MIA Magazine n.24

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€ 2,50

bm Editore - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/UD editore-ISSN2384-8189

MIA 24 magazine ANNO 2021

SAPORI TURISMO SPORT BENESSERE

UNICO TRIMESTRALE DI LIFESTYLE E CULTURA DEL TERRITORIO DEL FRIULI VENEZIA GIULIA


MIA MAGAZINE

Quando il design si mette a tavola... Monica Candussio, professione graphic designer, vive e lavora in Friuli. Ha iniziato a disegnare tessuti nel 2019, per la mostra "Trame", in collaborazione con lo studio Progetto Arredo di Udine. Una collezione sperimentale che ha poi contribuito a trovare un linguaggio coerente anche attraverso materiali particolari come il metallo, la ceramica, il legno. Oggi tutto questo rappresenta il suo punto di partenza, cercare di vedere in modo diverso, reinterpretando forme e materiali. Per lei l'aspetto più stimolante è il poter seguire un'idea improvvisa e capire come una visione concettuale possa diventare reale.

LA CERAMICA

“L’arte, l’incontro tra la testa e l'intento creativo". L’incontro avviene tra l'imprenditore della ceramica "Maroso", capace di visioni future e pronto a investire “con testa” nei progetti in cui crede; e "l'intento creativo” di una designer con la passione per gli oggetti quotidiani. Una linea colorata di demarcazione tra le due metà di ogni componente segna il confine fra le due arti, ma ne sancisce a pieno titolo l’unione. Nasce così la collezione “Animal” realizzata in maiolica bianca, caratterizzata non solo dal color avorio ma anche attraverso la bellezza delle forme che la compongono, con i pezzi più grandi che raggiungono i sessanta centimetri di diametro. Oggetti pensati per un utilizzo quotidiano come per ogni possibile ambito professionale dell’ospitalità e dell’accoglienza, per decorare con colore la tavola, creando di volta in volta fantasiose combinazioni cromatiche e sempre nuove.

MONICA CANDUSSIO

GRAPHIC DESIGNER info@monicacandussio.net - www.monicacandussio.it


Ph: Massimo Crivellari



Ph: Massimo Crivellari


Senza alterare il perfetto equilibrio dell’ecosistema cutaneo e grazie all’impiego della ASPRivoli® Precursor Technology, apportiamo alla pelle elementi nutritivi essenziali che ne stimolano la capacità innata di auto proteggersi e auto rigenerarsi.


Largo dei Pecile, 19 33100 Udine (UD) T.0432 501048 FB: Profumeria Elisir Instagram:profumeriaelisirud


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EDITORIALE

EDITORIALE MIA Magazine n.24 A cura del Direttore Editoriale

È primavera e lo è anche per MIA Magazine che, per l’occasione, si veste di nuovo e porta tantissime novità anche nei contenuti! Da dove cominciare? Innanzitutto vogliamo farvi comprendere la nostra scelta di rivedere la rivista sia nella sua veste grafica, sia per quanto riguarda le rubriche e i loro contenuti. Da un anno a questa parte siamo molto più legati alla nostra casa, al nostro territorio, alla riscoperta delle tradizioni locali (dalla cucina all’artigianato). Tra le cose belle che questo periodo ci ha portato c’è anche la riscoperta del tempo libero e l’inevitabile ricerca del proprio equilibrio interiore, quotidiano, come singoli e come individui all’interno del nucleo familiare. C’è chi ha reagito trovando il coraggio di “sbocciare” con dei cambiamenti che non interessano solo il look ma anche l’intero stile di vita, facendo tesoro dell’introspezione “forzata” a cui questo momento storico ci ha obbligati.

tecnici ed esperti dei settori di cui andranno a parlare nelle rubriche che gestiranno per i prossimi quattro numeri. Grazie alle loro ricerche siamo andati a scoprire, attraverso delle belle interviste, i laboratori degli artigiani, le ricette segrete, le motivazioni, i percorsi, la natura dei luoghi e tutto ciò che anima questa terra. Volevamo una rivista che non parlasse più solo di moda e bellezza ma che potesse essere estesa ad un pubblico più vasto, parlando di BELLEZZA nella sua accezione più piena. Nascono, così, le rubriche dedicate alla cucina e al buon bere, al paesaggio e ai saperi della nostra bella montagna ancora sconosciuta al turismo di massa, allo sport, all’arte e al design, ai giovani talenti emergenti, al turismo lento, ai bambini che tanto hanno bisogno del nostro supporto e, per finire, alla musica, al teatro e ai libri. Quattro uscite, invece delle solite tre annuali, quasi pezzi da collezione, manuali per riscoprire il nostro territorio e ciò che lo rende unico, a partire dai suoi abitanti.

Territorio e lifestyle, quindi. Volevamo portarvi a stretto contatto con le persone che vivono questo luogo, con le loro esperienze, i loro saperi, tra sperimentazione e tradizione, realtà giovani ma che si nutrono, fin dal profondo, del sapere millenario, riscoperte e antiche certezze.

Quattro copertine simboliche. La prima, questa, con gli aerei di carta, quelli che non atterrano troppo lontano, portatori, spesso, di messaggi segreti, come quelli che vogliamo inviare noi con questa uscita. Simboli, certamente, del bel viaggio che è stato pensare, scrivere e creare questa rivista e che speriamo piaccia anche a voi. Vi aspettiamo a bordo!

Abbiamo voluto creare un team di collaboratori appassionati,

Buona Lettura! 9


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MIA magazine 24

Sommario

Primavera 2021

MODA SANREMO...ALLA RICERCA DELL’IDENTITÀ MASCHILE di Manlio Boccolini

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L’EMERGENZA CI PORTA... GLI EMERGENTI DELLA MODA di Manlio Boccolini

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IL CALZOLAIO CHE PARLA GIAPPONESE di Manlio Boccolini

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DONNA LA FELICITÀ NON È SINONIMO DI TRANQUILLITÀ di Martina Corrubolo

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PILLOLE DI FELICITÀ di Samia Laoumri

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UOMO

SHOOTING

MARIO LORENZIN DAL 1975 di Cristian Cecchini

THE NEW GENERATION foto Carlotta Di Franco Abbigliamento Boccolini

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ARTE & DESIGN TUTTO IL CINEMA IN FRIULI VENEZIA GIULIA di Sveva Casolino INTERVISTA A BARBARA PICOTTI di Gloria Buccino

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TURISMO

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GORIZIA NEL CUORE di Sabrina Pellizon

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UNA FINISTRA ITINERANTE SULLA NATURA di Jessica Zufferli

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FOOD & BEVERAGE HOSTARIA LA COLONIE di Gloria Buccino

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BIRRIFICIO ARTIGIANALE BONDAI di Gloria Buccino

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SPORT INTERVISTA A ANDREA COLUSSA di Alice Zuliani

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INTERVISTA A AURORA OVAN a cura della redazione

MONTAGNA INTERVISTA A MARIA TERESA DE ANTONI di Melania Lunazzi LE FONTANE DELLA VAL DEGANO di Melania Lunazzi

TALENTI EMERGENTI

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BAMBINI #LAGIRAFFALEGGE di La Giraffa con gli Occhiali

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FOCUS ON

SALUTE TRA PRIVATO E PROFESSIONALE INTERVISTA AL DOTT. LASPINA della Dott.ssa Silvia Codogno

MUSICA - ECCELLENZE JAZZ di Flavio Zanuttini

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TEATRO - NOI NON RIPOSEREMO MAI di Aida Talliente

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IN LIBRERIA - I CONSIGLI DEL LIBRAIO di Giovanni Tomai - Libreria Tarantola

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CONTRIBUTI

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SANREMO…ALLA RICERCA DELL’IDENTITÀ MASCHILE @manliob31166

Una certezza, un’incrollabile certezza italica: Il Festival di Sanremo. Testo a cura di Manlio Boccolini

Anche in tempi di pandemia il rito nazional popolare della primavera italiana si è ancora una volta tenuto sul palco del teatro Ariston, in un’atmosfera quasi surreale, una platea vuota dove i maestri d’orchestra non sono solo i protagonisti della musica, ma sono il pubblico stesso delle performance degli artisti sul palco. Quest’ultimo, arricchito da una scenografia definita da Oliviero Toscani come “…l’obesità del kitsch…”. Il Maestro Toscani, poco prima dell’inizio del Festival, aveva ritratto i Màneskin (risultati poi vincitori) nei loro corpi nudi o dipinti con colori tribali nella rappresentazione estetica di uomini e donne liberati da ogni costrizione, diversi ma uguali nel loro essere se stessi. Oltre alla loro canzone, che ha ottenuto il massimo consenso, è risultato vincente anche il loro modo di raccontare la loro identità, soprattutto quella del cantante Damiano che recentemente aveva raccontato su Instagram un episodio di cui era stato vittima a Piazza di Spagna a Roma a causa del suo abbigliamento. 12

Già lo scorso anno avevamo cominciato a intravedere questa necessità di cambiamento dei canoni di bellezza estetica maschile nei completi di Achille Lauro, che aveva colpito, proprio con un’immagine volutamente provocatoria, un pubblico (presente fisicamente) scandalizzato e destabilizzato. I Màneskin ora vanno oltre e, da ragazzi ventenni, esprimono un bisogno di libertà espressiva con naturalezza: sono giovani, belli e liberi. Suonano gli strumenti e studiano per crescere impegnandosi per raggiungere i loro obiettivi e questo atteggiamento li identifica nel nuovo che avanza. Siamo forse all’alba di un nuovo ’68? Dopo la pandemia che farà da cesura tra un mondo e un altro, tra canoni estetici ormai diventati dittature e una nuova libertà fluida che, partendo da un pensiero, si trasforma come sempre in immagine iconografica nella moda con una tale forza


MODA

“I CAMBIAMENTI NEL MONDO MASCHILE AVVENGONO IN TEMPI MOLTO PIÙ LUNGHI RISPETTO A QUELLI DELL’UNIVERSO MODA FEMMINILE, GLI STEREOTIPI MASCHILI SONO MOLTO PIÙ RADICATI NELLE MENTI DEGLI UOMINI, ...” contemporanea da far sembrare “vecchia e caricaturale”, dopo appena un anno, l’immagine di Achille Lauro (Gucci)… Questa nuova corrente impatta molto di più sull’estetica maschile, rispetto al passato che aveva messo più in evidenza la libertà femminile (quanto scandalo nel 1999 per il perizoma visibile di Anna Oxa…che è tendenza top quest’anno). Oggi è l’uomo, al centro del cambiamento, e questo è molto più stimolante per chi si occupa di moda.

stereotipate e violentemente uguali a canoni estetici imposti dall’industria del social marketing senza fantasia. Rivendicare il proprio pensiero, ammettere i propri limiti e paure equivale a crescere e, se queste sono le premesse delle nuove generazioni, possiamo guardare con fiducia al futuro che ci aspetta quando questo maledetto virus ci libererà il corpo…le menti oggi sono già libere.

I cambiamenti nel mondo maschile avvengono in tempi molto più lunghi rispetto a quelli dell’universo moda femminile, gli stereotipi maschili sono molto più radicati nelle menti degli uomini, forse per l’educazione impartita da piccoli o forse perché i muri costruiti attorno alla figura del maschio lo classificano in ordine decrescente a partire dal maschio alfa, di animalesca ispirazione, fondando quasi tutto sull’aspetto estetico di volumi e misure corporee. Il salto di qualità ora avviene perché si mette insieme al corpo anche la mente. I corpetti (Etro) indossati dai Màneskin nel duetto con Manuel Agnelli, le tute color carne trasparenti (Etro) della serata finale del Festival, sono la trasposizione visiva delle parola che avete appena letto qualche riga prima… Il fisico androgino di Damiano che si specchia nel torso nudo di Manuel coperto da un gilet di pelle nera, rimandava a un’immagine di forte impatto erotico per l’universo femminile, una nuova riscoperta di una seduzione mentale che distrugge il mito delle spalle larghe nelle giacche, della cravatta che “punta” in basso e di tutti i riferimenti sessualmente mascolini che l’abbigliamento formale maschile ha imposto per decenni, partendo dall’immagine delle divise militari. Ben venga allora questo vento che nasce dalla generazione Z, che non a caso si ispira al mood degli anni ’70, e che, come ha dichiarato la bassista dei Màneskin, Victoria de Angelis: “… cercavamo qualcosa che rappresentasse l’idea di libertà cui ambiamo…”. Guardando la foto realizzata da Oliviero Toscani che trasmette sessualità e amore senza pregiudizi, ci colpisce anche che l’essere nudi grida la voglia di essere se stessi senza filtri o paure. Questo è un grande messaggio che si riverbera in modo dirompente nel loro pubblico giovane, imprigionato in immagini 13


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L’EMERGENZA CI PORTA… GLI EMERGENTI DELLA MODA @manliob31166

Il mondo della moda continua a girare e, seguendo le stagioni, presenta le nuove collezioni dei brand mondiali Testo a cura di Manlio Boccolini

Si sono da poco concluse le sfilate stagionali dell’Autunno-Inverno 2021/22 (presentazioni digitali con pochissime eccezioni in presenza) che hanno toccato le capitali dei continenti americani, europei e asiatici. Concentrando lo sguardo su Milano, abbiamo potuto apprezzare che le nuove proposte di stile siano arrivate più da designer emergenti che dai più conosciuti brand strutturati e con storie spesso decennali. In un momento confuso e incerto i “grandi” della moda si sono avvalsi spesso degli archivi, riproponendo idee ispirate al passato, oppure si sono affidati a collaborazioni in tandem avvalendosi di stilisti più o meno giovani a cui affidare le nuove collezioni, come hanno fatto Bluemarine con Brognano o Prada con Raf Simmons, per citare due esempi che a nostro avviso hanno dato risultati diversi: apprezzabile per Brognano e da affinare per Prada.

in totale autonomia, nuovi linguaggi che rendano contemporanee le loro intuizioni stilistiche. Questo atteggiamento è quello che alcuni numeri fa su Mia Magazine avevamo chiesto alla moda, anticipando quello che oggi cominciamo a vedere sulle passerelle: talenti emergenti che trovano la loro voce al di fuori dei soliti circuiti dei grandi gruppi finanziari e commerciali. Quasi tutti partono dal corpo, in questa new age, per renderlo più sensuale e consapevole dei cambiamenti anche mentali nel rapporto con la diversità che, da eventuale limite, si trasforma in ricchezza.

Il colpo di scena è stato comunque quello di vedere nuove idee da parte di una pattuglia di stilisti emergenti (non per età ma per nascita del brand) che provengono spesso dagli uffici stile di marchi importanti, perciò con esperienza sia creativa che di vendite e di risultati economici, e che hanno voglia di liberare,

Un altro esempio di novità lo abbiamo trovato in Alessandro Vigilante (pugliese classe 1982) che arriva dal mondo della danza e perciò conosce i movimenti del corpo come pochi e utilizza materie prime sostenibili come il lattice di gomma naturale per riscoprire una parte del corpo (la schiena) che rac-

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Questo concetto è ben trattato da Andrea Adamo (calabrese nato nel 1984) che con la sua maglieria awereness traduce la consapevolezza delle diverse tonalità della pelle in linguaggio estetico seducente e moderno.


MODA

conta la nostra storia, meglio di altre estremità, definendo gli abiti come una seconda pelle nuova ed ecologica. Importanti esperienze precedenti (Dolce & Gabbana, Versace, Gianfranco Ferrè) sono la base su cui Christian Boaro (nato a Bassano del Grappa nel 1981) con CHB esplora un’idea di bellezza senza tempo, usando la tecnica della sottrazione ispirata a Coco Chanel nella convinzione che gli acquisti “fast” siano ormai evitati da una parte di clientela più attenta ed esigente. Passando da un estetica più sofisticata e up to date, segnaliamo anche Federico Cina che proviene dalla campagna romagnola e orgogliosamente propone un lavoro che parte dalle sue origini portando a Milano la collezione “A Emilia”. Il brand nasce nel 2019, debutta ad Altaroma con la sfilata “Romagna Mia” con un concetto di eleganza legato alla sostenibilità, l’attenzione all’ambiente di chi vive in campagna, seguendo un filo che parte dalla terra e si fonde con il tessuto urbano più moderno della città. Una ispirazione artistica che anche Raoul Casadei (purtroppo recentemente scomparso a causa del virus Covid-19) aveva portato alla ribalta nazionale nella musica, trasformando il folk popolare romagnolo nello stile di vita felice e godereccio di una generazione italiana. Per concludere vi segnalo che due brand (MSGM di Massimo Giorgetti e GCDS dei fratelli Giuliano e Giordano Calza) legati forte-

mente allo streetwear hanno cominciato a virare la rotta verso nuovi lidi. Un leggero passo in avanti nella consapevolezza che oggi dobbiamo andare a ricercare una nuova concretezza che vada oltre l’immagine ormai sbiadita delle città metropolitane che risentono più fortemente dei cambiamenti in atto nella società moderna. Questo vento di cambiamento è stato confermato dalle sfilate di Parigi, che tradizionalmente chiudono la stagione delle presentazioni, dove sicuramente abbiamo visto i più blasonati brand riconfermare la loro forza commerciale, che proviene soprattutto dalle vendite dei mercati orientali (da dove arriverà la ripresa economica), ma dove abbiamo apprezzato anche nuovi emergenti come Rokh che mescola le sue radici sud-coreane con i suoi soggiorni americani ed europei in una collezione molto ben costruita con capi di estrema qualità anche se con target prezzo costoso. Jonathan Anderson da Loewe, presentando la sfilata attraverso l’uso dei quotidiani, ha realizzato capi ispirati con volumi ampi pensati per non legare i movimenti del corpo e con lavorazioni artigianali di altissima sartoria. Un’ultima menzione speciale: Peter Do (che si pronuncia come “dough”) origini vietnamite, dopo aver fatto parte degli uffici stile di Celine (curata da Phoebe Philo) e Derek Lam, ha creato una collezione minimalista e curatissima in ogni dettaglio che la rende moderna e preziosa ai nostri occhi in cerca di novità. 15


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THE

NEW

GENERAT

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Foto Carlotta Di Franco Abbigliamento Manlio Boccolini Bijoux Regina di Saba Make-up Samia Laoumri Hairstyle Bobo Parrucchieri


ION

Abbigliamento Boccolini: T-shirt cotone logata, cintura logata, pantalone viscosa gessato e boots vernice, Essentiel Antwerp. Bijoux Regina di Saba: girocollo catena in argento. Collane in argento lunghe.

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Abbigliamento Boccolini: abito cotone pizzo macramè, Shi.rt Milano. Bijoux Regina di Saba: girocolli rosarietto colorati. 18


Abbigliamento Boccolini: abito/camicia cotone, Shi.rt Milano. Bijoux Regina di Saba: fili lunghi di perle di fiume bianche. Girocollo e collana lunga di sfere in pietra di onice. Orecchini e bracciale, Dublos.

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Abbigliamento Boccolini: abito viscosa stampa floreale e abito viscosa stampa leopardata con pois, sneakers light, Essentiel Antwerp. Bijoux Regina di Saba: collane lunghe rosarietto. Bracciale a catena in argento placcato rose gold. Orecchini pendenti a monete dorati, Dublos.


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Abbigliamento Boccolini: casacca cotone, gonna cotone stampa etnica, Shi.rt Milano. Boots vernice, Essentiel Antwerp.

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Abbigliamento Boccolini: camicia cotone ricamata a mano, gonna cotone stampa etnica, casacca cotone righe bicolor, Shi.rt Milano. Bijoux Regina di Saba: orecchini pendente a goccia in argento con zirconi azzurri. 23


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Abbigliamento Boccolini: abito mantella viscosa plissè stampato, sneakers light, Essentiel Antwerp. Bijoux Regina di Saba: orecchini pendenti kimono, Lebole.

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Abbigliamento Boccolini: casacca cotone righe bicolor, gonna cotone stampa african wax, Shi.rt Milano. Bijoux Regina di Saba: collana con pendente cactus in argento placcato oro rosa e zirconi colorati. Orecchini cerchio tubolare in argento placcato in oro rosa. 25


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Abbigliamento Boccolini: tailleur viscosa over size, Essentiel Antwerp. Bijoux Regina di Saba: collane lunghe di perle di fiume piatte. 26


Abbigliamento Boccolini: abito cotone punto sartoria con fiocco, Shi.rt Milano. Collana catena, Essentiel Antwerp.

