MIA Magazine 25

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€ 2,50

bm Editore - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/UD editore-ISSN2384-8189

MIA 25 magazine ANNO 2021

SAPORI TURISMO SPORT BENESSERE

UNICO TRIMESTRALE DI LIFESTYLE E CULTURA DEL TERRITORIO DEL FRIULI VENEZIA GIULIA


PAULA BRASIL centro di estetica e parrucchieri

via del Cotonificio, 43 int.7 33100 Udine T. +39 0432 502368 paulabrasiludine@yahoo.it


Ph: Ambra Cautero



L’Eau de Jour e L’Eau de Nuit sono due rivoluzionari trattamenti spray antietà. L’Eau de Jour va nebulizzato su viso, collo e décolleté dopo la detersione e durante la giornata, anche sopra il make up. L’Eau de Jour stimola la produzione naturale della pelle di acido ialuronico, collagene ed elastina per una pelle visibilmente più giovane, diventando, così, un’”alternativa alla siringa”. Agisce inoltre come scudo invisibile contro l’inquinamento e i raggi UV, donando alla pelle un colorito radioso. L’Eau de Nuit va nebulizzato la sera dopo la detersione e contiene una combinazione unica di ingredienti attivi che aiutano a rafforzare i naturali poteri detossinanti della pelle, stimolando la rigenerazione e preparando la pelle per l’assalto dei raggi UV del giorno successivo. L’Eau de Nuit idrata istantaneamente la pelle e offre un’immediata sensazione di relax e comfort.

Largo dei Pecile, 19 33100 Udine (UD) T.0432 501048 FB: Profumeria Elisir Instagram:profumeriaelisirud


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EDITORIALE

EDITORIALE MIA Magazine n.25 A cura del Direttore Editoriale

Non sempre, quando si lavora ad un nuovo progetto, si hanno tutte le idee ben chiare. O meglio, le idee possono essere chiare ma il risultato che ne deriva è leggermente diverso da quello al quale si aspirava, non necessariamente in un’ottica di “meglio” o “peggio”. Nella nostra testa il progetto che si porta avanti può seguire una linea ben precisa ma, poi, la chiave di lettura di altre persone può essere diversa, ed è allora che si inizia a guardare al proprio lavoro con occhi diversi.

è unica perchè non parla meramente di aziende, realtà del territorio e progetti ma parla di PERSONE.

Nel numero precedente, vi avevamo parlato della nascita delle nuova MIA Magazine, di quello che volevamo ottenere e di quello che rappresentava per noi.

Inconsciamente, ci siamo resi conto che abbiamo creato una rivista fatta di storie, di volti, di PERSONE, appunto. E non potremmo esserne più felici ed appagati. Su questo numero trovate ancora bellissime storie, ancora realtà radicate sul territorio, ancora fonti di ispirazione.

Il riscontro avuto dal primo numero è stato a dir poco soddisfacente ma anche illuminante. È stato davvero un piacere per noi ascoltare il parere dei nostri collaboratori, dei nostri tanti lettori, dei nostri clienti, delle persone che sono state intervistate e coinvolte. Ci è stato detto che la rivista è ben curata, semplice ma allo stesso tempo ricca nei contenuti ed elegante nella resa grafica. Ci è stato detto che può diventare un punto di riferimento, a livello editoriale, in regione. Ci è stato detto che è apprezzabile da un pubblico molto vasto e “variegato”, se così si può chiamare. Ci è stato detto che la rivista era difficile da trovare in edicola; buon segno, possiamo dire! Ci è stato detto, anche, e questo è stato un aspetto che non avevamo valutato quindi quasi involontario, che la rivista

Ed è proprio vero! MIA Magazine racconta l’anima di chi sta dietro a progetti ambiziosi, la tenacia dei nostri artigiani e dei nostri imprenditori, la ricerca che essi fanno e, soprattutto, l’amore e la passione per il loro mestiere e per quello in cui credono.

In copertina un’immagine legata al benessere che contraddistingue il nostro vivere nella nostra bella terra, perchè sì, certamente siamo fortunati e siamo consapevoli di vivere in un luogo speciale che ha ancora tanto da insegnarci e tanto da svelarci. Continuiamo quindi con la nostra “missione” di stimolare tutti i vostri sensi, portandovi alla scoperta della nostra/vostra Regione. Vi aspettiamo in edicola, mentre già stiamo preparando la prossima uscita autunnale. Buona Lettura! 7


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MIA magazine 25

Sommario

Estate 2021

DONNA FORMULA VINCENTE: SEGUITE SEMPRE LA VOSTRA PASSIONE di Martina Corrubolo

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LA CHIAVE SEGRETA DELLA LIBERTÀ È ESSERE SE STESSI di Samia Laoumri

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UOMO DALLA PUNTA DEI PIEDI ALLA PUNTA DEI CAPELLI di Cristian Cecchini

20

MODA CAVALIERI SENZA ARMATURA... WAIF BEATEN O WIFE BEATER? di Manlio Boccolini

22

GENERAZIONE Z di Manlio Boccolini

24

LE TRE VITE DEL FIORE JACQUARD DELLA CARNIA di Manlio Boccolini

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ARTE & DESIGN LA NEFERTITI DI NADIA di Sveva Casolino

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SHOOTING WHO’S IN THE MIRROR? foto Jessica Zufferli Abbigliamento Via Eugenia 4 e Atelier Apostrophe

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TURISMO

38

IL GIARDINO DI VILLA DE NORDIS di Sabrina Pellizon

40

VIVERE SAURIS E LA SUA STORIA di Jessica Zufferli

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FOOD & BEVERAGE

TALENTI EMERGENTI

L’ALIMENTARE GASTRONOMIA CON CUCINA di Gloria Buccino

NICOLÒ ROSSI, ENTUSIASMO PER LA RICERCA a cura della redazione

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SPORT

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BAMBINI

INTERVISTA A MARCO MILANESE di Gloria Buccino

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INTERVISTA A MAX RANCHI di Gloria Buccino

58

#LAGIRAFFALEGGE di La Giraffa con gli Occhiali

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FOCUS ON MUSICA - L’ARTIGIANO DELLA MUSICA di Flavio Zanuttini

80

TEATRO - TEATRO STRUMENTO POLITICO di Aida Talliente

82

IN LIBRERIA - I CONSIGLI DEL LIBRAIO di Giovanni Tomai - Libreria Tarantola

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CONTRIBUTI

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MONTAGNA VIAGGIO TRA I SAPORI DELLE MALGHE DI SAURIS di Melania Lunazzi

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A SAURIS, IN PARADISE di Melania Lunazzi

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SALUTE IL MEDICO DELLE BUONE ABITUDINI INTERVISTA AL DOTT. TENTORE di Veronica Balutto

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Arianna, imprenditrice con trent’anni di carriera, donna forte e di grande sensibilità, ci accoglie per un’intervista all’interno del suo centro estetico. Le mascherine con cui parliamo coprono molto le espressioni del viso ma vi assicuro che mi basta vedere gli occhi luminosi e raggianti di Arianna per comprendere la sua passione per questo lavoro e la gioia che ne deriva. Quale è il tuo approccio al lavoro? Non mi accontento mai, voglio sempre perfezionarmi, faccio costante autocritica, faccio ricerca e studio tanto. Voglio guardare ad un nuovo tipo di estetica, sempre più vicino ad un approccio clinico, che non significa sostituirsi alla professionalità di un medico ma essergli piuttosto di supporto nella prevenzione e nel trattamento sul lungo periodo laddove non siano necessari interventi da parte di uno specialista. Un’estetista che vuole lavorare in questo modo, oggi, deve avere una mente molto aperta ed elastica, essere molto competente in molti ambiti e saper conoscere molto bene i propri limiti professionali per, eventualmente, indirizzare il cliente ad un medico competente; valutazione, anche questa, di grande responsabilità, competenza e professionalità. Io e il mio personale facciamo aggiornamento costante, ora ancora più semplice, dal momento che molti corsi di formazione sono accessibili online.

Foto: Jessica Zufferli

Quando hai iniziato? Ti racconto una storia molto personale: mio padre, quando ero bambina, regalò a mia madre un tonico e un detergente per il viso, non oso immaginare quanto gli costarono all’epoca, ma ricordo bene la gioia di mia madre. Ogni sera si prendeva cura di sé, ci teneva molto, con semplici gesti si passava sul viso questi prodotti e questa cosa mi ha insegnato molto. Ora comprendo che non era questione di bellezza, di mostrarsi agli altri, ma di potersi dedicare un attimo per sé. Prendersi cura del proprio corpo e della propria pelle è un gesto di amore, rivolto alla salute ma anche alla felicità di regalarsi qualche attimo di attenzione; vengono stimolate le endorfine e questo crea una sensazione di piacere e di serenità. Ho iniziato giovanissima, rilevando una attività nel 1988, volevo inizialmente fare estetica, nella sua accezione più tradizionale di cui al tempo c’era molta richiesta. Avevo un’ottima formazione ma non mi bastava, ero sempre alla ricerca di nuovi stimoli e avevo sete di sapere, volevo specializzarmi e poter offrire di più al cliente. Sono partita allestendo uno spazio che era già molto diverso dagli altri centri estetici, quasi un negozio, in vista; un tempo infatti l’estetica era considerata elitaria e i centri estetici erano tutti ospitati in appartamenti, ben nascosti, come se ci si vergognasse ad andarci. Ora, invece, l’estetica è quasi una necessità, sempre più specializzata e approcciata da un pubblico sempre più vasto, anche maschile. Dicevi che hai sempre sentito il bisogno di fare ricerca, come si è concretizzata questa tua necessità? Ho creato un metodo di lavoro e dei percorsi di lavoro, divisi in “viso” e “corpo”. 10

Parto sempre da una analisi e una valutazione della necessità del cliente, dei suoi obbiettivi e poi della salute della sua pelle per poter consigliare il corretto trattamento e il percorso da effettuare attraverso le classiche metodiche manuali e con l’utilizzo delle più moderne tecnologie. Dopo trent’anni di attività, ho sviluppato, inoltre, l’ambizioso progetto di creare delle mie linee cosmetiche che mi venissero in aiuto durante il mio lavoro ma anche per poter offrire un’adeguata prosecuzione del trattamento anche a casa. Creare delle linee cosmetiche è stato un momento di studio molto lungo e complesso con l’aiuto di una cosmetologa di fiducia. Assieme abbiamo creato delle formule speciali, facendo ricerca sulle profumazioni, sulle consistenze, sulle richieste e le aspettative delle clientela. Tutti i prodotti sono a km zero, li acquisto direttamente in laboratorio, no ho fondi di magazzino, e so perfettamente da dove arrivano le materie prime di cui sono fatti, perchè le ho scelte personalmente per eliminare tutti i possibili allergeni e le sostanze potenzialmente nocive per la pelle. Si tratta di una linea in espansione, un continuo work in progress che richiede una buona dose di creatività e competenza scientifica. Si tratta di prodotti che, come dicevo, mi aiutano nel mio approccio preventivo, nella quotidianità di quel “prendersi cura di sè” di cui parlavamo prima e che tanto mi ispira. Ovviamente i miei prodotti sono per uso cosmetico, tutti certificati e sottoposti a rigidi test dermatologici. Un domani vorrei estendermi ad un mercato più ampio, magari andando in aiuto dei miei colleghi. Hai due centri estetici e molto personale che ci lavora, come scegli i tuoi collaboratori? Sì, ho un centro a Manzano e uno a Cormons, con più di una decina di dipendenti in totale. Sono tutte donne, persone che lavorano con me da tanti anni e alcune nuove leve. Tutte sono preparate e devono seguire costantemente corsi di formazione e aggiornamento, mi piace che ognuna di loro possa saper fare tutto ma che si senta gratificata nel fare ciò che più le piace, per poter garantire loro la soddisfazione di lavorare in un ambiente sereno. All’accoglienza c’è Greta, una persona altamente preparata e che sa fornire le prime indicazioni fondamentali ad ogni cliente, per poterlo indirizzare verso il giusto trattamento, prima di fare una consulenza con me ed essere poi monitorato nel tempo. Che cosa tieni a spiegare ai tuoi nuovi clienti? Credo sia importante conoscere gli obiettivi di ognuno e fare una prima valutazione relativamente anche a quelle che sono le mie possibilità di soddisfare il suo bisogno. Ai miei clienti dico sempre che la pelle va tenuta in allenamento, esattamente come fare ginnastica e mangiare sano. È una cosa che va fatta sempre, con impegno e costanza, per ottenere un risultato. L’età avanza per tutti e quello che possiamo fare è cercare di contrastare il processo ossidativo con un trattamento iniziale più intensivo e poi con un percorso di mantenimento.


Via Alcide de Gasperi 2/b 33044 - Manzano (Ud) T. 0432 183 1143 www.ariannabeautycenter.it 11



Foto: Jessica Zufferli

Via Poscolle, 4 33100 - Udine T. 0432 618432 FASHION - INTERIOR - LIFESTYLE


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FORMULA VINCENTE: SEGUITE SEMPRE LA VOSTRA PASSIONE Le imprenditrici friulane, la femminilità e la loro carriera

Viaggio alla scoperta del mondo di Raffaella Gregoris: l’amore per la bellezza naturale a tutte le età. Intervista a cura di Martina Corrubolo - foto di Giammarco Chiaregato e dept mkt BAKEL

Il Friuli. La nostra terra racchiude tanti tesori: alcuni si possono ammirare, altri mangiare, altri ancora si possono sorseggiare ma, come spesso accade, le cose più preziose sono nascoste, celate in fondo all’anima dei suoi abitanti. Il mio viaggio alla ricerca di queste gemme rare continua e i valori che riscontro sono sempre i medesimi: dedizione, sacrificio e passione. Donne, madri, imprenditrici...quanti ruoli si possono ricoprire nello stesso tempo? Tutto è possibile, niente è regalato. Lo sa di sicuro Raffaella Gregoris, imprenditrice della bellezza premiata da Forbes come una delle personalità femminili italiane più influenti del 2020. Tre figli, come ama dire, di cui il quarto è Bakel, la sua azienda. Un Progetto nato, voluto e nutrito, all’interno di un percorso di 14

crescita che l’ha formata come imprenditrice e donna. La sua Bakel, dal 2009, ha sede a Udine e rappresenta un faro innovativo nella cosmesi clean: prodotti efficaci realizzati con tecnologie innovative i cui principi attivi sono funzionali ad un risultato di livello altissimo. Tutti gli ingredienti riportati dall’INCI per una trasparente e veritiera comunicazione di ciò che il prodotto contiene. Cosmetici innovativi soprattutto nella sicurezza, grazie al “packaging airless”: il prodotto non entra mai a contatto con l’aria ed è protetto da ossidazione e contaminazioni esterne microbiche e ambientali. Raffaella, con vari brevetti a suo nome, è già stata premiata più volte dalla critica internazionale.


DONNA

“AMO IL LAVORO CHE HO FATTO, IL MIO PROGETTO, E CREDO DI AVERE FATTO QUALCOSA DI DIVERSO MA NON SONO POSSESSIVA E SONO CONVINTA CHE QUALCUNO DOVRÀ PORTARLO AVANTI, PAZIENZA SE NON SARANNO I MIEI FIGLI! L’IMPORTANTE È FARLO PER PASSIONE” Ma cosa c’é dietro la professionista? Oggi la incontro, vorrei saperne di più sulla sua passione per la trasparenza, nel lavoro e nella vita. Visione ed innovazione. Due aspetti che l’hanno portata, oggi, ad essere una donna influente, come già suggerito da Forbes nel 2020. Come è nato tutto questo? È tutto nato dalla passione: passione per la chimica, conosciuta solo marginalmente al liceo classico ma che poi è risultata essere molto presente durante tutto il mio percorso universitario. Determinante, poi, l’esame di chimica cosmetica, tanto da scegliere di approfondirne la conoscenza con un master di due anni. Da lì non mi sono più fermata. Dedizione e passione: è quello che dico sempre ai miei figli. Si fa bene una cosa che piace! Io sono una stacanovista, il mio lavoro non mi pesa e non ho mai smesso di studiare o di misurarmi con nuove sfide. Cos’è, per Raffaella Gregoris, la bellezza? Io ho un’idea di bellezza molto naturale, non artefatta nel senso che, tanto, l’invecchiamento non si può fermare, possiamo solo decidere di essere belli in maniera consapevole. Una pelle sana è una pelle bella. La bellezza per me è la consapevolezza di essere belli al di là dei canoni imposti. Amo la diversità. Non amo il trucco e non amo la chirurgia estetica. Mi piace addirittura l’imperfezione di un naso storto: amo le persone REALI. Efficacia, sicurezza e trasparenza: esiste l’idea di sogno in un prodotto Bakel? Tre parole fondamentali per Bakel. EFFICACIA: non false promesse legate al marketing ma un’efficacia comprovata in laboratorio da test scientifici. SICUREZZA: il prodotto è Clean. Ogni singolo ingrediente é funzionale al principio di invecchiamento per il quale é stato studiato. Ho eliminato conservanti, profumo, alcol, siliconi e tutto ciò che era inutile e non funzionale alla bellezza e alla salute della pelle. Il prodotto Bakel è sicuro e certificato: ogni singolo lotto è testato non solo al nichel ma a tutti i metalli pesanti, dermatologically tested, gluten free e i nostri protocolli di laboratorio sono severissimi, tutto ciò che potevo fare per la sicurezza del consumatore l’ho fatto, lo conferma il fatto che non abbiamo casi di allergie. TRASPARENZA: ogni prodotto riporta sulla confezione il numero degli ingredienti e poi sono spiegati singolarmente, uno

per uno, all’interno: dalla provenienza alla funzione. Fin dai miei inizi ho sempre sposato l’idea di una qualità che sta tutta nel contenuto. Tutt’oggi nel campo alimentare, per esempio, c’è una grande consapevolezza di quello che si acquista, mentre nel campo della cosmesi ancora no. C’è poco interesse, da parte del consumatore, verso il contenuto del prodotto, sulla sua conservazione e sulla funzione e, l’acquisto, è fortemente legato al marketing. Pelle e salute: quali sono i gesti quotidiani che fanno la differenza? Il primo gesto è sicuramente la detersione: i danni più grandi alla pelle li facciamo lavandoci e struccandoci nella maniera errata sia per quanto riguarda il viso che per quanto riguarda il corpo. La nostra pelle rappresenta il nostro organo esposto ed è rivestita da un’emulsione, che è il fattore di idratazione lipidica (natural moisturizing factor). Se, lavando in maniera troppo aggressiva, noi rimuovessimo questa protezione naturale, avremmo già fatto un danno che dovremmo poi correggere con un cosmetico e che non potrà mai essere lo stesso cosmetico protettivo prodotto dal corpo naturalmente. Evitate lavaggi con tensioattivi schiumogeni aggressivi! Secondariamente, grazie ad una consulenza personalizzata si può capire quale prodotto utilizzare in base all’età, alla genetica e alla stagione. Fondamentale per noi è la formazione dei nostri consulenti che fanno test specifici per capire che tipo di pelle necessita di cosa. Un’ultima cosa mi sento di aggiungere: moderare e monitorare l’esposizione al sole con prodotti i cui filtri siano in grado di proteggere! Il sole é il primo fattore di invecchiamento ma, con attenzione e prevenzione, diventa un grande alleato di salute e di bellezza. Cosmetica clean dal 2009: come si è evoluto questo concetto negli anni? Una ricerca continua: i prodotti Bakel sono sempre migliorati grazie a nuove tecnologie soprattutto in termini di efficacia. Sono sicuramente cambiati nel packaging: ho eliminato tutti i vasetti e ripensato a tutti gli involucri per garantire una sicurezza sempre maggiore, evitando la contaminazione del prodotto. Stiamo anche lavorando su un innovativo progetto di cosmetico 3D! Le collaborazioni con l’università sono sempre più strette e non ci fermiamo mai perché, fermarsi, significa non essere all’avanguardia. 15


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Bakel si dichiara “genderless”. Anche questo un tema attuale. La bellezza della pelle vale per tutti i sessi, è proprio così? Per un’azienda, creare tante linee di prodotti è sicuramente una mossa di marketing ed un’opportunità di guadagno. Il nostro approccio è diverso: i meccanismi di invecchiamento sono uguali per tutti i sessi e per tutte le razze. Un uomo, all’interno di Bakel, trova il prodotto e il trattamento per garantirsi una pelle sana e, quindi, bella! Una linea uomo non sarebbe coerente con la filosofia di Bakel che lavora combattendo i meccanismi della pelle, siano essi maschili che femminili. E’ valida e funziona per tutti. Donna, imprenditrice e madre: quale è la formula giusta per il successo? La prima cosa che mi viene da dire è quella di non essere pigri! Le mie giornate iniziano molto presto, per riuscire a fare tutto. La seconda cosa è esserci, esserci sempre per i figli, coinvolgerli: quando i miei erano bambini passavano molto tempo in ufficio con me. Ci sono le difficoltà ma si può fare! É un dato di fatto che non si possa dire che la vita lavorativa per l’uomo e per la donna sia uguale: anche solo la gravidanza viene vissuta in prima persona fisicamente da uno solo dei due. Spesso nella nostra società non c’è la parità di ruoli quindi inevitabilmente il ruolo di impegno della madre prevale: basta trovare un equilibrio logistico. Io sono stata fortunata perché Udine, in questo, è più semplice. Oggi che abbiamo una sede 16

anche a Milano e mi muovo spesso è più semplice perché i miei figli sono grandi. Consiglio anche di non trascurare tutto l’aspetto della salute e della forza fisica che è molto importante per connettere tutti gli assi della propria esistenza. Quali sono i ricordi e le esperienze che hanno creato la donna che è oggi? Aspetti personali e lavorativi: uno è sicuramente legato al nuovo assetto societario dell’azienda; dall’estate 2019 Bakel è entrata a far parte di Culti Milano, con cui ho trovato davvero una grande sintonia che mi ha permesso di crescere sotto tanti aspetti gestionali e amministrativi propri di un gruppo quotato in borsa. L’altra esperienza formativa è stata quella di avere l’onore di conoscere il Prof. Manfredini, detentore della cattedra di chimica cosmetica all’Università di Ferrara: è un appassionato ricercatore come me e adoro il rapporto che abbiamo: lavorativo, di amicizia e stima reciproca. Dal punto di vista personale una delle esperienze più formative della mia vita è stata, senza ombra di dubbio, la separazione da mio marito: sicuramente una situazione molto complessa e dolorosa ma, cinque anni dopo, mi sono ritrovata ad essere più forte e più consapevole. Mi ha stimolato ad essere migliore ed ha anche rafforzato tantissimo il rapporto con i miei figli: siamo legatissimi. Uno dei ricordi che porterò sempre nel cuore è proprio legato a loro: un bellissimo viaggio in Thailandia fatto poco prima del Covid.


