridy Pen) o una siringa preriempita. Lo schema di terapia diventa dunque significativamente più semplice, con un numero di iniezioni ben inferiore rispetto alle altre opzioni di prima linea. Il profilo di sicurezza e tollerabilità del peginterferone beta-1a emerso dallo studio ADVANCE è risultato coerente con quanto stabilito per le altre terapie a base di interferone in uso per il trattamento della SM.
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farmaci NEWS AIFA Disponibile anche in Italia la terapia orale con teriflunomide
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partire dai primi di settembre è “arrivato” nel nostro Paese teriflunomide, farmaco orale indicato in monosomministrazione giornaliera per il trattamento dei pazienti adulti affetti da sclerosi multipla a decorso recidivante remittente. Teriflunomide (Genzyme) è prescrivibile da tutti i Centri nazionali per il trattamento della sclerosi multipla definiti a livello regionale in base alla nota AIFA 65. La nuova terapia ha ricevuto dall’Agenzia per il farmaco tutte le indicazioni su regime di rimborsabilità e prezzo (Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2014). Negli studi clinici TEMSO (TEriflunomide Multiple Sclerosis Oral) e TOWER (Teriflunomide Oral in people With relapsing remitting multiplE scleRosis) il trattamento vs placebo ha dimostrato di ridurre significativamente il tasso di recidive annualizzato e il rischio di progressione della disabilità fisica; e l’effetto si è mantenuto anche nel lungo periodo. Teriflunomide è la prima formulazione orale in grado di interferire sui processi patogenetici della sclerosi multipla. La molecola inibisce selettivamente e reversibilmente un enzima chiave necessario per la proliferazione dei linfociti attivati, preservando e lasciando disponibili le cellule dedicate alla sorveglianza immunitaria. La disponibilità di teriflunomide conferma l’impegno costante di Genzyme nell’area della sclerosi multpla, patologia per la quale la ricerca sta facendo progressi costanti, ma per la quale esistono ancora necessità cliniche insoddisfatte. Si sta delineando sempre più l’attuazione di un approccio diagnostico e terapeutico personalizzato, a misura di ogni singolo paziente. E in tal senso teriflunomide si inserisce bene, rispondendo alle diverse esigenze della comunità medica, ma anche dei pazienti. Il farmaco in compresse da assumere una volta al giorno vicino o lontano dai pasti in ogni momento della giornata, è quindi una terapia orale facilmente gestibile dal paziente, con migliori esiti di compliance, che a un’elevata efficacia unisce un buon profilo di tollerabilità e una sicurezza d’impiego accettabile.
Ricerca
Rivaroxaban in studio nell’ictus ischemico di origine sconosciuta
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Investigare i potenziali benefici di rivaroxaban (Bayer HealthCare) in aree terapeutiche che necessitano di un approfondimento clinico. Questo è l’ambizioso obiettivo che si prefigge l’ampliamento del programma globale di sviluppo clinico per rivaroxaban. Il farmaco è già approvato nella prevenzione e trattamento di numerose patologie tromboemboliche venose e arteriose. Tuttavia, esistono aree a elevato fabbisogno terapeutico per le quali l’uso di rivaroxaban potrebbe offrire ancora più benefici ai pazienti a rischio di incorrere in serie e spesso potenzialmente letali patologie causate dalla formazione di trombi. Tre nuovi studi andranno a valutare l’efficacia e la sicurezza dell’anticoagulante in: pazienti che hanno avuto un ictus ischemico di origine sconosciuta, pazienti affetti da arteriopatia periferica sottoposti a interventi arteriosi periferici, e pazienti con pregressa sindrome coronarica acuta. L’ictus ischemico di origine sconosciuta rappresenta il 25 per cento circa di tutti gli ictus ischemici, ma la scarsa conoscenza e i pochi dati disponibili al riguardo non permettono di orientare le decisioni terapeutiche in tema di prevenzione secondaria in questi pazienti. In questo ambito si va a inserire lo studio NAVIGATE ESUS, un trial registrativo internazionale di Fase III predisposto per valutare l’indicazione di rivaroxaban in questa classe di pazienti. Lo studio comprenderà circa 7.000 soggetti e coinvolgerà oltre 25 Paesi.
