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Welfare. Promozione sociale. Sviluppo del territorio. Ma anche sport, occupazione, cittadinanza. Ma anche impegno, volontariato, professionalità. Ma anche… che cosa? Siamo dinanzi ad un efficace turbinio di parole che tendono a nascondere i significati per privilegiare le forme. Mentre tutto questo accade, le associazioni del terzo settore del Sud Italia chiudono; il diritto alla salute viene minato perché si accrescono le file degli obesi, dei diabetici e degli immobili che non corrono, ma su cui non c’è ancora alcuna IMU; e le solitudini rafforzano il loro indice di penetrazione nelle anime. Emergenza! Urlano preti e porporati, politici ed economisti, avvocati e medici, insegnanti e animatori, guardie e ladri. Senza che nulla accada. E io? Si chiede il bambino di periferia che osserva un intero quartiere senza giardini e non sa dove prendere a calci un pallone. E io? Si chiede la vedova che vorrebbe ancora sperare in un incontro di dolce amicizia e reciproca consolazione. E noi? Si chiedono i giovani genitori, entrambi atipici nei contratti ma molto tipici nei sogni, che tremano non all’idea di fare un figlio – azione notoriamente piacevole – ma al pensiero di farlo crescere. E allora? Coraggio e visione innovativa sono necessari per provare a ridefinire azioni di welfare e promozione sociale in questo tempo e per le persone che lo vivono. Si tratta di rileggere segmenti sia di mentalità, sia di modelli organizzativi. E poiché è necessario che sia un po’ alla volta, proveremo a fare la nostra parte, iniziando dallo sport. Addirittura! Lo sport ha a che fare con il welfare? Sì. Basta leggere queste pagine per convincersene.
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Il sistema sportivo italiano si è dilatato moltissimo nel corso degli ultimi decenni, ma anche trasformato qualitativamente. Lo sport per tutti è divenuto un grande business, le federazioni agonistiche vi si rivolgono ormai come a un’immensa opportunità non solo di reclutamento ma anche di finanziamento. Unire le forze, produrre strumenti ispirati alla ricerca di nuove sintesi, elaborare proposte capaci di interessare le nostre istanze formative e quelle del sistema universitario, ci sono sembrate sfide che valeva la pena di affrontare. Insieme e non singolarmente. Consegniamo con fiducia questi materiali all’attenzione di dirigenti, operatori, tecnici e di tutti i protagonisti dell’esperienza sportiva ma anche ai docenti e agli studenti dei corsi universitari di Scienze motorie e sportive e, più in generale, a quanti si occupano della complessa e ricca tematica della formazione sportiva. Per fare dello sport per tutti un cantiere aperto al futuro.
persport edizioni la meridiana Euro 12,00 (I.i.)
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ISBN 978-88-6153-382-0
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Michele Marchetti, sociologo, ha lavorato in comunità per minori, appassionandosi all’educazione dei giovani. Ha sviluppato studi e ricerche di sociologia dei gruppi e sociologia dei processi culturali. Dal 1996 è componente della Presidenza nazionale del Centro Sportivo Italiano, di cui attualmente è direttore dell’area welfare e promozione sociale. Con la meridiana ha pubblicato Il movimento del corpo. Tra gioco e sport (2010).
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INDICE Premessa .................................................................................... 9
CAPITOLO 1 COORDINATE 1.1 Un apostrofo rosa ........................................................ 11 1.2 Punto, linea, superficie ................................................ 12 1.3 Kia ora! ........................................................................ 14 CAPITOLO 2 ARMONIE E NO. TRA APPROFONDIMENTI E RIFLESSIONI 2.1 Chi ha ora salute? ........................................................ 2.2 Sport e legalità? ........................................................... 2.3 Regolazione a catena! .................................................. 2.4 WWW .......................................................................... 2.5 Sport in tour! ...............................................................
