Giuseppe Ragusa
LEZIONI DI STORIA DELLA MEDICINA VOLUME 1
L’UOMO PREISTORICO
LEZIONI DI STORIA DELLA MEDICINA Pubblicazione on-line ad argomento storico-medico Coordinatore editoriale: Giuseppe Ragusa
- L’Uomo Preistorico Lezioni del Corso di Storia della Medicina svolte dal dr. Giuseppe Ragusa presso l’Università della Terza Età di Mogliano Veneto (TV)
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© 2020
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INDICE INTRODUZIONE [pag. 5] CAPITOLO I – LA PREISTORIA - Le ere geologiche [pag. 7] - L’origine dell’uomo [pag. 9] CAPITOLO II - I PROGENITORI DELL’HOMO - Gli ominimi e gli ominidi [pag. 10] - Gli Australopitechi [pag. 15] - I Parantropi [pag. 27] - I Keniantropi [pag. 30] CAPITOLO III - GLI HOMO - Le specie arcaiche di Homo [pag. 31] - L’Homo di Neanderthal [pag. 46] - L’Homo di Denisova [pag.48] - L’Homo sapiens [pag. 49] - Appendice: L’Homo di Similaun [pag. 52] CAPITOLO IV - LA MEDICINA PREISTORICA - Medicina empirica e magica [pag. 55] - Anatomia [pag. 57] - Chirurgia [pag. 57] - Odontojatria [pag. 58] - Gravidanza e parto [pag. 59] - Erbe medicinali [pag. 62] - Alimentazione [pag. 62] - Morte e sepoltura [pag. 63]
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INTRODUZIONE “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?”, sono queste le tre grandi domande esistenziali, che da millenni dominano e tormentano la coscienza dell'uomo, che non è ancora riuscito a dare una risposta definitiva e convincente a queste domande. - La prima domanda “Chi siamo?” è davvero una domanda articolata e vasta in quanto in essa sono inglobati elementi storici, sociologici e filosofici. Consideriamo questa domanda solo dal punto di vista della scienza: noi sappiamo di appartenere al genere Homo, famiglia degli Ominidi, ordine dei Primati, e che il nostro corpo umano è formato da circa 37,2 trilioni di cellule, le quali rappresentano le unità fondamentali della vita: le cellule formano i tessuti e gli organi, i quali, a loro volta, prendono parte alla formazione dei cosiddetti sistemi o apparati. Del nostro corpo abbiamo ancora una conoscenza parziale: ad esempio sappiamo poco delle funzioni del nostro cervello, abbiamo buchi cognitivi sulla formazione dei tumori, e tanto altro ancora. - L’altra (finale) “Dove andiamo?” riguarda non solo i nostri destini individuali, ma anche quelli sociali e collettivi. Si suole orientare questa domanda all’ottimismo: si spera verso il meglio, verso un futuro migliore. - Del “Da dove veniamo?” sappiamo qualche cosa in più, questo grazie allo sviluppo di alcune scienze, che hanno come fulcro il mondo della Preistoria: o L’Antropologia: è lo studio delle caratteristiche fisiche, delle culture e delle forme di organizzazione sociale dell'essere umano, a sua volta suddivisa in antropologia fisica, che si occupa dell'evoluzione biologica e dell’adattamento all’ambiente, e in antropologia culturale, che studia le culture e le forme di organizzazione sociale dei diversi gruppi umani. o La Paleontologia: è lo studio della storia evolutiva degli organismi animali e vegetali in genere attraverso l’analisi dei fossili. o La Paleoantropologia (o Paleontologia umana): cioè lo studio dei resti fossili dell'uomo e dei tipi umani ormai estinti. o La Paleopatologia, cioè lo studio di crani, scheletri e mummie sui quali siano rimasti segni di malattie o di interventi terapeutici o ritenuti tali. o La Paleogenetica è lo studio del materiale genetico (DNA) preservato proveniente dai resti di antichi organismi. A queste scienze si affiancano i Laboratori dei ricostruttori, dove vengono elaborate e ricostruite in immagini i reperti fossili umani, soprattutto i volti: si tratta di un lavoro molto complesso che necessita di competenze artistiche e scientifiche e che vede impegnati team di paleoantropologi, anatomisti, archeologi e chiaramente artisti. In questo volume troveremo alcune di queste eccezionali ricostruzioni realizzate per il Museo di Storia Naturale Smithsonian, di Washington. Quale è la tecnica di ricostruzione? L’intuizione che ci fosse una precisa relazione tra la struttura ossea del cranio e l’aspetto esteriore del volto venne circa nel 1880 all’anatomista tedesco Hermann Welcker, il quale misurò e catalogò lo spessore dei tessuti molli del volto in posizioni prestabilite (i cosiddetti “punti craniometrici”) di centinaia di cadaveri. Tutte le misurazioni furono inserite in un archivio, mediate statisticamente e classificate assieme ad altri dati come l’etnia, il sesso.
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Con questo bagaglio di conoscenze, partendo da un cranio di una persona, era - ed è - possibile ricostruirne il volto. Tale procedimento è arrivato quasi intatto fino a oggi, sebbene da allora la tecnica abbia fatto enormi passi in avanti. Fortunatamente ci aiuta la natura, che conserva i crani anche per milioni di anni. Tecnica:
Dopo
aver
creato
un
modello
virtuale
tridimensionale (utilizzando stampanti in 3D) del reperto originale, nei laboratori dei ricostruttori si produce il calco in resina del cranio dell’ominide. Sul calco del cranio si posizionano una serie di piccoli pioli di lunghezze diverse, corrispondenti allo spessore dei tessuti molli del volto in quelle posizioni. In base all’altezza dei pioli si stendono i muscoli di plastilina e poi la pelle artificiale, rughe comprese. Per modellare la bocca si tiene conto della disposizione dei denti: la larghezza, per esempio, è determinata dalla distanza dei canini. Il naso è una delle parti più difficili da ricostruire: la forma è dedotta dalla conformazione delle ossa nasali. La grandezza degli occhi dipende dalle dimensioni delle cavità nel cranio, mentre l'età (e l'etnia) contribuiscono a definirne la forma. Per aggiungere realismo, per le “capigliature” degli ominidi più antichi si usa un mix di capelli umani e pelo di yak, che dà un effetto arruffato, simile a quello delle scimmie. L’analisi dei resti ci rivela il gruppo umano, l’età al momento della morte, il sesso, i malanni di cui soffriva, la presenza di eventuali handicap, la dieta, il clima, le condizioni di vita. E tutto questo permette una ricostruzione più accurata e precisa. L'aspetto artistico interviene per dare "un'anima" alla persona ricostruita, ma sempre con un forte rigore scientifico: l’aiuto di anatomisti, paleontologi e archeologi è fondamentale per decidere il colore della pelle o l’aspetto dei capelli. Persino sapere in che fauna e flora viveva il soggetto aiuta: se, per esempio, gli animali che convivevano con l’ominide da ricostruire erano simili a quelli che compongono oggi la fauna africana significa che il clima era torrido, e pelle e capelli inevitabilmente scuri.
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LE ERE GEOLOGICHE
CAP I – LA PREISTORIA
Nell'arco di circa un miliardo di anni la Terra si è trasformata in una pianeta vivo: dalla formazione degli acidi nucleici nel brodo primordiale - che segna il momento in cui compare la vita - una lenta evoluzione ha portato a tutte le forma di vita presenti sulla Terra. La storia della Terra e dei viventi è stata suddivisa dagli scienziati in cinque lunghi archi di tempo, le ere geologiche: archeozoica, paleozoica, mesozoica, cenozoica e neozoica. o Era archeozoica. L'era archeozoica o precambriana si estende da 4600 a 570 milioni di anni fa. E' suddivisa nei seguenti periodi: archeano, algonchiano. Nell'era archeozoica compaiono le prime forme di vita: batteri, alghe e spugne. o Era paleozoica. L'era paleozoica (paleozoico), o era primaria, si estende da circa 570 a 225 milioni di anni fa. E' suddivisa nei seguenti periodi: cambriano, ordovinciano, siluriano, devoniano, carbonifero, permiano. Nell'era paleozoica compaiono i coralli e le felci. o Era mesozoica. L'era mesozoica (mesozoico), o era secondaria, si estende da circa 225 a 65 milioni di anni fa. E' suddivisa nei seguenti periodi: triassico, giurassico, cretacico. Nell'era mesozoica compaiono i sauri, gli insetti e le conifere. o Era cenozoica. L'era cenozoica (cenozoico), o era terziaria, si estende da 65 a 3 milioni di anni fa. E' suddivisa nei seguenti periodi: paleogene, neogene. Nell'era cenozoica si evolvono le specie animali e vegetali fino a giungere a quelle attuali. Le prime scimmie antropomorfe (cioè simili agli esseri umani) comparvero in Africa circa 5 milioni di anni fa. o Era neozoica. L'era neozoica (neozoico), o era quaternaria, si estende da 3 milioni di anni fa ad oggi. E' suddivisa nei seguenti periodi: pleistocene, olocene. Durante il Neozoico si completa l’evoluzione umana, che attraverso diversi stadi del genere Homo porta alla formazione della specie Homo sapiens sapiens. Il termine Preistoria (dal latino præ “prima” e historia “storia”) designa il periodo che riguarda le più antiche manifestazioni dell’uomo sulla Terra, prima della nascita della scrittura (intorno al 4000 a.C.).
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Cronologia della Preistoria:
Età della Pietra: dalla comparsa dell'uomo (circa due milioni e mezzo di anni fa) all’inizio della lavorazione dei metalli o
Paleolitico → da 2.500.000 anni fa al 9.500 a.C. circa
o
Mesolitico → dal 9.500 a.C. al 6.100 a.C. circa
o
Neolitico → dal 6.100 a.C. al 3.700 a.C. circa
Età del Bronzo → dal 2.200 a.C. al 950/925 a.C. circa
Età del Rame → dal 3.700 a.C. al 2.200 a.C. circa Età del Ferro → dal 950/925 a.C. al 725 a.C. circa
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L’ORIGINE DELL’UOMO Come sia iniziata la vita sul nostro pianeta è un mistero che la scienza, al giorno d’oggi, non è ancora in grado di spiegarlo. E’ certo però che l’uomo si è posto il problema sin dall’antichità, si è sempre fatto domande sul mondo che lo circondava e sui fenomeni naturali che osservava, cercando di dare una spiegazione. In questa visione nacquero la Cosmogonia e i vari racconti (sempre di natura religiosa) sulla creazione dell'universo e dell'uomo, cioè la teoria del creazionismo. Questa teoria venne posta in crisi nel novembre 1859 quando venne pubblicato il trattato L'origine delle specie del naturalista e biologo britannico Charles Darwin [nel riquadro una sua celebre caricatura] in cui egli espose le sue teorie sull'evoluzionismo e sulla selezione naturale. Secondo Darwin «gruppi» di organismi di una stessa specie si evolvono gradualmente nel tempo attraverso il processo di selezione naturale; questo teoria era l’opposto del creazionismo, che ritiene le specie come il frutto della creazione di Dio e quindi perfette ed immutabili. Secondo la teoria darwiniana, tutte le specie animali e vegetali sono per necessità in competizione l’una con l'altra per le risorse naturali. In questa lotta per la sopravvivenza, l'ambiente opera una selezione, detta selezione naturale, attraverso la quale vengono eliminati gli individui più deboli, cioè quelli che, per le loro caratteristiche sono meno adatti a sopravvivere in determinate condizioni ambientali; solo i più adatti sopravvivono e trasmettono alla generazione successiva i caratteri ereditari che ne hanno favorito la sopravvivenza. Darwin immaginò inoltre la possibilità che tutte le specie viventi discendessero da un antico progenitore comune (e le moderne prove del DNA lo dimostrano chiaramente). La teoria darwiniana deve essere considerata una delle più grandi conquiste scientifiche.
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CAP II – I PROGENITORI DELL’HOMO GLI OMINIDI E GLI OMINIMI La storia dell’uomo iniziò nell’Africa orientale circa 7 milioni di anni fa, tra il tardo Miocene e l’inizio del Pliocene, allorché nell’ordine dei Primati si formò la famiglia zoologica Hominoidea, i cui appartenenti prendono il nome di Ominidi. In quel periodo avvenne un profondo cambiamento climatico con la progressiva diminuzione dell'umidità e alternanze marcate delle stagioni; le foreste si ritirarono e in Africa Orientale prevalse la savana1. Questi mutamenti climatici furono i principali agenti selettivi sulle specie esistenti: in particolare ne risentirono i Primati,
che
erano
ampiamente
distribuiti sul continente africano, e che erano gli esseri più specializzati nella vita arboricola. Per passare da una zona “verde” ad un’altra, alcune scimmie impararono che camminare per lunghi tratti sui soli arti inferiori poteva essere vantaggioso; così facendo potevano infatti scorgere in anticipo eventuali pericoli, quali ad esempio la tigre con i tendi a sciabola. I camminatori più abili potevano vivere più a lungo, fare più figli e garantirne la crescita: il loro DNA passava in questo modo ai discendenti, migliorando e fissando, di generazione in generazione, la caratteristica della deambulazione eretta. Gli antropologi spiegano così l’origine del bipedismo, uno degli adattamenti più importanti dell’evoluzione umana. Uno dei principali vantaggi evolutivi legati allo sviluppo del bipedismo fu la liberazione delle mani, che, affrancate dalla funzione di locomozione, vennero utilizzate per altri scopi: o per brandire bastoni e lanciare sassi, il che, soprattutto muovendosi in gruppo, si rivelò un’efficace difesa collettiva, o per la fabbricazione di utensili, che con l'andar del tempo - favorita anche dallo sviluppo cerebrale - si fece sempre più complessa. Il bipedismo sembra essere, tra le caratteristiche principali degli ominidi, quella emersa più precocemente: la conquista della posizione eretta fu una tappa fondamentale per l’evoluzione della nostra specie; naturalmente fu una conquista che richiese milioni di anni di adattamenti dello scheletro.