Fondazione ISAL Servono fondi per la ricerca sul dolore cronico
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uasi 4,5 milioni di europei soffrono di dolore cronico e non hanno una cura. È necessario implementare la ricerca scientifica in questo ambito, ma servono i fondi. Questo è in sintesi l’appello all’Unione Europea della Fondazione ISAL. Il dolore cronico o persistente colpisce il 24 per cento della popolazione del Vecchio Continente. Il 10 per cento necessita per tutta la vita di più terapie combinate, mentre per il 2,5 per cento non ci sono oggi possibilità di terapia. Nonostante i progressi delle medicina, delle chirurgia e della farmacologia, restano ancora difficili da trattare il dolore idiopatico, quello oncologico grave e quello da lesioni del sistema nervoso, che colpisce l’11 per cento delle persone che hanno avuto un ictus e circa il 35 per cento di chi ha avuto un trauma midollare. La Fondazione auspica che il dolore cronico venga inserito nei bandi di ricerca nazionali ed europei. Il Ministro Beatrice Lorenzin condivide appieno tali richieste, e sottolinea come il dolore sarà tra i temi al centro del semestre europeo. L’Italia presenterà un “position paper” per condividere l’esperienza acquisita con la “Legge 38” che regola l’accesso alla terapia del dolore e alle cure palliative. la neurologia italiana
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NEWS farmaci Sclerosi multipla
Nuove conferme sull’efficacia di dimetilfumarato in pazienti con elevata attività di malattia
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l meeting annuale dell’American Academy of Neurology che si è svolto la scorsa primavera a Philadelphia, è stata l’occasione per la presentazione di nuovi dati circa l’efficacia e la tollerabilità di dimetilfumarato (Tecfidera, Biogen Idec), secondo cui il farmaco si conferma efficace e con un profilo di tollerabilità favorevole nel contesto di un utilizzo reale, e in un ampio spettro di pazienti con sclerosi multipla recidivante-remittente (SMRR). In un’analisi post-hoc dei dati degli studi di fase III DEFINE e CONFIRM, è stata valutata l’efficacia del farmaco nei pazienti con SMRR ad alta attività di malattia. Pazienti con elevata attività di malattia sono stati definiti quelli che avevano presentato due o più recidive nell’anno precedente l’ingresso nello studio DEFINE o CONFIRM e che mostravano una o più lesioni captanti gadolinio (Gd+) al basale (n=136). I risultati mostrano che a due anni, il dimetilfumarato somministrato due volte al giorno (BID; n=45) ha ridotto significativamente sia il tasso annualizzato
di ricaduta (ARR) sia la proporzione di pazienti che sono andati incontro a ricaduta, in percentuali pari rispettivamente al 60 per cento (p =0,0018) e al 63 per cento (p =0,0030). Il dimetilfumarato non ha avuto effetti significativi sulla progressione della disabilità confermata dopo 12 settimane. Altri dati interessanti derivano dallo studio MANAGE e riguardano la tollerabilità del dimetilfumarato. MANAGE è uno studio di fase IV multicentrico, in aperto e a braccio singolo (n = 237) disegnato per valutare l’incidenza e la prevalenza degli eventi avversi gastrointestinali (GI) riferiti dai pazienti con SMRR che hanno iniziato il trattamento con dimetilfumarato nel contesto della pratica clinica negli Stati Uniti. Lo studio ha inoltre valutato l’effetto complessivo delle terapie sintomatiche su tali eventi avversi. I pazienti sono stati trattati con dimetilfumarato due volte al giorno (BID) per un massimo di 12 settimane (120 mg BID per i primi sette giorni e, successivamente, 240 mg BID) e hanno registrato gli eventi avversi gastrointestinali su base giornaliera utiliz-
zando un diario elettronico e le scale numeriche MOGISS e MAGISS, in cui la gravità dell’evento viene valutata con il seguente punteggio da 0 a 10: 0 = nessun evento, 1-3 = evento lieve, 4-6 = evento moderato, 7-9 = evento grave e 10 = evento estremo. L’endpoint primario era rappresentato dalla frequenza, dalla gravità e dalla durata degli eventi gastrointestinali. Secondo i risultati, gli eventi avversi gastrointestinali sono stati in ampia misura transitori, si sono verificati soprattutto nel primo mese di terapia e sono stati per la maggior parte di entità lieve e moderata. Alla decima settimana di trattamento, meno del 10 per cento dei pazienti ha riferito eventi avversi GI. L’incidenza di interruzioni del trattamento per tali eventi è stata bassa (7,3 per cento). Il profilo di sicurezza del dimetilfumarato osservato in questo studio è risultato in linea con quanto emerso negli studi DEFINE e CONFIRM. Nel complesso le conferme ottenute con questi nuovi risultati consolidano il ruolo del dimetilfumarato nel paradigma di trattamento della SM.