17 21 23 26 27
CAPITOLO 3 MINE VAGANTI. TRA MOVIMENTI, INVESTIMENTI E NOTIZIE… 3.1 Crisi di movimento e movimenti di crisi ..................... 3.2 Metterci i soldi! O perderli. ........................................ 3.3 Let’s go beatiful. Jamme bell! ..................................... 3.4 Virtuale per davvero ....................................................
29 32 35 38
CAPITOLO 4 ESODI 4.1 Per forza e per volontà ................................................ 41 4.2 Aspettative e prospettive ............................................. 43 4.3 Ciao. Sport e rivoluzione giovanile ............................. 46 BIBLIOGRAFIA ........................................................................... 49
PREMESSA Welfare. Promozione sociale. Sviluppo del territorio. Ma anche sport, occupazione, cittadinanza. Ma anche impegno, volontariato, professionalità. Ma anche… che cosa? Siamo dinanzi ad un efficace turbinio di parole che tendono a nascondere i significati per privilegiare le forme. Mentre tutto questo accade, le associazioni del terzo settore del Sud Italia chiudono; il diritto alla salute viene minato perché si accrescono le file degli obesi, dei diabetici e degli immobili che non corrono, ma su cui non c’è ancora alcuna IMU; e le solitudini rafforzano il loro indice di penetrazione nelle anime. Emergenza! Urlano preti e porporati, politici ed economisti, avvocati e medici, insegnanti e animatori, guardie e ladri. Pappagalli dipendenti si appropriano del richiamo alle armi, quelli che una volta erano i laici fedeli di Cristo. Si allenano in parate ipocrite ad ossequiare le dotte considerazioni dei potenti di turno, delle gerarchie a cui gli uomini e le donne si stanno abituando a riservare gli onori degli altari catodici. Da altre parti non va meglio. La dottrina non regge. Spacca le differenti posizioni. Ci si ostina a chiamarlo pluralismo. La realtà è che permane una frammentazione egoistica ed individualista incapace di percepire il sentimento del bene comune. Si sfilano le religioni di partito. Le convinzioni maturate e raccontate per due secoli cadono sotto i colpi del “ce lo chiede qualcun altro…”. E io? Si chiede il bambino di periferia che osserva un intero quartiere senza giardini e non sa dove prendere a calci un pallone. E io? Si chiede la vedova che vorrebbe ancora sperare in un incontro di dolce amicizia e reciproca consolazione. E noi? Si chiedono i giovani genitori, entrambi atipici nei contratti ma molto tipici nei sogni, che tremano non all’idea di fare un figlio – azione notoriamente piacevole – ma al pensiero di farlo crescere. E allora? Coraggio e visione innovativa sono necessari per provare a ridefinire azioni di welfare e promozione sociale in questo tempo e per le persone che lo vivono. Si tratta di rileggere segmenti sia di mentalità, sia di modelli organizzativi. E poiché è necessario che sia un po’ alla volta, proveremo a fare la nostra parte, iniziando dallo sport. Addirittura! Lo sport ha a che fare con il welfare? Sì. SPORT E NUOVO WELFARE
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CAPITOLO 2 ARMONIE E NO. TRA APPROFONDIMENTI E RIFLESSIONI