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La savana è un ambiente terrestre soprattutto subtropicale e tropicale, caratterizzato da una vegetazione a prevalenza erbosa, con arbusti e alberi abbastanza distanziati
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Anche il volume del cervello progressivamente,
con
aumentò
conseguente
rimodellamento della morfologia cranica: questo incremento può essere messo in relazione ai processi di encefalizzazione, quali il linguaggio articolato, o i cambiamenti di tipo comportamentale, o l'acquisizione di quelle
competenze
che
consentono
l’ambientazione.
All’incirca 7-6 milioni di anni fa gli Ominidi ebbero due linee evolutive diverse: attraverso un antenato comune, non ancora identificato, una linea ha portato alle scimmie antropomorfe africane (orango, gorilla e scimpanzé), come li conosciamo oggi, l’altra invece agli Ominimi, che rappresentano i veri progenitori dell’attuale specie umana. Non esiste un "anello mancante" tra l'uomo e la scimmia: l'uomo non discende dagli scimpanzé o da un altro primate antropomorfo, anche se esiste una comunanza dell’uomo con questi animali documentata dagli studi sul DNA; le analisi sulle sequenze genetiche mostrano infatti che il DNA dell'uomo è uguale quasi al 99% a quelli degli scimpanzé. E’ quindi errata la popolarissima serie di disegni con uno scimmione caracollante che, camminando camminando, si trasforma progressivamente in australopiteco - habilis - erectus - neanderthal - sapiens, rappresentati con una crescente statura eretta che raggiunge la perfetta verticalizzazione solo con l'ultima specie. La progressione della nostra specie non è stata lineare: è stata invece un'evoluzione complessa, irregolare, e più specie hanno convissuto nello stesso territorio in un arco di tempo che va dai 5 a circa 1,5 milioni di anni (Plio-Pleistocene).
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Non parliamo quindi più di un albero genealogico, ma di un cespuglio evolutivo.
Il cespuglio dell'uomo, riadattato dallo Smithsonian's National Museum of Natural History Secondo l'idea del cespuglio avanzata da Stephen Jay Gould, il modello più accreditato dell'evoluzione umana vuole che molte specie siano convissute, lungo i 5-7 milioni di anni in cui ci siamo separati dalla linea evolutiva degli scimpanzé. In particolare, a partire da circa tre milioni di anni fa sarebbero stati presenti, più o meno contemporaneamente, tre nostri parenti, Homo habilis, H. rudolfensis e H. ergaster, vissuti tutti in Africa. A essi, poco dopo, per i tempi dell'evoluzione, si sarebbe aggiunto Homo erectus. La culla dell’umanità fu la savana africana, nella fascia sud-orientale del continente africano, nella regione che va dall’Eritrea al Malawi, a est della grande “valle del Rift”, formatasi circa 35 milioni di anni fa. Fu un evento geologico di enorme portata: si formò una frattura tettonica lunga oltre 5 mila chilometri che determinò profonde depressioni e solcature che caratterizzano ancor oggi la fascia orientale dell'Africa. La frattura separò i primati che lì vivevano in due tronconi. Ad ovest della Rift Valley, dove il clima restava umido, i primati continuarono a vivere alla vecchia maniera, utilizzando i numerosi alberi come rifugio e dando vita in seguito la linea delle attuali scimmie antropomorfe. Coloro che vivevano ad est si trovarono in una condizione di difficoltà, in quanto al posto della foresta, si sostituì la savana: la vegetazione si fece più rada e le risorse cominciarono a scarseggiare. In questo ambiente l’uomo, grazie alla capacità di adattamento, iniziò la sua evoluzione.
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L’albu
di fa iglia dell’u a ità
SAHELANTHROPUS TCHADENSIS Alle radici dell’albero. L’esemplare più antico attualmente conosciuto è il Sahelanthropus Tchadensis, il cui cranio è stato trovato nel 2002 nel Ciad, nell'Africa centrale a quasi 2.500 chilometri dalla Rift Valley. E’ stato soprannominato Tumai (un nome locale che significa “speranza di vita”).
E’ datato 6-7 milioni di anni fa, e secondo molti studiosi sarebbe vissuto in un’epoca prossima alla divisione tra la linea evolutiva che porterà da un lato allo scimpanzé e dall’altro all’Homo; la notevole distanza dalla Rift Valley evidenzia inoltre una diffusione territoriale più ampia da parte degli ominidi, oltre ogni ipotesi precedente. La sua capacità cerebrale era di 350 cc (simile al moderno scimpanzé).
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ORRORIN TUGENENSIS Nel 2001 è stato identificato un altro ominide, l’Orrorin Tugenensis, i cui resti sono stati rinvenuti in Kenya. E’ datato 6 milioni di anni fa. Non è possibile ricostruire il suo volto per assenza di reperti. Il suo femore dimostrerebbe che le gambe erano sufficientemente forti da sostenere l'andatura eretta. Tra i resti fossili vi è anche un robusto omero che attesta la capacità di arrampicamento; la struttura dei denti e delle mascelle suggerirebbero una dieta di frutta e vegetali teneri. ARDIPITHECUS KADABBA L’Ardipithecus kadabba (in lingua Afar significa "antenato primordiale”) è stato rinvenuto nella valle dell’Awash in Etiopia. Visse tra i 5,2 e i 5,8 milioni di anni fa nelle savane di una zona compresa tra Etiopia, Tanzania e Kenya. Presenta un'interessante commistione tra caratteristiche umane e scimmiesche rendendo i resti di difficile classificazione filogenetica: alcuni studiosi sostengono che si potrebbe trattare di un antenato dello scimpanzé, altri prediligono l'ipotesi di un ominimo molto primordiale.
Gli studiosi ipotizzano che vivesse in gruppi di pochi esemplari (non più di venti), con un maschio dominante e molte femmine, tutti in qualche modo imparentati. Essi erano in grado di camminare su due piedi per lunghi periodi di tempo. La sua dimensione è quella di un odierno scimpanzé; possedeva lunghi canini usati probabilmente per combattere, come ancora oggi fanno molte scimmie. Questi ominimi, prima della completa conquista della postura eretta, dovevano essere organizzati come gli attuali gruppi di scimpanzé, che difendono il loro territorio, conoscono le aree e le stagioni dove sono disponibili certi alimenti, riconoscono le erbe medicinali, hanno una «mappa mentale» del territorio in cui vivono, creano alleanze politiche all’interno del gruppo (quasi sempre per scopi sessuali), e sembrano aver cognizione della morte.
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ARDIPITHECUS RAMIDUS L’Ardipithecus ramidus rappresenta l’evoluzione del Kedabba. E’ datato circa 4,4 milioni di anni fa. I suoi fossili sono stati scoperti nel 1992-1993 nel sito di Asa Koma, nella valle del medio Auasc, nella depressione dell'Afar in Etiopia.
Dai numerosi reperti rinvenuti è stato possibile ricavare la ricostruzione parziale di uno scheletro femminile che comprendeva il cranio, i denti, le pelvi, le mani e i piedi. Il fossile è stata chiamata Ardi. A giudicare dalla crescita delle ossa, si trattava di una femmina di 14 anni, alta 120 cm, con un peso stimato di 50 chili. Il cervello era di soli 300 cc. Le ossa delle articolazioni superiori rivelano delle caratteristiche anatomiche più vicine ai primati non umani che al genere Homo, come ad esempio, le braccia più lunghe ed i piedi prensili. Si tratta in effetti di una specie molto prossima alle scimmie, nell'aspetto come nelle abitudini. Le braccia e le dita erano lunghe e i polsi rigidi, per consentirle di arrampicarsi bene sugli alberi. I suoi piedi presentavano l’alluce divaricato, come nelle scimmie.
Le gambe erano corte e la struttura del bacino, già abbastanza largo, sembra suggerire che Ardi fosse un “bipede facoltativo”, che usava due zampe sul terreno e tutte e quattro quando si muoveva sui rami. La dentatura suggerisce una dieta a base di cibi teneri, quali frutta e vegetali; l’assenza di canini prominenti suggerisce una certa capacità a vivere in gruppo, senza manifestare atteggiamenti violenti. Confrontando le ossa fossili di maschi e femmine di Ardipithecus ramidus trovati in varie campagne di scavo, si è scoperto che i maschi erano solo poco più grandi delle femmine, il che significa che nelle
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comunità di questo ominimo i rapporti sessuali non erano regolati dall’harem (un maschio grande con molte femmine, come nei gorilla), ma la femmina poteva accoppiarsi con diversi maschi. L’habitat degli Ardipitechi ramidi era costituito da una folta boscaglia.
GLI AUSTRALOPITECHI Siamo nel periodo compreso tra i 5 e 3 milioni di anni. Vi fu un cambiamento climatico importante: il clima si inaridì a est della Rift Valley fino al Sudafrica e l’acqua divenne una risorsa rara. Molte specie di ominimi non sopravvissero. Nel periodo compreso tra 5-4 e 1 milione di anni fa, l’Africa fu abitata dagli Australopitechi e dal Kenyantropo: gli australopitechi sembrano aver avuto un numero di specie molto elevato, segno di un notevole successo adattativo; alcuni studiosi sostengono che vi siano state molte più specie di quelle attualmente conosciute. Australopiteco è un termine composito derivato dal latino "australo" (meridionale) e dal greco "pithecus" (scimmia), quindi significa "scimmia del sud". Il genere Australopithecus, di cui esistono diverse specie, è considerato il probabile precursore del genere Homo, a cui appartiene tutta l'umanità. L’area abitativa di questa specie è stata esclusivamente l'Africa, per alcuni (anamensis, afarensis, garhi, aethiopicus e boisei) quella Orientale; per altre (africanus e robustus) quella
Meridionale;
per
una
(bahrelghazali),
l'Africa
Centrale.
[I punti rossi rappresentano i luoghi di ritrovamento delle varie specie di Australopithecus, mentre la probabile area di diffusione del genere è colorata in grigio scuro]
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Sebbene il suo cranio sia paragonabile a quello di uno scimpanzé, l'Australopiteco camminava dritto, come fanno gli umani. Questa fu una sorpresa per gli antropologi dell'epoca, perché era stato ipotizzato che il grande cervello di Homo si fosse evoluto parallelamente all’andatura verticale. Gli Australopitechi erano bipedi e questo fu un adattamento all'avanzata della savana in seguito ai cambiamenti climatici che interessarono l'Africa centro-orientale a partire da 10 milioni di anni fa: l'andatura eretta consentiva agli australopitechi di ergersi al di sopra dell'erba alta ed osservare agevolmente i dintorni, individuando fonti di cibo o di pericolo.
Nonostante la taglia contenuta e la mancanza di particolari adattamenti che ne assicurassero la competitività, gli australopitechi riuscirono ad affermarsi grazie alla dieta onnivora, che consentiva loro di trovare nutrimento in qualsiasi frangente, sfruttando indifferentemente risorse di origine animale (ad esempio carcasse di grossi erbivori uccisi dai predatori, oppure piccole prede catturate occasionalmente come roditori e uccelli ma anche bruchi e uova) così come le risorse offerte dalla terra (radici, frutti ed altri cibi di origine vegetale). Questo opportunismo permise agli australopitechi di diffondersi in gran parte del continente africano. Tutti gli australopitechi si sono estinti circa 1 milione di anni fa, dopo circa 3 milioni di anni dalla loro comparsa, e la causa potrebbe essere stata la modificazione degli habitat e del cambiamento climatico globale che andava verso un generale raffreddamento. Altre ipotesi vedono le prime forme del genere Homo come concause della loro estinzione per la sopraggiunta competizione. AUSTRALOPITHECUS ANAMENSIS L’Australopithecus anamensis (in dialetto keniano: "lago") è la specie più antica di Australopiteco. Visse in Kenya tra i 4,2 ed i 3,8 milioni di anni fa, e il suo habitat erano i corsi fluviali fiancheggiati da una fitta foresta o la savana. Recentemente nel 2019 è stato annunciato il rinvenimento di un cranio di Anamensis nel sito di WoransoMille, nella regione di Afar (Etiopia).
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Questo antico ominimo era dotata di un cervello più grande rispetto ai primati precedenti, era in grado di camminare su due piedi, e aveva mascelle forti che gli permetteva di assumere una grande varietà di cibi. È il primo ominimo ad avere delle caratteristiche in qualche modo riconducibili a quelle umane: sia la forma dei denti che quella delle ossa sono un indizio dell’attitudine a camminare eretti. La comparazione con altri reperti ha permesso di dimostrare che Australopithecus anamensis e Australopithecus afarensis avrebbero convissuto per circa 100.000 anni, escludendo così l’ipotesi secondo cui la seconda specie si sarebbe diffusa solo dopo la scomparsa della prima. AUSTRALOPITECHUS AFARENSIS L’Australopitechus afarensis, i cui fossili sono stati trovati ad Afar in Etiopia, è vissuto tra i 3,9 ed i 3 milioni di anni fa. Gli Afarensis erano esseri piccoli: l’altezza dei maschi poteva arrivare a circa 150 cm, ed il peso era di circa 45 Kg; le femmine erano molto più piccole, 1 metro di altezza per circa 30 Kg di peso.
La scatola cranica era piccola, con una capacità cerebrale di soli 500 cc, proprio come quello di una scimmia antropomorfa: tuttavia, se si considera il volume cerebrale relativo, cioè il rapporto tra la massa del cervello e quella del corpo intero, è come se avessero avuto un cervello più grande del 25 % rispetto alle antropomorfe.
