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24-SET-2020 Estratto da pag. 7
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24-SET-2020 Estratto da pag. 1-2
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24-SET-2020 Estratto da pag. 1-27
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24-SET-2020 Estratto da pag. 1-8
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24-SET-2020 Estratto da pag. 1-8
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24-SET-2020 Estratto da pag. 11
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24-SET-2020 Estratto da pag. 3
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24-SET-2020 Estratto da pag. 3
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24-SET-2020 Estratto da pag. 1-12
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24-SET-2020 Estratto da pag. 1-9
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24-SET-2020 Estratto da pag. 35
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24-SET-2020 Estratto da pag. 24
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24-SET-2020 Estratto da pag. 1-5
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Giovedì 24 settembre 2020
L’Italia dopo il voto
ANGELO PICARIELLO Roma
«S
erve una costituente di centrodestra». Giovanni Toti invoca il federatore per una coalizione che all’indomani del voto è più in vena di processi che di esultanze. C’è la convinzione diffusa, quantomeno, che la tenuta della maggioranza di governo, unita alla prospettiva di un robusto taglio dei parlamentari, allontani l’aspettativa del voto anticipato. E allora meglio organizzarsi per una marcia che si preannuncia più lunga di quanto sperato. Sembra un’investitura per Matteo Salvini, quella del presidente della Liguria, da sempre il più salviniano fra i non leghisti, ma a ben vedere è – più che altro – la richiesta di una correzione del tiro. «Questo leader deve sapersi spogliare della maglia di solo uomo di una parte per diventare la sintesi di tutti», incalza Toti. Un leader che avrebbe pensato troppo ad accrescere il suo peso specifico e poco alla coalizione, che per giunta, ora, si ritrova messo in discussione nel suo stesso partito. Lo schema dell’uomo solo al comando non regge più nemmeno a via Bellerio, se al termine di una riu-
PRIMO PIANO
7
Lega, al comando un Salvini meno solo Toti chiede la costituente di coalizione nione fiume per effettuare l’analisi del voto e ridisegnare la prospettiva politica (alla quale hanno partecipato i vice segretari Giancarlo Giorgetti, Lorenzo Fontana e Andrea Crippa con i capigruppo e il responsabile organizzativo Roberto Calderoli) si è deciso di affiancare il leader con una segreteria e dei capidipartimento, per darsi una linea politica che non sia più
solo dettata dalle intuizioni e dalle estrosità del capo. Toti dà atto che «gli elettori hanno indicato Salvini per il ruolo di leader. Ne sono lieto – aggiunge –, ho sempre avuto stima e amicizia per lui». Ma ora gli chiede di lavorare per dar vita a «federazione nuova di forze, che raccolga tutte le energie migliori». E poi aggiunge, più esplicito: «Per essere il capo, ser-
vono due cose. I numeri e la capacità di gestire la coalizione. I primi ci sono, la seconda per ora no». Suona come una mezza bocciatura, per Salvini, tanto che Gian Marco Centinaio scende in campo in difesa del leader, dando dell’«ingeneroso» al governatore ligure, ricordandogli la mano tesa venutagli proprio da Salvini quando dentro Forza Italia lui era conside-
rato un «appestato». Renato Brunetta per Forza Italia, concorda con l’idea di una costituente, ma va oltre i dubbi di Toti: «Salvini non è il leader della coalizione», dice senza mezzi termini, senza che dagli azzurri si levino voci di segno opposto. Il leader della Lega cerca di non accusare il colpo, di non darlo a vedere, almeno. «Non
L'andamento dei voti dei partiti I dati nelle regioni al voto
Regionali 2015
Camera 2018
Europee 2019
Regionali 2020
Partito democratico
24,7
18
22,1
19,8
Movimento 5 stelle
15,7
35,5
19,5
7,6
Lega
9,5
16,1
33,1
13,8
Forza Italia
11,4
14,2
8,7
5,4
Fratelli d’Italia
3,9
4,0
6,4
10,6
FONTE: elaborazione su dati Eligendo
so quanto durano», continua a scommettere riferito alla maggioranza di governo. «Conte, Renzi, Di Maio, stanno litigando su tutto», insiste. «Io sconfitto? Vorrei avere tutti gli anni sconfitte in cui aumento di 30 i miei consiglieri regionali», aggiunge. Giorgia Meloni esulta per il risultato del suo partito, ma già martedì avvertiva: «Il centrodestra deve consolidare i suoi consensi, conquistare numeri importanti. Non a scapito dell’alleato, ma per raggiungere maggioranze solide per governare il Paese», aveva detto a Porta a Porta . «Non penso fosse rivolto a me», minimizza il segretario leghista, mentre annuncia: «Ora sentirò Meloni e Berlusconi». Lo stesso Salvini, alla trasmissione di Bruno Vespa esclude “affiancamenti”: «Ci sarà una segreteria politica. Io più delego, più son contento», assicura. «Abbiamo creato dei dipartimenti. C’è quello per la disabilità con Locatelli – annuncia –, uno sull’agricoltura e il turismo. Ci stiamo organizzando come un partito vecchia maniera. Non credo al partito di plastica, alla piattaforma Rousseau», dice. Ma la virata è evidente. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Marcato (Lega): «Nessuna pietà per i transfughi nella lista Zaia»
Fi in crisi, Berlusconi ordina: serve distinguersi dagli alleati
«Non mi aspettavo certo un record così elevato di preferenze, anche perché ero candidato nella Lista Lega e si partiva in svantaggio rispetto ai candidati della lista Zaia. Ma la cosa bella è che sono stato l’unico a prendere voti in tutti i Comuni della provincia di Padova». Roberto Marcato, assessore regionale alle Attività produttive e leghista dal 1992, soprannominato "bulldog", brinda al record di preferenze conquistate: ben 11.660, davanti al giovane Giacomo Possamai del Pd e al compagno di lista, il veronese Stefano Valdegamberi. E nel giorno di festa per la riconferma popolare, Marcato coglie l’occasione per attaccare duramente chi dei suoi compagni di partito ha voluto a tutti i costi entrare in lista Zaia per essere più sicuro dell’elezione: «Sarò "violento" con questi presunti leghisti che hanno avuto come obiettivo solo la poltrona, e che hanno fatto i salti mortali per essere candidati nella lista Zaia. Chi è iscritto alla Lega, chi è un militante deve essere orgoglioso di essere candidato da questo partito, e invece per qualcuno non è stato così, per fortuna non tutti sono stati eletti... ». È senza mezzi termini l’assessore: «Da dirigente della Lega verso queste persone non avrò pietà e si dovrà andare a una verifica delle posizioni, perché un partito è tanto più forte quanto più si rispettano le regole. E un militante della Lega al momento dell’iscrizione firma un "contratto" con diritti e doveri, che devono venire rispettati». Sulla presunta rivalità tra il governatore riconfermato a "furor di popolo" e il leader della Lega, Marcato assicura poi che «il presunto dualismo tra Luca Zaia e Matteo Salvini è molto suggestivo a livello nazionale, e lo capisco, perché si tratta di due purosangue, ma la realtà è ben diversa, Luca, di cui sono molto amico, per la sua storia non ha mai avuto e non ha alcuna velleità di un ruolo nel partito, non ha nessun interesse a fare il segretario della Lega».
Stanchi dei Soliti), Voce non ha voluto l’appoggio di alcun partito. Un programma elettorale che ha fatto leva su alcuni punti specifici, come la bonifica dell’area industriale per la quale, negli ultimi 20 anni, ha prodotto una serie di studi per contestare il progetto, e ha promosso anche una serie di ricorsi al Tar, l’ultimo dei quali sottoscritto da più di 600 cittadini. Un successo reso ancora più eclatante in uno scenario come quello di Crotone, l’ex città operaia calabrese, dove il Pd è alle prese con lotte intestine che hanno impedito la presentazione di una lista di partito e dove il candidato dem, Danilo Arcuri, è stato escluso dal ballottaggio assieme a quello del Movimento 5 Stelle Andrea Correggia. Voti, i loro, che saranno decisivi.
Per Berlusconi, Fi resta l’unico partito, con il suo volto spiccatamente europeista, capace di rendere credibile in Europa questo centrodestra a trazione sovranista. Di fatto, il leader azzurro, avrebbe invitato i suoi a smarcarsi da Lega e Fdi sui temi di principale attualità e più sensibili per l’opinione pubblica, come è accaduto sul Mes. Dobbiamo essere fattore di crescita all’interno della coalizione di centrodestra e la nostra sfida è l’Europa, sarebbe stata la sua raccomandazione, riferendosi in particolare alla battaglia per i fondi del Recovery Fund. Rimarcare le differenze dagli alleati, insomma, porta consensi. Senza però, sia chiaro, sbandamenti a sinistra. Per Berlusconi, infatti, riferiscono, il perimetro resta quello del centrodestra, ma Forza Italia deve cambiare registro e verbo. Da qui il rammarico di non aver potuto fare una campagna elettorale in prima persona, soprattutto di presenza, per intenderci. Un big azzurro giura di avergli sentito dire queste parole: ah, se ci fossi stato io... Secondo l’ex premier, il centrodestra si conferma maggioranza naturale del Paese, ma sulla coalizione ha pesato il calo di Fi. Tant’è che molti voti azzurri, quelli moderati per lo più, sono stati dispersi. «Alcuni sono andati al Pd, altri li ha presi Fdi,tanti hanno accresciuto il partito degli astenuti», dice un esponente di spicco forzista. Il vuoto lasciato dal partito, insomma, rappresenta una carenza che alla fine si riflette anche sul centrodestra, è l’analisi di molti azzurri in queste ore. Ecco perché torna la "voglia di centro" e tutti, big e peones chiedono di rinforzare il centro del centrodestra per cercare di dare quella spallata al governo Conte, fallita lunedì scorso. «Ora bisogna capire come rimotivare le persone, specialmente quel 40% di indecisi, ad andare a votare, partendo dai contenuti», è il refrein dalle parti di palazzo Grazioli. L’unico dato confortante per Berlusconi (che ieri ha chiamato i tre governatori eletti del centrodestra, Acquaroli, Toti e Zaia) è il circa 10% in Puglia, dove però Fitto ha perso contro Emiliano, e il 6% nelle Marche. (r.r.)
