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di Gloria Buccino

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MAX RANCHI

Intervista a cura di Gloria Buccino foto di Max Ranchi e Paola Pisani

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Mi trovo nella bella e storica piazza di Tolmezzo, fa molto caldo ma il cielo minaccia un cambio repentino del tempo. Al tavolino di un bar ho appuntamento con Max Ranchi, noto fotografo di regate originario di Trieste e, ora, montanaro per scelta. Ho letto qualcosa su di lui e visto qualche foto sul suo sito, degli amici me ne hanno parlato ma sono un poco emozionata e non so bene come rompere il ghiaccio. Parto dalla domanda più banale che mi viene in mente: “Max, come hai iniziato a fare il fotografo di regate?” Max, con estrema calma e precisione mi ripete la sua storia, forse raccontata già molte volte nell’arco di altre interviste. “Ho iniziato quando facevo il militare in montagna, mi sono fatto regalare la mia prima macchina fotografica e ho iniziato a fare delle foto. Poi sono tornato a Trieste, mia sorella all’epoca stava con lo skipper Stefano Spangaro, io ero diventato bravo e lui mi chiese di fare qualche foto durante le uscite in barca. Degli amici mi avevano suggerito di andare alle Hawaii, si trovava lavoro facilmente e io sono partito con pochi dollari in tasca...ho lavorato in pizzeria e come assistente ad un fotografo di sport per quasi due anni. Stavo facendo progressi ma mi era stato consigliato di fare il college. Dalle Hawaii avrei dovuto trasferirmi in California, dove i college erano troppo costosi...e così, sono finito a Londra. Avevo trent’anni, studiavo e continuavo a fotografare barche e acqua.” Max sorride, raccontando con naturalezza un percorso di vita tutt’altro che comune! “Mentre ero al college avevo avuto la possibilità di fare qualche foto alla partenza del giro del mondo (Whitbread Ocean Race) da Southampton e iniziavo ad avere qualche conoscenza nell’ambiente delle regate. Con Cino Ricci (ndr. noto velista e skipper di “Azzurra”) ho iniziato a fare il fotografo al suo giro d’Italia a vela, come freelance, all’inizio. Si usava il rullino, le foto andavano sviluppate subito dopo le regate, dopo averle fatte scegliere dai negativi alle varie riviste internazionali di settore. Ce n’erano circa una trentina all’epoca. Andava tutto fatto molto in fretta, le foto andavano spedite via posta il più presto possibile. Ora è tutto diverso. Le riviste di vela sono diminuite e molto materiale viene pubblicato solo online. Spedire le foto è certamente più facile ma, con l’avvento del digitale, si allungano i tempi della selezione delle stesse, dal momento che se ne scattano molte di più. Molti team e organizzazioni, però, premono per avere le foto in tempo reale, per poterle pubblicare sui propri social network, per una condivisione immediata.” “Come vengono organizzate le tue giornate?”, chiedo a Max, curiosa di capire come si svolga questo singolare lavoro.

“Gli ingaggi sono vari, spesso le regate vogliono un fotografo ufficiale. Vengo chiamato in tutto il mondo, per tipi di gare anche molto diverse tra loro. Di solito si è ospiti di qualche circolo velico dove si trova anche la sala stampa dedicata a giornalisti e fotografi e dove si svolgono tutte le attività collaterali di una regata (feste, cene, convegni, attività per le famiglie, ecc...). La sala stampa è la base di lavoro, poi, per le foto, si esce in mare, su gommoni messi a disposizione per la stampa o dai singoli team. Le regate durano cinque giorni, con rientro di domenica. Una volta sul gommone, a volte si deve aspettare che ci sia il giusto vento affinchè la prova possa partire, poi si inizia a seguire la corsa delle barche.” “Immagino che chi guida il gommone debba essere