DONNA

Da dove trae ispirazione per nuove idee? Spesso traggo ispirazione dalla natura e dal concetto di sostenibilità: già l’interno del prodotto è sostenibile ma ci stiamo impegnando a ridurre il packaging del 30%. Mi ispiro a tutto ciò che mi circonda. Non smetto mai di pensare a come migliorare e questo vale sia nella vita privata che in quella lavorativa. Abbiamo lanciato un nuovo formato di creme e sieri che non ha packaging esterno, né foglio informativo ma QR code, capace, con qualsiasi smartphone o device, di fornire tutte le informazioni necessarie. Anche i nuovissimi solari non hanno carta e packaging inutile, ma informazioni che si ricollegano al sito www.bakelskincare.com che, ci tengo a sottolineare, non é un e-commerce che vuole stimolare le vendite, ma un solo e ricco sito informativo dove trovare tutte le indicazioni del prodotto sul quale si nutre un interesse. Cosa spera di trasmettere ai suoi figli? Cosa si immagina per loro? Spero tanto si realizzeranno nel lavoro dei loro sogni. Gli ho sicuramente insegnato che senza sacrificio non si fa nulla ma, il sacrificio, unito alla passione rende il tutto molto meno pesante e credo di averlo trasmesso bene a tutti e tre. Spero che siano felici sia dal punto di vista personale che in quello lavorativo. Trovo di essere molto fortunata a fare un lavoro che amo tanto però non è un caso! E’ una cosa che ho scoperto studiando. È per questo che, per me, lo studio, la formazione e i risultati a scuola sono molto importanti.

Io spingo le mie figlie a trovare una cosa che gli piaccia fare, a seguire le loro passioni: non devono per forza sposare il mio progetto. Mia figlia, la maggiore, ha 21 anni, studia marketing e vorrebbe curarlo per quanto riguarda il food (possiede un suo blog di cucina). E seppure apparentemente non c’entra con quello che faccio c’è un’impostazione molto simile nel voler sapere tutto quello che c’è all’interno dei cibi. Mio figlio ha 19 anni, é entrato a medicina e da sempre vuole fare il chirurgo. Io sposo questo suo sogno. La terza è in seconda liceo ma anche lei sarà assolutamente libera di scegliere per il suo futuro. Amo il lavoro che ho fatto, il mio progetto, e credo di avere fatto qualcosa di diverso ma non sono possessiva e sono convinta che qualcuno dovrà portarlo avanti, pazienza se non saranno i miei figli! L’importante è farlo per passione.

BAKEL Advanced Clean Beauty Udine www.bakel.it Instagram: @bakelskincare 17


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LA CHIAVE SEGRETA DELLA LIBERTÀ È ESSERE SE STESSI @dslfarm

Intervista a Luna Rosso, figlia del patron della maison Diesel, dai momenti bui all’amore ritrovato per la sua unicità Testo a cura di Samia Laoumri - foto Marckus Milo per la campagna pubblicitaria Diesel Farm Luna Rosso, giovanissima, è la figlia di Renzo Rosso, numero uno di Diesel e si dedica alla produzione di vino nella società agricola Diesel Farm a Marostica. Facciamo due chiacchiere con lei. Se ti dico bellezza e perfezione cosa mi rispondi? Ho sempre puntato alla perfezione, quella di cui poi tutti conoscono solo il nome perché in faccia non l’hanno mai vista. A volte avevo paura di uscire di casa senza trucco anche solo per andare a buttare l’immondizia. Ero talmente terrorizzata dal fatto che qualcuno potesse vedere tutti i miei difetti che passavo almeno un’ora e mezza davanti allo specchio per nascondermi dietro quintali di fondotinta, linee grossissime di eyeliner e il ciuffo bruciato dal frequente uso della piastra con cui poter nascondere metà del viso. Poi, quando arrivava la sera e mi ritrovavo faccia a faccia con quella che ero veramente, non mi riconoscevo, non mi piacevo, evitavo proprio di guardarmi allo specchio. Per sopravvivere durante le giornate, quindi, cercavo di essere tutto tranne che me stessa: ero convinta che così com’ero non sarei mai andata bene, per nessuno. Portavo avanti una guerra contro di me che non avrebbe mai visto vincitori. Quel senso di inadeguatezza, quel sentirmi sbagliata, invisibile nei confronti di tutto il resto del mondo, mi hanno fatta cadere in cose molto più grandi di quello era rimasto di me, che mi hanno travolto facendomi soffocare, così come la forza di un mare in bufera inghiottisce una barca sputandola negli abissi più bui. Ho dovuto perdermi del tutto per ritrovarmi, ricominciare a guardarmi allo specchio e, molto lentamente, poter apprezzare tutte quelle parti di me che provavo a nascondere con qualsiasi maschera. C’è voluto tanto tempo prima che accettassi quell’immagine che avevo davanti senza vederla solo come una sagoma sbagliata. Adesso sono sicura che la vera bellezza sia essere sé stessi, indossare quelli che si considerano propri difetti come dei veri punti di forza. La bellezza è sentirsi liberi, libertà di essere ciò che si vuole nella propria unicità senza la necessità di trucco e costumi con lo scopo di vincolarci. Trovo affascinanti le sfumature di ogni persona, il taglio da ragazzo su una donna, il rossetto rosso in un viso totalmente struccato e mascolino, le lentiggini non omogenee sulle guance, la marcatura degli zigomi in un viso già molto spigoloso. 18

Alla fine ho trovato la perfezione che ho cercato per tutta la mia vita nell’imperfezione che rende uniche le persone. Da donna attenta ai dettagli e alle sfumature, come usi il make-up e i colori? L’imperfezione è diventato uno dei miei punti di forza più grandi: non mi trucco spesso perché vicino ad uno dei miei occhi ho un piccolo buchino da quando sono nata e mi piace che si noti, non mi appartiene più il riempirmi di quintali di fondotinta, anzi lo evito perché ho accettato la mia timidezza e le mie guancette rosse che mi vengono quando sono imbarazzata, il mio corpo è pieno di uno scarabocchio di tatuaggi che c’entrano poco uno con l’altro e non nascondo più il viso dietro ai capelli, li ho tagliati tutti, anche se mi sono sempre vergognata della mia fronte alta che adesso non è più un problema. La mia vita e la percezione che avevo di me sono cambiate dal momento in cui ho deciso di volermi bene. La bellezza è amare, amare se stessi. Dalla moda al vino. Raccontaci cosa hanno in comune e come ci sei arrivata. Mi sono avvicinata al mondo del vino per puro caso rimanendo affascinata dalle varie sfumature e note che si nascondono dentro questo universo fatto di fiori, minerali, melodie, frutta, armonia e passione. Ogni nuova scoperta mi lasciava sul palato una storia che meritava di essere raccontata, come quella di ogni persona, e perché non cominciare dal vero e proprio ponte d’incontro per tutti i contrasti che ci sono oggi, un vino adatto a tutti, né nero né bianco, perfetto per la notte e per il giorno, necessario per brindare ai successi dei propri destini ricordando col sorriso il passato. Nasce così l’idea di creare qualcosa di unico in un mondo che è sempre stato classico e tradizionale, di massa: una campagna pubblicitaria che rappresentasse il nuovo vino di Diesel Farm, oasi biologica ed ecosostenibile situata nelle colline di Marostica in Veneto, che oltre a sottolineare la qualità, la purezza, l’armonia e l’amore per la natura, vuole esaltare valori che sono noti solo nel mondo della moda come il genderless. Volevo far trasparire l’unicità di ogni persona, sottolineare il bello che si nasconde nei particolari e la voglia di urlare al mondo chi si è veramente, unite a ciò che lega le persone come un brindisi con un buon bicchiere di vino.


DONNA

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DALLA PUNTA DEI PIEDI ALLA PUNTA DEI CAPELLI @tongout_official

“TON GOUT” ogni passo deve essere perfetto, intervista a Luca Pecile Testo di Cristian Cecchini - foto di Valentina Gremese e Ton Gout

L’immagine dell’uomo è sempre più curata, si tendono a curare tutti i dettagli, per inciso, dalla calzatura fino all’ultimo ciuffo di capelli. Di conseguenza, perché stupirsi se da un barbiere dovessimo trovare in vendita scarpe? Questa collaborazione nasce da un’idea mia e di Luca, titolare di Ton Gout, una piccola azienda friulana che nasce nel 1998 20

e si dedica alla creazione di calzature, disegnate in Friuli e prodotte artigianalmente, tutto rigorosamente made in Italy. Per prima cosa, “Ton Gout” cosa significa? La traduzione dal francese significa “il tuo gusto” e nasce dall’idea di unire le due capitali della moda, Parigi e Milano. Un nome francese con una creatività e artigianalità tutta italiana.


UOMO

Raccontaci di come nasce quest’avventura. Nel 1998 inizio il mio percorso nel settore calzaturiero, ma la passione per questo lavoro mi scorreva nel sangue fin da bambino, grazie a mio padre, un uomo che per tutta la vita ha operato nel ramo delle calzature, come rappresentante per l’Italia e l’estero, arrivando a trasmettermi quelle che sono le bellezze di una scarpa, l’uso di materiali e competenze per arrivare al prodotto finale. Dopo varie esperienze, nel 2014 decido di fondare “Ton Gout”, mettendo a frutto quelle che sono le competenze maturate negli anni. Distinguere i materiali, riconoscerne la qualità e comprendere le varie fasi della lavorazione mi ha permesso di affidarmi a maestri artigiani ed ottenere un prodotto certificato made in Italy, che valorizzi quella che è la produzione italiana, ricca di storia ed eccellenze. Perfetto, abbiamo finalmente la nostra scarpa finita, pronta per esser indossata e sfoggiata, spero non solo in Italia… Oltre che in Italia lavoriamo anche con l’estero, principalmente Cina, Giappone e stati Uniti, dove il made in Italy è sinonimo di qualità. Adesso però cerchiamo di capire il perché di questo connubio con le barberie. Come tante cose, nasce quasi per caso, una conoscenza comune, la voglia di mettersi in gioco cercando collaborazioni per farsi trovare in ambienti dove il nostro prodotto difficilmente si penserebbe di trovarlo. Anche se la barberia è un luogo dove ci si reca per

curare la propria immagine, di conseguenza non è un connubio così strano. Direi di no, lo spirito di questa iniziativa è quella di facilitare il cliente a trovarci, l’ispirazione viene da un concetto già esistente da parecchi anni, soprattutto nelle grandi metropoli, ossia i concept store. Il primo è stato aperto a New York nel 1986 da Ralph Lauren, con l’obiettivo di creare spazi, saloni dove all’interno si possano trovare più offerte e che diventino un luogo dove personalizzare in tutto e per tutto il proprio look. In questo caso c’è un aspetto, un punto d’incontro fondamentale, ossia l’artigianalità. Un barbiere, un parrucchiere, tramite i capelli crea delle forme, adatta l’acconciatura a quelle che sono le caratteristiche del viso del cliente e i suoi desideri, ed è solamente una delle tante forme di artigianato che il mondo invidia all’Italia, e tra le eccellenze troviamo sicuramente il settore della moda e le piccole botteghe nelle quali sono realizzati capi su misura. Esatto, quindi perché non mettere sotto lo stesso tetto questo patrimonio storico e culturale che abbiamo? In quali città stai facendo questa collaborazione? Udine, Trieste e Conegliano, con l’obiettivo di allargare le collaborazioni, cercando sempre barberie che si sposino con la nostra filosofia. Ci auguriamo che le collaborazioni tra artigiani di diverse realtà arrivino a valorizzare le realtà del territorio e del made in Italy diventino una realtà sempre più comune. D’altro canto, l’unione fa la forza! 21


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CAVALIERI SENZA ARMATURA... WAIF BEATEN O WIFE BEATER? @manliob31166

“Wife Beater”, la canotta di cotone bianca. Quando l’immagine diventa icona. Testo di Manlio Boccolini

Wife Beater, testualmente tradotto in “picchiatore di moglie” indica, nella moda, un capo di abbigliamento immancabile per questa estate: la canotta di cotone bianca. Probabilmente molte di voi possiedono una o più canottiere di cotone con spallina larga (liscia o a costine) e in vari colori, trovandole molto comode e pratiche da indossare. Forse poche di voi, però, sanno che quel capo di abbigliamento ha un soprannome “sbagliato” che riporta a situazioni tutt’altro che positive, serene o glamour per le donne. Ci sono molte storie o racconti sul perché la “canotta ad A” abbia preso questo nome, addirittura si pensa che il motivo arrivi dall’epoca medioevale, ma quello che è certo, è che nel corso del tempo questa maglia è stata sempre un simbolo iconografico di culture o controculture popolari. L’argomento è scabroso perché si lega alla violenza sulle donne, un tema che l’attualità ci presenta troppo spesso nella cro22

naca nera dei media dove appaiono uomini che da cavalieri in armatura si trasformano in orribili orchi. Le immagini hanno sempre avuto un forte impatto sulle persone e per questo motivo certi capi di abbigliamento sono stati identificati, anche nel passato, con le personalità o con i comportamenti di chi li indossava in determinati contesti. L’iconografia di alcuni miti moderni è spesso legata a immagini cinematografiche o pubblicitarie dove il caso più famoso è quello dell’abito rosso di Babbo Natale che venne imposto per la prima volta attraverso la pubblicità realizzata dalla Coca-Cola, che attraverso la forza persuasiva degli spot identificò da lì in poi l’immagine di Santa Claus come un bonario vecchio dalla barba bianca vestito di rosso con gli stivali neri. Anche la storia della nostra canotta è legata alle immagini, precisamente al cinema. Quando Hollywood cominciò a fare i film nel XX secolo le


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immagini erano mute e non si poteva caratterizzare i personaggi con i dialoghi e le parole, perciò si ricorse all’immagine e ai colori. I personaggi “cattivi” erano quelli con i capelli neri o anche corpulenti, mentre i “buoni” vestivano di bianco con i capelli chiari. Probabilmente il ruolo del marito violento e cattivo venne così vestito attraverso una canottiera bianca, sporca e magari stracciata per renderlo riconoscibile al pubblico che, grazie a questo, legò la canotta alle botte e alla violenza. Come per Babbo Natale, una volta che si installa nell’immaginario collettivo un’immagine così forte è difficile che il tempo la modifichi e perciò anche con l’avvento dei film sonori il nome rimase quello. A questa spiegazione si somma poi anche un fatto di cronaca nera famoso negli Stati Uniti avvenuto nel 1947. Un tale di nome James Hartford Jr. di Detroit fu arrestato dopo aver picchiato a morte sua moglie. L’episodio fece molto scalpore e superò il perimetro della città per diventare un caso nazionale. Le immagini di Hartford tratto in arresto furono pubblicate riportando spesso le parole “Wife Beater” e le fotografie mostravano chiaramente i poliziotti in divisa scura che scortavano in prigione James “vestito” con una canottiera bianca sporca di sangue. Tornando al cinema, moltissimi attori hanno indossato questo indumento intimo per interpretare vari personaggi o situazioni, forse il più famoso è Marlon Brando in “Un tram che si chiama desiderio” (di Elia Kazan, 1951) che tra canotte bianche e t-shirt disegna una grandissima interpretazione. Negli anni ’80 e ’90 la canottiera diventa un capo veramente di moda anche grazie a Bruce Willis che nella serie di film “Die Hard” la rilancia al grande pubblico. Al femminile la canotta o top viene invece resa iconica da Madonna che, con la sua interpretazione in “Cercasi Susan Disperatamente”, entra di diritto nelle star in “wife beater”.

Prima di Hollywood, molto prima, la storia ci rimanda anche al medioevo: sui campi di battaglia medioevali un cavaliere, rimasto senza armatura e isolato perché restato in balia dei nemici, che rischiava di essere anche ucciso, veniva definito “Waif ”. Il cavaliere in quel frangente indossava spesso solo una maglia intima, simile a quelle odierne, restando a quel punto indifeso e oggetto delle botte degli altri soldati. Per questo motivo si cominciò a definire “beaten” questo indumento, creando il concetto di cavaliere bastonato: Waif beaten. A parte l’origine del nome, la canotta resta sempre un indumento iconico. Questa estate sarà immancabilmente indossata da chi vuole fare tendenza, un esempio si è già notato in una recente diretta Instagram tra Anna dello Russo e Belen dove entrambe indossavano una canottiera a spalline larghe bianca. La canottiera, che sia indossata da uomini o donne, è un capo di abbigliamento molto interessante perché aderisce bene alla figura sottolineando la silhouette e si può indossare da sola, sotto alle camicie o giacche over, ma anche sotto linee sfiancate crea una bella linea senza impedire i movimenti e adattandosi a ogni occasione. È interessante notare come il ritorno della “wife beater” coincida temporalmente con il movimento “me too” di riscossa femminile, contro le molestie e le peggiori violenze fisiche, riportato alla ribalta della cronaca anche per recenti episodi che hanno coinvolto noti personaggi o i loro figli. La moda utilizza i suoi linguaggi proprio per smontare o ironizzare sulle situazioni umane come guerre o violenze e, per questo, ci piace molto e pensiamo che l’ironia salverà il mondo.

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GENERAZIONE Z @manliob31166

Distruzione e rinnovamento, tra impegno e ansia Testo di Manlio Boccolini

La generazione Z identifica i nati da metà anni ’90 fino al 2010, segue la generazione dei Millennials e anticipa la generazione Alpha. La “Gen Z” è considerata la prima vera nativa digitale in quanto a utilizzo di Internet e mondo high-tech con un tasso di possesso di smartphone pari al 97% e con una volontà di ottenere sempre di più dalla vita, nella carriera, ecc. Nel mondo il 41% della popolazione è sotto i 25 anni e, questo dato da solo, chiarisce quanto grande sia l’impatto che il loro modo di vivere e di ragionare ha sulle consolidate abitudini, stili di vita e regole della nostra società. Tutti questi dati ci chiariscono il fenomeno di cui parleremo: distruzione e rinnovamento. La biodiversità e la coscienza ecologica, fino all’identità di genere, sono gli ambiti dove questa generazione porterà la distruzione di stereotipi e regole imposte da un mondo che a loro appare come finito. Relazioni multiformi e contaminazioni di stili anche nella moda, esibiscono nuovi fenomeni sociali che impattano sempre di più sulla società, creando anche scontri profondi, non solo generazionali, ma di pensiero e di immagine. Ogni rivoluzione ha bisogno di identificarsi in qualche 24

personaggio pubblico che incarni i nuovi canoni visivi. Oggi, due personaggi svolgono il ruolo di testimonials di questi cambiamenti per i giovani: il cantante Harry Styles nato nel 1994 e la cantante Billie Ellish nata nel 2001 a Los Angeles, entrambi pienamente Gen Z. I due cantanti si ispirano, per vestire il loro sentire comunicativo, a personaggi del passato degli anni ’70/’80 come Mick Jagger dei Rolling Stones e Bjork, eclettica cantautrice e attivista islandese. I giovani traducono il loro pensiero negli abiti per creare la loro immagine, usando canoni estetici ripresi dagli anni ’80, ma rinnovandoli dopo averli resi quasi grotteschi e caricaturali. Questa operazione è molto simile a quello che ha fatto Alessandro Michele nell’ultima sfilata di Gucci dove il designer ha fatto “a pezzi” uno stile ormai consolidato per rinnovarlo e ricreare una nuova immagine per gli Z. I nativi digitali sono i consumatori ideali per la fast fashion, ma anche per il segmento del lusso, soprattutto in oriente, e sono alla base delle campagne marketing più forti in questo momento storico. Oltre all’aspetto prettamente estetico i giovani sono anche attenti all’ambiente. Per questo motivo il tema


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ambientale ed ecosostenibile li vede protagonisti di una nuova consapevolezza che li porta a richiedere informazioni sempre più precise sui prodotti, sulle aziende e le multinazionali. Farsi domande su come siano prodotti i vestiti o i tessuti diventa così una delle caratteristiche di questa generazione di giovani con i quali il mercato dovrà fare i conti per molti anni: chi non terrà conto di questo rischia di essere snobbato da una fetta di mercato importante. Guardando questo fenomeno da un’altra prospettiva, si può osservare anche la nascita, all’interno di questa generazione, di una nuova patologia psicologica definita: eco-ansia. Questi ragazzi, così vogliosi di comportarsi eticamente e di fare le scelte che ritengono più giuste, entrano spesso in una situazione di stress quando non riescono ad avere informazioni precise e complete sugli oggetti che vogliono acquistare. Ciò è frutto anche di una mancanza di comunicazione dei produttori stessi che sono nettamente in ritardo su queste necessità. Si creano così due comportamenti opposti: chi per paura di sbagliare, di non essere abbastanza etico, si rifugia in un atteggiamento di disillusione e nichilismo e chi, al contrario, ha un atteggiamento proattivo, condividendo in comunità, associazioni o gruppi le informazioni e gli acquisti sostenibili conseguenti a informazioni veicolate via social. Le domande che si pongono, in sintesi, sono le stesse delle generazioni precedenti, ma le risposte sono legate a una maggiore sicurezza del sé.