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Roma
F
a sempre più rumore il silenzio di Silvio Berlusconi dopo il flop in Campania e il deludente risultato di Fi in quasi tutte le altre Regioni. In isolamento domiciliare ad Arcore causa Covid, il Cav preferisce non commentare i numeri che riguardano il suo partito, precipitato al 5-6 per cento in media, con picchi del 3 per cento al Nord. Ma a chi ha avuto modo di sentirlo in questi giorni, avrebbe lamentato soprattutto un difetto di comunicazione in una campagna elettorale post lockdown segnata dalla sua assenza per la positività al virus. L’umore non è certo dei migliori per non parlare da oltre 48 ore: mi aspettavo molto di più, avrebbe detto a mezza bocca, convinto che la sua creatura politica va rilanciata, soprattutto sul territorio. Da qui, apprende l’Adnkronos, il rammarico di non aver potuto metterci la faccia, come avrebbe voluto, e il monito: dobbiamo tornare a comunicare in maniera forte e incisiva i nostri messaggi per far capire ai tanti indecisi e delusi
Silvio Berlusconi /
Ufficialmente non commenta, ma ai suoi confida: «Dobbiamo tornare a comunicare con gli elettori moderati» dalla politica, che siamo l’unica forza moderata, europeista, liberale e garantista, della coalizione. Numeri alla mano, raccontano, Berlusconi avrebbe preso atto della vittoria dei governatori, usciti rafforzati dal Covid, che li ha resi molto visibili e in grado di offrire certezze alla gente. Secondo questa analisi, quando si tornerà a votare, i consensi conquistati da Zaia Toti e De Luca torneranno a quei partiti che li sapranno cogliere.
IL CASO CROTONE. VINCENZO VOCE AL BALLOTTAGGIO CON 4 LISTE CHE LO APPOGGIANO
Il civico (senza fondi) che sfida il centrodestra
H
a ottenuto più di sette volte i voti presi dal Movimento 5 Stelle, solo duemila in meno del centrodestra. A Crotone ad andare al ballottaggio con Antonio Manica è Vincenzo Voce, il candidato sostenuto da quattro liste civiche, che ha speso solo 700 euro per la campagna elettorale. 12mila voti che gli hanno fatto guadagnare la medaglia d’argento, e un ticket per il ballottaggio del 4 e 5 ottobre contro l’uomo appoggiato da dieci liste - tra cui Forza Italia, Lega e Fdi - forte del 41,6. Ingegnere delle tecnologie industriali e docente di chimica, Voce, 58 anni, è un uomo che non viene dalla politica. E forse è piaciuto proprio per questo. Infatti non sono stati necessari manifesti, volantini, spot elettorali e migliaia di euro per avere quasi il doppio della somma dei voti dei due sfidanti ri-
masti fuori dal secondo turno. E per l’ingegnere non è il primo successo politico. Perché i crotonesi lo avevano già reso protagonista di un vero e proprio exploit elettorale alle regionali dello scorso gennaio, quando si era candidato con la civica Tesoro Calabria, risultando il più votato in città con 2.541 voti.
Con appena 700 euro per la campagna elettorale, ha preso solo 2mila voti meno del rivale Nei quartieri e nelle piazze, a contatto con la gente: ecco come ha organizzato la sua campagna elettorale. Piazza reale, ma anche virtuale, perché per farsi conoscere si è speso anche sui social. Sostenuto da quattro liste (Tesoro Calabria, Città Libera, Crotone Cambia e
Fotogramma
DIBATTITO Traballa la guida del leader, che sarà affiancato da una segreteria politica e una cabina di regia. Con il governo più saldo, si avvia il confronto nel centrodestra e cambia anche la strategia
Caso Diasorin Gdf controlla il telefono Fontana I militari della Guardia di Finanza di Pavia si sono recati ieri mattina a casa del governatore della Lombardia Attilio Fontana per effettuare copia forense dei contenuti e, in particolare della messaggistica, del suo cellulare nell’ambito dell’indagine con al centro l’accordo tra Diasorin e il Policlinico San Matteo per lo sviluppo dei test sierologici e molecolari per la diagnosi del Covid. La stessa operazione da parte delle Fiamme Gialle è stata effettuata sul telefono di Giulia Martinelli, la responsabile della segreteria del presidente lombardo, nonché ex compagna del leader della Lega Matteo Salvini. Nessuno dei due risulta tuttavia indagato. (D.Re)
Referendum, nel Pd un elettore su 2 per il taglio Il Pd «è il partito dove la spaccatura tra il fronte del Sì e quello del No è più marcata», infatti «in media, circa un elettore del Pd su due ha votato a favore della riduzione dei parlamentari, mentre la parte rimanente si è divisa tra il No e l’astensione». È quanto emerge da uno studio dell’Istituto Cattaneo sul referendum per il taglio dei parlamentari. Il M5s «com’era prevedibile, è quello che si è mostrato più compatto nel voto referendario». «In media – spiega il Cattaneo – più di due elettori pentastellati su tre hanno confermato la riduzione dei parlamentari». Per Lega e Fdi l’orientamento dei 2/3 circa degli elettori è stato «in prevalenza favorevole» al taglio.
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Giovedì 24 Settembre 2020 Corriere del Veneto
VE
Coronavirus
Le nuove frontiere
L’EPIDEMIA E
Parte la sperimentazione a Padova su ottomila tra docenti, tecnici e amministrativi. «Controllati ogni venti giorni»
Via al test salivare all’Università «I dipendenti lo faranno da sé»
Gli otto punti di raccolta dei campioni sono già allestiti, oggi sarà disponibile il modulo di adesione sulla piattaforma on line dell’Ateneo e i primi seimila kit sono arrivati. All’Università di Padova tutto è pronto per iniziare la sperimentazione sul personale dei test salivali per la ricerca del Covid-19, nuovo metodo diagnostico che potrà inizialmente affiancare e poi un po’ alla volta anche superare il tampone molecolare orofaringeo. La novità, fortemente voluta dalla Regione, è unica in Italia e coinvolgerà gli ottomila tra docenti, tecnici e amministrativi dell’Ateneo. «Partiamo dai risultati ottenuti dai nostri studi e già pubblicati, che dimostrano la sovrapponibilità del test salivare al tampone molecolare in quanto ad attendibilità — spiega il professor Mario Plebani, a capo della sperimentazione e direttore del Dipartimento didattico scientificoassistenziale integrato —. Ab-
PADOVA
I numeri
biamo verificato che i risultati di questa tecnica d’indagine hanno una precisione assimilabile a quella dei tamponi orofaringei. Dalla prossima settimana inizieremo la sperimentazione sui docenti aderenti all’iniziativa che ricominceranno le lezioni in presenza». A parità di performance, cambia la modalità di raccolta del campione rispetto al tampone, tra l’altro anche più fastidioso e bisognoso di ambulatori attrezzati e personale adeguatamente protetto e formato. Il test salivare consente pure di saltare le code in ospedale, perché può essere eseguito dalla persona stessa a casa propria. Basta estrarre dalla provetta il tamponcino di cotone, una sorta di cotton fioc , masticarlo un minuto, reinserirlo nel contenitore dotato di codice a barre abbinato alla persona e consegnarlo negli appositi punti di raccolta. Posizionati vicino a tutte le Facoltà, umanistiche, scientifiche, medi-
❞
Mario Plebani/1 Ognuno dovrà masticare un tamponcino, riporlo nel contenitore e consegnarlo in appositi punti di raccolta. Avrà l’esito a casa in 24 ore Mario Plebani/2 I nostri studi hanno dimostrato che ha la stessa attendibilità del tampone tradizionale. Per il Covid-19 si va verso l’auto-diagnostica
che e così via. Da lì ogni giorno i campioni saranno prelevati e mandati al laboratorio del professor Plebani, in Azienda ospedaliera a Padova, per la processazione. «L’esito sarà visibile in tre ore, come per il tampone, e il referto verrà inviato a casa dell’interessato — completa Plebani — che non perderà tempo in spostamenti, perché raccoglierà la saliva da sé a casa e poi depositerà la provetta direttamente sul posto di lavoro. Per lo stesso motivo il test salivare consentirà un notevole risparmio al Sistema sanitario e comunque ormai, per la ricerca del coronavirus, si sta andando sempre più verso l’autodiagnostica». I dipendenti si sottoporranno allo screening ogni venti giorni, fino al termine dell’emergenza Covid. L’auspicio espresso dal rettore dell’Università di Padova, Rosario Rizzuto, e dal governatore Luca Zaia è che, conclusa la sperimentazione, il
test salivare possa poi estendersi alla popolazione in maniera molto ampia e in tempi brevi. «Noi con umiltà lo abbiamo proposto — chiude Plebani — e, per spazzare via ogni dubbio, va specificato che permette la diagnosi di tipo molecolare come il tampone tradizionale». Che quindi, in caso di positività al coronavirus, non andrà effettuato in termini di conferma definitiva, così come avviene per i test molecolari. Tanto è vero che in queste ore il test salivare sarà riconosciuto e omologato dall’Istituto superiore di Sanità, come già avvenuto per i tamponi rapidi (quelli solo nel naso) utilizzati in anteprima dal Veneto con il dottor Roberto Rigoli, coordinatore delle 14 Microbiologie ospedaliere. «La collaborazione tra la sanità regionale e il mondo universitario prosegue e produce risultati sempre più importanti — ha commentato il governatore Luca Zaia lo scor-
La curva del contagio
DIFFERENZA SETTIMANALE +43
di Gloria Bertasi
+56
+96
+266
+177
+434
+510
+581
+967
+856
+1.008
+936
+1.047
CONTAGI DA INIZIO PANDEMIA 26.666
23.333
20.000
19.295 19.351
19.447
19.713
19.890
20.324
22
29
05
20.834
21.415
12
19
22.382
23.238
26
2
24.246
25.180
26.227
16.666
13.333
Da nemmeno cento nuovi positivi a settimana a più di mille in soli tre mesi. La curva dei contagi in Veneto ha ripreso a salire ma, per i medici, è presto per gridare all’allarme. I numeri sono da tenere sono stretto controllo e guai ad abbassare la guardia, bisogna cioè ancora rispettare le norme di distanziamento, indossare le mascherine e igienizzare spesso le mani. «Ma la nostra situazione non ha nulla a che vedere con quelle della Spagna e della Francia», sottolinea Antonella Viola, professore ordinario di Patologia generale all’Università di Padova e Direttore scientifico dell’Istituto di ricerca pediatrica. Dati alla mano, nei primi quindici giorni di luglio i contagi sono stati 99 e i soggetti in isolamento 1.740, poco più del 20 per cento di quanti oggi sono in quarantena, ossia 8.173. È da metà estate, e in particolare da inizio agosto, che la mappa del contagio sta cambiando con numeri sempre più cospicui e, soprattutto, in costante ascesa. Tra mercoledì 29 luglio e il 5 dello scorso mese si è passati da un più 177 a un più 434 positivi. Ma è dopo Ferragosto che si registra il boom: da 581 a 967 in un soli sette giorni, diventati 1.008 il VENEZIA
10.000
1
8
15 LUGLIO
ATTUALMENTE POSITIVI 408 389
440
SOGGETTI IN ISOLAMENTO 758 992 1.489
AGOSTO
9
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SETTEMBRE
649
784
1.087
1.353
1.691
2.184
2.577
2.907
2.998
3.188
n.d.