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IL CALZOLAIO CHE PARLA GIAPPONESE @labottegadiettore

Famiglia di artisti radicati sul territorio cividalese, Ettore ha deciso di “andare a bottega” Intervista a cura di Manlio Boccolini - foto di Jessica Zufferli

Diamo spazio a storie del nostro territorio per valorizzare una delle basi importanti della vita: il lavoro. Una storia interessante, quella di Ettore Boer Bront, giovane artigiano cividalese, che dal Giappone è tornato in Friuli per fare…il calzolaio. La tua storia personale è particolare. Dovrei chiamarti Dottore. Raccontaci un po’ dei tuoi studi, da dove sei partito? A 18 anni, dopo aver terminato il liceo classico a Cividale, molto appassionato di fumetti e cartoni giapponesi, frequentavo anche un corso di arti marziali e così ho deciso di iscrivermi alla facoltà di lingue orientali Ca’ Foscari a Venezia – diparti28

mento di Giapponese. Nel corso dei 5 anni passati a Venezia – che si sono conclusi con una tesi magistrale da 110 e lode – ho avuto modo di soggiornare per un periodo di quasi un anno in Giappone (oltre a quattro mesi di Erasmus a Ljubljana). Mi sono reso conto che la società giapponese, però, non faceva per me e non era compatibile con la mia natura estroversa, espansiva e “creativa”, quindi ho deciso di rivolgere nuovamente lo sguardo verso la terra natìa. Mi risulta che tu abbia avuto alcune esperienze lavorative precedenti, puoi parlarcene? Ho lavorato in libreria da mio padre, dove ho avuto modo di iniziare a capire cosa vuol dire gestire un’attività e rapportarsi


MODA - INTERVISTA

col cliente; ho fatto il bracciante agricolo e vendemmiatore oltre che il manovale nell’ambito di scavi archeologici, dove ho potuto provare sulla mia pelle cosa vuol dire sudare, con pala e piccone in mano sotto il sole di agosto, la propria paga. Poi l’assistente al montaggio di grafiche, il macchinista/responsabile di scenografie e la maschera/volontario sia per Il Mittelfest che il Far East Film Festival di Udine. Il periodo lavorativo che però mi ha fatto crescere di più, sono stati gli oltre due anni e mezzo che ho passato come corriere, per la DHL di Udine, per entrare nella quale ho fatto il mio primo e, spero, ultimo colloquio di lavoro. Ho comunque bei ricordi e senza l’aiuto di Lamime e Thomas, ma in particolare del “Nono” non sarei riuscito a venirne fuori: in particolare ringrazio quest’ultimo, da cui ho imparato per la prima volta cosa vuol dire “lavorare” nel vero senso della parola. La tua famiglia materna è composta da artisti e artigiani, ti sei ispirato a loro nella tua scelta di vita? Il mio bisnonno (Giacomo) era fotografo e pittore, mio nonno (Pito) era fotografo, mia madre (Lia) insegnante di musica laureata al DAMS di Bologna e mio fratello minore (Augusto) è un armoraro che produce armature medievali in Svezia. A quanto pare “l’artisticità” fa parte della mia famiglia materna, i Bront. Ho deciso così di buttarmi sulla produzione artigianale. Mio padre Pietro Boer è Libraio da più di 30 anni, gestisce il suo negozio in centro a Cividale, e ritengo che il suo spirito imprenditoriale, la sua volontà di arrangiarsi da solo, e la sua facilità ad allacciare rapporti coi clienti abbia influenzato assai la mia decisione. Dice sempre: “La libreria non è solo un negozio, è soprattutto un punto d’incontro e di scambio”, questo forse mi ha ispirato a creare il mio di punto d’incontro, con le caratteristiche che volevo io. Perchè e quale percorso hai seguito per diventare calzolaio? Per Erica, la mia ex morosa. Due anni fa avevo deciso di regalarle un braccialetto in metallo. Mi sembrava brutto darglielo in una semplice carta così ho deciso di realizzare la custodia. Ho preso degli scarti di cuoio che mio fratello aveva lasciato in giro e ho costruito un astuccio in poco tempo. Man mano che bucavo con forbici e cacciavite il materiale, passavo il cordino nei fori, mi appassionavo sempre di più al cuoio, al suo odore e alla sua consistenza. Una volta finito mi sono detto: “Beh, fare cose in cuoio mi sembra divertente... Quale lavoro mi permet-

terebbe di guadagnarmi da vivere lavorandolo? – all’epoca ero ancora corriere – Ma certo, è ovvio! Il calzolaio!”. Ho deciso, allora, di chiedere a tutti i calzolai del circondario di prendermi come apprendista e solo uno si è dimostrato disposto – e anche contento – di insegnarmi l’antico mestiere del battitacchi: “Mestri” Lorenzo, il calzolaio di Remanzacco. “Mestri” Lorenzo e io abbiamo passato assieme più di un anno, periodo in cui ho imparato la base per quanto riguarda la riparazione di scarpe, borse e di tutti quegli oggetti che ormai si portano dal calzolaio quando non si sa dove andare (tute di moto, collari per cani, zaini, cuscini per gatti, giacche, borsoni da palestra e addirittura teli per la legna). Il cuoio, poi, è uno dei materiali più antichi e veniva lavorato fin dall’epoca preistorica. Mi diletto nella produzione di svariati oggetti, principalmente su commissione: cinture e portafogli da uomo, piccoli portamonete, borse da donna, portachiavi e porta documenti. O cose più particolari: copertine per agende, maniglie per ventiquattrore e album portafoto. Tutti gli oggetti da me realizzati sono nati da cuoio preso direttamente in conceria in Toscana e sono rigorosamente cuciti a mano in ogni loro parte. Quali progetti hai per sviluppare il tuo lavoro artigianale? Arrivare a costruire scarpe su misura? Al momento sono diviso tra l’aggiustare scarpe e il dilettarmi con il cuoio, cercando di dare la giusta attenzione a entrambe le mie attività. In futuro non so ancora cosa vorrò fare: più vado avanti, più mi piace il rapporto che instauro con i clienti e mi piacerebbe molto che la mia Bottega diventasse sempre più un luogo di incontro e socializzazione. Il cuoio è il mezzo con cui esprimo la mia creatività, incanalando la mia energia “artistica” verso la realizzazione di qualcosa che, alla fine dell’opera, mi fa dire: “Ecco, questo l’ho fatto io!”. Col tempo forse capirò meglio cosa voglio fare ma, per il momento, mi accontento della mia situazione e sono grato ogni giorno a tutte quelle persone che mi hanno aiutato in questa impresa, principalmente mia madre Lia, mio padre Pietro e mio fratello Augusto. Abbiamo concluso Ettore, ti ringraziamo per il tempo che ci hai dedicato e ti auguriamo un grande successo. Grazie a Voi e Mandi, vi aspetto tutti in Bottega da Ettore. 29


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LA FELICITÀ NON È SINONIMO DI TRANQUILLITÀ Le imprenditrici friulane, la femminilità e la lora carriera

Viaggio alla scoperta del mondo di Michela Scarello: femminilità, tenacia, ambizione. Intervista a cura di Martina Corrubolo - foto di Dean Dubokovic e Gianni Antoniali

Tra le tante eccellenze del Friuli, sono molte le aziende che hanno al timone donne che, spesso abituate a stare dietro le quinte, sono invece la mente e l’anima pulsante della loro azienda: immagini reali non costruite o filtrate come quelle che appaiono sui social. Imprenditrici forti delle loro passioni che vanno diritte per la loro strada e i loro follower sono più reali che mai. Oggi incontro una grande professionista del settore della ristorazione: Michela Scarello, manager e sommelier del ristorante Agli Amici 1887, che dirige, assieme al fratello Emanuele, lo Chef. Il ristorante fregiato della doppia stella Michelin, di sicuro non ha bisogno di presentazioni o di pubblicità sia in Italia che all’estero. Sono molto curiosa di conoscere un lato inedito di questa realtà: una donna così preparata che riesce a ricoprire due ruoli completamente distinti e così complessi. Quando varco la soglia del portone del ristorante mi rendo conto di essere in un altro mondo: l’ambiente è moderno e curato ma colgo allo stesso tempo un forte legame con la nostra terra, delle radici profonde con il passato strizzano l’occhio alla novità. L’aria è frizzante, ricca di entusiasmo: c’è grande fermento nonostante la chiusura e questo difficile momento per la ristorazione. È strano ma non sento quello che sta accadendo nel mondo al di fuori, qui c’è voglia di fare, di aggiornarsi e di ripartire alla grande. Michela mi mette subito a mio agio e decidiamo di darci del tu. Io noto i suoi bellissimi capelli ricci e bianchi, adoro che una donna possa portare la propria età con tale semplicità e orgoglio, trovo che sia uno stile che le si addice: naturale e sofisticata allo stesso tempo. Sono sicura che sarà un incontro ispirante per la nuova generazione di donne manager. Decido di rompere il ghiaccio, sono troppo curiosa. Storia di un successo: sei stata tu a credere in quest’idea e a nutrirla giorno per giorno oppure è stato qualcun altro a credere in te? Questa è un’attività di famiglia che esiste dal 1887: io e mio fratello siamo nati e cresciuti in questo ambiente, a contatto con le persone, abbiamo giocato nel cortile del ristorante e con la 30

farina in cucina. Quando dovevamo decidere che cosa fare da grandi, i nostri genitori ci hanno in tutti modi messo in guardia dalla vita dura e piena di sacrifici del ristoratore; noi invece abbiamo deciso, insieme, che il nostro sogno era portare avanti un progetto nuovo ed identitario di quello che volevamo essere. Chiarita l’identità è stato molto più semplice proseguire in quella direzione. È una realtà familiare ma ognuno si è ritagliato il suo ruolo in base alle capacità. A me piace molto mangiare. Mi piace proprio il concetto del cibo e amo poter consigliare cosa mangiare e cosa bere, non è una cosa banale! Si tocca una sfera molto intima della vita delle persone. Ingredienti fondamentali per un ottimo manager. Gli ingredienti per diventare un ottimo manager li conosco perché li ho studiati ma, in realtà, la quotidianità prende il sopravvento. Addirittura ci sono dei corsi online manageriali tenuti da prestigiose università ma io, tutto questo, non riesco più a sentirlo aderente a quello che faccio. Quello che posso dire è che bisogna capitalizzare quello che si sa fare, che si ha imparato e, soprattutto, avere la fortuna di confrontarsi con delle persone competenti che possono aiutare a gestire le svariate situazioni quotidiane che si possono creare con collaboratori, soci, clienti, ecc... Il consiglio più grande è di mediare e di far crescere la propria persona giorno per giorno. Questa creatura, che sia lavoratore o manager di successo, non fa differenza, va curata e coltivata. Per me, curare il mio locale, vuol dire anche prendermi cura di me stessa in tutte le maniere possibili: nell’anima, nell’aspetto, nella mente. Come ci si sente a rappresentare una realtà così famosa? In questa realtà, all’interno del cancello, nel nostro mondo, non ti senti più o meno famoso. Io semplicemente mi sento una persona che fa il suo lavoro e che pensa piuttosto al cliente o a far star bene un ospite, non alla fama. Vivo una vita molto serena e i miei amici sono quelli di sempre. La fama che abbiamo è legata a un determinato tipo di ristorazione, non è una fama assoluta. Che cos’è per te, oggi, davvero innovativo in un piatto e nel settore della ristorazione? La cucina è cambiata, il modo di fare ristorazione è cambiato negli ultimi anni, e, soprattutto negli ultimi cinque anni, si mangia in maniera diversa: un aspetto, per esempio, è quel-


DONNA

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lo edonistico legato strettamente al lavoro che facciamo noi, dove il piatto diventa “un’opera d’arte” e suscita nelle persone un’emozione che tocca più le corde dell’estetica che quelle del mangiare in sé. Basti pensare a quanto viene fotografato il cibo negli ultimi anni: come viene cercata la bellezza. L’altro aspetto innovativo è collegato al benessere e alla consapevolezza che quello che mangiamo si ripercuote inevitabilmente sulla nostra salute. Infine, un altro grosso cambiamento riguarda anche il servizio, una volta più distaccato e pomposo, adesso è più sciolto, più friendly, più legato al sentirsi a proprio agio in un ambiente, a tutti i livelli. Un piatto e un vino che rappresentano la tua personalità. Io sono onnivora. Mi piace mangiare, mettermi a tavola, assaggiare di tutto e non ho mai pensato a un legame fra la mia personalità e un cibo ma, se dovessi scegliere, direi che prediligo le verdure che sono molto colorate: ne mangio tantissime in tutte le maniere! Allo stesso tempo mi piacciono molto le frattaglie, il fegato, i rognoni, le interiora, la trippa… Per quanto riguarda il vino non ho molti dubbi: prediligo i vini bianchi strutturati, complessi, con un po’ di carattere. Ogni piatto è un viaggio nei cinque sensi: quanto conta per te viaggiare per trovare nuovi spunti? Questa è una bellissima domanda. Io amo viaggiare sia per lavoro che per piacere: spesso succede che non si torna a casa direttamente con una ricetta o con un’idea nuova ma, piuttosto, il viaggio ti aiuta a comprendere chi sei e conta come tu ti 32

rapporti con l’incontro con altre culture, con altri cibi e ingredienti, non importa quello che tu vedi, quello che assaggi… È praticamente la radice quadrata dell’esperienza: qualcosa che ti fa accendere qualcosa di nuovo in testa. La figura femminile alla quale ti ispiri. Sicuramente mia mamma, a livello di valori, è una grande ispirazione. Insieme a mio papà sono due punti di riferimento importanti, con la loro capacità di guardare le cose in maniera peculiare, con saggezza, pulizia d’animo e inclusivitá. La grande tenacia, il sacrificio e la voglia di realizzarsi segnano la nostra storia di famiglia. Poi ci sono, per forza di cose, tante altre donne contemporanee o storiche che suscitano la mia ammirazione per il loro modo di essere, di agire. C’è sicuramente un universo femminile al quale mi ispiro che peraltro non è contrapposto a quello maschile, in quanto, sia io che mio fratello, abbiamo avuto un’educazione paritaria. Come hai vissuto la tua femminilità in un ambiente maschile come quello dell’enologia? Io sono sommelier e responsabile di un ristorante e ci sono poche donne che fanno questo, però, è comunque vero che molte donne ricoprono dei ruoli ai vertici dei ristoranti più stellati d’Italia: circa un 40%. Credo che non manchi spazio alle donne, in questo come in altri settori, ma forse è una scelta rinunciare ad ambire a certi ruoli, penso che sia dura, che la competizione e la fatica abbiano il sopravvento. Cosa vorresti consigliare alle nuove generazioni di donne manager?


DONNA

Io non voglio dire ad altre donne cosa fare. Nel senso che viviamo in un’epoca molto fluida e, ognuno di noi, tende alla ricerca della felicità come se questo fosse un approdo facile: ma non lo è! La felicità si raggiunge combattendo duramente per fare ciò che ti piace fare. La felicità non è, secondo me, figlia della tranquillità. Aldilà dell’essere uomo o donna, andare avanti e ambire alla felicità, a qualche cosa di diverso, non è da tutti; spesso le cose più importanti si raggiungono anche attraverso scelte e, inevitabilmente, rinunce e sacrifici. Che importanza dai all’immagine del tuo lavoro? L’immagine di un piatto, della tavola, della persona che serve... Siamo molto sensibili all’impatto estetico, dal piatto all’ambiente, e, qui, tutto lo racconta. Credo che più che l’immagine vera e propria, è l’armonia che si crea tra le persone, quello che fanno, gli oggetti che metti insieme, la connessione tra il piatto e il suo contenuto. Un cliente quando sta a tavola due o tre ore deve percepire che tu stai bene con lui e con te stesso. Credo che la divisa sia importante e deve comunicare bene quello che si sta facendo, carina e ordinata ma non solo: capelli raccolti, semplicità, trucco leggero. Nel ristorante ami essere al centro dell’attenzione e sempre riconoscibile o dirigere da dietro le quinte? Io sono qua sempre, dalla mattina alla sera, è necessario che io sia riconoscibile nel mio ruolo ma spero anche di saper dare

alle persone che lavorano con me grande spazio e fiducia, nel momento in cui lo meritano. Il nostro team è molto giovane, va dai 18 ai 30 anni, perché cerchiamo di dare spazio ai giovani, in modo che possano avviare o proseguire un percorso professionale importante. È molto difficile mantenere un livello alto in questo settore? Ti senti spesso sotto pressione? È difficile mantenere un livello alto in qualsiasi settore: noi siamo ristorante stellato da vent’anni e la seconda stella è arrivata dal 2013. Siamo consapevoli della costanza della nostra performance, questo richiede grande lavoro e ricerca. Ogni giorno ci si sveglia con l’idea di poter migliorare qualcosa: capiamo che le persone che vengono da noi investono molto in termini economici ma, soprattutto, ci scelgono per celebrare un’occasione speciale. È un allenamento che costa molta fatica ma ci teniamo al fatto che ogni nostro ospite possa vivere un’esperienza unica.

Agli Amici 1887 Relais&Chateaux Via Liguria, 252 Udine www.agliamici.it Fb: Agli Amici Instagram: @agliamici1887 33


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PILLOLE DI FELICITÀ Piccole testimonianze di piccoli stravolgimenti “quotidiani” Testo a cura di Samia Laoumri - foto Unsplash.com “Non sempre sappiamo da dove iniziare per sentirci meglio, spesso non sappiamo nemmeno dove vogliamo andare.” In questo periodo come non mai abbiamo tutti sentito la necessità di cambiare, di rompere il cerchio della monotonia per darci quelle sensazioni di leggerezza e di cambiamento. Nessuno ci aiuterà a capire dove, quando e come, iniziare a rompere questo loop. Ma, sicuramente, ci siamo accorti che piccoli e semplici gesti quotidiani ci fanno sentire bene. Ecco piccole testimonianze di persone comuni che si sono raccontate. Abbiamo a che fare con persone che hanno avuto un’evoluzione nel makeup oppure della sua assenza come filosofia di vita, alla scelta del tutto green sui prodotti di cosmesi e non solo, alla scelta di dedicare dieci minuti al giorno a se stessi per un sano egoismo come ricarica personale, all’accettazione del proprio corpo abbandonando, così, inutili e avvilenti diete fai da te, allo stravolgimento del look come rivendicazione della propria identità. Continuando con una frivola scelta di un audace colore dello smalto o del rossetto. Argomenti che, letti in tutta fretta, possono sembrare molto superficiali ma che, però, hanno aiutato a strappare un sorriso e a rendere più sicure le persone che sulla loro pelle lo hanno provato. Queste frasi fanno capire come makeup può fare molto di più di quel che si può credere. Buona lettura!!!

“Se penso alla frustrazione e alla sensazione dell’essere “senza via di scampo” che avevo nel ritoccare la ricrescita, dovuta alla presenza quasi totale dei capelli bianchi, rabbrividisco! Ora, dopo lo sconforto durante il lockdown, la posso sicuramente considerare come la rinascita di una nuova me. Una liberazione.” Antonella R. “Sono una parrucchiera e makuep artist, mi sono sempre piaciuta ma, da quando ho preso coraggio e mi sono tagliata i capelli corti corti ascoltando il parere di un esperto hairstylist, credo di poter dire ad alta voce di aver affermato la vera personalità che dietro i capelli lunghi e un po anonimi nascondevo.” Anna Z.

“Non ricordo quando ho iniziato a fare diete. Credo di seguirle da sempre. Sono sempre stata un po’ in carne ma gli stereotipi imposti da TV, moda e modi di pensare, mi facevano sentire in difetto. Posso dire con tutta franchezza di essere stata schiava delle diete da tutta una vita, questo primo lockdown mi ha spinta a trovare uno psicologo che mi ha aiutata molto e, anche se il percorso è molto lungo, ora sono molto serena e non mi peso più ormai da qualche mese. Posso anche dire con piacere di aver comprato i primi pantaloni attillati della mia vita e mi ci vedo molto bene, riscuotendo anche molto successo nella mia famiglia e al lavoro.” Sandra P. 34


DONNA

“Sarà stata la praticità di quella brutta e antiestetica mascherina sporca di trucco ma, da quando ho iniziato a non truccarmi più, mi sono sentita sinceramente molto meglio e, per assurdo, mi piaccio molto più ora di prima.” Grace D. “Sono, ormai da cinque anni, vegana e, da quando sono stata costretta a stare più tempo in casa, ho iniziato a cercare on line prodotti totalmente green se non addirittura vengan. Sono diventata molto attenta alla provenienza degli ingredienti, sugli INCI e sono piacevolmente contenta quando trovo prodotti con un packaging sostenibile.” Selena M.