La consapevolezza di se stessi viene gridata al mondo con atteggiamenti personali, completamente slegati da canoni, anche lessicali, classici e “vecchi” per le loro orecchie. La parola, allora, diventa un’arma nella poesia di Amanda Gorman (23 anni), la quale è stata la rivelazione dell’insediamento del Presidente americano Biden con il suo aspetto minuto enfatizzato da un cappotto giallo limone (Prada). Tenere il palco a 23 anni, rivolgendosi al mondo con voce ferma e decisa, leggendo le poesie che le vengono dall’anima, ha segnato un momento importante del tempo in cui viviamo. In conclusione, questa generazione rifiuta di essere etichettata nei generi consueti, rivendica la propria unicità e fluidità nei comportamenti e nelle decisioni della vita che si sta costruendo che, visti i numeri dei followers su Instagram, trova seguaci sempre più numerosi. Accusiamo spesso i giovani di essere disinteressati alla politica, ma, a nostro parere, questa è politica. La politica dei comportamenti individuali e di azioni concrete che hanno lo scopo di modificare l’ambiente dove vivremo. La Terra si trova in un clima di rinnovamento e dopo la calma apparente del lockdown, speriamo torni a respirare in un ambiente svecchiato dagli stereotipi tanto avversati dai giovani della Generazione Z su cui contiamo molto. 25


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Pantalone gessato in cotone e viscosa, giacca over gessato in cotone e viscosa, Essentiel Antwerp, con trench vintage, Splash Project (Via Eugenia 4). Collana girocollo maglia groumette dorato con dettagli in smalto bianco, indossata doppio giro a bracciale (Regina di Saba).

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S’OHW WHO’S EHT NI IN THE ?RORRIM MIRROR? Foto Jessica Zufferli Abbigliamento Via Eugenia 4 e Atelier Apostrophe Borse Via Eugenia 4 e Atelier Apostrophe Bijoux Regina di Saba Make-up Nicole Fadini Prodotti make-up Profumeria Elisir Hairstyle Bobo Parrucchieri Modello Dylan Garcia Location Via Eugenia 4 27


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Giacca doppiopetto destrutturata in cotone con pantalone in tela di paracadute, Beaucoup (Via Eugenia 4). Borsa anniversary in pura pelle impunturata, Plinio Visonà (Atelier Apostrophe).

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Cardigan in crochet cucito a mano in Grecia, Oneonone, e denim bianco, Sartoria Veneta Tramarossa (Via Eugenia 4). Borsa mare in rafia e pura pelle, Plinio Visonà (Atelier Apostrophe).

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Borsa anniversary in pura pelle impunturata, Plinio Visonà (Atelier Apostrophe).

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Camicia coreana in cotone con pantalone in viscosa, Splash Project, e borsa in satin, Essentiel Antwerp (Via Eugenia 4). Girocollo di perle naturali nere a nodi e chiusura in argento (Regina di Saba). 31


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Denim in cotone organico, Essentiel Antwerp e T-shirt in cotone organico con ricamo, Maison La Biche (Via Eugenia 4). Collana con catena lunga e ciondolo cuore “ex voto” dorata e cristalli rossi con spilla abbinata (Regina di Saba).

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Camicia in voile di cotone nero, Atelier Boldetti (Atelier Apostrophe). Bermuda in cotone, Splash Project (Via Eugenia 4). Borsa in pura pelle bianca, nera e nocciola, fattura geometrica, Plinio Visonà (Atelier Apostrophe). Orecchini in argento a clip con perla naturale nera e zirconi in pavè (Regina di Saba). 33


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Pantalone in cotone e lino, Bottega KM0 e coreana in 100% cotone, Beaucoup (Via Eugenia 4). Collana lunga rosario in argento e pietre nere (Regina di Saba).

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Giacca in cotone e lino con pantalone in cotone e lino, Bottega Km0 (Via Eugenia 4). Collana lunga rosario in argento e pietre nere, indossato al polso (Regina di Saba).

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LE TRE VITE DEL FIORE JACQUARD DELLA CARNIA @carnicaartetessile

La consapevolezza dell’importanza del passato, stimolo per le nuove generazioni Intervista a cura di Manlio Boccolini - foto di Manlio Boccolini e Carnica Arte Tessile

Lo jacquard è una tecnica di tessitura che con migliaia di fili crea nei tessuti i disegni che legano Venezia alla terra friulana della Carnia dove, nel suo cuore, si trova la Carnica Arte Tessile, azienda artigianale custode del sapere tessile. Dal 1964 la famiglia Tonon a Invillino lavora su un telaio con fili di lana e seta grazie alle sapienti mani della signora Tomasina Da Ponte, mamma dell’attuale titolare Bepi Tonon, con la tecnica imparata quando era ragazza alla Tessitura Bevilacqua a Venezia dove si tessevano preziosi velluti e broccati. Grazie al preciso lavoro, l’attività si espande e si trasferisce nel 1970 nell’attuale sede di Villa Santina dove trovano spazio 10 telai meccanici con macchine jacquard. Il loro jacquard non si può descrivere, la cosa migliore è farsi raccontare la sua storia da Bepi: noi abbiamo ascoltato i suoi racconti che si sono dipanati come i fili dei suoi telai durante il tempo del nostro incontro… 36

“Siamo qui a custodire una storia, i fili che si intrecciano sono come i racconti del nostro sapere, della nostra cultura del lavoro. Ogni giorno cerchiamo di trasmettere ai nostri clienti questo valore aggiunto”, ci dice subito il signor Bepi quando iniziamo l’intervista. Alla luce dell’interesse suscitato nelle cronache locali, quasi da subito la conversazione si sposta sull’ultima avventura della Carnica Arte Tessile: la collaborazione con Fendi per la realizzazione della loro baguette, la it bag della maison. “Gli addetti del brand Fendi si sono presentati qui alla ricerca di un tessuto unico e speciale che avesse delle radici ben piantate nel Made in Italy” ci racconta, “Hanno capito che oggi dobbiamo tornare a qualcosa che racconti una storia e noi siamo quella storia che tradizionalmente parte da Jacopo Linussio (grande imprenditore che produceva tessuti a Tolmezzo nel ‘700) dal


MODA - INTERVISTA

“ABBIAMO FATTO UNA BELLA COSA IN UN LUOGO DIFFICILE.” quale siamo partiti per rielaborare il disegno utilizzato poi da Fendi. Un disegno che ha attraversato il tempo con la sua semplicità, mantenendo la sua unicità. Un disegno semplice che ha avuto tre vite: la stampa Linussio, l’elaborazione di mamma Tomasina nello jacquard che lo aveva alleggerito e reso meno rotondo e l’ultima modifica di Bepi che si è adattata perfettamente alle linee di pelle degli artigiani pellettieri di Fendi. L’insieme ha creato un oggetto che andrà in tutto il mondo, raccontando la storia della Carnia. L’evoluzione del disegno certifica la bontà del lavoro svolto e lo rende prezioso senza bisogno di burocrazie cartacee oggi utilizzate per certificare spesso il nulla rispetto al lavoro vero dell’artigianato”. La sincerità è l’unica firma che serve ai prodotti preziosi e qui ne abbiamo trovata molta. “Noi siamo custodi della cultura del lavoro, custodi di identità precise, con la coscienza di quello che facciamo ogni giorno. Questa ricchezza la capì bene il Senatore Michele Gortani che fu il motore del Museo Carnico delle arti e tradizioni popolari di Tolmezzo, dove si conservano i fili del passato che altrimenti si sarebbero spezzati e persi e noi siamo gli unici rimasti a tessere ancora quei fili”. Attenti a custodire la ricchezza del sapere i Tonon si aprono anche a collaborazioni nuove: “Ci stiamo impegnando in un progetto con la professoressa Carmen Romeo, storica del mondo tessile friulano, per realizzare un’opera dove raccogliere il sapere dei disegni tessili antichi perché non vadano persi. Il fondo di questi disegni riprende una diamantina che è conservata nel museo che poi col tempo viene modificata e arricchita da rielaborazioni anche complesse. Oggi la tecnologia permette di lavorare con migliaia di fili, noi lavoriamo dai dieci ai quaranta fili per centimetro per mantenere l’unicità, perché se invadi il mercato con tessuti che sembrano fotografie, il prodotto perde la sua caratteristica”.

Ora la Carnica Arte Tessile deve affrontare un momento difficile, infatti la scorsa estate un incendio ha distrutto la sede principale. Questo ha spinto la famiglia Tonon a ripensare il proprio futuro e, grazie ad amici, parenti e istituzioni, i telai continuano a tessere gli articoli per la casa, in lino e cotone prezioso, che oggi sono il core business dell’azienda. Pensando al futuro non possiamo non chiedere se i giovani si stiano avvicinando a questa tradizione: “I giovani frequentano gli istituti tecnici dove ci sono i corsi dedicati alla moda. La moda è vista solo come un mondo dorato dove tutti vogliono fare gli stilisti. Ai giovani va creata la curiosità che, il sapere del fare, permette la libertà del creare qualcosa che oggi non esiste, attraverso le nuove tecnologie. Questo potrebbe essere lo sviluppo nuovo di un’attività che non può basarsi solo sui fiorellini, ma deve trasformarsi e tornare a rinnovarsi magari usando le foglie che hanno ispirato un mio disegno, trasportato su una tovaglia moderna, che in futuro sarà riconosciuto come il nuovo disegno della tradizione. Questa è l’evoluzione di cui parlavo prima: il fiore per Fendi che ha avuto tre vite”. Nelle parole di Bepi Tonon si percepisce la passione che, fin da bambino, imparava da mamma Tomasina che gli diceva: “Abbiamo fatto una bella cosa in un luogo difficile”. Per questo Bepi si ritiene fortunato e questo lo ha portato a continuare la trama della sua vita tra queste montagne che non limitano la sua immaginazione. Oggi immagina anche un nuovo sviluppo attraverso la creazione di un piccolo distretto artigianale che gli permetta di lasciare ad altri il testimone di custode della Carnica Arte Tessile perché, come dice in conclusione: “Tutti vedono in modo diverso e possono contribuire a creare il bello che arricchirà le nostre case”. 37


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LA NEFERTITI DI NADIA @nefertitifilm

Nefertiti Film, casa di produzione cinematografica tutta friulana, produce film e documentari di successo internazionale Testo di Sveva Casolino

A San Vito al Tagliamento c’è la sede di una piccola casa di produzione cinematografica che ormai tanto piccola non è. La Nefertiti film (che nome stupendo n.a.) è stata fondata dall’impegno e dalla dedizione di Nadia Trevisan e suo marito, il regista Alberto Fasulo (con lei nella foto qui sopra e, sul set, nella pagina accanto), nel 2013. In questi anni hanno prodotto diversi film e documentari, come il loro più grande successo ad oggi, Menocchio, pellicola diretta da Fasulo e uscita nel 2018, vincitrice di molti premi tra cui il Grand Prix du Jury al 35° Annecy Cinéma Italien e una menzione speciale al Festival di Locarno. In serbo per noi hanno diversi nuovi progetti che non vediamo l’ora di vedere nelle sale cinematografiche.

Giulia, la nostra terra di origine, e insieme abbiamo fondato Nefertiti film nel 2013.

Nadia Trevisan mi ha gentilmente concesso un’intervista, per far conoscere a tutto il FVG e ai suoi cittadini la loro importante realtà del cinema friulano.

La Nefertiti si è imposta nel panorama del cinema indipendente come una tra le realtà più autorevoli. Qual è il suo rapporto con il FVG? Nefertiti Film è nata in FVG, io come produttrice cinematografica mi sono formata grazie alla possibilità di frequentare workshop internazionali tramite il sostegno del fondo dell’Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia, che tanto ha fatto e sta ancora facendo affinchè realtà come Nefertiti Film possano nascere in una terra di confine. Spesso, tra i miei colleghi europei, ma non solo, mi trovo a spiegare loro che quando penso a come finanziare un film per me è naturale pensarlo in un’ottica internazionale, dove Lubiana dista 1 ora e mezza dall’ufficio, Vienna 4 ore, Roma 6 ore.

Come è diventata produttrice cinematografica e cosa l’ha spinta a creare una casa di produzione indipendente in Friuli? Direi quasi per caso. Sono laureata in Psicologia e ho lavorato per quasi 10 anni nelle risorse umane. Era mio marito, Alberto Fasulo, quello che già lavorava nell’ambito cinematografico come regista. Con la nascita della nostra prima figlia, ho dovuto fare delle scelte: ci siamo trasferiti da Roma in Friuli Venezia

Come pensa che il Covid-19 stia cambiando la prassi del cinema, il lavorare al film, pensando sia all’ambito indipendente che a quello più commerciale? Stare sul set è molto complicato in questo momento. Abbiamo protocolli molto rigidi da seguire, con un incremento conseguente dei costi del film. Ma per fortuna siamo potuti tornare sul set. Proprio un anno fa eravamo tutti bloccati, noi avevamo un set interrotto che ha potuto concludersi solo quest’anno.

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CINEMA

C’è un progetto a cui siete particolarmente legati e sul quale state lavorando tanto? Diversi. Al momento abbiamo due progetti in post-produzone, di cui uno della regista triestina Laura Samani, un progetto importante in sviluppo di Alberto Fasulo, stiamo lavorando su alcune co-produzioni minoritarie e sull’idea di documentari per la televisione.

Corpo di Laura Samani che ha partecipato alla sezione Work in Progress del Festival di Les Arcs e Brotherhood di Francesco Montagner (foto in basso), che ha ricevuto l’HBO Europe Award, in quanto è stata considerata dalla giuria “una storia di formazione unica di tre fratelli esposti a idee che potrebbero portare alla radicalizzazione nel loro futuro”.

Qual è il personale contributo del Friuli Venezia Giulia a quest’arte? Ci sono registi importanti sia del passato che del presente. Il FVG è sempre più una terra in cui vengono girati film, pubblicità, serie. Abbiamo festival cinematografici e mercati di coproduzione conosciuti in tutto il mondo. E questo solo per citare alcuni aspetti del nostro lavoro. Quindi risponderei che il contributo del FVG è ampio. Ci sono stati dei progetti cinematografici o televisivi in passato che hanno portato al Friuli una notorietà internazionale? Se no, lei crede che ciò si potrà avverare in futuro? Si certo, basti pensare ai film prodotti in FVG o di registi made FVG che hanno partecipato a festival internazionali di primaria importanza. La Nefertiti film ha recentemente prodotto, tra gli altri, Piccolo 39


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IL GIARDINO DI VILLA DE NORDIS ecoturismofvg.weebly.com

Andar lento tra fioriture e colori, riscoprendo il piacere del “garden tourism” Testo di Sabrina Pellizon - foto di Alida Cantarut

Per chi si occupa di turismo e di esperienze slow, maggio è un mese speciale, ideale per quelle proposte di visita che in altri periodo dell’anno non sarebbero possibili, o meglio, non avrebbero la stessa magia. Mi riferisco al turismo dei giardini, un turismo di nicchia, che coinvolge sempre più appassionati, alla ricerca di giardini esclusivi, per lo più privati e meno conosciuti della regione, di norma non accessibili al pubblico, o, in alcuni casi, lo sono solo una volta all’anno, in occasione della manifestazione “Giardini Aperti”, che si tiene a metà del mese. Purtroppo, causa la pandemia, anche quest’anno, gli oltre ses40

santa giardini privati aderenti all’iniziativa, non hanno potuto aprire le loro porte al numeroso pubblico di “garden tourists”. I turisti dei giardini, sono veri e propri cultori e appassionati, che amano dialogare e confrontarsi con i proprietari sul tema che li ha motivati a venire, magari per la prima volta, in Friuli Venezia Giulia, ovvero l’arte del giardinaggio, intesa nel suo significato più completo: ogni giardino ha una propria anima che lo distingue dagli altri ed è quest’anima che i garden tourists vogliono capire, studiare, osservare, approfondire e valutare.


TURISMO

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“UN CAPOLAVORO DI CREATIVITÀ, DI ARMONIA CROMATICA, FRUTTO DI PAZIENZA E AMOROSA DEDIZIONE, CHE RACCHIUDE STORIE DI SUONI, ODORI, FORME, COLORI E DI TRASFORMAZIONI. ADORO STARCI IMMERSA DENTRO, PASSEGGIARCI FINO A PERDERE LA COGNIZIONE DEL TEMPO CHE PASSA, ASCOLTANDO TUTTO CIÒ CHE SI MUOVE ATTORNO, ENTRANDO IN SINTONIA CON LA TERRA, GLI INSETTI, GLI UCCELLI.” Tra i vari giardini, ce n’è uno in particolare, che ho molto a cuore e che ogni anno in primavera ho la fortuna di poter visitare privatamente con i miei gruppetti di turisti: il Giardino di Villa de Nordis. E’ un gioiellino botanico, nascosto nel verde della periferia di Gorizia, situato a due passi dal fiume Isonzo e proprio a ridosso del confine con la Slovenia. E’ poco conosciuto e non è facile da trovare, perché il suo ingresso originario, quello storico, non esiste più, essendo stato murato nel 1945, quando, a seguito della seconda guerra mondiale, Gorizia ha dovuto cedere gran parte della suo territorio all’ex-Jugoslavia. Fortunatamente, la contessa de Nordis, al tempo proprietaria della Villa, riuscì a salvare la sua casa di villeggiatura estiva ed evitare che venisse inglobata nella nascente Repubblica Socialista di Tito. Fu necessario quindi aprire un nuovo ingresso nella parte rimasta in territorio italiano e tuttora il muro di cinta della Villa è a tutti gli effetti confine di Stato. Sono passati ormai quattro anni da quando varcai per la priva volta il cancello di questa villa ottocentesca, visitandola in tutte le stagioni ma, senza dubbio, è ora, tra maggio e giugno, che riesce a dare il meglio di sé. Il suo grande giardino si trasforma in una coloratissima tavolozza e regala al visitatore un’atmosfera romantica, molto simile ai cottage garden inglesi. Ospita 200 piante di rosa in 90 varietà, per lo più antiche, provenienti da diverse parti d’Europa e 40 varietà di iris, provenienti dalla Provenza, oltre a diverse peonie, papaveri, tulipani, salvie ornamentali, e aquilegie: un vero paradiso per i garden tourists. E’ un luogo magico, silenzioso, che fa sentire il visitatore un tutt’uno con piante e animali con cui, in quel momento, ha la fortuna di condividere lo spazio. Un capolavoro di creatività, di armonia cromatica, frutto di pazienza e amorosa dedizione, che racchiude storie di suoni, odori, forme, colori e di trasformazioni. Adoro starci immersa dentro, passeggiarci fino a perdere la cognizione del tempo che passa, ascoltando tutto ciò che si muove attorno, entrando in sintonia con la terra, gli insetti, gli uccelli. Il giardino è vita, è movimento e insegna a diventare attenti osservatori: guardo con occhi diversi e con una rinnovata sensibilità la natura “coltivata”, una natura diversa da quella spontanea e selvatica, ma che riesce comunque 42


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ad affascinarmi, perché, anche se aiutata dalla mano dell’attuale proprietario, qui è lasciata libera di dare il meglio di sé, riservando in ogni stagione qualcosa di nuovo e meraviglioso. Poco importa se non siete intenditori o appassionati giardinieri. Se vi piace stare all’aria aperta, allora amerete anche passeggiar lentamente tra le fioriture e rimarrete sorpresi da quanta storia è racchiusa nel nome di ogni specie di rosa, di iris, di peonia e da quanto studio ci sia dietro alla realizzazione di un giardino.

Quindi, se ancora non la conoscete, segnatevi il nome “Villa de Nordis” e concedetevi una visita a questa chicca goriziana, anche soltanto per fare il pieno di quella vitamina che i ricercatori chiamano “V”, ovvero la vitamina verde, in grado di agire sul benessere del nostro corpo e della nostra mente e di cui ora più che mai abbiamo bisogno, in attesa di ritornare alla normalità.