3.074
4.616
5.799
6.444
6.524
7.618
n.d.
7.611
8.173 L’Ego - Hub
Da90amillepositivi asettimanaintremesi «Malasogliad’allarme nonèancorascattata»
La curva dei contagi tra luglio e settembre 9 settembre. Fino a ieri, con 2 decessi nella casa di cura Madonna della Salute di Porto Viro nel Rodigino dove è scoppiato un focolaio tra i pazienti (10 i morti complessivi, anziani con patologie pregresse) e 180 nuovi positivi
(58 a Verona, 42 a Venezia, 40 a Treviso, 25 a Vicenza e 14 a Padova) che portano a 1.047 i contagiati tra il 16 e, appunto, il 23 settembre. «Sarebbe molto meglio se l’epidemia si fosse fermata ai dati dell’immediato post-
lockdown - ammette Viola oggi è come se fossimo saliti su un gradino e ci fossimo, per fortuna, fermati. È l’effetto dell’estate, delle vacanze: i numeri attuali ne sono l’ultima coda. Al momento, il problema è in famiglia, il virus si sta diffondendo nelle case, alle cene e agli incontri con i parenti, ancora poco in ambienti lavorativi». La riapertura delle scuole, l’utilizzo di treni e autobus per andare a lezione o al lavoro, il ritorno negli stadi e negli impianti sportivi, al momento, non incidono sul bilancio quotidiano del Covid-19. «È troppo presto sottolinea l’immunologa - abbiamo imparato in questi mesi che i tempi di verifica sono 15 giorni, capiremo nella prima settimana di ottobre se il ritorno in classe degli studenti ha effetti». Non sono cresciuti solo i contagi, salgono
L’analisi Vacanze e socialità hanno fatto salire del 94% i contagi da inizio estate
so 9 settembre, quando fu annunciata l’iniziativa —. Siamo orgogliosi di lanciare questa ultima frontiera della lotta al coronavirus, che ha una prospettiva storica, perché fa parte dell’evoluzione verso un sistema di test rapido di massa in auto-screening, abbinato alla spinta sulla ricerca dell’antigene. In prospettiva il test salivare è fondamentale: una volta testato con successo, potrà diventare una risposta veloce e sicura, con procedure più semplici e dall’esito garantito». Nel frattempo l’Università di Padova si prepara a tornare alle lezioni in presenza con nuovi spazi e aule, posti distanziati e contrassegnati e una app obbligatoria per gli studenti e necessaria a registrare la presenza in aula e quindi a risalire agevolmente a tutti i contatti di eventuali soggetti contagiati dal Covid19. Michela Nicolussi Moro © RIPRODUZIONE RISERVATA
anche i soggetti in isolamento. Ieri erano 8.173, una settimana fa 7.611 mentre l’ultima di agosto erano 6.524. «Da inizio luglio di fatto c’è uno zero in più nei numeri del Covid - continua Viola - però il dato positivo è che la crescita dei ricoveri è contenuta, siamo passati da 27-30 a 85-90: un incremento tutto sommato davvero basso». Ora che però gli istituti sono aperti, le università hanno ripreso le lezioni in presenza, che molti lavoratori sono rientrati in azienda dopo mesi di smartworking e si può tornare a fare il tifo, per quanto distanziati e seduti, negli stadi è bene, per gli esperti, «entrare nell’ordine di idee che servono prudenza e tante precauzioni». Mascherine, gel, distanziamento restano un «must», anche perché a breve staremo sempre più al chiuso anche per bere un aperitivo in bar e locali: freddo e umidità non invogliano infatti a stare all’aperto. Eppure, sarebbe la scelta migliore, anche per un pranzo veloce con i colleghi di ufficio. «Torniamo alle regole stringenti post-lockdown, ossia mascherina sempre obbligatoria al chiuso e nei luoghi affollati (la regola in realtà non è ancora in vigore, ndr) l’appello di Viola - Lancio un accorato invito ai gestori dei pubblici esercizi: tirate al massimo l’uso dei plateatici, è possibile pure d’inverno con alcuni accorgimenti che rendono la permanenza accogliente». Con «funghi» che sparano aria calda e - abitudine molto diffusa in nord e est Europa - coperte, tra l’altro facilmente igienizzabili, con cui gli avventori possono riscaldarsi mentre seduti con colleghi, parenti o amici al tavolino della piazza o della via del centro città. © RIPRODUZIONE RISERVATA
GIOVEDÌ 24 SETTEMBRE 2020 CORRIERE DELLE ALPI
PRIMO PIANO
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Elezioni regionali
L’analisi dell’Istituto Cattaneo: a Venezia “solo” uno su tre È finito al governatore anche un quinto dei voti del Pd VENEZIA
L’estrema visibilità mediatica nell’emergenza Covid, come lamentano gli avversari relegati al ruolo di comparse. La vocazione veneta al moderatismo interclassista, evocata dai politologi. La bandiera dell’autonomia, nervo sensibile in una terra che scorge in Roma la lontana matrigna. Chiavi di lettura plausibili, insufficienti però a dare conto del plebiscito popolare in favore di Luca Zaia, quel 76,8% divenuto già caso di studio perché largamente esorbitante dal pur ampio bacino di consenso accreditato alla vigilia. Così, a fornire un elemento di valutazione concreto provvede l’Istituto Cattaneo di Bologna, attraverso un report dedicato all’andamento dei flussi elettorali nella nostra regione. I CAMPIONI A CONFRONTO
Il pool di studiosi - composto da Costanza Tortù, Moreno Mancosu, Marco Valbruzzi, Rinaldo Vignati e Salvatore Vassallo - analizza in particolare due campioni, Venezia e Padova, cogliendo un primo dato generale nel raffronto con le europee dell’anno scorso: il presidente più votato nella storia del regionalismo italiano «attrae consensi da tutte le forze politiche», non soltanto dal bacino “amico” del centrodestra ma anche dal versante di sinistra e dai grillini in libera uscita. Proprio il M5S, relegato dalle urne ad un mortificante 2,7% che gli vale l’esclusione
LO SPOSTAMENTO DEI CONSENSI A DESTRA LE TABELLE ELABORATE DALL’ISTITUTO CATTANEO DI BOLOGNA
Il centrodestra resta invece compatto salvo gli elettori di FI che in parte hanno scelto di astenersi dal voto dall’assemblea legislativa, sconta l’emorragia più massiccia: a dispetto del potenziale traino referendario del Sì alla riduzione dei parlamentari, addirittura il 72% degli elettori patavini a 5 Stelle volta le spalle al candidato Enrico Cappelletti (che pure racimola qualche decimale in più rispetto alla sua lista) optando per il governatore. Defezione più contenuta nella città d’acqua, dove comunque quasi un terzo (il 32%) del potenziale di consenso grillino premia il leghista. Evidente il fragile radicamento territoriale di un movimento che pure rappresenta ancora la forza maggioritaria nel Parlamento e nel Conte bis, così come l’estraneità di larga parte del suo programma - dall’assistenzialismo diffuso all’ostilità verso le grandi opere - al sentiment veneto prevalente. L’ESODO MASSICCIO
Anche il Partito democratico, uscito malconcio alla tornata del 20 e 21, paga dazio allo sbalorditivo exploit zaiano. Nella città del Santo ben il 21% dei precedenti elettori
dem traccia la croce sul simbolo del Luca-pigliatutto, percentuale che flette (ma non troppo) in laguna, attestandosi al 18%. La circostanza coincide con il nuovo record negativo del centrosinistra che si ferma al 16,4%, numeri da disfatta se si pensa che cinque anni fa la criticatissima Alessandra Moretti aveva sfiorato i 28 punti. A incidere negativamente, favorendo l’esodo citato, ha concorso probabilmente la candidatura di Arturo Lorenzoni, docente stimato nel circuito della borghesia patavina ma pressoché sconosciuto nel resto del territorio. L’ASTENSIONISMO AZZURRO
Altre note degli analisti: «Chi nel 2019 aveva scelto centrodestra, nel 2020 opta per Zaia, ad eccezione di una quota che si astiene (è in particolare l’elettorato di Forza Italia che sembra rifluire verso l’astensione) mentre non si registrano travasi dal bacino del centrodestra verso Lorenzoni, il quale pesca solo dal Pd e, in misura molto minore, da +Europa e M5S, mentre i pochi voti di Cappelletti vengono esclusivamente dal bacino a 5 Stelle». Conclusioni che echeggiano le prime parole pronunciate dal vincitore: «Siamo coscienti della fiducia ricevuta da molti cittadini abitualmente lontani dalle nostre posizioni, è nostro dovere rappresentarli degnamente, saremo l’amministrazione di tutti i veneti». Staremo a vedere. —
Venezia Padova
Tre elettori padovani su quattro del M5S hanno tradito Grillo per scegliere Zaia
I FLUSSI ELETTORALI IN VENETO
Eur 2019 Pd +Europa M5s FI Lega FdI
Lorenzoni (Csx)
Cappelletti (M5s)
Zaia (Cdx)
65 18 3 0 0 0
0 1 29 0 0 0
18 68 32 84 85 83
Altri 8 13 3 0 0 0
62 57 12 0 0 0
0 0 14 0 0 0
21 31 72 75 98 100
3 1 2 0 1 0
Pd +Europa M5s FI Lega FdI
100 100 100 100 100 100
73,2%
Zaia (Cdx) Lorenzoni (Csx)
17,6%
Cappelletti (M5s)
4,7%
Altri
4,5% Centrosinistra
VOTI EFFETTIVI
M5S
Altri
Centrodestra
3,3 77
16,4
Regionali 2020
25,5
Europee 2019 Camera 2018
22,9
Regionali 2015
24,1
62,7
8,9
62,9
10,4 41,8
Europee 2014
23,3
Camera 2013
48,6
24,1
36,7
19,9
32,3
26,3 60,7
Regionali 2010
29,1
Europee 2009
30,9
57,7
Camera 2008
33,0
56,4
Camera 2006
40,2
Regionali 2005
40,4 0%
10%
56,8 53,3
20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
FILIPPO TOSATTO © RIPRODUZIONE RISERVATA
FABIO BORDIGNON
Gli allori indossati dai rosso-gialli sono irti di spine
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MEDIA SONDAGGI LUGLIO - SETTEMBRE 2020