La forma della mascella e della mandibola si avvicinava a quella dell’umanità attuale, con arcata dentaria di forma quasi parabolica. La mandibola era molto robusta e munita di denti forti ed appiattiti, con canini poco pronunciati e premolari e molari forti e dallo smalto ispessito, indicanti una dieta principalmente vegetariana. Presentavano notevole prognatismo sotto-nasale. Gli arti superiori avevano all'incirca la stessa lunghezza di quelli inferiori, nei quali l'opponibilità del pollice era stata praticamente persa per supportare l'andatura bipede. La loro andatura era fondamentalmente bipede (come intuibile dalle numerose impronte fossili scoperte nel continente africano, fra le quali particolarmente famose e ben conservate sono quelle di Laetoli, in Tanzania [vedi foto]. I piedi erano simili a quelli dell’uomo attuale, e non più scimmieschi come li aveva Ardi.
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Il loro bacino era simile al nostro, basso e largo come si conviene a chi cammina dritto e ha bisogno quindi di un’ampia superficie su cui far attaccare muscoli glutei robusti (i muscoli delle natiche), al contrario del bacino delle scimmie antropomorfe che, invece, è alto e stretto. L’Australopiteco trascorreva la notte sugli alberi, per difendersi dagli animali feroci. Probabilmente usava come riparo anche sporgenze di rocce. L’Australopiteco usava in modo occasionale bastoni e pietre per scavare il terreno alla ricerca di cibo. * Lucy Lucy è il nome con cui viene comunemente identificato il reperto A.L. 288-1, uno scheletro incompleto scoperto nel 1974 ad Hadar in Etiopia. Gli archeologi si trovarono di fronte lo scheletro più completo di un antenato umano antico di oltre 3 milioni di anni: ben 52 ossa, tra le quali le ossa degli arti, la mandibola, alcuni frammenti del cranio, costole, vertebre e soprattutto il bacino, la cui forma permise di capire che si trattava di una femmina. La sera stessa, riuniti intorno al fuoco, i paleoantropologi le diedero un nome: la chiamarono Lucy, prendendo spunto da una delle canzoni che nell'accampamento venivano ascoltate di più, Lucy in the sky with diamonds, dei Beatles. In Etiopia il reperto è anche conosciuto come Dinqinesh, che in lingua amarica significa "Sei meravigliosa". Lucy è l'ominimo più famoso mai ritrovato e la sua scoperta è stata fondamentale (ma non risolutiva) per disegnare l'evoluzione della nostra specie. Viene definita da alcuni studiosi la "nostra bisnonna", secondo la teoria della ascendenza diretta degli homo dagli australopitechi. Lucy è datata circa tra i 4 e i 3,5 milioni di anni fa. Era alta circa un metro e pesava probabilmente sui 25 kg. Il cranio è molto piccolo, con una capacità cerebrale di circa 380 cc.
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Il viso era prognato, il naso schiacciato e la fronte sfuggente. Lo spessore dello smalto dei denti, poi, indica che si nutriva prevalentemente di cibi piuttosto coriacei, probabilmente radici soprattutto.
Gli arti superiori erano lunghi e questo indica che, pur camminando in modo molto simile a un uomo (anzi a una donna) moderna, Lucy sapeva arrampicarsi con agilità sugli alberi. Lo scheletro fossile di Lucy manca delle estremità inferiori, ma le ossa delle gambe e il bacino dimostrano che la stazione eretta era acquisita già 3,2 milioni di anni fa (datazione dello scheletro): gli ominimi si muovevano quasi sempre in quella posizione, non solo per alcuni tratti. Lucy aveva circa 18 anni quando morì. Giovanissima? non proprio: secondo
i
ricercatori l’aspettativa
di
vita
degli
esemplari
di Australopithecus afarensis era di circa 25 anni. Come morì? Difficile stabilirlo data l'antichità delle ossa, ma poiché nello stesso “strato” geologico sono stati ritrovati frammenti dei corpi di almeno 13 individui diversi, qualche studioso ha azzardato l'idea che il gruppo possa essere deceduto per una improvvisa catastrofe naturale (forse un'alluvione) e che Lucy e gli altri siano la più antica testimonianza archeologica del fatto che gli antenati dell'uomo vivevano già in gruppo. Secondo molti studiosi fu la caduta da un albero a provocare la morte di Lucy: le analisi eseguite infatti hanno messo in evidenza una serie di fratture che solitamente non si osservano nei fossili, come una frattura da compressione all'omero destro, che si riscontra quando la mano colpisce il terreno in una caduta, spingendo le strutture della spalla una contro l'altra e causando un danno molto caratteristico all'omero.
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[Ricostruzione digitale delle fratture delle ossa di Lucy]
I ricercatori hanno osservato una serie di altre fratture da compressione in tutto lo scheletro di Lucy, tra cui una frattura alla spalla sinistra, alla caviglia destra, a un ginocchio, al bacino, e alla prima costola. Dato che non vi era alcun segno di guarigione, neppure iniziale, i ricercatori hanno concluso che queste lesioni si erano verificate perimortem, ossia in un momento molto prossimo alla morte. Lucy si era presumibilmente arrampicata su un albero per prendere qualche frutto o per cercare un rifugio sicuro per la notte, come fanno anche gli scimpanzé; tuttavia le caratteristiche che le permettevano di spostarsi in modo efficiente sul terreno potevano averne compromesso la capacità di arrampicarsi con sicurezza sugli alberi, esponendola a cadute più frequenti. Grazie ai dati raccolti, i ricercatori sono anche riusciti a ricostruire la dinamica della probabile caduta: Lucy deve essere atterrata sui piedi e aver cercato di attutire il colpo protendendo le braccia in avanti. Considerata la statura e il presumibile peso di Lucy, i ricercatori hanno stimato che deve essere caduta da un’altezza di circa 12 metri, impattando sul suolo a una velocità poco superiore ai 50 chilometri all'ora. La morte deve essere sopraggiunta in fretta.
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Ora Lucy riposa in una camera segreta del Museo Nazionale dell’Etiopia ad Addis Abeba, mentre una sua copia rappresenta l'attrazione più famosa e visitata dell'area aperta al pubblico.
* Selam, la bambina di Dikika Lo scheletro quasi completo di una bimba preistorica di oltre 3 milioni di anni fa è riemerso dalle rocce di avvenuta a Dikika nel nord dell'Etiopia, non lontano da dove nel 1974 vennero ritrovati i resti di Lucy. Appartiene anch’essa al gruppo Afarensis, ma è più vecchia di 300.000 anni rispetto a Lucy. Le è stato dato il nome di Selam, che in aramaico vuol dire "pace". Aveva circa 2,5 anni di età, ed è morta probabilmente durante una alluvione e ricoperta dai sedimenti del fiume, usufruendo di condizioni pressoché uniche per la fossilizzazione (in genere i fragili scheletri dei bambini hanno caratteristiche che non consentono il processo di fossilizzazione). Il cranio, quasi completo, aveva una capacità di 330 cc, suscettibile di aumento se la bambina fosse diventata adulta. Ci sono numerosi frammenti di costole, entrambe le clavicole e le scapole, molte vertebre (sono complete quelle cervicali e toraciche). Ci sono inoltre un pezzo dell’omero, alcune ossa della mano, il femore, la tibia, il piede, che ci permettono di asserire che era bipede. La forma delle spalle suggerisce che la sua specie non aveva smesso di volteggiare fra i rami degli alberi e raccogliere la frutta (le dita sono lunghe e arcuate, come quelle dei primati). Viveva in un ambiente molto vario, ricco di fiumi, di terreni spogli ma anche di foreste. Nella stessa area sono stati trovati fossili di vertebrati, pesci e molluschi.
* Little Foot Nel 1994 nelle grotte di Sterkfontein, circa 40 chilometri a Nord Ovest di Johannesburg, in Sudafrica, il paleoantropologo Ron Clarke rinvenne i primi resti di uno scheletro di ominimo risalente a più di tre milioni e mezzo di anni fa: una manciata di frammenti provenienti da una gamba, che fruttarono all’esemplare il nomignolo di Little Foot, o piccolo piede.
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Gli scavi finirono nel 2012, quando i ricercatori si resero conto di aver portato alla luce lo scheletro praticamente completo di un antico australopiteco. Il genere a cui appartiene è lo stesso di Lucy, ma Little Foot risulta essere più antico di circa 500.000 anni. La sede di ritrovamento lascia ipotizzare che questi ominimi abitassero un’area del continente africano ben più ampia di quanto si pensasse fino ad oggi, vista la distanza tra l’attuale Etiopia – dove è stato portato alla luce lo scheletro di Lucy – e il luogo del ritrovamento di Little Foot. Attualmente (2019) i ricercatori ritengono che si tratti di un ominide di sesso femminile, probabilmente deceduta in seguito ad una caduta, così come Lucy. AUSTRALOPITHECUS BAHRELGAZALENSIS L’ Australopithecus bahrelgazalensis visse circa 3,5-3 milioni di anni fa. Il suo fossile (una mandibola con sette denti) è stato trovato in Ciad, nell’area più ad ovest nell'ambito di tutta l'Africa. "Bahrelghazali" significa "uomo del fiume delle gazzelle" perché è venuto alla luce nel letto del fiume di Bahr el Ghazal, "il fiume delle gazzelle". Gli studiosi non sanno con certezza se si tratti di una specie a se stante o di una variante regionale dell'afarensis.
AUSTRALOPITHECUS DEYRIMEDA L’Australopithecus deyrimeda è stato scoperto in Etiopia non lontano da dove è stato trovato il fossile di Lucy, a conferma del fatto che l'Africa orientale di 3,5 milioni di anni fa era abitata da più specie di ominini e che le varie specie fossero state in grado di ricavarsi una propria nicchia ecologica nel medesimo ambiente grazie a diete, strategie di alimentazione e ad altri comportamenti distinti. Questa specie è stata identificata in base alle mandibole di tre diversi individui. Non è possibile alcuna ricostruzione morfologica.
Circa 3-2,5 milioni di anni fa, dall’Afarensis nacque una linee evolutiva definita gracile (Africanus, Garhi), dalla dieta onnivora, ricca di carne. Mandibole e denti ebbero così meno da masticare (a parità di volume la carne nutre più dei vegetali) e rimpicciolirono. In compenso crebbe la scatola cranica, e con essa il cervello. Inoltre, per rompere le ossa e ricavare il nutriente midollo in esse contenuto, queste nuove specie inventarono i primi attrezzi di pietra. Dalle forme gracili verosimilmente parte l’evoluzione dei primi esseri definiti Homo.
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Accanto alle forme gracili vissero i Parantropi che avevano una dieta vegetariana, e che pertanto svilupparono un apparato masticatorio molto potente con denti robusti . Forme gracili
AUSTRALOPITHECUS AFRICANUS L’Australopithecus Africanus visse circa 3,5-2,3 milioni di anni fa nell'Africa australe (odierno Sudafrica), ma si ipotizza che potrebbe essersi spinto sino all'Africa Orientale. I maggiori siti paleoantropologici sudafricani sono grotte calcaree nella regione chiamata Transvaal, che si aprono all'esterno tramite strette fenditure. Climaticamente il Transvaal era una regione più fredda rispetto alle zone dell'Africa orientale con inverni particolarmente rigidi: questo ha fatto supporre che nella stagione fredda gli Australopitechi si spostassero in zone più miti. Le grotte più famose sono Sterkfontein, Swartkrans, Kromdraai, Dreimulen e Gladysvale, Taung e Makapansgat. Essi non vivevano nelle grotte in cui sono stati rinvenuti, ma probabilmente vi erano condotti da predatori dopo essere stati uccisi o vi cadevano accidentalmente. Il maschio aveva un’altezza di circa 150 cm, e pesava circa 40 Kg; le femmine erano alte circa 120 cm e pesavano 30 Kg.
La forma del cranio è più arrotondata, vi sono aumenti significativi dei lobi frontali e parietali; la mascella è più parabolica come quella umana; i denti sono simili più a quelli umani che a quelli delle scimmie, in canini più piccoli di quelli di Afarensis. I suoi arti inferiori erano più portati all’andatura bipede, ed il piede era meno adatto ad arrampicarsi sugli alberi. Africanus era onnivoro, frugivoro se la stagione lo permetteva, ma d'inverno il cibo erano semi ed altri nutrimenti coriacei; infatti aveva potenti molari e premolari adatti a durare per tutta la vita. Anche con i fossili di questo australopiteco non sono stati rinvenuti utensili. Gli scienziati concordano nel riconoscere al ramo Africanus il ruolo di progenitore del genere Homo.
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* Bambino di Taung La prima scoperta di Australopiteco africano fu fatta nel 1924 a Taung in Sudafrica: furono trovati parte del cranio, e tutta la regione facciale, una mandibola completa. Il fossile fu chiamato "Bambino di Taung” per la giovane età al momento della morte, 3 anni secondo alcuni, 5-6 secondo altri studiosi. Questo bambino aveva già alcuni denti definitivi. La capacità cerebrale è stata calcolata in 382 cc (come una scimmia). E’ rimasto il calco fossilizzato del suo cervello, fatto più unico che raro. Poiché è difficile che esso sfugga al pasto del predatore o degli spazzini che intervengono di seguito, è probabile che in qualche modo quella piccola testolina sia caduta in qualche anfratto impossibile da raggiungere, e per puro caso abbia trovato condizioni straordinarie che ne hanno permesso la fossilizzazione.
Il suo cranio era molto arrotondato mentre i canini erano piccoli. La posizione più avanzata del foro occipitale, che nelle scimmie è situato dietro la testa, fa supporre che questa specie fosse bipede.
Strani segni intorno alle orbite [ ell’i
agi e a sin segnalati da
frecce bianche] potrebbero essere testimoni di una morte tragica ad opera di un rapace (aquila o altro grande uccello predatore) che dovette portare con sé la sua piccola preda in qualche posto sicuro nella aperta savana per consumare il pasto oltre 2 milioni e mezzo di anni fa.