“SE SIETE TRISTI, SE AVETE UN PROBLEMA D’AMORE, TRUCCATEVI, METTETEVI IL ROSSETTO E ATTACCATE!” Coco Chanel “Sembrerà una cavolata ma ho sempre tenuto le mani curate, unghie molto corte e smalti sempre neutri. Un giorno ho osato con un bel rosso e mi é piaciuto sentirmi un’altra per qualche settimana.” Mara M.

“Sono una mamma, imprenditrice, abitutata a correre e a non dedicare molto tempo al mio corpo ma, ormai da un’anno a questa parte, mi sono decisa che dieci minuti al giorno tutti per me, non fanno male a nessuno, anzi, ho iniziato con delle semplici maschere che mia figlia mi aveva regalato e l’ho trovata una bella coccola personale grazie alla quale, ovviamente, il mio viso e i miei capelli hanno tratto vantaggi visibili ad occhio nudo. Ora non ne faccio più a meno.” Nunzia C. 35


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MARIO LORENZIN DAL 1975 @mariolorenzin

Intervista a cura di Cristian Cecchini “I think having land and not ruining it is the most beautiful art that anybody could ever want.” “Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.” (Andy Warhol) Con questa frase l’azienda trevigiana ha voluto presentarsi. Con Michele, titolare della Loràl Radicchio, parleremo della sua azienda che produce prodotti per il benessere di cute, barba e capelli. Innanzitutto, descrivici la particolarità dei vostri prodotti. Il cuore dei nostri prodotti è il radicchio, un vegetale ricco di vitamine, minerali e antiossidanti. Viene coltivato negli orti della marca trevigiana, nel rispetto delle persone, dell’ambiente e della natura e raccolto a mano. Le varietà di radicchio utilizzate vengono macerate ed estratte a chilometro zero per conservarne intatte le proprietà e i principi attivi. Treviso, con il radicchio, crea sempre un connubio vincente, ma come nasce l’idea, che origine ha la “ricetta”? Il fondatore dell’azienda è Mario Lorenzin, mio padre, un barbiere che quando inizia a perdere i capelli si ricorda di una ricetta erboristica a base di radicchio in grado di rendere sani e belli i capelli. La ricetta era perduta da tempo: trovarla e ricreare l’antica lozione è stato il suo impegno negli anni successivi. Consulta erbari, studi di chimica ed erboristeria. Visita le biblioteche dei monasteri, prima in Umbria e poi a Napoli. Infine, da quei manoscritti medievali, riesce a ricavare una ricetta. Oltre al lavoro in bottega cercava anche la ricetta, era instancabile! Sono curioso di sapere qualcosa sul Mario barbiere… Mario, all’età di 11 anni, ha iniziato a lavorare come garzone dal barbiere di paese, dove resterà per due anni circa. A 13 anni lavora in una barberia di Castelfranco Veneto e durante l’estate dei 15 anni perfeziona la sua preparazione in bottega a S.Vito di Cadore. L’inverno successivo lo passa a Cortina D’Ampezzo dove ha l’onore di servire personaggi del jet-set come Vittorio De Sica e Umberto Nobile. Mario, a 16 anni, dopo aver ottenuto l’emancipazione, rileva il suo primo negozio di barbiere nel centro storico della cittadina di Asolo. Successivamente al servizio di leva militare, apre il primo negozio di barbiere a Vedelago (TV). Nel 1986 decide di cessare l’attività di barbere e si dedica in toto alla Loràl Radicchio. 36

Mentre tu, Michele, non hai mai pensato di fare il barbiere? Sei entrato direttamente in azienda? Il salone è stato chiuso nel ‘86 ed io sono nato nel ‘78, quindi ho solo assaporato la “vita da bottega”. La mia volontà è stata quella di intraprendere degli studi che riuscissero a conciliare la natura con la cosmetica. Mi sono diplomato alla scuola agraria come perito tecnico delle trasformazioni agroindustriali e questo mi ha permesso di riuscire poi a creare il collegamento dalla materia prima (il radicchio) ad altri prodotti cosmetici. L’azienda, in che anno prende vita, quando il lavoro di ricerca di Mario vede la luce? La Loràl Radicchio, viene fondata nel 1975, la sede è a Resana, in provincia di Treviso, attualmente i nostri prodotti sono


UOMO

“È UN PRODOTTO “FATTO A MARIO”, PERCHÈ ANCORA OGGI LO FACCIAMO...”COME FACEVA MARIO””

disponibili presso concept store, profumerie, barberie e nei principali department store d’Europa. Vengono prodotti e distribuiti con il brand: “MARIO LORENZIN dal 1975”. La produzione viene fatta sempre a Treviso? Cosa è cambiato rispetto agli inizi? In sostanza possiamo dire che è un prodotto “FATTO a MARIO”, perché ancora oggi lo facciamo… “come faceva Mario”. Andiamo a selezionare il radicchio migliore, poi, dalla sua macerazione a freddo, ne estraiamo le parti più preziose. I nostri prodotti naturali per capelli nascono da formule ispirate alla natura e sono preziosi integratori di salute e benessere. Sono lavorati a mano, totalmente made in Italy.

Riassumendo: prodotti naturali, produzione artigianale, la filosofia è rimasta la stessa di chi l’ha fondata nel 1975, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere questa chiacchierata? Ti direi che in un mondo in cui tutto viene consumato in fretta, i nostri trattamenti sono un invito a rallentare, a riscoprire i gesti semplici, ad assaporare il piacere dell’attesa e a prenderti cura di te in una dimensione del tempo più lenta e riflessiva. Le nostre linee di prodotto sono un’esclusiva sorgente di bellezza e cura per tutti i tipi di capelli e una preziosa fonte di benessere per la tua persona.

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TUTTO IL CINEMA IN FRIULI VENEZIA GIULIA @svecasolino

Il Friuli Venezia Giulia meta di molti registi, tra fiction, noir e grandi produzioni internazionali Testo di Sveva Casolino

Friuli terra di cinema? Esatto! Nella nostra regione si gira tantissimo cinema. E per fortuna! Il Friuli Venezia Giulia offre paesaggi mozzafiato e luoghi spettacolari che attirano ogni anno svariate troupe cinematografiche da tutto il mondo. Dalle montagne al mare, ogni piccolo pezzo di terra nostrana è stato utilizzato come set cinematografico. Ma come mai tante produzioni nazionali e internazionali decidono di venire in FVG per girare i loro prodotti? Il merito va sicuramente alla Friuli Film Commission e a location manager come Michele Sardina, che ci racconta lo stretto rapporto tra la nostra terra e il cinema. 38

Michele, ci racconti la tua esperienza nel cinema e ci spieghi in cosa consiste la figura di location manager? Lavoro nel cinema da circa vent’anni e il mio primo lavoro come location manager è stato dieci anni fa per una pubblicità girata ai laghi di Fusine. La figura del location manager spazia in diverse mansioni, propone le location al reparto di regia e scenografia, svolgendo principalmente un lavoro di scouting. Una volta che le riprese sono avviate, ci occupiamo di lavorare coordinatamente con gli altri reparti e soprattutto con le istituzioni per ottenere i permessi necessari. Quali aspetti del Fvg attirano di più le produzioni straniere?


ARTE & DESIGN

Il Friuli attira perché è una regione piccola ma estesa, si passa dal mare alle Alpi in due ore di macchina, il che offre un ventaglio gigantesco di location. Poi, grazie alla storia del Friuli, ci sono molti borghi e cittadine in cui si possono raccontare svariate vicende. La collaborazione con l’Austria e la Germania è ormai definita da anni di reciproca collaborazione, ma abbiamo stretto di recente anche quella con la Slovenia e la Croazia. Per esempio, Gabriele Salvatores ha girato il suo penultimo film “Tutto il mio folle amore” tra Trieste e l’isola croata di Pag, mentre il regista croato Dalibor Matanic ha ambientato il suo “The Dawn” nei pressi del Piancavallo. Tutto ciò viene realizzato grazie all’enorme lavoro della Friuli Film Commission che, essendo stata una delle prime ad essere fondata in Italia, ha permesso la formazione di professionisti dell’audiovisivo, cosa che ci rende parecchio appettibili alle produzioni estere. Quali sono i luoghi friulani che le produzioni scelgono più spesso? Trieste, per varie ragioni, è al primo posto. Dal punto di vista produttivo, alla sua storia, Trieste è diventata negli anni un’icona del Friuli, a cui il pubblico è affezionato. I palazzi, il Castello di Miramare e la Cavana non hanno nulla da invidiare alle capitali europee. Ma soprattutto il punto di forza di Trieste sta diventando Porto Vecchio, una vera città dentro la città, in cui abbiamo ricreato di tutto: dai docks londinesi a paesaggi russi. Venzone e Cividale del Friuli sono altre mete molto amate, soprattutto per le pubblicità, così come Gorizia e il suo Collio, che richiamano al pubblico straniero la tipicità del paesaggio italiano. Come location naturalistiche, vengono scelte di frequente i laghi di Fusine e la laguna di Grado e Lignano. Ci sono dei luoghi specifici friulani che, dopo essere stati utilizzati come set, sono diventati più popolari? “La porta rossa” (fiction Rai) ha portato l’attenzione nazionale su Trieste, così come hanno fatto Salvatores con i due capitoli de “Il Ragazzo Invisibile” e Giuseppe Tornatore con “La Grande Offerta”. Lui doveva girare a Vienna, ma poi la Film Commission è riuscita a convincerlo a girare nella città mitteleuropea. Sempre Salvatores ha portato alla luce luoghi come Osoppo e Majano in “Come Dio comanda”. L’episodio di Montalbano “L’altro capo del filo” è stato girato tra Venzone e Cividale. Poi, quest’anno è prevista l’uscita di “The Hitman’s Wife Bodyguard”, film d’azione hollywoodiano che ha scelto proprio Trieste come una delle location principali. Cosa ti auguri per il cinema friulano in futuro? Tutti gli autori che vengono nella nostra regione per la prima volta rimangono colpiti dalla sua storia, anche quella più recente, e dalla varietà di culture che offre. Le persone devono capire che la nostra regione offre enormi risorse e non ne esiste un’altra con una diversità così unica di luoghi, e se continuiamo a mettere quel trattino tra Friuli e Venezia Giulia abbiamo ancora molto da imparare. 39


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BARBARA PICOTTI @barbarapicottiarte

Intervista a cura di Gloria Buccino foto e illustrazioni di Barbara Picotti Grafica per passione e per formazione, prima al Sello poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, ha approfondito la fotografia con Angelo Schwarz, uno dei grandi maestri del fotogiornalismo in Italia. Illustratrice per Electa Mondadori e per Panda Edizioni, Barbara ha esposto in Italia e all’estero ottenendo riconoscimenti in pittura, nella grafica d’arte e nell’illustrazione. La potete trovare all’Ente Mostra Permanente della Carnia a Tolmezzo, di cui è curatrice o, su appuntamento, nel suo laboratorio d’arte a Nonta di Socchieve. Quanto sono competitivi attualmente il mondo dell’illustrazione e della grafica? Innanzitutto bisogna precisare quali sono le differenze tra illustrazione e grafica. Mentre l’illustrazione verte sull’interpretazione creativa, la progettazione grafica tratta di comunicazione. Altra differenza sostanziale è come e dove si usano. Il design grafico è più commerciale, mentre l’illustrazione è più legata all’arte. L’illustrazione grafica è ciò che accade quando le due discipline si sposano. Oltre alla carta stampata, Internet ha permesso a illustratori e grafici di ampliare la comunicazione attraverso i canali digitali. Le competenze di un grafico e/o illustratore sono e saranno sempre richieste, perché il modo più immediato ed efficace per comunicare concetti complessi è farlo attraverso l’immagine (sfido chiunque a montare una libreria “Billy” con delle istruzioni scritte, anziché illustrate) e anche se ci viene detto che un giorno il nostro lavoro sarà fatto da robot, potete stare certi che il pensiero e la creatività umana, che sono alla base di ogni tipo di progettazione, non corrono alcun rischio. Lei organizza diversi laboratori di arte. A chi sono rivolti? A quale scopo? Quali sono le tecniche e gli argomenti principalmente trattati? La creatività è una qualità che va coltivata fin da piccoli e deve essere nutrita anche in età adulta per mantenerla viva. Per questo organizzo laboratori d’arte da più di vent’anni. Le prime esperienze le ho fatte coi bambini, con un approccio ludico all’arte, preferendo la preparazione artigianale di colori e supporti. Per giovani e adulti ho fatto dei laboratori di “espressione totale”, con la pittura gestuale, la poesia spontanea e il teatro. Ho anche proposto laboratori teorico-pratici di antroposofia e storia dell’arte, collaborando con esperti del settore. In qualità di artigiana dell’artistico, ho aderito al progetto “Maestri di mestieri – da grande farò l’artigiano”, promosso dal Movimento Donne Impresa con l’intento di avvicinare i bambini delle scuole primarie al lavoro artigianale; in questo contesto ho proposto la lavorazione della carta a mano. L’ultima idea che ho sviluppato (sostenuta dalla Comunità di Montagna del40

la Carnia e dall’ASU FC) è “CO.LAB. Mettiamoci a fuoco”. Progetto rivolto alle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, con laboratori condotti da artigiani e artisti locali. Personalmente ho seguito i corsi di arte e fumetto, favorendo la sperimentazione delle tecniche più innovative, sia in campo tradizionale che digitale. Che importanza hanno l’arte e l’essere artisti, ora più che mai? L’arte oggi è libera di esprimersi, perché non è più il mezzo eletto dal potere per fare propaganda. L’artista svolge un ruolo importante nella società contemporanea, ovvero quello di esprimere il sentire universale, ispirare le persone, registrare e preservare la storia umana, creare un senso di comunione, lanciare messaggi di speranza, offrire delle visioni illuminate e apportare cambiamenti sociali. Godere dell’arte ci nutre, ci predispone alla bellezza, ci stimola ad approfondire la conoscenza e il sapere, ci fa riflettere, ci dà speranza, ci aiuta ad accettare il dolore sublimandolo, ci rasserena. Lei si occupa di fotografia, stampa, grafica e illustrazione con varie tecniche, in quale si ritrova maggiormente? A questa bella domanda rispondo: in tutte, perché in ogni cosa che faccio ci metto me stessa. Dal Suo portfolio emerge un’indagine più profonda della sfera intima attraverso la fotografia, ad esempio, mentre la grafica e l’illustrazione sembrano più


ARTE & DESIGN - INTERVISTA

usate per i progetti su commissione. Ho sempre amato la fotografia, come strumento di indagine e come linguaggio espressivo. L’ultimo progetto come fotografa, dopo la mia personale “Ephemèra” del 2019, è la collettiva “Falisçhis”, dalle fiamme l’essenza dei linguaggi, allestita a Tolmezzo presso Palazzo Frisacco. Nella notte del 21 luglio 2020 un incendio ha distrutto la Carnica Arte Tessile di Villa Santina, mandando in fumo cinquant’anni di dedizione, cura e omaggio alla tradizione tessile iniziata nel ‘700 dal Linussio. Questo progetto è un incoraggiamento, da parte di alcuni amici fotografi, artisti e musicisti, nella speranza che l’attività possa rifiorire quanto prima. Cosa vuol dire fotografare la natura? Lei realizza principalmente fotografie che sembrano indagare le “texture” della nostra terra, cosa l’ha portata ad esplorare questo aspetto? La natura è una fonte infinita d’ispirazione, l’affascinante ricchezza di dettagli che essa offre continuamente è ineguagliabile. Mi concentro sui particolari perché, avvicinandomi, la visione diventa contatto e questo mi aiuta a evidenziare la bellezza che si nasconde nelle piccole cose, nella poesia che la natura esprime vedo la magia che essa compie. Molti dei lettori riconosceranno la sua locandina per l’edizione 2020 di Grado Jazz o le illustrazioni di alcuni libri oppure ancora le immagini realizzate per il progetto Girarifugi promosso da Assorifugi Fvg. Quali sono le richieste dei committenti, quale libertà viene lasciata, sulla rappresentazione e sulla tecnica, e quali sono le aspettative? Ogni progetto ha una storia a sé e come illustratrice grafica mi sono trovata di fronte a situazioni molto diverse. Nel mio lavoro non ho mai cercato d’impormi uno stile specifico, anche se ci sono delle tecniche e degli stili che mi sono più congeniali. La mia capacità espressiva è versatile, inoltre mi piace soddisfare la richiesta di un cliente anche quando si discosta dalla mia zona di comfort, perché amo mettermi alla prova e crescere, cosa che difficilmente accade continuando a fare sempre le stesse cose. Il mio obiettivo principale non è mai stato quello di

essere riconoscibile attraverso uno stile ma piuttosto di comunicare al meglio servendomi di uno stile. Lei è illustratrice anche per testi di Electa Mondadori e Panda Edizioni, testi in cui si esprime maggiormente con le tecniche della rappresentazione fumettistica. Cosa significa illustrare un libro e dare un volto e delle caratteristiche ai suoi personaggi? L’illustrazione è un mezzo per comprendere il testo tramite un’immagine. Illustrare un libro significa sintetizzare i contenuti del testo, operazione che si estremizza nella copertina perché attraverso di essa bisogna illustrare il racconto, interpretando il pensiero dell’autore e sintetizzando immaginario e narrazione in una sola figura, tale da comunicarne i contenuti e catturare l’attenzione al primo colpo d’occhio. Gran parte dei giovani illustratori e grafici lavora direttamente al computer con l’utilizzo di tavolette grafiche e programmi altamente specializzati. Crede che l’utilizzo del computer tolga la possibilità ai giovani di sperimentare le tecniche, di esprimersi attraverso linguaggi espressivi diversificati e di essere quindi, prima di tutto, degli artisti a tutto tondo? Penso che il linguaggio espressivo si evolva di pari passo all’uomo e che lo strumento col quale egli si esprime sia solo un mezzo e non un fine. Basandomi sulla mia esperienza personale, avendo avuto una formazione classica alla quale è seguita l’esperienza in digitale, devo dire che padroneggiare le tecniche tradizionali costituisce la base per potersi esprimere con scioltezza anche con gli strumenti digitali. L’approccio ai nuovi strumenti può essere modulato a seconda delle esigenze, non solo tecniche ma anche di finalità. Faccio un esempio: non ha senso produrre delle tavole illustrate con tecniche tradizionali per realizzare un videogioco ma può essere utile fare uno schizzo a matita, importarlo tramite uno scanner ed elaborarlo in digitale. Spesso gli illustratori mixano strumenti tradizionali e non per accelerare il lavoro. In ogni caso è necessario avere una conoscenza approfondita degli strumenti che si utilizzano per poter ottenere dei buoni risultati. 41


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GORIZIA NEL CUORE ecoturismofvg.weebly.com

Una storia di rinascita e d’amore per la propria città Testo di Sabrina Pellizon - foto di Stefano Benetti

