Guai a me se non annuncio il Vangelo

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Giuseppe Casale Guai a me se non annuncio il Vangelo Euro 12,00 (I.i.)

90 mm

Guai a me se non annuncio il Vangelo

ISBN 978-88-6153-294-6

edizioni la meridiana paginealtre 9

788861 532946

125 mm

go a voi l o v i r i m , o v vesco Come anziano arda, non u g i v o d n o m e vi dico: il ri. Sappiate e v o p i e d e s e t tradite le at nunciate da o r p e l o r a p e ripetere l l Concilio e d a r u t r e p a ’ I all Giovanni XXII né oro né o h n o n o I “ Vaticano II. storpio) ma o l l a o r t e i P di Gesù argento (dice e m o n l e n : o che h ti do quello ina” (Atti m m a c e i t a v e no l Cristo Nazare ammina. c e i t a z l a , 3,6). Levati no questuante. r e t e i d e n o i z i Supera la cond tua dignità. a l l e d a z n e i c Prendi cos ini e le m o u i l g i t t u t Impegnati con ostruire la c a à t n o l o v a donne di buon e della pace. a i z i t s u i g a società dell

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Chi gliela dà oggi la “buona notizia” ai poveri? Parlare oggi di evangelizzazione vuol dire riprendere in mano il Vangelo, vivere come è vissuto Gesù, che volle essere povero e visse con i poveri. Non si tratta di presupporre la fede come un fatto ovvio, ma di situarla nel vissuto degli uomini e delle donne di oggi perché aprano i cuori alla speranza e sappiano viverla in una carità operosa. Con una parola inconsuetamente audace, franca, autentica, un vescovo, ormai libero nello spirito e nella fede, scrive queste pagine ai suoi confratelli perché non sprechino l’imminente occasione di cambiamento rappresentata dal Sinodo dell’ottobre 2012. Questa lettera, niente affatto retorica, si trasforma così in un bilancio serrato ed essenziale delle tante, troppe riforme ancora inevase dalla Chiesa. Degli appuntamenti mancati con i bisogni spirituali profondi di questo tempo. Casale non omette nulla. Nemmeno i richiami alla forma esigente della testimonianza: “Dobbiamo cominciare noi vescovi insieme al Papa a dare l’esempio. Al termine del Concilio, molti vescovi chiesero che la Chiesa riscoprisse la gioia della povertà evangelica. La rinuncia al fasto esteriore e ai titoli onorifici, la scelta della vita semplice e senza lusso, la condivisione della povertà di tanta gente sono ancora un traguardo lontano. C’è ancora tanto carrierismo, tanta alterigia, troppa smania di costruire opere (il mal della pietra) rimanendo spesso invischiati nel sistema di una finanza che rasenta i limiti dell’illegalità”. Un libro agile eppure essenziale per quanti non rinunciano a credere possibile la riconciliazione tra il Vangelo e la Chiesa.

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Giuseppe Casale

Riformare la Chiesa. Lettera aperta al Sinodo dei Vescovi

edizioni la meridiana

cianomagentagiallonero

210 mm

Mons. Giuseppe Casale, arcivescovo emerito di Foggia-Bovino, è nato a Trani nel 1923. Ha maturato una lunga esperienza pastorale, prima come insegnante di Storia ecclesiastica nei seminari regionali di Chieti e Molfetta, poi come vice assistente centrale della Gioventù italiana di A.C. con la responsabilità dei Movimenti Lavoratori e Rurali. Ha collaborato con l’Ufficio Catechistico Nazionale nel periodo in cui si elaborò il “Documento Base” per il rinnovamento della catechesi in Italia. È stato membro del Gruppo sacerdotale nazionale per la pastorale del mondo del lavoro. Nominato vescovo da Paolo VI, ha esercitato il suo ministero nella diocesi di Vallo della Lucania e poi di FoggiaBovino. Oggi, vescovo emerito, è una delle voci più lucide e attente della Chiesa italiana, disponibile a un confronto non dogmatico con le domande urgenti che interrogano in questo tempo la fede e l’uomo, convinto sostenitore di una nuova stagione conciliare. Con la meridiana ha pubblicato Per riformare la Chiesa. Appunti per una stagione conciliare (2010).