IL COMMENTO
i capisce il sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, persino la soddisfazione – del Pd – per l’insperato 3 a 3 e l’eccitazione – del M5s – per la valanga di Sì. Al netto della propaganda (che legittimamente cavalca il mutato clima politico) l’entusiasmo va però ridimensionato. Manita della destra nelle regioni? Tik tok di Salvini in estasi a Firenze e toc toc di Bonaccini al Nazareno? Pericolo scampato, per Nicola Zin-
Non-voto Totale 9 100 0 100 34 100 16 100 15 100 17 100
garetti, leader riluttante iscritto prematuramente al club dei capi (di sinistra) decapitati dalle regionali. Il segretario si ritrova, al contrario, inaspettatamente più saldo dentro al Pd. E il Pd più forte dentro la maggioranza giallo-rossa. Rosso-gialla? Il mezzo successo di questa tornata arriva tuttavia alla fine di un ciclo elettorale largamente sfavorevole al centro-sinistra. Governava in ben 16 tra regioni e province autonome, alla fine del
2015. Ora ne controlla appena 5. Il Nord padano è interamente nelle mani del centro-destra. L’ex-zona rossa è sempre più sbiadita e ristretta. Umbria e Marche sono già cadute. A galvanizzare il Pd è soprattutto la resistenza tosco-emiliano-romagnola. Ma nelle due regioni ben 9 province su 19 si sono colorate di blu nel corso degli ultimi dodici mesi – solo una di queste era andata al centro-destra nel 2015. Nel Sud, infine, le riconferme di De Lu-
ca ed Emiliano si presentano come successi quasi esclusivamente personali, caratterizzati da dosi non trascurabili di populismo: attributi che rimarcano il carattere instabile del risultato. Per il M5s, già in balia delle turbolenze interne, il voto ha fornito l’ennesima conferma dell’incapacità di mettere radici sul territorio, e forse nella società. Dopo l’Umbria, anche in Liguria gli elettori hanno bocciato l’alleanza con il Pd. Mediamente, il partito si
è fermato intorno al 7%. Annusata da tempo l’aria, i suoi leader, per primo Di Maio, hanno optato per un altro campo di gioco: quello del Referendum costituzionale. Al M5s piace vincere facile: la vittoria del Sì era certa quasi quanto un voto su Rousseau. Ma è innegabile che il taglio dei parlamentari costituisca per i 5s il coronamento di una battaglia identitaria. Un successo che, paradossalmente, priva ancor più della sua ragion d’essere un parti-
to battezzato, già all’atto di nascita, come bio-degradabile. Consegnandolo alla definitiva mutazione in “partito del sistema”. Anche per il Pd sarebbe tuttavia fatale sedersi sugli allori. Illudersi che il risultato delle regionali spazzi tutte le nubi all’orizzonte del governo, renda d’un tratto più semplice la convivenza con l’alleato, sciolga i tanti nodi interni al partito. Sarebbe fatale: pensare di potersi chiudere per altri tre anni a Palazzo Chigi, dimenticando che, qua fuori, la connessione con il Paese è tutt’altro che ristabilita. — © RIPRODUZIONE RISERVATA
10 Primo Piano
IL GIORNALE DI VICENZA Giovedì 24 Settembre 2020
Ildopo-elezioniinVeneto Riflettori puntatisulle scelte chefarà il governatore
«Ha dimostrato doti di leadership, e non da ora»: così Matteo Renzi (ItaliaViva) suLucaZaia:«Saprendereivotielihasemprepresi.Deve deciderecosafaredagrande.Ilsuo76%vasicuramenteoltrelaLega. Zaiahalacartadifareilleaderdiunadestrapiùmoderata.Sefossilui, melagiocherei.Pertantimondièpiùrassicurante,comeperl’Europa».
RENZILODA ZAIA
«Ha lecarte da leader delcentrodestra»
DOPOILPLEBISCITO. Ilcapogruppouscentedella LegaaFdI: «Noipotevamo vincere da soli»
Finco:«Avviso agli alleati Guaiadalzarelavoce»
L'andamento dei maggiori partiti in Veneto nelle elezioni Dal 2015 a oggi (dati in %) Regionali 2015 Lista Zaia
Eintantosiscatenailtoto nomineperi10assessori e lacarica di presidentedel consiglio.Per lalista Zaia c’èchipensa adun lancionazionaleperlepolitiche «Avviso ai naviganti. Sicuramente sarà dato il giusto peso a tutti. Ma FdI non pensi di minacciare chiedendo più spazi o ruoli perché al Ferro Fini adesso ha cinque consiglieri. La scelta di stringere un patto per i prossimi anni non è stata una necessità in Veneto. Rientrava nella logica di centrodestra unito. Con Lega e Lista Zaia potevamo farcela tranquillamente da soli». Nicola Finco, capogruppo uscente della Lega, manda un segnale forte e chiaro agli alleati. Lui è uno dei big vicentini della Lega che ha ottenuto un gran numero di preferenze (8.939) insieme a Manuela Lanzarin, assessore alla sanità, e Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale. «Un risultato più che soddisfacente - dichiara il bassanese - considerato che non avevo la visibilità di un ruolo di governo. Ha ripagato il buon lavoro sul territorio creando rete con gli amministratori locali. Del resto, gli elettori stavolta hanno premiato chi ha lavorato bene e chi no: il M5s ha raccolto ciò che ha seminato e il Pd ha ottenuto il risultato peggiore di sempre rincorrendo la moda del candidato civico». GLI INCARICHI DEI BIG. Finco
negli ultimi 5 anni è stato in prima linea in consiglio per coordinare i lavori dei due gruppi, Lega e Lista Zaia, con gli alleati, FI e FdI. E ha il dente avvelenato visto che in più occasioni il rapporto, soprattutto con questi ultimi, aveva creato tensioni. Anche in campagna elettorale ci sono state incomprensioni, poi chiarite. E così, dopo i risultati dello spoglio, Finco mette le mani avanti, a prescindere dal ruolo che verrà chiamato
I PUZZLE DELLE NOMINE. Ecco
allora che, per esempio, il più votato in FdI, il veronese Daniele Polato(10.807), sembra puntare all’assessorato al turismo che era di Caner. E se si continua a guardare il casa FdI, Elena Donazzan, dopo più mandati in giunta, con un bottino di voti appena inferiore a Polato (10.743), si aspetta di tornare in giunta, magari anche come vice presidente. In realtà, per questo ruolo si sente fare anche il nome di Lanzarin. La cultura, oggi di Cristiano Corazzari peraltro eletto, vedrebbe una gara tutta interna tra leghisti
Traipapabili perl’assessorato allacultura duetrevigiani leghisti:Favero oVillanova?
trevigiani: l’ex presidente di commissione consiliare, Alberto Villanova, o il “filosofo“ Marzio Favero? Alla fine, se la trama dei precedenti episodi sarà rispettata, i protagonisti dei prossimi 5 anni di legislatura a breve saranno convocati al Balbi e sarà data loro, direttamente dalle mani del presidente, una busta con gli incarichi. E sarà sorpresa per tutti. Anche per questo la tensione è palpabile tra gli eletti. Ad esclusione di qualcuno. Lanzarin, per esempio, è praticamente certa all’assessorato alla sanità. Come Gianpaolo Bottacin, alla protezione civile (9078 preferenze). Il più votato è l’ex assessore allo sviluppo economico, il padovano Roberto Marcato detto “bulldog“. Se lui, come pare, sarà chiamato dal Ferro Fini - sede del Consiglio al Balbi - sede della Giunta il primo dei non eletti che entrerà in assemblea sarà l’attuale assessore all'agricoltura, Giuseppe Pan. Invece Lanzarin, in caso di conferma, lascerebbe il posto in consiglio all’ex sindaco di Montecchio Maggiore, Milena Cecchetto.
Fratelli d’Italia
Forza Italia
NicolaFinco
Partito democratico
CENTROSINISTRA
MOVIMENTO 5 STELLE
CristinaGuarda
44,6
32,8
17,8
6,8
4,3
2,6
10,8
6,0
24,1 10,4
6,0
16,6 23,4 23,8
16,9
9,6
3,6
51,7
65,5 16,7
49,9
63,9 18,9 26,3 8,9
78,8 11,9 17,6 2,7
Fonte: Osservatorio elettorale Consiglio regionale Veneto
Guarda,ladonnadeiPfas Torna a sorpresa a Venezia
Dopomesipassati allafinestratra Pd ecivica flitto dovuto alla disparità di risultato tra Lista Zaia e Lega diLorenzonisiaccasa di Salvini (uno a tre) fa pensa- conEuropa Verde evince
© RIPRODUZIONERISERVATA
Regionali 2020
GLIELETTI. La30enne diLonigo conquistaoltre2500preferenze
SPALLATEEGOMITATE. Il con-
re ad altri scenari. Per esempio, che Zaia stia tentando di mettere in piedi una giunta che non preveda al suo interno i salviniani più fedeli. Un modo per blindare il mandato da interferenze non gradite dal leader del partito. Ma c’è anche un’altra prospettiva, diametralmente opposta, che qualcuno in Lega a Milano sta considerando: sfruttare il marchio Lista Zaia, che ormai è sinonimo di successo e autorevolezza, a livello nazionale in vista delle prossime politiche per rafforzare la coalizione di centro destra. •
Europee 2019
23,1
CENTRODESTRA
L’EGO-HUB
Cristina Giacomuzzo
a ricoprire nella prossima legislatura. Sì, perché non è detto che riavrà lo stesso incarico. Anzi. Il suo predecessore, il trevigiano Federico Caner, era stato premiato e mandato in giunta come assessore al turismo. È questo ciò che accadrà anche a Finco? Impossibile saperlo. La risposta per ora è solo nella testa di Zaia. Ma, intanto, il toto nomine impazza. Oltre ai 10 posti in giunta - per la prima volta, vista la nuova legge, possono essere anche esterni quindi non eletti - c’è anche la casella di presidente del consiglio regionale da riempire. I criteri da tenere in considerazione sono tanti: il premio per il numero delle preferenze, la provenienza, l’equilibrio dei risultati delle singole liste della coalizione per tenere in piedi le alleanze con FdI e FI, ma anche il rapporto tra Lega Salvini e Lista Zaia.
