Disturbi del movimento
Distonie Classificazione e indicazioni di terapia
> Rossella Maggio, Alberto Albanese •
Patologie rare
Malattia di Niemann-Pick di tipo C Le nuove strategie di screening e diagnosi
> Stefano De Santis, Vincenzo Di Lazzaro •
Patologie neurodegenerative
La qualità della vita nel paziente con malattia di Parkinson in fase avanzata •> Alessandro Tessitore, Rosa De Micco, Gioacchino Tedeschi
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DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
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> Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
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> Domenico D’Amico
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Anno XII - n. 4 - 2016
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progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Stampa Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) Comitato scientifico Giuliano Avanzini, Milano Giorgio Bernardi, Roma Vincenzo Bonavita, Napoli Giancarlo Comi, Milano Ferdinando Cornelio, Milano Fabrizio De Falco, Napoli Paolo Livrea, Bari Mario Manfredi, Roma Corrado Messina, Messina Leandro Provinciali, Ancona Aldo Quattrone, Catanzaro Nicola Rizzuto, Verona Vito Toso, Vicenza
Comitato di redazione Giuliano Avanzini, Milano Alfredo Berardelli, Roma Giovanni Luigi Mancardi, Genova Roberto Sterzi, Milano Gioacchino Tedeschi, Napoli Giuseppe Vita, Messina
Sommario 6
Disturbi del movimento
Distonie Classificazione e indicazioni di terapia
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La distonia è una sindrome neurologica caratterizzata da contrazioni muscolari involontarie e protratte, determinanti posture anomale e movimenti ripetitivi, che hanno generalmente carattere torsionale e possono essere lenti o rapidi
Rossella Maggio, Alberto Albanese
10 Patologie rare
Malattia di Niemann-Pick di tipo C Le nuove strategie di screening e diagnosi Il percorso di diagnosi differenziale si è arricchito di due strumenti di screening, il Suspicion Index e la titolazione degli ossisteroli, utili nella pratica clinica quotidiana per giungere a un corretto e tempestivo accertamento diagnostico
Stefano De Santis, Vincenzo Di Lazzaro
16 Patologie neurodegenerative
La qualità della vita nel paziente con malattia di Parkinson in fase avanzata Il paziente con MP è a elevato rischio di scadimento della qualità di vita già alla diagnosi. Tale rischio tende ad aumentare drammaticamente al progressivo complicarsi della malattia, con importanti conseguenze sia sul benessere del paziente stesso che del caregiver
Alessandro Tessitore, Rosa De Micco, Gioacchino Tedeschi
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news dalla letteratura news congressi news dalle associazioni la neurologia italiana
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NEWS dalla letteratura E. Montanari, M. Rottoli, A. Veneziano, on behalf of the Posidonia study group
I disturbi dell’umore nei pazienti con SM di nuova diagnosi: dallo studio Posidonia indicazioni sull’impatto dei farmaci disease modifying ❱❱❱ Journal of the Neurological Sciences 2016; 364: 105-9 I disturbi dell’umore sono frequenti nei pazienti con sclerosi multipla (SM). La depressione sembrerebbe essere dipendente dalla presenza di lesioni in specifiche aree cerebrali, e può essere presente già alla diagnosi di SM. Indagare la presenza di disturbi dell’umore potrebbe essere utile ai fini dell’approccio terapeutico, e capire come e se i farmaci per la SM possano interferire con le comorbidità psichiatriche potrebbe essere vantaggioso nella scelta del trattamento. In questo ambito si colloca lo studio Posidonia, un trial prospettico, osservazionale che ha visto la
partecipazione di diversi gruppi di ricerca. Obiettivo era valutare nei 12 mesi di follow up l’impatto delle terapie disease-modifying (DM; per esempio glatiramer acetato, e interferone beta) sullo stato emozionale di pazienti con SM di recente diagnosi. Sono stati utilizzati strumenti di valutazione quali HADS (Hospital Anxiety and Depression Scale) in particolare i subscore HADS-A (anxiety) e HADSD (depression), SF-36, e per misurare gli outcome riportati dai pazienti la IES-R (Impact of Event Scale-Revised) e dai professionisti sanitari la Hamilton Depression Rating Scale (HDRS). Dei 250 pazienti arruolati, 222 hanno completato lo studio (88,8 per cento). Al basale i punteggi medi alla HADS, e alle “subscale” HADS-A e HADS-D rientravano nel range di normalità, e nel corso del tempo non sono state osservate significative variazioni. I pazienti che all’inizio avevano score indicativi di ansia o depressione hanno tuttavia mostrato un miglioramento nel corso del follow up. Sia lo score HDRS che lo IES-R hanno mostrato una variazione positiva, sebbene non vi siano stati miglioramenti alla SF-36. Nella popolazione studiata la presenza di ansia e depressione è stata riscontrata in una bassa quota di soggetti, il che rende difficile la valutazione dell’impatto delle terapie DM. Il trattamento tuttavia sembrerebbe offrire benefici nel sottogruppo di pazienti con diagnosi iniziale di ansia e depressione.
L. Brusa, V. Pavino, P. Stanzione et al.
Malattia di Parkinson e “gambling” patologico: alcuni tratti della personalità possono guidare nella scelta della terapia dopaminergica ❱❱❱ Journal of the Neurological Sciences 2016; 366: 167-70 I disturbi del controllo degli impulsi sono clinicamente importanti nei pazienti affetti da malattia di Parkinson (MP). Per questi disturbi comportamentali è stata dimostrata un’associazione con il trattamento dopaminergico. Lo scopo di questo studio era quello di valutare se l’aumentata frequenza del gioco d’azzardo patologico in sottogruppi di pazienti con MP fosse collegabile anche a specifici tratti della personalità in aggiunta alla terapia dopaminergica. Sono stati selezionati 37 soggetti con MP, con storia personale di gambling, e 21 pazienti appaiati per tipo di terapia e malattia che non avevano sperimentato tale comportamento compulsivo (gruppo controllo). Tutti i partecipanti sono stati valutati con le Minnesota Multiphasic Inventory Personality scales (MMPI-2). Nel gruppo MP con gambling i valori medi dei punteggi alle tre scale di validità sono risultati significativamente più elevati rispetto a quelli per il gruppo controllo, dimostrando una maggiore propensione a mentire. I risultati ottenuti alle scale di contenuto denotavano una tendenza verso il cinismo e la bizzarria nel gruppo MP con gambling, pur in assenza di valori patologici alle scale di validità, rispetto ai pazienti con MP, ma senza storia di gambling patologico. Sulla base di questi riscontri, gli Autori concludono che il gioco d’azzardo patologico sembra essere collegato ad alcuni specifici tratti della personalità. I profili emersi dalla valutazione alla MMPI-2, che corrispondono ai disturbi della personalità del cluster A-Asse 2 secondo il DSM-5 TR (tipo paranoide) potrebbero rappresentare un indicatore utile per selezionare i pazienti da avviare al trattamento dopaminergico al fine di evitare la comparsa di disturbi del controllo degli impulsi.
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NEWS A. Calvo, A. Canosa, A. Chiò et al.
A. Gajofatto, M. Turatti, M.D. Benedetti et al.
L’impatto (negativo) del fumo di sigaretta sulla prognosi dei pazienti affetti da SLA
Nella sclerosi multipla “benigna” la progressione della disabilità motoria sembra indipendente dall’accumulo di disabilità cognitiva
❱❱❱ Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry 2016; 87: 1229-33 Sebbene la ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica (SLA) nel nostro Paese abbia compiuto importanti progressi, la patologia presenta ancora molte ombre. Capire quale sia il meccanismo, sia esso genetico che epigenetico, attraverso il quale i fattori ambientali possano influenzare il fenotipo di malattia è una sfida ambiziosa, che però permetterebbe di proseguire nella direzione giusta verso un approccio di terapia. Alcune interessanti indicazioni al riguardo giungono da questo lavoro che è stato condotto presso il Centro Regionale SLA dell’Ospedale Molinette e dell’Università di Torino, e dal quale emerge un impatto negativo in termini di prognosi e sopravvivenza del fumo di sigaretta. Sono state raccolte informazioni circa l’abitudine al fumo e la presenza di BPCO in 650 pazienti provenienti dal Registro SLA del Piemonte/Valle D’Aosta diagnosticati tra il 2007 e il 2011. Tra i 650 pazienti reclutati, 121 erano fumatori al momento dell’inizio dei sintomi della SLA, 182 avevano già smesso di fumare e 347 non avevano mai fumato. Nei fumatori al momento della diagnosi, è stata riscontrata una sopravvivenza mediana significativamente ridotta (1,9 anni, differenza interquartile - IQR- 1,2-3,4) rispetto a quanto risultava negli ex fumatori (2,3 anni, IQR 1,5-4,2) e in quelli che non avevano mai fumato (2,7 anni, IQR 1,8-4,6)) (p =0,001). In pratica, i fumatori con SLA si trovano ad avere un’aspettativa di vita ridotta di circa 1 anno rispetto a chi non ha mai fumato. Anche la presenza di BPCO aveva un’influenza negativa sulla prognosi. La relazione tra abitudine al fumo e prognosi sfavorevole è risultata inoltre indipendente da età o da altri fattori di rischio noti per la SLA. Un altro effetto emerso è che nei fumatori, la malattia esordiva a un’età inferiore rispetto a quella di chi non aveva mai fumato. Gli Autori sottolineano che il fumo di sigaretta costituisce un fattore prognostico negativo, indipendente per la sopravvivenza, e segue un gradiente dose-risposta. Gli effetti del fumo non sono relati alla presenza di BPCO o allo status respiratorio alla diagnosi. L’origine di questo meccanismo negativo del fumo sulla sopravvivenza nella SLA, concludono gli Autori, si potrebbe attribuire a diversi fattori, quale il possibile danno del fumo sul DNA del paziente o la produzione di sostanze tossiche, che meriterebbe di essere ulteriormente approfondito.