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VIVERE SAURIS E LA SUA STORIA @albergodiffusosauris

Alla scoperta della antiche case saurane, diventate speciali alloggi per turisti che vogliono una vacanza “da abitanti” Testo e foto di Jessica Zufferli

L’arrivo dell’estate da sempre porta con sé il desiderio di partenza. Uno stimolo che, tra prudenza e voglia di evadere, punta sempre più alla disconessione dai dispositivi elettronici e ad una maggior connessione con la natura. L’obiettivo principale rimane trascorrere del tempo di qualità all’aria aperta e, dopo due anni passati per lo più tra le mura domestiche, questa necessità apre la visuale a più orizzonti. E quale posto è più adatto a questo scopo se non la montagna? Condividendo questo sentimento, ho voluto addentrarmi nella Carnia per far visita a Sauris, una delle mie mete preferite fin da bambina, dove poter respirare a pieni polmoni l’aria buona e ossigenata, capace di depurare corpo e spirito. Alcuni scenari però sono in grado anche di togliere il fiato e riempire gli occhi di un colore verde smeraldino. Sto parlan44

do del lago artificiale di Sauris, il cui compito sembra proprio incantare tutti i visitatori che giungono in questo luogo, reduci delle cupe gallerie che gli hanno mostrato la via tra le montagne. Il lago, formatosi a seguito della costruzione dell’imperiosa diga, eretta durante la Seconda Guerra Mondiale, sembra, alla vista, cullato a turno da montagne e foreste. La diga è stata costruita per soddisfare con l’impianto idroelettrico del Lumiei la necessità idroelettrica della zona: inaugurata nel 1948 con un’altezza di 136 metri e una portata d’acqua di oltre 70 milioni di metri cubi del bacino idrico, all’epoca costituiva la diga più alta d’Italia e una delle maggiori al mondo. Ma noi sappiamo bene che dopo un primo colpo d’occhio sui panorami mozzafiato, uno dei punti di forza del turismo nel


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nostro Paese è dato, senz’altro, dallo stile di vita dei luoghi, dei borghi e dei centri storici. Proseguendo verso Sauris, mi sono resa conto di quanto i piccoli borghi siano una rivelazione di tesori d’altri tempi, che sono in grado di incuriosire e attrarre sempre più visitatori per le loro peculiarità. Il retaggio storico di questi luoghi li designa come luoghi che raccontano il passato, ma allo stesso tempo hanno una voce eterna, perché continuano a raccontare la nostra storia. Per questo, conoscerli rimane la maniera più facile per arricchire le nostre conoscenze e prendere consapevolezza di chi siamo. É proprio con questo obiettivo che ho deciso di trascorrere un weekend a Sauris, la quale custodisce parte della nostra identità regionale, protetta dallo sguardo vigile delle montagne. Sono stata ospitata dall’Albergo Diffuso Sauris, una realtà molto caratteristica di cui vorrei parlarvi, che nasce proprio per offrire la possibilità di vivere in maniera esclusiva la vera atmosfera del paese. In tanti luoghi per far posto ai visitatori, infatti, non c’è bisogno di alberghi nuovi, ma di nuovi alberghi. E ora vi spiego come è possibile. L’idea di “Albergo Diffuso”, nasce nel 1978 a Comeglians, da un gruppo di lavoro coordinato dal poeta Leonardo Zannier e dall’architetto udinese Pietro Gremese, con la collaborazione di alcuni studenti del Politecnico di Zurigo. L’obiettivo del progetto è quello di permettere a case pre-esistenti, tipiche, di essere ristrutturate, con il fine di dare ospitalità ai turisti e fargli vivere una vera e autentica esperienza di vita. Un Albergo Diffuso, infatti, non permette alle persone di affittare camere in senso stretto, ma luoghi da vivere come residenti, siano essi pure temporanei. In questo modo, recuperando il patrimonio edilizio presente in comunità, viene ampliata anche l’offerta turistica, puntando allo sviluppo sociale ed economico dei piccoli borghi. Sono rimasta stupita nel scoprire che il primo Albergo Diffuso operante in Italia si trova proprio qui nella nostra Regione: inaugurato nel 1994, coincide infatti con il Borgo di San Lorenzo a Sauris. L’architetto Pietro Gremese in quegli anni stava lavorando per l’Amministrazione Comunale di Sauris ad un piano di sviluppo comunale, chiamato “Progetto Sauris”, in un periodo immediatamente successivo al tragico terremoto del 1976, che aveva portato allo spopolamento delle aree montane. La sua proposta di dare vita ad un Albergo Diffuso fu accolta in quanto non solo rispondeva perfettamente alle esigenze di ristrutturazione di alcune strutture storiche, le quali avrebbero così potuto beneficiare di contributi comunitari, ma dava modo di creare una stretta relazione e un coinvolgimento dell’ospite 45


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con il territorio e la sua gente, le sue usanze e le sue tradizioni. Un’integrazione che si è rivelata in grado di valorizzare le unicità di Sauris e che ha fatto anche da traino per lo sviluppo di altre attività correlate al turismo. A questa nuova realtà è stato dato il nome di Haus hörbige, che nella lingua saurana significa “casa ospitale”. Sì, perché l’identità del luogo è così forte che ancora persiste la lingua di Sauris (de zahrar sproche), la quale affonda le radici intorno al Duecento e presenta notevoli analogie con i dialetti tirolesi e carinziani, appartenendo allo stesso ceppo delle lingue bavaresi. Essa ricalca un antico dialetto tedesco le cui origini purtroppo si perdono nella storia, o meglio, nella leggenda della fondazione della città. Come vi ho raccontato ho avuto il piacere di soggiornare proprio in una delle case facenti parte dell’Albergo Diffuso Sauris, nello specifico in uno stavolo, un antico edificio tipico della Carnia e dei territori alpini del Friuli-Venezia Giulia. Della sua primaria funzione ce lo racconta il suo nome: “stávolo” deriva dal latino stabulum, ovvero “stalla”, ma prende anche il significato di “tana” e “dimora”. Questa struttura, infatti, era un luogo di rifugio adatto ad ospitare i pascoli in caso di bisogno, strutturato su due piani: quello inferiore in pietra, che ospitava gli animali, e quello superiore in legno dedicato al pastore. Quest’ultima parte veniva costruita con l’antica tecnica del 46

“block bau”, che prevede la sovrapposizione di una serie di tronchi in orizzontale fino a formare delle pareti, incastrate tra loro a secco in corrispondenza delle estremità, in modo da ottenere una struttura rigida e resistente. Ma non tutte le strutture facenti parte dell’Albergo Diffuso Sauris sono stavoli: molte sono case in pietra che nell’Ottocento, risultando più prestigiose perché confortevoli tutto l’anno, erano destinate ad ospitare preti, notai e sacrestani. La pietra è infatti un materiale ignifugo, igienico, atossico e particolarmente resistente agli agenti atmosferici, rispetto al legno. Sono rimasta affascinata scoprendo quanto questi luoghi raccontino una parte di storia e conservino in sé i segni del passato: ecco perché è senz’altro un modo diverso di concepire l’ambiente di vacanza, il quale diventa parte attiva di una esperienza autentica, senza precludersi i comfort di una struttura alberghiera. Approfittando del bel tempo, ho passeggiato introducendomi nel suggestivo paesaggio che circonda Sauris. Tutto ciò che fa parte del tipico scenario di montagna ha un particolare potere rilassante e non richiede particolare impegno, a meno che non ci si voglia avventurare su percorsi di trekking più impegnativi. Per amplificare ulteriormente questa sensazione, l’Albergo Diffuso Sauris mette a disposizione la Grien SPA, ubicata nel Borgo dello Sport e del Benessere, il posto ideale dove vivere


TURISMO

una sensazione profonda di benessere circondati dalla rigogliosa natura delle Alpi Carniche. La struttura ospita una suggestiva piscina a misura di famiglia, in cui si scroscia e si tuffa dalla roccia viva una rigenerante cascata. Un percorso wellness a 360° che comprende anche l’idromassaggio, la sauna e il bagno turco, e che aiuta a ritrovare il proprio equilibrio con trattamenti di bellezza e massaggi. In inverno, se si è fortunati, si può anche partecipare agli Aufguss Day, durante i quali un maestro di sauna, certificato Aisa, si mette a disposizione degli ospiti per potenziare l’effetto della sauna finlandese con profumatissimi aufguss, e dedicarsi con attenzione al proprio corpo con scrub da effettuare nel bagno turco. A circondare la Grien SPA, campi attrezzati per chi, anche in vacanza, non vuole rinunciare all’energia dello sport. Una location tranquilla e immersa nel verde, che diventa quindi anche il luogo ideale per praticare sport all’aria aperta: in estate nel centro sportivo è possibile praticare, ad esempio, tennis, calcio a 5, pallavolo e pallacanestro, mentre in inverno lasciarsi incantare dalla bianca neve pattinando sul ghiaccio. Il campo poi, in qualsiasi stagione, diventa uno strategico punto di partenza per inoltrarsi in percorsi sentieristici che collegano le varie frazioni di Sauris, percorribili sia a piedi che in mountain bike. Ma le sorprese dedicate al benessere non finiscono qua. A chi ama gli ambienti più intimi, l’Albergo Diffuso Sauris propone proprio all’interno del Borgo di San Lorenzo la Ghesunthaus SPA, “casa della salute e del benessere” in saurano. Una alternativa alle terme molto più esclusiva, con una sauna finlandese e una bio-sauna riservate. Per quanto questi servizi siano moderni, non mancano alle logiche dell’Albergo Diffuso. La stessa Ghesunthaus SPA, ad esempio, è stata ricavata da una vecchia stalla, di cui ne conserva ancora la caratteristica porta d’ingresso e le mura in pietra. L’Albergo Diffuso Sauris conserva e rispetta la struttura delle case antiche, continuando a mantenere viva la loro identità. La maggior parte delle strutture che compongono i borghi di Sauris conservano, infatti, anche la loro denominazione originaria, che a volte evoca particolari toponimi mentre, altre, ricorda addirittura il nome dei primi proprietari. Ne sono un esempio Pame Wulz, Pame Gelmo, Pan Frakasch, Pa Schbaltn, Pa Meisnar e Pan Khebasser, dove il prefisso saurano Pame, o Pa, si traduce con “a casa di, da”. I visitatori quindi vengono accolti come veri ospiti della casa, circondati da una bellezza senza tempo. Ricordare e mantenere vivo il loro nome non fa altro che custodire ulteriormente l’identità di chi le ha abitate e la storia di questo magico borgo antico, la quale non si legge e basta, ma si vive e si continua a scrivere. 47


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L’ALIMENTARE GASTRONOMIA CON CUCINA @lalimentare

Nel centro di Udine, qualità, semplicità, immediatezza Intervista a cura di Gloria Buccino - foto di Nale Michela Photography

Nel pieno centro di Udine, L’Alimentare - Gastronomia con Cucina, un luogo magico, curato, semplice e, proprio per questo, elegante ma non formale. Facciamo due chiacchiere con Gaia ed Enrico. Cosa significa gastronomia con cucina? L’idea alla base de L’Alimentare è stata quella di proporre una nuova idea di gastronomia pronta, che fosse preparata fresca tutti i giorni con materie prime di qualità e di stagione, e che si articolasse in una scelta ristretta ma completa di preparazioni a disposizione dei clienti tutti i giorni. Volevamo andare incontro ai gusti e alle necessità di ognuno, proponendo piatti di carne e pesce, vegetariani e vegani, senza glutine o latticini, tutti caratterizzati però da un gusto ricco e appagante e da una leggerezza di fondo. E poi abbiamo pensato di servirli a chi 48

voleva fermarsi a pranzo e cena da noi; e così abbiamo preso in prestito uno slogan classico, mutuandolo dal tradizionale “Osteria con cucina”. Quando e come nasce L’Alimentare? L’Alimentare nasce ad inizio del 2016, tra amici seduti a un tavolo di un ristorante mentre sognano di creare, un giorno, qualcosa assieme. La passione per la cucina c’era, un’idea abbastanza delineata anche, la voglia di mettersi in gioco non mancava. E così, nei due mesi successivi, abbiamo passato il tempo libero a studiare nel dettaglio il progetto e a fare le valutazioni del caso; quello che ne è nato è piaciuto a tutti e siamo passati alla seconda fase: cercare la location giusta. Abbiamo visto un po’ di posti ma quando siamo entrati in quello che poi è diventato L’Alimentare ce lo siamo visti proprio come è ora e quindi…io e Gaia ci siamo licenziati dai nostri precedenti


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lavori e abbiamo iniziato a fare sul serio. A Giugno 2016 abbiamo iniziato i lavori di ristrutturazione e l’8 Dicembre abbiamo aperto le porte. Chi troviamo dietro al banco? Ogni giorno trovate Gaia con il suo sorriso e la sua gentilezza ed Enrico, oltre alle persone che ci aiutano e senza le quali non potremmo farcela. Gaia proviene da tutt’altro settore lavorativo ma ha una predisposizione innata per il rapporto umano e da sempre un grande interesse per la cucina. Enrico ha una formazione nel campo molto specifica e un bel bagaglio di esperienze nel campo enogastronomico, tra cui 5 anni passati con la famiglia Alajmo, un universo fatto di diversi locali tra cui il ristorante 3 stelle Michelin Le Calandre, in provincia di Padova. Parliamo dei piatti che presentate e della ricerca che c’è dietro. Da noi comanda sempre la materia prima: i piatti seguono il ritmo delle stagioni e la freschezza e qualità degli ingredienti. Come detto cerchiamo di andare incontro alle esigenze di ognuno, inseguendo gusti molto puliti e leggeri, sempre appaganti. Proponiamo una cucina che affonda le radici nella tradizione italiana, a volte rivisitata in una chiave più moderna e fresca, ma sempre molto riconoscibile. Facciamo una ricerca costante e instancabile su fornitori ed ingredienti: lavoriamo carni che provengono da piccoli allevamenti che lavorano in maniera etica (ad esempio il manzo della Macelleria Zivieri, maiali allevati allo stato brado, i conigli della Carnia allevati in libertà), scegliamo frutta e verdura locale e fresca, utilizziamo esclusivamente olio di oliva extravergine italiano e di grandissima qualità, anche per cucinare. Questa è la nostra linea guida e la nostra convinzione più grande: se in cucina usi, con rispetto, un ottimo ingrediente sei già a metà dell’opera. Cosa non si può fare a meno di assaggiare da voi? Vista la stagione vi dico il vitello tonnato. È un piatto di grandissima tradizione, noi ci abbiamo messo del nostro: la carne è cotta a bassa temperatura per 7 ore; la salsa è preparata senza uova, con un tonno di grandissima qualità, accompagnato dai capperi piccolissimi di Pantelleria e…un tocco finale che vi invito a scoprire e che ci piace tantissimo. Ma adesso trovate in menù anche una linguina di mare che ci

fa innamorare ogni volta che la impiattiamo: usiamo una pasta preparata con grano duro italiano ed orzo, la completiamo con ricci di mare, cozze dell’Adriatico, gamberi rosa e gallinella. Buonissima! Che tipo di ambiente avete voluto creare per accogliere i vostri clienti? Abbiamo voluto riprendere degli elementi tradizionali delle gastronomie di un tempo, come i tavoli e i banchi di marmo. Abbiamo scelto colori tenui e rilassanti alle pareti. Dato valore alla musica che risuona tutto il giorno e che ci fa compagnia per tutta la giornata. Abbiamo voluto una grande scaffalatura lungo tutta una parete, piena di bontà da tutta Italia e l’abbiamo arricchita con un “murales” dedicato al cibo e che racconta tanto di noi. Credo che tutto questo si traduca nel nostro vero spirito: qualità unita a “semplicità” ed immediatezza, vogliamo che chi si siede da noi si senta a suo agio e che riesca a rilassarsi per tutto il tempo che decide di stare con noi. E il servizio va di pari passo: preferiamo un contatto umano e semplice, fatto di tante attenzioni ma senza pomposità. Per noi anche questa è la leggerezza che inseguiamo.

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SGOMBRO IN SAOR E SALSA “CEVICHE” @lalimentare

INGREDIENTI PER 2 PERSONE 2 sgombri dell’Adriatico Mezza cipolla rossa di Tropea Germogli di rapanello Aceto di Ribolla Sirk Uvetta Semi di girasole biologici Olio extravergine di oliva Sale di Cipro Pepe nero di Sarawak

L’ALIMENTARE - GASTRONOMIA CON CUCINA Via D’Aronco, 39 33100 Udine T. 0432 1503727

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INGREDIENTI PER LA SALSA CEVICHE 1 finocchio Succo di limone Prezzemolo Olio extravergine di oliva Salsa di soia Zenzero fresco


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PROCEDIMENTO

IMPIATTAMENTO

Sfilettare e spinare gli sgombri; metterli in un sacchetto sottovuoto da cottura e porli in acqua calda a 53 gradi per 13 minuti; ritirare e far freddare. Nel frattempo sfogliare la cipolla di Tropea, portare a bollore un pentolino con dell’acqua, tuffarvi le sfoglie di cipolla e lasciarle per 30 secondi; scolarle bene, metterle in un ciotolino e bagnare con abbondante aceto, rimestandole di tanto in tanto finché fredda, quindi tagliarla a fettine molto sottili. Ammollare qualche chicco di uvetta in 50% acqua e 50% aceto Sirk per 20 minuti. Preparare la salsa frullando assieme tutti gli ingredienti.

Su ogni piatto poggiare 2 filetti di sgombro a temperatura ambiente, condire con qualche goccia di olio evo e qualche fiocco di sale; aggiungere uvetta e semi di girasole, quindi la cipolla tagliata e sopra tutto i germogli di rapanello. Macinare sopra del pepe nero e completare con qualche goccia di salsa “ceviche”.

IL VINO ABBINATO Sauvignon “Sudigiri” biologico di Villa Job oppure un Pinot Bianco del Friuli.

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Foto: Jessica Zufferli

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Profumo floreale e dolce, colori, atmosfera rilassante, fresca e curata. Pietro è giovanissimo ma si muove con molta maestria all’interno del suo negozio. Siamo nella storica e centralissima Via Vittorio Veneto di Udine, dove Atelier Apostrophe è ormai presente da dieci anni. Pietro subentra ad aprile del 2021 alla precedente proprietaria, Jenny, dalla quale ha appreso tutto ciò che sa, lavorando al suo fianco per più di un anno e dando, così, continuità al negozio. Jenny è e resta la mentore di Pietro e lui, riconoscente, porta avanti il suo lavoro, i suoi contatti e rapporti di fiducia con le aziende, accoglie la stessa clientela e prende le misure per il futuro.

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Pietro, come sei arrivato qui? Ho studiato per un anno Design della moda a Milano ma non mi piaceva la città e sono rientrato a Udine, disegno abiti da quando ero un bambino, ho provato altri studi ma non facevano per me. Conoscevo Jenny, ho iniziato a lavorare con lei e oggi sono qui. A Jenny devo molto e, da poco, ho accettato la sfida di portare avanti la sua attività, anche se sempre sotto il suo occhio vigile. Chi sono i clienti di Atelier Apostrophe? Donne spesso in carriera ma anche ragazze giovani, persone che generalmente ci conoscono da anni e vengono qui perchè trovano un ambiente confortevole, capi di qualità e personalizzabili. Il negozio offre molto di più di quello che si vede in esposizione sulle grucce e sui manichini e, proprio per questo, il cliente viene seguito e va instaurato un rapporto di fiducia. Cosa si può trovare in Atelier? Abiti, borse, scarpe, profumi e prodotti ricercati per la cura del corpo. C’è anche una linea di eco detersivi e prodotti per la casa, molto esclusiva del brand Danhera. Parliamo di brand e dei vostri rapporti con le aziende. Jenny ha lavorato molto sulla ricerca della qualità dei prodotti e dei brand. Ogni capo esposto è scelto personalmente da noi, ogni azienda offre la possibilità di personalizzare i capi e qui spesso teniamo solo dei capi campione, proprio perchè il cliente possa poi scegliere la stoffa e il colore che predilige per il suo abito.


Foto: Jessica Zufferli

Tutto, quindi, è estremamente personalizzabile dal cliente ed è per questo che è necessario che i clienti possano venire qui e trovare una persona di riferimento e un ambiente che li faccia sentire a loro agio. Attualmente trattiamo brand come Boldetti – La Camargue, azienda storica di Torino che lavora molto tra Francia e Italia. Abbiamo capi classici della loro linea che poi possono essere, per l’appunto, personalizzati dal cliente. Nome Comune, una piccola produzione che trattiamo, produce abiti di alta qualità sartoriale con un taglio più “giapponese”, dalle linee pulite ma con un taglio unico. Anche con loro abbiamo un rapporto di fiducia che ci permette di personalizzare tutti i prodotti. Altri brand che trovate sono Isabella Clementini, Pinkless, per un design più giovane, Compagnia Italiana e altri. Sono tutte piccole produzioni ma molto ricercate, con le quali abbiamo un ottimo dialogo. Abbiamo, inoltre, una sarta bravissima che ci segue e che realizza gli abiti, spesso abiti da sera, che disegno personalmente sulla base delle richieste del cliente. Mi faccio mandare dei campioni di stoffa per la scelta e poi la sarta costruisce sapientemente gli abiti. Per quanto riguarda le borse, trattiamo solo due brand e selezioniamo le linee da tenere anche sulla base degli outfit che abbiamo in negozio. Abbiamo solo borse in vera pelle, di brand ormai molto conosciuti: Plinio Visonà e Nannini. Borse caratterizzate dall’impuntura a mano, per il primo, e modelli che

spaziano dalle linee moderni e giovani a quelle più classiche, per il secondo. Non manca una selezione accurata per le scarpe: Elio Zanon, Compagnia Italiana, Moda Positano by L’Artigianino e Le Boffi. Il mio blocco appunti profuma ancora a distanza di qualche giorno dall’intervista. Parliamo quindi della selezione di profumi. Abbiamo Parfums de Marly, fondata dai profumatori di Luigi XIV e ancora oggi gestita dai loro discendenti. Tiziana Terenzi, ditta di Firenze nata come produttrice di candele. Choix, raffinati profumatori di Venezia. Arquiste, profumi letteralmente “costruiti” da un architetto ebreo. Da ultimo Rancè, ditta che produce saponi, bagnoschiuma, deodoranti d’elite, con grande attenzione all’aspetto della sostenibilità e dell’alta qualità dei suoi prodotti. Ci sono dei clienti che ormai non possono fare a meno del loro profumo preferito e, qui, sanno di trovarlo! Pietro è bravissimo, dovreste vedere con che passione racconta i minimi dettagli degli abiti, come li conosce bene, come sa raccontare al cliente la “storia che c’è dietro”, facendolo entrare in un mondo di piccoli piaceri che coinvolgono tutti i cinque sensi. Atelier Apostrophe è un luogo denso di passione per la qualità, dell’accoglienza, del prodotto, del rapporto umano. Non un semplice negozio, quindi, ma un luogo da vivere appieno. 53


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MARCO MILANESE @marco.milanese.adventures

Intervista a cura di Gloria Buccino foto di Giordano Garosio, Tim Howell, Fabio Papalettera

Marco Milanese, di Remanzacco, classe 1987, è Guida Alpina e esperto di molte e diverse discipline che si praticano in montagna. Avete mai sognato di volare? Bene, Marco lo fa. Avete mai sognato di camminare sospesi sopra il vuoto? Bene, Marco lo fa. Marco le definisce come “attività collaterali” al suo lavoro da Guida Alpina, stiamo parlando di slackline, highline, volo con la tuta alare (Wingsuit), Base Jumping e chi più ne ha più ne metta. Ciao Marco, in cosa consiste il tuo lavoro e come sei arrivato fino a qui? Il tutto nasce dalla passione che ho per le montagne, coltivata sin da quando ero un bambino. Sono laureato in Scienze Forestali, faccio la Guida Alpina per professione e alcuni “lavori in corda” (potature di piante ad alto fusto, lavori su strutture artificiali, ecc...). Da diversi anni porto avanti anche un progetto di educazione ambientale per i bambini che, da quest’anno ha preso il nome di “Nature4kids”, con corsi di arrampicata, campi estivi nei rifugi montani, gite in fattoria, camminate in montagna, lezioni di canoa con esperti. È da poco uscito in libreria e su tutte le piattaforme online il tuo libro “Volare le montagne”, edito da Ediciclo, con prefazione scritta da Mauro Corona. Come è nata l’idea di scrivere un libro? Ho sempre scritto molto per riviste e blog di settore. Quando mi è arrivata la proposta di scrivere un libro, da una giornalista della casa editrice Ediciclo (erano proprio i primi giorni del lockdown del marzo 2020), ho colto la palla al balzo proprio nel momento più appropriato, una chiusura forzata come il lockdown, e di conseguenza ho scritto tutto in circa un anno. Ho trovato molta motivazione, sia per la stestura del testo che in generale nelle mie attività, nella “novità”. Perchè siamo davanti ad un nuovo modo di vivere lo spazio della montagna, ad una nuova prospettiva e una nuova dimensione ancora poco esplorata. Credo che ci voglia uno stimolo creativo e io l’ho trovato grazie all’highline e al volo con la tuta alare. Inoltre è sempre molto bello poterlo fare nelle montagne a due passi da casa, ancora molto poco esplorate. 54

Parliamo di highline e slackline. Cosa sono e che tipo di preparazione richiedono? La slackline è una fettuccia che viene messa in tensione tra due alberi o due sostegni e sulla quale si può camminare. È approcciabile da chiunque e serve a divertirsi cercando il proprio equilibrio ma viene usata anche per fare esercizio di propriocezione e recupero post infortuni. La highline è sostanzialmente la stessa cosa, a livello concettuale, ma è una evoluzione della slackline, in quanto si tratta di una fettuccia tesa tra due montagne, tra due cime o pareti, richiede molte più conoscenze a livello tecnico e fornisce un altro modo di approcciarsi alla montagna stessa. Sono entrambe attività molto utili per la concentrazione e il dialogo con se stessi e il proprio corpo. Sulla highline, in particolare, mi ritrovo a combattere delle vere e proprie guerre psicologiche! Parliamo ora del volo con la tuta alare. Come nasce e che tipo di attrezzatura usi? Da sempre l’uomo cerca il modo di volare ma i primi voli con la tuta alare risalgono alla fine degli anni Ottanta. Circa a metà degli anni Novanta si iniziano a commercializzare nel mondo le prime tute alari, con il pioniere Robert Pecnick, croato; da quel momento in poi la tecnologia è stata sempre in evoluzione ed ora ci sono circa quattro o cinque ditte produttrici, nel mondo. Io ho la fortuna di essere seguito da una ditta molto vicina, la Phoenix Fly, croata, con produzione in Slovenia, considerata la migliore al mondo. Di fatto si tratta di tute, principalmente in nylon, che permettono di aderire al corpo e di conferirgli delle vere e proprie “ali”. Sulla schiena è posizionato il paracadute, necessario per l’atterraggio. I movimenti, la direzione, vengono controllati dai movimenti del corpo di chi la indossa e tutto sta nell’esperienza.