una persona preparata e di fiducia, che ti aiuti a rag-

giungere lo scatto che vuoi...”, chiedo ingenuamente. “Certamente! I driver migliori sono gli ex coach, sanno come si muovono le barche, conoscono il mare e sanno prevedere i movimenti, sono rispettosi delle distanze per non interferire con la regata e non creare disturbo in uno spazio d’acqua che solitamente è anche troppo affollato di spettatori e altre barche dei vari team o dell’organizzazione ma sanno anche avvicinarsi, se necessario, con discrezione e competenza. Sul gommone siamo in più persone, tra fotografi e assistenti...sì, usiamo anche i droni ma spesso rischiano una brutta fine!”, termina sorridendo, anticipando la mia domanda. “Che macchina usi e come proteggi la strumentazione mentre sei in mare?” “Uso una Canon con obiettivo da 200 a 400 mm con moltiplicatore focale 1,6X. Tengo tutto in un trolley a tenuta stagna che, in caso di caduta in acqua, galleggia.” “Quali sono gli scatti che cerchi?” “Cerco di non interferire con la situazione, mi piace mostrare l’azione, gli equipaggi concentrati e l’atmosfera di competizione. Se c’è poco vento, per rendere questo aspetto dinamico, mi avvicino e fotografo l’equipaggio mentre svolge le manovre, se c’è tanto vento, invece, prediligo scatti più da lontano, dove la potenza delle barche e del mare emerga maggiormente, mostrando le vele, gli spruzzi e le onde. Tra le regate più belle che ho fotografato, ricordo sicuramente quelle di Cascais in Portogallo, in oceano, con onde, correnti che cambiano repentinamente e fortissime escursioni termiche e poi quelle sui laghi, a St. Moritz e sul lago di Garda, che offrono la possibilità di fare foto anche da terra, con le montagne sullo sfondo. Un ambiente molto diverso.” Sono affascinata, chissà quanti aneddoti avrà da raccontare e quante persone e luoghi avrà conosciuto e visto! Chiedo a

Max di raccontarmi qualche storia curiosa e gli faccio qualche domanda a bruciapelo.

“Ho vissuto in America, in Australia e in Nuova Zelanda, ho viaggiato ovunque e posso dire che di storie da raccontare ne ho molte. Nei circoli, in occasione delle regate, si incontrano personaggi curiosi, spesso famosi e, in genere, appartenenti all’èlite mondiale.” “Sai andare in barca a vela?”, chiedo, curiosa. “Non ho mai fatto corsi di vela, non ho la patente nautica. Ho aiutato come membro dell’equipaggio in alcuni trasferimenti di barche da un porto all’altro e ho partecipato a qualche regata...ma non andrei mai a fare una vacanza in barca a vela!” mi racconta, ancora, lasciando trasparire altre passioni e, allora, faccio la domanda che forse si aspettava più di tutte: “Mare o montagna?” “Ho l’ufficio al mare e l’abitazione ai monti!”, ride, con lo sguardo che si illumina mentre guarda verso i monti che circondano la vista dalla piazza di Tolmezzo, “Mi piace fare legna, tagliare l’erba, guardare il paesaggio, andare in montagna. Ho lavorato, solo lavorato, per dieci anni, e ho deciso di fermarmi in Friuli. Cercavo una casa e ho trovato una “baracca” da sistemare a Gracco, frazione di Rigolato. Era perfetta! Dal momento che il mio lavoro si concentra principalmente nei mesi estivi, da ottobre ad aprile mi ritrovo spesso fermo... sistemare quella casa mi ha dato entusiasmo e ho avuto tutto il tempo di restaurarla da solo, per quanto riguarda le parti in legno, e con l’aiuto di qualche amico per le parti impiantistiche.” “Un po’ fuori mano per uno che deve muoversi così spesso in aereo...”, affermo, dopo che Max, con orgoglio e passione, mi ha raccontato dei lavori fatti durante la sistemazione. “No affatto, dal momento che la maggior parte degli aerei che prendo partono da Venezia, la strada che avrei dovuto fare da Trieste e quella da Gracco, mi portano via più o meno lo stesso tempo.” “Che cosa fai quando sei fermo in montagna?” “Lavoro alla casa, nel prato, come dicevo. Ho sistemato sentieri, ho organizzato gare di bici per velisti e vado a camminare

in montagna. Quando ho fatto il militare ho preso il brevetto come istruttore di sci e roccia, poi non ho arrampicato né sciato per anni e, quando mi sono trasferito a Gracco, ho ripreso a frequentare l’ambiente. Ho salito molte cime tra Alpi, Georgia, Turchia e altre zone e sto progettando altre scalate.” Chiedo, per curiosità: “Fai foto anche in montagna?” “La macchina fotografica pesa e non è molto pratica da portare in montagna, soprattutto quando si fanne gite lunghe e servono anche sacco a pelo, picozza, ramponi, viveri... Mi capita piuttosto di fare delle gite mirate, per fotografare magari un tramonto da un punto preciso o una vista particolare, ma sono foto che faccio per me.” Max mi ha raccontato davvero molte cose interessanti, è stata una bella chiacchierata, ma la cosa che più mi ha colpita è stata la sua scelta di trovare il suo spazio in un mondo che è diametralmente opposto a quello che ha frequentato per la maggior parte della sua vita. Una scelta di vita, questa, naturale e serena e che Max racconta con gli occhi che improvvisamente si illuminano di un misto tra gioia e profonda devozione verso quel luogo che ha voluto crearsi, tra le montagne, così lontano dalle vele che ha iniziato a fotografare, quasi per caso, molti anni prima.