Lega
Politiche 2018
A Cristina Guarda piacciono i primati a sorpresa: nel 2015 è entrata in consiglio regionale grazie ai riconteggi tecnici dei resti con la lista Alessandra Moretti presidente. Era la più giovane dell’assemblea. Oggi ha la certezza di tornare a palazzo Ferro Fini come unica e prima esponente di Europa Verde grazie alle 2.536 preferenze solo a Vicenza (941 a Verona e 109 a Rovigo). Imprenditrice, oggi 30enne e sposata, di Lonigo, nella coalizione che sostiene Arturo Lorenzoni, ammette: «Non me l’aspettavo. Anche
perché ho fatto la scelta di correre con un gruppo nuovo. Quindi un percorso in salita. Ma non l’ho fatto per calcolo di opportunità:sembrava semmai una di quelle liste con meno possibilità di esprimere un consigliere. È perché mi ha permesso di portare avanti i progetti su temi per me importanti». NIENTE PD. Sì, perché Guar-
da, dopo lo strappo con la Moretti per lo scandalo dell’assenza in India dell’allora speaker del Pd, è rimasta quasi fino alla fine nel gruppo che, nel frattempo, aveva cambiato nome, ma andando sempre per la sua strada. Per anni in consiglio ha lavorato in stretta collaborazione con il Pd, tanto che per un po’
si è anche ipotizzata una sua entrata ufficiale tra i dem. Invece lei è sempre rimasta alla finestra. In vista della campagna elettorale, poi, ha iniziato a parlare con Arturo Lorenzoni della civica Il Veneto che vogliamo. Ma neanche lì è andata bene del tutto. Finché è arrivata quella che lei definisce «la sua casa»: Europa Verde. «Lì non mi hanno chiesto che pacchetto di voti avrei portato, ma su quali progetti mi sarei impegnata. E ho capito che avevo finalmente trovato il posto e le persone giuste», ammette. La lista Europa Verde poi è entrata nella coalizione di Lorenzoni. L’attenzione e l’impegno di Guarda è sempre stato rivolto a due filoni principali: giustizia sociale e ambiente.
Temi per quali si è fatta conoscere e il ritorno dei voti elettorali ne è la conferma. Di più. Si può affermare che, viste le tante battaglie accanto alle famiglie della zona rossa, Guarda sia stata votata come la donna dei Pfas. «E lo sono nel vero senso della parola, visto che li ho pure io nel sangue», scherza, ma purtroppo poi neanche tanto. Non lo fa sicuramente in tema di limiti di legge nazionale quando bolla quelli fissati dal ministro grillino Costa come «intollerabili». PROGETTI. A breve tornerà a
palazzo Ferro Fini facendo squadra col resto della minoranza di coalizione. E con tanti progetti chiari da portare avanti a favore dell’ambiente, per esempio a tutela delle acque di falda, e della giustizia sociale per far restare i giovani in Veneto aiutandoli dal punto di vista delle politiche della casa e di quelle lavorative. • CRI.GIA. © RIPRODUZIONERISERVATA
ILCENTROSINISTRA SCONFITTO. Ilsegretario aveva giàannunciato l’addio,poi harinviato. Rotta:«La responsabilitàè diun gruppo dirigente»
Pdcon leossarotte:Bisato versoledimissioni Fracasso:«Persi100mila votirispetto a5anni fa» Orasiva aunaresa deiconti nellaDirezioneregionale Piero Erle
«Mi dimetto: ho già convocato la stampa per annunciarlo». Ha scritto più o meno così via social l’altro giorno Alessandro Bisato, segretario regionale del Pd, risultato non eletto in Regione: nel Padovano l’ha sorpassato e l’ex parlamentare Vanessa Camani e si è presa l’unico posto disponibile. La convocazione della
stampa l’ha fatta, poi l’ha ritirata. La questione non è la sconfitta personale di Bisato: il tema è che il Pd esce con le ossa più rotte che mai dal voto. L’ex capogruppo Stefano Fracasso, che si era proposto come candidato governatore ma fu sconfitto dalla maggioranza che preferì il civico Arturo Lorenzoni, sintetizza tutto in alcuni numeri chiari: «Come coalizione abbiamo perso 100 mila voti rispetto a 5 anni fa, in una tornata in cui ci sono stati 200 mila votanti in più. E non abbiamo più neanche i consiglieri sufficienti per chiedere una seduta straordinaria di Consiglio
veneto, o l’inserimento di un argomento all’ordine del giorno. Ci voleva un Pd che non inseguisse un civismo debolissimo, ma lo guidasse». La parola chiave è proprio “civico”, come rimarca la deputata veronese Alessia Rotta: «Dimissioni di Bisato? Non credo debba darle. Gli va riconosciuto che ha sempre seguito le indicazioni della segreteria: ha fortemente assecondato e co-gestito con una maggioranza nazionale. E quindi va fatta una riflessione con tutta una classe dirigente che aveva sostenuto la necessità di fare una scelta per Lorenzoni perché “civico
è bello”, umiliando il partito per sostenere una posizione interna nata a Padova. Adesso dicono che va “rimesso al centro il Pd”, perché non farlo in febbraio? Non ha senso cercare capri espiatori, Bisato o Lorenzoni. Va fatta una riflessione con una classe dirigente che allora, facendo fare una scelta a maggioranza, aveva detto che si prendeva la responsabilità della scelta». Insomma, si scrive “Bisato” ma si legge soprattutto “3 sottosegretari”, i big del partito veneto: Andrea Martella, Achille Variati e Pierpaolo Baretta (sconfitto a Venezia dal sindaco Luigi Brugnaro).
Le dimissioni di Bisato, comunque, per ora non ci sono: una riunione dell’altra sera a Padova tra “ex renziani” ha convinto il segretario a disdire l’incontro stampa e annunciare la convocazione della Direzione regionale del partito «per l’analisi del voto». Forse sarà sabato 3. A quel punto, assicura l’on. Rotta, ci sarà un confronto franco. Per fare un congresso straordinario? Lo dirà il confronto. Giovanni Rolando, consigliere comunale a Vicenza, si toglie un sassolino: «Ora tutti dicono “primarie”, ma quando le abbiamo chieste ci è stato detto di no». E cosa si deci-
AlessandroBisato
derà? Chiara Luisetto, tra i super-votati nel Vicentino anche se non entra in Consiglio perché ancora meglio è andato Giacomo Possamai, riunirà la segreteria provinciale
del partito per ripartire e sottolinea che «anche in questa campagna elettorale ho mirato a evitare polemiche e tenere insieme prima di tutto il partito. In campagna elettorale ci siamo impegnati molto sul territorio, nel dialogo con la gente sulle questioni più sentite, e risultati ce ne sono stati. Oggi c’è un’ubriacatura per Zaia, ma i meriti di oggi saranno i nodi di domani: vanno costruite risposte vere. Anche a livello regionale si può cambiare marcia, iniziando ad esempio a chiedere autonomia da Roma perché questo è un partito federalista: serve stare in mezzo alla gente, non chiusi in una stanza». Insomma, altro che commissariamento come invece ipotizza già qualcuno. • © RIPRODUZIONERISERVATA
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Primo Piano
Giovedì 24 Settembre 2020 www.gazzettino.it
GLI SFIDANTI Il riconfermato governatore Luca Zaia e, a destra, Arturo Lorenzoni
NON SONO PENTITO VOLEVO RIUNIRE LE ISTANZE DEMOCRATICHE I RENZIANI? HO PROVATO CON LORO MA VOLEVANO PESARSI ALLE URNE
L’intervista Arturo Lorenzoni
«Io, lasciato solo da un Pd rassegnato. Ma non mollo» Lo sfogo del candidato del centrosinistra `«Non ho mai pensato di dimettermi. Dopo «C’è stato un atteggiamento rinunciatario» il voto Zingaretti mi ha telefonato, altri no» `
Benazzi potrebbe essere promosso da Treviso all’Azienda ospedaliera di Padova, mentre nella Marca o a Venezia potrebbe essere dirottato dal Veneto orientale Carlo Bramezza.
GLI ALLEATI Assessori regionali, le caselle da riempire sono dieci. Quante alla Lega e quante agli alleati di Fratelli d’Italia (5 consiglieri eletti) e di Forza Italia (2 eletti)? Luca De Carlo, coordinatore regionale di Fratelli d’Italia - passati dal 6,5% delle Europee un anno fa al 9,5% - e neoeletto senatore nel collegio di Verona, attende di parlare con il governatore. Dice: «Zaia ha fatto un discorso pacato e di buon senso, ha detto: io potrei governare da solo ma siamo in coalizione. Tra l’altro, ricordo, una coalizione basata su un accordo nazionale che contempla autonomia, anti-inciucio, presidenzialismo. Cosa ci aspettiamo? Noi che siamo sempre stati fedeli non cerchiamo posti, vogliamo renderci utili e decidere con il presidente Zaia la formula con cui saremo più utili». Alda Vanzan © RIPRODUZIONE RISERVATA
a comunicazione dei sanitari gli è arrivata ieri sera, alle 19.35: tampone negativo. Il secondo. Arturo Lorenzoni è ufficialmente negativizzato, l’isolamento domiciliare è finito, adesso può uscire di casa e riprendere l’attività, compresa quella politica. Ma non doveva dimettersi? A Padova, poche ore dopo lo scrutinio che ha decretato il trionfo di Luca Zaia, si è sparsa la voce che il professore universitario - 385mila voti contro il milione e ottocentomila del leghista - stesse valutando il ritiro.