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“MARCO REALIZZA QUELLO CHE SOGNA.” Mauro Corona, dalla prefazione del libro “Volare le montagne”

Come ti prepari per un volo? Il volo è, di fatto, misurabile. Tramite un GPS rilevo dei dati circa la velocità dei vari voli e posso calcolare quanto sto in aria. A questo punto comparo i dati con le altitudini e comprendo quali sono le distanze che posso coprire con il volo. Con l’aiuto di un laser trigonometrico posso misurare esattamente il salto prima del volo. Ovviamente la roccia dalla quale effettuo il salto deve avere determinate caratteristiche e questo lo posso valutare facendo un sopralluogo. Poi il vento e il meteo giocano il loro ruolo, ma con gli strumenti che abbiamo a disposizione sono veramente poche le incognite che restano per effettuare un volo in totale sicurezza. Per molti, la gente come te corre rischi inutili... Per quanto mi riguarda i concetti di pericolo e sicurezza valgono per quello che valgono. Quello che è veramente importante, come in ogni attività umana peraltro, è la “gestione del rischio”. L’uomo da sempre svolge attività per il proprio beneficio, queste sono molto soggettive e, pertanto, non discutibili; per raggiungere il beneficio si deve correre un pericolo e per minimizzare i rischi, bisogna basarsi sulla conoscenza e sullo studio. Negli anni ho acquisito una gestione del rischio molto elevata, sono felice e posso sentirmi gratificato da quello che faccio, dedicandogli tutto il tempo che voglio. Se ti dicono che sei pazzo cosa rispondi? Posso capire la generalizzazione ma se chi afferma una cosa del genere sapesse come vivo la mia vita, davvero, non mi considererebbe pazzo. Sono una persona felice che fa quello che ama fare, non so quante persone potrebbero dire lo stesso! Moltissimi non si prendono il tempo per fare ciò che amano.... non so chi sia più pazzo!!! Quali sono state le tue ultime avventure e quali saranno le prossime? Ho saltato dal Gamspitz, sopra Timau e ho fatto altri salti nella zona di Erto. Ho provato la Nord del Cervino ma non ce l’ho fatta. Ho salito il Torrione Palma, alla Grignetta, attraverso la Via Cassin per poi fare un salto con la tuta e mi sono chiesto sinceramente cosa avrebbe pensato Cassin: tanta fatica per salire e poi lanciarsi giù ed arrivare a valle in soli 5 minuti... Prossimamente vorrei fare qualche salto nelle zone del Monte Bianco e del Cervino...vedremo! 57


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MAX RANCHI Intervista a cura di Gloria Buccino foto di Max Ranchi e Paola Pisani Mi trovo nella bella e storica piazza di Tolmezzo, fa molto caldo ma il cielo minaccia un cambio repentino del tempo. Al tavolino di un bar ho appuntamento con Max Ranchi, noto fotografo di regate originario di Trieste e, ora, montanaro per scelta. Ho letto qualcosa su di lui e visto qualche foto sul suo sito, degli amici me ne hanno parlato ma sono un poco emozionata e non so bene come rompere il ghiaccio. Parto dalla domanda più banale che mi viene in mente: “Max, come hai iniziato a fare il fotografo di regate?” Max, con estrema calma e precisione mi ripete la sua storia, forse raccontata già molte volte nell’arco di altre interviste. “Ho iniziato quando facevo il militare in montagna, mi sono fatto regalare la mia prima macchina fotografica e ho iniziato a fare delle foto. Poi sono tornato a Trieste, mia sorella all’epoca stava con lo skipper Stefano Spangaro, io ero diventato bravo e lui mi chiese di fare qualche foto durante le uscite in barca. Degli amici mi avevano suggerito di andare alle Hawaii, si trovava lavoro facilmente e io sono partito con pochi dollari in tasca...ho lavorato in pizzeria e come assistente ad un fotografo di sport per quasi due anni. Stavo facendo progressi ma mi era stato consigliato di fare il college. Dalle Hawaii avrei dovuto trasferirmi in California, dove i college erano troppo costosi...e così, sono finito a Londra. Avevo trent’anni, studiavo e continuavo a fotografare barche e acqua.” Max sorride, raccontando con naturalezza un percorso di vita tutt’altro che comune! “Mentre ero al college avevo avuto la possibilità di fare qualche foto alla partenza del giro del mondo (Whitbread Ocean Race) da Southampton e iniziavo ad avere qualche conoscenza nell’ambiente delle regate. Con Cino Ricci (ndr. noto velista e skipper di “Azzurra”) ho iniziato a fare il fotografo al suo giro d’Italia a vela, come freelance, all’inizio. Si usava il rullino, le foto andavano sviluppate subito dopo le regate, dopo averle fatte scegliere dai negativi alle varie riviste internazionali di settore. Ce n’erano circa una trentina all’epoca. Andava tutto fatto molto in fretta, le foto andavano spedite via posta il più presto possibile. Ora è tutto diverso. Le riviste di vela sono diminuite e molto materiale viene pubblicato solo online. Spedire le foto è certamente più facile ma, con l’avvento del digitale, si allungano i tempi della selezione delle stesse, dal momento che se ne scattano molte di più. Molti team e organizzazioni, però, premono per avere le foto in tempo reale, per poterle pubblicare sui propri social network, per una condivisione immediata.” “Come vengono organizzate le tue giornate?”, chiedo a Max, curiosa di capire come si svolga questo singolare lavoro. 58


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“Gli ingaggi sono vari, spesso le regate vogliono un fotografo ufficiale. Vengo chiamato in tutto il mondo, per tipi di gare anche molto diverse tra loro. Di solito si è ospiti di qualche circolo velico dove si trova anche la sala stampa dedicata a giornalisti e fotografi e dove si svolgono tutte le attività collaterali di una regata (feste, cene, convegni, attività per le famiglie, ecc...). La sala stampa è la base di lavoro, poi, per le foto, si esce in mare, su gommoni messi a disposizione per la stampa o dai singoli team. Le regate durano cinque giorni, con rientro di domenica. Una volta sul gommone, a volte si deve aspettare che ci sia il giusto vento affinchè la prova possa partire, poi si inizia a seguire la corsa delle barche.” “Immagino che chi guida il gommone debba essere una persona preparata e di fiducia, che ti aiuti a raggiungere lo scatto che vuoi...”, chiedo ingenuamente. “Certamente! I driver migliori sono gli ex coach, sanno come si muovono le barche, conoscono il mare e sanno prevedere i movimenti, sono rispettosi delle distanze per non interferire con la regata e non creare disturbo in uno spazio d’acqua che solitamente è anche troppo affollato di spettatori e altre barche dei vari team o dell’organizzazione ma sanno anche avvicinarsi, se necessario, con discrezione e competenza. Sul gommone siamo in più persone, tra fotografi e assistenti...sì, usiamo anche i droni ma spesso rischiano una brutta fine!”, termina sorridendo, anticipando la mia domanda. “Che macchina usi e come proteggi la strumentazione mentre sei in mare?” “Uso una Canon con obiettivo da 200 a 400 mm con moltiplicatore focale 1,6X. Tengo tutto in un trolley a tenuta stagna che, in caso di caduta in acqua, galleggia.” “Quali sono gli scatti che cerchi?” “Cerco di non interferire con la situazione, mi piace mostrare l’azione, gli equipaggi concentrati e l’atmosfera di competizione. Se c’è poco vento, per rendere questo aspetto dinamico, mi avvicino e fotografo l’equipaggio mentre svolge le manovre, se c’è tanto vento, invece, prediligo scatti più da lontano, dove la potenza delle barche e del mare emerga maggiormente, mostrando le vele, gli spruzzi e le onde. Tra le regate più belle che ho fotografato, ricordo sicuramente quelle di Cascais in Portogallo, in oceano, con onde, correnti che cambiano repentinamente e fortissime escursioni termiche e poi quelle sui laghi, a St. Moritz e sul lago di Garda, che offrono la possibilità 60

di fare foto anche da terra, con le montagne sullo sfondo. Un ambiente molto diverso.” Sono affascinata, chissà quanti aneddoti avrà da raccontare e quante persone e luoghi avrà conosciuto e visto! Chiedo a Max di raccontarmi qualche storia curiosa e gli faccio qualche domanda a bruciapelo. “Ho vissuto in America, in Australia e in Nuova Zelanda, ho viaggiato ovunque e posso dire che di storie da raccontare ne ho molte. Nei circoli, in occasione delle regate, si incontrano personaggi curiosi, spesso famosi e, in genere, appartenenti all’èlite mondiale.” “Sai andare in barca a vela?”, chiedo, curiosa. “Non ho mai fatto corsi di vela, non ho la patente nautica. Ho aiutato come membro dell’equipaggio in alcuni trasferimenti di barche da un porto all’altro e ho partecipato a qualche regata...ma non andrei mai a fare una vacanza in barca a vela!” mi racconta, ancora, lasciando trasparire altre passioni e, allora, faccio la domanda che forse si aspettava più di tutte: “Mare o montagna?” “Ho l’ufficio al mare e l’abitazione ai monti!”, ride, con lo sguardo che si illumina mentre guarda verso i monti che circondano la vista dalla piazza di Tolmezzo, “Mi piace fare legna, tagliare l’erba, guardare il paesaggio, andare in montagna. Ho lavorato, solo lavorato, per dieci anni, e ho deciso di fermarmi in Friuli. Cercavo una casa e ho trovato una “baracca” da sistemare a Gracco, frazione di Rigolato. Era perfetta! Dal momento che il mio lavoro si concentra principalmente nei mesi estivi, da ottobre ad aprile mi ritrovo spesso fermo... sistemare quella casa mi ha dato entusiasmo e ho avuto tutto il tempo di restaurarla da solo, per quanto riguarda le parti in legno, e con l’aiuto di qualche amico per le parti impiantistiche.” “Un po’ fuori mano per uno che deve muoversi così spesso in aereo...”, affermo, dopo che Max, con orgoglio e passione, mi ha raccontato dei lavori fatti durante la sistemazione. “No affatto, dal momento che la maggior parte degli aerei che prendo partono da Venezia, la strada che avrei dovuto fare da Trieste e quella da Gracco, mi portano via più o meno lo stesso tempo.” “Che cosa fai quando sei fermo in montagna?” “Lavoro alla casa, nel prato, come dicevo. Ho sistemato sentieri, ho organizzato gare di bici per velisti e vado a camminare


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in montagna. Quando ho fatto il militare ho preso il brevetto come istruttore di sci e roccia, poi non ho arrampicato né sciato per anni e, quando mi sono trasferito a Gracco, ho ripreso a frequentare l’ambiente. Ho salito molte cime tra Alpi, Georgia, Turchia e altre zone e sto progettando altre scalate.” Chiedo, per curiosità: “Fai foto anche in montagna?” “La macchina fotografica pesa e non è molto pratica da portare in montagna, soprattutto quando si fanne gite lunghe e servono anche sacco a pelo, picozza, ramponi, viveri... Mi capita piuttosto di fare delle gite mirate, per fotografare magari un tramonto da un punto preciso o una vista particola-

re, ma sono foto che faccio per me.” Max mi ha raccontato davvero molte cose interessanti, è stata una bella chiacchierata, ma la cosa che più mi ha colpita è stata la sua scelta di trovare il suo spazio in un mondo che è diametralmente opposto a quello che ha frequentato per la maggior parte della sua vita. Una scelta di vita, questa, naturale e serena e che Max racconta con gli occhi che improvvisamente si illuminano di un misto tra gioia e profonda devozione verso quel luogo che ha voluto crearsi, tra le montagne, così lontano dalle vele che ha iniziato a fotografare, quasi per caso, molti anni prima. 61


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VIAGGIO TRA I SAPORI DELLE MALGHE DI SAURIS Sebastiano Crivellaro, l’affinatore di formaggi Testo a cura di Melania Lunazzi - foto di Massimo Crivellari

Nella sua posizione al tempo stesso appartata e privilegiata, con un territorio incastonato tra la Carnia occidentale e il Cadore, Sauris offre paesaggi e scenari che la rendono unica nel contesto delle località di montagna della nostra regione. La sua unicità è legata alla cultura e alla lingua, così vicine a quella delle popolazioni germanofone delle aree montuose a cavallo tra Austria e Pusteria - come avviene a Sappada - alle sue architetture, al suo artigianato e naturalmente alle tradizioni. Tutti elementi innestati in un ambiente di media montagna con altipiani verdeggianti e pianori aperti e ricchi di piante ed erbe officinali che offrono a chi la visita, anche da un punto di vista escursionistico, un approccio relativamente dolce, semplice e contemplativo. Non a caso Sauris con la sua altitudine di 1212 metri sul livello del mare ha vantato da sempre un primato di altitudine come sede del comune più alto del Friuli Venezia Giulia, fino 62

all’ingresso nella nostra regione di Sappada (1245 metri slm) che glielo ha sottratto, anche se, è bene ricordarlo, la frazione di Sauris di Sopra arriva da sola a toccare in certi punti i 1400 metri di quota. A differenza di Sappada però Sauris rimane una località “lontana” e “sospesa”, sia nello spazio che nel tempo, quasi un luogo da ritiro spirituale, distante da altre vallate, la Val Tagliamento a sud e la Val Pesarina a Nord, e con un’unica strada di accesso, a tratti stretta e tortuosa. Questa sua sospensione la rende un paradiso di silenzi e bellezze, dove la natura offre al viaggiatore curioso gli spazi giusti per rigenerarsi nei boschi da un lato, dall’altro per avvicinarsi anche alla pratica dell’alpeggio, grazie alla presenza di pascoli aperti e soleggiati, dove da secoli il bestiame allevato più a valle trova per quattro mesi all’anno, da giugno a settembre, l’opportunità di nutrirsi all’aria aperta di profumate erbe alpine.


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Per immergersi nella vita di malga e conoscere le pratiche che portano alla produzione di formaggi meravigliosi c’è l’imbarazzo della scelta tra le malghe esistenti: Malìns, Vinadia Grande, Pieltinis, Novarzutta, Gerona, Losa, Valuta, Monteriù tra le altre. Al piacevole sottofondo di accompagnamento, con campanacci, muggiti, rumore di mandibole che ruminano e con allegre code che volteggiano per allontanare insetti molesti o tonfi di zoccoli che pestano la terra, molte di queste malghe offrono la possibilità di degustazioni sul posto durante tutta la stagione dell’alpeggio. E naturalmente anche la possibilità di acquisto diretto di prodotti caseari freschi, dal burro alla ricotta ai formaggi. Volendo c’è anche un percorso ad anello di ventidue chilometri che le tocca, ad una ad una, se si è disponibili a mettersi in cammino per raggiungerle immergendosi nelle ore più fresche

tra morbide dorsali, altipiani, avvallamenti e sinuosità a perdita d’occhio. Il fascino di Sauris ha letteralmente avvinto Sebastiano Crivellaro, padovano classe 1972 che da più di vent’anni l’ha scelta come luogo elettivo dove intraprendere un mestiere davvero raro, legato a stretto filo proprio con i pascoli e la monticazione, quello dell’affinatore di formaggi. “Sì - conferma Crivellaro - faccio un mestiere difficile e raro: in Italia siamo circa una trentina. E, a titolo di paragone - sottolinea con velato compiacimento, ma senza presunzione - vorrei aggiungere che in Francia la figura dell’affinatore è quasi venerata! (basti pensare a quanto siano pregiati e cari i formaggi francesi, ndr)”. Crivellaro veniva da ragazzo a Sauris con la famiglia in vacanza, da vero cittadino con la seconda casa in montagna: “”Consumavo” montagna come sportivo, facevo 63


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anche gare di corsa in montagna per un certo periodo, poi la scelta di aprire qui la mia attività legata alla stagionatura dei formaggi e il graduale definitivo cambiamento, anche interiore. Ora mi sento un vero montanaro: vivo la montagna tutto l’anno, con i suoi ritmi e le sue bizze meteorologiche, con la bellezza dei suoi silenzi e senza l’assillo e la pressione di auto, vicini rumorosi, semafori. E invece dello “stress” da attività sportiva competitiva a tutti i costi nel tempo libero dal lavoro cerco semplici passeggiate nella natura.” Il lavoro di affinatore richiede impegno costante e, pur legandosi a doppio filo con l’attività estiva delle malghe, a cui Sebastiano attinge per rifornirsi di formaggi, si sviluppa lungo tutto l’arco dell’anno con il controllo costante dei prodotti che proseguono la loro stagionatura in cantina. Forse sarebbe più opportuno parlare di “percorso vitale” che compiono i formaggi, che Crivellaro considera vere e proprie creature da seguire nella loro crescita. “Il processo di affinatura è una questione molto delicata. Una volta che il formaggio esce dalla malga va seguito a passo a passo e monitorato: ogni formaggio ha il suo “carattere” e se non lo si controlla periodicamente può incattivirsi o sviluppare aspetti poco piacevoli, proprio come un bambino trascurato”. Questo perché si tratta di formaggi prevalentemente a “latte crudo”, senza pastorizzazione ovvero senza quel trattamento termico che consente di stabilizzarli eliminando la connaturata presenza di batteri che ne possono compromettere e alterare la struttura nel tempo. Il lavoro dell’affinatore permette ai formaggi di malga, privi di trattamenti, di “diventare adulti” ed essere mangiati anche a diversi mesi - anche anni! - di distanza, ottenendo una stagionatura che difficilmente un formaggio di malga potrebbe acquisire una volta portato via dal luogo in cui è nato. E’ per questo che Sebastiano li porta con sé, nel cuore di Sauris di Sotto, all’interno della sua cantina, non a caso denominata Malga Alta Carnia, con una sorta di omaggio alla sua provenienza che non è solo formale, ma di sostanza. Quello dell’affinatore non è un mestiere che si può improvvisare, ci vuole pazienza ed esperienza, proprio come quello del genitore. “Faccio questo lavoro con passione. Mi sento in qualche modo un privilegiato, anche se l’impegno è notevole e continuo. Però mi pare in qualche modo di inserirmi in un processo naturale, di accogliere e valorizzare qualcosa che ci offre la natura, con 64

i suoi ritmi lenti, la sua cura e la sua selettività. Certamente il territorio e la sua posizione aiutano moltissimo. I pascoli di Sauris sono alti e sono sempre esposti al sole: questo permette a fiori e erbe di sviluppare carotene e terpeni. Il carotene conferisce al formaggio il colore e i terpeni il sapore, con sfumature e accenti che variano di anno in anno, di mese in mese e di malga in malga. La natura ha già predisposto tutto: noi non dobbiamo far altro che accogliere e cercare di beneficiare di questa fortuna data dalla posizione. A Sauris c’è una eccezionale biodiversità naturale”. Avete presente quando comprate il formaggio al supermercato e chiedete il vostro “latteria” preferito? E’ probabile che chiediate quel tipo di formaggio, con quella determinata stagionatura, perché probabilmente vi aspettate di incontrare un certo tipo di sapore che riconoscerete e non vi darà sorprese. Ebbene con i formaggi di malga avrete sempre un sapore diverso e ogni volta dovrete riadattare le papille a nuove esperienze perché ogni volta ci sarà una sfumatura nuova, dettata dalla mescolanza di fioriture ed erbe di quell’annata, dall’altitudine della malga, dalla razza degli animali e così via ed è questo il bello del formaggio di malga. Ma si potrebbero determinare e definire le caratteristiche di una zona come appunto, quella dei pascoli di Sauris? “In teoria sì, ma in pratica è molto difficile, perché le variabili sono davvero troppe. Ci hanno provato con la Robiola di Roccaverano, ma gli animali dovrebbero essere sempre gli stessi e questo non è possibile. Ci vorrebbero inoltre dei botanici per l’analisi della quantità e qualità delle piante e comunque, una volta ottenuto un certo risultato, non lo si potrebbe applicare ad un alpeggio diverso, anche se a poca distanza.” Dunque la cosa migliore da fare è recarsi di persona in malga tra giugno e settembre e gustare il formaggio lì acquistato in tempi relativamente ristretti oppure, soprattutto nei mesi invernali, affidarsi ad un affinatore come Crivellaro che distribuisce e avvicina i suoi “figli” anche sul territorio: li si può infatti trovare alla Bottega di Sappada, all’Alimentari Toradin di Cormons e all’Enoteca Al Pignolo di Udine. L’impronta ricevuta dai pascoli di Sauris sarà unica e indelebile, in alcuni casi arricchita da una stagionatura avvenuta, grazie al lavoro di Sebastiano, nella birra saurana oppure nella canapa, nelle erbe e nel fieno raccolti rigorosamente a Sauris.


