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di Melania Lunazzi

A SAURIS, IN PARADISE

Il paese friulano e i suoi abitanti, sfondo e attori del film di Davide Del Degan

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Testo a cura di Melania Lunazzi - fotogrammi dal film Paradise

I piumini della bara scoperchiata volano in aria contro il cielo colpiti dagli spari di due killer, nella scena iniziale ambientata in una piazza vuota della Sicilia. E nel fotogramma successivo diventano magicamente i fiocchi di neve nel cielo di una Sauris tardo autunnale.

La scena descritta è nell’incipit del film Paradise. Una nuova vita, del regista triestino Davide Del Degan, già autore di diversi documentari e cortometraggi, uno dei quali selezionato al Festival di Cannes. Distribuito nelle sale nazionali dall’estate 2020, il film porta alla luce un argomento serio, eticamente profondo e anche molto italiano, quello della difficile vita dei testimoni di giustizia, persone incensurate - a differenza dei “collaboratoti di giustizia” che sono ex collusi/criminali - che hanno testimoniato a fronte di gravi episodi di mafia o criminalità infrangendo il muro di omertà che la paura erige. Si tratta di persone che, per legge dello Stato italiano, beneficiano di un programma di protezione che salva loro la vita da atti vendicativi, ma che al tempo stesso quella vita sconvolge totalmente.

Ed è proprio quanto accade al giovane “Calogero”, venditore ambulante di gelati, che dopo aver assistito ad un omicidio e aver testimoniato, è costretto a spostarsi a mille chilometri da casa, lontano dalla moglie che aspetta il loro primo figlio che lui non vedrà nascere, tra i monti più appartati del Friuli Venezia Giulia. Calogero - questo il nuovo nome di protezione del giovane, nella realtà Alfio, interpretato da Vincenzo Nemolato -, fisico magrolino, naso importante e occhi sempre pieni di stupore, viene sistemato al Paradise, residence deserto di una Sauris pre-invernale priva di turisti. In questo stesso residence arriverà poco dopo un altro “Calogero” - l’attore Giovanni Calcagno, fisicità alta e imponente e espressione ombrosa - l’assassino contro cui ha testimoniato, spedito nello stesso luogo per un cortocircuito della macchinina giudiziaria. Colpi di scena, accenti tragicomici, tocchi surreali e ricercati contrasti tra la vita senza tempo degli abitanti di Sauris e quelle rovesciate e sospese dei due protagonisti che devono affrontare un presente senza più riferimenti, attraversano il film di Del Degan che coinvolge ed emoziona fino all’ultima scena, lasciando aperte molte domande sulla difficile scelta di essere onesti. Sullo sfondo il paesaggio montano di Sauris con le montagne, la neve, le architetture in legno, le tipiche maschere di carnevale, la grappa, il lago, i dirupi e lo splendido altare ad ali (flügelaltar) del santuario di Sant’Osvaldo, mentre nella parete della stanza di Calogero il puzzle della Sicilia cade, simbolicamente, a pezzi.

Davide, perché hai scelto la montagna e in particolare Sauris per ambientare il tuo primo lungometraggio?

Intanto conosco molto bene Sauris e amo le sue montagne, le architetture tipiche, gli scorci e ci sono legato. In secondo luogo per me è importante portare, se possibile, i racconti tra le nostre terre, calare le storie negli scenari che offre la nostra regione. E poi per questa storia in particolare ho trovato a Sauris quel qualcosa in più, che pareva fatto apposta per accentuare i contrasti.

Che cosa?

Alla storia serviva un paese di montagna con caratteristiche architettoniche e culturali ben connotate e che fossero il più possibile lontane dalle origini del personaggio principale, che proviene da tutt’altro mondo. Ma anche la varietà culturale e linguistica di Sauris si prestava molto bene per rendere ancora più forte l’iniziale spaesamento di Calogero che dalla Sicilia incontra prima il freddo e la neve e poi lo stile di vita e la cultura degli abitanti.

E il contrasto con l’ambiente ti ha aiutato anche nella costruzione del personaggio?

In qualche modo sì. Quando pensavo alla storia da raccontare avevo il desiderio di parlare di un tema importante come quello dei testimoni di giustizia, ma volevo anche restituire un aspetto umano universale che tocca tutti noi in momenti diversi della nostra vita.

Quale?