❱❱❱ Acta Neurologica Scandinavica 2016; 133(3): 183-91 La sclerosi multipla benigna (SMB) è in genere definita come una forma con lunga durata e minima disabilità irreversibile, calcolata sulla scala EDSS. Tale definizione non tiene conto della compromissione cognitiva dei pazienti, che tuttavia non sembrerebbe essere un evento tanto raro. Questo studio è stato condotto nel tentativo di analizzare il decorso cognitivo in un gruppo di pazienti SMB; vi hanno preso parte 24 pazienti SMB e 13 pazienti non-SMB. Nei soggetti SMB, la diagnosi era posta sulla base dei criteri di McDonald 2005; erano tutti affetti da forma RR, e con durata di malattia da oltre 10 anni e un punteggio all’EDSS ≤2. I pazienti non-SMB appaiati per età e sesso differivano rispetto al gruppo SMB per il punteggio all’EDSS, che era compreso in un range di 2,5-5,5. Gli outcome presi in esame sono stati: la compromissione cognitiva al basale e dopo 5 anni di follow up, definita come l’aver fallito in almeno due test di una batteria neuropsicologica, e il peggioramento dello score EDSS definito come aumento confermato ≥1 punto (oppure 0,5 punti se al basale lo score risultava pari a 5,5). Al basale in entrambi i gruppi, il 16 per cento dei pazienti presentava una compromissione cognitiva. Dopo 5 anni, lo score EDSS era peggiorato nell’8 per cento dei pazienti con forma benigna e nel 46 per cento di quelli non-SMB (P =0,008). A fronte di questa discrepanza nell’evoluzione e accumulo di disabilità fisica, nei due gruppi di soggetti considerati si è osservata un’analoga progressione della compromissione cognitiva: in entrambi i gruppi la quota di soggetti con alterazioni cognitive è aumentata del 25 per cento. I pazienti dunque affetti da forme benigne di SM presentano un outcome migliore di disabilità a 5 anni rispetto a quanti siano affetti da forme non benigne. Tuttavia, osservano gli Autori, la frequenza della compromissione cognitiva e il declino nel tempo sembrerebbero sovrapponibili. Sembra dunque che la malattia evolva in maniera differente nei due domini, cognitivo e fisico, e pertanto una valutazione neuropsicologica potrebbe essere molto utile anche nei pazienti affetti da forme definite benigne sulla base degli outcome di disabilità fisica. la neurologia italiana
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Disturbi del movimento
Distonie Classificazione e indicazioni di terapia La distonia è una sindrome neurologica caratterizzata da contrazioni muscolari involontarie e protratte, determinanti posture anomale e movimenti ripetitivi, che hanno generalmente carattere torsionale e possono essere lenti o rapidi Rossella Maggio1, Alberto Albanese1,2 1. Neurocenter, Istituto Clinico Humanitas, Rozzano, Milano 2. Istituto di Neurologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
S
ia le posture distoniche che i movimenti distonici interessano generalmente un territorio somatico specifico e possono essere presenti a riposo o comparire durante il movimento volontario (distonia d’azione) (1). Nelle forme più lievi, la distonia d’azione può comparire solo in relazione a un compito motorio determinato (distonia compito-specifica), oppure durante movimenti, anche meno specifici, di una regione corporea (distonia movimento-specifica). Tipici esempi di distonia compito-specifica sono il crampo dello scrivano (distonia che compare durante la scrittura) o il crampo del musicista (distonia che compare quando si suona un determinato strumento musicale). Le distonie possono variare nell’ambito temporale. Le forme persistenti hanno caratteristiche stabili nel corso del tempo; le forme con fluttuazioni sono caratterizzate da variazioni circadiane della distonia; nelle forme parossistiche gli episodi di distonia compaiono in maniera improvvisa, sono generalmente indotti da uno stimolo specifico e si risolvono autonomamente con ritorno alla condizione neurologica precedente. Anche la distribuzione topografica può variare. La distonia viene definita focale se coinvolge un solo distretto corporeo, segmentale quando interessa due distretti contigui, multifocale se a essere interessati sono più distretti non contigui. Nelle forme generalizzate la distonia coinvolge il tronco e almeno altri due distretti corporei, mentre nell’emidistonia è interessata una metà del corpo. L’età d’esordio della distonia può essere infantile, giovanile, adolescenziale o adulta. La distonia può avere un’origine genetica, frequentemente con trasmissione autosomica dominante. Esempi di forme genetiche sono le distonie isolate associate a mutazione nei geni TOR1A
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(DYT1) e THAP1 (DYT6), le distonie combinate con mioclono (DYT11, DYT15) e sindromi parkinsoniane (DYT12, Dopamine Transporter Deficiency Syndrome – DTDS). Di recente sono stati individuati nuovi geni le cui mutazioni determinano una distonia isolata, generalmente del distretto cranio-cervicale, quali ANO3 (DYT24), GNAL (DYT25) e CIZ1 (DYT23) (2). Negli ultimi anni le conoscenze sull’etiologia, la fisiopatologia e la fenomenologia della distonia si sono ampliate ed è stata formulata una nuova classificazione (3) (Figura 1), sono state definite scale validate e sono state attivate due reti internazionali di ricerca (Dystonia Coalition negli Stati Uniti e European Network for the Study of Dystonia Syndromes in Europa).
Strumenti terapeutici La terapia della distonia è sintomatica nella maggior parte dei casi. Una delle poche eccezioni è rappresentata dalla distonia responsiva alla levodopa, in cui la somministrazione di levodopa influisce direttamente sul deficit enzimatico che causa la distonia. I farmaci per via sistemica sono prescritti per le forme generalizzate e segmentarie. La scelta del farmaco è per lo più empirica e i risultati variabili in termini di efficacia e tolleranza. I farmaci anticolinergici sono in genere efficaci nelle forme di distonia isolata a esordio infantile e il loro impiego porta spesso a buoni risultati nei bambini, mentre i risultati sono meno soddisfacenti negli adulti, e gli elevati dosaggi necessari per il controllo sintomatico della distonia producono frequentemente effetti collaterali, tra cui rallentamento psichico, disturbi della memoria a breve termine, secchezza delle fauci, stipsi e
Figura 1. Caratteristiche cliniche della distonia classificate nell’Asse I. La corretta classificazione dei pazienti è un prerequisito per impostare la terapia e verificarne l’efficacia
Fonte: Albanese A et al. Mov Disord 2013; 28: 863-73.
ritenzione urinaria. Altri farmaci utilizzati nella terapia della distonia sono le benzodiazepine, i neurolettici e il baclofen, anche in associazione. L’infiltrazione con tossina botulinica è il trattamento di prima scelta per le distonie focali. Grazie all’inibizione del rilascio di acetilcolina dal terminale presinaptico, questa neurotossina determina una denervazione chimica della placca neuromuscolare. L’effetto è reversibile dopo alcuni mesi, necessari per la sintesi di nuove proteine SNARE che sostituiscano quelle inattivate in modo irreversibile dalla tossina. In commercio sono presenti tre BoNT di sierotipo A e una di tipo B: onabotulinumtoxinA, abobotulinumtoxinA, incobotulinumtoxinA, rimabotulinumtoxinB. Al di fuori dell’Europa recentemente sono stati resi disponibili in commercio anche altri tipi di tossina botulinica, attualmente non commercializzati in Italia. Il trattamento con tossina botulinica è attualmente considerato la prima scelta per il blefarospasmo e la distonia cervicale (4,5) ed è utilizzato anche in altre forme di distonia focale e segmentale. Più recentemente, la stimolazione cerebra-
le profonda è stata utilizzata nelle forme generalizzate e segmentali, per estendersi più recentemente alle forme focali (6). Verranno qui riviste le linee attuali di trattamento della distonia, sulla base delle evidenze derivanti da linee guida e revisioni sistematiche. Gli sviluppi terapeutici per le distonie sono anche stati oggetto di una recente revisione (7); tuttavia, qui si tratteranno le indicazioni terapeutiche consolidate, con particolare riferimento all’uso della tossina botulinica e della neurostimolazione cerebrale profonda.
Tossina botulinica
Negli anni Novanta, la FDA ha approvato il trattamento con tossina botulinica per il blefarospasmo; da allora l’infiltrazione con BoNT è entrata a far parte della pratica clinica ed è diventata il trattamento di prima scelta per le distonie focali. L’effetto della BoNT è dovuto alla sua capacità di provocare una denervazione chimica e, di conseguenza, la paralisi del muscolo iniettato, determinando un miglioramento del movila neurologia italiana
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Disturbi del movimento mento o della postura distonica. Gli effetti collaterali in genere sono correlati all’indebolimento di muscoli non coinvolti nella distonia per un’errata selezione del pattern muscolare, per errori di infiltrazione o per la diffusione della tossina ai muscoli vicini. Ad esempio, l’infiltrazione del muscolo orbicolare dell’occhio con BoNT determina una riduzione significativa degli spasmi oculari in chiusura tipici del blefarospasmo. Gli effetti collaterali che si osservano più di frequente dopo il trattamento del blefarospasmo con BoNT sono la ptosi palpebrale e la secchezza oculare, dovuti – rispettivamente – all’indebolimento del muscolo elevatore della palpebra e alla diffusione alle ghiandole lacrimali. Tali eventi sono rari se si infiltra la componente pretarsale del muscolo orbicolare dell’occhio e si limitano le dosi nella componente orbitale. Ciò sottolinea come il corretto posizionamento della BoNt nei muscoli iperattivi sia un elemento clinico fondamentale per la risposta ottimale. Il trattamento della distonia cervicale con BoNT è finalizzato a migliorare le posture distoniche e il dolore, oltre che a prevenire complicanze secondarie, quali radicolopatie e mieolopatie cervicali. L’identificazione dei muscoli coinvolti nella distonia cervicale può essere difficile, poiché le posture e i movimenti distonici spesso coinvolgono più gruppi muscolari e si combinano generando una fenomenologia complessa. I muscoli del collo sono disposti in modo ridondante, per cui uno stesso movimento del capo o del collo (ad esempio la rotazione) può essere causato da muscoli diversi, situati a profondità diversa nel collo. In aggiunta all’azione diretta dei muscoli, nella distonia cervicale si osservano spesso movimenti e posture compensatori, che si sommano ai movimenti e alle posture distoniche e rendono il quadro clinico ulteriormente complesso. È quindi necessario descrivere la fenomenologia dei pazienti in occasione dei trattamenti e dei controlli, in modo da valutare la variazione nel tempo del coinvolgimento di muscoli diversi; è anche utile documentare con videoriprese l’obiettività neurologica e lo svolgimento di compiti motori specifici, come il cammino in avanti e indietro, la corsa ecc. Il trattamento della distonia cervicale con BoNT richiede in molti casi l’infiltrazione di muscoli situati nei piani profondi del collo, che non sono riconoscibili con ispezione o palpazione. Si rende quindi necessario l’impiego di EMG o ecografia, per identificare i siti profondi da infiltrare. La corretta localizzazione dell’infiltrazione, la scelta delle dosi e delle diluizioni contribuiscono a conseguire effetti clinici soddisfacenti e a prevenire la comparsa di effetti collaterali legati alla diffusione della tossina. Nel trattamento dell’anterocollo, ad esempio, l’infiltrazione dei muscoli sternocleidomastoidei spesso non è sufficiente, per cui si rende necessaria l’infiltrazione dei muscoli più profondi, ad esempio i muscoli lunghi del collo e i muscoli sopraioidei. L’introduzione delle tecniche di infiltrazione mediante giuda elettromiografica e – più recentemente – ecografica ha migliorato significativamente la pratica clinica, permettendo di conseguire risultati di maggiore efficacia e di ridurre gli effetti collaterali. Un’accuratezza ancora maggiore può essere ottenuta con la combinazione delle due tecniche ed esistono in commercio apparecchi che
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consentono di combinare le due tecniche e aghi elettrodi dotati di graduazione visibile con ultrasuoni. L’uso di queste tecniche di guida al posizionamento è raccomandato nei pazienti con distonia cervicale che hanno mostrato una resistenza secondaria al trattamento con BoNT (8). Il trattamento con BoNT è efficace anche nelle forme di distonia focale degli arti, in particolare dell’arto superiore (ad esempio il crampo dello scrivano o la distonia del musicista). Tuttavia, il beneficio clinico va commisurato alla qualità di precisione del movimento richiesto. Ad esempio, i musicisti professionisti, che hanno necessità di controllare in modo molto preciso i movimenti dell’arto superiore, possono lamentare un insufficiente controllo della motilità volontaria, necessario alla performance professionale. La guida EMG ed eco è molto utile anche per trattare i muscoli degli arti. Un numero ristretto di pazienti non ha beneficio dell’infiltrazione con tossina botulinica fin dall’inizio del trattamento (pazienti detti “primariamente non responsivi”), mentre altri rispondono in modo efficace ad alcune sedute di trattamento, che poi sembra perdere di efficacia (pazienti “secondariamente non responsivi”). La causa più frequente di non responsività secondaria consiste nella errata scelta dei muscoli da infiltrare. Molto più rara è la possibilità che il paziente sia portatore di anticorpi che inibiscono l’azione della tossina Nel caso in cui si sospetti una condizione di immunoresistenza, è possibile verificare la capacità paralizzante della tossina mediante l’infiltrazione unilaterale del muscolo frontale (test del frontale) o dell’abduttore del mignolo (test dell’abduttore): la mancata paralisi dei muscoli infiltrati è un forte indizio di immunoresistenza. I pazienti immunoresistenti alla BoNT/A possono trarre beneficio dalla BoNT/B. Il trattamento con BoNT deve essere ripetuto periodicamente poiché il blocco della trasmissione neuromuscolare esercitato dalla tossina è reversibile. L’effetto terapeutico si apprezza in genere dopo 10-15 giorni dall’infiltrazione e il massimo del beneficio si raggiunge in circa un mese, per cominciare a ridursi dopo circa due mesi dall’infiltrazione. In genere le sedute di trattamento si distanziano di 3-4 mesi circa, ma alcuni pazienti hanno un beneficio più breve o più prolungato.