2.1 Chi ha ora salute? Nel 2008 la spesa sanitaria in Italia ha toccato l’8,7% del PIL. In un’epoca di tagli di bilancio come l’odierna, è inevitabile ragionare in termini di sprechi. E gli sprechi nella sanità non sono solo quelli dovuti all’illegalità o alla cattiva gestione. Le malattie cardiovascolari costituiscono la prima causa di morte fra donne e uomini. Sono anche la prima causa di disabilità e diminuzione della qualità della vita. In Europa ciò comporta, sommando i costi diretti, l’assistenza, la perdita di produttività, un costo di 168 miliardi e 157 milioni di euro. In Italia il costo è di 21,8 miliardi di euro7. Da 11 studi condotti fra il 1975 e il 2006 sappiamo però che la misura della riduzione del rischio di malattie cardiovascolari in soggetti che praticano attività fisica oscilla tra il 20 e il 30%. Il costo del diabete in Italia nel 2000 è stato pari a 8,8 miliardi di euro. Nel 2007, analizzando i risultati di 10 studi prospettici su 300.000 individui, si è concluso che i soggetti abituati a camminare a passo veloce per 2,5 ore a settimana riducono del 30% il rischio di diabete mellito8. Associando l’attività fisica ad una sana e corretta alimentazione, la riduzione del rischio arriva al 58%, mentre il solo trattamento farmacologico (metformina) si ferma al 31%. Da sempre l’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che l’attività fisica regolare diminuisce il rischio di cancro. Vari studi specifici lo confermano: l’attività fisico-sportiva riduce del 15-20% il rischio di carcinoma alla mammella; del 22% negli uomini e del 29% nelle donne il rischio di cancro al colon; del 7. Fonti: World Health Organization; American Heart Association Statics Committee and Stroke Statics Submittee; 2008 European Cardiovascular Disease Statistics. 8. Knowler et al., 2002 SPORT E NUOVO WELFARE
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20-40% il rischio di tumore dell’endometrio. Tiriamone le conseguenze, ricordando che nel 2004 affrontare le neoplasie è costato al Sistema Sanitario Nazionale (SSN) 6,7 miliardi di euro. Un ultimo dato riguarda l’obesità, che qualcuno definisce la malattia sociale di oggi e che riguarda il 30% della popolazione. La spesa sanitaria per una persona obesa supera del 25% quella per una persona con peso normale. È noto che alimentazione corretta e attività fisico-sportiva hanno una forte correlazione nella prevenzione dell’obesità. Introdurre tale strategia costerebbe in Italia 17 euro a persona, facendone risparmiare circa 25 a persona9, per un totale di circa 1,3 miliardi di euro. Azzardando un calcolo d’insieme, si può ipotizzare che una politica di sollecitazione al movimento e allo sport varrebbe per il SSN circa 9 miliardi di euro di risparmi. Se solo corressimo e giocassimo un po’ di più… La seconda parte del Libro bianco sullo sport in Italia del 2012, fornisce ulteriori e più specifiche indicazioni. Non riflette sul possibile, ma su ciò che già accade. Stima, nei fatti, il beneficio che i praticanti e il sistema complessivo ottengono dalla pratica sportiva. Non siamo più con dati in potenza, ma in atto. Il primo dato emergente è che, poiché circa il 60% della popolazione pratica attività, i benefici che implicitamente ne derivano sono dell’ordine di: • 52.000 malattie evitate ogni anno; • 22.000 morti evitate ogni anno. In termini di controvalore economico si stimano: • 1,5 miliardi di euro di risparmio sulla spesa sanitaria nazionale; • circa 32 miliardi di euro di “valore della vita” salvaguardato. Basti pensare che la riduzione dell’1% di soggetti inattivi in Italia (circa 215 mila persone) porterebbe un beneficio incrementale annuo di 80 milioni di euro di risparmio di spesa (sanitaria e non) e 1,7 miliardi di euro di Valore della Vita “salvaguardato”10. Esistono altri elementi da prendere in considerazione. Uno studio molto accurato afferma che l’assenza di attività fisica: 9. Sassi, 2010. 10. Cfr. Il libro bianco dello sport italiano, CONI, 2012.