Quando ci troviamo di fronte a situazioni che ci sconvolgono, in maniera positiva o negativa, siamo in qualche modo costretti a guardare il mondo con occhi diversi: una situazione che a volte ci fa sentire persi, a volte vivere euforie straordinarie.

Lo dici come se avessi vissuto in prima persona questa sorta di “smarrimento”.

Sì. A me quell’emozione è arrivata proprio mentre costruivo la storia, quando ho saputo di diventare padre. Le certezze nei

confronti della mia vita si sono improvvisamente ribaltate. Era qualcosa che volevo profondamente, ma quando ho saputo che lo stavo diventando tutto ciò che era chiaro e pianificato prima mi faceva sentire incapace di guardare il mondo e il futuro con gli stessi occhi. Questo spaesamento è qualcosa che mette tanta paura all’inizio, ma pian piano conduce a prese di consapevolezza. Un po’ come succede al protagonista, che vive vicende meno positive perché drammatiche, ma con dinamiche simili ed è invece costretto a separarsi dalla moglie e dalla nascitura per i valori in cui crede. Il film racconta la voglia di rinascita e rivincita con i dubbi e le paure dell’inizio e le incredibili sorprese che ne seguono.

Come è nata l’idea di inserire l’episodio del ballo degli schüplatter di Sappada?

E’ nata in sceneggiatura: cercavamo qualcosa per mettere il personaggio di fronte ad un mondo sconosciuto e il ballo si prestava, sia da un punto di vista culturale, sia per il forte contrasto con le caratteristiche interiori del personaggio. Per un siciliano l’idea del contatto fisico tra uomo e uomo rimandava a pensieri loschi nonché ad una fuga rapida. Nella realtà quel

ballo significa l’opposto di ciò che pensa Calogero.

Sappada e Sauris sono comunità culturalmente molto vicine, entrambe di provenienza germanica anche se con sfumature diverse.

Sì. E infatti la tradizione saurana entra in gioco nel film con le tipiche maschere del carnevale: anche queste sono state subito abbracciate e inserite dentro la storia per farne un elemento importante nella drammaturgia. E tutto il paese si è prestato a mettere in scena e a fare le riprese, anche di notte. Il nostro film è molto notturno e queste persone passavano con noi le notti in piedi a fare le riprese, ma poi durante il giorno si dedicavano ad altri lavori, i loro lavori. Era divertente vedere come l’entusiasmo di partecipare li portava a non avere mai sonno.

Torniamo alla montagna come luogo difficile. Hai detto che nel film la montagna rappresenta una sorta di antipode rispetto alla provenienza e alla cultura del personaggio, ma la montagna è entrata di colpo, con le sue difficoltà, anche durante le riprese del film?

Già realizzare un film in montagna è complicato, a prescindere. La montagna in inverno fa sì che tutta la troupe si debba

confrontare con temperature e difficoltà di spostamenti. Da un punto di vista produttivo girare a Sauris era una scelta decisa e forte perché imponeva di rinunciare ad altre location, altrimenti avremmo perso giornate intere di ripresa per spostarci. In più c’è stato questo evento straordinario di Vaia, una tempesta incredibile che ha colpito i boschi e ci ha isolati dal resto del mondo per diversi giorni. La strada era chiusa e per qualche giorno abbiamo vissuto qui senza luce né riscaldamento né telefono. In pratica, causa forza maggiore, ci siamo sentiti proprio come il nostro protagonista: persi e isolati. Solo dopo quattro giorni un membro della produzione è stato aiutato a passare il “blocco” della Protezione Civile per scendere ad Ampezzo a rassicurare i parenti di tutti, anche se per mia moglie ricevere il messaggio “Stiamo tutti

bene abbiamo da mangiare” non è stato così confortante (sorride).

Quindi lo spaesamento di cui parlavi sopra è scaturito da un improvviso cambiamento della normalità.