L
Professor Lorenzoni, adesso che la campagna elettorale è finita può dirci chi le ha chiesto di candidarsi a governatore per il centrosinistra? «Non so esattamente chi, è stato un gruppo di persone». È vero che è stato lei a non volere le primarie? «Il tema era tenere assieme il Pd, il mondo civico, i Verdi, +Europa. Le primarie erano sentite come una cosa del Pd gestita dal Pd. Per quello non ho spinto per farle».
Ha avuto garanzie? «Garanzia è una parola grossa. Io non ho messo condizioni. L’idea era di costruire un impegno comune, largo, con il Pd e tutti gli altri mondi che localmente amministrano i territori». Si è pentito? «Nessun pentimento».
VENEZIA La storia si ripete. Come nel 2015 quando l’allora segretario del Partito Democratico Roger De Menech si dimise in seguito alla sconfitta della candidata governatrice Alessandra Moretti, anche l’attuale segretario Alessandro Bisato sta valutando di ritirarsi vista non solo la batosta presa da Arturo Lorenzoni, ma anche il crollo di consensi del Pd, sceso all’11 per cento con appena 6 eletti in consiglio regionali. Tra questi, tra l’altro, non c’è Bisato, surclassato nel collegio provinciale di Padova da Vanessa Camani. L’analisi del voto sarà fatta nella riunione della direzione regionale del partito che dovrebbe tenersi sabato 3 ottobre. E in quella sede il segretario dovrebbe rassegnare le dimissioni. Scelta giusta? Sbagliata? «È una storia che si ripete - dice il deputato Roger De Menech - nonostante siano cambiati sempre i segretari regionali del nostro partito e i candidati presidenti in Regione. Abbiamo avuto il civico, l’imprenditore, la donna di partito, il professore. La cosa vera è che non siamo mai riusciti a entrare in sintonia
Come ha fatto Zaia a prendere il 76 per cento? «Durante l’emergenza sanitaria, con le dirette televisive e social, Zaia è diventato uno di casa, ha dato ai veneti un messaggio rassicurante, diretto».
Come giudica il risultato elettorale? «Deludente».
Lei lo ascoltava a mezzogiorno e mezzo? «No, non ho mai acceso la tv a quell’ora, ma l’ho sentito successivamente».
Si aspettava di più? «Sì, anche se è vero che vari fattori hanno concorso al risultato po-
E come le è parso? «La comunicazione politica di Zaia è stata perfetta. Il messag-
gio era: io ci sono, sono presente, sono qui per voi. L’aspetto singolare è che Zaia in consiglio regionale in questi cinque anni non ci è mai andato, ha avuto un tasso di presenza in aula del 10,2 per cento, ma alla gente non interessa. I veneti lo vogliono in cucina all’ora di pranzo». Chi gliel’ha fatto fare di candidarsi? «Ammetto, ci sono stati alti e bassi. Però rimango convinto che bisognava tenere insieme le tante anime democratiche». Dicono che stia già valutando di lasciare. Si dimetterà?
E il leader delle Sardine liquida il Professore: «È uno zombie» `L’attacco di Santori.
La replica: «Forse ce n’è anche un altro: lui» LA POLEMICA PADOVA L’appellativo non è certo elegante. E risulta ancora più pesante per il fatto che arriva da una persona appartenente alla stessa area politica. Ad accendere metaforicamente la miccia è stato ieri il leader delle Sardine, Mattia Santori (nella foto), il quale, commentando l’esito delle votazioni non ha usato perifrasi per definire l’ex vicesindaco patavino: «Che Salvini fosse bollito lo diciamo da novembre del 2019, ma Zaia ha battuto uno zombie», ha di-
LA RESA DEI CONTI
larizzando il voto su Luca Zaia».
chiarato. Il diretto interessato è rimasto basito. Certo non se l’aspettava il “fuoco amico”. «Non so a cosa si riferisca Santori - ha osservato Lorenzoni, fino a ieri prigioniero della quarantena -. Nell’ultimo periodo sono stato ricoverato per il Covid nel reparto di Malattie infettive, ma in precedenza forse il rappresentante delle Sardine non ha visto con la necessaria attenzione il lavoro capillare che abbiamo fatto in tutto il territorio veneto, ascoltano la gente, cercando di raccogliere tutte le segnalazioni e spiegando il nostro progetto, finalizzato a seminare una nuova sensibilità democratica».
L’AFFONDO Quasi un tradimento. C’è di che perdere l’aplomb: «Un attacco da lui proprio non me lo aspettavo, visto che quando abbiamo avuto occasione di parlarci avevo percepito da parte sua una sensibilità vicina alla mia su temi alla base del nostro programma, come la tutela dell’ambiente, i diritti, l’economia circolare e i servizi ai cittadini. Era venuto a Padova a luglio e non mi pare che si fosse espresso in questi termini. E comunque se è veramente convinto delle affermazioni che ha fatto, allora forse siamo in due a essere degli zombie…». Nicoletta Cozza © RIPRODUZIONE RISERVATA
SEGRETARIO Alessandro Bisato
Crollo Pd, veleni e accuse «Andavano fatte le primarie»
con il popolo veneto. Tra l’altro c’è una grossa differenza tra i centri abitati e la provincia: nelle grandi città il Pd ha segni di ripresa, ma più ci si allontana dal centro il Pd non riesce a intercettare il sentimento della gente». La storia si ripete e sempre in negativo, ammette l’ex segretario dem: «Ad ogni elezione, dopo ogni sconfitta, abbiamo
cambiato tutto. L’analisi era: peggio di così non può andare. Succederà anche stavolta, Bisato si dimetterà, ma non sarà sufficiente. La verità è che se abbiamo cambiato i segretari e abbiamo perso con tutti i candidati governatori, dobbiamo fare un’altra riflessione: caratterizzarci per una idea forte e capire perché c’è questa dicotomia tra
il centro e la periferia. E magari smetterla di scimmiottare Zaia, perché gli elettori preferiscono l’usato sicuro. Abbiamo visto perfino una lista autonomista con nostri ex esponenti che ha preso lo zero virgola». E allora? Allora, dice De Menech, «dobbiamo riappropriarci della nostra identità e proporre un pacchetto di riforme radicali».
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IL DEPUTATO DE MENECH «SCELTA SBAGLIATA DEL GRUPPO DIRIGENTE. E LE DIMISSIONI DEL SEGRETARIO BISATO NON BASTERANNO»
«Non l’ho mai detto, né pensato, né lo penso. Io resto in consiglio regionale. È un impegno che ho preso e che intendo rispettare». Elio Armano, leader storico del Pd, ha detto che sarebbe meglio che tornasse alla sua cattedra all’università. «Spieghi perché, io non l’ho neanche mai ipotizzato». A quale gruppo aderirà in consiglio regionale? Pd, Veneto che Vogliamo, Europa Verde? «Credo che lo sbocco naturale sia il Veneto che Vogliamo». Dopo la sconfitta i big si sono fatti sentire? «Mi ha chiamato Nicola Zingaretti, un abbraccio». In campagna elettorale non è emerso questo grande appoggio del Pd, sembrava che i singoli candidati corressero per sé, come se lei fosse abbandonato alla sconfitta. «Non recrimino niente, non è nel mio carattere. Ma è vero che c’era un atteggiamento rinunciatario. Ho dovuto combattere contro la rassegnazione, la gente lo percepisce chiaramente». Perché non è riuscito a tenere in coalizione l’autonomista ex dem Simonetta Rubinato? «Io avevo trovato un’intesa e anche da parte del Pd c’era stata un’apertura, a partire dalla lista col suo nome, ma Rubinato a un certo punto voleva che si facesse una iniziativa con il ministro Boccia che doveva riconoscere le sue proposte. Io volevo unire le istanze democratiche, il fatto che Rubinato andasse da sola era secondo me preoccupante. Ha pagato lei e anche il mondo democratico». E i renziani di Daniela Sbrollini? «Ci ho provato, ricordo una telefonata a Ettore Rosato tanti mesi fa, era ancora freddo, ho trovato una chiusura totale. Volevano pesarsi su scala nazionale». La telefonata che non c’è stata? «Tante. Ma anche nessuna». Il centrosinistra investirà su di lei o su qualcun altro per il 2025? «È presto per dirlo. Io però resto. Il lavoro per il 2025 è iniziato ieri». Alda Vanzan © RIPRODUZIONE RISERVATA
LA CRITICA Ma al di là delle dimissioni di Bisato, alla direzione regionale della prossima settimana terrà banco anche la scelta dei vertici del partito di puntare sul professore universitario e all’epoca vicesindaco di Padova Arturo Lorenzoni senza consultare gli iscritti. De Menech, infatti, dice che è stato sbagliato il metodo: «Da ex segretario regionale non contesto la scelta di Lorenzoni, dico però che anche Alessandra Moretti nel 2015 ha perso contro Luca Zaia, ma lei si era sottoposta alle primarie. Stavolta, invece, si è voluto fare una scelta veloce e saltare le primarie. Quello è stato sbagliato». Pero all’epoca praticamente tutti avete detto sì. «Qualcuno si è fatto sentire, la stessa Alessandra Moretti, l’allora capogruppo in Regione Stefano Fracasso, il collega parlamentare Gianni dal Moro. Ma c’è un gruppo dirigente nazionale che fa capo al segretario Zingaretti che ha scelto il professor Arturo Lorenzoni e che ha voluto quella scelta veloce». Della serie: sarà un processo al gruppo dirigente? Al.Va. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Primo Piano
ELEZIONI2020
Giovedì 24 Settembre 2020 www.gazzettino.it
Dopo le elezioni
LA SVOLTA VENEZIA Per alcuni è stata solo una parentesi di qualche anno, per qualcun altro la digressione è durata mezza vita. Comunque sia, l’esperienza a Palazzo Ferro Fini si è conclusa per 28 dei 51 consiglieri regionali uscenti. Ma se 7 di loro avevano già deciso di non ricandidarsi per i motivi più vari e altri 3 erano stati depennati dalle liste per il caso bonus, i restanti 18 si sono dovuti fermare di fronte al responso delle urne e non per tutti si prospetta un possibile ripescaggio, per cui c’è anche chi sta progettando un futuro nuovo.