* Mrs. Ples Con questo soprannome si indica il cranio più completo di Australopithecus africano mai ritrovato. Non si sa il sesso di questo fossile (Mr. Ples o Miss Ples?). L’analisi a raggi X dei denti del campione ha suggerito che si trattava di un adolescente.
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La capacità cranica è di circa 485 cc, lievemente più grande di quello dell’Afarensis.
AUSTRALOPITHECUS GARHI L’Australopithecus Garhi comparve circa 2,5 milioni di anni fa in Etiopia.
Le caratteristiche craniche sono quelle degli Australopitechi gracili (la definizione identica la capacità masticatoria), anche se presenta una dentatura simile a quella dei Parantropi robusti: ci troviamo di fronte ad una morfologia intermedia sorprendente che ha fatto identificare questa nuova specie (Garhi significa appunto "sorpresa"). La capacità cranica è di circa 450 cm³, dello stesso ordine di grandezza degli altri australopitechi. La sua altezza poteva raggiungere i 140 cm con una taglia corporea probabilmente più piccola rispetto ad Afarensis; il dimorfismo sessuale poteva essere paragonabile a quello di Afarensis. Tra i resti di Garhi, uno molto importante è costituito dagli arti superiori e inferiori di uno stesso individuo: se rispetto all'uomo moderno, Afarensis ha braccia lunghe e gambe corte, in Garhi compare per la prima volta l'allungamento del femore che poi caratterizzerà gli ominidi successivi. Garhi non era un gran cacciatore, e si cibava degli scarti dei pasti di carnivori, midollo compreso; pare che fosse in grado di utilizzare strumenti di pietra per spezzare le ossa degli animali in modo da estrarvi il midollo per nutrirsene.
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AUSTRALOPITHECUS SEDIBA L'Australopithecus sediba rappresenterebbe una specie di transizione tra l'Australopithecus africanus e l'Homo habilis. Gli scheletri di una femmina adulta e di un giovane maschio (insieme ad un altro reperto isolato, una tibia) di A. sediba furono scoperti nel 2008 in una grotta a Malapa, in Sudafrica. Questi fossili vengono datati a circa 1,98 milioni di anni fa.
L’Australopithecus sediba si presenta come il precursore più prossimo del nostro genere: esso mostra così tanti tratti simili ad Homo che per lo meno deve essere considerato come uno dei nostri possibili antenati. Gli studi sui denti, la mascella, gli arti e la colonna vertebrale di A. sediba hanno infatti messo in luce uno strano mix di tratti anatomici di questo ominide, in parte tipici del genere Homo (tra cui H. erectus, Neanderthal, e Sapiens) e in parte caratteristici dei primi australopitechi. Caratteri primitivi sono le dimensioni cerebrali ridotte, gli zigomi alti e larghi, cuspidi dei molari primitive, arti superiori lunghi adatti all'arrampicata sugli alberi e calcagno molto primitivo. Le somiglianze con Homo comprendono un prosencefalo riorganizzato,
un
naso
sporgente,
denti
e
muscoli
della
masticazione più piccoli, fianchi stretti simili a quelli umani, gambe più lunghe, mano con presa di precisione, caviglie moderne. A. sediba era chiaramente bipede, anche se presentava una camminata particolare: l'osso del tallone dello scheletro femminile indica che durante la camminata il piede ruotava verso l'interno, con il bordo esterno che toccava il terreno insieme al tallone; questo strano modo di camminare potrebbe rappresentare una sorta di compromesso per un piede con caratteristiche adatte sia alla camminata che all’arrampicata sugli alberi.
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A rendere ancora controverso l’argomento, secondo altri studiosi, sottolineando quanto poco si sappia delle prime specie Homo, pensano che sia possibile che anche tra i primi Homo e le ultime forme di australopitechi vi siano stati degli incroci.
Forme robuste
I PARANTROPI Si pensa che essi rappresentino una biforcazione della linea evolutiva degli australopitechi, che da un lato ha portato prima alle forme gracili e quindi agli Homo primitivi, mentre dall'altro è continuata nelle forme robuste del Paranthropus. Il nome del genere deriva dalla combinazione del prefisso greco para- (accanto) con la parola greca ἄνθρωπος (ànthrōpos, "uomo"): la traduzione del termine Paranthropus è pertanto "accanto all'uomo", con riferimento al fatto che tutte le specie ascritte a questo genere sono vissute in zone dove ai tempi stavano affermandosi le prime specie del genere Homo. I primi ominimi ascrivibili al genere Paranthropus apparvero 2,7 milioni di anni fa, per poi estinguersi senza lasciare tracce attorno a un milione di anni fa. Nei Paranthropus il cranio è molto robusto, ed è caratterizzato da una evidente cresta sagittale mediana (più nel maschio che nella femmina) per massimizzare l’area di inserzione dei potenti muscoli temporali, quindi dell’apparato masticatorio. Questa “specializzazione” era dovuta alla loro dieta esclusivamente vegetariana ricca di fibre e materiale coriaceo, che richiedeva uno sforzo notevole nella masticazione del materiale fibroso.
PARANTHROPUS AETHIOPICUS Di questo ominimo abbiamo un cranio rinvenuto a Shungura (Etiopia) e un altro cranio rinvenuto a Koobi Fora (Kenya), soprannominato The black skull per la colorazione dovuta al minerale nero presente nel sito di rinvenimento. Il Black Skull fu, in un certo senso, un segno dei suoi tempi: infatti la sua apparizione (2,5 milioni di anni fa) coincide con un importante evento climatico che ebbe certamente grosse ripercussioni nell’evoluzione della fauna e della flora in quella parte dell’Africa. In quel periodo, infatti, per ragioni che ancora non si conoscono, ma nelle quali è coinvolta anche l’espansione dei ghiacci polari, il clima divenne molto più
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arido e molte zone alberate scomparvero: cominciarono così ad affermarsi individui maggiormente “attrezzati” per il tipo di alimentazione disponibile nelle zone secche, come appunto vegetali coriacei.
In media la capacità cranica del Parantropo è pari a circa 500 cc. Il cranio era piccolo, schiacciato, con una cresta sagittale simile a quella dei gorilla, indice di un potentissimo apparato masticatorio originatosi per consentire all'ominide di nutrirsi del poco cibo a disposizione in un ambiente divenuto arido: alimenti duri, ricchi di fibre e poveri di calorie; anche i denti infatti sono enormi. Dall’Aethiopicus sembra derivino direttamente altre due specie di Parantropi, il Robustus, diffuso nell’Africa meridionale, e il Boisei, diffuso in Kenya e Tanzania. Entrambi questi ominidi avevano il cranio di dimensioni leggermente superiori (530 cc.), la loro altezza variava tra i 148 e i 168 cm, mentre le femmine si aggiravano intorno ai 34 Kg per 1 m di altezza; il peso oscillava tra i 40 e i 100 kg. PARANTHROPUS ROBUSTUS Del Paranthropus robustus rimangono resti cranici e postcraniali rinvenuti in Africa meridionale a Kromdraai, Swartkrans e Drimolen, datati 1,8-1,2 milioni di anni. Il termine "robusto" si riferisce esclusivamente alle dimensioni dei denti e del viso, non alle dimensioni corporee. Avevano denti enormi e larghi con uno spesso smalto e masticavano nella parte posteriore della mascella. I grandi archi zigomatici consentivano la presenza di grandi muscoli masticatori alla mascella e davano al P. robustus individui il loro caratteristico viso largo e piatto. Una grande cresta sagittale forniva un'ampia area per ancorare questi muscoli masticatori al cranio. Questi adattamenti hanno fornito a P. robustus la capacità di macinare alimenti duri e fibrosi. L’area in cui vivevano era una savana arida, con poca acqua. I robustus erano prettamente vegetariani, si nutrivano di tuberi, ma anche di termiti, formiche, uova e piccoli animali.
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. PARANTHROPUS BOISEI Di questi esemplari rimangono un cranio quasi completo, definito ‘Schiaccianoci’ per l’estrema robustezza dell’apparato masticatorio rinforzato da una robusta cresta sagittale, rinvenuto nella gola di Olduvai (Tanzania), datato 1,9 milioni di anni; e un altro cranio sulle sponde del Lago Turkana (Kenya) datato 2,8 milioni di anni.
Il P. Boisei fu il più grande dei parantropi, con molari enormi rispetto agli altri ominimi. Si nutriva tritando con i molari i semi delle graminacee e i duri rizomi delle erbe. Viveva nelle distese erbose di savana semiarida ed in foreste limitate ed umide, probabilmente prediligeva dimorare ai margini dei corsi d'acqua. Non è da escludere che Boisei fosse in grado di fabbricare rudimentali utensili, magari per scavare il suolo alla ricerca di tuberi.
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Il P. Boisei è stato uno degli ominimi vissuti per più tempo ed ha convissuto a lungo senza ulteriori evoluzioni fino a quasi 1 milione di anni fa con i primi rappresentanti del genere Homo. E’ stato l'ultimo Parantropo a scomparire. I KENIANTROPI
KENIANTHROPUS PLATYOPS I resti sono stati rinvenuti a Lomekwi (Kenya), E’ datato 3,5 milioni di anni; viveva in un habitat alberato ai margini di un lago ricco di canali e vegetazione. Il cranio presenta una porzione neurocranica arcaica, la faccia è molto larga e piatta I fossili mostrano una faccia larga e piatta, con un lieve prognatismo. non molto diversa da uno scimpanzé e ossa del piede che sembrano indicare un'andatura eretta. I denti sono intermedi tra quelli delle scimmie antropomorfe e quelli umani. Il Kenyanthropus aveva un foro uditivo piccolo, come quello dei moderni scimpanzé e altre caratteristiche comuni agli ominimi primitivi come il cervello piccolo; si differenzia però per le ossa mandibolari alte e un piano piatto dietro all'osso del naso che gli conferisce il caratteristico aspetto a faccia piatta.
Secondo alcuni paleoantropologi il Kenyanthropus non rappresenterebbe una specie a sé stante, ma potrebbe essere una varietà di Australopithecus afarensis, vissuto nello stesso periodo e nelle stessa area, o una specie di Australopithecus e quindi da classificare come A. platyops. Secondo altri, la faccia piatta è simile al reperto dell'Homo rudolfensis, e quindi sarebbe già un antenato del genere Homo. In attesa di ulteriori e più significativi ritrovamenti il dibattito rimane aperto.
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CAP III – GLI HOMO L'avvento del genere Homo avvenne all'inizio del Paleolitico inferiore, cioè in quel periodo iniziato circa 2,5 milioni di anni fa (si fa coincidere il suo inizio con l'apparizione delle prime pietre scheggiate dagli ominidi, o periodo olduvaiano [dal sito archeologico di Oldowai, in Tanzania, dove sono stati ritrovati i fossili]) e conclusosi circa 120 000 anni fa. La storia del genere Homo è lunga, complessa e di grande rilevanza per la comprensione dell'attuale variabilità umana: quella Homo è una famiglia (tecnicamente, un genere) alquanto affollata, e lo è sempre di più, grazie a nuovi ritrovamenti. Delle varie forme di Homo apparse in questo lungo arco temporale, solo una specie, Homo sapiens sapiens, sopravvive al giorno d'oggi. Come genere, Homo si distingue da Australopithecus per il considerevole incremento delle dimensioni del cervello rispetto alla massa corporea, per l'evoluzione di una stazione eretta pienamente sviluppata e di una locomozione bipede specificamente adatta a camminare e correre su grandi distanze, per la tendenza a procurarsi il sostentamento tramite battute di caccia su larga scala, per la grande dispersione geografica. E’ ancora oggetto di discussioni chi sia stato il primo rappresentante della specie Homo: H. habilis è stato a lungo considerato il primo membro della linea evolutiva di Homo, ma una serie di nuovi ritrovamenti ha decisamente cambiato le teorie precedenti, e non si è ancora arrivati ad una classificazione accettata da tutti gli studiosi. In attesa di nuovi ritrovamenti che potrebbero cambiare ulteriormente la storia dell’evoluzione umana, prima dell’H. habilis descriverò due specie di homo (Naledi e Gautengensis) più antiche dell’H. habilis, ma ancora di controversa collocazione. HOMO NALEDI L’Homo Naledi è un ominimo i cui resti, datati a circa 2,5-2 milioni di anni fa, furono individuati in un ambiente sotterraneo delle grotte di Rising Star (Johannesburg, Sud Africa). Questa specie, alta circa 150 cm, mostra caratteristiche intermedie tra Australopithecus e Homo: la morfologia del cranio, della mandibola e dei denti sono simili a quelli delle altre specie di Homo, ma le dimensioni del cervello, circa 560 cc, sono comparabili a quelle di Australopithecus; gli arti inferiori hanno una forma molto simile a quella di Homo mentre la conformazione del bacino ricorda quella di Australopithecus afarensis; le proporzioni delle dita della mano sono simili a quelle dell'essere umano di oggi ma le falangi prossimali sono estremamente ricurve, adatte a una specie abituata ad arrampicarsi. La forma delle vertebre è simile a quelle delle specie del genere Homo mentre la cassa toracica si allarga nella parte inferiore come nell’Afarensis. Allo stesso tempo, i polsi mostrano caratteristiche moderne che lasciano pensare – anche se non ne sono stati trovati – che Homo naledi utilizzasse utensili. Questo ominimo aveva inoltre denti piccoli, probabilmente consumava cibo cotto. Le gambe sono snelle, adatte a camminare in posizione eretta per lunghe distanze.
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Allo stato attuale gli studiosi ritengono che esso sia una forma transizionale tra gli australopitechi e le prime forme di Homo.
