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epilessia
Displasie corticali focali di tipo II Confronto tra ex vivo 7T MRI e istopatologia Zucca, Gloria Milesi, Valentina Medici, > Ileana Laura Tassi, Rita Garbelli et al. •
patologie neurodegenerative
Malattia di Parkinson Approccio psicologico e neuropsicologico ai pazienti in riabilitazione motoria Pierobon, Valeria Torlaschi, Elisa Covini, > Antonia Anna Giardini, Simona Callegari •
patologie rare
Adrenoleucodistrofia X-legata
3
Le criticità nella gestione di una patologia complessa
> Marina Melone •
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DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
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direttore commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it Stampa Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) Comitato scientifico Giuliano Avanzini, Milano Giorgio Bernardi, Roma Vincenzo Bonavita, Napoli Giancarlo Comi, Milano Ferdinando Cornelio, Milano Fabrizio De Falco, Napoli Paolo Livrea, Bari Mario Manfredi, Roma Corrado Messina, Messina Leandro Provinciali, Ancona Aldo Quattrone, Catanzaro Nicola Rizzuto, Verona Vito Toso, Vicenza
Comitato di redazione Giuliano Avanzini, Milano Alfredo Berardelli, Roma Giovanni Luigi Mancardi, Genova Roberto Sterzi, Milano Gioacchino Tedeschi, Napoli Giuseppe Vita, Messina Direttore Responsabile Sabina Guancia Scarfoglio
Sommario 6
epilessia
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Displasie corticali focali di tipo II Confronto tra ex vivo 7T MRI e istopatologia
I risultati di questo lavoro potrebbero consentire in futuro un miglioramento nella diagnosi prechirurgica
Ileana Zucca, Gloria Milesi, Valentina Medici, Laura Tassi, Rita Garbelli et al.
12 patologie neurodegenerative Malattia di Parkinson
Approccio psicologico e neuropsicologico ai pazienti in riabilitazione motoria Un percorso psicologico e neuropsicologico si rivela particolarmente adeguato nella gestione del paziente con MP
Antonia Pierobon, Valeria Torlaschi, Elisa Covini, Anna Giardini, Simona Callegari
18 patologie rare
Adrenoleucodistrofia X-legata Le criticitĂ nella gestione di una patologia complessa
Marina Melone
I servizi erogati in ambito diagnostico, terapeutico e riabilitativo non soddisfano le richieste di salute dei pazienti
ru brich e
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news dalla letteratura news dai farmaci news dalle associazioni la neurologia italiana
numero 3 ¡ 2017
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NEWS dalla letteratura M. Fratello, G. Caiazzo, F. Trojsi et al.
Uno studio sulla classificazione d’insieme multi-view delle immagini di connettività cerebrale per la discriminazione del tipo di neurodegenerazione ❱❱❱ Neuroinformatics 2017; 15(2):199-213 Le analisi delle connessioni cerebrali basate sui voxel non sono abbastanza affidabili per la classificazione di singoli pazienti, a causa della variabilità anatomica e funzionale tra diversi soggetti. Per ottenere caratteristiche più affidabili, i voxel possono essere aggregati in cluster che raggiungono il massimo della coerenza in diversi soggetti. In particolare, la combinazione del neuroimaging multimodale con le tecniche multi-view permette di generare caratteristiche di connettività multiple indipendenti per lo stesso paziente. In questo studio, tali caratteristiche sono
state estratte da immagini MRI multi-modale utilizzando una tecnica di clustering, e sono state usate per la classificazione multi-view di differenti fenotipi di neurodegenerazione grazie a un metodo di apprendimento d’insieme noto come foresta casuale (random forest). Sono stati addestrati due differenti modelli multi-view, che prevedono l’integrazione di dati intermedia o successiva. Gli stessi modelli sono stati testati per la classificazione di mappe di connettività funzionale intrinseca e di anisotropia frazionale, ricavate da 41 pazienti con SLA, 37 pazienti con Parkinson e 43 soggetti sani (controllo). Entrambi i modelli di dati multi-view hanno mostrato, nella classificazione d’insieme, un’accuratezza significativamente al disopra della casualità. Nei pazienti con SLA, i modelli hanno mostrato le migliori prestazioni (82,9 e 80,5 per cento di classificazioni corrette per l’integrazione intermedia e per quella successiva, rispettivamente) ed erano più discriminative di un modello single-view. Nei parkinsoniani e nei controlli, le prestazioni dei modelli multi-view sono risultate più basse (59,5 e 62,2 per cento per i parkinsoniani; 56,8 e 59,1 per cento per i controlli sani), ma più alte di almeno un modello single-view. Addestrando i modelli soltanto su pazienti, i risultati sono stati la produzione di più dell’85 per cento di soggetti discriminati correttamente come affetti da SLA o da Parkinson e l’ottenimento di
G. Defazio, A. Antonini, M. Tinazzi et al.
Dolore, sintomi motori e non motori nella malattia di Parkinson: quale relazione ❱❱❱ European Journal of Neurology 2017; 24(7): 974-80 Parkinson e dolore: un binomio a cui finora è stata dedicata scarsa attenzione, anche se alcune stime indicano che si tratta di un sintomo estremamente comune tra i malati. Alcuni studi condotti in passato hanno messo in luce una serie di fattori predisponenti, ma nessuno di essi finora si è focalizzato sulla correlazione tra dolore e sintomi non motori. In questo studio, sono stati considerati 321 pazienti (190 uomini e 131 donne di età media di 68,3 anni) afferenti a quattro Centri italiani specializzati nella cura dei disturbi del movimento. I partecipanti sono stati classificati sulla base di interviste standardizzate e sulla scala NMS (Non-motor symptoms scale). I risultati sono poi stati ricavati con modelli di analisi statistica di regressione logistica multivariata. All’epoca dello studio, 180 pazienti parkinsoniani – pari al 56 per cento del campione – hanno riferito di patire dolore cronico, nella maggior parte dei casi di tipo muscolare o artralgico. Da segnalare che la sintomatologia dolorosa precedeva l’insorgenza di segni motori in 36 dei 180 pazienti. Dall’analisi statistica è emerso che i fattori associati in modo indipendente al dolore erano il genere femminile, le condizioni mediche che predispongono al dolore, il punteggio sulla scala Hoehn-Yahr, le complicazioni motorie e infine i sintomi non motori appartenenti ai domini NMS di sonno/fatica e umore/cognizione. I risultati confermano che il dolore nella malattia di Parkinson è più frequente nelle donne e nei soggetti con condizioni mediche predisponenti al dolore. In particolare, i dati emersi rafforzano l’associazione tra il dolore e i punteggi che misurano la gravità motoria e i domini dei sintomi non motori, in particolare nei disturbi di sonno e di umore.
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NEWS prestazioni massimali per i modelli multi-view. I risultati sottolineano il potenziale della raccolta di informazioni complementari dall’integrazione di molteplici data view nella classificazione degli schemi di connettività da imaging cerebrale multi-modale nello studio delle malattie neurodegenerative. V. Martinelli, G. Dalla Costa G, MJ Messina et al.
Nelle CIS, l’uso di molteplici biomarcatori migliora la stratificazione del rischio di evoluzione verso la SM ❱❱❱ Acta Neurologica Scandinavica 2017 Apr 9. doi: 10.1111/ane.12761. [Epub ahead of print] Fin dalla sua introduzione, la tecnica di imaging a risonanza magnetica (MRI) ha avuto un impatto enorme nel rendere la diagnosi di sclerosi multipla (SM) più precoce e più precisa rispetto al passato. I criteri pubblicati nel 2010, infatti, permettono anche di porre una diagnosi dopo un solo attacco, se i criteri MRI sono soddisfatti in modo rigoroso. Nella letteratura recente, inoltre, viene descritta una serie di nuovi, numerosi marcatori clinici e paraclinici che sono risultati correlati a un incremento del rischio di SM in pazienti con sindrome clinicamente isolata (CIS). Finora, tuttavia, non è mai stato valutato il vantaggio incrementale di questi nuovi biomarcatori rispetto all’uso della MRI e dei criteri di diagnosi convenzionali. In questo studio retrospettivo, gli Autori hanno valutato l’impatto dell’uso di molteplici biomarcatori nella previsione della SM in pazienti CIS nella pratica clinica quotidiana. A questo scopo, sono stati coinvolti pazienti afferenti al Dipartimento di Neurologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano tra il 2000 e il 2013, successivamente valutati sulla base di dati clinici, di MRI, neurofisiologici e di esiti di esami del fluido cerebrospinale (CSF). Nel corso del follow up, la cui mediana di durata è stata di 7,2 anni, hanno sviluppato SM 127 partecipanti su 243, con età media di 31,6 anni. Dall’analisi dei dati è risultato che i modelli dei rischi proporzionali di Cox, aggiustati per criteri MRI, età d’insorgenza, numero di lesioni in T1, e presenza di bande CSF oligoclonali hanno previsto in modo significativo il rischio di sviluppare SM a 2 e 5 anni. In definitiva, l’uso di molteplici biomarcatori ha determinato un miglioramento netto della riclassificazione, un indice della bontà di un nuovo modello nel riclassificare un campione di soggetti, pari al 29 per cento a 2 anni (P <0,001) e del 30 per cento a 5 anni (P <0,001). L’impiego di diversi biomarcatori
simultaneamente migliora la stratificazione del rischio per SM in pazienti con CIS rispetto al modello basato sui criteri MRI già validati e in uso da tempo. L. Pantoni, A. Poggesi, S. Diciotti et al.