Esatto. In questa situazione difficile si è creato un percorso di passaggio, che ha fatto sì che tutti i membri del gruppo di lavoro si unissero per superare i problemi. E poi c’è stata una più forte vicinanza con la comunità di Sauris, che era la più toccata e colpita da questa violenta vicenda: ha dato subito l’esempio a tutti rimboccandosi le maniche, cercando di risistemare e riprendere la vita normalmente. Tutto il paese si è dato da fare per trovare i generatori elettrici per consentirci di ricominciare a lavorare. In quei giorni c’è stata una sorta di rinascita insieme, che ha rafforzato il sentimento di partecipazione che già era nato durante le prime settimane di riprese. Ci siamo sentiti partecipi della tenacia, della serenità e forza di volontà verso una vita normale anche se di normale non c’era nulla: il paese ci ha abbracciato. Questa è stata una delle cose più emozionanti. Devo dire che ancora oggi, a distanza di tanto tempo, dalla fine del 2018, tra attori e membri della troupe con cui mi sento molto spesso, vive ancora la sensazione che sia stata un’esperienza unica. Questo succede di rado, perché i set cinematografici sono bolle che nascono e finiscono molto rapidamente: in due mesi si corre tutti assieme e poi ci si saluta. Ma con Sauris è stato diverso, ci è rimasta nel cuore al punto da aver sempre voglia di ritornare su assieme: siamo stati molto fortunati.

IL MEDICO DELLE BUONE ABITUDINI

@ftenore

Intervista al Dott. Fabio Tenore

Testo a cura di Veronica Balutto e consulenza del Dott. Sebastian Laspina - Foto di Diego Petrussi

Lo Studio Laspina si avvale di collaborazioni importanti nell’ambito di vari settori. Quest’uscita è dedicata ad un personaggio di rilievo nel mondo dello sport, Fabio Tenore, che con entusiasmo si racconta ai lettori di Mia Magazine.

Una personalità poliedrica, attivo, propositivo e promettente. Brevi tratti per descrivere come appare oggi Fabio Tenore, responsabile sanitario dell’Udinese Calcio. Nato e cresciuto negli Stati Uniti da padre americano e madre italiana, fin da piccolo ha viaggiato molto, tra il New Jersey, la Louisiana (New Orleans), Napoli, per poi approdare a Udine dove ha studiato Medicina e Chirurgia. Dopo l’anno di Erasmus a Madrid, ha intrapreso la Specialità della Medicina dello Sport. Un curriculum denso di eventi sportivi: ha lavorato dodici stagioni in serie A con l’Udinese e tre stagioni con la Juventus.

Qual è la sua più grande soddisfazione lavorativa?

Sicuramente essere stato chiamato dalla Juventus nella Stagione 2016 - 2017. È stato un traguardo, quasi inaspettato, avere la possibilità di contribuire per tre anni a vincere tre scudetti, due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana…fino ad arrivare alla finale di Champions League, purtroppo persa a Cardiff contro il Real Madrid. Emozione pura!

Ed una passione oltre allo sport?

La cucina: adoro perdermi tra ingredienti, strumenti e preparazioni. È il mio momento mindfulness di pieno relax. Mi è sempre piaciuto “avere le mani in pasta” fin da piccolo. Ricordo che a 6 anni ho fatto il mio primo purè di patate, completamente home made. Un aspetto curioso è che, per la preparazione dei piatti, attingo idee e spunti da diverse fonti, poi li rielaboro a mio piacere, estrapolando da ricette sui libri, a quelle sul web, ma, soprattutto dai ristoranti, perché è anche vero che amo mangiare ed assaporare piatti deliziosi.

Parliamo di uno stile di vita sano. Su quali pilastri si basa?

Lo stile di vita sano è composto da tante semplici azioni che, ripetute, diventano abitudini salutari. Si tratta principalmente di quattro grandi aree: l’alimentazione, l’attività fisica, il riposo, l’integrazione.

Nello specifico di queste macroaree, ci può dare qualche consiglio?

Per l’alimentazione, sarebbe opportuno tornare a rendere la frutta e le verdure protagoniste nei nostri pasti, accompagnandola con cereali integrali e una fonte sana di proteine, come il pesce, le uova, i legumi e in minor misura carni bianche e carni rosse. Al contrario, andrebbero limitati i prodotti confezionati, troppo spesso ricchi di conservanti, dolcificanti e grassi di scarsa qualità. Una buona abitudine è quella di controllare sempre il carico glicemico dei propri pasti, limitando i cereali raffinati e le loro farine, lo zucchero e tutti i suoi sostituti. Importante bere due litri di acqua al giorno evitando bibite zuccherate e una consumazione eccesiva di alcool.

E l’attività fisica?