IN ATTESA E IN CERCA I primi dei non eletti nel centrodestra sono in attesa di sviluppi. Lo zaiano Nazzareno Gerolimetto, al netto di eventuali riconteggi delle schede visti i soli 7 voti con cui è stato superato da Stefano Busolin, potrebbe rientrare nel caso in cui Alberto Villanova venisse nominato assessore. Lo stesso vale per i leghisti Giuseppe Pan (nei confronti di Roberto Marcato) e Giampiero Possamai (nei riguardi di Federico Caner), nonché per il “fratello” Joe Formaggio (rispetto a Elena Donazzan). Restando in Fdi, per Massimo Giorgetti è invece arrivato il momento della svolta: dopo 25 anni da assessore o consigliere, «metà della storia della Regione», il veronese deve rimettersi in gioco. «Prima ero agente di commercio – racconta – in tempi in cui proponevo il pet food a clienti che mi rispondevano: “El can magna i avansi”. Da allora evidentemente è cambiato il mondo. Ma credo di avere una professionalità, fatta di relazioni e conoscenze sviluppate in questo quarto di secolo, grazie a cui posso permettermi di cambiare. Lobbista? Non mi piacerebbe, tanto meno nell’istituzione che ho servito per 5 legislature, anche se di sicuro non abbandonerò le persone perbene che fanno politica per passione». Alla pari degli altri esclusi, tuttavia, Giorgetti dovrà rinunciare a uno stipendio netto che si aggira su 8.000 euro al mese. «Ma il vitalizio che percepirò – riconosce – è tutt’altro che basso. Poi ne guadagnerò in qualità della vita: non è facile reggere l’impegno. Mi dispiace solo che i partiti tendano a dimenticare chi non viene rieletto, quando invece avrebbe più competenze di tanti altri piazzati a dirigere partecipate. Comunque resto a disposizione».
LO SCENARIO VENEZIA Dunque il centrodestra ha battuto il centrosinistra 42 a 9. Ma al di là del tifo per l’una o per l’altra squadra, un dato è certo: nell’undicesima legislatura, gli spazi di manovra dell’opposizione nell’aula di Ferro Fini saranno molto limitati, come verosimilmente mai è accaduto nella cinquantennale storia della Regione. Per lo svolgimento di svariate attività tipiche delle forze di minoranza, come ad esempio la presentazione delle mozioni di sfiducia e la richiesta di convocazione delle sedute, lo statuto del Veneto e il regolamento del Consiglio prevedono infatti soglie numeriche che i rappresentanti di Partito Democratico, Il Veneto che Vogliamo ed Europa Verde non potranno mai raggiungere, a meno di (improbabili) sostegni dalla maggioranza.
PREROGATIVE E GARANZIE A sollevare il tema è stato ieri un acuto conoscitore del Palazzo qual è l’ex segretario generale Roberto Zanon, con un post su Facebook che ha acceso il dibattito sulle conseguenze della vittoria “bulgara” di Luca Zaia. «Nella prossima legislatura – ha scritto
FDI Il veronese Massimo Giorgetti non è stato rieletto per la sesta volta malgrado 7.133 preferenze
«PRIMA ERO AGENTE DI COMMERCIO, MA È CAMBIATO IL MONDO. ORA VALORIZZERÒ RELAZIONI E CONOSCENZE SVILUPPATE IN 25 ANNI IN REGIONE. IL VITALIZIO È TUTT’ALTRO CHE BASSO E NE GUADAGNO IN QUALITÀ DELLA VITA: TROPPI IMPEGNI»
«A GIORNI RIPARTIRÒ A LAVORARE COME TECNICO AMBIENTALE. ERO RESPONSABILE DEL VERDE PUBBLICO, ADESSO VEDREMO. SONO SERENO: PER 10 ANNI MI SONO DEDICATO COMPLETAMENTE AL RUOLO POLITICO, UN’ESPERIENZA GRATIFICANTE»
PD Il polesano Graziano Azzalin lascia dopo due mandati: non sono bastati 1.860 voti per la riconferma
Addio a 8.000 euro al mese la “nuova” vita degli esclusi Dal decano agli (ex) esordienti, il futuro `Conte chiede il Tfr, Negro torna infermiera dei 18 consiglieri ricandidati e sconfitti Scarabel fa il papà, Salemi studierà i classici `
ALL’OPERA Nelle file del Pd è pronto a rimettersi all’opera il polesano Graziano Azzalin, in aspettativa dal 2006, prima come vicesindaco di Rovigo e poi come consigliere regionale. «Dopo la proclamazione dei nuovi eletti – spiega – tornerò a fare il tecnico ambientale in Asm. All’epoca ero responsabile del verde pubblico, adesso vedremo cosa farò. Sono sereno: per 10 anni mi sono dedicato completamente all’incarico in Regione, un’esperienza gratificante
che mi ha permesso di fare politica a livello ottimale, ora continuerò a fare il consigliere comunale nella mia città e ad impegnarmi per la ricostruzione del partito dopo questa sconfitta. Ho rinunciato al vitalizio, ottenendo la restituzione dei contributi versati, ma come tutti gli altri incasserò l’assegno di fine mandato». Si tratta del “tfr” di Palazzo, che l’azzurro Maurizio Conte vedrà liquidato in tempi rapidi dato che si è dimesso due giorni prima delle elezioni, quando ancora
confidava nella riconferma e aveva bisogno di far scattare l’interruzione fra due legislature per incamerare l’importo maturato fino ad allora. Il padovano potrà tornare a fare l’architetto, così come il vicentino Maurizio Colman e il bellunese Franco Gidoni della Lega rientreranno nei loro studi di ingegneri, mentre nella lista Veneta Autonomia il trevigiano Pietro Dalla Libera ricomincerà da avvocato e la veronese Giovanna Negro da infermiera. Il veneziano Franco Ferrari
Troppo pochi: l’opposizione non ha neppure i numeri per sfiduciare il Presidente In cifre
10 I componenti prescritti per presentare la mozione di sfiducia o di riserve
12-13 La soglia minima per chiedere la convocazione dell’assemblea
Zanon – il Consiglio regionale del Veneto sarà di fatto inagibile per l’opposizione. Con i seggi assegnati, quelli del Pd e gli altri consiglieri di opposizione non potranno infatti esercitare nessuna delle prerogative e garanzie attribuite all’opposizione da Statuto e Regolamento». L’ex dirigente ne ha elencate sei. Innanzi tutto la presentazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente della Giunta, che deve essere «sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti», cioè 10. In secondo luo-
LO STATUTO LIMITA IL RAGGIO D’AZIONE DEI 9 CONSIGLIERI DI CENTROSINISTRA: NON ERA PREVISTO FOSSERO COSÌ POCHI
go la domanda di convocazione dell’assemblea, per la quale serve «un quarto» degli eletti e perciò almeno 12-13, altrimenti l’indizione avviene «per iniziativa del presidente o su richiesta del presidente della Giunta». Quindi la fissazione dei lavori di commissione, normalmente decisa dal suo presidente e pertanto dalla maggioranza, a meno che l’istanza non provenga «da un numero di componenti della stessa che (...) dispongano di almeno un quarto dei voti attribuiti in commissione», condizione pressoché impossibile per i 9 rappresentanti di centrosinistra che già faticheranno a essere presenti in tutti e 6 gli organismi. Risulteranno poi inarrivabili per l’opposizione i minimi prescritti per la presentazione delle mozioni di sfiducia nei confronti dell’ufficio di presidenza («almeno un terzo dei consiglieri»: 17), nonché delle mozioni di riserve
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Le schede
Quanto pesano i voti per Zaia? Come 3 camion `Quanto pesano i 1.883.959
voti espressi per il ricandidato e rieletto governatore Luca Zaia? L’equivalente di 3 camion, o poco meno (per la precisione 2,7), su un totale di 6. Tanti ne serviranno per trasportare le schede stampate per le elezioni nel deposito del Consiglio regionale a Marcon, dove verranno custodite fino al 2025, quando verrà chiesto alla Sovrintendenza il permesso di mandarle al macero per fare posto ai nuovi materiali. Anche se i votanti effettivi tra domenica e lunedì sono stati 2.522.920, è stato ovviamente necessario predisporre le schede per tutti i 4.126.114 aventi diritto, nonché i 4.751 verbali per le altrettante sezioni operative in questa tornata. Numeri imponenti, come pure quelli contabilizzati dal sito dell’Osservatorio elettorale, che con il coordinamento di Paolo Feltrin ha seguito lo spoglio e analizzato le tendenze: oltre 500.000 visualizzazioni di pagina, con circa 69.000 visitatori e 1,24 tetrabyte di traffico. «Credo che, tra il sito istituzionale e l’informazione assicurata in tempo reale dei mass media, si sia raggiunta in Veneto una capillarità informativa mai registrata in precedenza», ha commentato il presidente Roberto Ciambetti. (a.pe.) © RIPRODUZIONE RISERVATA
continuerà a guidare la sua azienda metalmeccanica, dopo l’appoggio civico a Italia Viva che non ha rieletto nemmeno la veronese Orietta Salemi. «Mi prenderò un anno sabbatico – annuncia la docente – per rimettermi a studiare i classici greci e magari frequentare un master». L’ecologista polesana Patrizia Bartelle, ora al mare con il marito «come non accadeva da 5 anni», si appresta a riprendere servizio come poliziotta al commissariato di Porto Tolle, «ma poi a marzo andrò in pensione e potrò dedicarmi al territorio». Il trevigiano Simone Scarabel, rimasto fuori come tutto il M5s, ha scelto di cambiare: «Intanto farò il papà, perché ho due bambini di 3 anni e 15 mesi. E siccome l’azienda per cui lavoravo come tecnico ha chiuso, ne approfitterò per inventarmi qualcosa nei settori dello sviluppo futuro, quali economia verde, sostenibilità ambientale, mobilità intelligente. Cercherò comunque di trasferire la mia esperienza agli attivisti sul territorio, ma solo come volontario. A meno che non serva un capo politico... Scherzo eh!». Angela Pederiva © RIPRODUZIONE RISERVATA
nei riguardi dei singoli assessori: «almeno un quinto» (10), medesimo presupposto perché i consiglieri possano chiedere conto dell’attività svolta dal presidente dell’assemblea, dai suoi due vice e dagli altrettanti segretari.