Le mani dalle dita curve mostrano che Homo Naledi era in grado di muoversi tra gli alberi, mentre il piede è molto simile a quello di un uomo moderno
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HOMO GAUTENGENSIS L’Homo gautengensis, secondo gli ultimi ritrovamenti, è attualmente ritenuta la forma più antica del genere Homo, anche se è ormai accertato che non è un diretto ascendente della linea evolutiva che diede origine all’Homo sapiens. L’Homo gautengensis abitò nell’Africa meridionale tra 1,9 e 1,8 milioni di anni fa.
Camminava in posizione eretta, era alto un metro e pesava circa 50 kg: in proporzione, rispetto agli uomini moderni, aveva braccia lunghe, un viso sporgente (un po’ come gli scimpanzé), denti più grandi e un cervello più piccolo ma comunque sufficiente per una qualche forma rudimentale di linguaggio. Benché sia probabile che H. gautengensis vivesse soprattutto al suolo, vi sono segni che indicano che passasse parte del tempo fra i rami. Era onnivoro, i suoi denti molari e premolari erano relativamente grandi, suggerendo che la sua dieta includesse piante che richiedevano una certa masticazione. Alcuni resti fossili suggeriscono che praticasse il cannibalismo. Infine, sembra che producesse ed utilizzasse arnesi in pietra – anche se abbastanza primitivi - e che fosse in grado di accendere il fuoco e di cuocere i cibi, come sarebbe dimostrato dall'esistenza di ossa animali bruciate nei pressi dei resti dei suoi fossili.
HOMO HABILIS L’Homo habilis è ritenuto uno dei primi rappresentanti del genere Homo: comparve circa 2,8 milioni di anni fa in Africa orientale (Tanzania, Etiopia, Kenya) e nel Sud Africa. Aveva ancora caratteristiche piuttosto scimmiesche, come braccia lunghe e faccia sporgente, simile pertanto agli Australopitechi, ma rispetto ad essi presenta caratteri nuovi, concentrati principalmente nella morfologia cranica. La capacità cranica era di circa 600–750 cc che, sebbene inferiore alla media degli uomini moderni, è decisamente superiore a quella degli australopitechi, i quali, ad esclusione di P. boisei, non superavano
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la soglia dei 500 cc considerata da alcuni paleoantropologi uno dei caratteri discriminanti per l'attribuzione di una specie al genere Homo. Nei fossili cranici si rileva un certo sviluppo delle aree cerebrali del linguaggio articolato (area di Broca e area del Wernicke); molto probabilmente questo ominimo faceva uso di un linguaggio gestuale, con segnali vocali semplici.
Alcuni studiosi attribuiscono questo incremento al comportamento di ricerca del cibo: le specie frugivore hanno bisogno di un impegno maggiore nella ricerca del cibo e quindi di un cervello più grande. Secondo altri sarebbe stata la crescente complessità sociale a stimolare l'aumento delle dimensioni cerebrali. Non esiste comunque prova, nell'uomo moderno, di correlazione tra intelligenza e dimensione cerebrale. La volta cranica risulta essere più arrotondata che nel genere Australopithecus anche se la massima espansione è ancora molto bassa e vi sia ancora una moderata costrizione retrorbitale. La cresta sagittale, punto di attacco dei muscoli temporali, è assente. La fronte ha una crescita più verticale delle specie precedenti sebbene essa sia ancora sfuggente se comparata alle specie successive. La prominenza sopraorbitaria è presente anche se decisamente ridotta. La faccia presenta dimensioni ridotte rispetto agli australopitechi, così come presenta un minore prognatismo medio-facciale. L’arcata dentale è pressoché parabolica con denti in generale più moderni che nelle specie di ominimi fino a quel momento vissute: infatti presenta incisivi larghi e molari e premolari allungati e stretti. Le braccia erano sproporzionatamente più lunghe delle gambe; l’andatura era bipede. Non usavano le parole ma i gesti. Come suggerisce il nome, questa specie di homo era abile, cioè era capace di costruire strumenti in pietra: si trattava degli utensili più avanzati mai usati finora, e diedero a H. habilis la capacità di prosperare in un ambiente ostile, in precedenza troppo pericoloso per i primati. H. habilis aveva una scatola cranica più sviluppata degli ominidi che l’avevano preceduto, ma mascelle relativamente meno potenti, perché la sua dieta era diventata onnivora: comprendeva cioè una buona base di carne, che si procurava facendo lo “spazzino”, cioè scacciando iene e altri predatori dalle
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carcasse degli animali morti, spesso agendo in gruppo con altri simili. I suoi utensili di pietra servivano soprattutto a rompere le ossa per mangiare il midollo, un cibo molto nutriente.
Vicino ai fossili dell’Habilis sono stati trovati moltissimi manufatti di pietra dalla fattura elementare: tra questi i ciottoli scheggiati da un solo lato (detti Chopper) o da entrambi (Chopping Tools), generalmente di selce; il ciottolo veniva scheggiato da un altro ciottolo che fungeva da percussore, con un colpo perpendicolare alla superficie; si crea così un utensile dal bordo tagliente. Con gli strumenti da loro costruiti gli Habilis scavavano radici o stanavano insetti; talvolta una scheggia particolarmente tagliente veniva usata per derubare i predatori dei resti di carne lasciati incustoditi su una carcassa, tra avvoltoi e sciacalli. Al primo segnale di pericolo, comunque Habilis si rifugiava sugli alberi. Habilis inoltre possedeva un'organizzazione sociale più articolata rispetto a quella degli australopitechi e degli scimpanzé; sono state identificate aree che corrispondono a capanne costruite e frequentate a scopo di abitazione o di lavorazione della selce o preposte alla spartizione del cibo. L'ambiente in cui viveva era costituito da una savana semiarida aperta o piccole foreste locali. Si pensa che habilis frequentasse periodicamente luoghi ricchi di fonti d'acqua, di cibo e di materiale litico adatto a fabbricare manufatti. L’habilis si nutriva di frutti, radici, bacche e piccoli animali. L’Homo habilis coesistette con altri bipedi primati - come il Paranthropus boisei - ma, forse a causa dell'utilizzo di utensili e per la sua dieta meno specializzata, divenne il precursore di un'intera linea di nuove specie, mentre il Paranthropus boisei e le specie correlate scomparvero. In questo periodo il clima africano iniziò a divenire più secco e freddo. Alcuni ipotizzano che il fuoco sia apparso in questo periodo perché alcuni siti mostrano tracce di combustione che può essere comunque stata spontanea.
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HOMO RUDOLFENSIS Negli stessi luoghi e nello stesso arco temporale, in concomitanza con Homo habilis, visse una seconda specie di Homo, l’Homo rudolfensis, di dimensioni più massicce, che abitava le zone più aride. I suoi fossili sono stati ritrovati nel bacino del Lago Turkana, in Kenya. Visse circa due milioni di anni fa, ma non ebbe una lunga esistenza, nettamente soppiantato dal suo rivale evolutivo: sparì circa 1,8 milioni di anni fa senza particolari segni di evoluzione. E’ possibile che l’utilizzo di spazi aperti e l’antagonismo con i mangiatori di carne della savana abbia esposto il Rudolfensis ad una precoce scomparsa.
I resti che permangono a disposizione degli studiosi sono davvero pochi, e ciò quindi non ci permette di capire chiaramente quale aspetto avesse e come si comportasse in società. Era comunque molto simile all'Habilis per aspetto e comportamenti. Rispetto all’Habilis l’H. rudolfensis aveva una capacità cranica più grande (780 cc)., una faccia più lunga e denti molari e premolari più grandi. A causa delle ultime due caratteristiche, alcuni scienziati pensano che questa specie potrebbe essere meglio considerata un Australopiteco, anche se con un cervello grande. Ci soffermiamo un istante per guardare lo scenario attorno all’area del lago Turkana 2 milioni di anni fa, dove coesistettero diverse specie di ominidi, ognuno con nicchie diverse. Il lago Turkana è un grande lago dell'Africa centro-orientale, situato nella Rift Valley, nel nord-ovest del Kenya; solo la parte settentrionale, in corrispondenza del delta del fiume Omo, si trova in Etiopia. Nelle zone più aride, dove la prateria si estendeva sull’altipiano lavico, si muovevano i Boisei che si nutrivano con i semi delle graminacee e i baccelli delle acacie; nelle aree dei fiumi stagionali, dove vi erano numerosi alberi, tra cui immensi sicomori (alberi simili ai fichi moderni), convivevano le ultime
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popolazioni di A. africanus con i discendenti Habilis; nelle zone aperte, tra questi due estremi, il Rudolfensis, che utilizzava le sfumature ambientali, utilizzando sia le rive del lago sia le pendici della scarpata del Rift.
HOMO ERGASTER Dall’Homo habilis sembra che discenda direttamente l’Homo Ergaster, che comparve circa 2 milioni di anni fa. La sua presenza è certa fino ad almeno 1,5 milioni di anni fa. E’ ritenuto la specie di ancoraggio per tutti gli Homo successivi. Ergaster presenta un aumento significativo sia nell'altezza che nella massa ossea, il che indicherebbe un regime di vita in cui era necessaria una grande forza fisica: i maschi presentavano una corporatura molto alta e longilinea, e potevano raggiungere anche i 1,80-2 m per 65 Kg. Il cranio presentava un’arcata sovraorbitale di figura prolungata, molto probabilmente il risultato dei lobi frontali ed occipitali espansi. La capacità cranica era aumentata sino a 800-900 cc. I piedi lunghi ed il formato aumentato del cervello hanno fatto di Ergaster un tipo adatto all’espansione: i fossili ci dicono che si è diffuso dall'Africa nord orientale all’Asia centrale ed orientale e forse anche nell’Europa meridionale.
[Ergaster maschio e femmina]
Con l’Ergaster, si passa dall’industria olduvaiana a quella acheuleana, databile intorno ad 1,4 milioni di anni fa, caratterizzata dall’uso di uno strumento bifacciale (o amigdala), conformato a mandorla o triangolare, appuntito, con due facce convesse interamente scheggiate ed un margine tagliente perimetrale.
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I bordi taglienti delle amigdale acheuleane servivano per raschiare e tagliare, mentre la loro estremità, più o meno appuntita, era utilizzata per martellare e perforare. Forse serviva anche come arma da lancio. Con Ergaster compaiono inoltre molte delle caratteristiche sociali e del comportamento delle popolazioni umane, del cacciatore-raccoglitore di oggi: lo sfruttamento delle risorse di zone geografiche molto grandi, la stabilità di lunga durata nelle procedure di lavorazione della pietra, lo sviluppo di un linguaggio complesso vocale e gestuale. HOMO ERECTUS Circa 1,65 milioni di anni fa comparve una nuova specie, l’Homo erectus, ritenuto un’evoluzione dell’Ergaster. Egli apparve in Africa orientale (Etiopia, Kenya - specialmente intorno al Lago Turkana - e in Tanzania) e successivamente si diffuse nel Sud Africa e nell'Africa settentrionale. L’Homo erectus era contraddistinto da una forte sporgenza sopraorbitaria, assenza di fronte e prognatismo.
La capacità cranica era piuttosto elevata (da 813 cc ai 1059 cc); poteva raggiungere i 2 metri di altezza, ed era dotato di grande forza fisica nonostante i 50 Kg di peso; le braccia avevano una proporzione più “umana”, le gambe erano lunghe e agili. La cultura dell’Homo erectus denota un sicuro livello umano: lavorava le pietre su entrambe le facce, viveva in capanne costruite con vegetali, fango e pietre, si vestiva con abiti. Usava anche un linguaggio più articolato. La sua economia si basava sulla caccia e sulla raccolta. Con la presenza dell’Homo erectus si ha anche la “domesticazione” del fuoco, a partire da almeno mezzo milione di anni fa. Pare documentato il trattamento di crani per qualche rituale funerario, forse di antropofagia. La vita di Homo erectus fu lunghissima, 1,5 milioni di anni, ed in tale periodo fu l’unico homo presente sulla Terra.
[38]
* Ragazzo di Turkana Ragazzo di Turkana è il nome con cui è comunemente conosciuto il fossile KNM-WT 15000, ritrovato presso il Lago Turkana in Kenya. Si tratta di uno scheletro di un giovane Homo erectus (anche se alcuni studiosi preferiscono considerarlo appartenente all’Ergaster) quasi completo (mancano soprattutto mani e piedi), risalente a circa 1,6 milioni di anni fa all'inizio del Pleistocene. Si ritiene che al momento della morte avesse un’età variabile tra gli 8 e i 12 anni.
L'analisi delle ossa in particolare la lunghezza del femore che ancora non si era ossificato completamente, fecero supporre una statura di 160 cm, che sarebbero diventati 185 cm al raggiungimento dell'età adulta. Il peso è stato stimato in circa 68 kg. La capacità della scatola cranica era di 880 cm³, che sarebbero diventati 910 cm³ in età adulta.
In complesso lo scheletro aveva caratteristiche come la postura inclinata in avanti, l'arco sopraciliare pronunciato e l'assenza di mento; anche le braccia erano più lunghe delle attuali. È stato inoltre ipotizzato che avesse già una ricopertura di peli corporei molto ridotta, il che avrebbe favorito i movimenti e la termoregolazione nella savana. Lo studio della morfologia interna del cranio, permette di osservare una concavità per un sufficiente sviluppo dell'area di Broca, una delle principali aree corticali dedicate all'articolazione del linguaggio, tuttavia il ragazzo di Turkana probabilmente era solo in grado di articolare suoni. L'esemplare soffriva di scoliosi, e la causa della morte è probabilmente da attribuire ad una setticemia causata dall'infezione di un dente molare o a un incidente. Migrazioni. Circa 1,8 milioni di anni fa, l’intraprendente genere Homo erectus decise di uscire dall’Africa e di andare alla conquista di nuove terre: migrò in altre parti dell'Africa, in Medio Oriente, in Georgia in Europa, in Cina ed in Asia del sud (fino a Giava e Borneo). Sono stati ritrovati fossili che attestano questa migrazione dell’Homo erectus, che però sono di varia datazione e di difficile collocazione nella storia dell’evoluzione umana.