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A SAURIS, IN PARADISE Il paese friulano e i suoi abitanti, sfondo e attori del film di Davide Del Degan Testo a cura di Melania Lunazzi - fotogrammi dal film Paradise

I piumini della bara scoperchiata volano in aria contro il cielo colpiti dagli spari di due killer, nella scena iniziale ambientata in una piazza vuota della Sicilia. E nel fotogramma successivo diventano magicamente i fiocchi di neve nel cielo di una Sauris tardo autunnale. La scena descritta è nell’incipit del film Paradise. Una nuova vita, del regista triestino Davide Del Degan, già autore di diversi documentari e cortometraggi, uno dei quali selezionato al Festival di Cannes. Distribuito nelle sale nazionali dall’estate 2020, il film porta alla luce un argomento serio, eticamente profondo e anche molto italiano, quello della difficile vita dei testimoni di giustizia, persone incensurate - a differenza dei “collaboratoti di giustizia” che sono ex collusi/criminali - che hanno testimoniato a fronte di gravi episodi di mafia o criminalità infrangendo il muro di omertà che la paura erige. Si tratta di persone che, per legge dello Stato italiano, beneficiano di un programma di protezione che salva loro la vita da atti vendicativi, ma che al tempo stesso quella vita sconvolge totalmente. Ed è proprio quanto accade al giovane “Calogero”, venditore ambulante di gelati, che dopo aver assistito ad un omicidio e aver testimoniato, è costretto a spostarsi a mille chilometri da casa, lontano dalla moglie che aspetta il loro primo figlio che lui non vedrà nascere, tra i monti più appartati del Friuli Venezia Giulia. Calogero - questo il nuovo nome di protezione del giovane, nella realtà Alfio, interpretato da Vincenzo Nemolato -, fisico magrolino, naso importante e occhi sempre pieni di stupore, viene sistemato al Paradise, residence deserto di una Sauris pre-invernale priva di turisti. In questo stesso residence arriverà poco dopo un altro “Calogero” - l’attore Giovanni Calcagno, fisicità alta e imponente e espressione ombrosa - l’assassino contro cui ha testimoniato, spedito nello stesso luogo per un cortocircuito della macchinina giudiziaria. Colpi di scena, accenti tragicomici, tocchi surreali e ricercati contrasti tra la vita senza tempo degli abitanti di Sauris e quelle rovesciate e sospese dei due protagonisti che devono affrontare un presente senza più riferimenti, attraversano il film di Del Degan che coinvolge ed emoziona fino all’ultima scena, lasciando aperte molte domande sulla difficile scelta di essere onesti. 66

Sullo sfondo il paesaggio montano di Sauris con le montagne, la neve, le architetture in legno, le tipiche maschere di carnevale, la grappa, il lago, i dirupi e lo splendido altare ad ali (flügelaltar) del santuario di Sant’Osvaldo, mentre nella parete della stanza di Calogero il puzzle della Sicilia cade, simbolicamente, a pezzi. Davide, perché hai scelto la montagna e in particolare Sauris per ambientare il tuo primo lungometraggio? Intanto conosco molto bene Sauris e amo le sue montagne, le architetture tipiche, gli scorci e ci sono legato. In secondo luogo per me è importante portare, se possibile, i racconti tra le nostre terre, calare le storie negli scenari che offre la nostra regione. E poi per questa storia in particolare ho trovato a Sauris quel qualcosa in più, che pareva fatto apposta per accentuare i contrasti. Che cosa? Alla storia serviva un paese di montagna con caratteristiche architettoniche e culturali ben connotate e che fossero il più possibile lontane dalle origini del personaggio principale, che proviene da tutt’altro mondo. Ma anche la varietà culturale e linguistica di Sauris si prestava molto bene per rendere ancora più forte l’iniziale spaesamento di Calogero che dalla Sicilia incontra prima il freddo e la neve e poi lo stile di vita e la cultura degli abitanti. E il contrasto con l’ambiente ti ha aiutato anche nella costruzione del personaggio? In qualche modo sì. Quando pensavo alla storia da raccontare avevo il desiderio di parlare di un tema importante come quello dei testimoni di giustizia, ma volevo anche restituire un aspetto umano universale che tocca tutti noi in momenti diversi della nostra vita. Quale? Quando ci troviamo di fronte a situazioni che ci sconvolgono, in maniera positiva o negativa, siamo in qualche modo costretti a guardare il mondo con occhi diversi: una situazione che a volte ci fa sentire persi, a volte vivere euforie straordinarie. Lo dici come se avessi vissuto in prima persona questa sorta di “smarrimento”. Sì. A me quell’emozione è arrivata proprio mentre costruivo la storia, quando ho saputo di diventare padre. Le certezze nei


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confronti della mia vita si sono improvvisamente ribaltate. Era qualcosa che volevo profondamente, ma quando ho saputo che lo stavo diventando tutto ciò che era chiaro e pianificato prima mi faceva sentire incapace di guardare il mondo e il futuro con gli stessi occhi. Questo spaesamento è qualcosa che mette tanta paura all’inizio, ma pian piano conduce a prese di consapevolezza. Un po’ come succede al protagonista, che vive vicende meno positive perché drammatiche, ma con dinamiche simili ed è invece costretto a separarsi dalla moglie e dalla nascitura per i valori in cui crede. Il film racconta la voglia di rinascita 68

e rivincita con i dubbi e le paure dell’inizio e le incredibili sorprese che ne seguono. Come è nata l’idea di inserire l’episodio del ballo degli schüplatter di Sappada? E’ nata in sceneggiatura: cercavamo qualcosa per mettere il personaggio di fronte ad un mondo sconosciuto e il ballo si prestava, sia da un punto di vista culturale, sia per il forte contrasto con le caratteristiche interiori del personaggio. Per un siciliano l’idea del contatto fisico tra uomo e uomo rimandava a pensieri loschi nonché ad una fuga rapida. Nella realtà quel


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ballo significa l’opposto di ciò che pensa Calogero. Sappada e Sauris sono comunità culturalmente molto vicine, entrambe di provenienza germanica anche se con sfumature diverse. Sì. E infatti la tradizione saurana entra in gioco nel film con le tipiche maschere del carnevale: anche queste sono state subito abbracciate e inserite dentro la storia per farne un elemento importante nella drammaturgia. E tutto il paese si è prestato a mettere in scena e a fare le riprese, anche di notte. Il nostro film è molto notturno e queste persone passavano con noi le notti in

piedi a fare le riprese, ma poi durante il giorno si dedicavano ad altri lavori, i loro lavori. Era divertente vedere come l’entusiasmo di partecipare li portava a non avere mai sonno. Torniamo alla montagna come luogo difficile. Hai detto che nel film la montagna rappresenta una sorta di antipode rispetto alla provenienza e alla cultura del personaggio, ma la montagna è entrata di colpo, con le sue difficoltà, anche durante le riprese del film? Già realizzare un film in montagna è complicato, a prescindere. La montagna in inverno fa sì che tutta la troupe si debba 69


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confrontare con temperature e difficoltà di spostamenti. Da un punto di vista produttivo girare a Sauris era una scelta decisa e forte perché imponeva di rinunciare ad altre location, altrimenti avremmo perso giornate intere di ripresa per spostarci. In più c’è stato questo evento straordinario di Vaia, una tempesta incredibile che ha colpito i boschi e ci ha isolati dal resto del mondo per diversi giorni. La strada era chiusa e per qualche giorno abbiamo vissuto qui senza luce né riscaldamento né telefono. In pratica, causa forza maggiore, ci siamo sentiti proprio come il nostro protagonista: persi e isolati. Solo dopo quattro giorni un membro della produzione è stato aiutato a passare il “blocco” della Protezione Civile per scendere ad Ampezzo a rassicurare i parenti di tutti, anche se per mia moglie ricevere il messaggio “Stiamo tutti 70


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bene abbiamo da mangiare” non è stato così confortante (sorride). Quindi lo spaesamento di cui parlavi sopra è scaturito da un improvviso cambiamento della normalità. Esatto. In questa situazione difficile si è creato un percorso di passaggio, che ha fatto sì che tutti i membri del gruppo di lavoro si unissero per superare i problemi. E poi c’è stata una più forte vicinanza con la comunità di Sauris, che era la più toccata e colpita da questa violenta vicenda: ha dato subito l’esempio a tutti rimboccandosi le maniche, cercando di risistemare e riprendere la vita normalmente. Tutto il paese si è dato da fare per trovare i generatori elettrici per consentirci di ricominciare a lavorare. In quei giorni c’è stata una sorta di rinascita insieme, che ha rafforzato il sentimento di partecipazione che già

era nato durante le prime settimane di riprese. Ci siamo sentiti partecipi della tenacia, della serenità e forza di volontà verso una vita normale anche se di normale non c’era nulla: il paese ci ha abbracciato. Questa è stata una delle cose più emozionanti. Devo dire che ancora oggi, a distanza di tanto tempo, dalla fine del 2018, tra attori e membri della troupe con cui mi sento molto spesso, vive ancora la sensazione che sia stata un’esperienza unica. Questo succede di rado, perché i set cinematografici sono bolle che nascono e finiscono molto rapidamente: in due mesi si corre tutti assieme e poi ci si saluta. Ma con Sauris è stato diverso, ci è rimasta nel cuore al punto da aver sempre voglia di ritornare su assieme: siamo stati molto fortunati. 71


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IL MEDICO DELLE BUONE ABITUDINI @ftenore

Intervista al Dott. Fabio Tenore Testo a cura di Veronica Balutto e consulenza del Dott. Sebastian Laspina - Foto di Diego Petrussi

Lo Studio Laspina si avvale di collaborazioni importanti nell’ambito di vari settori. Quest’uscita è dedicata ad un personaggio di rilievo nel mondo dello sport, Fabio Tenore, che con entusiasmo si racconta ai lettori di Mia Magazine. Una personalità poliedrica, attivo, propositivo e promettente. Brevi tratti per descrivere come appare oggi Fabio Tenore, responsabile sanitario dell’Udinese Calcio. Nato e cresciuto negli Stati Uniti da padre americano e madre italiana, fin da piccolo ha viaggiato molto, tra il New Jersey, la Louisiana (New Orleans), Napoli, per poi approdare a Udine dove ha studiato Medicina e Chirurgia. Dopo l’anno di Erasmus a Madrid, ha intrapreso la Specialità della Medicina dello Sport. Un curriculum denso di eventi sportivi: ha lavorato dodici stagioni in serie A con l’Udinese e tre stagioni con la Juventus. Qual è la sua più grande soddisfazione lavorativa? Sicuramente essere stato chiamato dalla Juventus nella Stagione 2016 - 2017. È stato un traguardo, quasi inaspettato, avere la possibilità di contribuire per tre anni a vincere tre scudetti, due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana…fino ad arrivare alla finale di Champions League, purtroppo persa a Cardiff contro il Real Madrid. Emozione pura! Ed una passione oltre allo sport? La cucina: adoro perdermi tra ingredienti, strumenti e preparazioni. È il mio momento mindfulness di pieno relax. Mi è sempre piaciuto “avere le mani in pasta” fin da piccolo. Ricordo che a 6 anni ho fatto il mio primo purè di patate, completamente home made. Un aspetto curioso è che, per la preparazione dei piatti, attingo idee e spunti da diverse fonti, poi li rielaboro a mio piacere, estrapolando da ricette sui libri, a quelle sul web, ma, soprattutto dai ristoranti, perché è anche vero che amo mangiare ed assaporare piatti deliziosi. Parliamo di uno stile di vita sano. Su quali pilastri si basa? Lo stile di vita sano è composto da tante semplici azioni che, ripetute, diventano abitudini salutari. Si tratta principalmente di quattro grandi aree: l’alimentazione, l’attività fisica, il riposo, l’integrazione. 72

Nello specifico di queste macroaree, ci può dare qualche consiglio? Per l’alimentazione, sarebbe opportuno tornare a rendere la frutta e le verdure protagoniste nei nostri pasti, accompagnandola con cereali integrali e una fonte sana di proteine, come il pesce, le uova, i legumi e in minor misura carni bianche e carni rosse. Al contrario, andrebbero limitati i prodotti confezionati, troppo spesso ricchi di conservanti, dolcificanti e grassi di scarsa qualità. Una buona abitudine è quella di controllare sempre il carico glicemico dei propri pasti, limitando i cereali raffinati e le loro farine, lo zucchero e tutti i suoi sostituti. Importante bere due litri di acqua al giorno evitando bibite zuccherate e una consumazione eccesiva di alcool. E l’attività fisica? Per mantenersi in buona salute è necessario “muoversi” cioè camminare, ballare, giocare, andare in bicicletta, correre. Uomini e donne di qualsiasi età possono trarre vantaggio anche da 30 minuti di moderato esercizio quotidiano. Ogni fascia di età ha le sue raccomandazioni per una routine di movimento settimanale. Per bambini ed adolescenti tra i cinque e i diciassette anni, si consigliano almeno 60 minuti di attività fisica quotidiana di intensità moderata-vigorosa. Per la popolazione adulta: durante la settimana un minimo di 150 minuti di attività fisica aerobica d’intensità moderata oppure un minimo di 75 minuti di attività vigorosa più esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari due o più volte a settimana. È importante iniziare sempre gradualmente e aumentando di volta in volta durata, frequenza e intensità dell’esercizio fisico. Perché è importante non trascurare il riposo? Uno stile di vita sano non può prescindere dal riposo, anche se questo aspetto viene troppe volte trascurato. Proprio durante il sonno il corpo si rigenera, recupera e si rinforza. Sono consigliate attività serali che aiutino a dormire meglio. Dopo cena conviene staccare la spina dalle proprie attività quotidiane ed ascoltare, invece, una meditazione rilassante o leggere un buon libro. Oltre alla qualità del sonno, sarebbe utile anche dedicare qualche ora alla settimana ad attività che aiutano a staccare la spina, sia a livello fisico che mentale. A questo proposito un


SALUTE

ritorno alla natura è rigenerante. Semplici camminate in un bosco o in riva al mare, possono essere un vero toccasana in ogni periodo dell’anno. L’integrazione? Non deve essere considerata un rimedio alle abitudini scorrette, ma un valido aiuto per potenziare il proprio benessere, personalizzandola in base alle diverse esigenze che ogni individuo può avere. La nostra vita è spesso vittima di stress, come possiamo fronteggiarlo? Nel nostro immaginario collettivo stress è sinonimo di ansia, nervosismo, agitazione, disorientamento, a causa di persone o situazioni. Lo stress può essere “buono” (eustress) o “cattivo” (distress); nel primo caso, permette di dare una spinta positiva ad una prestazione, intesa nel senso più generale possibile e che possa abbracciare la sfera personale, lavorativa o sportiva. Nel secondo caso è un senso di insofferenza tale da non riuscire a completare o ottimizzare una prestazione. Così si genererà depressione, dialogo interno negativo, bassa autostima. Lo sport può sicuramente aiutare ad arginare o eliminare addirittura lo stress dovuto a situazioni contingenti, eliminando le tossine accumulate, ossigenando i tessuti e scaricando la tensione emotiva accumulata. Come riesce lo sport ad attenuare lo stress? In diverse pratiche sportive vengono utilizzate tecniche per at-

tenuare i sintomi o per trasformare lo stress in motivazione. Ad esempio: il rilassamento progressivo, all’interno del quale si abbassano i livelli emotivi con la visualizzazione; il self talk, che ha l’obiettivo di trasformare il linguaggio in positivo; il mental training è una tecnica finalizzata all’apprendimento del gesto tecnico con l’obiettivo di abbassare il grado di incertezza durante la gara. Approfondiamo ancora l’attività fisica, quali le dieci tips per un allenamento ad hoc, facile, da svolgere a casa? Con pochi accorgimenti possiamo fare molto. Usa le scale al posto dell’ascensore, sia in discesa che in salita o sali e scendi ripetutamente da uno scalino. Gioca con i tuoi figli. Muoviti a ritmo di musica, ad esempio mentre parli al telefono o fai le faccende domestiche. Salta con la corda. Partecipa a lezioni di ginnastica on-line gratuite (video tutorial da fonti istituzionali o comunque da centri verificati). Fai attività di rafforzamento muscolare, come sollevare pesi utilizzando bottiglie piene d’acqua o semplicemente usando il nostro peso corporeo e fai delle serie di piegamenti sulle braccia (push ups). Fai una serie di flessioni. Fai esercizi “a corpo libero” sul posto (ad esempio: piegamenti sulle gambe, effettuati anche semplicemente alzandoti ripetutamente da una sedia o dal divano) o marcia, corri e salta sul posto. 73


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“L’ALLENAMENTO È LA NOSTRA MIGLIORE MEDICINA: DIVENTA SPESSO UNA DIPENDENZA POSITIVA, CHE ELIMINA ALTRE CATTIVE ABITUDINI, IN UN CIRCOLO VIRTUOSO CHE PORTA AL BENESSERE FISICO E MENTALE.” Alterna periodicamente la posizione seduta/reclinata con quella in piedi (ad esempio ogni 30 minuti). Se lavori in smart working, interrompi per fare pause attive: oltre ad alternare la posizione puoi fare brevi camminate, piegamenti sulle gambe, esercizi di stretching. Utilizza attrezzi da ginnastica come cyclette, tapis roulant, elastici, piccoli pesi, se li abbiamo in casa, per fare esercizio fisico. E chi si nasconde un po’ dietro l’età può fare sport? L’attività fisica, come ho detto, è per tutti. Per gli over 65 valgono le stesse raccomandazioni della popolazione adulta: almeno 150 minuti a settimana di attività fisica aerobica di moderata intensità, o almeno 75 minuti a settimana di attività fisica aerobica a intensità vigorosa, oppure una combinazione equivalente di attività con intensità moderata e vigorosa, al fine di migliorare la salute cardiorespiratoria e muscolare, ridurre il rischio di malattie croniche non trasmissibili, di depressione e declino cognitivo. Gli anziani, che a causa delle loro condizioni di salute, non possono raggiungere i livelli raccomandati, dovrebbero svolgere un po’ di attività fisica, magari a bassa intensità e nei limiti delle proprie capacità e condizioni. Qualsiasi esercizio, però, deve essere svolto con attenzione e gradualmente. Un’appropriata attività fisica deve essere adeguata alle capacità della persona (organiche, psichiche, funzionali, ecc.), congeniale e idonea alle possibilità culturali, ideative ed affettive del soggetto. Un anziano inattivo o sedentario che vuole intraprende un’attività fisica deve iniziare con molta gradualità partendo dagli esercizi più semplici e di intensità lieve, come il camminare in casa. È importante ricordare che anche attraverso le normali occupazioni della vita quotidiana (le pulizie e la preparazione dei pasti) si può mantenere un adeguato livello di attività. Secondo Lei possiamo rallentare l’invecchiamento? I fattori che intervengono nell’invecchiamento sono diversi: eredità genetica, stile di vita, tessuto sociale costruito intorno a noi. Le statistiche ci dicono che il numero di ultracentenari è in costante aumento: siamo molto più longevi dei nostri antenati. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la nostra speranza di vita è sempre più alta. A questo contribuiscono una maggiore attenzione alla salute, migliori condizioni di vita, il progresso della medicina e della farmacologia. 74

Sicuramente avere “buoni geni” è un fattore decisivo, soprattutto se parliamo di resistenza alle malattie. Se in famiglia non ci sono precedenti di malattie ereditarie e i nostri nonni sono morti anziani, allora la genetica è, probabilmente, a nostro favore. Quindi se la genetica è a nostro favore… Un buon profilo genetico aumenta le probabilità di vivere a lungo, di godere di una migliore struttura ossea, di una pelle più liscia e perfino di possedere un maggiore controllo sulle emozioni che ci inducono a seguire determinati schemi di comportamento. Ma non invecchiamo tutti alla stessa velocità… Lo sappiamo, l’età biologica non sempre coincide con l’età anagrafica. Nelle rimpatriate tra ex compagni di scuola possiamo osservare come il passare del tempo sia stato più benevolo con alcuni, meno con altri. Invecchiare è un’esperienza personale su cui agiscono fattori interni ed esterni che modellano il nostro stile di vita. I risultati di questi elementi si riflettono sul nostro aspetto fisico ed emotivo. Ricordo quindi l’importanza di uno stile di vita con alimentazione e movimento corretto, ma ricordiamoci anche di prenderci cura di noi stessi. Una buona igiene personale è fondamentale per la salute. La pulizia e l’idratazione sono gli obiettivi principali. L’igiene orale, la cura di pelle, capelli e persino abiti, si riflettono sulla salute e sulla nostra immagine personale. Curare l’aspetto fisico aumenta l’autostima e rafforza, a sua volta, la voglia di prenderci cura di noi stessi. Non dimentichiamo che l’immagine che offriamo di noi è il nostro biglietto da visita. La vita sociale va coltivata: usciamo di casa! Ci può parlare dei suoi apparecchi elettromedicali. Perché sono cosi innovativi? La Risonanza Magnetica Terapeutica TMR® è una particolare forma di stimolazione dei tessuti biologici, tramite campi magnetici pulsati a bassa frequenza e bassa intensità. Aiuta a ridurre infiammazione e dolore nella riattivazione del meccanismo di replicazione cellullare, necessario alla riparazione delle lesioni e nella riduzione dell’edema. L’Epi, l’Elettrolisi Percutanea Intratissutale, è una tecnica abla-