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Giuseppe Casale

Guai a me se non annuncio il Vangelo Riformare la Chiesa. Lettera aperta al Sinodo dei Vescovi

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Indice

Lettera aperta

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PARTE PRIMA “GUAI A ME SE NON ANNUNCIO IL VANGELO” Il difficile cammino del Concilio

11

Annuncio del Vangelo e liberazione umana

15

Aprite le porte a Cristo

23

Varcare la porta della fede

31

La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede

39

PARTE SECONDA RIFORMARE LA CHIESA PER EVANGELIZZARE Una buona notizia per i poveri

47

Chiesa povera tra i poveri

49

Un nuovo volto per le parrocchie urbane

53

Comunità ecclesiali di base

55

“Probati viri uxorati” (uomini sposati di provata esperienza cristiana) per le piccole parrocchie

57

Evangelizzazione, comunione, ascolto

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Il difficile cammino del Concilio

Il Vaticano II si era chiuso alimentando speranze e suscitando un impegno di intenso rinnovamento nella vita della Chiesa e nel suo rapporto con il mondo. Gli obiettivi del Concilio si riassumevano in uno solo: rendere la Chiesa del ventesimo secolo sempre più idonea ad annunciare il Vangelo all’umanità del ventesimo secolo1. Annunziare il Vangelo. Comunicare all’uomo di oggi la buona notizia2 della liberazione annunciata da Cristo e affidata alla Chiesa, “sacramento”, cioè segno e strumento di salvezza3. Il popolo di Dio, che aveva gioito all’annuncio e durante la celebrazione del Concilio, iniziò a ripensare seriamente alcuni degli aspetti fondamentali della sua vita: l’ascolto della parola di Dio, la celebrazione liturgica, la catechesi, il ruolo dei laici nella Chiesa e nella vita socio-politica. Il popolo di Dio prendeva sempre più coscienza della sua dignità di “popolo profetico, sacerdotale e regale”4 e maturava gradualmente una più viva partecipazione alla vita della comunità ecclesiale ed un più responsabile impegno nell’animazione delle realtà temporali5. Ma non era facile liberarsi dai condizionamenti derivanti da consuetudini ormai radicate nella vita della Chiesa. Bisognava compiere un grande sforzo e conquistare una libertà di spirito per accogliere non superficiali novità, ma il recupero

1

Evangelii Nuntiandi, n. 2 in EV 5,1589. “Vangelo” è parola greca che significa “buona notizia”. 3 Lumen Gentium, n. 1 EV 1,284. 4 Ivi, cap. II, EV 1,308-327. 5 Gaudium et Spes, n. 43, EV 1, 43; 1454-1462. 2

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del Vangelo. Apparvero, così, i primi segni di inquietudine, di dubbi, di rifiuti del Concilio in nome della fedeltà alla tradizione. Si misero in moto i seguaci di Lefebvre, il quale già durante il Concilio ne aveva contestato gli orientamenti. Cominciavano ad esprimere dubbi tutti i nostalgici del passato, specialmente quanti nella Curia romana temevano che la collegialità episcopale potesse condizionare l’autorità del Papa. Sul versante opposto si battevano i sostenitori di un rinnovamento più radicale, per i quali il Concilio aveva fatto scelte di compromesso. Anche le riforme volute dal Concilio (riforma liturgica, rinnovamento della catechesi, Sinodo dei Vescovi, consigli pastorali) sembravano scelte deboli, mentre il centralismo romano continuava ancora a decidere e dirigere tutto. Paolo VI che aveva creduto nel Concilio, che lo aveva guidato e concluso, dovette svolgere un’opera di prudente mediazione. Egli era convinto che fosse necessario mettere in atto gli orientamenti del Concilio. Però si rendeva conto che si faceva sempre più grave il rischio di uno scontro fra tradizionalisti e innovatori. Lefebvre continuava la sua opera di contestazione e riusciva a raccogliere numerosi seguaci, tanto da far temere uno scisma. In Curia cresceva il malcontento soprattutto a causa di alcuni eccessi verificatisi specialmente in Olanda. Il “catechismo olandese”, tentativo di una moderna presentazione del cristianesimo (1966), e il Concilio pastorale nazionale (1966-1970) che aveva messo in discussione fondamentali punti della dottrina cristiana, suscitarono preoccupanti reazioni. Paolo VI era convinto che toccasse al Papa intervenire con autorità per evitare che l’attuazione del Concilio portasse divisioni nella Chiesa. 12