[39]
Vedremo adesso le specie di Homo derivate dalle migrazioni dell’Erectus. HOMO ERECTUS GEORGICUS In Georgia,tra le montagne del Caucaso a pochi chilometri dal confine con l'Armenia, si trova uno dei siti archeologici più straordinari e importanti del mondo. È da Dmanisi – piccolo centro abitato situato a meno di cento chilometri a sud di Tbilisi – che sarebbero passati i primi uomini che lasciarono il continente africano per popolare il continente euroasiatico, rappresentando la più antica popolazione umana fuori dall'Africa. In quest’area, secondo gli archeologici circa 1,8 milioni di anni fa si stabilì l'Homo erectus georgicus,
Nel sito archeologico sono stati trovati i crani di almeno cinque individui, diversi per sesso e per età ma decisamente contemporanei: un maschio anziano e privo di dentatura, due maschi maturi, una giovane donna e un adolescente di sesso ignoto. Era una specie piuttosto primitiva nel cranio (capacità cranica di soli 600 cc) e nella parte superiore del corpo, ma con colonna vertebrale e arti inferiori piuttosto sviluppati, in grado di permettere una buona mobilità.
[40]
Aveva una scatola cranica piccola, il volto allungato, la mascella superiore quasi scimmiesca, grandi denti. Tutti elementi che rimandano alle antiche specie africane. Gli altri crani, invece, mostravano caratteristiche che richiamavano quelle del più moderno Homo erectus, asiatico. Dei 5 crani, quello riferito all’uomo più anziano [qui la ricostruzione], troviamo che è totalmente privo di denti e con un evidente rimodellamento alveolare: questo dato fa ritenere che doveva nutrirsi di cibi teneri e potrebbe indicare un principio di cure agli anziani tali da consentire al soggetto la sopravvivenza, in quanto non più in grado di masticare. HOMO DI GIAVA Sull'isola di Giava l’Homo erectus sarebbe migrato attraversando i ponti di terra che oltre un milione e mezzo di anni fa congiungevano Giava all'isola di Sumatra.
L’Homo di Giava è il nome dato ai fossili scoperti nel 1891 a Trinil, sulle rive del fiume Begawan, nell'isola di Giava in Indonesia. I fossili sono datati tra 1,8 e 1 milioni di anni fa e hanno i caratteri dell’Homo erectus. I numerosi fossili di Homo di Giava attestano un processo evolutivo durato più di 1 milione di anni. La loro capacità cranica era di circa 900 cc e possedevano una dentatura di ragguardevoli dimensioni, in particolar modo per quanto riguarda i canini. Sono stati trovati manufatti in pietra, datati 1.66 milioni di anni fa, che rappresenterebbero una delle più antiche evidenze di manifattura umana di reperti di pietra al di fuori dell´Africa.
[41]
HOMO FLORESIENSIS Da Giava l’Homo erectus si sarebbe poi spostato attraverso l'uso di zattere nell'isola di Flores, che oggi è a circa 24 km dall'isola successiva e che anche all'epoca era completamente circondata dall'acqua. I fossili di Homo floresiensis (soprannominato Hobbit) sono stati trovati sull'isola di Flores, in Indonesia e risalgono a circa 100.000 e 60.000 anni fa. Più recenti scoperte suggeriscono che l’ Homo floresiensis potrebbe essere sopravvissuto fino a 12.000 anni fa. Gli individui di H. floresiensis erano alti circa 110 cm, avevano piccoli cervelli, grandi denti per le loro piccole dimensioni, spalle in avanti con le spalle alzate, senza menti, fronte sfuggente e piedi relativamente grandi a causa delle loro gambe corte. Nonostante il piccolo corpo e le dimensioni del cervello, H. floresiensis fabbricò e usò strumenti di pietra, e potrebbe aver usato il fuoco.
La statura diminutiva e il piccolo cervello di H. floresiensis possono essere il risultato di un processo evolutivo che ha portato all'isolamento a lungo termine e alla mancanza di predatori. Alcuni scienziati stanno considerando la possibilità che gli antenati di H. floresiensis possano essere stati già bassi di statura quando raggiunsero per la prima volta Flores.
HOMO ERECTUS PECHINENSIS I resti dell’Homo erectus di Pechino vennero trovati a Zhoukoudian (nei pressi di Pechino, da cui il nome), in Cina.
[42]
I fossili sono datati ad un periodo compreso fra i 680.000 e i 780.000 anni fa e rimarcano anch’essi la struttura dell’Homo erectus. Sembra certo che conoscesse l’uso del fuoco e che sapesse conservare anche la scintilla. Sono stati trovati numerosi manufatti in pietra, ricavati da materiale proveniente dalle zone circostanti, per le più di piccole dimensioni e di diverso tipo. L’Homo di Pechino si nutriva della frutta raccolta e della selvaggina cacciata. GLI HOMO IN EUROPA HOMO ANTECESSOR L'Homo antecessor (dal latino "esploratore" o "pionere") rappresenta la più antica specie di ominimi vissuta in Europa. Visse tra 600 000 e 250 000 anni fa. E’ possibile ipotizzare che si tratti di popolazioni provenienti dal Nord-Africa, spostatesi via mare e sviluppatesi autonomamente in Europa Meridionale. I suoi resti furono scoperti ad Atapuerca, nella Spagna settentrionale. Sono decine di frammenti di ossa umane - tra i quali un ragazzo il cui teschio è parzialmente intatto - e animali e di utensili.
[Homo antecessor. A dx, ricostruzione di una femmina mentre pratica cannibalismo]
[43]
Antecessor presenta sia tratti arcaici (conformazione della zona infra-orbitale, scarsa proiezione nasale, dentizione) che tratti più moderni: il cranio ad esempio ha una capacità di 1000 cc. Accanto ai resti di Antecessor sono stati rinvenuti manufatti litici dell’industria Acheuleana, resti di animali di cui si cibava, ma anche segni evidenti di cannibalismo. HOMO HEIDELBERGENSIS Precedentemente chiamato Homo sapiens arcaico, l’Homo heidelbergensis sarebbe un’evoluzione dell’Ergaster. Vissuto fra 600.000 e 100.000 anni fa, era originario dell’Africa, e successivamente si espanse in Europa e Asia occidentale. L’Heidelbergensis, rispetto alle altre specie più strettamente congeneri, era di dimensioni particolarmente sviluppate: i maschi presentavano un’altezza di oltre 175 cm, con un peso superiore ai 100 kg, le femmine rispettivamente 160 cm e 51 kg. La sua massa muscolare era notevole ed aveva una forza poderosa. Il cranio presenta un volume più ampio (1350 cc.), ma è ancora relativamente basso e allungato, la fronte è meno schiacciata, le orbite meno pronunciate.
La morfologia dell'orecchio esterno depone per una sensibilità uditiva simile a quella degli esseri umani moderni e maggiormente complessa di quella dei suoi parenti più stretti: Homo heidelbergensis poteva quindi distinguere molti suoni diversi. Numerose analisi sui denti suggeriscono che fossero in grado di produrre suoni complessi in quantità rilevante, facilitando in questo modo la trasmissione di esperienze e la formazione di culture che, sebbene ancora primitive, erano molto più sofisticate di quelle incontrate fino a quel momento. L’Heidelbergensis era monogamo, viveva in grandi capanne nei villaggi, conosceva il fuoco. Sono stati trovati utensili in pietra molto grezzi, quindi aveva un’abilità tecnologica limitata. Si cibava sia di vegetali sia di carne, ma non sempre cacciava la selvaggina, sfruttando spesso le carogne di animali già morti.
[44]
* Homo Cepranensis E’ il nome proposto da alcuni paleontologi per identificare l'uomo di Ceprano o Argil, datato 400.000 anni fa, i cui fossili sono stati trovati a Ceprano, in provincia di Frosinone. Rappresenta
l’uomo
primitivo
più
antico
trovato in Italia, e la ricostruzione dei suoi fossili lo si fa identificare come un Homo heidelbergensis. La sua capacità cranica era di 1180–1200 cc. Il principale carattere distintivo è il toro orbitario
che
presenta
un
accenno
di
separazione dei rilievi sopraciliari da quello che
sarà
nell'uomo
moderno
il
trigono
sopraorbitario.
HOMO NEANDERTHALENSIS Discendente dell’Homo heidelbergensis fu l’Uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis), che prende il nome dalla valle di Neander (Neandertal) presso Düsseldorf in Germania, dove vennero ritrovati i primi resti fossili. Visse in Europa e nell'Asia occidentale nel periodo paleolitico medio, compreso tra i 200 000 e i 40 000 anni fa, in un periodo climatico molto rigido (glaciazione di Wurm).
[A ea di diffusio e dell’Ho o ea de thale sis]
Le proporzioni del corpo erano adattate alle basse temperature: arti corti e molto robusti, altezza 160 cm peso 84 Kg per i maschi, 150 cm e 80 Kg per la femmine. La capienza del cervello era un po’ più grande degli esseri umani moderni (1450 cc in media, ma arrivava anche a oltre 1800 cc).
[45]
[A sinistra cranio di Homo sapiens sapiens, a dx cranio di uomo di Neanderthal]
Presentava una mascella sporgente, mento debole e una fronte sfuggente: il cranio era più lungo e più basso di quella degli uomini moderni con un profondo rigonfiamento nella parte posteriore. Il naso grande e ampio era una caratteristica da clima freddo: con questa
conformazione
riusciva
a
riscaldare e umidificare in modo più efficace l'aria in climi freddi e soprattutto permetteva loro di incamerare più ossigeno. Le ossa erano spesse e pesanti con segni di potenti collegamenti muscolari. Camminava
con
le
ginocchia
leggermente piegate.
Ricerche basate su tecniche avanzate di biologia molecolare, ipotizza che la specie, in Europa, abbia sviluppato individui di carnagione bianca con capelli rossi; il tipo di pigmentazione è in accordo con la scarsa irradiazione colonizzato.
[46]
ultravioletta
del
territorio
[Donna di Neanderthal con carnagione chiara e capelli rossi]
Fu una specie di
Homo molto evoluta, in possesso di
tecnologie elevate: era in grado di costruire capanne, conosceva l’uso del fuoco, era un grande cacciatore (orsi e mammut) e cacciava a gruppi , praticava l’uso del cannibalismo rituale, utilizzava la clava e si vestiva con pellicce. Avevano
buona
conoscenza
delle
piante
officinali,
sfruttandone le proprietà antiinfiammatorie e antibiotiche per curarsi. Anche il comportamento sociale era piuttosto avanzato: i legami affettivi erano sviluppati, come testimonia il fatto che la comunità si prendeva cura degli anziani e dei disabili (come testimoniano i resti di individui morti in tarda età con presenza pregressa di traumi o fratture). Con i Neanderthal si hanno anche le prime forme di seppellimento dei defunti corredati da fiori, cibo, armi, indicanti una presa di coscienza del concetto di morte e di vita post-mortem.
[Tomba a La Chapelle-aux-Saints, Francia]
[47]
L’Homo neanderthalensis probabilmente suonava la musica: a Divje Babe (Slovenia) è stato rinvenuto un flauto corto a tre fori, ben levigati, costruito circa 43.000 anni fa con un frammento diafisario di femore di orso delle caverne perforato con regolarità. Quest’osso è probabilmente
il
primo strumento musicale della storia.
Convissuto nell'ultimo periodo della sua esistenza con lo stesso Homo sapiens, l'Homo neanderthalensis scomparve 30.000 anni fa, in un tempo relativamente breve. L’estinzione dei Neanderthal, fu probabilmente dovuta ad una concorrenza alimentare con i Sapiens che favorì quest’ultimi più culturalmente più avanzati, più forti nella corsa, od alla trasmissione di malattie sconosciute ai Neanderthal. Anche l’avvenuto aumento di temperatura registrato in quel periodo con il ritiro degli ultimi ghiacciai può aver sfavorito chi si era così tanto specializzato per il freddo. L’uomo di Neanderthal in Italia risale a 250.000 anni fa (sito di Saccopastore, nel Lazio; nella foto i reperti fossili e la ricostruzione del volto).
L’Homo sapiens ha incontrato e si è ibridato più volte con i Neandertaliani: i primi incontri sono avvenuti nel Vicino Oriente circa 100.000 anni fa, poi di nuovo si sono verificati altre ibridazioni in Asia Centrale, circa 60.000 anni fa, e infine altre volte ancora, quando Homo sapiens è arrivato sul suolo europeo, circa 43.000 anni fa. I genetisti assicurano che qualcosa (molto poco) dell'uomo di Neanderthal è rimasto nei nostri geni: alcune varianti genetiche sono presenti tra l'1 al 3% per gli europei, circa il 4% nelle popolazioni asiatiche, mentre negli africani non sono mai stati riscontrati geni neanderthaliani. Questo lo si spiega con il fatto che c'è stata una certa mescolanza tra i neanderthaliani e i sapiens nelle zone in cui vivevano i Neanderthaliani (l'Europa e una parte dell'Asia) e non l'Africa, dove i neanderthaliani non sono mai vissuti.
HOMO DI DENISOVA Tra le specie Homo, il meno conosciuto è senz’altro l’uomo di Denisova: ritrovato negli anni ‘70 nella Siberia centrale, se ne conoscono pochissimi resti fossili (la falange di un dito e pochi denti).