Stimolazione cerebrale profonda
La stimolazione cerebrale profonda (DBS) è stata sperimentata nella distonia almeno trent’anni fa. È ormai accertata l’efficacia della DBS per trattare i pazienti con forme generalizzate. La DBS ha ricevuto in Europa il marchio CE per la distonia e negli Stati Uniti è autorizzata per uso compassionevole nella distonia isolata, generalizzata, segmentale o cervicale. La stimolazione cerebrale profonda è stata utilizzata anche per forme di distonia combinata o associata ad altri disturbi neurologici (ad esempio, la distonia mioclonica, la distonia tardiva, la paralisi cerebrale infantile distonica), ma non è attualmente chiaro se tutte le forme di distonia possano giovarsi (e con quale efficacia) della DBS. Rispetto alle tecniche chirurgiche lesionali, la DBS ha il vantaggio di essere reversibile e modulabile in base alle esigenze cliniche. Per tale motivo, la DBS è il trattamento di prima scelta rispetto ad altre opzioni chirurgiche. I risultati
clinici ottimali dipendono dalla corretta selezione dei pazienti e dalla precisione del posizionamento dell’elettrodo. Attualmente vengono candidati i pazienti con distonia generalizzata (in particolare la distonia DYT1), che non viene trattata con BoNT, e i pazienti con forme focali o segmentali che non hanno risposto in modo soddisfacente al trattamento con tossina botulinica. È opportuno effettuare l’impianto DBS prima che si sviluppino deformità scheletriche o mielopatia, che – una volta instaurati – non migliorano con la DBS. Nelle forme generalizzate (in particolare DYT1) quindi, è opportuno effettuare impianti precoci, anche in età preadolescenziale. Gli elettrodi vengono posizionati di norma nella porzione postero-ventrolaterale del globo pallido interno (GPi). I pazienti con mutazioni nel gene DYT6 sembrano avere un minore miglioramento sintomatico della distonia rispetto ai pazienti con mutazioni DYT1, ma hanno un beneficio sui sintomi associati, quali il dolore e la disabilità. Nei pazienti con distonia cervicale, la stimolazione bilaterale del GPi determina un miglioramento del punteggio alla scala TWRSTS, della disabilità e del dolore. La distonia cervicale risponde quindi sia al trattamento con BoNT che alla DBS e non sono attualmente disponibili algoritmi clinici che consentano di indirizzare i pazienti all’uno o all’altro trattamento. Nella distonia mioclonica (DTY11) l’impianto di neurostimolatori nel GPi migliora sia il mioclono che la distonia, mentre l’impianto nel nucleo ventromediale del talamo migliora prevalentemente il mioclono (6). I pochi dati disponibili per le distonie acquisite mostrano che l’esito della neurostimolazione del GPi è migliore nelle forme con relativo risparmio dei fasci corticospinali. Il miglioramento riguarda soprattutto la deglutizione e il linguaggio ed è più significativo nei bambini rispetto agli adulti, a sottolineare l’importanza del fattore tempo nella scelta della DBS come trattamento in questi pazienti. Tra gli effetti collaterali della stimolazione cerebrale profonda del GPi è da segnalare la possibile comparsa di bradicinesia degli arti e della deambulazione. Di recente sono stati individuati siti di stimola-
zione alternativi al GPi. Di particolare interesse è la scelta del nucleo subtalamico per il trattamento della distonia. Accanto al miglioramento sintomatico è stata segnalata la comparsa di discinesie. Il talamo, tradizionalmente oggetto della terapia ablativa, è stato trattato con DBS, in particolare a livello del nucleo ventrale posteriore, che riceve proiezioni dal GPi.
Implicazioni cliniche e direttive future Per la distonia, intrattabile fino a pochi anni fa, oggi disponiamo di diverse terapie sintomatiche: farmaci per via sistemica, infiltrazioni di tossina botulinica, neurostimolazione cerebrale profonda. Tuttavia, la variabilità fenomenologica della distonia e la necessità di compensare gli effetti terapeutici e collaterali, non si è ancora tradotta in algoritmi o linee guida condivisi. La tossina botulinica fornisce l’approccio di prima scelta in molti casi, in particolare nelle forme focali e segmentali, ed è particolarmente efficace per controllare le posture distoniche; la neurostimolazione cerebrale è – nella maggior parte dei casi – una seconda scelta, efficace in particolare sui movimenti distonici. È necessario sviluppare algoritmi terapeutici condivisi in particolare per la distonia cervicale, la forma di distonia focale con maggiore prevalenza. Un importante limite è legato al fatto che la distonia è ancora molto sottodiagnosticata (9). Ciò è in parte dovuto alla mancanza di biomarcatori per la diagnosi e per la progressione. Vi è necessità di identificare marcatori biologici, neuropsicologici o di neuroimaging, che consentano di monitorare la progressione di malattia e – conseguentemente – l’efficacia delle terapie. I dati finora raccolti hanno avuto per obiettivo principale la valutazione degli aspetti motori della distonia; gli studi futuri dovranno valutare l’efficacia delle diverse terapie sulle attività di vita quotidiana e sul funzionamento dei pazienti con distonia, un aspetto necessario per stilare algoritmi terapeutici centrati sui pazienti.
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Patologie rare
Malattia di Niemann-Pick di tipo C Le nuove strategie di screening e diagnosi La malattia di Niemann-Pick di tipo C (NPC) è una malattia da accumulo lisosomiale a trasmissione autosomica recessiva. La NP-C è panetnica con un’incidenza stimata di circa 1:100mila. Il quadro clinico è estremamente eterogeneo ed è legato all’età di esordio di tale sfingolipidosi. In linea generale in età pediatrica si manifesta un interessamento epatico e/o splenico con successiva sintomatologia neurologica con diversa espressività fenotipica. Nelle forme a esordio in età adulta è prevalente l’impegno neurologico con non infrequenti manifestazioni di tipo psichiatrico che possono costituire l’unico sintomo iniziale. L’eterogeneo fenotipo clinico unitamente a variabilità dell’età di esordio e dell’evolutività della patologia, rendono difficoltosa la diagnosi. Tale difficoltà conduce, quindi, a un ritardo medio di diversi anni tra la comparsa del primo sintomo neurologico e la definizione diagnostica, pregiudicando, di fatto, la qualità dell’azione terapeutica. Il percorso di diagnosi differenziale si è recentemente arricchito di strumenti di screening, utili ausili nella pratica clinica quotidiana per giungere a un corretto e tempestivo accertamento diagnostico: il Suspicion Index 10
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(SI) e la titolazione degli ossisteroli. Il primo, disegnato per una popolazione con età ≥4 anni, è stato oggetto di una recente revisione che lo ha reso ancora più affidabile. Sulla base del punteggio ottenuto, tale strumento consente di individuare i pazienti con elevato sospetto da riferire ai centri esperti per una compiuta e definitiva valutazione. Al fine di avere uno strumento affidabile anche per la popolazione pediatrica con età inferiore ai 4 anni è stato sviluppato recentemente il SI 0-4, specificamente disegnato per questo subset di popolazione. Le due versioni del SI, con calcolo in automatico del punteggio totale, sono disponibili online (www.npc-si. com). La titolazione plasmatica dei prodotti di ossidazione non enzimatica del colesterolo come il colestano e il 7 cheto-colesterolo, rappresenta la successiva importante opzione per lo screening. Lo specialista, quindi, in sede di diagnosi differenziale ha ora a disposizione una serie di utili opzioni che consentiranno di poter ridurre l’attuale intervallo temporale tra esordio della sintomatologia e diagnosi, a tutto vantaggio di una corretta e tempestiva gestione del paziente secondo le attuali raccomandazioni.
Stefano De Santis1, Vincenzo Di Lazzaro2 1. Direzione Medica, Actelion Pharmaceuticals, Imola; 2. Istituto di Neurologia Università Campus Bio-Medico, Roma
L
a malattia di Niemann-Pick di tipo C (NP-C) è una rara I progressi in campo diagnostico malattia neurodegenerativa, geneticamente determinata (trasmissione di tipo autosomico recessivo), che rientra In rapporto all’eterogeneità e alla non specificità della sintomanell’ampio e variegato capitolo delle malattie da accumulo liso- tologia e alla variabilità dell’età d’esordio e della progressiosomiale. La malattia, fatto salvo alcune specifiche localizzazio- ne della malattia nel tempo, appare evidente come la diagnosi ni,22,24 è panetnica. I dati epidemiologici riferiti alla NP-C sono di tale grave e rara malattia neuroviscerale sia particolarmente stati oggetto di dibattito e aggiornamento nel recente passato. complessa, con un ritardo medio tra il primo sintomo neuroLa difficoltà di una caratterizzazione esaustiva e puntuale al ri- logico e la diagnosi di 5,7 (±7,6) anni15. L’evoluzione fisiopaguardo risiede principalmente nell’eterogenea estrinsecazione tologica della NP-C, prevede un iniziale grave perturbamento clinica con diversi sintomi e segni condivisi con altre patolo- biochimico cui fa seguito un danno strutturale a carico della gie di pertinenza neurologica, con ben più ampia diffusione. popolazione neuronale di diverse strutture del sistema nervoso Quanto detto può comportare un ritardo ovvero una mancata centrale. Appare quindi evidente come la precocità nella diacorretta definizione diagnostica, con conseguente sottostima gnosi e il conseguente trattamento terapeutico all’insorgere deldella prevalenza e dell’incidenza. Le indagini più recenti ripor- la sintomatologia neurologica costituisca un’importante esigentano un’incidenza di 0,96 – 1,12/100.00018,20. Per quanto attie- za, confermata peraltro dalle recenti raccomandazioni10. ne l’aspetto genetico, il 95 per cento dei pazienti presenta una A tale proposito si sono resi disponibili due importanti strumenti mutazione a carico del gene NPC1 (locus 18q11) che codifica da utilizzare in sede di diagnosi differenziale il SI (nelle due per una glicoproteina transmembrana; in una ridotta percentuale versioni) e la titolazione degli ossisteroli. dei casi può esserci un interessamento del gene NPC2 (locus 14q24.3) che codifica per una proteina a basso peso molecola- La versione aggiornata del Suspicion Index (SI) re, topograficamente situata all’interno del lisosoma2,9. Le citate Il SI è una carta del rischio disegnata per pazienti con età ≥ 4 strutture proteiche intervengono in sequenza nel corretto trasporto del colesterolo non Manifestazioni neurologiche nelle diverse esterificato all’interno della cellula, comparto Tabella 1 forme d’esordio, nella popolazione pediatrica endosoma tardivo/lisosoma8,17. Da un punto di vista clinico, in base all’età di esordio sono staEtà di esordio Sintomatologia neurologica possibile te distinte e definite nella prima stesura delle raccomandazioni diagnostico-terapeutiche25 le Infantile Ritardo nelle principali tappe dello sviluppo seguenti forme: neonatale, infantile precoce, precoce Ipotonia 3 mesi <2 anni Sordità giovanile o infantile tardiva, adolescenzialeadulta. La presentazione neuroviscerale della Goffaggine motoria NP-C è caratteristica dell’età pediatrica con Cadute frequenti un iniziale interessamento degli organi ipoconAtassia, distonia, disfagia, disartria driaci con epatomegalia, splenomegalia ovvero Infantile Ipotonia riscontro di ittero colestatico in sede anamnetardiva Sordità 2 <6 anni stica, cui fanno seguito, con una latenza temComizialità porale variabile, i diversi segni e sintomi del Cataplessia coinvolgimento neurologico (Tabella 1)18,25. Paralisi sopranucleare verticale dello sguardo La forma ad esordio in età adulta, si caratterizza generalmente per un coinvolgimento Performance scolastica scadente subclinico dei parenchimi epatico e splenico Problemi comportamentali/relazionali che, non raramente, emerge come reperto ocCadute frequenti Atassia, distonia, disfagia, disartria casionale in corso di indagine ultrasonografica Giovanile 13,14 Ipotonia eseguita per altri motivi . Per quanto attiene 6-15 anni Sordità la sintomatologia neurologica, essa può essere Comizialità l’espressione di un coinvolgimento sia corticaCataplessia le che sottocorticale; inoltre un esordio di tipo Paralisi sopranucleare verticale dello sguardo eminentemente psichiatrico non è infrequente e i sintomi psichiatrici possono rappresentare Fonte: modificata da Wraith et al. Mol Genet Metab 2009; 98(1-2):152-65. l’unica manifestazione per lungo tempo3,13,14. la neurologia italiana