Effetti dell’addestramento dell’attenzione in pazienti con MCI e cambiamenti vascolari sottocorticali: lo studio RehAtt ❱❱❱ Journal of Alzheimer’s Disease 2017 Aug 30. doi: 10.3233/JAD-170428. [Epub ahead of print] I pazienti con deficit cognitivo lieve (MCI) e malattia dei piccoli vasi sono ad alto rischio di sviluppare demenza. In questo studio clinico randomizzato in singolo cieco, Pantoni e colleghi hanno utilizzato il programma Attention Process Training-II (APT-II) per verificare gli effetti della riabilitazione cognitiva in questi pazienti. I partecipanti sono stati randomizzati e valutati al basale, e poi a 6 e a 12 mesi con test funzionali, cognitivi, sulla qualità della vita e risonanza magnetica funzionale a riposo (rsfMRI). 43 dei 46 pazienti arruolati (età media 75,1 anni) hanno completato lo studio. Dall’analisi dei dati, non è emerso alcun cambiamento in termini di funzionalità e qualità della vita tra pazienti trattati e non trattati. Tuttavia, il Rey Auditory-Verbal Learning Test per la memoria a breve termine ha mostrato un significativo miglioramento nel gruppo trattato rispetto a quello non trattato. Le variazioni di punteggio sono state di 1,8±4,9 e -1,4±3,8 (p = 0,021) nel raffronto tra la valutazione a 6 mesi con quella a 12, e di 3,8±6,1 e 0,2±4,4 (p = 0,032) nel raffronto della valutazione al basale con quella a 12 mesi. Una più elevata quota di pazienti trattati ha avuto una valutazione stabile o migliore in confronto con il gruppo non trattato nel Visual search test (6 mesi vs. 12: 95 vs. 71 per cento, p = 0,038) e nel test di copiatura della figura complessa di Rey-Osterrieth (6 mesi vs. 12: 95 vs. 67 per cento, p = 0,027). La rsfMRI, in un sottogruppo di pazienti, ha mostrato che la differenza tra il follow up e il basale nella sincronizzazione dell’attività nelle aree cerebellari era significativamente maggiore nei pazienti trattati rispetto ai non trattati. Secondo gli Autori, lo studio non è riuscito a mostrare un effetto significativo sulla qualità della vita o dello stato funzionale nei pazienti con MCI e malattia dei piccoli vasi. Tuttavia, il programma APT-II produce alcuni effetti benefici nell’attenzione focalizzata e nella memoria di lavoro, e sembra incrementare l’attività nei circuiti cerebrali coinvolti nei processi cognitivi. la neurologia italiana
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Epilessia
Displasie corticali focali di tipo II Confronto tra ex vivo 7T MRI e istopatologia Questo lavoro sperimentale è stato condotto per valutare le possibili correlazioni tra alterazioni di segnale MRI e la corrispondente istopatologia nelle displasie corticali focali di tipo II (le forme più severe). Le informazioni ottenute, in questo caso su campioni ex-vivo, potrebbero consentire in futuro un miglioramento nella diagnosi prechirurgica Ileana Zucca1, Gloria Milesi2, Valentina Medici2, Laura Tassi3, Giuseppe Didato2, Francesco Cardinale3, Giovanni Tringali4, Nadia Colombo5, Manuela Bramerio6, Ludovico D’Incerti7, Elena Freri 8, Michela Morbin9, Valeria Fugnanesi9, Matteo Figini1, Roberto Spreafico2, Rita Garbelli2 1. Dipartimento scientifico, Fondazione Irccs Istituto neurologico C. Besta, Milano 2. UO Epilettologia e neurofisiologia sperimentale, Fondazione Irccs Istituto neurologico C. Besta, Milano 3. Centro di Chirurgia dell’epilessia C. Munari, Ospedale Niguarda, Milano 4. UO Neurochirurgia, Fondazione Irccs Istituto neurologico C. Besta, Milano 5. Dipartimento di neuroradiologia, Ospedale Niguarda, Milano 6. Dipartimento di patologia, Ospedale Niguarda, Milano 7. UO Neuroradiologia, Fondazione Irccs Istituto neurologico C. Besta, Milano 8. Dipartimento di neuroscienze pediatriche, Fondazione Irccs Istituto neurologico C. Besta, Milano 9. UO Neurologia V e neuropatologia, Fondazione Irccs Istituto neurologico C. Besta, Milano
L
e displasie corticali focali (FCDs) sono delle malformazioni cerebrali altamente epilettogene. Secondo la più recente classificazione (Blumcke et al. del 2011) si possono distinguere dal punto di vista istopatologico tre sottotipi di FCDs in base all’entità dell’alterazione strutturale. Le forme più lievi (tipo I) sono caratterizzate dalla presenza di un’alterata laminazione corticale mentre nelle forme più severe (tipo II), alla disorganizzazione corticale si associa la presenza di alterazioni citologiche, in particolare neuroni dismorfici (DNs) nel sottotipo IIA oppure DNs in combinazione con cellule balloniformi (BCs) nel sottotipo IIB. L’eziologia e la patogenesi delle FCDs sono ancora poco note, ma è probabile che derivino da un processo di alterato sviluppo della corteccia cerebrale. Le FCDII sono spesso associate a epilessie severe con esor-
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dio precoce e sono frequentemente resistenti al trattamento farmacologico. Di conseguenza tali pazienti possono trarre beneficio da un trattamento chirurgico mirato alla rimozione del focolaio epilettogeno identificato attraverso indagini anatomo-elettrocliniche. La libertà dalle crisi è ottenuta nell’85 per cento circa dei casi chirurgici ed è strettamente correlata alla precisa localizzazione ed excisione della zona epilettogena, frequentemente coincidente con il sito della malformazione (Tassi et al., 2012). L’imaging di risonanza magnetica (MRI) rappresenta il principale strumento diagnostico a livello morfologico per le lesioni epilettogene. Radiologicamente, le FCDII sono riconoscibili principalmente dalla combinazione di una serie di segni quali: un aumentato spessore corticale, un elevato segnale in T2 nella sostanza bianca e un mal definito confi-
Figura 1. Confronto tra ex vivo 7T MRI e istopatologia in un caso di FCDIIB A, B: immagini di MRI clinica nelle quali si identifica alla base del solco la lesione displasica. In C,G e K sono mostrati esempi di MRI 7T del campione chirurgico e le corrispondenti istopatologie (D-F, H-J e L-N). La lesione (*in C,G), rispetto alla perilesione (# in C, K, L, M, N), mostra un’alterazione di segnale che riflette un quadro istologico caratterizzato da disorganizzazione delle fibre mieliniche (D, H), e presenza di cellule anomale come DNs (E, I) e BCs (F, J). (Barre D–F, 2,400 µm; H–J, L–N, 400 µm)
ne grigia/bianca (Colombo et al., 2012); tuttavia il 15 per cento dei pazienti, soprattutto se affetti dal sottotipo IIA, non presenta chiare alterazioni radiologiche e viene diagnosticato come tale solo in seguito all’esame istologico. Questo lavoro si è proposto quindi d’indagare le FCDII dal punto di vista sia radiologico che morfologico per valutare possibili correlazioni tra le alterazioni di segnale MRI ad alto campo, effettuate su campioni chirurgici ex-vivo, e la corrispondente istopatologia allo scopo di ottenere informazioni utili per migliorare la diagnosi prechirurgica.
Metodi Lo studio ha coinvolto 13 pazienti operati per epilessia famacoresistente presso l’Istituto Neurologico C. Besta e l’ospedale Niguarda di Milano e aventi una diagnosi istopatologica di FCDII (A e B). Le resezioni chirurgiche, dopo opportuna fissazione, sono state sottoposte a ex vivo MRI ad alta risoluzione (7T) con acquisizione d’immagini T2wi. Successivamente i campioni sono stati processati per indagine istologica ed immunoistochimica e, per un gruppo selezionato, è stato condotto uno studio più approfondito della sostanza bianca con microscopia elettronica (Garbelli et al., 2012). Per ciascun caso le immagini radiologiche sono state confrontate con le corrispondenti immagini istologiche digitalizzate sia qualitativamente che quantitativamente. In selezionate aree d’interesse (ROIs) della lesione e dell’adiacente perilesione (regione normalmente organizzata) sono stati valutati alcuni parametri istologici (densità dei DNs e BCs, densità delle fibre mieliniche e degli oligodendrociti) e radiologici (intensità del segnale MRI; calcolo del coefficiente di variazione CV quale indice del grado di alterazione del segnale MRI).