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• raddoppia il rischio di depressione (OR=2.3). • raddoppia i disturbi di attenzione, in particolare a scuola (OR=2.1). • triplica il rischio di disturbi psicosomatici, incluse le dipendenze; • aumenta i problemi psicosomatici (OR=1.4), con un maggior rischio (quasi raddoppiato) di comportamenti fuori dalle regole fino a comportamenti anti-sociali11. Abbiamo accennato alla depressione, all’incremento di comportamenti fuori dalle regole, a disturbi psicosociali; elementi che afferiscono a soggetti che vanno ad incrementare la manovalanza della criminalità. Non enunciamo correlazioni non comprovabili, ma qualche riflessione è bene farla! Chi vive lo sport è maggiormente portato alla serenità, alla solarità, ad apprezzare l’ambiente circostante, le sue bellezze, i suoi dettagli. Non è forse un caso che anche Amleto, ormai preso dalle vicissitudini, colleghi il suo stato d’animo a una sorta di apatia che gli fa evitare l’esercizio fisico e gli rende poco interessante il mondo. Dice il protagonista dell’opera shakespeariana: Ultimamente, ma non saprei dire perché, ho perso tutta la mia allegria, ho tralasciato ogni abitudine d’esercizio fisico; ed invero il mio umore si è di tanto aggravato, che questa magnifica struttura della terra mi sembra uno sterile promontorio...12.
La scienza lo ha capito. I gangli basali, che coordinano i nostri movimenti, modulano anche i meccanismi di motivazione, ricompensa, dipendenza e abitudine. Ossia le quattro caratteristiche cardinali che ci guidano, sia nei comportamenti generali positivi della nostra vita, sia – quando sono alterate – negli aspetti negativi. Gioco e sport spingono al movimento e ridonano gli entusiasmi. Di fronte alle difficoltà, l’azione rimotivante della socializzazione motoria e sportiva, del gioco insieme a qualcuno altro, del cervello spinto a costruire, pensare e progettare in forme divergenti e fantastiche, rappresenta la prima e fondamentale reazione verso percorsi evolutivi. Il riscontro è stato dimostrato in una serie di studi sulle sportive. Le ragazze che praticano sport: 11. Kantomaa et al., 2008. 12. Shakespeare, Amleto, atto II, scena II. SPORT E NUOVO WELFARE
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• hanno il primo rapporto sessuale mediamente due anni dopo, perché investono la loro libido, anche nel senso erotico, sull’attività fisico-sportiva: un bene dal punto di vista della loro crescita; • cambiano un minor numero di partner, perché scelgono dopo e sono più stabili dal punto di vista affettivo; • presentano minori rischi di malattie sessualmente trasmissibili; • mostrano un tasso bassissimo di gravidanze indesiderate, rispetto alle ragazze inattive; • sviluppano un miglior rapporto con il loro corpo13. E se pensiamo ad anoressia, bulimia, assistenza alla maternità, ecc., immaginiamo tanti costi sociali, affettivi, umani che si potrebbero evitare. Ci stiamo muovendo su questa relazione: sport e salute. I costi sociali delle malattie sono notevoli e si è già visto come lo sport possa rappresentare uno strumento di promozione delle politiche a sostegno della salute. Discorso iniziato nel 1986 ad Ottawa, quando su carta si sono introdotti paradigmi innovativi sul tema in questione. Molto welfare è legato all’assistenza sanitaria; probabilmente troppo. Nella dichiarazione promulgata nella città, si legge: La salute vista, dunque, come risorsa di vita quotidiana, non come obiettivo di vita: un concetto positivo, che insiste sulle risorse sociali e personali, oltre che sulle capacità fisiche. Di conseguenza, la promozione della salute non è responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma supera anche la mera proposta di modelli di vita più sani, per aspirare al benessere14.
Ne scaturisce l’esigenza di riorientare i servizi sanitari. Abbiamo illustrato come l’azione preventiva sarebbe economicamente più rilevante rispetto all’intervento e al recupero. Perché non si procede? Per pigrizia, disonestà, illegalità, mafie? Eppure la condanna a proseguire in politiche di sollecitazione al movimento appare inevitabile.