Per mantenersi in buona salute è necessario “muoversi” cioè camminare, ballare, giocare, andare in bicicletta, correre. Uomini e donne di qualsiasi età possono trarre vantaggio anche da 30 minuti di moderato esercizio quotidiano. Ogni fascia di età ha le sue raccomandazioni per una routine di movimento settimanale. Per bambini ed adolescenti tra i cinque e i diciassette anni, si consigliano almeno 60 minuti di attività fisica quotidiana di intensità moderata-vigorosa. Per la popolazione adulta: durante la settimana un minimo di 150 minuti di attività fisica aerobica d’intensità moderata oppure un minimo di 75 minuti di attività vigorosa più esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari due o più volte a settimana. È importante iniziare sempre gradualmente e aumentando di volta in volta durata, frequenza e intensità dell’esercizio fisico.

Perché è importante non trascurare il riposo?

Uno stile di vita sano non può prescindere dal riposo, anche se questo aspetto viene troppe volte trascurato. Proprio durante il sonno il corpo si rigenera, recupera e si rinforza. Sono consigliate attività serali che aiutino a dormire meglio. Dopo cena conviene staccare la spina dalle proprie attività quotidiane ed ascoltare, invece, una meditazione rilassante o leggere un buon libro. Oltre alla qualità del sonno, sarebbe utile anche dedicare qualche ora alla settimana ad attività che aiutano a staccare la spina, sia a livello fisico che mentale. A questo proposito un

ritorno alla natura è rigenerante. Semplici camminate in un bosco o in riva al mare, possono essere un vero toccasana in ogni periodo dell’anno.

L’integrazione?

Non deve essere considerata un rimedio alle abitudini scorrette, ma un valido aiuto per potenziare il proprio benessere, personalizzandola in base alle diverse esigenze che ogni individuo può avere.

La nostra vita è spesso vittima di stress, come possiamo fronteggiarlo?

Nel nostro immaginario collettivo stress è sinonimo di ansia, nervosismo, agitazione, disorientamento, a causa di persone o situazioni. Lo stress può essere “buono” (eustress) o “cattivo” (distress); nel primo caso, permette di dare una spinta positiva ad una prestazione, intesa nel senso più generale possibile e che possa abbracciare la sfera personale, lavorativa o sportiva. Nel secondo caso è un senso di insofferenza tale da non riuscire a completare o ottimizzare una prestazione. Così si genererà depressione, dialogo interno negativo, bassa autostima. Lo sport può sicuramente aiutare ad arginare o eliminare addirittura lo stress dovuto a situazioni contingenti, eliminando le tossine accumulate, ossigenando i tessuti e scaricando la tensione emotiva accumulata.

Come riesce lo sport ad attenuare lo stress?

In diverse pratiche sportive vengono utilizzate tecniche per attenuare i sintomi o per trasformare lo stress in motivazione. Ad esempio: il rilassamento progressivo, all’interno del quale si abbassano i livelli emotivi con la visualizzazione; il self talk, che ha l’obiettivo di trasformare il linguaggio in positivo; il mental training è una tecnica finalizzata all’apprendimento del gesto tecnico con l’obiettivo di abbassare il grado di incertezza durante la gara.

Approfondiamo ancora l’attività fisica, quali le dieci tips per un allenamento ad hoc, facile, da svolgere a casa?

Con pochi accorgimenti possiamo fare molto. Usa le scale al posto dell’ascensore, sia in discesa che in salita o sali e scendi ripetutamente da uno scalino. Gioca con i tuoi figli. Muoviti a ritmo di musica, ad esempio mentre parli al telefono o fai le faccende domestiche. Salta con la corda. Partecipa a lezioni di ginnastica on-line gratuite (video tutorial da fonti istituzionali o comunque da centri verificati). Fai attività di rafforzamento muscolare, come sollevare pesi utilizzando bottiglie piene d’acqua o semplicemente usando il nostro peso corporeo e fai delle serie di piegamenti sulle braccia (push ups). Fai una serie di flessioni. Fai esercizi “a corpo libero” sul posto (ad esempio: piegamenti sulle gambe, effettuati anche semplicemente alzandoti ripetutamente da una sedia o dal divano) o marcia, corri e salta sul posto.