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Patologie rare
Figura 1 A) NP-C Suspicion Index aggiornato (in grassetto sono riportati i sintomi/segni chiave) Grado
Viscerale
Neurologica
• Paralisi sopranucleare verticale dello sguardo • Cataplessia gelastica
Molto forte • Ittero neonatale prolungato inspiegabile o colestasi • Splenomegalia isolata inspiegabile (in atto o pregressa) con o senza epatomegalia associata
Forte
Psichiatrica
• Genitore/fratellosorella con NP-C
• Declino cognitivo presenile o demenza
• Atassia incoordinazione, goffaggine o frequenti cadute • Disartria e/o disfagia • Distonia
• Sintomi di tipo psicotico (allucinazioni, delirio paranoide, disturbo del pensiero)
Debole
• Spasticità acquisita e progressiva
• Sintomi psichiatrici resistenti al trattamento farmacologico • Altri disturbi psichiatrici
Accessorio
• Ipotonia • Ritardo nelle principali tappe dello sviluppo • Crisi comiziali parziali o generalizzate • Mioclono
• Comportamento dirompente o aggressivo nell’infanzia e adolescenza
Moderato
• Idrope fetale • Fratello/sorella con ascite fetale
Anamnesi familiare
• Cugino/a con NP-C
Fonte: modificata da Hendriksz et al. J Rare Disord Diagn Ther 2015
B) I valori assegnati ai sintomi/segni chiave della Niemann Pick tipo C Sintomo/segno chiave
Valore
Paralisi sopranucleare verticale dello sguardo
44
Genitore/fratello-sorella con NP-C
34
Cataplessia gelastica
30
Splenomegalia isolata inspiegabile (in atto o pregressa) con o senza epatomegalia associata
24
Ittero neonatale prolungato inspiegabile o colestasi
18
Declino cognitivo presenile o demenza
14
Cugino/a con NP-C
10
Sintomi di tipo psicotico (allucinazioni, delirio paranoide, disturbo del pensiero
9
Fonte: modificata da Hendriksz et al. J Rare Disord Diagn Ther 2015
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anni, volta a rendere la procedura di screening semplice e affidabile23. Questo indice di sospetto ha messo in connessione segni e sintomi delle tre principali categorie che compongono il fenotipo clinico della NP-C: viscerale, neurologica e psichiatrica. Recentemente, il suddetto indice di sospetto è stato oggetto di una revisione, al fine di renderlo ancor più affidabile in termini di sensibilità e specificità6. A tale scopo si è proceduto a un’analisi post hoc retrospettiva che ha utilizzato i dati provenienti dalla medesima coorte di pazienti già utilizzata per la stesura del precedente SI. Quest’ultima era rappresentata da una popolazione di 216 pazienti, composta da 71 pazienti NP-C, 64 casi sospetti risultati poi negativi (NP-C non-cases) e 81 controlli (soggetti che presentavano almeno un sintomo riferibile alla NP-C) 6. In seguito una coorte di 42 pazienti è stata utilizzata per la validazione del nuovo modello di carta del rischio. L’analisi delle diverse combinazioni di segni e sintomi in termini di robustezza predittiva ha condotto ad assegnare uno specifico valore predittivo ad ogni specifica combinazione permettendo altresì l’individuazione di sette variabili più importanti: ittero neonatale prolungato inspiegabile o colestasi, splenomegalia isolata inspiegabile (in atto o pregressa) con o senza epatomegalia associata, cataplessia gelastica, declino cognitivo presenile e/o demenza, sintomi psicotici come allucinazioni, delirio paranoide e/o disturbo del pensiero, familiarità per NPC (genitori, fratello/sorella cugino) e paralisi sopranucleare verticale dello sguardo. I suddetti segni e sintomi, ciascuno con uno specifico valore ponderato ai fini predittivi, sono presi in considerazione all’interno della nuova versione del SI (Figura 1 A e B). È possibile quindi stratificare i pazienti in base al punteggio totale ottenuto (risk predicting score RPS). I valori di cut-off sono: <20 scarsa probabilità di NP-C, 20-39 moderata probabilità di NP-C, ≥40 elevata probabilità di NP-C. La gestione del paziente, sarà differente in funzione del punteggio ottenuto. Da un punto di vista pratico, infatti, in presenza di una moderata probabilità si richiede uno stretto monitoraggio del paziente con follow-up seriati nel tempo unitamente a una presa di contatto con un centro di riferimento per la NP-C per Tabella 2
una discussione del caso in esame. In caso di elevata probabilità invece, è bene indirizzare il paziente a un centro di riferimento per la NP-C per una compiuta valutazione strumentale e di laboratorio; il sequenziamento delle regioni codificanti (esoni) dei geni NPC1 e NPC2, permetterà una corretta diagnosi10. L’analisi statistica ha potuto documentare e confermare che il SI aggiornato ha una maggiore sensibilità rispetto al modello originario. Il confronto tra sottogruppo NP-C e coorte di controllo (i soggetti che presentavano almeno un sintomo riferibile alla NP-C) ha messo in evidenza che un punteggio totale di 40, ha una sensibilità dell’86,4 per cento e una specificità del 94,4 per cento. Escludendo la popolazione di età ≤4 anni (per la quale è stato sviluppato uno specifico SI), vi è un incremento dei valori di questi indici con una sensibilità del 99 per cento e una specificità del 96,5 per cento6. Ai fini pratici, la citata individuazione dei sintomi discriminanti ha permesso altresì la strutturazione di un modello di screening alternativo, denominato 2/7 score. Si tratta di un semplice strumento a punteggio con il quale si assegna un punto per ogni sintomo fatta eccezione per la paralisi verticale dello sguardo alla quale vengono assegnati due punti. Un paziente viene considerato “altamente sospetto” con un punteggio ≥2. La verifica statistica nei diversi sottogruppi che componevano l’intera coorte in studio ha documentato come il modello alternativo sia in grado di discriminare i diversi sottogruppi (Tabella 2). Nella pratica clinica quindi, quando sono presenti due segni/sintomi oppure la sola paralisi sopranucleare verticale dello sguardo è consigliabile avviare il paziente all’iter diagnostico più approfondito. Di recente e importante acquisizione è stata la pubblicazione di un SI 0-4y, specificatamente disegnato per le forme a precoce insorgenza che si manifestano nella popolazione pediatrica di età inferiore ai 4 anni11. L’impianto concettuale e strutturale del suddetto indice di sospetto è sovrapponibile allo strumento originario e sulla base del punteggio ottenuto (RPS) si valuta se contattare il centro esperto oppure inviare il paziente allo stesso centro (Figura 2 A e B). Entrambe le tipologie di SI sono
Modello 2/7 score: media e mediana del punteggio rilevati nell’intera coorte di studio e nella popolazione di età maggiore di 4 anni
2/7 score (intera popolazione)
2/7 score (esclusi pazienti ≤ 4 anni)
NPC casi
NPC non-casi
Controlli
n
71
64
81
Media ± SD
3,5 ± 1,69
3,5 ± 1,69
3,5 ± 1,69
Mediana
4,0
2,0
0
n
47
24
41
Media ± SD
3,5 ± 1,69
3,5 ± 1,69
3,5 ± 1,69
Mediana
4,0
1,5
0
p
<0,001
<0,001
Fonte: modificata da Hendriksz et al. J Rare Disord Diagn Ther 2015; 1:11
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Figura 2 A) NP-C Suspicion Index 0-4y Punteggio
SNC
+4
Milza
Fegato
+3
Cataplessia gelastica
Ittero prolungato
+2
Paralisi sopranucleare verticale dello sguardo
Bilirubinemia diretta
Atassia
Atassia
+1
Ritardo mentale
Ritardo mentale
Anamnesi
Edema fetale o ascite
Genitore o fratello/sorella con NP-C
Epatomegalia
Addizionare in presenza di +2
Nascita
Infiltrati polmonari
Splenomegalia
+1
Polmone
+6
+
+
+
+
+
Fonte: modificata da Pineda et al. BMC Pediatr. 2016; 16:107
B) Interpretazione dei risultati Punteggio totale
Grado di sospetto per NP-C
Azione consigliata
3-5
Moderato
Contattare un centro esperto per discutere il caso
≥6
Elevato
Inviare il paziente al centro esperto per ulteriori e immediati approfondimenti
Fonte: modificata da Pineda et al. BMC Pediatr. 2016; 16: 107
disponibili online (www.npc-si.com); una volta inseriti i dati clinico-anamnestici, il sistema provvederà al calcolo, rendendo così estremamente semplice l’impiego delle suddette metodiche di screening.
Il dosaggio degli ossisteroli
Un ulteriore ausilio nel processo di inquadramento diagnostico giunge dal versante biochimico, in rapporto alla disponibilità di alcuni biomarkers. È stato documentato, dapprima nel modello animale16,19 e successivamente nell’uomo4,12, un profilo biochimico specifico espressione di uno squilibrio da aumentato danno ossidativo. In particolare i prodotti di ossidazione non enzimatica del colesterolo (ossisteroli) quali colestano (3β, 5α, 6β-triolo) e il 7 cheto-colesterolo (7-KC) presentano un incremento plasmatico tanto da costituire un “oxysterol profile” specifico per la NP-C7. La disponibilità, attraverso un comune prelievo ematico, di una metodica non invasiva e a elevata sensibilità costituisce un’importante novità con possibili vantaggi quali la possibilità di sottoporre a una procedura di screening un elevato numero di pazienti con sospetto di NP-C1,26.
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Recentemente, partendo dalla constatazione che in diverse malattie da accumulo lisosomiale (Gaucher, Fabry, Gangliosidosi GM2) i livelli plasmatici di forme deacetilate di sfingolipidi risultano aumentati, sono stati individuati nuovi potenziali biomarkers. Un’analisi retrospettiva su una coorte di 57 pazienti NP-C e 70 soggetti controllo, ha documentato come i livelli di lisosfingomielina (SPC) siano significativamente aumentati nei pazienti NP-C21; così come la titolazione della lisosfingomielina 509, al valore soglia di 1,4 ng/ml presenti una sensibilità del 100 per cento, e una specificità del 91 per cento5.
Conclusioni Il ritardo nella diagnosi di NP-C costituisce tuttora un problema che compromette la qualità dell’intervento terapeutico, troppo spesso attuato quando il danno strutturale è avanzato e, pertanto irreversibile. L’uso sistematico dei diversi strumenti di screening può consentire di ridurre questa latenza temporale tra esordio della sintomatologia e la diagnosi di NP-C, con una più tempestiva, efficace e duratura azione terapeutica.