VIAGGIO TRA I SAPORI DELLE MALGHE DI SAURIS

Sebastiano Crivellaro, l’affinatore di formaggi

Testo a cura di Melania Lunazzi - foto di Massimo Crivellari

Nella sua posizione al tempo stesso appartata e privilegiata, con un territorio incastonato tra la Carnia occidentale e il Cadore, Sauris offre paesaggi e scenari che la rendono unica nel contesto delle località di montagna della nostra regione. La sua unicità è legata alla cultura e alla lingua, così vicine a quella delle popolazioni germanofone delle aree montuose a cavallo tra Austria e Pusteria - come avviene a Sappada - alle sue architetture, al suo artigianato e naturalmente alle tradizioni. Tutti elementi innestati in un ambiente di media montagna con altipiani verdeggianti e pianori aperti e ricchi di piante ed erbe officinali che offrono a chi la visita, anche da un punto di vista escursionistico, un approccio relativamente dolce, semplice e contemplativo. Non a caso Sauris con la sua altitudine di 1212 metri sul livello del mare ha vantato da sempre un primato di altitudine come sede del comune più alto del Friuli Venezia Giulia, fino all’ingresso nella nostra regione di Sappada (1245 metri slm) che glielo ha sottratto, anche se, è bene ricordarlo, la frazione di Sauris di Sopra arriva da sola a toccare in certi punti i 1400 metri di quota. A differenza di Sappada però Sauris rimane una località “lontana” e “sospesa”, sia nello spazio che nel tempo, quasi un luogo da ritiro spirituale, distante da altre vallate, la Val Tagliamento a sud e la Val Pesarina a Nord, e con un’unica strada di accesso, a tratti stretta e tortuosa. Questa sua sospensione la rende un paradiso di silenzi e bellezze, dove la natura offre al viaggiatore curioso gli spazi giusti per rigenerarsi nei boschi da un lato, dall’altro per avvicinarsi anche alla pratica dell’alpeggio, grazie alla presenza di pascoli aperti e soleggiati, dove da secoli il bestiame allevato più a valle trova per quattro mesi all’anno, da giugno a settembre, l’opportunità di nutrirsi all’aria aperta di profumate erbe alpine.

Per immergersi nella vita di malga e conoscere le pratiche che portano alla produzione di formaggi meravigliosi c’è l’imbarazzo della scelta tra le malghe esistenti: Malìns, Vinadia Grande, Pieltinis, Novarzutta, Gerona, Losa, Valuta, Monteriù tra le altre. Al piacevole sottofondo di accompagnamento, con campanacci, muggiti, rumore di mandibole che ruminano e con allegre code che volteggiano per allontanare insetti molesti o tonfi di zoccoli che pestano la terra, molte di queste malghe offrono la possibilità di degustazioni sul posto durante tutta la stagione dell’alpeggio. E naturalmente anche la possibilità di acquisto diretto di prodotti caseari freschi, dal burro alla ricotta ai formaggi. Volendo c’è anche un percorso ad anello di ventidue chilometri che le tocca, ad una ad una, se si è disponibili a mettersi in cammino per raggiungerle immergendosi nelle ore più fresche tra morbide dorsali, altipiani, avvallamenti e sinuosità a perdita d’occhio.

Il fascino di Sauris ha letteralmente avvinto Sebastiano Crivellaro, padovano classe 1972 che da più di vent’anni l’ha scelta come luogo elettivo dove intraprendere un mestiere davvero raro, legato a stretto filo proprio con i pascoli e la monticazione, quello dell’affinatore di formaggi. “Sì - conferma Crivellaro - faccio un mestiere difficile e raro: in Italia siamo circa una trentina. E, a titolo di paragone - sottolinea con velato compiacimento, ma senza presunzione - vorrei aggiungere che in Francia la figura dell’affinatore è quasi venerata! (basti pensare a quanto siano pregiati e cari i formaggi francesi, ndr)”. Crivellaro veniva da ragazzo a Sauris con la famiglia in vacanza, da vero cittadino con la seconda casa in montagna: “”Consumavo” montagna come sportivo, facevo