Vi capita mai, quando visitate una città, di sentire l’esigenza di sperimentare vicoli nascosti e stradine secondarie al di fuori dai percorsi di visita standard? O magari di voler poter entrare in un antico edificio privato, in pieno centro storico, per scoprirne le mura, l’atmosfera, gli arredi o per farvi raccontare la sua storia? A me capita sempre: è il fascino dei dettagli, del nascosto e dell’insolito di cui non posso proprio fare a meno. Ci sono tanti modi per conoscere un luogo, perché tante sono le chiavi di lettura che possiamo scegliere per visitarla. Io ho scelto quella dell’amore degli abitanti per la propria città, un amore che nasce dal desiderio di far rinascere una Via ed i suoi dintorni e la volontà di valorizzare un pezzo di storia economica, sociale e culturale, che per lungo tempo è stato dimenticata. Ci si può innamorare di una città, esattamente come di una persona? Io ne sono convinta e sono ancora più convinta che gli stessi cittadini, essendo i migliori ambasciatori di una città, debbano essere coinvolti in prima persona nella narrazione dei loro luoghi. Ed è esattamente ciò è stato fatto a Gorizia dalla neonata Associazione Volontaria Via Rastello lanciando l’iniziativa #GoriziaNelCuore: è stato chiesto ai cittadini di segnalare il loro luogo del cuore, spiegando il motivo per cui ne sono particolarmente affezionati o perché per loro ha una valore speciale. Dai messaggi pervenuti è nato un itinerario cittadino molto particolare che ha permesso ai partecipanti, provenienti da tutta la nostra regione, di conoscere una Gorizia insolita, raccontata e vista attraverso gli occhi e il cuore dei suoi abitanti. Articolato in dieci tappe, il percorso parte dalla statua di bronzo di Carlo Michelstaedter, - figura goriziana di spicco della cultura Mitteleuropea - sita all’inizio di Via Rastello e si snoda per cinque chilometri, toccando alcuni luoghi davvero nascosti e ricchi di storie. Sono luoghi non inseriti nei classici itinerari di visita guidati e dove probabilmente da soli non ci andreste mai perché, se non siete autoctoni, non li conoscete. Io ve ne propongo due, situati nel borgo cittadino di San Rocco, borgo che nasce agricolo e che restò separato dal nucleo cittadino vero e proprio per moltissimo tempo. Nella piazzetta della Chiesa sorge il Gelso Bianco Monumentale, la cui storia ci riporta indietro nel tempo fino al regno di Maria Teresa 42

d’Austria e Francesco Giuseppe, quando la bachicoltura era fonte di sostentamento per moltissime famiglie goriziane e la pratica della sericoltura in città richiamava studiosi provenienti da tutto il mondo. Questo gelso, oggi malato, cavo e sofferente, per tantissimo tempo ha segnato il confine di un campo coltivato a Rosa di Gorizia o Radicchio Canarino, che si trovava al posto dell’attuale giardinetto con panchina. La panchina è per me un invito a sedersi per osservarlo e ammirarlo perché, nonostante l’età e i suoi acciacchi, non cede al tempo e alle intemperie ma resta lì, a testimoniare non solo un pezzo di storia economica, ma anche la storia di una famiglia di contadini, come ce n’erano tante in città, che ha tramandato nei secoli la tradizione di quello che oggi è diventato un fiore all’occhiello della gastronomia goriziana. E’ proprio il gelso ad indicarci la strada verso un altro luogo del cuore dei Goriziani: il sentiero Madriz (chiamato anche Sentiero delle Madonnina). Questo sentiero, stretto e avvolto nel verde, è rimasto impercorribile per tanto tempo a causa dell’incuria. Ripristinato e ripulito nel 2015, conduce, oggi come un tempo, all’ex Seminario Minore: un edificio di inizi ‘900, elegante nei colori e nelle decorazioni, circondato da un verde parco, un tempo coltivato ad orto e frutteto per il sostentamento dei seminaristi. E’ chiamato “della Madonnina” perché ospita una riproduzione dal vero della Grotta della Madonna di Lourdes. Un piccolo angolo di pace e di natura in città, che invita alla meditazione. Dal Seminario potete ritornare in Via Rastello passando per l’elegante Piazza Sant’Antonio, luogo del cuore di tantissimi bambini goriziani, oppure optare per la salita al Castello, attraversando il Parco Urbano del Castello, accedendovi da via Giustiniani. Arrivati in cima una foto al panorama è davvero d’obbligo. La passeggiata “Gorizia nel Cuore” si conclude con una visita davvero esclusiva alla storica Via Rastello. L’omonima Associazione Volontaria ha, infatti, aperto per l’occasione, le porte di due ambienti storici della Via, facendo fare ai partecipanti un bellissimo tuffo nel passato, respirando atmosfere ed ambienti molto suggestivi: la storica ferramenta Krainer e l’antica cucina con mensa del convento delle Madri Orsoline. Lo stabile risale al Settecento ed è uno degli esempi più belli


TURISMO

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“ERA UN CONTINUO VIA VAI DI CARROZZE, CALESSI E DI PERSONE INTENTE A CHIACCHIERARE, A FARE ACQUISTI O SEMPLICEMENTE A PASSEGGIARE. E PER UN CERTO PERIODO VI PASSÒ ANCHE IL TRAM.” del Liberty goriziano con l’elegante insegna in ferro, la facciata in pietra squadrata e le volute floreali. Dal 1912, per quasi un secolo, fu sede della storica ditta «Krainer & Comp.» e i relativi magazzini: senza dubbio il negozio più antico dal punto di vista della conservazione degli arredi. Entrando, colpisce l’eleganza della scala che porta al soppalco con passamano in ferro, i meravigliosi cassetti di legno del mobilio liberty, la pavimentazione originale e la guardiola della cassa, in rovere e cristalli bisellati, dove generazioni di goriziani, di qua e di là della frontiera, pagavano alla cassiera quanto avevano acquistato. Gli storici magazzini, situati nello stesso stabile ma in un altro ambiente, sono ancora più affascinanti: risalgono alla fine del Seicento, quando, prima di diventare proprietà della ditta Krainer, ospitarono la cucina e mensa del Convento delle Madri Orsoline sito a pochi passi da lì, in via delle Monache. L’atmosfera e i muri sono quelli di un tempo: tutto è in pietra, i soffitti sono bassi e a volta e conservano ancora i ganci pendenti probabilmente utilizzati per essiccare la carne e in fondo all’ultima stanza, si vede, nascosto da un grata, un antico pozzo che raccoglieva, e raccoglie ancora oggi, l’acqua proveniente dal colle del Castello. Impossibile non immaginare i profumi e le pietanze che le Orsoline goriziane preparavano alle fanciulle del convento: il gulasch ungarico, l’arrosto all’ebrea e i “nastrini delle monache”, per citarne alcuni. Pensate che, in tempo di guerra, il Signor Krainer, ogni martedì dava la possibilità agli abitanti di via Rastello e dintorni di poter rifornirsi dell’acqua del pozzo per potersi lavare. E’ sembrato di tornare per un attimo indietro nel tempo, quando la via Rastello brulicava di Signori Negozianti e Artisti di Mestiere, i cui negozi e botteghe di tutti i tipi e per tutte le tasche, si aprivano uno dopo l’altro lungo la via e sotto i suoi bellissimi portici, i venditori ambulanti e artigiani con i loro banchetti prestavano i loro servizi ai passanti. Era un continuo via vai di carrozze, calessi e di persone intente a chiacchierare, a fare acquisti o semplicemente a passeggiare. E per un certo periodo vi passò anche il tram. Oggi la via è pedonale e se da un lato questo è stato l’ultimo colpo di grazia alla sua vita economica, dall’altro permette di godere in tutto silenzio e tranquillità la atmosfera d’altri tempi che trasmette: l’architettura delle vetrine – per lo più sfitte ma vive e allegre, grazie agli allestimenti realizzati dalle mani 44


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creative delle volontarie dell’Associazione Via Rastello - le balconate spiccatamente liberty degli antichi negozi e botteghe, le antiche case, alte, strette e addossate una all’altra, con belle cornici in pietra attorno a portoni, porte e finestre. Questa è di fatto la via più antica della città: si narra anche di antiche vie di fuga, corridoi sotterranei e camere segrete che dal Castello si sviluppavano verso il nucleo cittadino e verso il fiume Isonzo passando per via Rastello. Il mio consiglio? La prossima volta che vi trovate a Gorizia,

scegliete anche voi la vostra personale chiave di lettura. Non fermatevi al convenzionale e allo standard ma andate oltre, cercate l’autentico e l’insolito e non dimenticate di fare una passeggiata in via Rastello. Da aprile a maggio, la primavera sarà protagonista: vetrine e balconi si vestiranno di nuovi colori e nuove decorazioni, tutte da ammirare per ricreare quella vivacità e allegria che un tempo le era propria e di cui i Goriziani hanno tanta nostalgia. 45


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UNA FINESTRA ITINERANTE SULLA NATURA @friland.wild

Per cambiare punto di vista sul nostro territorio, nei luoghi dove siamo cresciuti Testo e foto di Jessica Zufferli

Il Friuli Venezia Giulia con il suo panorama naturalistico e culturale riesce, da sempre, a richiamare molti visitatori in cerca di un luogo accogliente in cui trascorrere momenti indimenticabili completamente immersi nella natura. Quest’ultima riesce infatti a donare una serenità totalizzante a chi decide di dedicarle tempo e attenzione. Eppure il nostro territorio, quello in cui noi viviamo, continua a sorprendere continuamente non solo i visitatori, ma sa colpire ogni giorno anche i suoi stessi abitanti: ci sorprende mostrandosi in vesti sempre nuove ma che, allo stesso tempo, riconosciamo come il nostro orgoglio e patrimonio. Soprattutto in questi tempi, dove la città sembra diventata una trappola, uscire di casa è diventato improvvisamente un rifugio in cui liberarsi emotivamente. Il nostro amore, in particolare per il territorio, si è rinnovato, supportato dagli effetti positivi che la vita all’aria aperta manifesta sulla nostra salute fisica e psicologica. Sembra ovvio dire che abbiamo bisogno della natura, ma quando la vita procede con i ritmi a cui ci siamo abituati, è facile perdere di vista quel bisogno. Ecco perché, da friulana, ho voluto concedermi un weekend fuori casa, ma a casa mia, partendo alla scoperta del cuore del Friuli Venezia Giulia insieme alla persona con cui sono cresciuta in questa Terra, la mia stessa sorella. Abbiamo scelto come itinerario la zona collinare della nostra bella Regione, e passeggiando tra colline, frutteti e vigneti ci siamo imbattute in uno dei gioielli più belli che si possa esibire: il Castello d’Arcano Superiore. Costruito verso la prima metà del 1100, il castello tutt’ora abitato, conserva quasi integralmente la sua struttura medioevale e si conferma per questo uno dei luoghi più suggestivi da visitare. La magia che lo circonda sta nel suo essere isolato, cosa che lo rende ancora più affascinante e misterioso. Custode e custodito dalla Storia, esibisce visibilmente già ai suoi piedi due ordini di mura merlate che lasciano il passaggio attraverso una possente torre portaia. Abbiamo avuto l’onore di poter accedere al castello grazie alla disponibilità dei proprietari che, con passione, ci hanno raccontato i due piani del corpo centrale del castello, in cui si susseguono stanze affrescate dall’illustre Andrea Urbani, testimoni di racconti e di ricordi. Di stanza in stanza, siamo state accompagnate da leggende e curiosità, e forse anche dal fantasma della Contessa Todeschi46

na di Prampero, uccisa per gelosia nel XVII secolo dal marito Francesco d’Arcano, e ritrovata murata durante i lavori di restauro, avvenuti all’inizio del XX secolo. Prova tangibile di vite passate anche i libri antichi, le mobilia e le armi d’epoca ma, soprattutto, i camini e i portali in marmi policromi, opera di Raffaello de’ Raffaelli. Attraverso le bifore, le caratteristiche finestre ereditate dall’architettura medioevale, ci siamo affacciate sui curati giardini interni, per poi sollevare la vista sull’orizzonte friulano, ritornando a goderci il presente. Terminata la visita, ci siamo addentrate nella natura che circonda il castello, per poi trovare riparo in una curiosa struttura ricettiva errante, il cui scopo primario è quello di creare una esperienza autentica in simbiosi con la natura. Il suo nome è Friland. Questo progetto, tutto friulano, consiste in moduli su ruote nomadi ed ecologici, i quali si insediano temporaneamente in luoghi naturali selezionati, per poi ripartire, senza lasciare traccia del loro passaggio. Ad un anno dalla sua partenza, hanno già fatto riscoprire anche agli stessi abitanti del Friuli Venezia Giulia alcuni dei luoghi più suggestivi della Regione. Friland ha fissato le prime tappe del suo itinerario in Val Saisera, fermandosi nella foresta millenaria lungo il sentiero degli alberi di risonanza, e a Marano Lagunare, per godersi i tramonti fronte laguna nella tenuta Ca de Lovo. Poi ha proseguito il suo percorso addentrandosi nei Collli Orientali, ospiti dell’azienda agricola La Tunella, e nell’atmosfera unica generata dai suoni della natura e dalla calma rigenerante dei Laghetti Rossi a Capriva. Attualmente, invece, si è fermata ad ammirare il ventaglio delle Prealpi Giulie a Rive d’Arcano, ospite nella tenuta del Castello d’Arcano Superiore. Ero davvero entusiasta di condividere questa esperienza con mia sorella, qui, a qualche passo da casa nostra. Bisognerebbe sempre concedersi del tempo per prendere coscienza di ciò che ci circonda e godere delle piccole cose, come una lunga dormita dopo una passeggiata nella natura o una tazza di tè caldo mentre si ammira il paesaggio dalla finestra. Rimanere anche semplicemente in silenzio per capire che cosa siano la pace e il rispetto per la natura.


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“ECCO PERCHÉ, DA FRIULANA, HO VOLUTO CONCEDERMI UN WEEKEND FUORI CASA, MA A CASA MIA, PARTENDO ALLA SCOPERTA DEL CUORE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA INSIEME ALLA PERSONA CON CUI SONO CRESCIUTA IN QUESTA TERRA, LA MIA STESSA SORELLA.”

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Friland punta a sensibilizzare tutti riguardo all’utilizzo parsimonioso delle risorse, partendo proprio dalla sua struttura: in quanto alloggio totalmente off-grid, la casetta è stata studiata e realizzata in modo da essere energicamente autosufficiente. Friland, nel suo itinerario, non effettua nessuno scavo e non ha bisogno di collegamenti di alcun tipo. Consente di vivere un’esperienza esclusiva nella natura, senza generare impatto sull’ambiente che lo accoglie, grazie ai suoi pannelli fotovoltaici e ad un sistema di cisterne che si occupa del riciclo dell’acqua. Dispone quindi di risorse limitate, ma riesce a garantire ai suoi ospiti un soggiorno confortevole. I materiali utilizzati sono naturali e il design è essenziale: ogni piccolo dettaglio è stato progettato per garantire una permanenza davvero indimenti48

cabile. Queste pareti ci hanno accolto in uno spazio protetto senza confinare il nostro sguardo, che a lungo ha potuto beneficiare della straordinaria vista sul panorama esterno, grazie all’ampia vetrata scenografica adiacente al letto. Dapprima abbiamo potuto ammirare le montagne e il bosco, e poi gradualmente, una volta calato il sole, il cielo stellato: una prospettiva privilegiata che ci ha fatte sentire parte integrante del paesaggio, un tutt’uno con la natura. Con questa esperienza ci siamo dimostrate che è possibile prendersi una pausa lontano dalla quotidianità, seppure restando incredibilmente vicino a casa.


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Come accedere a questa esperienza: Una volta scelta la destinazione sul sito di Friland, in cui vengono aggiornate le varie location attive, si viene reindirizzati via link ad Airbnb: una volta verificata la disponibilità sul calendario, si può prenotare l’esperienza, o scegliere la modalità gift card per regalarla ad una persona cara. Via e-mail vengono poi inviate tutte le informazioni necessarie per poter vivere al meglio il soggiorno, come ad esempio indicazioni su come raggiungere il modulo, sull’utilizzo della struttura e una mini guida sui dintorni. Il giorno prima dell’inizio del soggiorno, si riceve poi il codice segreto per accedere alla struttura: digitando questo nella cassettina nera per le chiavi (smart-lock) posizionata in corrispondenza del gancio di traino della casetta, si può ritirare la chiave e procedere al self check-in. In questo modo, l’accesso in Friland viene svolto in totale autonomia, in modo semplice e sicuro. Alcuni consigli per vivere questa esperienza. Ciò che vi serve è abbigliamento comodo, che vi permetta di rilassarvi ed esplorare i dintorni. Si tratta di un vero hotel su ruote, riscaldato e con a disposizione anche un condizionatore. Non preoccupatevi dei sanitari: all’interno del modulo è presente un bagno con una moderna doccia, dotato di tutti gli asciugamani ed essenziali. Dal modulo viene poi fornita gentilmente la colazione: troverete caffe, thè e un cestino con biscotti, marmellate, brioche, nocciolata, miele, e molto altro. Per il resto, cercando nei mobili in cucina restano a disposizione tutti gli utensili e stoviglie necessari per cucinare e godervi il vostro pranzo e cena con vista, a meno che non vogliate ordinare d’asporto. 49


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HOSTARIA LA COLONIE @hostarialacolonie

A Sutrio, il sapore della ricerca sul territorio Testo a cura di Gloria Buccino - foto di Lorenzo Duca

Qual è una buona ricetta per un buon piatto? Prendere un insegnante di sci, un insegnante di snowboard e skateboard e una vecchia colonia elioterapica, condire con una quarantena forzata, mescolare a fuoco lento e servire caldo. E’ così che, nel mese di giugno del 2020, nasce l’Hostaria La Colonie di Sutrio, alle pendici dello Zoncolan. Il progetto era nelle mente di Luca, il titolare, già da tempo. Il locale si trova nella parte alta del paese, poco più in alto delle ultime case. Il corpo principale in legno ospitava, in periodo fascista, la colonia elioterapica dove i bambini venivano a respirare la buona aria di montagna dell’Alta Valle del But. Siamo, infatti, a più di 600 mt slm e, da questa terrazza esposta al sole per l’intera giornata, si gode di una meravigliosa vista sulla valle sottostante. Una volta dismessa la funzione di colonia, la struttura è stata convertita a locanda dove si potevano mangiare “solo polenta 50

e frico”, come piace sottolineare a Luca. Il filo conduttore che ha fatto rinascere questo posto è un profondo lavoro di ricerca che si districa tra tradizione e innovazione, tra vecchie sapienze e sapori e nuovi stili di vita, giovani che ritornano alle origini della loro terra e allo stesso tempo cercano di scardinarne i luoghi comuni. L’Hostaria La Colonie nasce da un progetto di restauro della vecchia colonia e di aggiunta di una nuova serie di stanze adiacenti. Costruita con il legno di abete all’interno e larice non trattato, solamente spazzolato, all’esterno, entrambi provenienti dal bosco retrostante e fatti essiccare per circa due anni al sole, la struttura attuale è stata progettata assieme all’architetto Andrea Boz, specializzato in costruzioni sostenibili e certificate CasaClima. Tanti piccoli dettagli rendono questo edificio sostenibile: la lana di roccia per l’isolamento termico, l’utilizzo dell’antichis-


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“UN PROFONDO LAVORO DI RICERCA CHE SI DISTRICA TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE”

sima tecnica del cocciopesto per intonacare le zona dei bagni, la particolare e unica stufa i terracotta che riscalda l’intero ambiente. L’edificio è stato inoltre adeguato alla normativa antisismica grazie alla creazione di una sorta di muri scatolari utilizzando le assi in legno a 45°, sistema che serve a rendere solida ed allo stesso tempo “elastica” la struttura. Luca ha fatto quasi tutto da solo; “Vaia”, nel 2019, ha praticamente collaudato l’edificio non ancora finito e, nel marzo del 2020, era quasi tutto pronto per l’apertura. Durante il primo lockdown Luca, che d’inverno fa l’insegnante di sci sulle piste dello Zoncolan, si ritrova a passare la quarantena assieme a Lorenzo, insegnante di snowboard e skateboard con un diploma professionale di cuoco. I due si conoscono meglio e decidono, così, di iniziare a pensare assieme all’apertura del locale e al menù da offrire. Il lavoro di ricerca sul territorio, costantemente in corso, li porta a scegliere materie prime locali, spesso di aziende gestite da giovani che hanno voluto riscoprire le tradizioni del territorio. Come tengono a dire, il prodotto che viene da più lontano, arriva da Tolmezzo! La scelta di un menù ristretto e tradizionale ma curato, è la loro filosofia. Taglieri di prodotti di altissima qualità provenienti dalle malghe dello Zoncolan e dagli allevamenti dei paesi limitrofi, cjarcons della tradizione carnica, polenta, frico, tagliatelle con il capriolo e i finferli e altre prelibatezze cucinate a regola d’arte. La stessa cura passa anche dalle bevande, tra le quali troviamo buoni vini del Collio e le birre dei birrifici Bondai (che si trova a pochi metri in linea d’aria dall’Hostaria, alle prime case del paese) e Foglie d’Erba. La qualità si vede anche dal servizio, estremamente attento alla sostenibilità e alla necessità di ridurre al minimo la produzione di scarti e rifiuti. Grazie alla reperibilità di tutte le materie prime a “pochi passi” dal locale, ci si può permettere di avere poche scorte in magazzino e di acquistare dai fornitori ciò che verrà consumato, facendo, quindi, rifornimenti più frequenti e mirati, garantendo la freschezza dei prodotti ed evitando inutili scarti. “Quello che avanza lo porto comunque alle galline”, dice Luca, orgoglioso. La prima stagione, quella estiva del 2020, avrebbe dovuto essere ricca di concerti ed eventi, “per portare anche quassù la qualità della buona musica, magari il cinema all’aperto”, rac-

conta Luca, personaggio vulcanico e certamente pieno di idee ed energia da vendere. A Sutrio c’è un bell’albergo diffuso. La scorsa estate molti turisti ospiti della struttura o in altre strutture simili nei paesi limitrofi, salivano a piedi fino all’Hostaria perchè il passaparola in paese li indirizzava lì, un bel riscontro per Luca e Lorenzo, quindi. Racconta Luca: “Ho sognato questo posto come un luogo d’incontro, dove il cliente non cerca lo schermo al plasma o il wi-fi ma si accontenta di quella bellissima finestra che incornicia il panorama sulle montagne. Volevo un locale informale ma dove si mangia e si beve bene, in compagnia, dove ci si scambiano storie, dove si possono vedere cose mai viste da queste parti. Un posto dove si viene per godere appieno della compagnia e della tradizione della nostra terra, per riscoprirla e per innamorarsene.” 51


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TAGLIATELLE AL RAGÙ DI CAPRIOLO E FINFERLI @hostarialacolonie

INGREDIENTI

PROCEDURA

250 g di tagliatelle fresche all’uovo 500 g di polpa di capriolo brodo di carne q.b. 500 g di funghi finferli freschi 2 spicchi di aglio 2 cipolle rosse 2 carote 1 gambo di sedano 1 mela alloro q.b. salvia q.b. pepe nero in grani q.b. bacche di ginepro q.b. farino 00 o di riso q.b. vino rosso q.b. prezzemolo fresco q.b. olio extra vergine q.b.