Risultati Questo studio mostra l’esistenza di una correlazione tra le variazioni nell’intensità del segnale radiologico e il quadro istopatologico. I pazienti affetti da FCDIIB presentano a livello istologico una lesione molto severa, estesa sia alla sostanza grigia che bianca, caratterizzata da un’elevata densità di DNs, dalla presenza di BCs e da una notevole perdita di fibre mieliniche con alterazione della mieloarchitettura. Nei casi di FCD IIA invece la lesione sembra limitata alla la neurologia italiana
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Epilessia sostanza grigia, presenta una minore densità di cellule anomale (rappresentate dai DNs) e una minore alterazione delle fibre nella sostanza bianca. Anche le immagini radiologiche ad alto campo (MRI 7T) ottenute ex vivo dai corrispondenti campioni chirurgici mostrano alterazioni di segnale più evidenti nelle FCDIIB: il segnale 7T MRI nella lesione a livello della sostanza grigia presenta un’elevata disomogeneità di segnale rispetto all’adiacente perilesione e ciò correla con la disorganizzazione
corticale e la presenza di cellule alterate mentre nella sostanza bianca la lesione mostra un anomalo ipersegnale con maldefinizione del confine tra grigia e bianca (Figura 1). Queste alterazioni di segnale permettono di identificare chiaramente i margini dell’alterazione displasica. L’iperintensità nella sostanza bianca, sempre presente, è di entità diversa nei diversi casi e va di pari passo con i dati neuropatologici. Infatti l’alterazione di segnale MRI è tanto maggiore quanto più sono ridotte le fibre mieliniche e la densità di oligodendrociti (le cellule responsabili della formazione della mielina) e Figura 2. Esempi di ex vivo 7T MRI e relative misure quantitative tanto più è aumentata la densità di in un caso di FCDIIB positivo alla MRI clinica (a-D) BCs. Tra i casi di FCDIIA, quelli diagnosticati alla MRI clinica preI parametri quantitativi ricavati dalle immagini T2 7T MRI permettono di distinguere sentano anch’essi disomogeneità perilesione (A) da lesione (C). L’intensità media di segnale MRI nella sostanza grigia di segnale alle immagini 7T MRI, e nella bianca della lesione (D) sono invertiti rispetto alla perilesione (B). L’analisi su mentre quelli non diagnosticati in un gruppo di campioni mostra una riduzione statisticamente significativa nell’intenfase prechirurgica e caratterizzati sità media di segnale (E) e un aumento del CV (F) a livello della lesione. da alterazioni citologiche di minor entità con normale mieloarchitettura appaiono normali. La quantificazione dei parametri radiologici conferma differenze statisticamente significative nell’intensità del segnale MRI nella lesione delle FCDIIB rispetto all’adiacente perilesione (ipointensità della grigia e iperintensità della bianca). Nelle FCDIIA con MRI prechirurgica positiva la lesione mostra alterazione di segnale solo nella sostanza grigia (ipointensità), mentre non ci sono differenze nei casi con MRI prechirurgica negativa. Al contrario il CV mostra differenze tra lesione e perilesione in entrambi i sottotipi di FCD II, anche nel caso di lesione non diagnosticata alla risonanza clinica (Figure 2 e 3). Tutte queste osservazioni trovano riscontro nell’analisi quantitativa dei diversi parametri valutati (Tabella 1). L’analisi ultrastrutturale effettuata nella sostanza bianca delle FCDIIB non solo ha confermato a livello del “core” della lesione la notevole perdita di fibre mieliniche, ma ha permesso di dimostrare che i pochi assoni rimasti presentano un calibro irregolare, una guaina mielinica (se presente) molto sottile e la presenza di nu-
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Figura 3. Esempi di ex vivo 7T MRI e relative misure quantitative in un caso di FCDIIA positivo alla MRI clinica (A-D) e in un caso non diagnosticato (E-H) L’intensità media di segnale varia nella sostanza grigia della lesione (D) rispetto alla perilesione (B) nei casi identificati alla MRI clinica, ma non in quelli non riconosciuti all’MRI clinica (H lesione, F perilesione). Il CV invece mostra chiare differenze nella sostanza grigia tra lesione e perilesione sia nelle FCDII MRI positive (I) che negative (J).
merosi e anomali spazi extracellulari. Inoltre sono presenti numerose cellule astrogliali e microgliali mentre i pochi oligodendrociti rimasti mostrano una morfologia alterata. La sostanza bianca nella lesione dei campioni con FCDIIA presenta alterazioni meno drastiche, soprattutto nei casi non diagnosticati all’MRI convenzionale, con preservazione della guaina mielinica degli assoni rimasti. La perilesione, simile in entrambi i sottotipi di displasia, conserva una normale organizzazione delle fibre mieliniche (Figura 4).
DISCUSSIONE Questo studio ha permesso di dimostrare che: 1) la sostanza grigia nel “core” della displasia presenta una disomogeneità di segnale MRI che è attribuibile alla presenza di cellule anomale e alla disorganizzazione delle fibre mieliniche intracorticali; 2) le misure quantitative fatte sulle immagini MRI 7T sono in grado di discriminare tra il “core” della displasia e il tessuto adiacente normale anche in casi nei quali la neurologia italiana
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Epilessia
Tabella 1 FCD
Confronto quantitativo tra immagini istologiche e radiologiche ID
Sostanza grigia Caratteristiche istologiche
IIb
IIa
Caratteristiche 7T
Caratteristiche istologiche
DNs (densità cellulare nella lesione)
BCs (densità cellulare nella lesione)
CV (nella lesione – spessore corticale)
DNs (densità cellulare nella lesione)
BCs (densità cellulare nella lesione)
3
++ (17/mm2)
++ (15/mm2)
++ (0,291)
+(1,3 mm2)
++(129/mm2)
4
++ (21/ mm2)
+ (1,2/mm2)
++(0,271)
+(4,4/mm2)
++ (156/mm2)
7
++ (19/ mm2)
+ (2/mm2)
++ (0,259)
++ (8/mm2)
+ (54/mm2)
9
++ (15/ mm2)
+ (0,5/mm2)
++ (0,258)
+ (5/mm2)
+ (21/mm2)
11
+ (8/mm2)
-(na)
+ (0,201)
+ (3/mm2)
-(na)
12
+(10/mm2)
-(na)
+ (0,217)
- (0/mm2)
- (na)
Note: È stato usato un sistema di score qualitativo semplificato che riporta tra parentesi i valori come bassi (-), elevati (+), molto elevati (++); BC, cellule balloniformi; CV, coefficiente di variazione; DN, neuroni dismorfici; FCD, displasia corticale focale; na, non applicabile; oligo, oligodendrociti
Figura 4. Immagini di microscopia elettronica che mostrano l’organizzazione della sostanza bianca (A-D) Una notevole perdita di fibre mieliniche e aumento degli spazi extra-assonali caratterizza l’area di lesione (A) nella sostanza bianca delle FCDIIB rispetto alla perilesione (B). Inoltre le fibre rimanenti presentano una guaina mielinica molto sottile (frecce in A). Nelle FCDIIA la riduzione delle fibre mieliniche nella lesione (C) è meno severa rispetto alle FCDIIB e non vi sono alterazioni della guaina mielinica.