Malattia di Parkinson Gli ICP di Milano inaugurano un nuovo ambulatorio
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l Centro Parkinson degli Istituti Clinici di Perfezionamento (ICP) di Milano è un riferimento per la malattia di Parkinson e i parkinsonismi a livello nazionale e internazionale, disponendo di un database di circa 23.000 pazienti. Una struttura all’avanguardia che prevede la presa in carico globale del paziente attraverso un approccio multidisciplinare, e che ora è stata ampliata, con l’inaugurazione dei nuovi ambulatori (lo scorso 18 giugno). L’ampliamento delle aree ambulatoriali è stato realizzato a seguito del crescente afflusso di pazienti, grazie a un contributo della Fondazione Grigioni. Con la nuova area, l’accesso dei nuovi pazienti alla prima visita avverrà con tempi ridotti, di soli 10 giorni lavorativi. Circa il 50 per cento dei malati che afferiscono al Centro proviene dalla Lombardia e il restante 50 per cento dal Piemonte, dall’Emilia Romagna e dal Veneto e da tutte le regioni italiane. Nonostante gli ambulatori disponibili saranno ben 9, attivi tutti contemporaneamente, non sarebbe possibile seguire un numero così elevato di pazienti se le visite fossero molto ravvicinate. Per questa ragione i medici e gli infermieri del Centro mettono a disposizione una reperibilità telefonica di 4 ore (tre per i medici e una per gli infermieri) tutti i giorni, più 12 ore diurne nei giorni festivi e prefestivi, grazie all’iniziativa “SOS Parkinson” sponsorizzata dall’Associazione Italiana Parkinsoniani. Questo permette di ridurre il numero medio di visite a cui il paziente si sottopone in un anno: circa 1,6 a fronte di una media italiana di 7,5 con un risparmio per la struttura, per il paziente e per i parenti del malato, che devono accompagnarlo.
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NEWS dalle associazioni Iniziative
Una carta dei diritti per essere cittadini e non malati di sclerosi multipla
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ermettere alle persone affette da sclerosi multipla (SM) di vivere una vita piena. Su queste fondamenta è stata realizzata la Carta dei diritti delle persone con SM, che è stata presentata la primavera scorsa a Roma durante la Settimana nazionale della sclerosi multipla (24 maggio-1 giugno), fortemente voluta da AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), e sottoscritta dal Ministro Beatrice Lorenzin. Salute, ricerca, lavoro, informazione, autodeterminazione, inclusione, partecipazione attiva:
sono 7 i diritti che le persone con SM rivendicano e, che ora sono stati riuniti in un unico documento. La Carta dei diritti nasce da una volontà precisa delle persone con SM ben evidenziata in un’indagine svolta da AISM in collaborazione con il Censis, e cioè quella di lottare per l’affermazione dei propri diritti. Un impegno che le persone coivolte nell’indagine hanno richiesto espressamente ad AISM, insieme all’impegno per la promozione di una ricerca scientifica di qualità. Ogni persona con SM ha diritto a una
diagnosi tempestiva, alla terapia personalizzata con i farmaci innovativi specifici, al sostegno psicologico, alla riabilitazione, alle terapie sintomatiche, al supporto sociale, in una parola alla salute. Ma la salute delle persone è fortemente legata allo stato di salute della ricerca scientifica di qualità, lo strumento per eccellenza in grado di incidere sulla storia di questa malattia. I pazienti devono poi, poter continuare a lavorare ed essere informati correttamente sulla malattia, sul proprio percorso terapeutico personaliz-
La Carta dei 7 diritti 1. Diritto alla Salute Tutte le persone con SM hanno diritto a cure adeguate in ogni fase della malattia e a essere sempre al centro delle scelte di salute che le riguardano: a una diagnosi tempestiva, alla terapia personalizzata con i farmaci innovativi specifici, al sostegno psicologico, alla riabilitazione, alle terapie sintomatiche, al supporto sociale, con un approccio interdisciplinare e risposte integrate socio-sanitarie. 2. Diritto alla Ricerca Tutte le persone con SM hanno diritto a una ricerca scientifica rigorosa, innovativa e di eccellenza, orientata a scoprire le cause, comprendere i meccanismi di progressione e le potenzialità di riparazione del danno, individuare e valutare i possibili trattamenti specifici, con ricadute concrete per una vita di qualità in ogni fase della malattia. 3. Diritto all’Autodeterminazione Tutte le persone con SM hanno diritto di scegliere liberamente e autonomamente per realizzare il proprio progetto di vita, con garanzia di pari opportunità ed eguaglianza sostanziale, so-