Tagliare la polpa di capriolo a cubetti. In un contenitore, porla a marinare in abbondante vino rosso assieme ad una cubettata grossolana di cipolla, carota, sedano (precedentemente lavati), alloro, salvia, ginepro, pepe nero in grani e la mela sbucciata e tagliata a spicchi. Lasciare la polpa una notte in frigo, ricoperta a raso con la pellicola.

LA BIRRA ABBINATA @birrificiobondai nome: HEYA! stile : american amber ale alc. 5%vol temp servizio 6-8°C formato: in bottoglia o lattina da 33cl ibu (grado amaro) 30 Birra di colore ambrato carico con profumi di miele di tarassaco, fiori giallie biscotti secchi. L’assaggio rileva la parte carammellata dei malti speciali con lievi tostature e caramello. La luppolatura erbacea rende fresca e profumata la beva. Finale asciutto.

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Scolare la polpa di capriolo dal vino, eliminare le verdure e le spezie in foglia. Nel frattempo preparare il soffritto con l’olio extra v. e un trito di sedano, carota, cipolla e qualche foglia di alloro. Una volta che la polpa sarà completamente scolata dal vino della marinatura spolverare con la farina e aggiungerla al soffritto. Rosolare a fiamma vivace, salare e in seguito sfumare con il vino rosso. Quando il vino sarà evaporato, coprire la polpa con abbondate brodo (caldo) e lasciare cuocere finchè la carne perderà la sua consistenza e comincerà a sfaldarsi. Nel frattempo, curare i finferli e cuocerli per almeno 30 minuti partendo da un soffritto di olio extra v. e spicchi d’aglio, utilizzare anche un coperchio e qualche goccio d’acqua per evitare di bruciarli. Scolare le tagliatelle e spadellarle assieme al sugo di capriolo e un filo di olio extra v. a crudo, impiattare formando un nido dove verranno adagiati i finferli. Completare con del prezzemolo tritato e del pepe macinato. Buon appetito!


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BIRRIFICIO ARTIGIANALE BONDAI @birrificiobondai

Una passione portata dall’Australia alle pendici dello Zoncolan Testo a cura di Gloria Buccino - foto di Giulia Binutti-Obiettivo Foto

Il profumo del mosto caldo arriva fino alla strada, intenso, erbaceo, inebriante. Entriamo nel laboratorio di Luca, di origini venete e trapiantato a Sutrio per amore di Arianna, originaria della Carnia. Luca lavora, dosa, mescola, fa delle operazioni sulle grandi botti d’acciaio che contengono la sua birra. Arianna, poco dopo, ci accompagna nella stanza antistante, la Taproom, ambiente accogliente, ben curato e dove si possono degustare le birre alla spina. Penelope, la più piccola dei tre figli di Arianna e Luca, gioca e si muove nel locale sentendosi pienamente a casa. Arianna, orgogliosamente e con gli occhi pieni di luce, inizia a raccontare come è nato tutto questo. Nel 2006 Arianna e Luca si recano in Australia per un anno sabbatico dopo l’università. Si trovano a Bondi Beach, una zona di Sidney che, al tempo, era il luogo di passaggio di molti backpackers e dove si svolgevano, in pieno stile locale, grandi barbecue accompagnati da buona birra locale, musica e amici. Luca, abituato allo spritz tipicamente da aperitivo, si innamora della Cooper’s Original Pale Ale (etichetta verde), una birra “industriale” ma di ottima qualità. Rientrato in Italia, scopre che è possibile acquistare un kit per farsi la Cooper’s in casa. La prima prova? Un disastro. Luca non demorde e inizia a studiare, sperimentare e si appassiona al punto da iscriversi al corso che l’Università degli Studi di Udine propone in materia (ndr. l’Università di Udine ha, al proprio interno, il suo birrificio), con il Professor Buiatti. Così, la birra di Luca inizia veramente a prendere forma. Il birraio si iscrive a concorsi regionali e nazionali, ottenendo buoni piazzamenti, anche se, più che il titolo o il riconoscimento, a Luca interessa il confronto, la possibilità di ricevere delle schede tecniche riferite alle proprie birre, sulle quali lavorare e migliorarsi sempre, fino a trovare quella che è la sua, di birra. Dal 2012 Arianna e Luca si stabiliscono a Sutrio, mettono su famiglia e continuano a lavorare alla loro passione. Nel 2017, il Comune di Sutrio pubblica un bando per riqualificare un vecchio mobilificio nella parte bassa del paese, a ridosso del fiume But. L’idea del Comune è quella di dedicare l’intero stabile ad attività legate al settore alimentare. Così, nel 2019, inizia l’avventura del birrificio. 54


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La “i”, in inglese, si legge “ai”, e, a quel punto, da un errore di trascrizione, nasce Bondai. “Bon dai”, va bene dai, per noi friulani. E tutto va bene veramente, perchè, nel febbraio 2020, la prima cotta è pronta, poi arriva il lockdown e Arianna e Luca, riescono subito a convertire la loro idea di distribuzione effettuando le consegne a domicilio, correndo in giro per tutta la regione e anche al di fuori dei suoi confini. Una grande richiesta e un buon riscontro da parte del pubblico, hanno dato al birrificio la giusta carica di energia. Con i primi di giugno 2020 apre anche la Taproom per le degustazioni alla spina e, nel 2021 il birrificio entra nella guida Birre d’Italia dello Slow Food, classifica nella quale, di solito, le attività devono avere almeno un paio di anni per essere menzionate. Sei sono le birre classiche (Heya!, Magic Bus, Paura Paura, Listen...can you hear it?, Beib, Point Break), quattro quelle stagionali (Lost Paradise quella estiva, P.E.R.L.A. l’invernale, Lamrock 62 la primaverile e Ben Fumade la birra autunnale). Edizione speciale: Olaf, la birra del Natale. Tutte le birre vengono imbottigliate in vetro ma si sta valutando la versione in lattina. Come giustamente spiega Arianna, i motivi di questa scelta sono molti: il fattore sostenibilità, ad esempio, dal momento che l’alluminio è più facilmente rici-

clabile rispetto al vetro o il fatto che le lattine pesano meno del vetro e, quindi, di conseguenza, anche i trasporti avranno minor consumo di carburante e meno emissioni di CO2. Inoltre la birra ha due nemici, la luce e l’ossigeno, fattori che, con l’imbottigliamento in lattina, non andrebbero a intaccare l’integrità del prodotto. Ultimo aspetto, ma non meno importante: la lattina si rompe meno facilmente del vetro! Qual’è quindi l’ingrediente segreto della birra Bondai? “L’acqua!”, risponde Arianna, “Qui arriva direttamente dalla sorgente del Fontanon (ndr. Fontanon di Timau), non serve ritoccarla, le sue caratteristiche organolettiche sono ottime per la birra e...insomma, anche se pochi ci pensano, l’acqua è un ingrediente fondamentale!”. Soddisfatti per il grande riscontro avuto, Arianna e Luca vi aspettano per raccontare le singolari peculiarità delle loro birre, le quali, già dai nomi, portano con sè una bellissima storia tutta da scoprire.

Birrificio Artigianale BONDAI Viale Val calda, 1 Sutrio | Zoncolan www.birrificiobondai.it 55


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ANDREA COLUSSA Intervista a cura di Alice Zuliani foto di Caterina Zattarin Andrea Colussa, originario di Udine, classe 2000, è la nuova promessa friulana del basket: nel novembre del 2019 ha fatto il suo esordio in A2 come ala con la Pallacanestro Mantova. Da agosto, con l’iniziare del nuovo campionato, gioca per la Tezenis Verona. Il basket è il suo lavoro a tempo pieno, gli occupa due o tre allenamenti al giorno tra pesi, palestra e allenamenti in campo, ma Andrea riesce comunque a ritagliarsi dei ‘buchi’ di tempo durante i quali studia scienze della comunicazione. Oggi gli ho rubato un’ora, prima dell’ultimo allenamento pre-partenza per la Sicilia, dove gareggerà contro l’Orlandina Basket, per parlare del suo percorso e dei suoi prossimi obiettivi. Andrea è un ragazzo risoluto, dedito al duro lavoro, ambizioso e soprattutto con obiettivi precisi. “Sono cresciuto nell’ambiente del basket grazie alla passione di papà e a mia sorella maggiore che già giocava. Il sogno che ho perseguito da sempre è quello di fare del basket il mio lavoro, la mia vita. Sono uscito di casa all’età di 15 anni e da allora ho iniziato a capire che le cose si stavano facendo serie. A poco a poco, crescendo e maturando si è creata una sorta di presa di coscienza, ma sono giovane, ho ancora molto da imparare e obiettivi da raggiungere. Quindi diciamo pure che sono molto determinato ma questa consapevolezza si sta ancora consolidando.” Dopo i primi esordi nella Pallacanestro Feletto, a 14 anni giocava per le giovanili dell’APU, successivamente si è trasferito a Treviso dove ha giocato per un anno e poi a Roma dove giocava in serie C e nelle giovanili mentre frequentava un’accademia di pallacanestro. Ci si chiede come un adolescente possa vivere tale transizione. “Sono molto dedito e appassionato al basket, però ho deciso di aspettare un anno prima di trasferirmi a Roma per poter trascorrere del tempo in famiglia e fare esperienze da adolescente con i miei amici. Nel corso della mia vita ho fatto tanti sacrifici, se così vogliamo chiamarli, perché alla fine quelle sei o sette ore al giorno che dedico a raggiungere il mio sogno, non le vedo come tali; anzi il duro lavoro è necessario, se non fondamentale, per arrivare in alto, dove sto puntando. Certo, i momenti difficili soprattutto all’inizio, sono stati tanti ma è grazie a questi se sono cresciuto sia fuori che dentro al campo. Gestire lo stress è fondamentale per poter essere performante, anche per questo pratichiamo training con degli psicologi, per ottimizzare il rendimento psicologico e conseguentemente quello fisico. Le due cose sono strettamente correlate.” 56

Come hai vissuto il tuo esordio in A2? Dopo l’anno trascorso a Roma sentivo che il mio percorso lì era giunto al termine, così mi sono spostato a Mantova e ho cambiato categoria. Sentivo di aver bisogno di più spazio per giocare ed evolvermi come atleta. Il mio esordio è stato molto emozionante in quanto ho giocato contro i miei ex compagni: la Roma infatti ha una squadra In A2 a Roseto. Tra i momenti più significativi rientra anche la partita successiva, quando ho segnati i primi 4 punti nel giro di pochi secondi.” Essendo un ragazzo sicuro di sé ed ambizioso pensa spesso al futuro, tanto da avere due tipi di obbiettivo: nel breve termine vorrebbe affermarsi come giocatore in A2 e successivamente in A1, nel lungo termine invece vorrebbe bruciare le tappe il più veloce possibile. Insomma, vuole ritagliarsi un posto da protagonista nello scenario cestistico.


SPORT - INTERVISTA

“AVERE L’OPPORTUNITÀ DI CONFRONTARSI CON FIGURE DELLA PALLACANESTRO COSÌ DI RILIEVO È UNA FORTUNA IMPAGABILE. LA MIA È UNA CONCORRENZA CHE DA LA CARICA!”

“Essendo tra i più giovani della Tezenis, la mia strategia, oltre al duro lavoro, è quella di assimilare quanto più possibile dai miei compagni. Avere l’opportunità di confrontarsi con figure della pallacanestro così di rilievo è una fortuna impagabile. La mia è una concorrenza che daa la carica! A febbraio sono partito due volte in quintetto base: è indicativo della fiducia riposta nei miei confronti e sono fiducioso che questa occasione si ripresenterà in un futuro molto prossimo.” Nel tempo libero Andrea cosa fa? Non saprei come descrivere lo sport se non come uno stile di vita. Oltre alla passione per il pallone sin da piccolo nutro quella per la montagna, che pratico con la mia famiglia. Durante il primo lockdown ne ho approfittato per visitare il territorio friulano, facendo passeggiate in particolare nella zona di Pontebba e luoghi limitrofi dove si trova anche un curioso lago

a forma di pera, nel complesso dei laghi di Bordaglia. Sono anche tornato al rifugio Marinelli dove ho percorso per la prima volta la salita che porta fino al monte Coglians: la vetta più alta del Friuli e delle Alpi Carniche. Rimanendo in tema territorio Friulano, in un contesto nazionale, come posizioneresti il FVG a livello di possibilità che offre ai giovani nel tuo campo? Tenendo a mente che la nostra è una regione piccola dal punto di vista di estensione del territorio, ne consegue che l’attività agonistica è più ridotta rispetto ad altre regioni. Ad ogni modo credo che Trieste sia il bacino più forte per quanto riguarda la produzione di talenti, non a caso lavora molto bene e vince gran parte dei campionati, soprattutto a livello giovanile.” 57


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MARIA TERESA DE ANTONI Intervista a cura di Melania Lunazzi foto di Massimo Crivellari “Il mio colore preferito? Tutti. Io sono l’arcobaleno e cerco di portarlo dentro i miei tessuti”. Maria Teresa De Antoni, classe 1945, artigiana della lana cotta a Comeglians, ti punta lo sguardo dritto negli occhi quando parla del suo lavoro. Il suo arcobaleno è fatto di fili di lana. Infiniti. E quei fili compongono i capi d’abbigliamento che crea con passione da sessant’anni, rigorosamente in lana cotta, come la lunga gonna che indossa quando mi accoglie, decorata con foglie e motivi vegetali. Sono qui perché un amico mi ha parlato delle sue creazioni. Varcata la soglia si entra in quell’arcobaleno. Resto subito affascinata, da lei e dal luogo. Intorno alla stanza una fitta esposizione di giacche, gilet, cappotti, arazzi, tappeti di tutti i colori. Capi realizzati a mano, con un metodo di lavorazione della materia prima tra i più antichi al mondo, entrato nella pratica di diversi popoli di montagna. I filati sono pregiati, prevalentemente merino, ma anche mohair, alpaca, angora. Maria Teresa lavora qui e dal 2011 lo fa da sola. “Ho iniziato che ero una ragazzina, per pura passione. Quando con i miei si andava in Austria ero attratta dalle giacche tirolesi, quelle tradizionali. Mi piaceva il tipo di stoffa, ma i modelli un po’ meno e così ho iniziato a farmeli da sola. Mia madre aveva bei vestiti, di buon gusto, e aveva anche la macchina da maglieria: sa, una volta in famiglia si era abituati a sferruzzare. Dovevo solo imparare a cuocere il tessuto: in casa c’erano i grandi pentoloni di ferro che si usavano per lavare le lenzuola con la cenere, la “liscia”, ho iniziato con quelli. Sul fondo del pentolone si accendeva il fuoco per scaldare l’acqua. Le prime prove di cottura le ho fatte con tessuti e pentolini piccoli. Poi, via via, con pezze di tessuto più grandi”. Il laboratorio - bottega di Maria Teresa è incastonato nel cuore della Carnia, nei pressi della falda di roccia che divide la Val di Gorto dalla Valcalda, sulla strada che da Comeglians sale a Ravascletto, poco lontano dall’alveo del Torrente Degano. L’edificio che lo ospita è la casa di famiglia, una grande villa a due piani dall’intonaco giallo con imposte bianche, balconcini in pietra e una vistosa altana svettante verso la valle. Un’architettura in stile eclettico, singolare, insolita nel contesto delle tipiche case carniche. “E’ stata costruita nel 1928 da mio nonno Umberto, che ha affidato il progetto ad un artigiano svizzero”. Una famiglia di peso, quella di Mariateresa De Antoni, a partire proprio dal nonno Umberto, un grande imprenditore nel settore della lavorazione dei legnami, soprattutto in Carnia, ma non solo. I De Antoni con le loro segherie, le centrali idroelettriche e altre attività imprenditoriali legate alla montagna, come malghe e alpeggi, hanno lasciato un segno importante nell’economia delle Alpi Friulane, dando peraltro lavoro a molte famiglie locali. Un segno che Maria Teresa ha 58


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deciso di conservare e imprimere anche sulle etichette dei suoi capi, importando proprio la simbologia in uso nel taglio dei boschi, tre “X” racchiuse tra due barre verticali “IXXXI”: “Erano i colpi d’ascia che segnavano i nostri tronchi”, spiega. Maria Teresa è decisa e assertiva, elegante ma non formale: mette subito a proprio agio i suoi clienti, quasi come ospiti. Mi presenta i vestiti con semplicità, senza compiacimento, ma li guarda come un artista guarda le proprie opere: con amore di creature. Nelle due stanze destinate all’esposizione dei capi finiti c’è ampia scelta: difficile rimanere indifferenti o resistere all’attrazione per un modello di giacca, per un colore, per le finiture, per la piacevole sensazione che i tessuti trasmettono al tatto. “Può star sicura che questi sulla pelle non ‘beccano’”. Sono curiosa di conoscere la lavorazione, è davvero tutta artigianale? “Certo! Venga con me” e mi conduce attraverso un corridoio costellato di colorate rocche di lana, rocchetti di cotone cilindrici, cassettini pieni di passamanerie e bordure fin nella stanza delle macchine, dove nascono le “pezze” di lana, ovvero i tessuti. “In magazzino ho le rocche con tutti i colori: la lana la faccio arrivare da Prato. Qui faccio giacche e pan-

taloni anche con quattro o cinque fili. Una volta impostata, la macchina va seguita fino alla fine: può sempre capitare che un punto cada, che un filo si rompa o venga ‘preso dentro’.” Alle pareti sono appesi alcuni fogli con appunti e numeri: “Ah quelli sono idee, progetti e spunti da ricordare”. E riprende la descrizione: “Quando la pezza è finita inizio la fase di cottura che in buona sostanza è un infeltrimento. La cottura va seguita in ogni fase. Metto la pezza in una lavatrice e regolo la temperatura a seconda del risultato che voglio ottenere: per una giacca o per un tappeto i tempi di cottura sono diversi e cambiano a seconda del tipo di lana. Devo controllare ogni passaggio: ogni tanto apro lo sportello e tasto il tessuto per capire se è pronto. E’ facile scottarsi, ma fa parte del gioco.” Le pezze così ottenute vengono “tirate” e poi fate asciugare all’aria fresca di montagna. “La lana è una cosa viva. Dico sempre ai clienti di far prender ogni tanto un po’ di pioggia ai miei capi, si rigenerano e possono essere lavati in lavatrice senza problemi. E, poi, guai mettere via la lana nel nylon! le fibre devono respirare”. Che cosa rappresenta per lei la lana? “La lana è il caldo delle pecore, quello naturale dell’animale. 59


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E’ l’animale che da qualcosa di suo all’uomo.” Ci spostiamo lungo il corridoio nella stanza attigua, quella dove nascono i modelli. Qui Maria Teresa inventa, taglia, cuce, realizza le finiture: “Le bordure le faccio tutte a mano. Sono veloce. Non per niente in famiglia mi chiamavano la Brother (nome di una diffusa macchina da cucire, ndr)”. Sul manichino c’è una giacca da donna color acquamarina. “Sto sperimentando un nuovo modello, mi diverto. A volte prendo spunto da grandi stilisti, Missoni, Armani… poi elaboro a mio piacimento. Guardi questa mantella: sono capi che stanno bene a tutti, a chi è magro e a chi è robusto”. Anche in questa stanza, oggetti, tessuti, rocche e attrezzi del mestiere circondano la postazione dell’artigiana. Si intuisce che è in continua 60

progettazione, sempre attiva: “Da giovane ero soprannominata anche “Maria elettrico”. Oltre a questo lavoro, per il quale ho avuto per dodici anni un negozio a Lignano e qui in laboratorio quattro dipendenti, ho fatto mille mestieri, seguendo contemporaneamente anche le imprese di famiglia, quando sono mancati i miei genitori: avevo sette società da sistemare. Tra il 1994 e il 2008 andavo alle fiere in tutto il mondo. Vede quelle foto? Ecco, qua sono in Germania dell’Est, là nella Cina del Nord e là in Giappone. Ho avuto tante richieste per portare all’estero il mio know how: mi avrebbero dato tutto, fabbrica e maestranze, ma io amo la mia terra. All’estero ci sto bene al massimo venti giorni, poi ho bisogno di tornare qua. In estate quando ho voglia di staccare vado giù al Degano a mettere i


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piedi in acqua. Se ho bisogno di argilla per curarmi la prendo qua attorno, mica in farmacia. La mia terra mi da tutto, mi fa concentrare sulla mia esistenza, è la continuazione della mia nascita. E questo laboratorio è la mia casa.” E poi Maria Teresa non ha bisogno di andare in cerca di clienti. Ancora oggi sono loro che vengono a cercarla, per farsi realizzare un capo su misura, con le tonalità e i filati che desiderano, dal Piemonte, dalla Val d’Aosta, da Roma, perché artigiani come lei ne rimangono pochi oggi: “Arrivano qui da ogni parte d’Italia. Ma anche dall’estero. In Italia purtroppo nessuno più fa questo mestiere. E poi è un tipo di lavoro che industrialmente non si può fare, non è la stessa cosa. Ci vuole tempo, passione.”