[48]
Visse in un periodo compreso tra 70.000 e 40.000 anni fa in aree popolate principalmente da Sapiens e in parte da Neanderthal, ma la sua origine e la sua migrazione apparirebbero distinte da quelle delle altre due specie. Studi genetici hanno confermato che i Denisoviani si incrociarono più volte con i Neanderthal, gli unici altri occupanti certi della caverna siberiana, e che entrambi si accoppiarono anche con i sapiens. Il Dna del dente fossile apparteneva a una ragazzina di 10-12 anni, chiamata Donna X, Data l'estrema limitatezza dei reperti, ben poco si sa sulle caratteristiche fisiche di questi individui. Il sequenziamento del genoma estratto dalla falange ha però permesso di definire che il soggetto esaminato è una femmina, dalla carnagione scura, con occhi e capelli castani. I paleoantropologi hanno ricostruito l’immagine del volto. E’ verosimile ipotizzare un'ibridazione tra Homo di Denisova e Homo sapiens, che ha interessato le popolazioni del sud-est asiatico antico e quelle, loro dirette discendenti, australiane. HOMO SAPIENS La precisa datazione dei primi esemplari definibili Homo sapiens va fatta risalire a circa 300.000 anni fa. Comparve nell’Africa orientale, ma circa 90.000 anni fa, in coincidenza con un evento di fortissima riduzione della popolazione globale, tuttora in fase di definizione, iniziò un percorso migratorio che attraverso un corridoio medio-orientale lo portò a colonizzare l'intero pianeta.
Raggiunse anche l'Australia, riuscendo persino a superare alcuni tratti di mare, e le Americhe (tra 15.000 e 12.000 anni fa), scendendo dal nord attraverso lo stretto di Bering ghiacciato e poi attraverso l'Alaska e il Canada, arrivando a colonizzare tutte le Americhe fino alla Terra del Fuoco sotto l'Argentina.
[49]
In Europa l’Homo sapiens apparve circa 45 mila anni fa: partì dal Marocco, oltrepassò lo stretto di Gibilterra (spesso asciutto a causa dell’abbassamento del Mediterraneo per le glaciazioni) e arrivò in Europa, dove occupò buona parte dei territori abitati dall’Uomo di Neanderthal, con cui convisse per qualche tempo. In circa 10.000 anni si sovrappose nei territori occupati dall’Homo di Neanderthal stanziandovisi e sopravanzandolo perché più intelligente, migliore costruttore di utensili, con una forma di linguaggio più evoluto, e più versatile rispetto all'ambiente. Fisicamente più alto anche se meno robusto risultò più adatto al nuovo clima pre-postglaciale (Glaciazione di Würm). Il primo esemplare di Homo Sapiens moderno del quale si sono ritrovato i resti è il cosiddetto Uomo di Cro-Magnon,, che risale a circa 40 mila anni fa, cosi chiamato perché i primi resti furono rinvenuti da un archeologo francese in una località della Francia chiamata appunto Cro-Magnon. Altri scheletri di uomini di Cro-Magnon sono stati ritrovati in Liguria. Gli uomini di Cro-Magnon erano piuttosto simili a noi nell’aspetto fisico. Gli uomini erano alti in media 1,80 m, con punte oltre 1,90 m, con gambe lunghe e braccia corte; pesavano 65 Kg; le femmine rispettivamente 1,50 - 1,60 m per 54 Kg. La capacità cranica andava da 1040 cc a 1595 cc (come quello dell'uomo di oggi). La faccia era larga e bassa, la fronte piatta, le arcate orbitarie poco marcate, il naso aquilino e prominente, e le mascelle più piccole rispetto ai suoi predecessori. Le mani erano robuste e i denti forti, per strappare la carne e per tenere gli oggetti. Gli uomini di Crô-Magnon avevano una dieta ben bilanciata di carne, grano, carote, cipolle, rape ed altri alimenti, sia vegetali che di origine animale. Praticava la caccia, la pesca e la raccolta. L’uomo di Crô-Magnon era dotato di una grande intelligenza e di capacità tecniche notevoli. Non solo comprese il valore del fuoco e imparò a conservarlo, ma seppe generarlo, utilizzando la pietra focaia per accendere il fuoco più facilmente e rapidamente. Perfezionò la capacità di lavorare la pietra, lavorò nuove rocce, come l’ossidiana. Fabbricò archi, scuri, bulini (attrezzi appuntiti per praticare fori in diversi materiali), arpioni dentati; usava aghi per cucire i propri vestiti e pare sapesse realizzare asole e bottoni; masticava la pelle degli animali per ammorbidirla e la usava, oltre che per farne abiti, per realizzare otri, cioè contenitori per l’acqua.
[50]
Costruì capanne estive e invernali usando rami, pietre, ossa di mammut e pelli di animali, trovando modi ingegnosi per fissare le pelli in modo che resistessero al cattivo tempo; ma utilizzò anche le caverne naturali come abitazioni. Nelle
caverne abitate
dai
Crô-
Magnon sono state ritrovate intere pareti dipinte, con figure di animali, cervi, cavalli, bisonti, mammut e di uomini. Nell’immagine le Grotte di Lascaux in Francia con graffiti rupestri. Queste figure, frutto di un lavoro lungo, accurato e impegnativo, facevano parte probabilmente di una sorta di rito magico per assicurarsi il successo nella caccia; forse si credeva che colpire l’animale rappresentato nel dipinto avrebbe favorito la sua cattura. Sapeva utilizzare il linguaggio, infatti dai resti arrivati fino a noi, i paleontologi hanno compreso che aveva gola e bocca che gli permettevano di parlare emettendo gli stessi suoni di noi esseri umani moderni. Inoltre, forse concepiva idee astratte come quella della bellezza, e per questo collane e braccialetti sono stati
ritrovati
nelle
sepolture.
Probabilmente
misurava il tempo e sembra che abbia costruito un vero e proprio calendario lunare. Una caratteristica dell’uomo di Crô-Magnon fu la cura della sepoltura dei morti che venivano avvolti con dei lacci, legati e raggomitolati. I corpi venivano colorati con ocra rossa e polvere di ematite e sepolti con oggetti ornamentali, come collane, braccialetti e corone di conchiglie. L'Homo sapiens si impose sulle altre specie appartenenti al genere Homo, causandone l'estinzione attraverso processi che gli studiosi stanno ancora indagando, e la sua sottospecie Homo sapiens sapiens, comparsa circa 35.000 anni fa, rimase l’unica specie umana che è la radice dell'umanità attuale. Dodicimila anni fa terminò l'ultima era glaciale, che favorì un'ulteriore evoluzione dell'Homo sapiens non più da un punto di vista fisico, ma culturale. Una nuova economia basata sull'agricoltura prese piede e sostituì nei gruppi umani più evoluti a livello sociale l'economia di caccia e raccolta. Il nomadismo venne meno e lasciò il posto alla creazione di primi nuclei di villaggi. Con lo sviluppo di società complesse tra il Neolitico e l'età dei metalli si assistette alla nascita della scrittura: la preistoria aveva fine e iniziava la storia di cui l'Homo sapiens continuò a essere protagonista.
[51]
APPENDICE: ÖTZI, L'UOMO DEL SIMILAUN. Nel 1991 venne ritrovato sulle Alpi Venoste, ai piedi del ghiacciaio del Similaun, a 3.213 s.l.m., un antico esemplare mummificato di homo sapiens, conservatosi grazie alle particolari condizioni climatiche all'interno del ghiacciaio. Assieme al corpo furono ritrovati anche resti degli indumenti e oggetti personali: un arco in legno di tasso, una faretra con due frecce pronte e altre in lavorazione, un pugnale di selce, un "correttore" per lavorare la selce, un'ascia in rame (dalla quale si evince un'estrazione medioalta dell'uomo, dato che il rame a quei tempi era un materiale pregiato), una perla in marmo, esche e acciarino e uno zaino per contenere questi oggetti. E’ stato chiamato Ötzi o anche l’Uomo del Similaun. Studi scientifici lo fanno risalire a un'epoca compresa tra il 5300 e 5200 a.C. (età del rame). Aveva occhi marroni, capelli scuri lunghi fin sulle spalle, che probabilmente portava sciolti. La sua corporatura era snella e scattante: alto circa un metro e sessanta, pesava una cinquantina di chili. Il suo numero di scarpe corrisponderebbe oggi a un 38. Era un maschio adulto, alto, ed al momento della morte doveva avere all'incirca 46 anni,
un'età
ragguardevole in un'epoca, l'età del rame, in cui l'aspettativa di vita media non era superiore ai 30-35 anni.
La mappatura genetica ha rivelato l'appartenenza al gruppo sanguigno 0, la predisposizione a malattie cardiovascolari, l'intolleranza al lattosio, la presenza della malattia di Lyme. Ricerche di foniatri hanno ricostruito la sua voce, gutturale e profonda.
[52]
L'alta quantità di arsenico nei capelli dimostra la frequente partecipazione alla lavorazione di minerali di rame. Horst Aspöck dell'Università di Vienna ha individuato una tricocefalosi – una infestazione parassitaria intestinale che può causare diarrea debilitante e anche dissenteria. Le felci contenute nella sua borsa probabilmente erano la terapia per questa parassitosi. Sono stati evidenziati segni di un trauma cranico precedente alla morte e la presenza di una punta di freccia in selce nella spalla sinistra (vedi foto a dx), penetrata a fondo in direzione del cuore, che ha colpito un'importante
arteria
causando
un
rapido
dissanguamento. La freccia fu scoccata dal basso e da una distanza di circa 100 metri.
Inoltre una ferita da taglio piuttosto profonda sulla mano destra lascerebbe intendere che Ötzi fu impegnato in una colluttazione poco prima di morire.
Ötzi è considerato il primo essere umano tatuato di cui si abbia conoscenza; sul suo corpo si trovano ben 61 tatuaggi; per questa ragione, è diventato molto famoso tra i tatuatori di tutto il mondo. La tecnica è diversa da quella moderna: non venivano usati aghi, ma erano invece praticate delle piccole incisure della pelle, poi ricoperte con carbone vegetale per ottenere l'immagine.
[53]
I tatuaggi dell'uomo del Similaun consistono in semplici punti, linee e crocette: si trovano in corrispondenza della parte bassa della colonna vertebrale, dietro il ginocchio sinistro e sulla caviglia destra. Poiché esami radiologici hanno individuato forme di artrosi proprio in quei punti, si presume che tali immagini avessero una funzione di tipo curativo o religioso, al fine di alleviare i dolori. I tatuaggi dell'uomo del Similaun consistono in semplici punti, linee e crocette: si trovano in corrispondenza della parte bassa della colonna vertebrale, dietro il ginocchio sinistro e sulla caviglia destra. Poiché esami radiologici hanno individuato forme di artrosi proprio in quei punti, si presume che tali immagini avessero una funzione di tipo curativo o religioso, al fine di alleviare i dolori. Altri studiosi hanno proposto che i tatuaggi fossero i punti per la pratica dell'agopuntura. I punti di pressione dell'agopuntura moderna (che è rimasta invariata per millenni in Cina e in Asia in generale), si discostano di poco da quelli dei tatuaggi dell'Uomo di Similaun, perciò è stato ipotizzato che i tatuaggi possano essere punti di pressione per questa tecnica.
La mummia del Similaun è conservata a Bolzano, al Museo archeologico dell'Alto Adige, in un'apposita struttura che mantiene le condizioni di conservazione del corpo pur permettendone l'osservazione attraverso una piccola finestra.
[54]
CAP IV – LA MEDICINA PREISTORICA E’ molto difficile fare un’adeguata ricostruzione scientifica dei primi atti curativi in età preistorica, poiché i reperti di medicina vera e propria a nostra disposizione non sono sufficienti; si possono solo fare semplici supposizioni basate sull’osservazione di graffiti, pitture murali o di sculture. Gli unici reperti a nostra disposizione risalgono a non prima di 100.000 anni fa, e sono relativi a lesioni traumatiche dello scheletro: sono fratture ossee (spesso ben consolidate), che derivano probabilmente dalle aspre lotte che gli esseri umani dovevano combattere contro gli animali e contro i loro stessi simili; non mancano certamente le fratture di altri segmenti dello scheletro dovute ad incidenti di altra natura (schiacciamenti, crolli, ecc.). Tra le altre patologie che hanno lasciato segni sullo scheletro figurano
la
carie
dentale,
la
piorrea
alveolare,
le
malformazioni ossee, il rachitismo, il gigantismo, l’anemia mediterranea. Da ricordare il rinvenimento di crani trapanati,
che
presentano processi di rigenerazione ossea, per cui si può affermare che l’intervento venne effettuato su un individuo vivo.
[Teschio trapanato risalente al neolitico. Natural History Museum, Lausanne/Rama]]
Potrebbe venire spontaneo il paragone nel campo medico tra l’uomo della preistoria e le moderne popolazioni selvagge (ad esempio i pigmei africani), ma non bisogna dimenticare che anche il popolo più primitivo di oggi ha già subito millenni di evoluzione. I- Medicina empirica e magica. Prima l'uomo si oppose con mezzi estremamente semplici, diremmo istintivi: ad esempio si lambiva le ferite con la propria saliva, praticava cioè quella che viene definita "medicina istintiva". Con il passaggio dell'ominide all'uomo, l'intelligenza e i sentimenti ebbero uno sviluppo più rapido e tumultuoso. Tutte quelle patologie che sono causate da agenti ben definibili (traumi, morsi di animali, ecc.) venivano trattate con rimedi naturali dettati da una ricerca empirica, anche osservando gli animali, o ingerendo determinate erbe. Ma allorché si trovava di fronte a fenomeni, la cui causa non era evidente (qualsiasi patologia interna) nell’uomo primitivo comparve la paura del soprannaturale, e si cominciò ad attribuire le malattie all’influenza di divinità o di demoni maligni, che si credeva penetrassero nell'interno del loro corpo per straziarne le carni.