stenute nel diritto alla vita indipendente anche in caso di più gravi limitazioni determinate dalla malattia. 4. Diritto all’Inclusione Tutte le persone con SM hanno diritto alla piena inclusione in ogni momento e luogo e in condizioni di effettiva equità, superando ogni forma di discriminazione e rimuovendo ogni ostacolo che sia di impedimento, con particolare attenzione alle condizioni di donna con SM, di gravità della malattia, di famiglia coinvolta nella SM. 5. Diritto al Lavoro Tutte le persone con SM hanno il diritto e il dovere di essere parte attiva della società, con pieno accesso al mondo del lavoro sin da giovani e con il mantenimento dell’occupazione anche al variare delle condizioni determinate dall’evoluzione discontinua della malattia. 6. Diritto all’Informazione Tutte le persone coinvolte dalla SM hanno diritto in ogni fase di vita e di malattia a un’informazione corretta, chiara, completa e tempestiva sulla sclerosi multipla nel suo complesso, sulle scelte di cura, sulla qualità delle risposte, sui propri diritti e opportunità, per esercitare con consapevolezza il diritto all’autodeterminazione. 7. Diritto alla Partecipazione Attiva Tutte le persone con SM hanno il diritto e il dovere di partecipare ai processi decisionali inerenti le politiche e i programmi che le riguardano, sia come singoli che nelle formazioni sociali dove trovano voce ed espressione i bisogni individuali e le aspirazioni collettive. la neurologia italiana
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NEWS dalle associazioni zato, sui servizi a disposizione. Non si devono sentire escluse dalla vita sociale e di relazione, ma esercitare a pieno i loro diritti di cittadini. Infine le persone con SM hanno il diritto e il dovere di partecipare a tutte quelle politiche che incidono sulla loro vita, in quanto esperti della malattia e della propria condizione, sia come singoli sia nelle formazioni sociali che ne rappresentano diritti e interessi. La vita dei malati “ancorata” al nucleo familiare L’indagine del Censis scatta un’istantanea del pianeta SM in Italia: delle circa 72mila persone con SM che si stima vivano nel nostro Paese, la maggior parte, circa il 70 per cento, è di sesso femminile; e si tratta per lo più di persone giovani, il 50 per cento ha meno di 45 anni. Nella maggior parte dei casi infatti, la sclerosi multipla insorge fra i 20 e i 40 anni, in un’età assolutamente cruciale nel percorso di vita delle persone, quando si gettano le basi per la vita affettiva, familiare e professionale futura. Lo dimostra il fatto che, tra chi ha meno di 35 anni, l’avere ricevuto la diagnosi prima o dopo i 25 rappresenta una discriminante decisiva: chi ha ricevuto la diagnosi prima infatti, vive nella famiglia di origine nel 55,8 per cento dei casi,
Registrazione del Tribunale di Milano n. 781 del 12/10/2005 - Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura.
contro il 26,4 per cento di chi l’ha ricevuta dopo. Se la diagnosi arriva più tardi invece è più probabile vivere in coppia (55 contro 30,5 per cento). La famiglia rappresenta per le persone con SM un’àncora di salvezza, soprattutto con l’evoluzione della malattia. La gestione dei problemi legati alla SM è infatti, quasi esclusivamente una questione privata, confinata all’interno delle famiglie: nell’ultimo anno, circa i due terzi degli intervistati hanno ricevuto una qualche forma di aiuto da familiari e conviventi. In particolare il 38,7 per cento ha ricevuto aiuto dai familiari tutti i giorni nello svolgimento delle attività quotidiane, un bisogno che aumenta con l’accumulo della disabilità. L’aiuto di cui necessita una persona con SM è di tipo complesso. Al momento della diagnosi, le persone prendono atto di quanto sia per loro fondamentale ricevere un adeguato supporto psicologico e servizi di informazione e orientamento. A questo si aggiunge il bisogno e la richiesta ad accedere a terapie riabilitative personalizzate, diverse a seconda dello stadio di malattia, e sempre più complesse quando necessarie in uno stadio avanzato. Senza dimenticare la necessità di servizi di trasporto, di assistenza domiciliare, consegna dei farmaci, visite specialistiche, consu-
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lenza legale e fiscale. Inoltre, il 15 per cento dei malati non ha fiducia nel soggetto pubblico; scelgono di affidarsi al privato e quindi, ancora una volta, a dover far fronte alle necessità con i propri risparmi o con quelli della famiglia. Per il 24,2 per cento degli intervistati (il 52 per cento tra i più gravi) i problemi maggiori da affrontare sono infatti di natura economica; il 30 per cento circa dei rispondenti (oltre il 50 per cento tra i più gravi) ha denunciato di non poter accedere a un numero sufficiente di servizi a causa delle difficoltà economiche. Un aspetto della vita che risulta fortemente compromesso dalla malattia è il lavoro: sebbene nel 90 per cento dei casi le persone con SM abbiano avuto un lavoro prima dell’esordio della malattia, solo il 52,9 per cento è riuscito a mantenerlo dopo la diagnosi. Fra i 35 e i 44 anni è il 70 per cento ad avere un’occupazione, mentre dopo i 45 anni si osserva una netta flessione nel tasso di occupazione. In generale emerge molto chiaramente come le manifestazioni cliniche abbiano un impatto forte sul percorso lavorativo: il 52,9 per cento pensa che la malattia incida sulla possibilità di svolgere la professione per la quale si è formato; il 21,2 per cento sta cercando lavoro e ritiene che la malattia costituisca un grande ostacolo.
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