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A SAURIS, IN PARADISE Il paese friulano e i suoi abitanti, sfondo e attori del film di Davide Del Degan Testo a cura di Melania Lunazzi - fotogrammi dal film Paradise
I piumini della bara scoperchiata volano in aria contro il cielo colpiti dagli spari di due killer, nella scena iniziale ambientata in una piazza vuota della Sicilia. E nel fotogramma successivo diventano magicamente i fiocchi di neve nel cielo di una Sauris tardo autunnale. La scena descritta è nell’incipit del film Paradise. Una nuova vita, del regista triestino Davide Del Degan, già autore di diversi documentari e cortometraggi, uno dei quali selezionato al Festival di Cannes. Distribuito nelle sale nazionali dall’estate 2020, il film porta alla luce un argomento serio, eticamente profondo e anche molto italiano, quello della difficile vita dei testimoni di giustizia, persone incensurate - a differenza dei “collaboratoti di giustizia” che sono ex collusi/criminali - che hanno testimoniato a fronte di gravi episodi di mafia o criminalità infrangendo il muro di omertà che la paura erige. Si tratta di persone che, per legge dello Stato italiano, beneficiano di un programma di protezione che salva loro la vita da atti vendicativi, ma che al tempo stesso quella vita sconvolge totalmente. Ed è proprio quanto accade al giovane “Calogero”, venditore ambulante di gelati, che dopo aver assistito ad un omicidio e aver testimoniato, è costretto a spostarsi a mille chilometri da casa, lontano dalla moglie che aspetta il loro primo figlio che lui non vedrà nascere, tra i monti più appartati del Friuli Venezia Giulia. Calogero - questo il nuovo nome di protezione del giovane, nella realtà Alfio, interpretato da Vincenzo Nemolato -, fisico magrolino, naso importante e occhi sempre pieni di stupore, viene sistemato al Paradise, residence deserto di una Sauris pre-invernale priva di turisti. In questo stesso residence arriverà poco dopo un altro “Calogero” - l’attore Giovanni Calcagno, fisicità alta e imponente e espressione ombrosa - l’assassino contro cui ha testimoniato, spedito nello stesso luogo per un cortocircuito della macchinina giudiziaria. Colpi di scena, accenti tragicomici, tocchi surreali e ricercati contrasti tra la vita senza tempo degli abitanti di Sauris e quelle rovesciate e sospese dei due protagonisti che devono affrontare un presente senza più riferimenti, attraversano il film di Del Degan che coinvolge ed emoziona fino all’ultima scena, lasciando aperte molte domande sulla difficile scelta di essere onesti. 66
Sullo sfondo il paesaggio montano di Sauris con le montagne, la neve, le architetture in legno, le tipiche maschere di carnevale, la grappa, il lago, i dirupi e lo splendido altare ad ali (flügelaltar) del santuario di Sant’Osvaldo, mentre nella parete della stanza di Calogero il puzzle della Sicilia cade, simbolicamente, a pezzi. Davide, perché hai scelto la montagna e in particolare Sauris per ambientare il tuo primo lungometraggio? Intanto conosco molto bene Sauris e amo le sue montagne, le architetture tipiche, gli scorci e ci sono legato. In secondo luogo per me è importante portare, se possibile, i racconti tra le nostre terre, calare le storie negli scenari che offre la nostra regione. E poi per questa storia in particolare ho trovato a Sauris quel qualcosa in più, che pareva fatto apposta per accentuare i contrasti. Che cosa? Alla storia serviva un paese di montagna con caratteristiche architettoniche e culturali ben connotate e che fossero il più possibile lontane dalle origini del personaggio principale, che proviene da tutt’altro mondo. Ma anche la varietà culturale e linguistica di Sauris si prestava molto bene per rendere ancora più forte l’iniziale spaesamento di Calogero che dalla Sicilia incontra prima il freddo e la neve e poi lo stile di vita e la cultura degli abitanti. E il contrasto con l’ambiente ti ha aiutato anche nella costruzione del personaggio? In qualche modo sì. Quando pensavo alla storia da raccontare avevo il desiderio di parlare di un tema importante come quello dei testimoni di giustizia, ma volevo anche restituire un aspetto umano universale che tocca tutti noi in momenti diversi della nostra vita. Quale? Quando ci troviamo di fronte a situazioni che ci sconvolgono, in maniera positiva o negativa, siamo in qualche modo costretti a guardare il mondo con occhi diversi: una situazione che a volte ci fa sentire persi, a volte vivere euforie straordinarie. Lo dici come se avessi vissuto in prima persona questa sorta di “smarrimento”. Sì. A me quell’emozione è arrivata proprio mentre costruivo la storia, quando ho saputo di diventare padre. Le certezze nei