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numero 3 · 2017 la neurologia italiana
in un sottogruppo di 6 campioni Sostanza bianca Caratteristiche 7T Oligo (% di riduzione nella lesione vs perilesione)
Fibre mieliniche (% di riduzione nella lesione vs perilesione)
Iperintensità segnale (% di aumento nella lesione vs perilesione)
++ (62)
++ (21)
++ (314)
++ (90)
++ (17)
++ (575)
+ (25)
+ (2)
- (65)
+ (33)
+ (4)
+ (104)
+ (37)
+ (8)
- (7)
+ (13)
- (1)
- (1)
la MRI clinica era negativa; 3) l’ipersegnale della sostanza bianca, tipico delle FCDIIB, è dovuto a una severa riduzione delle fibre mieliniche, presenza di ampi spazi extracellulari e densità di BCs; 4) le alterazioni MRI nelle FCDIIA sono meno evidenti e si riflettono nella minore severità istopatologica. L’intensità del segnale e il CV valutati sulle immagini ex vivo 7T MRI assumono valori diversi nelle regioni affette da alterazioni citoarchitetturali rispetto alle regioni istologicamente normali, quindi permettono una buona definizione del confine tra lesione e perilesione. In particolare il CV,
soprattutto per le lesioni nella sostanza grigia, può identificare l’area di lesione anche nei casi di FCDII diagnosticati come negativi all’MRI clinica. Dato che l’efficacia del trattamento chirurgico in termini di outcome epilettologico in questi pazienti è largamente dipendente dalla completa rimozione della displasia, la possibilità di poter discriminare tra la lesione e l’adiacente perilesione rappresenta un fattore importante tenuto in considerazione anche il fatto che spesso tali lesioni sono poste in prossimità di zone eloquenti. Ovviamente il fatto di aver effettuato questo studio su campioni ex vivo ha permesso di poter utilizzare campi magnetici e tempi di acquisizione delle immagini non applicabili allo stato attuale nella pratica clinica. È però da considerare il fatto che lo sviluppo dell’imaging clinico, sia in termini di acquisizione che di post-processing, è in rapidissima evoluzione tale da poter ipotizzare in un futuro non lontano la possibilità di trasferire le conoscenze ottenute in questo lavoro sperimentale in clinica. L’approfondito studio neuropatologico effettuato sulla sostanza bianca ha inoltre permesso di dimostrare che l’ipersegnale che si evidenzia nelle immagini MRI è legato a una drastica riduzione della componente delle fibre mieliniche. Inoltre, la presenza di fibre con ridotta guaina mielinica associata a un’importante diminuzione della densità degli oligodendrociti permette di ipotizzare che ci possa essere un difetto primario nei processi di mielinizzazione durante le fasi dello sviluppo e non solo una riduzione di fibre conseguente alle crisi epilettiche.
CONCLUSIONI Questo studio mostra come la MRI ad alta risoluzione ottenuta grazie a una risonanza ad alto campo magnetico e i nuovi approcci di analisi delle immagini radiologiche potrebbero essere impiegati con successo nella futura pratica clinica, permettendo di diagnosticare o meglio caratterizzare le lesioni a oggi non sempre ben riconoscibili migliorando così il planning prechirurgico e di conseguenza l’outcome dei pazienti operati.
Bibliografia essenziale Blumcke I, Thom M, Aronica E et al. The clinicopathologic spectrum of focal cortical dysplasias: A consensus classification proposed by an ad hoc task force of the ILAE diagnostic methods commission. Epilepsia 2011;52(1):158-174. Tassi L, Garbelli R, Colombo N et al. Electroclinical, MRI and surgical outcomes in 100 epileptic patients with type II FCD. Epileptic Disord 2012;14(3):257-266. Colombo N, Tassi L, Deleo F et al. Focal cortical dysplasia type IIa and IIb: MRI aspects in 118 cases proven by histopathology. Neuroradiology 2012;54(10):1065-1077. Garbelli R, Milesi G, Medici V et al. Blurring in patients with temporal lobe epilepsy: Clinical, high-field imaging and ultrastructural study. Brain 2012;135(Pt 8):2337-2349.
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malattia di parkinson Approccio psicologico e neuropsicologico ai pazienti in riabilitazione motoria Oltre a compromettere le abilità motorie, la malattia di Parkinson incide profondamente sullo stato emotivo e cognitivo delle persone che ne sono affette. In questo ambito, l’approccio riabilitativo multidisciplinare, che contempli un percorso psicologico e neuropsicologico, si rivela particolarmente adeguato Antonia Pierobon, Valeria Torlaschi, Elisa Covini, Anna Giardini, Simona Callegari Servizio di psicologia, Istituti clinici scientifici Maugeri, Irccs, Istituto di Montescano (Pavia)
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a malattia di Parkinson (MP) si manifesta con un’ampia costellazione di sintomi motori e non motori. Negli ultimi anni sempre più rilevanza ha assunto la valutazione cognitiva, emotiva e dello stato di salute dei pazienti con MP. In questo lavoro viene descritta una proposta di valutazione neuropsicologica e psicologica, clinica e testistica inserita in un approccio riabilitativo interdisciplinare. Il valore aggiunto della prospettiva psicologica e neuropsicologica consente una presa in carico olistica del paziente con MP e una maggiore integrazione del lavoro interprofessionale.
Introduzione La malattia di Parkinson (MP) oltre a provocare alterazioni a carico delle abilità motorie (sintomi/complicanze motorie), incide su aspetti non motori tra cui, il funzionamento emotivo e cognitivo del paziente (sintomi/complicanze non motorie) (Tabella 1). Sia gli aspetti motori che non motori di questa patologia possono impattare in maniera consistente il funzionamento e la Qualità di Vita (QdV) percepita dal paziente. In particolare, un importante studio multicentrico italiano ha messo in luce la presenza di una grande varietà e quantità di sintomi
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non-motori in tutti gli stadi della MP (1). Il numero totale di sintomi non-motori può aumentare significativamente nel tempo con un’evoluzione che non segue sempre l’andamento peggiorativo motorio. I sintomi psichiatrici, cardiovascolari e respiratori, ad esempio, possono diventare meno prevalenti pur mantenendo, nella percezione del paziente, un grosso impatto sulla QdV (2). L’ambito riabilitativo si configura come uno degli approcci più adeguati alla presa in carico della complessità del quadro clinico della MP. Infatti, i disturbi motori, funzionali, cognitivi, comportamentali ed emotivi connessi alle sindromi parkinsoniane possono, in questo ambito, essere valutati da un’équipe interdisciplinare capace di implementare trattamenti individualizzati sulla base del profilo di bisogno del paziente (3-7).
L’impatto della MP sulla sfera cognitiva Dal punto di vista cognitivo, nella MP si possono riscontrare tre diversi pattern: pazienti senza deficit cognitivi, pazienti con deficit cognitivi specifici e isolati e pazienti con deficit cognitivi generalizzati che presentano una demenza sottocorticale di tipo disesecutivo. I tratti essenziali di questo
Tabella 1
Complicanze non motorie nella Malattia di Parkinson AMBITI
SINTOMI
DISTURBI PSICHIATRICI e COGNITIVI
Depressione, apatia, anedonia, deficit esecutivi, allucinazioni, deliri, demenza, comportamenti ossessivi
DISTURBI DEL SONNO
Sindrome delle gambe senza riposo, movimenti periodici delle gambe, disturbi del sonno, eccessiva sonnolenza diurna, sogni vividi, insonnia
DISTURBI DISAUTONOMICI
Disturbi vescicali (urgenza urinaria), sudorazione, ipotensione ortostatica (cadute, cefalea ad “attaccapanni”)
DISTURBI GASTROINTESTINALI
Ipersalivazione, disfagia, reflusso gastrico, vomito, costipazione, incontinenza fecale
DISTURBI SENSITIVI
Dolore, parestesie, disturbi olfattivi
DISTURBI SPECIFICI
Fatica, diplopia, visione offuscata, seborrea, perdita di peso
tipo di demenza sono il rallentamento psicomotorio, i deficit di memoria, le alterazioni affettive o comportamentali e la sostanziale integrità delle funzioni strumentali “corticali”. Oltre che da modificazioni del comportamento, a volte l’esordio clinico è caratterizzato dalla comparsa di tratti psicopatologici di ordine francamente psichiatrico (4-7). La compromissione delle funzioni frontali/esecutive viene vista come la più importante sequela cognitiva della malattia. I pazienti, con o senza demenza, possono mostrare ad esempio deficit nella working memory, nell’apprendimento per prove ed errori, nella pianificazione, nel monitoraggio della risposta, nel cambiamento del setting e nel controllo attenzionale. Il paziente può esperire difficoltà nello sviluppare il proprio piano di azione e nell’iniziare un comportamento diretto a un fine, così come nel mantenere livelli adeguati nelle risorse di processamento cognitivo. Tali difficoltà possono essere mascherate nel contesto familiare ed emergere invece quando i pazienti si confrontano con nuove situazioni o nuovi stimoli. Per quanto riguarda l’attenzione, la prestazione a compiti attenzionali che necessitano velocità di processamento o richiedono al paziente di guidare internamente le proprie risorse attentive, può essere deficitaria. L’attenzione visiva è sicuramente quella che appare più compromessa, ma importanti difficoltà emergono anche nel filtrare l’informazione non saliente nei compiti di attenzione divisa e nel resistere all’interferenza. Per quanto riguarda le capacità linguistiche ci si aspetta che molti pazienti con MP abbiano prestazioni peggiori nella fluenza fonemica, tipico test con processamento esecutivo, e migliori in quella semantica (8-9). Trattazione a parte va riservata ai disturbi psichiatrici/psicologici, quali la psicosi, l’apatia, la depressione e l’ansia, presenti in percentuali diverse a seconda della gravità della MP e dell’evoluzione del quadro clinico (10). La prevalenza
della depressione è stimata intorno al 40 per cento (11), con alcuni studi che riportano valori inferiori al 4 e altri valori superiori al 90 per cento. La variabilità dei dati in letteratura può essere dovuta in parte alla bassa validità e affidabilità diagnostica degli strumenti utilizzati per valutare la depressione nella MP. La prevalenza dell’apatia nella MP varia, invece, dal 15 al 42 per cento. La depressione è il sintomo più frequente, seguita da allucinazioni e ansia. Le allucinazioni, soprattutto visive, non sono semplicemente un effetto del trattamento, bensì un sintomo collegato alla malattia in sé, che i farmaci talvolta esacerbano. I farmaci dopaminoagonisti possono inoltre provocare come effetto collaterale deliri notturni (12) e comportamenti ipomaniacali, come un impulso incontrollato al gioco d’azzardo (13), crisi di sfrenata gelosia nei confronti del coniuge, o una smodata mania per l’ordine. Sono stati riportati anche casi di modificazioni del comportamento sessuale, come l’ipersessualità e l’insorgere di parafilie come frotteurismo (14). Nello studio di Rahman e coll. l’ansia risulta presente in circa il 38 per cento dei parkinsoniani e si manifesta, in circa il 46 per cento di essi, come “paura di cadere”, conducendo i malati a evitare di muoversi in luoghi pubblici con conseguente isolamento sociale e ricaduta negativa sulla QdV. Molti sintomi della MP, tra cui l’imprevedibilità del funzionamento motorio, le fluttuazioni on-off, i disturbi posturali e di equilibrio e il rischio di cadere mentre si cammina, contribuiscono all’insorgere di sintomatologia ansiosa la quale a sua volta può provocare un peggioramento dei sintomi motori stessi, sulla base di un’influenza reciproca (15, 16). Alcuni studi qualitativi invece analizzano maggiormente il vissuto emotivo e soggettivo di alcuni sintomi legati alla perdita di funzionalità come la comunicazione e l’evoluzione della malattia. La maggiore preoccupazione non appare relativa ai cambiamenti fisici, ma alle ricadute sul senso di la neurologia italiana
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Tabella 2
Aree e aspetti psicologici trattati con il paziente e il caregiver AREE
ASPETTI SPECIFICI DI INDAGINE E TRATTAMENTO
Consapevolezza e accettazione di malattia
Focus sulla percezione soggettiva della MP. Vengono indagate la conoscenza dei sintomi, il loro riconoscimento, il processo di accettazione emotiva e di elaborazione cognitiva della MP. Integrazione della malattia come parte di sé, non vissuta come qualcosa di estraneo o come un nemico, ma come parte della propria narrativa personale.