“L’ALLENAMENTO È LA NOSTRA MIGLIORE MEDICINA: DIVENTA SPESSO UNA DIPENDENZA POSITIVA, CHE ELIMINA ALTRE CATTIVE ABITUDINI, IN UN CIRCOLO VIRTUOSO CHE PORTA AL BENESSERE FISICO E MENTALE.”

Alterna periodicamente la posizione seduta/reclinata con quella in piedi (ad esempio ogni 30 minuti). Se lavori in smart working, interrompi per fare pause attive: oltre ad alternare la posizione puoi fare brevi camminate, piegamenti sulle gambe, esercizi di stretching. Utilizza attrezzi da ginnastica come cyclette, tapis roulant, elastici, piccoli pesi, se li abbiamo in casa, per fare esercizio fisico.

E chi si nasconde un po’ dietro l’età può fare sport?

L’attività fisica, come ho detto, è per tutti. Per gli over 65 valgono le stesse raccomandazioni della popolazione adulta: almeno 150 minuti a settimana di attività fisica aerobica di moderata intensità, o almeno 75 minuti a settimana di attività fisica aerobica a intensità vigorosa, oppure una combinazione equivalente di attività con intensità moderata e vigorosa, al fine di migliorare la salute cardiorespiratoria e muscolare, ridurre il rischio di malattie croniche non trasmissibili, di depressione e declino cognitivo. Gli anziani, che a causa delle loro condizioni di salute, non possono raggiungere i livelli raccomandati, dovrebbero svolgere un po’ di attività fisica, magari a bassa intensità e nei limiti delle proprie capacità e condizioni. Qualsiasi esercizio, però, deve essere svolto con attenzione e gradualmente. Un’appropriata attività fisica deve essere adeguata alle capacità della persona (organiche, psichiche, funzionali, ecc.), congeniale e idonea alle possibilità culturali, ideative ed affettive del soggetto. Un anziano inattivo o sedentario che vuole intraprende un’attività fisica deve iniziare con molta gradualità partendo dagli esercizi più semplici e di intensità lieve, come il camminare in casa. È importante ricordare che anche attraverso le normali occupazioni della vita quotidiana (le pulizie e la preparazione dei pasti) si può mantenere un adeguato livello di attività.

Secondo Lei possiamo rallentare l’invecchiamento?

I fattori che intervengono nell’invecchiamento sono diversi: eredità genetica, stile di vita, tessuto sociale costruito intorno a noi. Le statistiche ci dicono che il numero di ultracentenari è in costante aumento: siamo molto più longevi dei nostri antenati. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la nostra speranza di vita è sempre più alta. A questo contribuiscono una maggiore attenzione alla salute, migliori condizioni di vita, il progresso della medicina e della farmacologia. Sicuramente avere “buoni geni” è un fattore decisivo, soprattutto se parliamo di resistenza alle malattie. Se in famiglia non ci sono precedenti di malattie ereditarie e i nostri nonni sono morti anziani, allora la genetica è, probabilmente, a nostro favore.

Quindi se la genetica è a nostro favore…

Un buon profilo genetico aumenta le probabilità di vivere a lungo, di godere di una migliore struttura ossea, di una pelle più liscia e perfino di possedere un maggiore controllo sulle emozioni che ci inducono a seguire determinati schemi di comportamento.

Ma non invecchiamo tutti alla stessa velocità…

Lo sappiamo, l’età biologica non sempre coincide con l’età anagrafica. Nelle rimpatriate tra ex compagni di scuola possiamo osservare come il passare del tempo sia stato più benevolo con alcuni, meno con altri. Invecchiare è un’esperienza personale su cui agiscono fattori interni ed esterni che modellano il nostro stile di vita. I risultati di questi elementi si riflettono sul nostro aspetto fisico ed emotivo. Ricordo quindi l’importanza di uno stile di vita con alimentazione e movimento corretto, ma ricordiamoci anche di prenderci cura di noi stessi. Una buona igiene personale è fondamentale per la salute. La pulizia e l’idratazione sono gli obiettivi principali. L’igiene orale, la cura di pelle, capelli e persino abiti, si riflettono sulla salute e sulla nostra immagine personale. Curare l’aspetto fisico aumenta l’autostima e rafforza, a sua volta, la voglia di prenderci cura di noi stessi. Non dimentichiamo che l’immagine che offriamo di noi è il nostro biglietto da visita. La vita sociale va coltivata: usciamo di casa!