13. Graziottin, 2008. 14. Carta di Ottawa per la Promozione della Salute, 1986.
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CAPITOLO 4 ESODI
4.1 Per forza e per volontà Siamo di fronte ad una potenza strategica. Arma convenzionale del benessere, l’associazionismo sportivo rappresenta, dal secondo dopoguerra, il vero e proprio diffusore sportivo sul territorio. Il nucleo di base, la società sportiva, definisce occasioni di incontro e di cittadinanza che assume i caratteri formali e informali. Il valore del gruppo che in queste cellule educative si respira si propone come sperimentazione di comunità. Il passaggio non è automatico. Ovvio. Ma preliminare sì! Prodromico sì. Utile sicuramente. Non è raro, inoltre, imbattersi in testimonianze autentiche di umanità. I volontari sono tantissimi e regalano il tempo, una delle più preziose e meno valorizzate risorse scarse, per soddisfare il fabbisogno sportivo. Mediamente, l’85% degli addetti sportivi sono volontari31; addirittura il 94% di volontari si registra tra i dirigenti. Il volontariato negli organismi sportivi Tipologia addetti Dirigenti Tecnici Add. Segreteria Manutenzione Altro Totale
val. % per tipologia di addetti1 %volontari 94,0 69,3 80,7 74,3 84,1 85,6
Fonte Censis, 2010.
Evviva i volontari. Ma che il sistema abbia problemi è dimostrato dal fatto che i dati italiani sono sensibilmente inferiori rispetto alla 31. Contrariamente alla cultura anglosassone, il termine volontario, nella tradizione italiana, include il concetto di gratuità delle prestazioni fornite e in questo senso se ne parla nel paragrafo. SPORT E NUOVO WELFARE
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maggior parte dei paesi europei. Anzi: il sistema sportivo italiano è potenzialmente incrementabile sia sul versante del volontariato, sia sul versante delle professionalità. Qui si introduce un capitolo delicato. Per volontà, l’associazionismo sportivo offre spunti di generosità, slanci di entusiasmo, impeti di sacrificio che fanno pensare più al martirio che all’eroismo; per forza, fallisce in termini di sviluppo e capacità di crescita. In Europa, solo Spagna e Portogallo riescono a determinare meno occupazione sportiva dell’Italia32. Per forza, non riesce a esplodere, ma rischia di implodere. In un Paese in cui la politica sportiva è strettamente legata a quella nazionale e dei partiti, i quali sono riusciti a trovare l’accordo trasversale per cambiare i vertici del Comitato olimpico, il futuro è nelle politiche attraverso lo sport. E, più in particolare, nelle politiche di welfare attraverso lo sport. Slegate dai principi di gerarchie e viveur, le politiche attraverso lo sport appartengono all’associazionismo sportivo e ai cittadini che in esso praticano la personale rivalsa di reali protagonisti della propria vita. Si accorgono del bene che possono e lo fanno. Non aspettano. Non attendono. Non elemosinano. Agiscono. Radunano giovani, fanno stare insieme anziani, coinvolgono disabili, animano piazze e quartieri ed esercitano prassi di democrazia e legalità. Sì, in fondo siamo ancora un Paese dello scopone, ma vorremo aspirare ad un modello più contemporaneo e giusto. Per forza, l’associazionismo sportivo deve rinunciare ai diritti al finanziamento, ormai abbondantemente andati in malora per l’incompetenza dei dirigenti del Comitato olimpico, il disinteresse dei politici, l’agitazione operativa dei propri rappresentanti, i quali presi dal fare, hanno evitato comunicazione, advocacy, azioni di lobby. Non si reclama un finanziamento per fare sport, ma per fare il bene attraverso lo sport. Interlocutori e stakeholders cambiano; anzi: aumentano. Occorre portare il verbo delle politiche attraverso lo sport, affinché l’interessante e ramificata organizzazione dell’associazionismo sportivo sia reale protagonista della riforma etica, culturale, organizzativa, del Paese. Il passaggio, primariamente culturale, ma anche organizzativo, semantico e strutturale, dal fare sport al promuovere politiche di welfare attraverso lo sport, è il nodo di uscita definitiva dal Novecento per lo sport italiano. Occorre partire in fretta con la selezione, formazione e maturazione di una nuova classe dirigente, 32. Cfr. Eurobarometro, 2004.