anche gare di corsa in montagna per un certo periodo, poi la scelta di aprire qui la mia attività legata alla stagionatura dei formaggi e il graduale definitivo cambiamento, anche interiore. Ora mi sento un vero montanaro: vivo la montagna tutto l’anno, con i suoi ritmi e le sue bizze meteorologiche, con la bellezza dei suoi silenzi e senza l’assillo e la pressione di auto, vicini rumorosi, semafori. E invece dello “stress” da attività sportiva competitiva a tutti i costi nel tempo libero dal lavoro cerco semplici passeggiate nella natura.” Il lavoro di affinatore richiede impegno costante e, pur legandosi a doppio filo con l’attività estiva delle malghe, a cui Sebastiano attinge per rifornirsi di formaggi, si sviluppa lungo tutto l’arco dell’anno con il controllo costante dei prodotti che proseguono la loro stagionatura in cantina. Forse sarebbe più opportuno parlare di “percorso vitale” che compiono i formaggi, che Crivellaro considera vere e proprie creature da seguire nella loro crescita. “Il processo di affinatura è una questione molto delicata. Una volta che il formaggio esce dalla malga va seguito a passo a passo e monitorato: ogni formaggio ha il suo “carattere” e se non lo si controlla periodicamente può incattivirsi o sviluppare aspetti poco piacevoli, proprio come un bambino trascurato”. Questo perché si tratta di formaggi prevalentemente a “latte crudo”, senza pastorizzazione ovvero senza quel trattamento termico che consente di stabilizzarli eliminando la connaturata presenza di batteri che ne possono compromettere e alterare la struttura nel tempo. Il lavoro dell’affinatore permette ai formaggi di malga, privi di trattamenti, di “diventare adulti” ed essere mangiati anche a diversi mesi - anche anni! - di distanza, ottenendo una stagionatura che difficilmente un formaggio di malga potrebbe acquisire una volta portato via dal luogo in cui è nato. E’ per questo che Sebastiano li porta con sé, nel cuore di Sauris di Sotto, all’interno della sua cantina, non a caso denominata Malga Alta Carnia, con una sorta di omaggio alla sua provenienza che non è solo formale, ma di sostanza.

Quello dell’affinatore non è un mestiere che si può improvvisare, ci vuole pazienza ed esperienza, proprio come quello del genitore. “Faccio questo lavoro con passione. Mi sento in qualche modo un privilegiato, anche se l’impegno è notevole e continuo. Però mi pare in qualche modo di inserirmi in un processo naturale, di accogliere e valorizzare qualcosa che ci offre la natura, con i suoi ritmi lenti, la sua cura e la sua selettività. Certamente il territorio e la sua posizione aiutano moltissimo. I pascoli di Sauris sono alti e sono sempre esposti al sole: questo permette a fiori e erbe di sviluppare carotene e terpeni. Il carotene conferisce al formaggio il colore e i terpeni il sapore, con sfumature e accenti che variano di anno in anno, di mese in mese e di malga in malga. La natura ha già predisposto tutto: noi non dobbiamo far altro che accogliere e cercare di beneficiare di questa fortuna data dalla posizione. A Sauris c’è una eccezionale biodiversità naturale”.

Avete presente quando comprate il formaggio al supermercato e chiedete il vostro “latteria” preferito? E’ probabile che chiediate quel tipo di formaggio, con quella determinata stagionatura, perché probabilmente vi aspettate di incontrare un certo tipo di sapore che riconoscerete e non vi darà sorprese. Ebbene con i formaggi di malga avrete sempre un sapore diverso e ogni volta dovrete riadattare le papille a nuove esperienze perché ogni volta ci sarà una sfumatura nuova, dettata dalla mescolanza di fioriture ed erbe di quell’annata, dall’altitudine della malga, dalla razza degli animali e così via ed è questo il bello del formaggio di malga. Ma si potrebbero determinare e definire le caratteristiche di una zona come appunto, quella dei pascoli di Sauris? “In teoria sì, ma in pratica è molto difficile, perché le variabili sono davvero troppe. Ci hanno provato con la Robiola di Roccaverano, ma gli animali dovrebbero essere sempre gli stessi e questo non è possibile. Ci vorrebbero inoltre dei botanici per l’analisi della quantità e qualità delle piante e comunque, una volta ottenuto un certo risultato, non lo si potrebbe applicare ad un alpeggio diverso, anche se a poca distanza.”

Dunque la cosa migliore da fare è recarsi di persona in malga tra giugno e settembre e gustare il formaggio lì acquistato in tempi relativamente ristretti oppure, soprattutto nei mesi invernali, affidarsi ad un affinatore come Crivellaro che distribuisce e avvicina i suoi “figli” anche sul territorio: li si può infatti trovare alla Bottega di Sappada, all’Alimentari Toradin di Cormons e all’Enoteca Al Pignolo di Udine. L’impronta ricevuta dai pascoli di Sauris sarà unica e indelebile, in alcuni casi arricchita da una stagionatura avvenuta, grazie al lavoro di Sebastiano, nella birra saurana oppure nella canapa, nelle erbe e nel fieno raccolti rigorosamente a Sauris.

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