Ci può parlare dei suoi apparecchi elettromedicali. Perché sono cosi innovativi?

La Risonanza Magnetica Terapeutica TMR® è una particolare forma di stimolazione dei tessuti biologici, tramite campi magnetici pulsati a bassa frequenza e bassa intensità. Aiuta a ridurre infiammazione e dolore nella riattivazione del meccanismo di replicazione cellullare, necessario alla riparazione delle lesioni e nella riduzione dell’edema. L’Epi, l’Elettrolisi Percutanea Intratissutale, è una tecnica abla-

tiva mini-invasiva di recente sviluppo ed implementazione con applicazioni, in particolare, nell’ambito della medicina ortopedica e sportiva. Rappresenta una soluzione ai principali disturbi cronici o persistenti nell’apparato muscolo-scheletrico e, vista la sostanziale assenza di effetti collaterali, può essere considerata un efficace e sicuro complemento alla medicina fisica e riabilitativa per la risoluzione delle più frequenti patologie tendinee, legamentose e muscolari.

Quando iniziare a muoversi o allenarsi?

Subito, ma con esami al seguito. Non iniziare l’attività fisica senza aver fatto delle analisi di routine per verificare la tua forma fisica. Approfittane se puoi, per sapere davvero come stai. Misura le tue capacità sotto sforzo, controlla la salute del cuore, verifica i valori del sangue, se cerchi di dimagrire calcola l’indice di massa corporea. Ricordiamoci anche di impostare un programma di obiettivi realistici, ricercare costanza e ripetizione, ciò indurrà la formazione di una buona abitudine. Non fare sforzi che non puoi sopportare: più si va avanti con l’età, più si fa fatica per entrare in forma. L’allenamento è la nostra migliore medicina: diventa spesso una dipendenza positiva, che elimina altre cattive abitudini, in un circolo virtuoso che porta al benessere fisico e mentale.

NICOLÒ ROSSI ENTUSIASMO PER LA RICERCA

Classe ‘96, mette l’informatica al servizio della ricerca medica

Intervista a cura della redazione - Foto di Claudio Rossi

Di cosa ti occupi in questo momento e quale è la tua formazione?

Al momento mi occupo principalmente dell’analisi di dati biologici con tecniche informatiche. I progetti che sto seguendo riguardano pazienti oncologici, in particolare di cancro al seno, e l’assemblaggio di genomi batterici. Tematiche differenti sotto molti aspetti ma accomunate dall’uso di tecniche di sequenziamento genetico. La mia formazione è da Informatico, ci si potrebbe chiedere che relazione possa avere una materia così “tecnologica” e forse in qualche modo anche “astratta”, cugina della matematica, con tematiche di carattere medico o biotecnologico. In realtà, la cooperazione stretta tra informatica e biotecnologie esiste da diverse decine di anni e ha mostrato al mondo la sua importanza durante il progetto “Genoma Umano” che ha permesso di ottenere la sequenza nucleotidica del nostro DNA. Ovviamente questa sequenza di per sé non ha alcun valore se non è correttamente interpretata per le funzioni da essa svolte e, ad oggi, vent’anni dopo, non è stata completamente decifrata. Durante il mio percorso di studi ho cercato il più possibile di integrare le mie conoscenze inserendo nel mio piano diversi corsi a carattere biotecnologico. In questo caso un grande aiuto è stato per me dato dalla Scuola Superiore dell’Università di Udine, che mi ha permesso di frequentare, fin da subito, corsi più avanzati negli ambiti di mio interesse, ponendomi a diretto contatto con esperti del settore e coinvolgendomi in interessanti progetti.

Quali sono state le tue esperienze fino ad ora e in quali progetti sei stato coinvolto?

Nonostante mi sia sempre occupato di analisi dati, il mio ruolo nei diversi gruppi con cui ho collaborato è stato sempre diverso. Nel caso del progetto con l’INFN, il mio compito è stato, da un lato quello di cercare di estrapolare da degli spettri energetici i raggi X originati da specifici elementi, dall’altro, quando ho avuto l’opportunità di operare direttamente sul campo all’acceleratore di particelle RAL (nelle vicinanze di Oxford), quello di calibrare i rivelatori da cui poi avrei estratto il segnale. Durante lo svolgimento della tesi triennale ho sviluppato modelli matematici teorici per la progressione dei tumori, con il CRO di Aviano invece ho preparato un programma dai risvolti più concreti per analizzare referti; adesso mi sto occupando dello sviluppo di una pipeline per l’assemblaggio di genomi batterici. Come si può capire, la varietà non manca.