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in grado di coniugare: profezia e management, pedagogia e proposta, utopia e concretezza, cielo e terra. Quello che non accadrà per volontà, tanto, accadrà per forza. La differenziazione sociale è talmente in atto che l’organizzazione sportiva non potrà sottrarsi da una profonda revisione dei flussi finanziari, delle descrizioni della propria vision, pur in coerenza con la propria mission.
4.2 Aspettative e prospettive Lo sport risolve un sacco di problemi. In effetti, l’articolazione e la presenza sul territorio dell’associazionismo sportivo configura una risorsa inestimabile per la produzione di benessere. Addirittura, può essere utilizzata come strumento di ingegneria sociale per interventi socio-educativi, di recupero e inserimento, di inclusione rivolti a ragazzi dell’area penale esterna, minori a rischio, quartieri di periferia, disabili, scuole, anziani… Si origina così nei confronti dei promotori sportivi, un nucleo di aspettative sociali molto forte. Parliamoci chiaro: non c’è prova scientifica che lo sport abbia tutto questo potenziale di intervento sociale. Si sconta una lacuna di valutazione nel settore, la quale solo recentemente si sta tentando di colmare. Anche questa è una sfida di grosso richiamo per l’associazionismo sportivo. La misurazione dell’impatto socio-educativo di un intervento attraverso lo sport è quanto mai utile e necessaria per il diritto al protagonismo sociale nella pianificazione futura del Paese. Nessuno può restare a guardare e, allora, occorre che si dimostri che un’ora di sport è meglio di un’ora dallo psicologo. È possibile. È fattibile. Ed è anche necessario che ci si liberi dall’illusione della pratica sportiva come panacea di qualsiasi malessere, disagio, difficoltà. Prima di tutto, occorre ricordare che per socializzare attraverso lo sport è necessario socializzarsi allo sport, prendere confidenza con esso. La pratica deve essere prolungata, significativa, all’altezza, per poter essere un contributo alla vita dell’individuo e della comunità33. Innegabile anche che, per funzionare, la pratica sportiva deve collocarsi in un contesto socio-educativo coerente. Alcuni esempi: non si può educare alla legalità in un impianto sportivo con fili elettrici scoperti, spogliatoi non a norma ecc.; non si può 33. Coalter, 2001. SPORT E NUOVO WELFARE
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incontrare l’apprendimento alla vittoria, alla sconfitta e alla lealtà, se i dirigenti preferiscono far giocare con tesseramenti falsificati; non si percepisce la bellezza del corpo, proprio e altrui, se i tifosi inneggiano a rotture dolose dei legamenti crociati. Detto questo, anche per onestà intellettuale, andiamo oltre. Si può accettare la pratica sportiva, promossa dall’associazionismo organizzato, come uno strumento al servizio delle politiche di welfare, socio-educative e culturali. Essa possiede anche interessanti potenzialità in termini di sviluppo occupazionale. E, ora è questo che ci interessa, si può immaginarla come strumento primario di social intervention nell’ambito di una riforma inevitabile del welfare e del rapporto Stato-cittadino. Il Regno Unito ha anticipato, già dagli anni Ottanta, una tale ipotesi. Si è assistito ad un cambiamento delle politiche pubbliche che, abbandonando un’impostazione abituata a immaginare l’accesso sportivo come diritto ugualmente diffuso e disponibile tra la popolazione – recreation as welfare – individuano il potenziale delle attività sportive come strumento grazie al quale si raggiungono altri diritti, come la salute, la pace, l’accoglienza – recreation for welfare34. Per un modello di recreation for welfare, però, l’associazionismo sportivo deve crescere in: competenze, spendibilità e riproducibilità delle conoscenze, capacità di misurazione del raggiungimento degli