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Patologie neurodegenerative
La qualità della vita nel paziente con malattia di Parkinson in fase avanzata Il paziente con MP è a elevato rischio di scadimento della qualità di vita già alla diagnosi. Tale rischio tende ad aumentare drammaticamente al progressivo complicarsi della malattia, con importanti conseguenze sia sul benessere del paziente stesso che del caregiver Alessandro Tessitore, Rosa De Micco, Gioacchino Tedeschi Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche, Neurologiche, Metaboliche e dell’Invecchiamento Università della Campania “Luigi Vanvitelli”
L
a malattia di Parkinson (MP) è una malattia neurodegenerativa ad andamento progressivo, caratterizzata da sintomi motori (bradicinesia, rigidità, tremore e instabilità posturale) e non motori (dolore, disturbi del sonno, alterazioni del tono dell’umore, sintomi disautonomici). Ad oggi, è una patologia frequente e dagli elevati costi sociali, riguardando spesso individui in piena attività lavorativa e con una lunga prospettiva di vita (1). Negli ultimi anni, un sempre più crescente interesse è stato rivolto agli aspetti della malattia in grado di interferire con il funzionamento sociale ed ecologico dei pazienti. Il termine qualità della vita correlata alla salute si riferisce infatti al benessere (fisico, emotivo e sociale) di un individuo e alla sua capacità di adempiere ai compiti della vita quotidiana in maniera soddisfacente. Risulta quindi evidente che la qualità della vita del paziente con MP possa risentire di
16
influenze molteplici e complesse, direttamente o indirettamente legate alla malattia (2-4) (Figura 1).
benessere fisico
Si è detto, infatti, che uno dei determinanti della qualità di vita è rappresentato dal benessere fisico e la MP è caratterizzata da sintomi motori inevitabilmente progressivi. Dall’introduzione della terapia dopaminergica orale, notevoli progressi sono stati compiuti in termini di management terapeutico della malattia, tali da migliorare nettamente le performance motorie dei pazienti. Ciononostante, dopo una iniziale fase di cosiddetta “luna di miele”, gli effetti combinati della progressione della malattia e del trattamento prolungato e pulsatile con levodopa causano nella maggioranza dei pazienti una serie di complicazioni, motorie e non motorie, che realizzano la cosiddetta “fase avanzata” di malattia (5). Con
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il progredire della patologia, inoltre, si assiste spesso al peggioramento dell’instabilità posturale del paziente e allo scadimento della sua marcia, con un crescente aumento del rischio di cadute. È in questa fase, quindi, che il peso del benessere fisico interferisce maggiormente con la qualità di vita del paziente. L’introduzione di terapie “device-mediate” ha aperto nuove prospettive terapeutiche rivolte a questa fase, in grado di migliorare drasticamente l’outcome motorio del paziente. Diverse evidenze scientifiche (6-8) hanno dimostrato che le terapie chirurgiche, come la stimolazione cerebrale profonda, e le terapie infusionali, come quella sottocutanea di apomorfina o quella intradigiunale di levodopa/carbidopa siano in grado di migliorare notevolmente la qualità di vita dei pazienti con MP. Questo risultato si realizza a diversi livelli: i pazienti infatti acquisiscono una maggiore mobilità e sono più autonomi
nell’espletamento delle comuni attività della vita quotidiana. Parallelamente, si assiste ad un miglioramento dei sintomi affettivi e degli altri sintomi non motori e al contempo ad una riduzione della percezione dello stigma sociale da parte del paziente.
benessere emotivo
Ma per mantenere una buona qualità della vita, si è detto, è importante garantire all’individuo anche un discreto benessere emotivo. È ormai noto che i disturbi dell’affettività come la depressione e l’ansia possano rappresentare caratteristiche cliniche della MP, talora resistenti ai soli trattamenti dopaminergici. Allo stesso modo, sintomi come il dolore, i disturbi del sonno (insonnia, sonnolenza diurna, sogni vividi e agitati) e i disturbi gastrointestinali severi (stitichezza, dispepsia, rallentato svuotamento gastrico) possono condizionare un deterioramento del tono dell’umore. Questi aspetti possono gravare sul paziente sin dall’esordio della MP e possono
accompagnare il paziente durante tutta la storia naturale della malattia, ma ancora una volta, durante la fase avanzata si può assistere al loro peggioramento. Da un lato, ciò accade per la comparsa di fluttuazioni dei sintomi non motori, che possono peggiorare acutamente e imprevedibilmente. Ciò può accadere in relazione alla riduzione del tono dopaminergico o essere indipendente dalle sue fluttuazioni farmacodinamiche. Nondimeno, anche il progressivo scadimento delle abilità motorie del paziente può secondariamente influenzare la comparsa o il peggioramento di un disturbo dell’umore.
benessere psicosociale
Il fattore sicuramente più rilevante nel determinismo della qualità di vita del paziente con MP, tuttavia, è rappresentato dalla funzionalità psicosociale. Infatti, sia i sintomi motori che quelli non motori determinano una progressiva perdita di autonomia del paziente e possono pertanto influire
negativamente sulla qualità di vita. Anche questi aspetti, per quanto presenti durante tutto il decorso di malattia, vedono un drammatico peggioramento nella fase avanzata di malattia. In questa fase, infatti, i sintomi motori e non motori possono fluttuare fino a riesacerbarsi in maniera imprevedibile, e diventare scarsamente responsivi ai farmaci, generando una grave disabilità e aumentando il livello di dipendenza del paziente dal caregiver. È importante considerare, inoltre, che la fase avanzata della MP è talora associata al progressivo scadimento delle performance cognitive dei pazienti. Anche quando non si configuri un quadro di demenza, il paziente con MP necessita di una maggiore assistenza. In questo caso i caregiver diventano direttamente e spesso costantemente coinvolti nella cura dei pazienti e possono quindi risentirne in termini fisici, emotivi e psicosociali e, conseguentemente, anche di qualità della vita. Il grado di stress percepito dai caregiver non può infatti essere
Figura 1. progressione della malattia di parkinson e disabilità
Fonte: adattato da Coelho M, Ferreira JJ. Nat Rev Neurol 2012. (5)
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Patologie neurodegenerative scisso dalla valutazione globale del benessere del paziente con MP ed è stato infatti dimostrato che l’infusione intradigiunale di levodopa/carbidopa sia in grado di migliorarlo sensibilmente già a due anni dall’inizio del trattamento (9).
come valutare la qualità della vita
Appare evidente quindi che il paziente con MP sia a rischio elevato di scadimento della qualità di vita già alla diagnosi, ma che questo tenda drammaticamente ad aumentare con il progressivo complicarsi della malattia. Indispensabile, quindi, riconoscere tutti i fattori potenzialmente in grado di interferire con il benessere globale del paziente. A questo scopo, diversi strumenti sono stati sviluppati per studiare il paziente in maniera sistematica e completa in merito a ciascuno dei domini della qualità di vita (benessere fisico, emotivo, sociale, grado di autonomia), combinando tra loro informazioni provenienti dal funzionamento oggettivo e dalla percezione soggettiva di disabilità. Tra questi, la Movement Disorder Society ha individuato un pannello di scale raccoman-
date (10), specifiche per la MP, per lo più autosomministrate e di rapida esecuzione: la PDQ-39 (Parkinson’s Disease Questionnaire), la PDQ-8 (Parkinson’s Disease Questionnaire Short Form), PDQL (Parkinson’s Disease Quality of Life Questionnaire), la PIMS (Parkinson’s Impact Scale) e la SCOPA-PS (Scales for Outcomes in Parkinson’s Disease–Psychosocial). Per queste scale, è noto un progressivo incremento degli score nel passaggio dalla fase iniziale alla fase avanzata di malattia, e una risposta alle modifiche terapeutiche.
quando introdurre le terapie “devicemediate”
Durante la fase avanzata, fattori interni ed esterni al paziente contribuiscono a creare situazioni in cui un intervento medico è possibile e necessario. Diversi sono quindi gli interventi auspicabili allo scopo di migliorare la qualità di vita del paziente con MP. In fase iniziale di malattia un corretto regime terapeutico e l’intervento tempestivo sui sintomi non motori sono indispensabili per garantire al paziente un adeguato grado di funzionalità, tale
da migliorare la qualità di vita, nonché di ridurre drasticamente i costi sociali della malattia. In fase avanzata, un’adeguata gestione delle fluttuazioni motorie e non motorie è indispensabile per garantire al paziente un sufficiente grado di autonomia e ridurre di rimando il carico economico e psicofisico sul caregiver. A questo scopo, il ricorso alle terapie “device-mediate”, in pazienti correttamente selezionati, rappresenta una scelta spesso vincente. Indispensabile allora la scelta del timing. Un paziente sottoposto per anni ad una scarsa mobilità, ad una sempre crescente dipendenza dal caregiver, e alle complicanze del trattamento cronico pulsatile con levodopa potrà sicuramente giovarsi di meno di una terapia complessa rispetto a un paziente in cui si intervenga più precocemente. Pertanto, una scelta troppo tardiva potrebbe compromettere le possibilità di migliorare la condizione del paziente e la sua qualità di vita, ed è compito del neurologo comunicare efficacemente la necessità di ricorrere a strategie alternative quando la terapia tradizionale non è più in grado di garantire il miglior beneficio possibile.
Bibliografia 1. Findley LJ et al. The economic burden of advanced Parkinson’s disease: an analysis of a UK patient dataset. J Med Econ. 2011; 14(1): 130-9. 2. Rahman S et al. Quality of life in Parkinson’s disease: the relative importance of the symptoms. Mov Disord. 2008 Jul 30; 23(10): 1428-34. 3. Jenkinson C et al. The Parkinson’s Disease Questionnaire (PDQ-39): development and validation of a Parkinson’s disease summary index score. Age Ageing. 1997 Sep; 26(5): 353-7. 4. Stocchi F et al. Early DEtection of wEaring off in Parkinson disease: the DEEP study. Parkinsonism Relat Disord. 2014 Feb; 20(2): 204-11. 5. Coelho M, Ferreira JJ. Late-stage Parkinson disease. Nat Rev Neurol. 2012 Aug; 8(8): 435-42. 6. Kleiner-Fisman G et al. Subthalamic nucleus deep brain stimulation: summary and meta-analysis of outcomes. Mov Disord. 2006 Jun; 21 Suppl 14: S290-304. 7. Drapier S et al. Quality of life in Parkinson’s disease improved by apomorphine pump: the OPTIPUMP cohort study. J Neurol. 2016 Jun; 263(6): 1111-9. 8. Zibetti M et al. Levodopa/carbidopa intestinal gel infusion in advanced Parkinson’s disease: a 7-year experience. Eur J Neurol. 2014 Feb; 21(2): 312-8. 9. Santos-García D et al. Duodenal levodopa/carbidopa infusion therapy in patients with advanced Parkinson’s disease leads to improvement in caregivers’ stress and burden. Eur J Neurol. 2012 Sep; 19(9): 1261-5. 10. Martinez-Martin P et al. Health-related quality-of-life scales in Parkinson’s disease: critique and recommendations. Mov Disord. 2011 Nov; 26(13): 2371-80.
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I QUADERNI
di Medico & Paziente
A partire dal mese di gennaio 2017 è disponibile il secondo Quaderno dedicato al DIABETE
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NEWS congressi XLVII Congresso Nazionale SIN, 22-25 ottobre - Venezia
Investire nei giovani ricercatori Una priorità per la Neurologia italiana La comunità neurologica italiana si è riunita a Venezia in occasione del Congresso annuale della SIN (Società italiana di Neurologia) per discutere lo stato dell’arte e i progressi compiuti in ambito diagnostico e terapeutico. È stata un’edizione “ricca” di partecipanti, circa tremila iscritti, e densa di contenuti. “Il Congresso è omnicomprensivo di tutte le malattie del sistema nervoso” – ha commentato il prof. Leandro Provinciali, presidente della SIN.