Anche per questo l’hanno intervistata tante volte, sui giornali, in televisione, ma non ne fa un vanto. Non espone questi trofei. Recentemente l’hanno chiamata di nuovo dalla RAI: “Ho una certa età: non me la sono sentita di affrontare il viaggio fino a Roma, di questi tempi.” E poi pressata da me, confessa: “Beh, forse una delle maggiori soddisfazioni è stata quella di ricevere un’intervista qui dalla televisione austriaca”. Una sorta di cerchio che si chiude.

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LE FONTANE DELLA VAL DEGANO Non c’è acqua più fresca di quella del proprio paese Testo a cura di Melania Lunazzi - foto di Massimo Crivellari

Il rumore del ruscello accompagna i passi mentre salgo verso il percorso dei pensatori, sopra le case più alte di Maranzanis, una delle frazioni di Comeglians, in Valcalda. Tre pecore si affacciano curiose dagli stavoli superiori, primule gialleggiano qua e là e un bombo incerto si muove basso in cerca del miglior tepore di queste prime giornate di marzo, mentre intorno c’è ancora tanta neve. Ho appena finito di parlare di acqua con Roberto, classe 1949, uno dei trenta residenti del paese. Il ruscelletto dei pensatori sgorga da una sorgente qua sopra e un tempo contribuiva ad alimentare la grande fontana - lavatoio al centro della piazza, ora scomparsa. Parte da qui il mio itinerario di risalita verso la Val Degano fino ai piedi del Monte Coglians, che si intravede bianchissimo in lontananza, in cerca di fontane e lavatoi. Roberto ha scavato il solco di scorrimento per riportare alla luce l’acqua della sorgente: “Era stato interrato, quando lo abbiamo liberato c’era ancora la vecchia tubazione in legno di pino, come si usava una volta. Quello è il legno che a contatto con l’acqua si conserva più a lungo: ci si facevano anche le grondaie. Ora collego un tubo al ruscello per avere acqua fresca, da Pasqua fino ai Santi. Un po’ per utilità, un po’ per mantenere un segno: è sempre bello vedere acqua che corre.”. Nelle parole di Roberto la velata nostalgia per il vecchio lavatoio pubblico eliminato negli anni Sessanta, una sorte toccata a tanti luoghi nel tempo, dopo l’arrivo dell’acqua corrente nelle case. “Era un lavatoio con tre vasche, una per lavare, una per abbeverare gli animali e una per risciacquare. In estate, riuscivi a sapere che ora era perché le mucche uscivano dalle stalle e andavano da sole a bere, al mattino e alla sera. E’ stato rimosso: non siamo riusciti a trovare neanche una foto per ricordarlo”. Chissà cosa direbbe Leonardo Zanier, il poeta - pensatore di Maranzanis scomparso nel 2017 e inventore dell’albergo diffuso - la reception è proprio qui sotto, nell’edificio della ex latteria sociale - della vita di un tempo attorno alle fontane nei paesi di montagna. Della loro funzione sociale e di incontro - quanti amori nascevano davanti alle fontane! - della loro bellezza e di quel senso rigenerante che lo scorrere continuo dell’acqua dona in assenza di altri rumori. Non c’è acqua più fresca e più buona di quella che sgorga dalla fontana del proprio paese, scriveva Pier Paolo Pasolini: “Fontana di aga dal me paìs./ A no è aga pì frescia che tal me paìs./ Fontana di rustic amòur.” 62


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“FONTANA DI AGA DAL ME PAÌS. A NO È AGA PÌ FRESCIA CHE TAL ME PAÌS. FONTANA DI RUSTIC AMÒUR.” Pier Paolo Pasolini

Paola Di Sopra alla fontana di Stalis

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Abbeveratoio di Rigolato

Lascio il dolce altipiano di Maranzanis e Povolaro e salgo verso Mieli, abbarbicata assieme a Noiaris e Tualis sulla strada che conduce verso la cosiddetta panoramica delle vette, una sfida in costante salita amata da tanti ciclisti, sulla scia del mancato passaggio del Giro d’Italia del 2011. Sul sentiero di accesso al paese mi imbatto in una coppia con gerle sulle spalle che fa pulizia in bosco raccogliendo legna: “Fontane? - mi dice la signora - Ne abbiamo qualcuna, niente di antico sa, sono state rifatte in cemento quando ero ragazza.” Le vado a cercare, tra le case silenziose, passando davanti alla graziosa chiesetta di San Leonardo con campanile a vela e ne passo alcune chiuse e dotate di rubinetto in una viuzza in salita. In sottofondo si diffonde il rumore aspro di una sega circolare: qualcuno sta tagliando legna in cortile. Ecco, da qui si gode di qualche scorcio sulla valle, anche se una grande antenna-ripetitore incombe sulla parte alta dell’abitato. Per trovare facilmente delle fontane attive è meglio raggiungere le diverse frazioni del Comune di Rigolato, il paese delle acque, come ricorda la famosa villotta: “Joi ce buino l’âgo frescjo di Ludario e Rigulât”. Lo si può fare anche a piedi, partendo da Tualis e seguendo un tratto del Sentiero della Fede attraverso splendidi boschi di conifere esposti sul versante meridionale della Val Degano. Il sentiero scende dolcemente a Gracco, frazione dagli intonaci pastello dominata dal meraviglioso ‘bosco bandito’: che è l’antica faggeta tutelata per la sua rarità: in ottobre si accende di colori. Poi il tracciato passa per le borgate di Vuezzis e Stalis, sempre baciate dal sole, e risale a Givigliana. 64

A Vuezzis incontro Paola Di Sopra, che aderisce alla rete dell’albergo diffuso con una tipica casa in legno e pietra di fine ‘800 restaurata filologicamente. Paola dal 2019 è assessore alla cultura del Comune di Rigolato e ha raccolto il testimone dei suoi predecessori, in particolare dell’artista friulano Ezio Cescutti, per lanciare una iniziativa di valorizzazione delle fontane e dei lavatoi di tutto il territorio comunale: “Tutto è iniziato nel 2015 con alcune iniziative per la giornata mondiale dell’acqua (che cade il 22 marzo) per proseguire l’anno seguente con il centenario della Grande Guerra” - mi spiega. “A partire dal 1916, con l’entrata in guerra dell’Italia, il generale Clemente Lequio che comandava la zona della Carnia, aveva intrapreso la costruzione di abbeveratoi in vista del passaggio delle truppe alpine dirette al fronte.” A Rigolato infatti c’è - lo si vede anche in auto passando lungo la statale, poco prima del Municipio - un grande “abbeveratoio per quadrupedi”, come recita l’iscrizione, con la data e il nome di Lequio incisi sulla pietra a futura memoria. “Da quelle prime iniziative - continua Di Sopra - è scaturita l’idea di progettare un lavoro sistematico di censimento di tutte le fontane del territorio. Ne abbiamo contate e fotografate cinquantatré e sono quasi tutte attive perché spesso alimentate da sorgenti autonome”. Il comune ha stampato due agili libretti che le presentano tutte, ciascuna con il proprio toponimo originale e la tipica desinenza femminile in “o” (la più antica!). A sfogliarli si trovano anche diversi percorsi e passeggiate da intraprendere di fontana in lavatoio - diverse realizzate in epoca fascista e oggi private


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Lavatoio di Ludaria

Frazione di Ludaria

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Fontana in località Splinghin

del fascio littorio - passando da un versante orografico all’altro della Val Degano e attraversando anche le pittoresche frazioni di Valpicetto, Magnanins, Ludaria. Si incontrano passo a passo frammenti di storia, architetture tipiche, antiche chiesette alpine, affreschi, il sito di un’antica “zona industriale” nel fresco solco del Degano con fucina, segheria e mulino, denominato in maniera onomatopeica Sglinghin, dal rumore del maglio e del martello sulle incudini. Salgo alla ripida Givigliana, otto abitanti: qui scorre acqua nelle fontane superstiti: il paese delle “galline con il sacchetto” (per impedire che l’uovo rotolasse a valle, dice la leggenda) e del campanile istoriato offre vista con panorama fino alle montagne di Sappada e una preziosa sorgente di acqua oligominerale appena fuori dal paese. “Per me la più leggera è l’acqua di Collina, le altre non le digerisco” asserisce con piglio deciso Caterina Tamussin, collinotta doc che da Natale a Pasqua gestisce un’osteria con cucina proprio a Givigliana e in estate sale in quota a condurre il rifugio Marinelli. Con lei, mentre fuori nevischia e un chilometro più in là c’è il sole di un marzo pazzerello, completo il giro delle fontane di Sigilletto, Collinetta e Collina, il suo paese. Assaggio l’acqua, è davvero leggera, si fa bere in abbondanza. Qui, a 1250 metri di altitudine, non può che esserci acqua purissima: scende direttamente dalle falde del Monte Coglians, attraverso torrenti e sorgenti che poi proseguono il loro corso a valle, confluendo nel Degano. 66

Fontana vicino al Torrente Degano

La casa di Caterina affaccia proprio sulla piazza principale. Nel centro una grande fontana collocata di recente a sostituzione dell’antico lavatoio. Ora è muta, ma in estate zampilla. “E’ per fare bello, per i turisti”, aggiunge. Ma non ha niente a che vedere con l’antico “aip” (il nome friulano della vasca di raccolta) della fontana originaria. Per fortuna c’è la gigantografia di una foto d’epoca a documentare com’era. Campeggia sul muro di fronte con alcune donne attorno alla vasca che spalleggiano i secchi e il tipico “buinz” per il trasporto. “Da piccola, in quell’aip ci sono caduta dentro!” Era un attimo per i bambini finire a mollo per andare a bere, scivolando con i piedi dal bordo”.


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Fontana - lavatoio di Stalis

Fontana di Gracco

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TRA PRIVATO E PROFESSIONALE @centrolaserdott.laspina

Intervista al Dott. Sebastian Laspina Testo a cura della Dott.ssa Silvia Codogno

Oggi andiamo a conoscere il Dott. Laspina, medico piuttosto conosciuto a Udine e in Friuli. Viale Del Ledra 19: un elegante edificio del centro, al campanello una targhetta con Centro Medico Laspina, mi colpisce la discrezione dell’ingresso, suono ed entro. Niente mi fa sospettare l’eleganza e la ricercatezza della reception dove vengo accolta. Una segretaria sorridente mi accompagna in ascensore fino al piano superiore. L’impressione è di entrare in uno spazio ovattato e accogliente dove la ricercatezza e l’avanguardia sono dosate con sobrietà in uno sfondo con il contrasto del nero e bianco. Il dottor Laspina mi accoglie nel suo studio, come il resto della Clinica ricercato, accogliente ed essenziale al tempo stesso, ha il volto un po’ tirato di chi ha avuto una giornata impegnativa. Capelli un po’ lunghi, occhi chiari, una bella presenza. Il tono di voce è cordiale, lo sguardo intenso e deciso. Mi presento, e il mio interlocutore a sua volte si definisce: “Sono il dottor Sebastian Laspina, dermatologo e chirurgo estetico.” Giornata impegnativa? Con un sorriso un po’ stanco, un po’ rilassato: “Certo, lo sono quasi sempre..ma faccio quello che mi diverte..” Si considera una persona realizzata? Beh, se “realizzato” significa fare quello che piace e farlo con passione, direi di sì. Come è stato il percorso per arrivare a tutto questo? Direi faticoso, tanto lavoro e impegno, pensi che già in specialità avevo due impegni, la specialità, appunto, e, appena staccavo, aiutavo mio padre in ambulatorio. Mio padre era medico di famiglia del paese dove abitavamo. Ho imparato tantissimo in quei pomeriggi, ho vissuto appieno al di là dell’ambito medico, il rapporto di fiducia e intimità che caratterizza il rapporto medico paziente come forse solo nel passato era possibile. Ho imparato ad essere medico, non solo a fare il medico. Com’è iniziato il suo percorso? Da giovane ero bravo nel disegno, a breve capii che quello era il mio talento, una capacita’ innata nell’uso delle mani, un innato senso delle proporzioni che dava armonia a quello che creavo. Inizialmente pensai all’architettura, ma l’esempio di mio padre, la sua dedizione e passione alla medicina erano radicati in me più di quanto pensassi, tant’è che mi iscrissi a medicina. La dermatologia e la medicina e chirurgia estetica erano la 68


SALUTE

possibilità di concentrare tutto quello che mi appassionava. Durante la specialità ho avuto la fortuna di incontrare il mio Prof., il Prof. Patrone, ancora adesso penso a lui con affetto e siamo rimasti in contatto. È stato importante nella mia formazione di Specialista dermatologo ma anche nella mia maturità come persona: un clinico eccezionale e una modestia ineguagliabile. Devo dire che malgrado lavorassi tantissimo lo ricordo come un periodo di spensieratezza e divertimento, nottate con gli amici e talvolta in clinica solo dopo una doccia, ma a quell’epoca non mi pesava. In clinica ebbi anche l’opportunità di partecipare di frequente anche come Relatore ad importanti congressi nazionali ed internazionali. Ancora ricordo il mio primo congresso nazionale, come relatori gli specialisti più importanti della dermatologia italiana, e la sera per un disguido sulle assegnazioni dei posti io, specializzando al primo anno, finii a tavola con gli accademici più titolati del tempo. La conversazione si concentrò esclusivamente su sottigliezze dermatologiche che faticavo a seguire preoccupato che qualcuno chiedesse il mio parere, confesso che non mangiai un granché! Parlare ad un congresso davanti a centinaia di colleghi , molti dei quali di consolidata fama ed esperienza può essere un evento che non ti fa dormire la notte, ma feci tesoro di quelle esperienze e scoprii che più arrivavo preparato e sicuro di me più ero calmo e, tuttora, quando mi ritrovo a parlare di fronte a platee piuttosto nutrite, mi sento a mio agio e riesco a catturare l’interesse di chi mi ascolta. Se dovesse dire un altro ingrediente per la sua pozione magica oltre a talento e impegno? Indubbiamente la passione per quello che faccio; direi una passione per la pelle! - E sorride un po’ per il gioco di parole..Amo tutto del mio lavoro, la dermatologia in quanto tale, l’aspetto più estetico, la chirurgia e, in maniera altrettanto importante, il rapporto che si instaura con il paziente, con le persone. La passione era così forte che nel mio tempo libero frequentavo l’ambulatorio del Prof. Parodi, un solido e stimato Chirurgo Plastico che mi ha introdotto ai segreti della medicina estetica e dei laser, e devo dire che, osservando, ho imparato tantissimo, ho ampliato e consolidato enormemente le mie conoscenze. Siamo ancora in ottimi rapporti, una persona di squisita eleganza di modi e d’animo. Dopo la specializzazione che cosa avviene? Apro un piccolo ambulatorio tutto mio a Pradamano, grande

non più di una stanza, sono dermatologo ma anche infermiere, segretario, in pratica faccio tutto da solo. E quante volte mi metto in macchina per attraversare mezzo Friuli e fare un’unica visita in poliambulatori con i quali collaboro! Ma quando i pazienti tornano contenti per il buon esito delle terapie e accompagnano i loro parenti o mi consigliano ai loro amici, quello che provo non è semplice gratificazione, ma soddisfazione, genuina contentezza. E quindi? Quindi in poco tempo mi trovo a lavorare presso altri ambulatori a Ronchi, Trieste, Portogruaro, Latisana, Maniago. Nello stesso periodo ottengo un Dottorato di Ricerca presso la Clinica Dermatologica Universitaria, tre anni di studio intenso che mi permettono di fare esperienza, di consolidare ed ampliare le mie conoscenze dermatologiche. A questo punto come procede la sua formazione? Conseguito il dottorato, decido di approfondire un aspetto del mio lavoro che mi ha sempre appassionato e intraprendo un master di Chirurgia Estetica. Consideri che il corso si teneva a 5 ore di strada, quindi partivo alle 4 del mattino e tornavo indietro alla fine della sala operatoria in tarda nottata! E ora mi racconti un po’ della sua passione nella passione: la tecnologia laser. I laser hanno segnato un cambiamento epocale nella storia della medicina in generale, della dermatologia e dell’estetica nello specifico! Già in Specialità avevo intuito che il futuro della medicina erano trattamenti e terapie sempre meno invasivi. Si figuri che i primi tempi ho conosciuto colleghi che avevano rimosso tatuaggi con la chirurgia perché in effetti non c’erano alternative. Prima dell’avvento dei laser se la pelle era segnata da smagliature, cicatrici, ustioni non c’erano trattamenti veramente efficaci, o comunque, se qualcosa c’era, era per pochissimi, sia per i costi che, appunto, per l’invasivita’ delle tecniche impiegate. Il mio primo laser lo acquistai nel 2001 , un laser vascolare portatile della bellezza di 30 kg che ho scarrozzato in giro per il Friuli. E in effetti era un ottimo laser, ce l’ho ancora, l’ho tenuto per ricordo! Qualche anno dopo venni contattato da un collega, il dottor Zerbinati, una delle massime autorità nazionali ed internazionali nel campo dei laser e mi ritrovai a lavorare con lui. Una mente tra le più acute, con una personalità istrionica. Gli 69


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devo tantissimo perché insieme a lui ho sperimentato tecniche e conoscenze laser che all’epoca non erano ancora scritte! Un vero pioniere della scienza laser con una generosità assoluta nel condividere senza riserve, con me e gli altri collaboratori, le sue conoscenze. Da allora la tecnologia laser non si è mai fermata e nemmeno io! Come si fa a stare al passo con i tempi? Bisogna correre sempre, tenersi aggiornati implica studio costante della letteratura scientifica, confronti con chi, come me, si occupa di queste tecnologie, congressi e corsi internazionali, praticamente un’occupazione a tempo pieno! Lei fa belle le donne, perché? Mah, guardi non è propriamente questo il mio intento. Per me sono prima di tutto persone, donne con una storia che cerco di leggere nei segni del loro volto ed è da lì che voglio partire per individuare i punti chiave per far ritornare armonico il loro volto. Il loro sguardo, il loro “wow” quando si guardano dopo il mio trattamento fa star bene loro e me. Per me la bellezza è prima di tutto armonia, un aspetto esteriore che riflette un equilibrio interno. Si è mai trovato a dire di no alle richieste estetiche di una paziente? Si, alcune volte mi è capitato. Quello che intraprendo con le pazienti è un percorso, mi metto nei panni dell’altra persona e cerco di farle ottenere ciò che desidera ma ho una mia etica e un mio approccio e se non sono convinto di ciò che mi viene richiesto e non si trova un compromesso, beh in quel caso posso dire di no.. Ed ora una elegante e avanguardistica Clinica Laser! Ho notato uno staff interamente al femminile o sbaglio? Questo essere attorniato principalmente da donne è una scelta? Beh con le pazienti è una scelta un po’ obbligata anche se il mondo maschile è sempre più attirato dall’estetica. Per quel che riguarda le mie fidate collaboratrici, alcuni sono rapporti quasi ventennali, amicizie consolidate, persone molto diverse tra loro ma brave persone delle quali ho fiducia. E in effetti ho scelto di lavorare con donne. Penso dipenda dal fatto che mi affascina il loro modo di pensare così diverso dal mio, le trovo stimolanti intellettualmente, interessanti. Cristina, la mia compagna, che mi conosce molto bene, ritiene invece che sia il mio modo di sentirmi al centro dell’attenzione, e forse ha un 70

po’ ragione.. La sua vita privata com’è? Ho sempre desiderato avere una famiglia, dei figli. Nel 2006 conosco Cristina, la mia attuale compagna e madre delle mie due figlie. Ne rimango colpito fin da subito per la bellezza e le doti caratteriali. Abbiamo incredibili affinità ma anche profonde diversità. Mi affascina perché è la quintessenza della femminilità: un carattere caleidoscopico, molteplici piani di lettura e io amo le sfide.. - e con una risata stempera un po’ la confidenza fatta..Come è riuscito a conciliare la vita familiare con degli impegni lavorativi così pressanti? Molto del merito va proprio a Cristina, mi è stata di supporto, mi incoraggiava a investire in quello che credevo. I primi tempi poteva sembrare un azzardo pensare di sviluppare in Friuli un mondo praticamente inesistente come quello della tecnologia laser. Era un importante investimento economico ma anche emotivo. Abbiamo fatto grossi sacrifici perché io potessi dedicarmi a tutto questo. Spesso ero costretto a lavorare anche il sabato e la domenica. La mia compagna ha un importante ruolo di responsabilità in una prestigiosa azienda bancaria ma, nel tempo libero, l’impegno delle bambine era quasi interamente sulle sue spalle. Malgrado questo, al mio ritorno, potevo sempre contare sull’atmosfera confortante della mia famiglia. Adesso le cose fortunatamente sono cambiate, i fine settimana sono dedicati interamente alla famiglia. Come è cambiata la sua vita e come è cambiato lei negli ultimi cinque anni, da quando ha realizzato il suo sogno di avere una clinica? Beh, per certi aspetti è rilassante svegliarsi la mattina e sapere che in 10 minuti sarò nel mio studio, è appagante aver realizzato ciò’ che per tanto tempo è stato solo nei miei pensieri, nei miei progetti. I primi tempi ero così sollevato, era così liberatorio essere arrivato al traguardo, che a fine giornata è capitato di mettere la musica al massimo e cantare a squarciagola sulle note di “Questo piccolo grande amore”!! Le mie collaboratrici ancora se lo ricordano! Poi nel tempo molto di questa leggerezza si è persa, mandare avanti una struttura complessa come questa richiede notevoli sforzi e tempo! E nel suo tempo libero? Mi piacciono molto gli sport come allenamento ma anche come modo per staccare dal quotidiano, scaricare lo stress.