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Fu poi naturale, per l'essere primitivo, pensare ad una determinata malattia mettendola in rapporto all'intervento di uno specifico genio malefico: egli concepì allora un universo sempre più affollato di deità, ciascuna delle quali "specializzata" per un dato male, ciascuno specifico di una determinata malattia. Non potendosi contro questi demoni lanciare sassi o rotear clave, l'unica soluzione ragionevole fu quella di tentare di rabbonirli con preghiere, offerte, sacrifici. In questa immagine a sin vediamo una pittura rupestre di un essere per metà umano e metà animale risalente al Paleolitico e rinvenuto nei pressi di Dordogna (Francia). È opinione degli archeologi che questo genere di figure indichino delle pratiche sciamaniche svolte sul luogo. Parallelamente come esistevano deità in grado di apportare le malattie, esistevano anche deità in grado di guarirle. Occorreva quindi trovare il modo di ingraziarsi anche queste ultime, magari ancor prima che quelle cattive prendessero il sopravvento. E' questa la seconda fase dell'evoluzione della Medicina, che gli storici chiamano magica o demonistica. In questa fase la diagnosi e la cura della malattia sono esclusiva competenza dei guaritori (sciamani, stregoni, maghi) oppure dei sacerdoti, cioè di quelle persone che erano in grado di intercedere tra il soprannaturale e il mondo umano. Tutte le antiche Civiltà considerano la medicina attributo del tempio, dove gli unici depositari sono i sacerdoti: più alta era la loro dignità, maggiore era il loro potere di fugare le malattie, anche con le sole parole. [Feticcio bakongo - Congo]
L’eziologia di qualsiasi patologia è spesso associata a un peccato commesso, anche involontariamente, dal malato contro divinità, stregoni, individui o oggetti dichiarati tabù (re, guerrieri, persone in lutto, donne mestruate, puerpere, chiunque abbia a che fare con cadaveri, alcuni animali) con i quali è proibito ogni contatto. Per difendersi dalle malattie si fa ricorso ad abluzioni, all’uso di amuleti o alla somministrazione di erbe medicamentose oppure anche a cerimonie, danze e riti collettivi a cui partecipa tutto il villaggio con a capo lo stregone: si cerca di scacciare il demone responsabile della malattia talvolta spaventandolo, talvolta allettandolo, altre volte ancora si ricorre al sacrificio o all’allontanamento di un capro espiatorio.
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Altre volte ancora si cercava di rendere il corpo inospitale per il demone, percuotendo, torturando e tenendo a digiuno il paziente. Lo spirito alieno poteva essere espulso anche con pozioni che provocavano vomito violento, oppure poteva essere estratto attraverso un foro praticato nel cranio.
[Antica danza taumaturgica eseguita nel villaggio di Tenguelan, in Costa d’Avo io] La trapanazione era anche un rimedio contro i disturbi mentali, l'epilessia e la cefalea. Quest'operazione
poteva
essere
semplice
o
multipla
con
l'asportazione di rondelle ossee. In un caso un cranio mostra che l'individuo ha subìto in vita quattro interventi con la sopravvivenza dopo i primi tre. La formazione del relativo callo osseo dimostra che questa operazione di chirurgia era svolta con particolare perizia e gli individui sopravvivevano alla fuoriuscita del materiale cerebrale. II- Anatomia Gli uomini preistorici avevano qualche nozione di anatomia, anche se naturalmente non avevano i concetti di apparati o di fisiologia. Nel sito di Ubirr (nord Australia) è possibile osservare un tipo di raffigurazione risalente a 20.000 anni fa che potremmo definire "arte a raggi x" perché oltre alle sagome delle figure, i primitivi hanno rappresentato, anche dei dettagli anatomici interni , non visibili quindi , come ad esempio la colonna vertebrale o le ossa delle gambe. III - Chirurgia Le
procedure
operatorie
nelle
società
antiche
comprendevano la pulizia e la cura delle ferite mediante cauterizzazione
(ossia
bruciatura
mediante
un
ferro
incandescente), e suture (rudimentali tentativi di richiudere i lembi dei tagli); la riduzione di lussazioni e fratture con l'utilizzo di stecche, oltre la trapanazione cranica come detto sopra.
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IV. Odontoiatria Anche i nostri antenati soffrivano di carie, ascessi e caduta di denti, probabilmente per l'alimentazione ricca di piante zuccherine. La scoperta - dall’analisi degli scheletri di cacciatori-raccoglitori dell'Età della Pietra che vivevano in Marocco 13.700 anni fa prova che questi problemi erano già diffusi alcuni secoli prima della stabilizzazione delle pratiche agricole e il conseguente abuso di carboidrati che da allora in poi ha caratterizzato il genere umano. “Gli uomini di Neanderthal non si lavavano i denti”: può sembrare una banalità, o un fatto di poco conto, ma è stata una fortuna per i ricercatori, che proprio grazie ai residui sui denti dei nostri cugini hanno ricostruito parte delle loro abitudini alimentari e di vita. Nella dentatura di un giovane individuo di Neanderthal [nel riquadro] nel sito spagnolo di El Sidrón è stata diagnosticata la presenza di un ascesso dentale, e sui denti sono stati trovate sequenze geniche di un batterio che provoca diarrea acuta (Enterocytozoon bieneusi) e il genoma quasi completo di un altro batterio orale, il Methanobrevibacter commensali, forse il più antico genoma microbico orale finora scoperto.
Attraverso l'analisi del DNA sulla placca sono stati trovati anche indizi di ciò che può essere interpretato come un tentativo di cura: sulla dentatura ci sono infatti anche indicatori della masticazione di muffe cresciute su materiale erboso (fonti di Penicillium, quindi un antibiotico naturale) e di foglie di pioppo (fonte di acido acetilsalicilico, il principio attivo alla base della nostra Aspirina). Questo ha permesso ai ricercatori di ipotizzare, seppure con molta cautela, che quel primo umano fosse consapevole del rapporto consequenziale tra il masticare muffe e
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foglie e la riduzione del dolore. A corroborare l'ipotesi c'è anche il fatto che dalle arcate dentarie di altri individui dello stesso sito non sono state rilevate le stesse tracce. I denti dell’Homo di Neanderthal specie delle femmine sono stati trovati molto consumati: questa sarebbe un conseguenze che le donne tenevano saldamente nei denti le pelli degli animali per ammorbidirle e conciarle. V- Gravidanza e parto Sono state rinvenute statuette preistoriche raffiguranti donne gravide dai caratteri molto esasperati, raffiguranti verosimilmente la dea del parto (nessun nome specifico). Queste piccole statuette, denominate appunto “Veneri“, sono di dimensioni ridotte – massimo 23 cm. – e si dice che fossero posizionate accanto alle pareti e sarebbero servite come amuleti. Teoricamente sarebbero state legate alla visione della donna, come simbolo della fecondità e della natura. Ciò è facilmente intuibile se si osservano i tratti marcati di queste statuette: seno, ventre, natiche, triangolo pubico e fianchi sono molto più esasperati rispetto alla testa e agli arti.
[Venere di Willendorf - 23 000 a.C. Pietra calcarea a tutto tondo, altezza 11 cm. Da Willendorf (Bassa Austria). Vienna, Naturhistorisches Museum] Queste statuette rappresentano la donna come espressione della stessa natura e quindi come Dea Madre. Essa esprime dunque il continuo ciclo di nascita - sviluppo – maturità – declino –morte - rigenerazione che caratterizza sia le vite umane sia i cicli naturali e cosmici. Il femminile risulta quindi un necessario elemento mediatore fra il mondo umano e quello divino.
Venere di Lespugue – Francia. 25.000 a.C.]
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[Dama del corno o Venere di Laussel (20.000 a.C.) Bo deaux, Musée d’A uitai e]
[Venere paleolitica di Brjansk (Russia) (zanna di mammuth) – 25.000 a.C.]
[Venere di Moravany (rinvenuta in Slovacchia) una statuetta in avorio di mammut datata attorno al 22.800 a.C.]
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[Venere di Hohle Fels, Germania, 38.000 - 34.000 anni fa]
[Signora di Brassempouy (Francia): frammento di una statuetta in avorio. Con un'età stimata di 25.000 anni è la più antica rappresentazione realistica di un volto umano mai trovata] Un’altra figura legata al mondo della medicina preistorica è l’Orsa, che con il suo andare in letargo e tornare alla vita, l’orsa raffigura la nascita, rappresenta perfettamente il ciclo di morte e rigenerazione: in Siberia ed in Alaska, l’orsa è vista in stretto contatto con la Luna, poiché anch’essa scompare in inverno e riappare in primavera. Nella mitologia greca, l’orsa accompagna la dea Artemide, divinità lunare.
[Orsa – Pittura rupestre, Grotta Chauvet, Francia]
L’orsa la troveremo anche nel mito di Atalanta, in cui la piccola abbandonata viene allattata da un’orsa. Questa simbologia legata agli orsi è rimasta fortemente legata a molte popolazioni in maniera benevola, in senso di protezione ed allontanamento da tutto ciò che nuoce all’essere umano: ad esempio, alcune popolazioni usavano riporre nelle culle dei neonati una zampa d’orso per proteggere i piccoli.
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L’orso, cioè il corrispondente maschile, era identificato nei riti di iniziazione dei maschi. Anche il cervo (o l’alce) era un animale sacro alla dea del parto.
[Cervo – Pittura rupestre, Lascaux, Francia 17.000 a.C.]
Il suo simbolismo è molto vicino a quello dell’orsa, in quanto anch’esso ritorna nella stagione primaverile, a simboleggiare un rinnovamento ed una eventuale rinascita. Elementi provenienti da corpi di cervo sono stati spesso ritrovati all’interno di sepolture preistoriche non solo in Europa, ma persino in Cina. Ancora oggi, nelle mitologie dell’Asia e dell’Europa settentrionali, la cerva gravida è una mistica elargitrice di vita. Anche in questo caso, la mitologia associa la cerva alla nutrice e alla femminilità: ricordiamo che questo animale si ritrova accanto ad Artemide nella mitologia greca; nel mito nordico l’eroe Sigfrido venne allattato da una cerva. Come per l’orsa, anche per quanto riguarda la cerva si può affermare che è di fondamentale importanza il suo corrispondente maschile che, con le sue lunghe corna, rappresenta l’albero della vita e la fecondità, oltre che i ritmi di crescita e le rinascite. VI- Piante medicinali L'erboristeria nella preistoria non è una semplice illazione, ma una constatazione provata da molti reperti archeologici. Nelle terremare di Parma e Varese sono stati rinvenuti semi di sambuco in vasi votivi, l'interpretazione degli studiosi è che servissero come rimedi salutari. Nelle palafitte di Casale e dell'isola di Burget, risalenti all'età del bronzo, si sono invece ritrovati semi di "Prunus spinosa" e di altre erbe; in altri villaggi palafitticoli sono stati invece ritrovati semi di papavero le cui virtù narcotiche sono state conosciute fino dalle epoche più remote. E’ verosimile che l’uomo primitivo osservasse il comportamento degli animali nella scelta delle piante medicinali: ecco comparire quella forma di medicina istintiva che permise all'uomo di iniziare una prima distinzione e selezione delle piante che hanno proprietà medicinali.
VII- Alimentazione Per millenni le erbe selvatiche sono state la principale risorsa alimentare per le popolazioni preistoriche, che hanno saputo sfruttare tutte le proprietà alimentari e mediche intrinseche delle erbe stesse. L’uomo antico, osservando gli animali, è riuscito ad individuare tutte quelle erbe che potevano essere utilizzate per la propria alimentazione. Le attività principali dell’uomo preistorico erano la caccia e la
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raccolta delle erbe allo stato selvatico, se la prima era compito quasi esclusivo del maschio, la raccolta delle erbe era affidata esclusivamente alle donne. La raccolta delle erbe allo stato naturale permetteva alle popolazioni antiche di integrare l’alimentazione con proteine vegetali e soprattutto carboidrati contenute nelle radici, nelle verdure a foglia, nelle bacche, nella frutta e nel miele che hanno assicurato la sopravvivenza del genere umano. Con la scoperta del fuoco l’uomo si appropria di importanti conoscenze e la sua alimentazione subisce una grande evoluzione. Questa casuale scoperta ed il suo impiego in cucina, consente di passare dal crudo al cotto, e di sviluppare anche nuove tecniche di conservazione. L’uso del fuoco consentì di rendere commestibili anche quegli alimenti che in precedenza non sarebbero potuti essere considerati tali.
VIII- Morte e sepoltura La morte fisica non appariva ai nostri progenitori preistorici come definitiva, ma come passaggio ad una nuova condizione – passaggio regolato da riti solo al termine dei quali l’individuo poteva finalmente “staccarsi” dal mondo dei vivi e “aggregarsi” a quello dei morti. Un rapporto con la morte quindi diverso da quello attuale e caratterizzato da una ritualità complessa, a dimostrazione che nella preistoria la morte era vissuta come una nuova condizione sociale. La specie Homo sapiens ha da sempre sepolto i morti: durante il periodo Musteriano (70.000 a.C.) l'uomo avviò una pratica di sepoltura rituale, con l'usanza di cospargere di ocra rossa le ossa dei morti che venivano decorati con conchiglie, corna di cervo e altri oggetti ornamentali. L'ocra rossa, sostituto del sangue, ricopriva il significato di "vita". Ossa decorate e colorate sono alcuni degli indizi che hanno fatto propendere per l’esistenza di un rituale che in assenza di documenti scritti non è possibile ricostruire.
L'uomo del Paleolitico superiore viene sepolto con oggetti funerari, usanza che indica una qualche credenza nella vita dopo la morte. Durante il periodo Mesolitico (9000-4000 a.C.) la pratica di inumazione viene realizzata nella posizione fetale, modalità che indica che la tomba è considerata un uovo pronto a generare nuova vita.
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Charles Darwin [64]