Stato emotivo
Il tono dell’umore è un fattore fortemente connesso al buon esito della riabilitazione. Indagare anche la presenza di stati d’ansia, di vergogna e fobie specifiche che possono limitare le attività di vita personale e socio-familiare. Legittimare e validare il paziente nel vissuto e nella manifestazione di stati emotivi connessi alla malattia e ai relativi cambiamenti di vita. Nei casi più gravi si consiglia trattamento specifico psicofarmacologico e/o psicoterapeutico individuale o di gruppo.
(depressione e sintomi ansiosi)
Consapevolezza di eventuali deficit cognitivi
Nello specifico si chiede al paziente la percezione relativa all’esito del test neuropsicologico e se si è accorto di particolari difficoltà di cui non si era reso conto in precedenza (analisi delle capacità metacognitive).
Adattamento alle limitazioni funzionali
La MP impone un’importante riorganizzazione personale e a volte comporta l’abbandono di attività piacevoli, interessi e hobby a causa degli importanti e ingravescenti limiti che impone nella vita quotidiana. Si indaga la capacità del paziente di far fronte a tali limitazioni e si rinforzano i comportamenti adattivi orientati all’autogestione, all’autonomia residua e all’accettazione della richiesta di aiuto (in particolare nell’inizio del compito motorio quale alzarsi e camminare).
Aderenza alle prescrizioni cliniche
La complessità della MP impone una delicata gestione della stessa sia dal punto di vista farmacologico che comportamentale. È essenziale sostenere il paziente ad aderire alle prescrizioni farmacologiche e comportamentali, soprattutto per quel che riguarda una regolare attività fisica e una stimolazione cognitiva aspecifica a domicilio (es. lettura, settimana enigmistica, gioco di carte, uso del computer).
Aspettative di recupero funzionale
È necessario che il paziente nutra adeguate aspettative sia sulla progressione della malattia che sull’eventuale beneficio che può derivare dalla riabilitazione. Prospettive sproporzionate o irrealistiche su entrambi i temi possono creare uno iato tra aspettative e realtà, che possono aggravare lo stato psicologico del paziente.
Motivazione al trattamento riabilitativo
L’outcome riabilitativo è positivamente influenzato dalla motivazione che il paziente mostra al trattamento. È importante sostenere il paziente nell’impegno costante durante lo svolgimento delle attività riabilitative proposte. La motivazione può risentire negativamente della presenza di sintomi depressivi che vanno tenuti in considerazione e trattati.
Attivazione risorse e affettività positiva
Nel processo di adattamento è fondamentale fare riferimento alle abilità di coping presenti e alle risorse cognitivo comportamentali residue. La presenza di resilienza e di affettività positiva vanno veicolate e stimolate nel paziente e nel caregiver di riferimento.
Supporto socio-familiare percepito
È importante valutare la presenza non solo di supporto socio-familiare reale e assistenziale, ma anche come viene percepito dal paziente. A volte si rende necessaria una rilettura dei ruoli e delle relazioni intra/interfamiliari e sociali.
Rilevazione del disagio psicologico del caregiver e supporto psicologico
È pratica consolidata durante i ricoveri effettuare contestualmente colloqui anche con i familiari/caregiver del paziente.
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sé, sulla partecipazione sociale e sulle dinamiche relazionali. Gli uomini si mostrano preoccupati dell’effetto che il tremore può avere sul senso di competenza, citano spesso la perdita di forza e si focalizzano sulla svalutazione dell’immagine sociale. Le donne invece pongono maggiormente l’accento sulle ricadute relazionali, non parlano della perdita di forza, ma sono preoccupate del cambiamento di ruolo nella vita domestica e delle conseguenze sulle funzioni cognitive (17,18).
Intervento riabilitativo interdiscliplinare L’efficacia del modello riabilitativo nei pazienti con MP è stata oggetto di numerosi studi che hanno confermato la presenza di effetti positivi sulla vita dei pazienti, in termini di incremento delle misure di outcome, anche a livello soggettivo. I lavori in questo campo confermano l’efficacia dell’esercizio fisico nella MP sulla funzionalità fisica, la qualità di vita percepita, la forza degli arti inferiori, l’equilibrio e il cammino (19, 20). In neuroriabilitazione esistono prove che mostrano l’efficacia dell’esercizio fisico in termini di neuroplasticità e di capacità del cervello di auto-ripararsi; ciò sembra dovuto al rilascio di fattori neurotropici e alla maggiore ossigenazione cerebrale che promuovono la crescita di nuove cellule e la sopravvivenza di quelle già presenti. Nella MP in particolare si è evidenziato come l’esercizio fisico stimoli la sintesi di dopamina nei rimanenti neuroni dopaminergici riducendo i sintomi della malattia (21). La riabilitazione intensiva agisce sull’evoluzione di malattia rallentandone la progressione o mantenendola stabile al follow-up di 1 anno (3, 22). La presenza di deficit esecutivi e di manifestazioni depressive di media-elevata intensità non sembra inoltre influire negativamente sull’esito di un trattamento motorio e interdisciplinare, se preventivamente valutati e presi in considerazione (23). La riabilitazione nella MP è rivolta al trattamento di specifici aspetti della malattia, ciascuno dei quali prevede il coinvolgimento di un team composto da differenti figure professionali che lavorano sinergicamente (fisioterapista, terapista occupazionale, logopedista e psicologo) (22). In questo articolo ci occuperemo specificatamente dell’approccio psicologico e neuropsicologico al paziente con MP. La valutazione psicologica e neuropsicologica La valutazione psicologica e neuropsicologica comprende l’approfondimento clinico con il paziente (eventualmente anche con il caregiver) e la somministrazione di test standardizzati. Durante la valutazione clinica viene indagato come il paziente percepisce non solo gli aspetti negativi legati alla malattia, ma anche le risorse presenti per gestirla. Si valutano quindi i sintomi correlati alla MP, quelli più prettamente psicologici e le risorse personali e socio-familiari (Tabella 2).