obiettivi. Solo così avrà la possibilità di aprire un confronto istituzionale a più livelli: policontesturale e potrà perturbare la politica, l’economia, la sanità, la scuola… Politiche della salute, del lavoro, delle pari opportunità, dell’educazione, dell’inclusione attraverso lo sport sono l’esito di un associazionismo sportivo maturo e avanzato. Lo sport vale in quanto strumento, non come fine. L’autoreferenza del mondo sportivo rischia l’emarginazione di uno degli strumenti privilegiati per il conseguimento di diritti: il diritto alla salute, all’educazione, al lavoro, all’aggregazione, allo spazio vivibile. Lo sport è un metadiritto, allora, attraverso il cui esercizio si ottengono altri diritti. Recreation for welfare significa che le politiche attraverso lo sport applicano il concetto di sussidiarietà favorendo e stimolando le capacità dei singoli e dei corpi intermedi. L’obiettivo è accompagnare alla realizzazione e al conseguimento del benessere. L’azione non è orientata al bisogno, ma alla promozione: sociale e umana. Anche alcune discussioni che capita di intercettare in 34. Cfr. Madella, Di Gennaro (a cura di), 2009.
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merito alla funzione e capacità pastorale della pratica sportiva andrebbero rivisitate sussidiariamente. Oltre ad una specifica pastorale dello sport, legata allo strumento in sé e per sé, esistono numerose pastorali attraverso lo sport. Strumento flessibile, adattabile e potente, confina il proprio successo in coloro che lo organizzano, promuovono e testimoniano. Si legge, nemmeno troppo in controluce, un’urgente riforma del piano di studi dei laureati in scienze motorie, oggi troppo spesso al di fuori del mercato e, non a caso, i più disoccupati di lungo periodo di tutti i laureati italiani. L’associazionismo sportivo è chiamato, ancora una volta, ad integrare i percorsi formativi. Forse, è giunto il momento di aprire un tavolo di approfondimento tra le facoltà di scienze motorie e l’associazionismo sportivo, evitando comportamenti errati: • il mondo accademico non è l’unico depositario dei saperi; • il mondo dello sport è tutt’altro che autonomo in termini di definizione e di valutazione delle conoscenze e delle competenze; • lo sport è strumento accessibile e bisognoso di approcci multi e interdisciplinari. Si costituisce un nucleo di aspettative che può delineare prospettive rinnovate nell’erogazione del servizio sportivo. Introdotti dal concetto di sussidiarietà, ci troviamo ad immaginare un associazionismo sportivo capace di autoimprenditorialità dei soggetti in rete che lo garantiscono. Sembrerebbe urgente un movimento riformatore in cui centro e periferia sono dissolti definitivamente e in cui resistono le competenze e le capacità come stimoli differenziali. Si sposta il baricentro dei flussi finanziari e l’articolazione organizzativa diviene eterarchica, diffusa. Si rileva senso in termini di netta e funzionale separazione tra servizio e attività. In termini di sussidiarietà, l’accentramento afferisce ai servizi, il decentramento alle attività. Insomma: le strutture organizzative si rivedono in termini di humanistic management, alla cui base vale la metafora della rappresentazione teatrale. Le prestazioni non sono gerarchiche, ma reciproche. Il territorio è concetto relazionale e il livello superiore non è più tale, ma è semplicemente un livello. E basta. Non è più o meno importante, ma è specifico. E se non trova una propria identità, rischia eccessiva liquidità o elefantiaca burocratizzazione. SPORT E NUOVO WELFARE
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la meridiana, a partire dai vissuti, dalle inquietudini, dalle marginalità un itinerario di ricerca e di incontro possibile per tutti: dall’identità alla relazione dal potere alla nonviolenza radicale.
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