SALUTE

“BISOGNA CORRERE SEMPRE, TENERSI AGGIORNATI IMPLICA STUDIO COSTANTE DELLA LETTERATURA SCIENTIFICA, CONFRONTI CON CHI, COME ME, SI OCCUPA DI QUESTE TECNOLOGIE, CONGRESSI E CORSI INTERNAZIONALI, PRATICAMENTE UN’OCCUPAZIONE A TEMPO PIENO!” D’ inverno, trascorrere qualche ora sulle piste da sci, mi da’un grande senso di libertà. Il resto dell’anno mi tengo in forma con il tennis e il nuoto. Ho anche un personal trainer che mi segue qualche ora la settimana compatibilmente con i miei impegni, ma devo ammettere che lo sport che mi diverte e mi appassiona di piu’ e’ sicuramente il calcetto con la mia squadra “ I Dimessi”. E poi amo viaggiare! Guidare mi rilassa e tra i miei ricordi di viaggio preferiti ci sono il nord della Francia e la Spagna. Come pensa la vedano gli altri o cosa vorrebbe che gli altri pensassero di lei? Mah, in realtà credo che le due definizioni coincidano: io penso di essere una brava persona, una persona perbene e spero che anche gli altri lo percepiscano. Usa di frequente i termini “brava persona”, “persona perbene”, una definizione dal sapore un po’ retro’ per un professionista proiettato nel futuro come lei. Ci da uno spiraglio su un attaccamento a valori intramontabili. Chi è per lei una brava persona? Quando fai ciò che puoi al meglio, con onestà, mantenere la parola data questi aspetti fanno una persona perbene. Ho origini siciliane, per me la parola data vale più di una firma. Quale pensa sia il futuro della medicina e della dermatologia? Le parole chiave del futuro sono prevenzione, tecnologia e genetica e, secondo me, lo saranno in qualsiasi ambito medico: patologico ed estetico. È in questo che si devono concentrare gli sforzi della scienza e della ricerca! Come si vede invece lei tra 10 anni? Mi vedo a lavorare come adesso, con passione, magari con un po’ più tempo libero da dedicare agli affetti e perché no, anche a me stesso! Spero di poter lasciare un giorno tutto quello che ho costruito a una persona che stimo, mi piacerebbe potessero essere le mie figlie ma questo è ancora troppo presto per dirlo! Per ora cerco di trasmettere loro l’importanza di impegnarsi al massimo in ciò che si fa. Se dovesse dare un consiglio ad un giovane collega che cosa consiglierebbe? L’importanza di fare la gavetta, quando si è giovani talvolta ci si lascia abbagliare dal tutto e subito ma le scorciatoie non esistono! E fare tanta esperienza anche all’estero. Durante l’iter formativo ho studiato in Spagna, in Francia, in Germania e la

considero una esperienza formativa rilevante nel mio curriculum. Ti mette alla prova. In un certo senso sei solo in un paese del quale non parli benissimo la lingua, con persone che hanno cultura e abitudini diverse, apre la mente. Avrei desiderato anche un’esperienza oltreoceano ma le contingenze della vita non me l’hanno permesso.. Una qualità e un difetto? Una qualità che mi riconosco è indubbiamente la determinazione, mi aiuta a provare a realizzare i miei obiettivi. Per i difetti sono un po’...-e sorride con aria simpatica- proprio poco, permaloso! Una qualità che vorrebbe avere? Essere intonato! Adoro cantare ma devo ammettere di essere stonato come una campana. L’atmosfera è rilassata, la chiacchierata volge al termine, sono le otto e, per il dottor Laspina, è ora di tornare a casa. Ho un’ultima domanda da porgli. Cosa ne pensa del momento storico che stiamo vivendo? - Assume un’aria profonda che non gli avevo ancora vistoSono stato segnato personalmente da questa malattia, non molto tempo fa ho perso mio padre contagiato da questo devastante e dilagante virus. Penso che questa emergenza sanitaria sia da non sottovalutare, penso che ognuno debba fare tutto ciò che può per arrestarne la diffusione, anche se comporta grossi sacrifici. D’altro canto io sono un ottimista e quindi confido nella scienza per un miglioramento della situazione. Inoltre penso che ogni avvenimento, anche il più difficile, possa avere dei risvolti positivi; per me è stata la possibilità, all’inizio un po’ forzata, ora apprezzata, di starmene più a casa a godermi la mia famiglia e, come per me, penso che per molte persone sia stata un’occasione per riscoprire valori dimenticati come il trascorrere il tempo con i propri affetti.

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AURORA OVAN

@auroraovan @dare.production Intervista a cura della redazione foto di Michela Nale e shot dal videoclip “Naufrago del Cielo (Notturno pt.V)” di Doro Gjat

Chi è Aurora Ovan? Come nasce la tua passione, quali studi hai fatto e dove? Sono Aurora, ho 25 anni e sono una regista. La mia passione nasce quando da bambina mia mamma Laomi mi dava in mano carta e penna -non uno smartphone, inventando un titolo su cui farmi scrivere una storia. La mia passione per la scrittura si è radicata finché nel 2012 ho pubblicato un romanzo fantasy per ragazzi. Al tempo studiavo al Liceo Scientifico I.S.I.S. A. Malignani e l’improvvisa chiusura della casa editrice mi fece cambiare rotta: mi sono appassionata alla fotografia, poi al cinema. L’anno in cui mi sono diplomata, il 2015, ho aperto la mia attività e dopo un corso intensivo di Filmmaking alla NYFA di Firenze, ho ottenuto una borsa di studio per concludere il diploma a New York. Tornata in Italia, dal 2017 lavoro attivamente sul territorio. Da poco tu e altri giovani del settore avete fondato DARE. Production. Che cos’è, come lavorate, quali 72

sono le collaborazioni avute finora? Dopo NY, un mio caro amico fotografo Luca della Savia mi ha fatto conoscere Davide Nicolicchia, che da poco si era appassionato al mondo del videomaking. Ci siamo trovati in sintonia da subito e, dopo aver lavorato assieme per due anni, abbiamo iniziato a collaborare con i Broken Lens (Filippo di Primio e Alessandro Zanuttigh) e assieme anche alla web agency RoomZero (Emiliana Pontonutti e Tomaso Minchella) è nato il nostro gruppo di produzione: DARE (dall’inglese “osa”). E inconsciamente abbiamo osato un bel po’, nascendo due settimane prima del lockdown di marzo 2020. Dopo un primo periodo di assestamento, abbiamo iniziato a produrre contenuti web e videoclip, anche di artisti locali emergenti come AUDIO (Giovanni Astante) e Riccardo Morandini. Abbiamo prodotto video anche per Mario Biondi, Doro Gjat e Rebi Rivale. Cosa significa set sostenibile? Come mettete in pratica questa peculiarità del vostro modo di lavorare?


TALENTI EMERGENTI

Da subito a DARE abbiamo creato produzioni e set sostenibili e a zero rifiuti (per me è impensabile che un’attività al giorno d’oggi non tenga conto di questi elementi). Ciò significa che non vengono utilizzati materiali monouso (né carta né plastica): i catering comprendono prodotti sfusi e km0, piatti, bicchieri, posate e tovaglioli sono tutti riutilizzabili e l’acqua è in casse di vetro a rendere. Costumi e scenografia a noleggio, di seconda mano o creati con ciò che abbiamo già. Le parole d’ordine sono: economia circolare, riutilizzo e rispetto. Sostenibilità è anche comunicare con le immagini soluzioni sostenibili e tutte le volte che possiamo, inseriamo scene con “switch green”: da un attore che raccoglie dei rifiuti, a uno che beve da una borraccia riutilizzabile. Credo che le immagini abbiano il potere di creare la realtà, non solo viceversa. Che cosa fai, precisamente, nel dietro le quinte? Il mio ruolo è quello di scrivere i video, organizzare le giornate di produzione e dirigere il set. Cambio “cappello” a seconda del professionista con cui mi confronto: assieme ad Alessandro discuto dell’obbiettivo finale per scrivere al meglio ciò di cui abbiamo bisogno, assieme a Davide scelgo luce e inquadrature ed entrambi con Filippo scegliamo la direzione da seguire in termini di colore, mood e montaggio. In questo lavoro penso che sia bene conoscere anche i ruoli che non ricopriamo direttamente, per poter usare un vocabolario corretto e quindi esprimere chiaramente le proprie idee per essere tutti sulla stessa onda. Quali riconoscimenti avete/hai preso nella tua carriera e quali sono i progetti futuri? Specialmente il nostro ultimo videoclip per Doro Gjat “Naufrago del Cielo (Notturno pt.V)” abbiamo ottenuto diversi premi e selezioni ufficiali a festival internazionali come ad esempio miglior regia femminile e miglior cinematografia al Best Music Video Awards e la selezione ufficiale al Dumbo Film Fest. Per il futuro abbiamo molti progetti, non solo per le nostre produzioni ma anche per la formazione sul territorio. Già nel 2020 avevamo organizzato un masterclass di color grading con Filippo Cinotti, direttore di fotografia e colorist di Forlì, e che abbiamo poi dovuto traslare online per la causa che conosciamo tutti. Con il tempo vorremmo organizzare almeno due masterclass al mese, toccando le varie aree di produzione. Attraverso i tuoi canali social, sia personali che relativi a DARE.Production, stai tenendo delle lezioni dal titolo Script Anatomy. Sono molto interessanti anche per chi non conosce nulla del mondo del cinema e delle produzioni. Raccontaci come nascono, di cosa

trattano e perché hai deciso di tenerle. Durante il 2020, la mia ancora di salvezza è stato scrivere e studiare, specialmente sceneggiatura. Così ho iniziato il format script|anatomy, diviso in “tips” e “pills”, ovvero consigli di scrittura basati sulla mia esperienza e semplici definizioni di “anatomia base” di una sceneggiatura in 30 secondi, da poter essere fruibili anche per chi non è del settore. Per molti giovani, la scrittura è un viaggio intriso di ostacoli e mistero e spero, con script|anatomy, di porre un po’ di chiarezza in materia, con leggerezza. Quanto è importante la creatività e come coltivarla? La creatività è LA cosa più importante. E quando parlo di creatività mi riferisco alla capacità di pensare diversamente, trovando soluzioni agli eventi che sfuggono dal nostro controllo. Personalmente, sento il costante bisogno di imparare qualcosa, quindi è facile che oggi io ricami e domani legga un libro sull’astrofisica -che probabilmente non capirò ma farò di tutto per riuscirci. Un po’ è anche questo che aiuta a coltivarla: fare qualcosa che non si comprende, sbloccare i propri “muri”. Un piccolo passo per iniziare è: ti trovi di fronte a una scelta, che sia cosa leggere o cucinare, cosa faresti di solito? Ecco, allora fai l’opposto. Con il percorso che hai fatto e i riconoscimenti che hai preso potresti essere in giro per il mondo. Perché rimanere in FVG? Ammetto che ho provato a tornare a NY, ma ho resistito solo due mesi: non sono fatta per rimanere in città a lungo. Ma il motivo è anche un altro. Qui in Friuli ho avuto la fortuna di trovare dei collaboratori creativi con un’energia pura e voglia di cambiare le cose... ma ho trovato altrettanti giovani col morale a terra, tanti talenti che “dovrò andare a Milano, a Londra, a *famosa città europea* per fare ciò che mi piace, qui non si può”. Eccerto: se continuiamo ad andare via tutti, chi rimane a costruire ciò di cui noi giovani abbiamo bisogno? Con questo non dico che non dobbiamo avere esperienze all’estero, anzi, sono e sarò sempre la prima a spronare giovani (e meno giovani) a ritrovarsi soli dall’altra parte del mondo e rimboccarsi le maniche, e sia chiaro che non ho nemmeno la presunzione di poter trasformare Udine in Berlino. Ma non amo quando la scelta della partenza deve nascere da un’insoddisfazione della propria terra. Semplicemente credo che, guardando l’erba del giardino del vicino così verde, invece di abbandonare il nostro, dovremmo forse iniziare ad annaffiarlo...

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#LAGIRAFFALEGGE @lagiraffacongliocchiali

Consigli libreschi de La Giraffa con gli Occhiali

«Come sappiamo da un po’ di tempo siamo fermi ai box, ma non preoccupatevi, la vostra Giraffa preferita non vi abbandona! Come una Giraffa? Esatto, proprio così. Che sbadato! Meglio fare le dovute presentazioni... Sono una Giraffa occhialuta e mi piacciono i libri per i più piccoli, ma soprattutto quelli che tra una illustrazione e un testo riescono a far ragionare ed emozionare i più grandi! Non chiamateli libretti o libriccini, sono preziosi tesori ;) Prima di partire con i #consiglilibreschi vi racconto un po’ di me: assieme al maestro Giulio, a Giovanni e ad Alessandro ho girato tantissime scuole, in ogni posto ho lasciato un pezzetto di cuore e tante, tantissime storie musicate. Ora devo tornare a leggere, per me parlerà il maestro Giulio, ma la super selezione, i primi tre libri, li ho scelti io». Con Raffa Gi è sempre così, è molto di fretta, ma con le parole giuste riesce a dire tutto. 74

Consiglio Libresco numero 1: “Pastelli Ribelli”, edito da ZooLibri, di Drew Daywalt, illustrato da Oliver Jeffers. Vi siete mai domandati cosa fanno i vostri pastelli una volta lasciati da soli nell’astuccio? Prendono vita e soprattutto scrivono dappertutto, o meglio questo è quello che è successo a Dante. Dante riceve delle lettere dai suoi pastelli, alcuni si lamentano perché vengono usati troppo, altri troppo poco, altri chiedono al bimbo di colorare meglio…ci sono il rosso, il giallo, il verde, il marrone e il viola. Resta un po’ in disparte il pastello bianco, nevica raramente e non entra quasi mai in campo. La cosa buffa è che per ogni colore cambia il registro linguistico, come accade con le persone vere! Siamo diversi, ma tutti unici ;) Consiglio Libresco numero 2: “Nonno In Fuga” di David Walliams, edito da L’Ippocampo. David Walliams è un autore nuovo anche per me, durante le vacanze di Natale ho letteralmente divorato questo libro. David è da tanti considerato il degno erede di Roald Dahl, un fardello a volte difficile da portare. Lo stile narrativo è molto simile, a me ha ricordato molto anche Sepulveda, le sue storie


BAMBINI

“SE UNA NUOVA AVVENTURA VUOI ASCOLTARE, IMPARA IMPARA, IMPARA COME FARE… SORRIDI, SORRIDI FIN OLTRE LE GUANCE. INIZIA A BALLARE FIN QUANDO SEI STANCO… INFINE OCCHI CHIUSI E ORECCHIE BEN APERTE, CHI NON STARÀ ATTENTO, LA STORIA SI PERDE!”

infatti sono piene di significati nascosti conditi da una grande ironia. Penso sia un’arte importante riuscire a parlare di grandi temi con gli occhi dei bambini. “Nonno in Fuga” parla dello stretto rapporto tra un nonno e un nipote, a far da cornice agli aneddoti e alle avventure è la comparsa (e l’accettazione) dell’Alzheimer. Non fatevi spaventare dal numero delle pagine (quasi 400) perché scorre velocissimo ;) Consiglio Libresco numero 3: “Dov’è Wally?” di Martin Handford, edito da L’Ippocampo. Un classico intramontabile, i miei alunni spesso mi dicono che sono come Wally, il simpatico giramondo dalla maglia a righe bianche e rosse. È un libro gioco, uno dei più famosi, bisogna ricercare nelle pagine ricchissime di illustrazioni, personaggi e paesaggi il nostro esploratore con ciuffo, occhialetti tondi e cuffietta. L’idea vincente: La ricerca di Wally nei luoghi diversi che visita durante i suoi viaggi permette al lettore, e in particolare al lettore-bambino, di mettersi alla prova, di misurarsi con se stesso per arrivare all’autorealizzazione quando finalmente, dopo vari tentativi, riesce a trovare la familiare figura del protagonista. Il libro permette al piccolo lettore di confrontarsi con un tema importante, il viaggio, scoprendone alcuni aspetti importanti: la curiosità, lo spirito di osservazione, la voglia di conoscere; concluso un viaggio Wally ne affronta subito un altro; nulla ci cambia come un viaggio e nulla ci insegna di più, se siamo viaggiatori curiosi ed attenti. Ma se vi dicessimo che Martin Handford non è sempre stato un illustratore per i più piccoli? Proprio così, uno dei suoi primi ingaggi è stata la realizzazione di una copertina per un disco. La fama a livello nazionale arriva quando nel 1981 all’autore viene commissionata la copertina di Magnets, il secondo album della band inglese The Vapors. Il riferimento alle calamite, il titolo dell’album, è suggerito anche dalla disposizione delle persone, che formano un vortice da cui si genera un occhio, e dai colori prevalentemente utilizzati, rosso e blu, la tecnica pittorica si ispira alla corrente dei “Wimmelbilderbuch”, letteralmente occupare tutto lo spazio possibile con degli omini.