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a neurologia abbraccia tante condizioni, da quelle più comuni e a grosso impatto sociale come le demenze o il Parkinson, o l’emicrania a quelle un po’ più “rare” come la sclerosi multipla e la SLA, alle quali viene dedicata la stessa attenzione all’interno della Società, che conta più di 20 Gruppi di studio dedicati a diverse patologie. E il Congresso rispecchia a pieno questa tendenza. Le malattie del sistema nervoso costituiscono un problema sociale, sia in termini di dati epidemiologici, sia per l’enorme impatto che hanno sulla qualità di vita dei pazienti e dei familiari e caregiver. È un dato che ormai non possiamo ignorare, e la situazione impone un’attenzione particolare anche a livello istituzionale. Il traguardo verso il quale da tempo la SIN è proiettata è quello di garantire un’assistenza di qualità, multidisciplinare e capillare al paziente neurologico, che sia allo stesso tempo efficace, innovativa e sostenibile. È un obiettivo ambizioso, in un percorso fatto spesso di ostacoli. Un problema sottolineato dal prof. Provinciali riguarda i giovani neurologi. Molti ricercatori dopo il periodo di formazione, si trasferiscono per lavorare all’estero e sono molto apprezzati: da un lato questo sottolinea l’alto livello di formazione esistente nel nostro Paese e dall’altro, l’incapacità dell’Italia
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di trattenere i giovani. Il numero dei giovani neurologi sul territorio nazionale è inadeguato rispetto all’epidemiologia delle patologie del sistema nervoso e ai bisogni di cura. La SIN crede nei giovani e, convinta che il futuro della disciplina sia nelle “loro mani” e che il modo migliore per aiutare la società è dare forza ai giovani, dedica molta attenzione agli specializzandi e alla loro formazione con diverse iniziative: per esempio nel mese di marzo si tiene una convention durante la quale vengono distribuite le linee guida internazionali aggiornate per tutte le patologie neurologiche. Altro tema importante che necessita attenzione nell’ottica di garantire un’assistenza appropriata è la multidisciplinarietà. È un tema che si articola a diversi livelli. La SIN crede nel lavoro di équipe, e per questo nella definizione del processo assistenziale, da tempo una priorità per la Società, attribuisce un ruolo importante agli operatori non medici. In parallelo è impegnata
in sinergie con società scientifiche, nella convinzione che le interazioni trasversali siano alla base di una collaborazione costruttiva per migliorare l’assistenza. I pazienti neurologici sono per la maggior parte anziani, polipatologici; avere dunque la possibilità di scambio culturale con i colleghi di altri ambiti permette di affrontare il paziente nel suo complesso, garantendo una presa in carico a 360 gradi,
un percorso di cura adeguato a migliorare la qualità della vita sia del malato che del caregiver. Anche quest’anno dedichiamo un focus sulle principali novità emerse dal Congresso, per lo più riguardanti la sclerosi multipla, una patologia in cui la “nostra” Neurologia riveste un ruolo di eccellenza anche a livello internazionale. n
Sclerosi multipla Sogni, esperienze e prospettive
C
ladribina è una piccola molecola orale di sintesi, un pro-farmaco che agisce in modo selettivo sui linfociti T e B, cha ha avuto un passato un po’ burrascoso. È nota agli specialisti che si occupano di sclerosi multipla (SM) perché le sperimentazioni iniziali con il farmaco erano molto promettenti, tuttavia nel 2011 venne interrotto l’iter per l’approvazione perché il trattamento con cladribina sembrava correlato ad un aumento nella frequenza di tumori. Ora cladribina è stata “riscoperta” e, anche grazie alla spinta di illustri clinici, tra cui il prof. Giancarlo Comi, dell’Irccs San Raffaele di Milano, Merck ha sottomesso la richiesta di approvazione all’EMA. La decisione di procedere alla richiesta è basata su nuovi dati provenienti da alcuni studi clinici completati a seguito della sottomissione iniziale che forniscono una caratterizzazione migliore del profilo rischio-beneficio di cladribina compresse. Ed è stato proprio il prof. Comi il moderatore, insieme alla prof.ssa Maria Trojano dell’Università degli Studi di Bari, di un simposio satellite promosso da Merck nel corso dell’ultimo
Congresso SIN e intitolato “Il futuro della sclerosi multipla: evidenze e prospettive”. Il prof. Francesco Patti (Università degli Studi di Catania) e il prof. Roberto Furlan (Unità di Neuroimmunologia clinica, Irccs San Raffaele, Milano) hanno preso parte al simposio in qualità di relatori. Nel corso dell’incontro sono stati presentati il meccanismo d’azione e i dati di efficacia e sicurezza dei farmaci in uso e in sviluppo per la SM recidivante-remittente (SMRR), tra cui cladribina (al momento è in fase di registrazione). Qualora approvata, cladribina compresse avrà uno schema posologico unico, che prevede solamente due brevi cicli di trattamento in due anni, con un’efficacia clinica mantenuta fino a 4 anni. I risultati ottenuti nello studio di fase III CLARITY, nell’estensione dello studio CLARITY e nello studio openlabel di mantenimento della fase III dell’ORACLE-MS, hanno dimostrato un’efficacia a lungo termine di cladribina compresse nei pazienti con SM, associata a un profilo di sicurezza ben caratterizzato. Lo studio CLARITY e l’estensione dello studio CLARITY hanno confermato che 20 giorni di
dosaggio orale nel corso di due anni sono stati efficaci nella riduzione della frequenza delle ricadute e nel rallentare la progressione della disabilità fino a quattro anni; cladribina inoltre, presenta un profilo di sicurezza caratterizzato su più di 10.000 pazienti-anno. “I risultati evidenziano come i benefici clinici di cladribina compresse possano essere mantenuti nella maggior parte dei pazienti per altri due anni senza la necessità di ulteriori somministrazioni”, ha sottolineato il prof. Comi. Ora si attende il parere dell’EMA, che dovrebbe arrivare nel corso del prossimo anno, relativamente alla domanda che Merck ha presentato per l’autorizzazione all’immissione in commercio di cladribina compresse. “Siamo particolarmente lieti” ha dichiarato Antonio Messina, a capo del business biofarmaceutico di Merck in Italia “di essere qui al Congresso SIN, per ribadire il nostro impegno nel fare una concreta differenza nella vita dei pazienti con SM e condividere i dati relativi a cladribina compresse. Alla luce dei risultati di efficacia e sicurezza emersi dagli studi clinici, ora all’attenzione di EMA, cladribina può rappresentare un’importante opportunità terapeutica per i pazienti con SM recidivante-remittente”. L’impegno di Merck per migliorare la qualità di vita e le prospettive delle persone con SM è anche testimoniato dal progetto “Anche io genitore con sclerosi multipla”. L’iniziativa rientra nella campagna Genitori si può, anche con la Sclerosi Multipla, partita nel 2015, e nata da un’idea del Centro per la Sclerosi Multipla, della Seconda Università di Napoli e supportata da Merck. Le finalità del progetto sono quelle di informare e sensibilizzare sulla possibilità di diventare genitore attraverso storie, foto e video di cinque coppie
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con SM che hanno realizzato il loro desiderio di avere un bambino, pur in presenza della malattia. “Anche io Genitore con Sclerosi Multipla” è aperta a chi vuole testimoniare che la malattia non è un ostacolo alla genitorialità, inviando al sito www. genitoriconsclerosimultipla.it una foto che rappresenti il momento dell'attesa, quello della nascita o altri momenti della vita familiare. L’obiettivo è quello di creare un'ampia raccolta di testimonianze fotografiche che possano servire a incoraggiare e rassicurare chi vuole realizzare il sogno delle genitorialità in presenza della malattia. I primi a partecipare sono stati i neurologi italiani presenti alla SIN. Oltre a farsi portavoce dell'iniziativa presso i propri pazienti, sono diventati co-protagonisti speciali “postando” una loro foto sul sito www.genitoriconsclerosimultipla. it. Ciò a testimonianza e conferma della neurologia italiana che Genitori si può, anche con la Sclerosi Multi-
rio Battaglia, ha evidenziato l’importanza di questo tema per le persone con SM e il ruolo che AISM ricopre in tale ambito. “Gli studi più recenti hanno chiarito che la SM non è incompatibile con il progetto di genitorialità” ha spiegato la prof.ssa Maria Giovanna Marrosu (Università degli studi di Cagliari), analizzando il ruolo del clinico nella comunicazione verso i pazienti. Di fatto, come sottolineato
Il paziente con sclerosi multipla in fase iniziale Intervista alla prof.ssa Lucia Moiola, dell’Irccs San Raffaele di Milano
I
n questa sezione pubblichiamo due interviste che sono state realizzate a margine dei simposi promossi da Sanofi Genzyme, che si sono tenuti al Congresso. Oggi si punta a una terapia sempre più personalizzata, che in certi casi deve essere aggressiva anche all’esordio della SM. Quali sono gli strumenti che consentono, anche in fase iniziale, di discriminare le forme più o meno aggressive?