Qual’è il tuo ruolo di informatico all’interno di un team prevalentemente “medico”?

Come sempre accade quando si studia a lungo una certa materia da una specifica prospettiva, si ha la tendenza a trascurare dettagli che possono invece avere serie conseguenze. Come informatico in un team medico, mi propongo proprio di cercare di fornire un diverso angolo di visione sulle problematiche affrontate. Questo potrebbe voler dire, ad esempio, rendere più semplici e automatizzare certe attività oppure proporre dei modelli più sofisticati per cercare di migliorare o affinare l’approccio seguito. In ogni caso il contributo è sempre reciproco, modelli complessi possono sì essere interessanti dal punto di vista matematico ma sono inutili se perdono il legame che dovrebbero avere con la realtà.

Quali sono i tuoi campi di ricerca e che tipo di specializzazioni ti sono richieste per lavorare nel tuo cam-

po? I miei campi di ricerca, oltre all’informatica, sono la bioinformatica, ossia lo studio del significato della sequenza genetica, la “system biology”, la modellizzazione formale di sistemi biologici e l’analisi dei “big data” in ambito medico. (Come dice lo stesso nome, per “big data” non si intende null’altro che dati di grandi dimensioni che, nel mondo attuale, stanno diventando sempre più comuni specialmente nell’ambito del web.) C’è un fortissimo legame tra tutte queste specializzazioni che sono ognuna necessaria per poter operare al meglio nelle altre. Cosa serve quindi per fare tutto ciò? Idealmente servirebbe una laurea in ognuna di queste discipline, purtroppo questa non è una soluzione normalmente praticabile, per cui bisogna adattarsi a mirare a tematiche specifiche, cercando da un lato di non essere troppo dispersivi e dall’altro di non perdere la giusta visione di insieme. Nel mio approccio ho deciso di specializzarmi per lo più nelle tematiche informatiche e matematiche che uso come base su cui inserire le conoscenze biologiche necessarie per le mie attività. Frequentemente invece, accade il contrario e l’informatica viene vista e usata come un “oracolo”, che in qualche modo fornisce delle informazioni utili ma non sempre molto chiare. In questo, si comprende come sia essenziale la cooperazione tra le diverse discipline per poter davvero avere una visione di insieme, ove ogni ricercatore porta il suo pezzo del puzzle.

Quale è, al momento, lo stato di avanzamento della ricerca sui tumori al seno?

Per rispondere a questa domanda in modo specifico bisogna

delineare il contesto in cui si svolge la ricerca del gruppo con cui collaboro. Il mio lavoro è incentrato sulla realizzazione di strumenti informatici che permettano di individuare quali sono le caratteristiche che portano le donne più giovani (pre-menopausali) ad avere forme di cancro al seno più aggressive. Al momento sto lavorando su dati reali disponibili pubblicamente e lo scopo ultimo è quello di delineare delle strategie per lo studio dei pazienti del CRO. Ovviamente questo è solo uno dei molti ambiti che riguardano la ricerca sul cancro al seno che è oggetto di studio a livello internazionale.

Hai altre passioni oltre all’informatica?

Come può sembrare naturale, ho una profonda passione per la tecnologia in generale, ma i miei interessi non si limitano al mio campo di studi. Prima dell’università ho partecipato ad attività con i giovani della Croce Rossa Italiana, e, dato il mio interesse per il soccorso, ho ottenuto successivamente il brevetto per il salvamento acquatico; attività che purtroppo non sono riuscito a continuare per mancanza di tempo. Dai 14 anni mi sono approcciato al mondo del volo ed ancora oggi ho il brevetto da diporto sportivo. Amo anche l’escursionismo e le corse all’aria aperta.

Come ti vedi in futuro e quale ruolo pensi possa avere il tuo lavoro?

Figure professionali come la mia saranno sempre più importanti con il progredire delle tecnologie di analisi biologica e gruppi di ricerca interdisciplinari saranno sicuramente indispensabili. In futuro spero di poter approfondire le mie conoscenze e di poter continuare a cooperare con altre persone che mi arricchiscano con il loro entusiasmo nella ricerca.

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