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Il Papato doveva essere il cardine dell’azione riformatrice del Concilio, attuata dal governo centrale in collaborazione con gli episcopati. Egli moltiplicò i suoi sforzi per chiudere la questione Lefebvre; intervenne energicamente per correggere gli eccessi della Chiesa olandese; assunse decise posizioni su temi sottratti all’esame del Concilio e risolti con un intervento personale, che suscitò molte critiche e forti reazioni negative6. Il ’68 era stato un momento di grande sconvolgimento sociale, che aveva avuto ripercussioni anche nella Chiesa. La contestazione globale animata soprattutto dai giovani, metteva in crisi persone e gruppi sociali. Aumentavano le defezioni nel clero ed entrò in crisi l’associazionismo cattolico7. La polarizzazione tra tradizionalisti e progressisti si acuì sino a far temere ripercussioni sulla stessa fedeltà di tanti cristiani alle verità della fede. Paolo VI colse l’occasione del centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo (1967) per indire “l’anno della fede” con l’intento di ribadire il tradizionale insegnamento della Chiesa, tenendo conto delle esigenze dei tempi. L’“anno della fede”, che fu quasi ignorato dalle chiese locali, si concluse con un’articolata e solenne professione di fede, pronunciata dal Papa in San Pietro il 30 giugno 1968. Ma il malessere non cessò. Segno che non si poteva curare un processo di crescita solo con interventi di mediazione e di autorità.

6

Mi riferisco alle encicliche Sacerdotalis coelibatus (1967) e Humanae vitae (1968). La prima ribadiva la legge del celibato dei preti e la seconda negava la liceità della contraccezione, compiuta con metodi non naturali (uso della pillola). 7 L’Azione Cattolica visse un momento di difficoltà che ne indebolì la presenza e la ridusse numericamente. La Chiesa giudicò negativamente la scelta socialista delle Acli e ritirò gli assistenti ecclesiastici.

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Di fronte al permanere delle difficoltà Paolo VI non si perse d’animo. Sentì forte il bisogno di un colpo d’ala che aiutasse la Chiesa a tirarsi fuori dalle secche di dispute sterili e spesso pretestuose. Bisognava volare alto e recuperare l’originale ed irrinunciabile missione della Chiesa: l’evangelizzazione. L’evangelizzazione si propone negli ultimi anni del pontificato come categoria fondamentale nel pensare la presenza della Chiesa nella società contemporanea8. Questo messaggio Paolo VI lanciò con l’esortazione apostolica post-sinodale Evangelii Nuntiandi pubblicata l’8 dicembre 1975 a conclusione della III assemblea generale del Sinodo dei Vescovi (sul tema “L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo”), in chiusura dell’anno Santo 1975 e a dieci anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II.

8 RICCARDI A., Europa occidentale, in AA.VV., Storia della chiesa, 25, II Ed. S. Paolo, p. 408.

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Una buona notizia per i poveri

Chi gliela dà oggi la “buona notizia” ai poveri? Non solo ai poveri che soffrono la fame, che vivono le conseguenze della disoccupazione, che sono costretti a lasciare la loro patria e a percorrere le dolorose vie dell’emigrazione? Ci sono milioni di oppressi, di emarginati, di famiglie costrette a vivere nei quartieri di periferia delle nostre città, sotto le tende o in rifugi di fortuna. Ci sono anche persone che vivono in stato di volontario isolamento. Sono i barboni, i clochard. Ogni tanto si scopre che qualcuno è morto di freddo nelle strade centrali delle nostre città. Ma, ci sono anche i “malati spirituali”, poveri di una povertà diffusa in un mondo che ostenta il lusso e nasconde una profonda inquietudine. Si è avidi di sesso, di denaro, di potere. E, il tanto decantato progresso produce una società in cui pochissimi vivono in un lusso scandaloso mentre la grande maggioranza vive nel bisogno o in condizioni indegne di uomini liberi. La democrazia è diventata lotta di potere tra gruppi, presi dai loro piccoli giochi ed incapaci di porre rimedio ai guasti prodotti da un capitalismo globalizzato, egemonizzato da anonimi gruppi finanziari che manovrano le borse nell’interesse di pochi e condannano popoli interi alla miseria. È necessario annunziare, oggi, la buona notizia a tanti poveri? E, chi deve annunziarla? Chi deve “evangelizzare” una umanità dolente e prigioniera dei miti che uccidono l’anima e il corpo dei popoli? Parlare oggi di evangelizzazione vuol dire riprendere in 47

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mano il Vangelo, vivere come è vissuto Gesù, che volle essere povero e visse con i poveri. Non si tratta di presupporre la fede come un fatto ovvio, ma di situarla nel vissuto degli uomini e delle donne di oggi perché aprano i cuori alla speranza e sappiano viverla in una carità operosa. Non è una scelta di classe, è un impegno di umanizzazione in Cristo che spetta alla Chiesa e la costringe ad uscire dalle enunciazioni verbali, dalle ammonizioni, dalle condanne per farsi povera tra i poveri.