pla. Il progetto è stato presentato nell’ambito del simposio “Genitorialità e Sclerosi Multipla”, moderato dai professori Antonio Bertolotto, direttore del CRESM del Piemonte e Gioacchino Tedeschi, dell’Università di Napoli. Nel corso dell’incontro, AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), rappresentata dal prof. Ma-
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dal dott. Luigi Lavorgna, in apertura dell’incontro, “se pianificata e ponderata, anche dal punto di vista delle scelte terapeutiche, la gravidanza è possibile, senza conseguenze sul decorso della malattia e sulla salute del nascituro. Diventare genitori, insomma, è un sogno possibile e con questa iniziativa vogliamo cercare di farlo sapere a tutte le coppie italiane che desiderano un figlio”. n
Nella SM è fondamentale, innanzitutto, formulare una diagnosi precoce per iniziare il prima possibile la terapia. Solo così è possibile modificare la prognosi della malattia. In fase di diagnosi vi sono dei fattori prognostici che consentono di capire se il paziente presenta una malattia lievemoderata oppure aggressiva: numerose ricadute cliniche in un breve periodo, con accumulo di disabilità e un aumento significativo delle lesioni
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tra risonanze magnetiche ravvicinate, sono indice di malattia altamente attiva. In questo caso, per non perdere tempo, è necessario passare subito a una terapia di seconda linea, aggressiva, di induzione, per tentare di resettare il sistema immunitario. Nella maggior parte dei casi si tratta di pazienti giovani, con diagnosi recente di malattia. Il vantaggio di una terapia induttiva in un paziente naïve è che il sistema immunitario non presenta stigmate lasciate da terapie precedenti, quindi è più ricettivo e rispondente alla terapia somministrata, con miglioramento della prognosi della malattia. È ancora valido l’approccio “sequenziale”, cioè iniziare la terapia con farmaci di I linea e operare lo “switch” a quelli di II linea in caso di peggioramento? L’approccio di “escalation therapy” è sicuramente ancora valido. In presenza di un paziente di nuova diagnosi
con fattori prognostici positivi – ad esempio, un episodio di neurite ottica con poche lesioni alla risonanza – ossia con una malattia lieve-moderata, è preferibile una terapia di prima linea considerando il bilancio tra benefici e rischi. È importante però uno stretto monitoraggio clinico e neuroradiologico della malattia. Nel caso in cui il paziente diventi sub-responder, con ricadute e/o incremento del carico lesionale, non si fa più uno shift laterale a un’altra terapia di prima linea, ma uno switch verticale a una terapia di seconda linea. Negli ultimi anni si sono rese disponibili diverse opzioni terapeutiche, anche orali. Quale impatto ha quest’abbondanza di terapie sulla scelta del farmaco iniziale? Prima di tutto, è fondamentale discutere con il paziente che deve iniziare la terapia e prospettargli tutte le possibilità di trattamento. Va sottolineato che le nuove terapie orali prevalentemente di prima linea, a differenza delle terapie iniettive con dati real world di circa vent’anni, hanno una storia di utilizzo di più breve durata e quindi minori dati di sicurezza. Inoltre, la scelta della terapia dipende dalle caratteristiche del paziente, dalle sue esigenze e dalla tipologia della sua malattia. La parola chiave è, quindi, personalizzazione della terapia. Nei pazienti giovani, con malattia aggressiva, potrebbe essere preferibile una terapia di induzione con farmaci come, ad esempio, alemtuzumab. Importante è sempre informare i pazienti dei possibili rischi e della necessità di essere monitorati per almeno 5 anni. Sull’utilizzo di questo farmaco al San Raffaele stiamo portando avanti un protocollo osservazionale, multicentrico, italiano che valuta l’efficacia di alemtuzumab
in pazienti naïve con SM aggressiva. Hanno aderito 48 centri italiani e i risultati si vedranno nei prossimi anni. Teriflunomide, invece, è indicato in tutti i pazienti con SM lievemoderata. Nel caso di donne giovani in trattamento con teriflunomide, è necessario ricordare che, se vogliono intraprendere una gravidanza, è importante pianificarla. Proprio su questo ultimo aspetto, quali suggerimenti si sente di poter dare affinché una paziente possa approcciare in maniera consapevole una gravidanza? Trattandosi per la maggior parte di giovani donne nel pieno dell’età fertile, è importante che il medico discuta con la paziente il desiderio di maternità fin dalla diagnosi. È fondamentale, infatti, pianificare accuratamente la gravidanza insieme al medico, ma prima bisogna stabilizzare la malattia con una terapia farmacologica. Vi sono farmaci che possono essere sospesi nel momento in cui si scopre la gravidanza, mentre altri devono necessariamente essere interrotti prima del concepimento. Non
si deve intraprendere una gravidanza durante terapia con teriflunomide: la paziente può programmare la gravidanza e il vantaggio di tale farmaco è che può essere eliminato rapidamente dal circolo ematico grazie alla somministrazione di colestiramina. Se la malattia era stabile e la paziente non aveva una grande disabilità prima della gravidanza, la paziente può allattare – come consigliato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – per un periodo tendenzialmente non superiore a sei mesi ed effettuando un controllo di risonanza magnetica 1-2 mesi dopo il parto. Dopodiché il trattamento preventivo va ripreso. L’allattamento non può essere effettuato durante la terapia di prevenzione. Oggi, a differenza di vent’anni fa, quando la gravidanza era altamente sconsigliata, siamo molto più propositivi e addirittura sono state organizzate campagne per parlare di SM e gravidanza affinché donne giovani con SM possano vivere appieno e in maniera consapevole la propria vita nonostante la malattia. n
Il paziente con lunga storia clinica di SM Intervista alla prof.ssa Simona Bonavita, dell’Università di Napoli Nel valutare la progressione della SM, oltre al tasso di recidive e alla disabilità, un peso importante ha l’atrofia cerebrale. Quanto influisce sulla prognosi a distanza? Quando e come misurarla? La disabilità del paziente con scle-
rosi multipla è prevalentemente determinata dall’atrofia della sostanza grigia, motivo per cui l’obiettivo in una terapia, anche in un paziente che ha una lunga storia di malattia, è quello di prevenire la progressione dell’atrofia. Nella pratica clinica, con le tecniche convenzionali di riso-
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nanza magnetica, non è semplicissimo valutare tale parametro anche perché probabilmente quando riusciamo a cogliere l’atrofia con una RM di routine la perdita di sostanza grigia potrebbe già essere notevole. Seppure l’effetto sulla progressione dell’atrofia sia difficile da valutare nella pratica clinica, il controllo della perdita di tessuto cerebrale è obiettivo che dobbiamo prefiggerci, considerando i dati presenti in letteratura sull’effetto dei vari farmaci in tal senso. Nella storia clinica della SM è entrato un nuovo obiettivo: il NEDA (no evidence of disease activity). È un target proponibile nel paziente con lunga storia di malattia? Rappresenta un passo verso una “soppressione” cronica della SM? Quali sono le strategie vincenti? Si parla molto di NEDA: si tratta di un obiettivo ambizioso, ma a cui puntare. Ci sono ad esempio studi che, a 7 anni di follow-up, evidenziano che il NEDA è presente soltanto in una piccola percentuale di pazienti (inferiore all’8 per cento). Ciò nonostante, poiché la prognosi del nostro paziente dipende dall’accumulo di nuove lesioni, dal numero e dalla gravità delle relapse nelle fasi iniziali di malattia, è chiaro che dobbiamo utilizzare farmaci che meglio perseguono l’obiettivo del NEDA, ovviamente valutando i rischi e i benefici in quel determinato paziente. I più recenti dati sull’alemtuzumab mostrano che con 2 somministrazioni in 12 mesi l’efficacia si mantiene fino a 6 anni senza ulteriori infusioni nella maggior parte dei pazienti. È questa la strada vincente per il controllo a lungo termine della SM?
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Questi dati sono sicuramente molto incoraggianti. Va comunque tenuto conto che ad oggi alemtuzumab è destinato a pazienti con malattia molto attiva. È chiaro che se otteniamo una stabilizzazione della malattia per 6 anni in un paziente che parte già molto attivo, altrettanto ci aspettiamo che possa succedere, se non con risultati addirittura migliori, in pazienti con attività di malattia più bassa, immaginando quindi che il NEDA venga raggiunto in maniera ottimale con questo farmaco. Prima di ipotizzare che alemtuzumab possa rappresentare una soluzione terapeutica nel trattamento a lungo termine per tutti i pazienti, sarà importante bilanciare i rischi e i benefici, come prassi per qualsiasi trattamento. Sono in arrivo nuovi farmaci sempre più sofisticati. Come impatteranno sulla vita dei
pazienti? Come si affronta il tema della sostenibilità delle nuove terapie? È un momento di grande speranza per quell’ampia fetta di pazienti a decorso SP che ad oggi non ha una terapia efficace sulla progressione della disabilità. Dopo 1-2 anni di trattamento, in generale, è più semplice cogliere l’effetto di un farmaco sull’attività infiammatoria della malattia. La valutazione dell’efficacia di una terapia in un paziente progressivo è sicuramente più difficile nella pratica clinica e, in generale richiede tempi più lunghi anche per cogliere cambiamenti su aspetti relativi alla qualità di vita. Mi auguro davvero che i nuovi farmaci abbiano un impatto positivo e, soprattutto, “tangibile” (cosa assai più difficile) su questa particolare tipologia di pazienti. n
Emicrania episodica Verso una terapia di prevenzione
L’
emicrania rientra a buon diritto tra le patologie a più elevato impatto sociale. Dolore, disabilità, impossibilità a svolgere le attività quotidiane, lavorative e sociali, inquadrano l’emicrania come una patologia fortemente invalidante, con oneri sociali e sanitari rilevanti. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’emicrania è una delle dieci cause primarie degli anni vissuti con disabilità per gli uomini e per le donne. La patologia tuttavia, resta misconosciuta, sotto-diagnostica e di conseguenza sotto-trattata. Secondo le stime circa il 40 per cento degli emicranici resta senza diagnosi. La forma episodica è quella maggior-
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mente diffusa (circa il 90 per cento degli emicranici a livello mondiale ne soffre), ed è caratterizzata tipicamente da 1-14 giorni di emicrania al mese. Attualmente non esistono opzioni di trattamento sviluppate specificamente per la prevenzione dell’emicrania, anche se in tal senso fanno ben sperare i risultati ottenuti con l’anticorpo monoclonale erenumab, sviluppato in collaborazione da Novartis e Amgen. La molecola è un inibitore del recettore del CGRP (calcitonin gene related peptide), che si ritiene abbia un ruolo critico nella mediazione del dolore che caratterizza l’emicrania. Il farmaco si somministra per via sottocutanea una
volta al mese (i dosaggi attualmente in studio sono 70 e 140 mg). In uno studio di fase tre, denominato Arise, erenumab impiegato come terapia di fondo ha ridotto il numero di giorni mensili con emicrania. I pazienti (577 soggetti) presentavano al basale una media di 8 giorni al mese di
emicrania; nel gruppo in trattamento attivo si è osservata una riduzione di 2,9 giorni rispetto al basale (vs 1,8 del gruppo placebo), statisticamente significativa. Si tratta di risultati incoraggianti che aprono nuove prospettive nella cura dell’emicrania, in un’ottica preventiva. n
Sclerosi multipla Le indicazioni degli studi in real life
I
l setting in real life è ben diverso, come noto, dagli studi randomizzati e controllati, ed è particolarmente utile ai clinici per valutare l’evoluzione della SM e la risposta a un trattamento in atto. Nel nostro Paese, sono numerosi i Centri per la SM impegnati in studi di questo tipo, e nell’ambito del meeting di Venezia sono stati presentati alcuni risultati. Uno studio multicentrico, tuttora in corso, del quale sono stati presentati i risultati relativi a un follow up di almeno un anno, riguarda la valutazione di efficacia e tollerabilità di dimetilfumarato. Il farmaco è in commercio dal gennaio del 2015, ed è una terapia di prima linea orale per la SMRR (2 compresse/die). I partecipanti sono 637 pazienti con età media di 38 anni, uno score EDSS mediano di 2, con durata di malattia di 10 anni. I pazienti erano naïve o in terapia con un altro farmaco, e in questo caso lo switch verso dimetilfumarato poteva essere o da prima linea o da seconda linea (in quest’ultimo caso per motivi di sicurezza). Vediamo i dati di efficacia. Il 60 per cento dei pazienti in terapia era relapse free. Il tasso di ricadute si è ridotto del 70 per cento, e si mantiene nei pazienti naïve e in quelli
in switch orizzontale. Tale riduzione è risultata tuttavia non significativa per i pazienti che provenivano da una terapia di seconda linea. Sul fronte della safety, i dati confermano sostanzialmente quanto già osservato nei tre studi registrativi, ovvero il buon profilo di tollerabilità e sicurezza del dimetilfumarato: circa il 36 per cento dei pazienti ha lamentato flushing, circa il 25 per cento disturbi intestinali. In circa il 9 per cento dei soggetti trattati con dimetilfumarato si è osservata una riduzione della conta linfocitaria, ma in nessun caso la riduzione è stata severa. Questo dato, come ha sottolineato Giulia Mallucci, della Fondazione Istituto Neurologico Mondino, di Pavia – uno dei centri partecipanti allo studio- che ha presentato i risultati, si discosta dalla letteratura che riporta invece un valore di circa 28 per cento. Sebbene il farmaco sia ben tollerato, la presenza di effetti collaterali aumenta il rischio di sospensione di circa tre volte. Il 17 per cento dei pazienti ha sospeso la terapia per effetti collaterali; tale valore è più elevato rispetto a quello riscontrato nei trial registrativi. Una spiegazione potrebbe essere il fatto che nel contesto real life i pazienti siano meno