Questi i nostri 3 consigli, ora è il momento dei consigli per i grandi! Spesso, dopo le avventure libresche, mamme, papà, nonne e zii, si fermano a chiederci come far piacere i libri ai loro bambini o come coinvolgerli durante il racconto. Una delle frasi più belle che ci sono state dette è: “sarebbe bello avervi sempre a portata di mano”. Il libro non va vissuto come un obbligo o un compito da eseguire, riprendendo quanto detto da Livio Sossi (nostro grande maestro), bisogna cercare di far incontrare i ragazzi con i libri giusti. “Bisogna partire ancor prima della nascita e poi ascoltare le filastrocche, le ninne nanne, la lettura è una partitura musicale, farli circondare dai libri”. Favorire l’incontro con gli amici di carta e favorire l’ascolto, cercate di ricreare un’atmosfera rilassante e gioiosa, fate loro chiudere gli occhi, aprire le orecchie e il cuore. Rispettate i tempi dei vostri bambini e le loro scelte, ci sarà sempre un libro “mio preferitisssimooo” e uno tra “uffi e sbuffi”. Il libro deve accompagnare, non essere protagonista, lo sarà poi nel tempo, alcuni bambini prima, altri dopo. Lasciamoli affascinare e perdersi tra queste pagine piene di magia, colori e parole! Vi lasciamo la nostra filastrocca per iniziare le storie: Se una nuova avventura vuoi ascoltare, impara Impara, impara come fare… Sorridi, sorridi fin oltre le guance. Inizia a ballare fin quando sei stanco… Infine occhi chiusi E orecchie ben aperte, chi non starà attento, la storia si perde! Cari bambini alla prossima! Ci sentiamo presto, Giulio, Giovi, Ale e Raffa Gi La Giraffa Con Gli Occhiali #lagiraffalegge 75


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Musica

ECCELLENZE JAZZ

NOI NON RIPOSEREMO MAI

@flavour.flavio

@aidatalliente

di Flavio Zanuttini

di Aida Talliente

Il referendum Top Jazz, indetto annualmente a partire dal 1982 dalla rivista Musica Jazz, interpella gli esperti italiani del genere, per stabilire quale sia il meglio del meglio dell’anno. Il Friuli Venezia Giulia, fin dalle prime edizioni, è ben rappresentato. Quest’anno, nella categoria “Miglior nuovo talento italiano”, sono ben tre i musicisti friulani presenti tra i primi dieci in classifica: Mirko Cisilino, Emanuele Filippi e Giovanni Cigui. Cisilino (foto) è ormai un musicista affermato e ricercato per la sua professionalità sia come trombettista che come arrangiatore e compositore. A fine 2019 è uscito il primo disco a suo nome: “Effetto Carsico”, edito da Auand. Nel 2020 è stato pubblicato “New Things” (Parco della Musica Records), primo disco del nuovo trio del grandissimo pianista Franco D’Andrea di cui fa parte Cisilino. Questo disco è il secondo “Miglior disco italiano” secondo il Top Jazz e la formazione compare anche tra i “Migliori gruppi d’Italia”. Filippi ha vinto diversi premi come pianista e come compositore ed arrangiatore. Di rientro da un periodo formativo a New York nel 2020, ha registrato il secondo disco a suo nome: “Musica Fragile” (Artesuono). Un disco bellissimo che sta ricevendo moltissimi complimenti dalla critica oltre che da musicisti come Enrico Rava e Fred Hersch. Cigui è un sassofonista molto talentuoso che mantiene un forte legame con la nostra regione pur vivendo ormai da qualche tempo in Messico. Nel 2020 ha pubblicato ben due dischi a suo nome: Cheewi Beats (autoprodotto) e Rock (Auand). Vista la qualità della musica ci auguriamo che continui ad essere così prolifico. Il Friuli Venezia Giulia ha tante caratteristiche che lo rendono unico, queste caratteristiche si riflettono sul panorama musicale regionale che, negli anni, si conferma come una certezza a livello internazionale.

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Teatro

“I poeti, i pittori, i suonatori e tutti i saltimbanchi dallo spirito indomito di un popolo faranno di tutto per impedire l’arresto del cuore del mondo”, scriveva Izet Serajlic’, il poeta della Sarajevo assediata. Da tempo, queste parole sembrano portare con sé la necessità di riflettere su quello che sta accadendo nel mondo dello spettacolo dal vivo e su ciò che significa fare questo mestiere. Da un anno, come lavoratori dello spettacolo, stiamo vivendo una situazione complessa che ha fatto emergere ulteriormente le fragilità che già esistevano nel nostro settore e che continuano a colpire non i grandi teatri, da sempre tutelati, ma le realtà più piccole e indipendenti che faticano a sopravvivere nonostante siano portatrici delle più ricche proposte culturali nei vari territori. Ora che i luoghi della cultura vengono così duramente e ingiustamente colpiti, è importante comprendere più che mai che questo mestiere è necessario per il benessere delle persone perché ha a che fare con la bellezza, l’attenzione, l’educazione e la cura che é l’essenza dell’amore stesso, un amore concreto, non impalpabile. Tutto ciò va a nutrire profondamente il tessuto sociale, perciò chiunque abbia scelto di fare questo mestiere non deve essere considerato un peso ma una risorsa. La situazione che stiamo attraversando ha spinto i lavoratori del settore ad incontrarsi, per costituire insieme una rete di realtà, alternativa ai modelli già esistenti, che ponga le basi per un cambiamento oramai fondamentale, creando un coordinamento che funga da collettore per i bisogni specifici di ognuno, che permetta la crescita di nuove collaborazioni, che diventi punto di riferimento per gli artisti del territorio regionale e nazionale e che sia in grado di costruire un dialogo propositivo con gli enti istituzionali. Questo movimento collettivo che parte dalle realtà indipendenti, dal settore tecnico e da chi da anni ha scelto di lavorare nelle zone più marginali dello spettacolo costruendo “altre geografie teatrali” piene di senso e di bellezza, è ciò che di buono e necessario si sta consolidando da un anno. Solo un percorso comune e condiviso può portare nuove soluzioni e direzioni e quando gli uomini cambiano insieme, cambia la storia.


FOCUS ON

In libreria

I CONSIGLI DEL LIBRAIO @libreria_tarantola_1904 di Giovanni Tomai - Libreria Tarantola di Udine “Anna dei rimedi”, Marta Mauro (Forum, 2015), pp. 319 E’ la Carnia del 1700 lo sfondo di questo romanzo pieno di suggestione e delicatezza in cui la protagonista, Anna, nasce il primo gennaio del nuovo secolo. La piccola comunità delle Alpi Orientali in cui cresce, zona insieme di confine e di scambi, è pervasa di rigide convenzioni e superstizioni ma anche di antichi saperi e saggezze. Anna crescerà diversa dalle sue coetanee: nonostante la sua vita sia già stata tracciata dalla famiglia, sceglierà da sola la sua strada. Impara a leggere a scrivere e diventa un’esperta “medisinaria”, una curatrice, soccorrendo chi ha bisogno senza farsi intimorire dai pregiudizi e dalle diffidenze. Arriverà a confrontarsi perfino con la temibile inquisizione e ad essere cacciata di casa per essere stata scoperta a leggere il proibitissimo “Cantico dei Cantici”. Non è solo un affresco accuratissimo della Carnia del 1700, questo libro che Marta Mauro, storica dell’arte, tratteggia con precisione anche grazie alla corposa appendice di note storiche che arricchiscono la narrazione senza appesantirla. È la storia di una donna non ribelle, ma libera, che decide di farsi artefice del proprio destino non subendo la sofferenza, l’amore e la morte ma attraversandoli. Nelle pagine di “Anna dei rimedi” c’è una magia antica e sussurrata, leggera e potente, radicata nella natura stessa della terra che l’ha generata. La Anna di Marta Mauro è un personaggio indimenticabile, un libro da leggere e da rileggere.

“Furland”, Tullio Avoledo (Chiarelettere, 2018), pp. 225 Francesco Salvador è un tenente nazista nella Kosakenland del ‘44. Questo almeno fino a che non finisce il suo turno, quando può rientrare nella sua casa nella Trieste asburgica della Belle époque. Si, perché il Friuli non è più una regione. Il successo nella guerra d’indipendenza del 2023 ha portato al potere Vittorio Volpatti, figura sfuggente ed enigmatica, che è riuscito a convincere la popolazione che l’unico modo per sopravvivere in un mondo dominato dalle multinazionali sarebbe stato quello di trasformare la regione in un gigantesco parco a tema e i suoi abitanti in dipendenti e figuranti. E così, Aquileia torna ad essere romana, Cividale longobarda, fra i monti della Carnia spuntano villaggi celtici, si aggirano i Cosacchi e ogni giovedì Udine viene incendiata dagli scontri tra Strumieri e Zamberlani: è Furland, e attira milioni di visitatori ogni anno che da tutto il mondo atterrano nell’immenso aeroporto galleggiante al largo di Lignano. Ma non tutti sono soddisfatti, e Francesco Salvador è chiamato a scopre chi è il misterioso sabotatore che si aggira seminando il panico tra comparse e turisti. Tullio Avoledo, scrittore pordenonese che aveva esordito con il fortunato “L’elenco telefonico di Atlantide” (Einaudi, 2003), con il suo stile caustico ci accompagna in un viaggio allucinante che va oltre il contemporaneo; un riflessione disperatamente divertente sulle geografie del potere che ci porta a interrogarci su quale sia il valore della nostra identità. Avoledo scrive una distopia che aiuta a immaginare il futuro, del Friuli e di tutto il resto. 77


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SVEVA CASOLINO

MARTINA CORRUBOLO

Nata a Udine nel 1994, si laurea in cinema al DAMS di Bologna nel 2018. Da sempre appassionata di cinema, grazie alla partecipazione al percorso di formazione cinematografica Armani Laboratorio a Milano, si specializza come truccatrice cinematografica. Negli ultimi anni, lavora come truccatrice per svariati film, serie tv e pubblicità. Attualmente lavora tra il Friuli e Milano. @svecasolino

Figlia d’arte, sin da piccolissima si appassiona all’hairstyling e dopo diploma e università si dedica totalmente al mondo dei capelli. Dopo varie esperienze e accademie prestigiose, vince alcune fra le più importanti competizioni internazionali. Negli anni si è specializzata anche nel servizio Wedding Hair and make up. Lavora con passione da Bobo parrucchieri a Udine. @martindependent

CRISTIAN CECCHINI

Barbiere di terza generazione, all’età di 16 anni muove i primi passi nella barberia di famiglia, Salone Silvano, che attualmente gestisce col fratello. Docente dell’Accademia Proraso, sempre alla ricerca di nuove ispirazioni e idee per valorizzare i servizi in salone e soddisfare le esigenze del cliente. @barbercec_cristian

GLORIA BUCCINO

Laureata in Architettura per il Nuovo e l’Antico allo IUAV di Venezia e specializzata in Project Management per il settore delle costruzioni, ottiene il ruolo di Site Engineer in un grosso cantiere nel settore delle infrastrutture ma, dopo un workshop di architettura sociale con il team dello studio danese “Emergency Architecture and Human Rights”, in Nepal, decide di cambiare letteralmente strada e inizia a lavorare nel campo dell’editoria, della grafica, del design e dell’arredamento.

SAMIA LAOUMRI LA GIRAFFA CON GLI OCCHIALI

Collettivo formato da tre amici uniti dalla passione per la musica e la lettura: Giulio Freschi, maestro elementare e voce narrante; Giovanni Grisan, musicoterapeuta, chitarra e voce narrante; Alessandro Ranciaffi, cajon. Il collettivo si occupa di promozione della lettura per l’infanzia, coinvolgendo i bambini in ambienti diversi: librerie, biblioteche, associazioni culturali, book cafè e scuole. All’attività di lettura si accompagna la recensione via web di libri e albi illustrati per l’infanzia e la collaborazione con alcuni autori e illustratori. @lagiraffacongliocchiali

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Conseguiti gli studi preso l’Accademia Nazionale del Cinema di Bologna, si sposta a Milano, affermandosi in poco tempo nel mondo della Moda. Abolito il cliché della make-up artist che gioca con i trucchi della madre fin da bambina, Samia intraprende un percorso ben diverso, fatto di studi e collaborazioni nel campo della medicina estetica dall’azienda COSMECEUTICS, passando per RM Project, leader nel settore Hairceutico che utilizza polveri naturali di origine alimentare che ristrutturano e colorano il capello. @samialamua


CONTRIBUTI

JESSICA ZUFFERLI

MANLIO BOCCOLINI

Fotografa e Content Creator. Attraveso l’utilizzo di strumenti come siti web, blog e social network, mi occupo di progettare strategie e calendari editoriali per aziende, realtà turistiche e privati, al fine di accrescere la loro presenza online grazie alla condivisione di contenuti di qualità. Li affianco infatti nella scrittura di contenuti creativi (copywriting) e nella produzione di fotografie e video. @jessicazufferli

Quarta generazione di una famiglia di commercianti cividalesi, respira moda dalla nascita. Entra presto in contatto col mondo di Vogue Italia e Franca Sozzani. Con lo pseudomino di MANLIO B. viene selezionato come free contributor per varie attività della testata (Vogue Encyclo, Live on Vogue Pitti, “Love your age” di Lancome, Dream Photo Contest Illy). Un fashion lover e consulente immagine, impegnato anche in attività di scouting di nuovi talenti e brand emergenti. @manlio31166

ALICE ZULIANI

Diplomata al Liceo Classico Europeo Uccellis di Udine, attualmente studia Corporate Communication and Public Relations presso l’ateneo IULM. E’ da sempre appassionata di arte e gran parte della sua esperienza lavorativa è stata svolta come guida museale, anche in lingua straniera. Ad oggi Alice sta frequentando un tirocinio curricolare come Junior Media Assistant. @alice_zuliani

GIOVANNI TOMAI

Libraio presso la libreria Tarantola di Udine nell’ultima parte dei suoi cento e più anni di storia. Legge un po’ di tutto, soprattutto saggistica storica e locale, narrativa e libri di cucina, che applica con scarso successo. @libreria_tarantola_1904

SABRINA PELLIZON

SEBASTIAN LASPINA

Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Udine, si specializza in Dermatologia e Venereologia presso lo stesso ateneo. Ottiene il Master S.I.D e. M.A.S.T. in Dermochirurgia, presso la Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Siena. Nel 2009 consegue il Dottorato di Ricerca in Scienze e Tecnologie Cliniche presso la Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Udine. E’ dottore di riferimento presso la Lega Tumori per la prevenzione dei tumori della pelle di Udine. @centrolaserdott.laspina

Nata, vissuta e cresciuta nelle terre bagnate dal fiume Isonzo, muove i suoi passi come tour leader tra FVG, Veneto e Carinzia per poi diventare Guida Naturalistica/ Ambientale Escursionistica regionale in italiano, tedesco e inglese. Ama accogliere, ospitare, informare, stupire, coccolare ed accompagnare i visitatori alla scoperta della nostra regione, comunicando il valore di queste terre e mostrando ciò che di curioso ed originale riservano a chi vuole esplorarle in modo autentico. ecoturismofvg.weebly.com 79


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FLAVIO ZANUTTINI

E’ un musicista estremamente versatile che non trova mai pace nella ricerca di un suono ed una poetica personali. Dopo una formazione jazz e classica svolta tra Italia e Germania, attualmente si dedica all’insegnamento e alla musica di ricerca. Ha pubblicato due dischi a suo nome ed è presente in più di trenta album come sideman. @flavour.flavio

AIDA TALLIENTE

Attrice friulana diplomata all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “S. D’Amico” di Roma. Ricercatrice di storie, autrice e interprete di numerosi spettacoli che nel corso degli anni le hanno valso diversi riconoscimenti. Collabora inoltre con musicisti, registi, compagnie del territorio e di tutta Italia. Collabora con diverse radio e case editrici regionali e nazionali come lettrice ed interprete. www.aidatalliente.it

CARLOTTA DI FRANCO

Classe 1993, nata a Genova, ha da sempre avuto la passione per la macchina fotografica e per le testate di moda più famose. Si definisce coraggiosa e dal carattere forte e determinato. Il suo grande sogno diventa realtà dal 2015 quando, con la sua macchina fotografica, comincia a lavorare come fashion photographer per diversi brand e magazine: in Italia e in diversi città fondamentali nel mondo della moda come New York, Buenos Aires, Barcellona e Londra. @dfcarlotta

JESSICA ZUFFERLI

Fotografa e Content Creator. Attraveso l’utilizzo di strumenti come siti web, blog e social network, mi occupo di progettare strategie e calendari editoriali per aziende, realtà turistiche e privati, al fine di accrescere la loro presenza online grazie alla condivisione di contenuti di qualità. Li affianco infatti nella scrittura di contenuti creativi (copywriting) e nella produzione di fotografie e video. @jessicazufferli 80

MELANIA LUNAZZI

Storica dell’arte e giornalista freelance scrive di cultura, arte e montagna. Ha dedicato una mostra, diversi libri e un lavoro teatrale alla riscoperta di pionieri delle Alpi del Nord Est: Napoleone Cozzi, Belsazar Hacquet e le sorelle Grassi. Frequenta la montagna in ogni stagione e dal 2016 cura la comunicazione del Soccorso Alpino e Speleologico del FVG. @mellun71

I NOSTRI FOTOGRAFI

MASSIMO CRIVELLARI

Fotografo professionista da oltre 20 anni, si occupa prevalentemente di architettura, interni e processi industriali. Ha all’attivo collaborazioni con riviste nazionali e internazionali e segue svariati studi di architettura in Italia e all’estero. Numerose le collaborazioni con aziende di livello internazionale per la documentazione e la realizzazione dei loro Company Profile. Oltre all’attività commerciale, ha pubblicato volumi fotografici con Magnus, LEG, Biblos ed altri. Parallelamente si occupa attivamente di ricerche fotografiche nel campo del paesaggio urbano ed antropico, con all’attivo molte mostre personali e collettive. È stato vincitore del premio Friuli Venezia Giulia Fotografia del CRAF di Spilimbergo. Attualmente sta documentando le interazioni tra l’industria dello sci e il paesaggio montano. Vive in comune di Prepotto UD. @crivefoto


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COLOPHON

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Trimestrale di lifestyle e cultura del territorio del Friuli Venezia Giulia

Anno VI° numero 24. Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Udine il 14 maggio 2007, n. 16 Iscrizione R.O.C. n. 34217 del 14/5/2020

Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione totale o parziale di testi, fotografie, marchi e loghi non è consentita.

CASA EDITRICE Bm editore Sede e Redazione: Via Mantica 38 33100 Udine T. - F. +39 0432 50 04 68 redazione@miamagazine.it

DIRETTORE RESPONSABILE Carlo Tomaso Parmegiani DIRETTORE EDITORIALE Daniele Bressan UFFICIO COMMERCIALE redazione@miamagazine.it PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Gloria Buccino Kevin Bisiacco AMMINISTRAZIONE amministrazione@bmeditore.com PUBBLICITÀ a cura dell’editore STAMPA E DISTRIBUZIONE Luce S.r.l. via Zanussi, 303/A - Udine Dis-Pe via della Tomba Antica, 1 Campoformido (UD)

COLLABORATORI Manlio Boccolini, Martina Corrubolo, Dott. Sebastian Laspina, Dott.ssa Silvia Codogno, Cristian Cecchini, Jessica Zufferli, Gloria Buccino, Samia Laoumri, Sabrina Pellizon, Melania Lunazzi, Aida Talliente, Giovanni Tomai, Flavio Zanuttini, Sveva Casolino, La Giraffa con gli Occhiali, Alice Zuliani. FOTOGRAFIE Jessica Zufferli, Massimo Crivellari, Carlotta Di Franco, Dean Dubokovic, Gianni Antoniali, Barbara Picotti, Alina Brag, Stefano Benetti, Lorenzo Duca, Giulia Binutti-Obiettivo foto, Caterina Zattarin, Michela Nale, unsplash.com. Se non diversamente indicato, sono dovute alla cortesia degli autori dei testi o degli intervistati e/o delle persone degli enti di riferimento/ provenienza e/o dalla redazione.

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Ph: Alina Brag

Corso Mazzini, 49 - 33043 Cividale del Friuli Tel. +39 0432 731076 boccoliniconfezioni@libero.it www.abbigliamentoboccolini.com






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Ph: Massimo Crivellari

Il Centro Laser Dermatologico è una struttura medica specializzata dove operano professionisti altamente qualificati nell’ambito delle TERAPIE LASER, della DERMATOLOGIA, della MEDICINA ESTETICA e della CHIRURGIA PLASTICA.

Grazie alla nostra equipe multidisciplinare siamo in grado di offrire un APPROCCIO OLISTICO alla salute della vostra pelle, dalla prevenzione, alle terapie antiaging, passando, ove necessario, alle terapie mediche per la cura delle patologie.


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UNA STORIA DA RACCONTARE Uno dei simboli dello Skyline di Londra, “Swiss Re Building” o, informalmente “The Gherkin”, dove tradizione e innovazione rappresentano la sintesi della creatività.

Collection “Swiss Re Building”

Paul Edward, si propone di realizzare orologi nel rispetto della tradizione ma con una visione innovativa nell’obiettivo di concretizzare sintesi fra questi due valori, creativi.

Bellezza, armonia, essenzialità delle forme, di tutte le realizzazioni; immaginabile.

IL PENSIERO DISEGNATO

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Ph: Massimo Crivellari

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