SALUTE

tiva mini-invasiva di recente sviluppo ed implementazione con applicazioni, in particolare, nell’ambito della medicina ortopedica e sportiva. Rappresenta una soluzione ai principali disturbi cronici o persistenti nell’apparato muscolo-scheletrico e, vista la sostanziale assenza di effetti collaterali, può essere considerata un efficace e sicuro complemento alla medicina fisica e riabilitativa per la risoluzione delle più frequenti patologie tendinee, legamentose e muscolari. Quando iniziare a muoversi o allenarsi? Subito, ma con esami al seguito. Non iniziare l’attività fisica senza aver fatto delle analisi di routine per verificare la tua for-

ma fisica. Approfittane se puoi, per sapere davvero come stai. Misura le tue capacità sotto sforzo, controlla la salute del cuore, verifica i valori del sangue, se cerchi di dimagrire calcola l’indice di massa corporea. Ricordiamoci anche di impostare un programma di obiettivi realistici, ricercare costanza e ripetizione, ciò indurrà la formazione di una buona abitudine. Non fare sforzi che non puoi sopportare: più si va avanti con l’età, più si fa fatica per entrare in forma. L’allenamento è la nostra migliore medicina: diventa spesso una dipendenza positiva, che elimina altre cattive abitudini, in un circolo virtuoso che porta al benessere fisico e mentale. 75


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NICOLÒ ROSSI ENTUSIASMO PER LA RICERCA Classe ‘96, mette l’informatica al servizio della ricerca medica Intervista a cura della redazione - Foto di Claudio Rossi Di cosa ti occupi in questo momento e quale è la tua formazione? Al momento mi occupo principalmente dell’analisi di dati biologici con tecniche informatiche. I progetti che sto seguendo riguardano pazienti oncologici, in particolare di cancro al seno, e l’assemblaggio di genomi batterici. Tematiche differenti sotto molti aspetti ma accomunate dall’uso di tecniche di sequenziamento genetico. La mia formazione è da Informatico, ci si potrebbe chiedere che relazione possa avere una materia così “tecnologica” e forse in qualche modo anche “astratta”, cugina della matematica, con tematiche di carattere medico o biotecnologico. In realtà, la cooperazione stretta tra informatica e biotecnologie esiste da diverse decine di anni e ha mostrato al mondo la sua importanza durante il progetto “Genoma Umano” che ha permesso di ottenere la sequenza nucleotidica del nostro DNA. Ovviamente questa sequenza di per sé non ha alcun valore se non è correttamente interpretata per le funzioni da essa svolte e, ad oggi, vent’anni dopo, non è stata completamente decifrata. Durante il mio percorso di studi ho cercato il più possibile di integrare le mie conoscenze inserendo nel mio piano diversi corsi a carattere biotecnologico. In questo caso un grande aiuto è stato per me dato dalla Scuola Superiore dell’Università di Udine, che mi ha permesso di frequentare, fin da subito, corsi più avanzati negli ambiti di mio interesse, ponendomi a diretto contatto con esperti del settore e coinvolgendomi in interessanti progetti. Quali sono state le tue esperienze fino ad ora e in quali progetti sei stato coinvolto? Nonostante mi sia sempre occupato di analisi dati, il mio ruolo nei diversi gruppi con cui ho collaborato è stato sempre diverso. Nel caso del progetto con l’INFN, il mio compito è stato, da un lato quello di cercare di estrapolare da degli spettri energetici i raggi X originati da specifici elementi, dall’altro, quando ho avuto l’opportunità di operare direttamente sul campo all’acceleratore di particelle RAL (nelle vicinanze di Oxford), quello di calibrare i rivelatori da cui poi avrei estratto il segnale. Durante lo svolgimento della tesi triennale ho sviluppato modelli matematici teorici per la progressione dei tumori, con il CRO di Aviano invece ho preparato un programma dai risvolti più concreti per analizzare referti; adesso mi sto occupando dello sviluppo di una pipeline per l’assemblaggio di genomi batterici. Come si può capire, la varietà non manca. 76

Qual’è il tuo ruolo di informatico all’interno di un team prevalentemente “medico”? Come sempre accade quando si studia a lungo una certa materia da una specifica prospettiva, si ha la tendenza a trascurare dettagli che possono invece avere serie conseguenze. Come informatico in un team medico, mi propongo proprio di cercare di fornire un diverso angolo di visione sulle problematiche affrontate. Questo potrebbe voler dire, ad esempio, rendere più semplici e automatizzare certe attività oppure proporre dei modelli più sofisticati per cercare di migliorare o affinare l’approccio seguito. In ogni caso il contributo è sempre reciproco, modelli complessi possono sì essere interessanti dal punto di vista matematico ma sono inutili se perdono il legame che dovrebbero avere con la realtà. Quali sono i tuoi campi di ricerca e che tipo di specializzazioni ti sono richieste per lavorare nel tuo campo? I miei campi di ricerca, oltre all’informatica, sono la bioinformatica, ossia lo studio del significato della sequenza genetica, la “system biology”, la modellizzazione formale di sistemi biologici e l’analisi dei “big data” in ambito medico. (Come dice lo stesso nome, per “big data” non si intende null’altro che dati di grandi dimensioni che, nel mondo attuale, stanno diventando sempre più comuni specialmente nell’ambito del web.) C’è un fortissimo legame tra tutte queste specializzazioni che sono ognuna necessaria per poter operare al meglio nelle altre. Cosa serve quindi per fare tutto ciò? Idealmente servirebbe una laurea in ognuna di queste discipline, purtroppo questa non è una soluzione normalmente praticabile, per cui bisogna adattarsi a mirare a tematiche specifiche, cercando da un lato di non essere troppo dispersivi e dall’altro di non perdere la giusta visione di insieme. Nel mio approccio ho deciso di specializzarmi per lo più nelle tematiche informatiche e matematiche che uso come base su cui inserire le conoscenze biologiche necessarie per le mie attività. Frequentemente invece, accade il contrario e l’informatica viene vista e usata come un “oracolo”, che in qualche modo fornisce delle informazioni utili ma non sempre molto chiare. In questo, si comprende come sia essenziale la cooperazione tra le diverse discipline per poter davvero avere una visione di insieme, ove ogni ricercatore porta il suo pezzo del puzzle. Quale è, al momento, lo stato di avanzamento della ricerca sui tumori al seno? Per rispondere a questa domanda in modo specifico bisogna


TALENTI EMERGENTI

delineare il contesto in cui si svolge la ricerca del gruppo con cui collaboro. Il mio lavoro è incentrato sulla realizzazione di strumenti informatici che permettano di individuare quali sono le caratteristiche che portano le donne più giovani (pre-menopausali) ad avere forme di cancro al seno più aggressive. Al momento sto lavorando su dati reali disponibili pubblicamente e lo scopo ultimo è quello di delineare delle strategie per lo studio dei pazienti del CRO. Ovviamente questo è solo uno dei molti ambiti che riguardano la ricerca sul cancro al seno che è oggetto di studio a livello internazionale. Hai altre passioni oltre all’informatica? Come può sembrare naturale, ho una profonda passione per la tecnologia in generale, ma i miei interessi non si limitano al mio campo di studi. Prima dell’università ho partecipato ad attività con i giovani della Croce Rossa Italiana, e, dato il mio

interesse per il soccorso, ho ottenuto successivamente il brevetto per il salvamento acquatico; attività che purtroppo non sono riuscito a continuare per mancanza di tempo. Dai 14 anni mi sono approcciato al mondo del volo ed ancora oggi ho il brevetto da diporto sportivo. Amo anche l’escursionismo e le corse all’aria aperta. Come ti vedi in futuro e quale ruolo pensi possa avere il tuo lavoro? Figure professionali come la mia saranno sempre più importanti con il progredire delle tecnologie di analisi biologica e gruppi di ricerca interdisciplinari saranno sicuramente indispensabili. In futuro spero di poter approfondire le mie conoscenze e di poter continuare a cooperare con altre persone che mi arricchiscano con il loro entusiasmo nella ricerca. 77


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#LAGIRAFFALEGGE @lagiraffacongliocchiali

Consigli libreschi de La Giraffa con gli Occhiali

«Ciao ragazzi, come state? Sono sempre io! Raffa Gi. Finalmente sta arrivando la bella stagione e salutando la scuola ci possiamo dedicare ai giochi e alle tante attività all’aria aperta! Lo sapevate che si può giocare anche coi libri?... per il momento non posso svelarvi troppo. Urca se è tardi, ci vediamo tra le prossime righe, ora vado! Vi lascio in compagnia della Band. Il consiglio è sempre quello, mi raccomando: non chiamateli libretti o libriccini, sono preziosi tesori!».

pirata! Le sezioni in cui è diviso il libro sono molto interessanti, ci fanno capire come gli sbadigli colpiscano all’improvviso (al mare, in montagna, in viaggio, in spiaggia e in casa), ma non dobbiamo perderci d’animo! Uno dei miei capitoletti preferiti si intitola Tents: chi di noi non ha realizzato un fortino, partendo da coperte, sedie e un pizzico di magia? Questo vale come consiglio libresco numero 0, purtroppo infatti questo libro non è facile da trovare, io l’ho scovato in soffitta grazie a una lontana parente australiana, da allora lo porto sempre con me.

Prova, prova 1-2-3 prova, con Raffa Gi è sempre così lancia l’idea e dopo fugge! Oggi io, Jojo e Ale abbiamo scelto per voi due testi e un gioco. Scopriremo insieme dei gioco libri o per dirla all’inglese Game-Books: sono amici di carta assai speciali e tra le pagine nascondono tesori. C’è una sola regola, non essere pigri... Siete abbastanza avventurosi da tuffarvi insieme a noi? L’idea mi è venuta durante una giornata di pioggia incredibilmente grigia e incredibilmente lunga. Non potevo uscire ed ero circondato dai libri, ma non avevo voglia di leggere, volevo solo sconfiggere la noia. Guardando attentamente la mensola ho trovato I’m Bored! (di Suzy Barratt e Polly Beard), una raccolta di 100 giochi che si possono fare quando ci si annoia, quando il tempo sembra non passare mai. Sì, lo so, è un libro scritto in inglese, ma le splendide illustrazioni di Sam Holland rendono tutto più semplice e si riesce subito a capire cosa fare. Serviranno delle corde, delle bandane e un divano per trovarsi come d’incanto su una nave

Partiamo subito coi nostri #consiglilibreschi 1) Questo non è un libro di Keri Smith, il titolo già di per sé attrae molto e difficilmente la Corraini delude un suo lettore. L’autrice e illustratrice canadese attraverso questo libro ci obbliga a conoscere passo passo il nostro quotidiano. Tra i verdi prati o tra le mura di casa possiamo sempre trovare rifugio in questo libro. L’obiettivo è quello di disegnare, saltellare, scrivere, sminuzzare, raccogliere, incollare, colorare. Dobbiamo rendere indimenticabili alcune pagine e “farle nostre” passando dal bianco e nero ai colori vivaci. È un libro senza età, tutti possono partecipare, si può giocare da soli o in gruppo. Ogni pagina è accompagnata da una buffa consegna, vi lascio in super anteprima il retro della copertina, spesso sono queste le frasi che ci separano dalla meraviglia. Ascoltate bene ;) “QUESTO OGGETTO NON PUÒ ESISTERE SENZA DI TE. SARAI TU A DETERMINARE CONTENUTO E PRODOTTO FINALE. TUTTO PRENDERÀ FORMA

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BAMBINI

ATTRAVERSO LA TUA IMMAGINAZIONE, MA DOVRAI ESPLORARE IL MONDO PER POTER ESEGUIRE I COMPITI ASSEGNATI E COMPLETARLO. SE QUESTO NON È UN LIBRO ALLORA CHE COS’È ? LA RISPOSTA DIPENDE DA TE!”. Keri Smith ci fa veramente rimanere a bocca spalancata con questo testo, è vivace, disordinato e colorato, siamo sicuri piacerà tantissimo anche a voi!

E se vi dicessimo che uno dei più grandi artisti della street-art ha realizzato anche un Game-Book divertentissimo? Come... non ne siete convinti? Stiamo parlando di Keith Haring, uno dei più grandi interpreti della Pop-Art, i suoi dipinti e murales sono sparsi in tutto il mondo, anche a Udine, nella Chiesa di San Francesco (in Largo Ospedale Vecchio), alcuni anni fa è stata ospitata una sua mostra: sono andato a vederla e mi sono trovato circondato da buffi omini stilizzati e colori vivacissimi. Una delle caratteristiche di Keith è quella di disegnare con “poco”, pochi tratti e linee, spesso marcate a pennarello e acrilico. Il disegno appare così molto stilizzato, quasi pubblicitario... ma molto apprezzato, soprattutto dai più piccoli, per la sua immediatezza. Il Consiglio Libresco numero 2 è, quindi, Il Grande Libro delle Piccole Cose di Keith Haring, edito da Mondadori. Il libro gioco era stato concepito come regalo di compleanno per i 7 anni della figlia di un suo amico, Nina, a cui piacque così tanto da decidere di condividerlo, permettendone la stampa. Così il libro da regalo privato è arrivato dentro le nostre case, divertendo bambini di tutto il mondo. Come impostazione è simile a quello di Keri Smith, ma viene lasciato più spazio alla creatività dei bambini, le pagine, infatti, sono molto più grandi e resistenti ai pennarelli. Vi verrà chiesto di disegnare un cappello ad un buffo personaggio, di raccogliere delle foglie, di incollare alcuni fili di lana, di disegnare solo oggetti e animali che iniziano con la B… Il particolare formato del libro invita maggiormente il bambino che può essere aiutato da una lettura guidata. Diventa in questo modo un gioco da condividere tutti insieme, piccoli e grandi, mi raccomando aguzzate bene la vista!

Questi i nostri due consigli, ora tocca a voi! Per tornare all’aiuto chiesto da Raffa Gi… abbiamo pensato a una cosa un po’ diversa: una nostra cara amica, Marianna Balducci, è una bravissima illustratrice, se non la conoscete andate a cercarla sui social: il suo stile è davvero inconfondibile! In uno dei suoi attacchi d’arte ha realizzato vari stencil per dare nuovo colore ai suoi personaggi. Lo stencil è una tecnica pittorica che consiste nel creare una maschera, poi da riempire con un colore, o, come in questo caso, con una trama, un motivo, un pattern originale. I colori verranno dati “naturalmente da quello che vi circonda” e potranno ispirare storie e avventure sempre nuove per i personaggi utilizzati. L’idea ci è piaciuta così tanto che abbiamo preparato anche noi Giraffi un nostro stencil occhialuto. Fatelo stampare in grande da mamma o papà. Gli occhiali della giraffa una volta ritagliati lungo la linea tratteggiata possono diventare qualsiasi cosa: fiori, nuvole, fragole, libri, basterà accostare il ritratto di Raffa Gi a quello che più vi piace o a quello che pensate possa essere più adatto a lui. E voi che cosa avete in mente? Pronti a giocare? Catturate attimi di gioco in casa, fuori, con nubi o sole scoppiettante! Potete mandarci le vostre foto dello stencil taggando @miamagazine_official e @lagiraffacongliocchiali su Instagram. Ci impegniamo personalmente a girare i vostri consigli creativi per i nuovi occhiali a Raffa Gi. Vi aspettiamo numerosi! Cari bambini alla Prossima! Ci sentiamo presto, Giulio, Giovi, Ale e Raffa Gi La Giraffa Con Gli Occhiali #lagiraffalegge

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Musica

L’ARTIGIANO DELLA MUSICA @robertobuttus

Intervista a cura di Flavio Zanuttini Foto di Elia Ferandino di Tassotto & Max Costruire strumenti musicali non è un’operazione semplice. Sono oggetti che vengono usati per produrre arte e per questo motivo la tecnologia usata e la ricerca che ci deve essere alle spalle devono consentire una realizzazione prossima alla perfezione, tale da permettere al musicista di fare ciò che vuole senza ostacoli. I grandi produttori possono contare su grandi risorse economiche, tecnologiche e il buon nome di marchi storici. I piccoli artigiani puntano invece sulla personalizzazione del prodotto, l’abito su misura che veste perfettamente, ma certamente non manca la continua ed instancabile ricerca dell’innovazione che renda gli strumenti ancor più vicini alla perfezione. Tutto questo fa dei costruttori come Roberto Buttus, dei veri e propri artisti. La sua azienda ha sede a Nogaredo al Torre (UD) ed è specializzata nella riparazione di strumenti a fiato e nella produzione di sassofoni e trombe. Raccontaci, dove nasce la tua passione per questo lavoro e qual è stato il tuo percorso formativo? Fin da piccolo ho avuto la passione per la musica e la meccanica. Ragazzino di circa 11 anni, conobbi, a Verona, colui che successivamente divenne il mio maestro di riparazione, Italo De Bernardi, e sotto la sua guida compresi che avrei potuto unire le due passioni in questo lavoro. Dal 1981 iniziai, tutte le estati, ad andare “a bottega” dal maestro Italo. Di giorno facevo pratica di riparazione e di notte dormivo in tenda nel campeggio a Verona. La passione per la riparazione rimaneva, nonostante tutto, un mero diletto. Fu soltanto nel 1988, a seguito di un incidente sul lavoro, che presi seriamente in considerazione di trasformare le mie due passioni in un lavoro ufficiale. A gennaio del 1989 aprii il mio primo laboratorio di riparazione. Mi resi immediatamente conto di quanto fosse importante il costante miglioramento professionale. Presi così “armi e bagagli” e partii regolarmente (dal 1991 al 2001) alla volta di Parigi, seguendo corsi alla Buffet Crampon, Selmer, poi in Germania presso Keilwerth e Schreiber. Innumerevoli persone si sono rivelate fondamentali nel mio percorso di riparatore, oltre a Italo De Bernardi, ci furono Bruno Martini a Verona e tutti i maestri conosciuti a Parigi. Ho avuto l’opportunità di conoscere Monsieur René Lesieur, all’epoca capo Sviluppo e Ricerca alla Buffet & Crampon. In seguito Živan Šarčević, grandissimo costruttore serbo di fagotti, che mi ha dato un’incredibile apertura mentale unitamente a Benedikt Eppelsheim, costruttore di sassofoni speciali a Monaco di Baviera. Devo ringraziare molte persone ma soprattutto tutti coloro che quotidianamente vengono nel nostro laboratorio. Per me ogni persona, sia essa un amatore o un professionista, bambino o adulto, ha una grande importanza e ognuno di loro mi arricchisce costantemente sia professionalmente che uma80

namente. Senza il rapporto con il musicista il nostro lavoro morirebbe. Il musicista sprona il riparatore/costruttore a trovare sempre nuove soluzioni, a risolvere sempre nuovi problemi e lo aiuta ad evitare di fossilizzarsi nella propria “comfort zone”. Da suonatore a riparatore e poi costruttore, qual è l’origine dei Sequoia Saxophones? Il sax è sempre stato la passione della mia vita e nel 1997 assieme ad un amico e collega riparatore tedesco, conosciuto a Parigi durante i corsi seguiti alla Buffet & Crampon e divenuto negli anni un amico fraterno, abbiamo iniziato a pensare all’idea “folle” di costruire un nostro strumento. Da idea “folle” siamo passati alla razionalizzazione del tutto. Abbiamo sviluppato insieme un progetto e, comprendendo che, all’epoca, non ci sarebbero state le possibilità per iniziare da zero la costruzione in Europa, attraverso varie conoscenze, ho scoperto l’esistenza di una piccola azienda taiwanese (3 persone) afflitta da gravi problemi finanziari, ma con maestranze di grande competenza. Siamo entrati in società e abbiamo iniziato a creare i nostri strumenti. Ovviamente tutto quello che riguarda “far suonare lo strumento” ovvero trattamenti termici ed estrazione dei fori viene eseguito sempre e comunque solo da me personalmente. Come mai a Taiwan? Taiwan, oltre ad essere un paese con una lunga tradizione di costruzione di sassofoni, ha tutta una rete di terzisti, di produttori di singoli pezzi a cui si può attingere e di cui ci si può avvalere. Ecco perché la scelta di questo paese. L’età anagrafica avanza e l’idea di viaggiare continuamente diventa sempre più pesante, per questo, ho deciso di camminare soltanto “con le mie gambe”, mettendo a frutto le esperienze acquisite e vissute fino ad ora e di sfruttare tutte le eccellenze in campo meccanico e tecnologico che la nostra regione offre. Ecco perché assieme ai miei collaboratori abbiamo deciso di iniziare una produzione di strumenti qui in Friuli. Al momento sono stati realizzati un sax alto e uno soprano e, in progetto, un tenore e varie idee per il baritono. Vedremo nel futuro… Le trombe Savût invece sono da sempre interamente realizzate qui in Friuli. Ricerca, tecnologia ed esperienza. Questi sembrano essere gli ingredienti chiave delle trombe Savût.