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Comunità ecclesiali di base

Ci vogliono “comunità ecclesiali di base”, capaci di vivere intensamente l’incontro con Cristo, di trasmettere l’esperienza di fede ai figli, di irradiare il Vangelo nell’ambiente, di operare per una trasformazione di tante ingiuste strutture sociali. Così le descriveva un opuscolo divulgativo diffuso in Brasile. “Si stanno moltiplicando gruppi di cristiani che si riuniscono per pregare, per riflettere sulle situazioni di vita alla luce della parola di Dio, per lavorare insieme, per costruire un mondo nuovo… e tutto questo con i vescovi e i presbiteri. Noi chiamiamo questi gruppi ‘Comunità Ecclesiali di Base-C.E.B4’”. Si sono prolungate per troppo tempo le condanne e le diffidenze nei riguardi delle comunità ecclesiali di base. Ma, senza un ritorno a queste esperienze non si fa evangelizzazione. Si possono fare discorsi, organizzare incontri, dibattere nei forum; ma, si rimane sul piano teorico o si parla solo con un piccolo gruppo di cosiddetti intellettuali. È nella massa del popolo, tra la povera gente che vive le quotidiane difficoltà del lavoro, della disoccupazione, dei disagi della vita nelle città concepite e costruite per arricchire i “palazzinari” e i loro manutengoli politici, che bisogna far passare la “buona notizia di Gesù” e creare le condizioni per una vita più umana e degna di uomini e donne liberi. Il p. Gutierrez, all’indomani della condanna della teologia della liberazione, commentò amareggiato: “Cosa sarebbero

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TONUCCI P.M., Teologia da Libertacᾶo - O que è?, Vozes Petropolis 1984.

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le comunità ecclesiali di base senza la Chiesa? Ma anche, cosa sarebbe la Chiesa senza le comunità ecclesiali di base?”. All’interrogativo la storia ha dato la sua risposta. Senza la Chiesa le comunità ecclesiali di base si sono ridotte a piccoli gruppi che fanno fatica a mantenere la loro identità e corrono il rischio di diventare gruppi politici e di contestazione. Ma anche le parrocchie senza la vivacità delle comunità ecclesiali di base, come le pensava e le voleva Paolo VI5, diventano stazioni di servizi sacri, uffici di assistenza, luoghi di culto frequentati da anziani o gente di media età. Ci sono, sì, i piccoli gruppi impegnati nella vita parrocchiale; ma non riescono ad agire nel territorio, non incidono nell’ambiente, sono vivaci a livello di fanciulli o di adolescenti, ma vengono poi assorbiti dalla mentalità dominante quando si giunge al momento dell’inserimento nella realtà professionale. Ecco la proposta che sento di fare ai partecipanti al Sinodo: si decida di articolare le parrocchie urbane in piccole comunità ecclesiali, che vivano tutta la vita della Chiesa con la presenza di un presbitero e in collegamento con la parrocchia-madre o con la diocesi, nel caso di piccole diocesi. Inoltre, si riapra il dialogo con le comunità ecclesiali di base, ancora vive ed operanti. Senza pregiudizi e timori. Se è giusto interessarsi dei seguaci di Lefebvre, è altrettanto giusto tendere la mano a tanti fratelli e sorelle che amano il Vangelo, si impegnano per la crescita umana e cristiana delle persone, avvertono la nostalgia di una Chiesa “altra”, nella quale vogliono ancora camminare e crescere. Il mio è un invito che nasce dalla conoscenza di tanti casi in cui la sofferenza di sentirsi lontani “da casa” è molto forte. Il Sinodo, Papa e vescovi insieme, darebbe un forte segnale perché l’evangelizzazione riprenda a percorrere i sentieri del Vangelo.

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Vedi nella Prima Parte Capitolo II.

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