motivati a continuare il trattamento se si manifestano effetti collaterali, rispetto a quanto accade nell’ambiente per così dire protetto degli RCT. Nonostante il breve periodo di follow up, il trattamento con dimetilfumarato si mostra efficace nel complesso e ben tollerato. Nei prossimi mesi si continuerà a raccogliere dati fino ad arrivare a una mediana di 24 mesi, al fine di poter effettuare un’analisi di efficacia più robusta. “Nuove prospettive nella valutazione dell’evoluzione della malattia” è il titolo di un simposio promosso da Novartis, nell’ambito del Congresso, durante il quale sono state affrontate diverse tematiche legate agli aspetti clinici, diagnostici e terapeutici della SM. Una relazione interessante è stata presentata dalla prof. Simona Bonavita, di Napoli che ha illustrato i dati di uno studio real life che fornisce indicazioni sulla scelta del primo farmaco nel paziente con diagnosi di SM. Non esistono linee guida che possano orientare la scelta e nemmeno esistono linee guida per il farmaco di switch. Il quadro oggi è ulteriormente complicato dall’introduzione di farmaci nuovi. Pertanto le informazioni della real life sono davvero preziose. Lo studio che ha coinvolto 19 Centri SM sul territorio aveva l’obiettivo di fornire un’analisi descrittiva delle scelte di prima linea e dello switch. Nel periodo 2010-2016, sono state analizzate le caratteristiche cliniche (frequenza di relapse, EDSS al basale, durata di malattia, età all’esordio) e i dati strumentali di 2.200 pazienti (età media 35 anni) che afferivano ai centri partecipanti. Lo scenario terapeutico osservato è il seguente: all’inizio ovvero nel biennio 20102011, in prima linea predominano i farmaci iniettivi. Successivamente
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NEWS congressi XLVII Congresso Nazionale SIN, 22-25 ottobre - Venezia
si registra un aumento della prescrizione di fingolimod, anche se gli iniettivi permangono. Un cambiamento significativo si osserva nel biennio 2014-2016, che vede una caduta degli iniettivi (resiste solo glatiramer acetato), un aumento di fingolimod in prima linea, e compaiono anche dimetilfumarato e teriflunomide. Altro dato interessante è che dopo 3 anni di terapia, il 44 per cento dei pazienti cambia trattamento, soprattutto se era in cura con gli iniettivi: in questo caso lo switch è verticale, per inefficacia. I pazienti che all’inizio avevano ricevuto un farmaco ritenuto di seconda linea hanno minore probabilità di switch per inefficacia rispetto a quanti abbiano ricevuto un trattamento iniziale con iniettivi. E ancora si è osservato che ogni anno di ritardo alla diagnosi è un fattore che in qualche modo riduce la probabilità di switch: il motivo potrebbe essere che in questi casi la malattia è meno attiva (e dunque la diagnosi è tardiva) e per il clinico valutare l’inefficacia di un trattamento risulta complesso. Determinanti del cambiamento per inefficacia sono risultati anche la presenza di un maggiore carico lesionale e un punteggio EDSS al basale più elevato. Sul fronte della safety-tolerance è emerso che i soggetti in trattamento con fingolimod hanno minori probabilità di switch rispetto a quanto riscontrato per quelli in trattamento con natalizumab. Età alla diagnosi, anno della diagnosi (dall’esordio) e la presenza di comorbidità sono determinanti dello switch per tolleranza. Le terapie di seconda scelta vedono predominare farmaci classificati di “seconda linea”, in primis fingolimod e natalizumab; gli iniettivi vengono comunque usati anche in
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questo caso, ma a dosaggio elevato. Nel Sud Italia, la prescrizione di fingolimod in prima linea è molto più elevata rispetto agli iniettivi. Dal confronto di fingolimod con natalizumab emerge che il paziente più anziano è candidato al trattamento con fingolimod. I motivi di questa scelta possono essere due: in quanto più anziano potrebbe avere maggiori probabilità di essere venuto in contatto con il virus JCV, oppure si preferisce sfruttare l’effetto neuroprotettivo di fingolimod. Negli anziani infatti, la SM è meno infiammatoria e più neurodegenerativa. Nel complesso possiamo concludere che le scelte terapeutiche cambiano, e da questo studio in real life emerge che nel 50 per cento dei casi si ha uno switch verticale più
per inefficacia che per intolleranza, e iniziare con fingolimod o con natalizumab riduce la probabilità di cambiare trattamento. Un più elevato punteggio EDSS, un maggiore numero di relapse nell’anno precedente la diagnosi e la presenza di lesioni spinali sono predittori della scelta di fingolimod in prima linea. La progressione della SM è determinata da diverse componenti. Oggi esiste un ampio ventaglio di opzioni farmacologiche, e la scelta dovrebbe essere orientata sulle molecole che abbiano azione sia sulla componente acuta focale, sia sulla componente neurodegenerativa. Attualmente uno studio in corso sta valutando gli effetti di fingolimod sulla sostanza grigia, e dunque sulla componente neurodegenerativa di malattia. n
Sclerosi multipla secondaria progressiva Promettenti i risultati con il farmaco sperimentale siponimod
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a sclerosi multipla secondaria progressiva (SMSP) si caratterizza da un graduale peggioramento della funzione neurologica nel tempo. La conseguenza è un accumulo progressivo della disabilità, indipendente dalle recidive, che arriva a compromettere in modo importante le capacità dei pazienti di svolgere le attività quotidiane. Solitamente la SMSP segue alla SMRR (la forma più frequente, osservata in circa l’85 per cento dei pazienti): secondo le indicazioni circa un quarto dei pazienti SMRR andrà incontro a una forma secondaria progressiva in un arco temporale di 10 anni dalla
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prima diagnosi, mentre tale quota sale a tre quarti a 30 anni. Rallentare la progressione della disabilità è l’obiettivo da perseguire in questa forma particolarmente insidiosa della malattia. Sfortunatamente le opzioni di terapia sono davvero limitate. Ecco perché è importante segnalare i progressi ottenuti con il farmaco orale attualmente in sperimentazione, siponimod (Novartis), di cui si è discusso in occasione del Congresso. Il meccanismo d’azione di siponimod è complesso. La molecola è un modulatore selettivo di specifici sottotipi di recettori della sfingosina-1-fosfato (S1P). Si lega
al sub recettore S1P1 sui linfociti, e ciò impedisce a queste cellule di penetrare nel sistema nervoso centrale dei pazienti con SM, esplicando un’attività antinfiammatoria. I sottotipi recettoriali di S1P che sono il target di siponimod si trovano anche sulla superficie delle cellule del sistema nervoso centrale che svolgono un ruolo nell’evoluzione della SMSP. Entrando nel sistema nervoso centrale e legandosi ai suoi recettori bersaglio, siponimod ha il potenziale di modulare l’attività delle cellule dannose e di contribuire alla riduzione della perdita di funzionalità neurologica che caratterizza questa forma di malattia. I risultati iniziali ottenuti con siponimod derivano da uno studio internazionale di fase 3, Expand, randomizzato in doppio cieco, e controllato contro placebo che ha incluso 1.651 soggetti con diagnosi confermata di SMSP, con età media di 48 anni e
durata di malattia di 17 anni. Al basale il punteggio medio EDSS era di 6,0, che corrisponde alla necessità di un ausilio per la deambulazione. Il trattamento con il farmaco ha ridotto del 21 per cento il rischio di progressione della disabilità confermata a tre mesi rispetto al placebo (p =0,013), e l’entità di tale riduzione è stata maggiore a sei mesi. Effetti positivi associati al trattamento sono stati riscontrati anche sul tasso annualizzato di recidive, sulla variazione percentuale del volume cerebrale e sulla variazione rispetto al basale del volume delle lesioni in T2. Non sono state segnalati particolari effetti collaterali, e in genere il farmaco è stato ben tollerato, con un profilo di sicurezza comparabile a quello di farmaci della stessa classe. Le valutazioni sono attualmente in corso e si attendono i dati completi dello studio. n
Declino cognitivo lieve L’azione sinergica della stimolazione neurocognitiva e di un “mix” fitoterapico
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l Congresso di Venezia sono stati presentati in una Lettura, dal prof. Giovanni Bonelli, di Siena, interessanti risultati che derivano da uno studio condotto in pazienti con declino cognitivo lieve (MCI), in cui sono stati messi a confronto due approcci: percorso di palestra cognitiva oppure palestra cognitiva associata a un mix fitoterapico a base di bacopa, astaxantina, fosfatidilserina e vitamina E (Illumina®, Cristalfarma). Come noto, il declino cognitivo lieve è una fase preclinica della demenza:
nell’arco di un anno il 10-15 per cento dei pazienti con MCI evolve verso una franca demenza, mentre a 2-3 anni si arriva a quote ben più elevate. Non esistono allo stato attuale mezzi per curare l’MCI; la riabilitazione neuropsicologica da buoni risultati a livello comportamentale e delle funzioni esecutive. Il campione era costituito da 60 pazienti che sono stati divisi in tre gruppi di intervento (20 pz. per gruppo), omogenei per età e livello di scolarizzazione, e per punteggio MMSE
al basale. Il primo gruppo prevedeva un periodo di 3 mesi di palestra cognitiva+mix fitoterapico, seguiti da 1 mese di wash out e da 3 mesi di palestra cognitiva + mix; il secondo gruppo differiva per il wash out, in questo caso con il mix, e infine il terzo gruppo è stato sottoposto a 3 mesi di palestra cognitiva, 1 mese di wash out, seguito da 3 mesi di palestra+mix. Le valutazioni sono state effettuate sul punteggio MMSE (cut off 24, tra MCI e normalità) e SPB (Span delle parole bisillabiche) per l’analisi della memoria verbale a breve termine. Sulla base delle analisi preliminari è risultato evidente dopo un trimestre di osservazione che la quota di soggetti del primo gruppo con un punteggio ≥24 è aumentata del 20 per cento rispetto al basale; il trend è stato confermato anche nel secondo trimestre, per un complessivo aumento rispetto all’inizio del 30 per cento. I soggetti del terzo gruppo non hanno mostrato variazioni nel primo trimestre, mentre successivamente all’inserimento del mix si è osservato un incremento della quota di pazienti con punteggio MMSE ≥24 del 25 per cento. L’azione positiva della combinazione palestra cognitiva+mix fitoterapico è stata evidenziata anche dal miglioramento nei risultati del test per la memoria verbale a breve termine; nel terzo gruppo questo si è reso evidente successivamente all’aggiunta del mix. Concludendo possiamo dire che il mix fitoterapico testato aggiunto alla palestra cognitiva ne potenzia gli effetti sulla riabilitazione mnemonica. Si è osservato un miglioramento dello status cognitivo generale, della memoria a breve termine, in parallelo a una rapida azione che si è mantenuta nel tempo. n
la neurologia italiana
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NEWS associazioni Accademia LIMPE-DISMOV
La Giornata nazionale Parkinson 2016 Per l’ottavo anno il 26 novembre scorso si è rinnovato l’appuntamento con la Giornata Nazionale Parkinson, promossa dall’Accademia LIMPEDISMOV (Accademia Italiana per lo Studio della Malattia di Parkinson e i Disturbi del Movimento) e dalla Fondazione LIMPE per il Parkinson ONLUS, le due principali Associazioni scientifiche che si occupano di Parkinson nel nostro Paese (www.giornataparkinson.it). Grazie al contributo di personale medico qualificato, oltre 90 strutture locali hanno ospitato su tutto il territorio nazionale iniziative e incontri di informazione e confronto con pazienti e familiari, richiamando l’attenzione sulla malattia, la sua diffusione, la diagnosi precoce e le nuove prospettive terapeutiche. Hanno aderito anche le Associazioni Pazienti (Parkinson Italia e AIGP Onlus - Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani) e LIGHT OF DAY, Fondazione che organizza in tutto il mondo concerti-evento rock-folk avvalendosi di big del calibro di Bruce Springsteen e John Rzeznik (chitarrista dei Goo Goo Dolls). In ogni Paese metà dell’incasso dell’evento musicale è devoluto a un’associazione che si occupa della malattia e per l’Italia è stata scelta la Fondazione LIMPE per il Parkinson ONLUS. Testimonial della Giornata è stato anche quest’anno
Registrazione del Tribunale di Milano n. 781 del 12/10/2005 - Filiale di Milano. L’IVA sull’abbonamento di questo periodico e sui fascicoli è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma lettera CDPR 26/10/1972 n. 633. L’importo non è detraibile e pertanto non verrà rilasciata fattura.
il “signore degli anelli” Jury Chechi, che ha ribadito l’importanza dell’attività fisica per affrontare la malattia senza subirla passivamente e contenere le disabilità migliorando la propria qualità di vita. La “GNP-16” è stata anche l’occasione per presentare un progetto, PARKINSON ON PLAY in collaborazione con AbbVie: l’iniziativa, intitolata Non devi essere un SUPER-EROE per vivere con il PARKINSON, in 2 mesi ha raccolto in 80 nazioni 70 cortometraggi volti a sensibilizzare e informare la gente sui problemi quotidiani di chi soffre di questa malattia. Gli spot, frutto della selezione di un concorso per video-maker di tutto il mondo, indicano come il messaggio sia stato pienamente recepito dai partecipanti che hanno inviato filmati di grande impatto che saranno certamente apprezzati da tutti i pazienti e che chiunque potrà continuare a vedere sul sito www.accademialimpedismov.it. A cura di Cesare Peccarisi
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numero 3 · 2016 la neurologia italiana
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