FOCUS ON

Come nascono questi strumenti? Le trombe Savût, come i sassofoni Sequoia nascono da un bisogno istintivo, quasi viscerale di ricercare, esplorare nuove strade per la costruzione degli strumenti. Le trombe Savût sono nate quasi “a sorpresa”. Durante lo studio per lo sviluppo del nuovo sassofono fatto in Friuli, a cui accennavo nella precedente risposta, abbiamo preso la tromba come “via semplice” per capire e mettere in pratica i risultati di determinate ricerche effettuate, a partire dal 2014, assieme al mio collega Antonio che lavora con me in laboratorio e ad un ricercatore universitario. E’ fondamentale mettere a confronto gli strumenti della tradizione con l’innovazione tecnologica attuale, assecondare il forte bisogno di sperimentare costantemente, fare ricerca e capire cosa c’è di nuovo in campo tecnologico per rendere più performante lo strumento nelle mani del Musicista. Per poter fare innovazione devi conoscere la tradizione. I piedi devono essere piantati saldi nella storia e nella tradizione per comprendere e leggere, in chiave attuale, cosa è stato fatto, ma soprattutto per portare avanti così un discorso di innovazione. Conoscere il passato per progettare il futuro. E’ innata in me l’esigenza di una costante formazione, di studiare, di mettermi in discussione ogni giorno e non fermarmi mai con i progetti. Le nostre creazioni possiedono il nostro cuore, anima, passione, competenza e professionalità. Sono strumenti creati a mano da noi e portano persino un nome friulano, tanto forte è la nostra appartenenza al territorio. Nelle realtà produttive virtuose come questa non

sono solo la ricerca e la competenza a contribuire alla crescita, un ruolo fondamentale lo giocano le persone. Chi sono i tuoi collaboratori? Personalmente, quando mi ritrovo a spiegare a qualcuno cosa faccio, parlo sempre al plurale, non perché voglio darmi del noi, ma perché mi sento orgogliosamente parte di una squadra che mi supporta e sopporta. E’ una squadra meravigliosa fatta di persone (Antonio, Cristina e Luca) che sono la mia famiglia, dei fratelli ed una sorella, con i quali condivido questo sogno. Sono persone che, come me, credono in questo progetto e che hanno un ruolo fondamentale, per la mia crescita umana e professionale. Ognuno di loro, come me, ha le proprie peculiarità e caratteristiche, i propri punti di forza e le proprie debolezze. E’ il mix di questa varietà che ci permette di creare, strumenti particolari, oserei dire unici. Noi ci divertiamo mentre lavoriamo. Trascorrere ore assieme a persone con cui non si sta bene, non è qualità di vita, diventa pesante, difficile invece io, al mattino, non vedo l’ora di venire a lavorare e incontrare i miei colleghi; assieme a loro mi sento felice, fiero di quanto realizziamo quotidianamente. Roberto Buttus Sequoia Saxophones & Savût Trumpets Via Remis 2/a 33050 San Vito al Torre (UD) T. 0432 997213 www.buttus.it 81


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Teatro

TEATRO STRUMENTO POLITICO @aidatalliente di Aida Talliente

Il teatro, come ogni forma d’arte, va a toccare le corde più intime e profonde della natura umana, quelle parti in cui risiedono le emozioni: le gioie, i dolori, le paure, le rabbie, dunque tutto ciò che mette a nudo la fragilità della persona; fragilità che porta con sé un grande bellezza. E di persone è fatto questo mestiere, dell’incontro tra le persone che può avvenire in diversi luoghi e in diverse modalità. Può accadere in un teatro, magari proprio dopo uno spettacolo ma anche in contesti diversi, più complessi, a volte drammatici. Sono anni che scelgo di lavorare non soltanto in teatro ma anche in alcune di queste situazioni: in Brasile con gli indios e i Sem Terra, in Africa con le ex ragazze soldato della Costa d’Avorio e negli ultimi anni, con alcuni amici e colleghi, in molti campi profughi d’Europa (Serbia, Bosnia, Grecia, fino al confine con la Syria). E sono tante le persone incontrate, tante le esperienze vissute sulla propria pelle, tante le relazioni tuttora molto preziose e più il tempo passa più si rafforza in me la certezza di quanto sia potente e necessaria questa materia perché è uno strumento di relazione, di educazione, d’informazione, di lotta, di protesta e di memoria oltre ad essere portatore di bellezza e di speranza. Se dovessi tradurre in forma concreta la frase: “Scegliere da che parte stare” direi che questo è lo strumento che ogni giorno mi permette di scegliere dandomi la possibilità di raccogliere e raccontare storie. 82

Siamo circondati da storie ma sempre di più è necessario comprendere quali sono le storie che vale la pena raccontare e come farlo, per costruire una realtà migliore. Per me le storie sono la vita delle persone: i loro volti, gli occhi, le parole che rimangono dentro. Mettersi addosso la “vita” di qualcun altro richiede una grande responsabilità perché si attua un’operazione sulla memoria, in qualche modo si diviene memoria e bisogna esserne consapevoli così come dobbiamo essere consapevoli che il tipo di strumento utilizzato è politico. Mi capita a volte, dopo uno spettacolo, di percepire una commozione profonda e dunque un cambiamento, perché qualcosa è andato a toccare alcune corde intime dell’animo. Questo accade in teatro ma anche in altre situazioni grazie al teatro. Come esempio prendo proprio i campi profughi dove i bambini, quando vedono degli spettacoli, iniziano a ridere e a gioire e la loro giornata, seppur in minima parte, in qualche modo cambia, perché accade che nell’inferno in cui vivono si apre una “finestra” che inferno non è. La mia responsabilità come persona, come donna, come attrice, è fare in modo che quella finestra si allarghi sempre più e si nutra di bellezza perché è ciò di cui tutti noi abbiamo bisogno. E quando il teatro (e chi lo fa) riesce a portarci in questa dimensione, allora significa che si tratta di un buon attore e di un buon teatro.


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In libreria

I CONSIGLI DEL LIBRAIO @libreria_tarantola_1904 di Giovanni Tomai - Libreria Tarantola di Udine “Conoscere il vino”, Francesco Scalettaris e Gio Di Qual (Becco Giallo, 2021) Che cos’è “Conoscere il vino”, il libro di Francesco Scalettaris e Gio di Qual? Un manuale tecnico per approfondire la conoscenza del mondo del vino? Un saggio irriverente? Un fumetto? Tutto questo insieme, sapientemente distillato nelle 143 pagine di questo volume uscito da pochissimo per l’editore Becco Giallo. Infatti ci troviamo davanti al primo manuale a fumetti che insegna in modo chiaro e semplice come si assaggia e come si abbina il vino al cibo; il volume contiene inoltre informazioni, segreti e consigli per avvicinarsi al mondo dell’enologia. I due autori creano una trattazione tecnica e minuziosa che riesce nell’impresa di non prendersi troppo sul serio senza scadere nella sua qualità, con i testi di Francesco, Sommellier, che si abbinano perfettamente ai disegni di Gio proprio come un buon vino è il perfetto complemento a un gran piatto. Mi piace proporre questo vino, pardon, questo libro perché ha la capacità di raccontare il mondo dell’enologia in maniera chiara, articolata e non banale aprendolo ad un pubblico più ampio e meno specializzato. É una modalità di raccontare una terra, un percorso, un microcosmo che sta finalmente prendendo piede qui da noi. Per questo provo a fare anche io il Sommelier di libri, e vi consiglio di abbinare a questo volume anche la lettura di “Storie di vino e di Friuli Venezia-Giulia” di Matteo Bellotto (Biblioteca dell’Immagine, 2019). Potrete consumarli entrambi anche a stomaco vuoto, ma non dimenticateli in cantina: temono l’umidità.

“La via del Torre. Il fiume delle sorprese tra forre, anfratti, grotte e grave”, Cristina Noacco (Ribis Edizioni, 2021) Se si volesse applicare l’etichetta di “scrittrice di viaggi” a Cristina Noacco di sicuro non si sbaglierebbe, ma sarebbe una definizione riduttiva. Docente di Letteratura francese del Medioevo all’Università di Tolosa, fuori dalle mura accademiche Cristina è davvero sempre in cammino, esplorando non solo i territori, ma le loro origini e radici alla ricerca di quella che è in definitiva l’anima profonda di un luogo. Come viaggiatrice dello spirito ha raccontato le sue esperienze in vari libri fra cui “La forza del silenzio”, “Lo zaino blu”, “Sul filo delle creste. Da un capo all’altro della Corsica”. e “I segreti del Tagliamento”, in cui ci racconta della risalita del principale fiume friulano. Ed è nuovamente l’acqua il centro del suo ultimo libro, “La Via del Torre, Il fiume delle sorprese tra forre, anfratti, grotte e grave” per i tipi delle Edizioni Ribis, che scorre tumultuosa in questo volume impreziosito da un ricco apparato fotografico. Alle parti dedicate alle caratteristiche ambientali e geologiche del Torre, Cristina aggiunge le sue emozioni personali; con il corso del fiume si intreccia infatti anche la vita dell’autrice, cresciuta lungo il suo corso (è nata infatti a Cortale). Insomma questo libro diventa l’occasione per un’esplorazione interiore, oltre che geografica. Questo viaggio lungo il fiume e dentro sé stessa, dalla sorgente alla confluenza con l’Isonzo e poi al mare, ha in sè una vena poetica che si palesa nei brevi versi con cui l’autrice intermezza la prosa. Un libro caleidoscopico che spazia tra i vari strumenti della scrittura: forse l’unico modo per capire, profondamente, un territorio come il nostro. 83


““Humanification” è il termine che mi ha ispirato durante questo ultimo anno. A causa del COVID ci siamo allontanati ma, io, con il mio brand We-re®, voglio tenere fede al mio concetto di partenza: “we are”, in inglese, “noi siamo”. Voglio che la mia idea, nata dalla mia esperienza, a tutti gli effetti provata sulla mia pelle, si rivolga ad un pubblico più ampio, ad un “NOI”, per riportarci ad una dimensione più umana. I prodotti in circolazione non erano pensati per un utilizzo quotidiano, di massa, lo scopo sì, ma senza un occhio di riguardo alla pelle del consumatore. We-re® igienizzante è, invece, la risposta più vicina alle esigenze di tutti noi, quasi una crema, un prodotto che si usa volentieri e senza controindicazioni, più “umano”, quindi.” Andrea Birri - CEO We-re ®

Parliamo con Andrea Birri, ideatore del brand We-re. Come nasce l’idea di un gel igienizzante? Da molti anni mi muovo nel settore dell’immobiliare. We-re è nata così ma non ha mai voluto essere solamente questo. Lo scorso anno, in piena pandemia, mi sono trovato ad utilizzare, come tutti, i gel igienizzanti. Ho notato sin da subito la scarsa qualità dei prodotti in circolazione, dai gel che lasciano residui sulle mani, odori fortemente chimici e, soprattutto, rovinano la pelle delle nostre mani. Ho fatto molte ricerche e non sono riuscito a trovare dei prodotti che fossero all’altezza delle mie aspettative. Da qui nasce l’idea: LO CREO IO! Come sei riuscito a creare il tuo gel? Ho girato mezza Italia ma nessuno riusciva a fare il prodotto che volevo io. Allora mi sono scervellato e...sapevo che c’era la soluzione...eccola: conosco un alchimista, Simone Maion, ne ho parlato con lui e gli ho chiesto di aiutarmi a trovare chi potesse risolvere la situazione. Le linee guida erano le seguenti: utilizzare solo ingredienti naturali, che il gel avesse un gradevole profumo d’arancio e che il colore rispecchiasse quello arancione che caratterizza il brand We-re®, insomma renderlo unico. Ci tengo molto a sottolineare che il prodotto è elitario, di certo non tra i più economici sul mercato (questo dovuto all’utilizzo di alcohol alimentare). Poi ho depositato il brevetto. Il gel We-re igienizzante è, quindi, un prodotto cosmetico di alta qualità, basato su scelte ecosostenibili e totalmente prodotto in Italia! Quale è stato il riscontro? Ho voluto inizialmente pensare di farlo testare, di contare sul passaparola per esperienza diretta. E così è stato. Ho da subito ricevuto ottimi feedback, sul nostro sito e sui nostri canali social trovate moltissime testimonianze di chi lo ha

testato. Le presone si sono fidate, anche se, inizialmente, mi davano del pazzo! Ho iniziato a produrre flaconi da 100 ml, adatti ad essere portati in borsa, tenuti in auto o nel borsello. Ora, visto il riscontro, sto pensando di mettere sul mercato anche i flaconi con dispenser da 500 ml, per uffici aperti al pubblico e/o attività commerciali. Dove possiamo trovare il tuo gel? Mi sono detto: “Bene, il prodotto c’è, e adesso? Mi mancano le competenze per la vendita online, devo trovare qualcuno che le abbia, una mente giovane che lo fa per professione...mi viene in mente una persona, la chiamo: “Gabriii, ho inventato un prodotto fighissimo, ti va di fare società con me?” Lo vado a trovare, gli faccio testare il prodotto...ed eccoci qui!”. Chi è Gabriele? Gabriele Pettenò si è subito dimostrato entusiasta dell’idea e mi ha aiutato ad aprire il sito per la vendita del prodotto. Gli ordini sono arrivati anche dall’estero e il riscontro sul mercato è stato subito molto soddisfacente. Sul sito potete trovare tre offerte lancio per l’estate, basta inquadrare il QRcode e ti verrà riservato un prezzo accattivante! Stiamo anche lavorando sul packaging che ricorderà delle scatole di cioccolatini, come quelle che sono ormai entrate nell’immaginario di tutti noi, ottime anche per un bel regalo. “Non credo al caso, credo nel far accadere le situazioni!”

igienizzante.we-re.it igienizzante@we-re.it FB: We-re Igienizzante IG: igienizzante.we.re


® igienizzante

Foto: Elia Falaschi


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SVEVA CASOLINO

MARTINA CORRUBOLO

Nata a Udine nel 1994, si laurea in cinema al DAMS di Bologna nel 2018. Da sempre appassionata di cinema, grazie alla partecipazione al percorso di formazione cinematografica Armani Laboratorio a Milano, si specializza come truccatrice cinematografica. Negli ultimi anni, lavora come truccatrice per svariati film, serie tv e pubblicità. Attualmente lavora tra il Friuli e Milano. @svecasolino

Figlia d’arte, sin da piccolissima si appassiona all’hairstyling e dopo diploma e università si dedica totalmente al mondo dei capelli. Dopo varie esperienze e accademie prestigiose, vince alcune fra le più importanti competizioni internazionali. Negli anni si è specializzata anche nel servizio Wedding Hair and make up. Lavora con passione da Bobo parrucchieri a Udine. @martindependent

CRISTIAN CECCHINI

Barbiere di terza generazione, all’età di 16 anni muove i primi passi nella barberia di famiglia, Salone Silvano, che attualmente gestisce col fratello. Docente dell’Accademia Proraso, sempre alla ricerca di nuove ispirazioni e idee per valorizzare i servizi in salone e soddisfare le esigenze del cliente. @barbercec_cristian

GLORIA BUCCINO

Laureata in Architettura per il Nuovo e l’Antico allo IUAV di Venezia e specializzata in Project Management per il settore delle costruzioni, ottiene il ruolo di Site Engineer in un grosso cantiere nel settore delle infrastrutture ma, dopo un workshop di architettura sociale con il team dello studio danese “Emergency Architecture and Human Rights”, in Nepal, decide di cambiare letteralmente strada e inizia a lavorare nel campo dell’editoria, della grafica, del design e dell’arredamento.

SAMIA LAOUMRI LA GIRAFFA CON GLI OCCHIALI

Collettivo formato da tre amici uniti dalla passione per la musica e la lettura: Giulio Freschi, maestro elementare e voce narrante; Giovanni Grisan, musicoterapeuta, chitarra e voce narrante; Alessandro Ranciaffi, cajon. Il collettivo si occupa di promozione della lettura per l’infanzia, coinvolgendo i bambini in ambienti diversi: librerie, biblioteche, associazioni culturali, book cafè e scuole. All’attività di lettura si accompagna la recensione via web di libri e albi illustrati per l’infanzia e la collaborazione con alcuni autori e illustratori. @lagiraffacongliocchiali

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Conseguiti gli studi preso l’Accademia Nazionale del Cinema di Bologna, si sposta a Milano, affermandosi in poco tempo nel mondo della Moda. Abolito il cliché della make-up artist che gioca con i trucchi della madre fin da bambina, Samia intraprende un percorso ben diverso, fatto di studi e collaborazioni nel campo della medicina estetica dall’azienda COSMECEUTICS, passando per RM Project, leader nel settore Hairceutico che utilizza polveri naturali di origine alimentare che ristrutturano e colorano il capello. @samialamua


CONTRIBUTI

JESSICA ZUFFERLI

Fotografa e Content Creator. Attraveso l’utilizzo di strumenti come siti web, blog e social network, mi occupo di progettare strategie e calendari editoriali per aziende, realtà turistiche e privati, al fine di accrescere la loro presenza online grazie alla condivisione di contenuti di qualità. Li affianco infatti nella scrittura di contenuti creativi (copywriting) e nella produzione di fotografie e video. @jessicazufferli

MANLIO BOCCOLINI

Quarta generazione di una famiglia di commercianti cividalesi, respira moda dalla nascita. Entra presto in contatto col mondo di Vogue Italia e Franca Sozzani. Con lo pseudomino di MANLIO B. viene selezionato come free contributor per varie attività della testata (Vogue Encyclo, Live on Vogue Pitti, “Love your age” di Lancome, Dream Photo Contest Illy). Un fashion lover e consulente immagine, impegnato anche in attività di scouting di nuovi talenti e brand emergenti. @manlio31166

GIOVANNI TOMAI

Libraio presso la libreria Tarantola di Udine nell’ultima parte dei suoi cento e più anni di storia. Legge un po’ di tutto, soprattutto saggistica storica e locale, narrativa e libri di cucina, che applica con scarso successo. @libreria_tarantola_1904

SABRINA PELLIZON

SEBASTIAN LASPINA

Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Udine, si specializza in Dermatologia e Venereologia presso lo stesso ateneo. Ottiene il Master S.I.D e. M.A.S.T. in Dermochirurgia, presso la Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Siena. Nel 2009 consegue il Dottorato di Ricerca in Scienze e Tecnologie Cliniche presso la Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Udine. E’ dottore di riferimento presso la Lega Tumori per la prevenzione dei tumori della pelle di Udine. @centrolaserdott.laspina

Nata, vissuta e cresciuta nelle terre bagnate dal fiume Isonzo, muove i suoi passi come tour leader tra FVG, Veneto e Carinzia per poi diventare Guida Naturalistica/ Ambientale Escursionistica regionale in italiano, tedesco e inglese. Ama accogliere, ospitare, informare, stupire, coccolare ed accompagnare i visitatori alla scoperta della nostra regione, comunicando il valore di queste terre e mostrando ciò che di curioso ed originale riservano a chi vuole esplorarle in modo autentico. ecoturismofvg.weebly.com 87


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FLAVIO ZANUTTINI

E’ un musicista estremamente versatile che non trova mai pace nella ricerca di un suono ed una poetica personali. Dopo una formazione jazz e classica svolta tra Italia e Germania, attualmente si dedica all’insegnamento e alla musica di ricerca. Ha pubblicato due dischi a suo nome ed è presente in più di trenta album come sideman. @flavour.flavio

AIDA TALLIENTE

Attrice friulana diplomata all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “S. D’Amico” di Roma. Ricercatrice di storie, autrice e interprete di numerosi spettacoli che nel corso degli anni le hanno valso diversi riconoscimenti. Collabora inoltre con musicisti, registi, compagnie del territorio e di tutta Italia. Collabora con diverse radio e case editrici regionali e nazionali come lettrice ed interprete. www.aidatalliente.it

MELANIA LUNAZZI

Storica dell’arte e giornalista freelance scrive di cultura, arte e montagna. Ha dedicato una mostra, diversi libri e un lavoro teatrale alla riscoperta di pionieri delle Alpi del Nord Est: Napoleone Cozzi, Belsazar Hacquet e le sorelle Grassi. Frequenta la montagna in ogni stagione e dal 2016 cura la comunicazione del Soccorso Alpino e Speleologico del FVG. @mellun71

I NOSTRI FOTOGRAFI

JESSICA ZUFFERLI

MASSIMO CRIVELLARI

Fotografo professionista da oltre 20 anni, si occupa prevalentemente di architettura, interni e processi industriali. Ha all’attivo collaborazioni con riviste nazionali e internazionali e segue svariati studi di architettura in Italia e all’estero. Numerose le collaborazioni con aziende di livello internazionale per la documentazione e la realizzazione dei loro Company Profile. Oltre all’attività commerciale, ha pubblicato volumi fotografici con Magnus, LEG, Biblos ed altri. Parallelamente si occupa attivamente di ricerche fotografiche nel campo del paesaggio urbano ed antropico, con all’attivo molte mostre personali e collettive. È stato vincitore del premio Friuli Venezia Giulia Fotografia del CRAF di Spilimbergo. Attualmente sta documentando le interazioni tra l’industria dello sci e il paesaggio montano. Vive in comune di Prepotto UD. @crivefoto 88

Fotografa e Content Creator. Attraveso l’utilizzo di strumenti come siti web, blog e social network, mi occupo di progettare strategie e calendari editoriali per aziende, realtà turistiche e privati, al fine di accrescere la loro presenza online grazie alla condivisione di contenuti di qualità. Li affianco infatti nella scrittura di contenuti creativi (copywriting) e nella produzione di fotografie e video. @jessicazufferli


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Trimestrale di lifestyle e cultura del territorio del Friuli Venezia Giulia

Anno VI° numero 25. Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Udine il 14 maggio 2007, n. 16 Iscrizione R.O.C. n. 34217 del 14/5/2020

Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione totale o parziale di testi, fotografie, marchi e loghi non è consentita.

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COLLABORATORI Manlio Boccolini, Martina Corrubolo, Dott. Sebastian Laspina, Dott.ssa Silvia Codogno, Cristian Cecchini, Jessica Zufferli, Gloria Buccino, Samia Laoumri, Sabrina Pellizon, Melania Lunazzi, Aida Talliente, Giovanni Tomai, Flavio Zanuttini, Sveva Casolino, La Giraffa con gli Occhiali. FOTOGRAFIE Jessica Zufferli, Massimo Crivellari, Giammarco Chiaregato, Marckus Milo, Valentina Gremese, Manlio Boccolini, Alida Cantarut, Nale Michela Photography, Giordano Garosio, Tim Howell, Fabio Papalettera, Max Ranchi, Paola Pisani, Diego Petrussi, Claudio Rossi, Elia Ferandino di Tassotto & Max, Elia Falaschi, Alina Brag, Ambra Cautero. Se non diversamente indicato, sono dovute alla cortesia degli autori dei testi o degli intervistati e/o delle persone degli enti di riferimento/ provenienza e/o dalla redazione.

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Ph: Massimo Crivellari

Il Centro Laser Dermatologico è una struttura medica specializzata dove operano professionisti altamente qualificati nell’ambito delle TERAPIE LASER, della DERMATOLOGIA, della MEDICINA ESTETICA e della CHIRURGIA PLASTICA.

Grazie alla nostra equipe multidisciplinare siamo in grado di offrire un APPROCCIO OLISTICO alla salute della vostra pelle, dalla prevenzione, alle terapie antiaging, passando, ove necessario, alle terapie mediche per la cura delle patologie.





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