I pazienti vengono sottoposti a una valutazione neuropsicologica con test selezionati ad hoc sulla base delle evidenze presenti in letteratura sui deficit cognitivi specifici relati alla MP (Tabella 3) (5-8). Una descrizione più dettagliata va riservata a due test di screening in quanto più recenti rispetto agli altri. Il Mini Mental Parkinson (MMP) è un test di screening breve, specifico per MP con buona validità concorrente, che comprende le seguenti sottosezioni: orientamento, registrazione visiva, attenzione, fluenza verbale, richiamo visivo, shifting e concettualizzazione. L’Addenbrooke’s Cognitive Examination Revised (ACE-R) è un breve test di screening indicato per la valutazione delle demenze e indaga cinque aree cognitive: attenzione/orientamento, memoria, fluenza verbale, linguaggio e abilità visuospaziali. La somministrazione dell’ACE-R richiede in media 15-20 minuti; si ottengono punteggi equivalenti per ciascuna area, un punteggio totale e il punteggio del MMSE (presente all’interno del test di screening) (24-27). Per quanto riguarda la valutazione psicologica testistica vengono usati diversi test. Il Neuropsychiatric Psychological Inventory (NPI-Q) valuta i disturbi comportamentali: deliri, allucinazioni, agitazione/aggressività, depressione/ disforia, ansia, euforia/esaltazione, apatia/indifferenza, disinibizione, irritabilità/labilità, attività motoria aberrante, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione. Il NPI-Q rappresenta lo strumento più moderno e completo, soprattutto nella versione composta da 12 items che valuta anche il distress psicologico dei familiari (28). Le manifestazioni depressive vengono valutate, a seconda dell’età del paziente, attraverso la Geriatric Depression Scale (GDS) (29) o il Beck Depression Inventory - BDI-II (30). La QdV viene indagata attraverso il Parkinson’s Disease Questionnaire-8 (PDQ-8), versione breve del PDQ-39, che valuta specificatamente gli aspetti di funzionamento globale e il benessere psicofisico relati alla MP (31). Il tempo di somministrazione di tutta la batteria di test può variare da paziente a paziente a seconda dell’affaticabilità e del grado di compromissione mostrati; tendenzialmente sono necessari 60-90 minuti, eventualmente frazionabili in più sedute. Nell’approccio psicologico alla MP in ambito riabilitativo, molti studi sostengono l’efficacia della Cognitive Behavioral Therapy (CBT) nel trattamento della sintomatologia depressiva (11). La CBT risulta particolarmente agile grazie al suo approccio orientato all’obiettivo e agli effetti a lungo termine nella gestione della malattia, garantiti anche dopo la conclusione del trattamento. In una recente review riguardo al trattamento non farmacologico di ansia e depressione nella MP, Yang e collaboratori mettono in evidenza la scarsità in questo ambito di studi randomizzati con un campione sufficientemente numeroso (32). La CBT consente di lavorare sull’adattabilità, la gestione e il rinforzo delle risorse residue del malato cronico e attraverso un percorso di riformulala neurologia italiana
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PATOLOGIE NEURODEGENERATIVE zione del sé cerca di agire sull’esperienza soggettiva al fine di favorire un adattamento comportamentale efficace anche nella MP (Tabella 2) (33,34). La CBT risulta essere utilizzata con buoni risultati anche sul versante neuropsicologico della MP (35). Ci sono inoltre studi relativi al trattamento cognitivo su deficit neuropsicologici specifici associati alla MP con prove di efficacia promettenti relative al miglioramento della memoria di lavoro, delle funzioni esecutive, della velocità di processamento e dell’abilità di shifting (36-37). Si rendono necessari ulterio-
ri studi per verificare se gli interventi riabilitativi cognitivi possano essere applicati con i medesimi risultati anche in pazienti con deterioramento cognitivo, con complicanze motorie o con differente gravità della sintomatologia depressiva.
Conclusioni
Il modello di valutazione e di intervento si inserisce all’interno di un approccio riabilitativo interdisciplinare effettivo e consolidato nella partecipazione settimanale alle riunioni dell’équipe, con la quale viene condiviso il Valutazione testistica progetto riabilitativo individuale, in linea con il moTabella 3 neuropsicologica e psicologica: dello biopsicosociale adottato dall’ICF (38). Infatti il aree di indagine e relativi test lavoro interdisciplinare si focalizza non solo su limiti e deficit, ma anche su risorse, ricchezze e processi di adattamento personali, familiari e sociali. L’outcome TEST DI SCREENING - DETERIORAMENTO COGNITIVO Mini Mental Parkinson (MMP) riabilitativo si pone su più livelli oggettivi e soggetAddenbrooke’s Cognitive Examination Revised (ACE-R) tivi e presuppone interventi atti a favorire durante il ricovero un processo di adattamento alla malattia che MEMORIA sia funzionale al mantenimento del più alto livello Span parole bisillabiche o Digit span possibile di benessere psicofisico nel tempo a domiSpan visuospaziale (Test di Corsi) cilio. Memoria di Prosa (raccontino o eventi per item) La presenza dello psicologo nel team riabilitativo Rievocazione di una figura complessa di Rey apre uno spazio di riflessione personale che facilita il reperimento del significato sia della malattia che del FUNZIONI ESECUTIVE trattamento su un piano esistenziale, nel rispetto dei Frontal Assessment Battery (FAB) valori di riferimento del paziente, a completamento Attenzione e inibizione dell’interferenza della logica funzionalista che caratterizza la definizioTrail Making Test: Test A (sec.) ne dell’outcome riabilitativo. Tale spazio di riflessioTrail Making Test: Test B (sec.) ne personale legittima e accoglie risposte emozionali Test di Stroop: Effetto interferenza errori destabilizzanti e paure, evitando che interferiscano Test di Stroop: Effetto interferenza tempo con le sedute di fisiokinesiterapia e riportandole su Linguaggio Fluenza fonemica un piano di elaborazione dove possono essere gestite e ridefinite come contenuti e non come limiti, a tutto vantaggio dell’impegno quotidiano del team. INTELLIGENZA E RAGIONAMENTO LOGICO Raven CPM 47 Il valore aggiunto dell’approccio psicologico e neuropsicologico proposto consiste nell’integrazione di dati clinici rilevati dalla valutazione testistica stanABILITà VISUO-PERCETTIVE PRASSICO-COSTRUTTIVE dard, dagli aspetti evidenziabili dall’analisi qualitatiFigura Complessa di Rey - Copia va delle narrazioni del paziente e non da ultimo dallo scambio interprofessionale delle riunioni d’équipe. DEPRESSIONE Sono così individuabili per ogni paziente, in modo Geriatric Depression Scale (GDS) Beck Depression Inventory (BDI-II) più approfondito e soggettivamente rilevante, i processi di elaborazione di malattia, il livello di accettazione della stessa e il processo di adattamento psicoSTATO DI SALUTE PERCEPITO logico-comportamentale calibrati sui bisogni e sulle Parkinson’s Disease Questionnaire (PDQ-8) risorse della persona. La sinergia tra la componente funzionalista riabilitaDISTURBI COMPORTAMENTALI E tiva e l’accesso alla narrazione soggettiva del pazienDISTRESS PSICOLOGICO DEL CAREGIVER Neuropsychiatric Inventory (NPI) te costituisce la peculiarità dell’approccio proposto, e apre prospettive di arricchimento e approfondimento Fonte: Bianchi A, 2010 (24); Costa A et al., 2013 (25); Pigliautile M et sia per il paziente che per gli operatori coinvolti a dial., 2011 (26); Siciliano M et al., 2016 (27) verso titolo nella riabilitazione della MP.
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Patologie rare
adrenoleucodistrofia X-legata Le criticità nella gestione di una patologia complessa Marina Melone
Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche, Neurologiche, Metaboliche, e dell’Invecchiamento (DSMCNMI) UOC di Neurologia e Centro Malattie Rare, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
Sebbene la prevalenza dell’ALD X legata nel nostro Paese sia di circa 3.500-4.000 casi, il numero di pazienti diagnosticati e/o in follow up è inferiore a 500. Attualmente i servizi erogati sul territorio in ambito diagnostico, terapeutico e riabilitativo non sono adeguati alle richieste di salute dei pazienti
L’
adrenoleucodistrofia legata al cromosoma X (X-ALD) è una malattia neurodegenerativa metabolica ereditaria causata da mutazioni nel gene ABCD1 (ufficialmente identificato come ATP-binding cassette, sub-family D, member 1) localizzato sul braccio lungo del cromosoma X (Xq28) [Moser et al., 2004]. Questo gene codifica per una proteina trasportatrice di membrana, conosciuta come ALDP (Adrenoleukodystrophy protein). La sua attività permetterebbe alle catene molto lunghe di acidi grassi (Very Long Chain Fatty Acids, VLCFA; C24-C26) di entrare nei perossisomi - organelli cellulari che si comportano come un comparto metabolico specializzato - ed essere digerite. Nei pazienti affetti da X-ALD il difetto genetico altera questa via metabolica; ne consegue una ridotta degradazione
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dei VLCFA in particolar modo degli acidi grassi C26:0 (acido esacosanoico) e C24:0 (acido tetracosanoico) che pertanto aumentano nel plasma e si accumulano nei tessuti, in particolare nel sangue, nel Sistema Nervoso Centrale (SNC; cervello e/o midollo spinale), nelle ghiandole surrenaliche e nelle gonadi. L’accumulo a livello del SNC è responsabile di processi a evoluzione neurodegenerativa legati alla distruzione della sostanza bianca; la leucodistrofia è causa oltre che di disordine motorio di tipo piramidale che si esprime clinicamente come tetraparesi o paraparesi spastica, anche di deficit cognitivi di varia entità, riduzione dell’acuità visiva e uditiva, perdita della coordinazione motoria con atassia cerebellare, episodi convulsivi. Nelle ghiandole surrenali, l’accumulo di VLCFA determina un danno a carico della corticale del surrene con con-
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seguente deficit di cortisolo e sviluppo di malattia di Addison.
Inquadramento clinico Clinicamente l’ALD è un disturbo eterogeneo, che si presenta con diversi e distinti fenotipi, anche all’interno di una stessa famiglia, e un non chiaro modello di correlazione genotipofenotipo [Cotrufo et al., 1987]. È una malattia legata al cromosoma X, e quindi l’ALD si presenta più comunemente nei maschi, tuttavia circa il 50 per cento delle femmine eterozigoti mostra alcuni sintomi, nel corso della vita. Circa due terzi dei pazienti ALD si presenterà con forma cerebrale infantile della malattia (definita CALD), che è la forma più grave. Essa è caratterizzata da normale sviluppo nella prima infanzia, seguita da rapida degenerazione di varie funzioni e dello stato di coscienza fino ad arrivare allo stato vegetativo. Le altre forme di ALD variano in termini di insorgenza e gravità clinica, che vanno da insufficienza surrenalica a progressiva paraparesi spastica nella seconda-terza decade di vita (questa forma della malattia è tipicamente conosciuta come adrenomieloneuropatia o AMN). Circa il 30 per cento dei pazienti con AMN mostra anche un coinvolgimento cerebrale e handicap severo attorno alla quinta-sesta decade. Circa il 70 per cento dei pazienti presenta una forma
di Addison conclamata, in una fascia di età compresa tra i due anni e l’età adulta, più comunemente tra i 7 e gli 8 anni, nonostante l’esame neurologico possa non evidenziare segni di patologia. Di fatto, non vi è correlazione fra sintomi neurologici e grado di iposurrenalismo. Le femmine portatrici sane della patologia possono sviluppare, nel 33-60 per cento dei casi, una sintomatologia AMN-like dopo la quarta-quinta decade. Inoltre in letteratura vengono descritte altre forme più rare che nel complesso rappresentano il 5-10 per cento delle presentazioni cliniche come, l’adrenoleucodistrofia dell’adolescente e dell’adulto, la demenza atipica, la sindrome cerebellare pura, la sindrome disautonomica, e la forma asintomatica delle donne portatrici. Seguendo un corretto metodo clinico, la diagnosi di X-ALD è basata sulla valutazione dei dati clinici e delle indagini di laboratorio e strumentali. La RM dell’encefalo è sempre patologica nei maschi con forma cerebrale neurologicamente sintomatici e spesso fornisce la prima guida diagnostica. La concentrazione plasmatica di acidi grassi molto lunghi è aumentata nel 99 per cento dei maschi con X-ALD. L’aumento della concentrazione di VLCFA nel plasma e/o nei fibroblasti cutanei in coltura è presente in circa l’85 per cento delle donne portatrici sintomatiche o meno; il 20 per cento dei portatori conosciuti ha una concentrazione plasmatica normale di VLCFA. Laddove la storia familiare non sia contributiva e il dosaggio dei VLCFA non sia conclusivo, si procede, previo consenso informato, all’analisi genetico-molecolare del gene ABCD1 [Montagna et al., 2005]. A oggi non c’è un trattamento patogenetico per l’ALD o l’AMN, che colpisce l’85 per cento di tutti i pazienti ALD (maschi e femmine compresi), ma di rilievo è la terapia sintomatica e potenzialmente salvavita se precocemente instaurata, come il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (HSCT) o di cellule ema-
topoietiche autologhe geneticamente corrette utilizzando vettori lentivirali, e poi reinfuse [Cartier et al., 2009; Eichler et al., 2016]. Inoltre, dal momento che i VLCFA sono tossici per la mielina, le ghiandole surrenali e i testicoli, vari tentativi sono stati fatti per ridurre le concentrazioni plasmatiche di VLCFA. Farmaci come la lovastatina o il bezafibrato non hanno dato risultati conclusivi in termini di efficacia [Engelen et al., 2010, 2012]. In ogni caso la restrizione dietetica dei VLCFA è all’origine dello sviluppo anche di una terapia basata sulla pratica alimentare.
l’assistenza al paziente con ALD: fatti e misfatti L’ALD è il tipo di leucodistrofia più comune e viene osservata in tutto il mondo, senza differenze di etnie o di aree geografiche. A partire dal ’93 sono stati svolti diversi studi epidemiologici in vari Paesi del mondo dall’Italia agli USA. Le evidenze epidemiologiche mettono in luce un’incidenza della patologia che va da 1:100.000 in Francia e Irlanda, a 6:100.000 negli USA. In Italia, nel ’98 Di Biase e coll. hanno condotto il primo studio epidemiologico riguardante una casistica di 117 pazienti affetti da adrenoleucodistrofia raccolti nel periodo 1985–1997. Tale studio definisce un’incidenza di 3,6:100.000 nati, che rispetto a una popolazione di 60 milioni di abitanti come quella italiana si traduce in circa 2.000 pazienti. Tale cifra aumenta a 3.500-4.000 se si considerano le indagini più recenti che stimano un’incidenza complessiva di ALD di circa 1 su 15.000-17.000 neonati (includendo sia le eterozigoti femmine che i maschi affetti) [http://www.x-ald.nl]. Questi i fatti. Ma a fronte della numerosità della popolazione di pazienti attesi, qualunque siano le stime, il rilievo epidemiologico attuale condotto presso i centri di riferimento italiani evidenzia che il numero di pazienti diagnosticati e/o in follow up è inferiore a 500. Che cosa giustifica questo che rappresenta
un vero misfatto, quando sappiamo che la diagnosi precoce di ALD/AMN rappresenta la chiave di ingresso a un corretto approccio al paziente? Nei fatti, la possibilità di attuare interventi terapeutici anche dietetici, o interventi riabilitativi specifici in fase iniziale può migliorare sensibilmente lo stato di salute del paziente e la sua qualità di vita, consentendo il monitoraggio prospettico per la funzione surrenale e una sorveglianza stretta sull’esordio della sintomatologia neurologica nella forma cerebrale di ALD e in età adolescenziale della forma AMN. Inoltre il corretto inquadramento nosografico della malattia assume un’importanza fondamentale per l’intera famiglia perché, attraverso l’identificazione della madre portatrice della mutazione, consente la definizione delle scelte riproduttive, e fornisce ai genitori un’informazione straordinariamente utile per la gestione delle problematiche di salute del figlio. La risposta nei fatti, è che a oggi, i servizi erogati sul nostro territorio, in materia di diagnosi, terapia farmacologico/dietetica e riabilitazione dei pazienti affetti da ALD, sono scarsamente adeguati alla richiesta di salute in termini di disponibilità e qualità, tanto che ai cittadini residenti nelle diverse regioni del nostro Paese non è garantita parità di accesso ai Centri/servizi specialistici e ai farmaci orfani. Così, l’incapacità a risolvere una diagnosi differenziale con mancata diagnosi o ritardo diagnostico è da ricondursi in gran parte alla eterogeneità del fenotipo con età di esordio, morbilità molto variabili e progressione imprevedibile. Ma anche a una scarsa attenzione al follow up del paziente nel passaggio clinico dall’età pediatrica all’età giovane-adulta. Tale programma che nei fatti ha l’obiettivo di fornire assistenza completa, coordinata e continua, adattata allo sviluppo del paziente, è ben definito per molte malattie croniche, come la fibrosi cistica, il diabete, le malattie reumatiche e le oncologiche, ma risulta quale misfatto, ancora poco sviluppato per le malattie metaboliche
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Patologie rare ereditarie, in particolare per l’ALD, non solo in Italia, ma anche in Europa. Altro misfatto è la mancanza di un programma nazionale di screening neonatale nell’ALD, programma presente in vari Paesi nella routine diagnostica neonatale. Nel 2014, lo Stato di New York ha cominciato lo screening neonatale per ALD e nel 2016, l’ALD è stata aggiunta al Pannello di screening raccomandato dagli Stati Uniti (RUSP). Nel 2015, i Paesi Bassi hanno ampliato il loro programma di screening neonatale da 17 a 31 malattie, tra cui l’ALD.
In conclusione In conclusione, l’insieme di queste osservazioni ha fatto emergere l’urgenza di correggere i misfatti attraverso una maggiore formazione/sensibilizzazione del medico per il riconoscimento di segni e sintomi caratteristici che, insieme alla storia clinica di questi pazienti e/o delle donne portatrici possano indirizzare al sospetto di ALD/AMN. Così, la diagnosi e il monitoraggio di questi pazienti saranno possibili se si dispone di una rete regionale, interregionale e sovranazionale (European
Reference Networks) di medici specialisti competenti che siano capaci di fornire l’assistenza necessaria, e di laboratori specializzati. Infine, nei fatti, si è reso necessario considerare di vitale importanza lo screening neonatale nelle popolazioni a rischio perché permette un potenziale di sorveglianza e l’intervento precoce. Lavoriamo pertanto perché ai pazienti e ai loro familiari siano forniti solo FATTI!
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farmaci NEWS Sclerosi multipla
L’Europa autorizza cladribina compresse
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o scorso 28 agosto, la Commissione europea ha concesso l’autorizzazione all’immissione in commercio di cladribina compresse 10 mg (Mavenclad®, Merck) per il trattamento della sclerosi multipla recidivante a elevata attività di malattia, definita come pazienti con una recidiva durante l’anno precedente e ≥1 lesione T1 captante gadolinio o ≥9 lesioni T2 in corso di trattamento con altri DMD; oppure pazienti con ≥2 recidive nell’anno precedente, sia in trattamento con DMD che non in trattamento. La decisione europea si basa sui risultati ottenuti nel programma di sviluppo clinico su oltre 10mila anni/paziente, con un periodo di osservazione per alcuni pazienti di oltre10 anni, che hanno permesso la completa definizione del profilo di rischio/beneficio del farmaco. Cladribina ricostituisce selettivamente il sistema immunitario e il trattamento prevede solo due brevi periodi di somministrazione annuali nell’arco di 4 anni. Il vantaggio per i pazienti è notevole: uno schema di trattamento semplificato permette di ottenere un’efficacia a lungo termine, senza la necessità di assunzione di farmaci in modo continuativo e di un monitoraggio frequente. Cladribina non è indicata nei pazienti immunocompromessi e nelle donne in gravidanza.
Prevenzione dell’emicrania
Nuove conferme di efficacia e sicurezza per erenumab
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i aggiungono nuove evidenze sulle potenzialità e il valore di erenumab (in sigla, AMG 334) nella terapia dell’emicrania. I risultati questa volta arrivano dall’ultimo congresso dell’International Headache Society (7-10 settembre, Vancouver, Canada) e vanno ad arricchire la definizione del profilo di efficacia e tollerabilità di questa molecola. Erenumab, ricordiamo, è un anticorpo monoclonale, antagonista del recettore del CGRP, in studio nella prevenzione dell’emicrania episodica e cronica (la molecola non è al momento approvata). I nuovi dati derivano da un’analisi di uno studio registrativo di fase II in cui erenumab si è mostrato in grado di diminuire il numero di giorni mensili con emicrania nei pazienti affetti dalla forma cronica, con una storia clinica di fallimento a trattamenti precedenti. In questa classe, erenumab ha ridotto il numero medio di giorni con emicrania da cinque fino a una settimana al mese, a seconda del braccio di trattamento (70 mg: -5,4 giorni, 140 mg: -7 giorni, placebo: -2,7 giorni; p <0,001 per entrambe i dosaggi rispetto al placebo). Inoltre, il trattamento si associava con una probabilità tre o quattro volte maggiore rispetto al placebo di ottenere una diminuzione di almeno il 50 per cento della frequenza delle crisi. Di rilievo sono anche i dati sulla sicurezza cardiovascolare (CV), derivanti da uno studio che ha valutato il trattamento al dosaggio di 140 mg in un gruppo di pazienti con angina stabile. In questo caso, erenumab non ha avuto alcun impatto sulla funzione CV, rispondendo al dubbio che teoricamente il recettore del CGRP possa avere conseguenze nei pazienti con malattie cardiache pregresse. I risultati hanno dimostrato che tutti i partecipanti allo studio, sia randomizzati nel braccio placebo che nel braccio erenumab, sono stati in grado di completare con successo il test da sforzo cardiaco, in assenza di differenze significative tra i due gruppi di trattamento. I pazienti con erenumab non hanno mostrato alcuna significativa diminuzione del tempo di esercizio rispetto a coloro che avevano ricevuto il placebo. Inoltre, non è stata riscontrata alcuna differenza tra i due gruppi in termini di tempo di insorgenza di angina o di tempo di comparsa di variazioni all’elettrocardiogramma coerenti con l’insorgenza di ischemia miocardica.
Ok europeo per fampiridina, farmaco che migliora la deambulazione nella SM
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e difficoltà deambulatorie sono comuni nei pazienti con sclerosi multipla (SM) e hanno un impatto negativo sulla qualità di vita. Le opzioni di trattamento finora erano limitate, e per questo segnaliamo che da pochi mesi la Commissione europea ha concesso l’AIC per fampiridina in compresse a rilascio prolungato (Biogen), con l’indicazione di migliorare la deambulazione negli adulti affetti da SM. L’approvazione si basa sui risultati dello studio ENHANCE, che confermano i benefici clinicamente significativi e la sicurezza a lungo termine del farmaco nei pazienti con SM recidivante e progressiva. Nel corso degli studi clinici, i pazienti che hanno risposto alla terapia hanno ottenuto un aumento medio della velocità di camminata del 25 per cento. Il farmaco è indicato sia in monoterapia che in associazione ad altri trattamenti, compresi quelli immunomodulanti. La reazione avversa con la più alta incidenza (circa il 12 per cento dei casi) è stata l’infezione delle vie urinarie, nonostante l’esito dell’urinocoltura spesso risultasse negativo. Nel periodo successivo alla commercializzazione sono stati segnalati episodi di convulsioni, reazioni di ipersensibilità ed esacerbazioni della nevralgia del trigemino (NT) nei pazienti con anamnesi pregressa di NT. Visto che le reazioni in questione sono state riportate volontariamente, non è sempre possibile stimarne con attendibilità la frequenza o stabilire una relazione causale con l’esposizione al farmaco.
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NEWS associazioni Giornata mondiale Alzheimer
Focus sul delirium nell’anziano e nel paziente con alzheimer “Il delirium nella persona anziana e nella malattia di Alzheimer: conoscere, prevenire, assistere”, questo il titolo di un convegno che si è svolto lo scorso 15 settembre a Saronno, in occasione della XXIV Giornata mondiale Alzheimer (21 settembre). L’evento è stato organizzato dalla RSA Villaggio Amico di Gerenzano (Varese) sotto il patrocinio della Società italiana di gerontologia e geriatria, dell’Associazione italiana di psicogeriatria e della Federazione Alzheimer Italia. Il delirium è un tema di cui poco si parla, sebbene la sua prevalenza non sia trascurabile. In termini di “numeri” possiamo citare i dati presentati al convegno da Giuseppe Bellelli, dell’Università Milano-Bicocca, che derivano da una survey alla quale hanno preso parte 4.810 pazienti, di cui 3.032 ospedalizzati, 755 in riabilitazione/long term care, 68 in hospice e 955 ricoverati in istituti di lungodegenza e RSA. Nel complesso sono stati coinvolti 205 ospedali per acuti, 29 riabilitazioni/long term care, 32 RSA e 10 hospice. La prevalenza media che è stata registrata è di 22, 14 e 38 per cento rispettivamente in ospedale, in riabilitazione e in hospice. I sottotipi di delirium più frequentemente osservati sono stati il delirium ipocinetico (30 per cento) e il delirium misto (29,7 per cento). Altro dato di interesse è l’associazione con la demenza (circa 50 per cento dei pazienti, prima del ricovero ospedaliero). La presenza di delirium poi, correla con un aumento della mortalità, che sfiora il 10 per cento rispetto a poco più del 3 per cento in assenza della condizione.
Infine sul fronte delle terapie e dell’impiego di dispositivi medici, l’indagine ha confermato l’uso di neurolettici, antidepressivi atipici, cateteri vescicali, linee venose e spondine al letto nei pazienti con delirium. Una condizione dunque frequente, che aumenta ancora più la complessità di pazienti già fragili e che pertanto merita di essere riconosciuta affinché ci si possa prendere cura di chi ne soffre in modo adeguato. Questo tema è stato al centro dell’intervento di Loredana Locusta, del Centro Alzheimer di Villaggio Amico, che ha tracciato l’identikit clinico dello “stato confusionale acuto”, noto appunto come delirium. Riconoscere la condizione, ma anche prevenirla: con questa finalità è stato distribuito ai partecipanti un “tool kit” che propone una serie di strategie volte a ridurre il rischio di sviluppo del delirium nell’anziano.
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