DURATA E PROGRAMMA Zanon ha anche fatto presente che «la maggioranza potrà fare tutto quello che vorrà» per quanto riguarda «durata degli interventi in aula per quasi tutti i punti all’ordine del giorno» e «determinazione del programma e del calendario dei lavori». Questi aspetti possono infatti essere decisi dai presidenti dei gruppi che assommano, variamente, almeno «quattro quinti» (40-41), «due terzi» (34) o «un quinto» (10) dei membri del Consiglio. Ma quando sono state stabilite queste regole? Lo statuto è stato approvato nel 2012, mentre il regolamento è stato varato nel 2015, quindi entrambi nel corso della nona legislatura e cioè durante lo Zaia I. A quel periodo risale pure la legge elettorale che, a differenza di altre Regioni, non ha introdotto un limite ai seggi conquistabili dalla coalizione vincitrice. A.Pe. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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il Giornale DAL 1974 CONTRO IL CORO
GIOVEDÌ 24 SETTEMBRE 2020
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Quotidiano diretto da ALESSANDRO SALLUSTI
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Anno XLVII - Numero 227 - 1.50 euro*
ISSN 2532-4071 il Giornale (ed. nazionale-online)
CENTRODESTRA
LA LETTERA
Auguri nonna, prigioniera in ospedale come in cella
Svolta nella Lega: Salvini «affiancato»
di Manila Alfano
O
Il Capitano apre a una segreteria politica allargata. Toti lo molla. E Berlusconi avverte: «Non si vince con toni populisti»
Pm all’assalto di Fontana: sequestrato il cellulare Svolta in casa Lega: Matteo Salvini non sarà più un «Capitano» solo al comando, ma sarà affiancato da una segreteria politica. Intanto il centrodestra è in fibrillazione dopo l’esito delle Regionali: rimandato il vertice tra i leader. servizi alle pagine 2-3
APPOGGIATO DAI 5 STELLE
BUFALE PROGRESSISTE
Il professore e l’incubo infinito: Il Pd primo partito? Prodi si ricandida al Quirinale È solo una fake news Massimiliano Scafi
a pagina 8
Renato Mannheimer a pagina 5
IL CORAGGIO DI NON ESSERE DI MODA
NON BASTA IL REFERENDUM
Grillo cala la maschera: non credo nel Parlamento
di Alessandro Sallusti
SPEDIZIONE IN ABB. POSTALE - D.L. 353/03 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) - ART. 1 C. 1 DCB-MILANO
*IN ITALIA. FATTE SALVE ECCEZIONI TERRITORIALI (VEDI GERENZA)
C
redo che nessuno possa permettersi di insegnare a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni come incrementare il consenso, in questo entrambi sono dei fuoriclasse. Altra cosa è la certezza che tanto consenso personale porti di per sé a una proposta politica percorribile e sostenibile nei fatti e nel tempo. «Niente è più ostico di un consenso alla moda», diceva Margaret Thatcher, lasciando intendere il pericolo - le mode passano – insito, anche in politica, nelle fiammate di successo. Il grillismo ne è un esempio perfetto: cotto, mangiato e digerito nel giro di pochi anni proprio perché fondato su una moda (l’anticasta) invece che su una cultura di governo. Il centrodestra non è una moda – sta per compiere trent’anni di onorato servizio -, ma una realtà imprescindibile dell’offerta politica italiana. Non è una moda, ma a volte si ha l’impressione che i suoi leader – e pure i suoi elettori seguano mode più o meno improvvisate. Che la Lega di Salvini stia cedendo voti ai Fratelli d’Italia della Meloni, e che ancora prima Forza Italia abbia in parte travasato i suoi a entrambi, dimostra che l’elettorato non di sinistra non ha ancora trovato un baricentro solido e stabile dopo l’azzoppamento di Silvio Berlusconi. Il quale, per quello che ne so, sarebbe stato invece ben felice di collaborare con un socio cui portare in dote il patrimonio politico e culturale di Forza Italia, senza il quale non può esistere il centrodestra, ma solo una destra-destra, che è cosa ben diversa. Non è la somma che fa il totale, come direbbe Totò (i tre partiti veleggiano stabili attorno al cinquanta per cento), ma queste continue oscillazioni al suo interno rendono oggi fragile il centrodestra. Si naviga un po’ a vista, cercando di intercettare il vento e le mode del momento: un giorno europeisti e l’altro euroscettici, conservatori ma anche anticasta per non lasciare campo ai grillini, rigorosi sulla lotta al Covid ma anche no, disposti a dialogare con il governo sulle cose serie ma anche a sfiduciare i suoi ministri. Faccio i miei migliori auguri di successo personale a Salvini e alla Meloni, ma siccome – lo sanno anche loro – soli non andranno mai da nessuna parte, un giorno o l’altro qualcuno dovrà prendere in mano le redini dell’intera coalizione sacrificando qualcosa del proprio partito. Salvini non l’ha fatto, la Meloni per ora non vuole farlo, Berlusconi oggi non può farlo. Verrebbe da dire: per fortuna che le elezioni politiche non sono imminenti.
Francesco Maria Del Vigo a pagina 6
ggi mia nonna compie 95 anni, ma non festeggerà. Poco meno di un mese fa si è rotta il femore. È finita, abbiamo pensato noi. Lacrime e abbracci mentre veniva caricata sull’ambulanza, lei ha anche scherzato: «Mi porto avanti, vado a prendere il posto in paradiso». «Ma nonna quella era Madre Teresa di Calcutta, non esagerare!». Sapevamo che per colpa del virus non l’avremmo potuta vedere. Mai però avremmo immaginato di subire l’ottusità di un sistema che segue linee guida senza mediazioni. L’unica scialuppa, un amico che lavora in ospedale che è come un fratello. È stato i nostri occhi, i nostri incoraggiamenti, il nostro abbraccio che è mancato. Subito dopo l’intervento, grazie all’intercessione del primario, siamo riusciti a intravederla cinque minuti. Poi, più niente. «Le visite parenti (...) segue a pagina 14 servizi alle pagine 14-15
IL PIANO SUI RICOLLOCAMENTI È UNA FREGATURA
Una comunista svedese ci scarica tutti i migranti Fausto Biloslavo e Gian Micalessin RIECCOLO Romano Prodi fallì l’elezione al Colle nel 2013
Cacciari avverte Zaia: «Mai sfidare la Lombardia» Paolo Bracalini
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atteo Salvini è un «simpatico sbruffone», Emiliano e De Luca «due capibastone che non hanno alcuna possibilità di diventare leader nazionali». Ma il fenomeno che ha colpito per davvero Massimo Cacciari è la «pazzesca, incredibile affermazione di Luca Zaia in Veneto».
NON SOLO SUAREZ Il nuovo patto sui migranti dell’Unione europea è un mezzo bidone, che non accoglie la richiesta del governo italiano sul ricollocamento automatico fra i Paesi membri. Al contrario, si inventa un pateracchio di alternative, che difficilmente funzioneranno evitando di trasformare l’Italia nel campo profughi d’Europa. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha sottolineato, in un discorso di appena 4 minuti, che il punto non è più «se i Paesi dell’Ue mostreranno solidarietà, ma come la mostreranno». La «mente» del piano è la Commissaria per gli Affari Interni Ylva Johansson, proveniente dal partito comunista svedese.
Alcuni dei promossi al concorso per magistrati hanno fatto uno scritto pieno di errori. È tutto in un esposto sul tavolo del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e del vicepresidente del Csm.
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servizio a pagina 20
Gli strafalcioni dei magistrati: tutti promossi
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BATTIBECCO SALLUSTI-DE GREGORIO SU LA7, PARLA L’ESPERTO DI ONOMASTICA
«Chiamarsi per nome non è offensivo, anzi...» Nino Materi l professor Enzo Caffarelli, esperto di onomastica (la scienza che studia i nomi), ieri mattina non credeva ai propri occhi: «Ho visto sul web il faccia a faccia De Gregorio-Sallusti. La reazione della De Gregorio è incomprensibile. Non capisco come una persona possa offendersi perché è stata chiamata per nome, attestato di cordialità e vicinanza; ricorrere al cognome denota invece distacco e
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freddezza». Eppure, due sere fa, la professoressa De Gregorio Concita ha fatto una piazzata nel bel mezzo della trasmissione DiMartedì su La7 condotta da Giovanni Floris. L’apprezzata opinionista de La Repubblica (ex direttora de L’Unità, casualmente fallita sotto la sua gestione), a un certo punto, si è indignata di brutto. Il direttore del Giornale, in collegamento da Milano, si era infatti permesso (...)
LA GRÉCO AVEVA 93 ANNI
Addio Juliette musa allegra tra Belfagor e Prévert Antonio Lodetti a pagina 26
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GIOVEDÌ 24 SETTEMBRE 2020 IL MATTINO
PRIMO PIANO
Elezioni regionali
L’inghippo della croce fra i riquadri «Voti M5S annullati ingiustamente» I grillini sulle barricate. Cappelletti: «Superare il brutto pasticcio, noi con il 3,3% esclusi dal Consiglio» PADOVA
«Non è possibile che dal consiglio regionale venga escluso un partito che ha superato il 3 per cento ed entrino invece liste con meno del 2: così si calpestano la democrazia e la rappresentanza reale del voto». Il M5s non ci sta ad essere escluso da Palazzo Ferro Fini e prima di avviare il ricorso al Tar attende la proclamazione degli eletti, competenza assegnata alla Corte d’appello di Venezia. In tribunale è già iniziato il controllo delle schede, operazione complessa visto che alle urne ci sono andati 2.452.523 cittadini, pari al 61,7% degli iscritti alle liste. Il verdetto è atteso entro martedì prossimo. Enrico Cappelletti, candidato presidente grillino, conferma piena fiducia nella magistratura e spera che la revisione delle schede possa riservare piacevoli sorprese. Lui ha raccolto 73.615 consensi pari al 3,3 per cento e la li-
Enrico Cappelletti
Jacopo Berti
sta ufficiale del M5s si è fermata a 55.240, pari al 2,7%. I simboli erano identici e migliaia di elettori hanno impresso una croce a cavallo tra i due riquadri. Così tantissimi voti sono stati annullati. «Credo ci siano tutte le condizioni per superare questo brutto pasticcio che rischia di penalizzare il M5s che in Veneto svolge un ruolo
fondamentale di opposizione a Zaia. I due simboli sono identici e va sempre interpretata la volontà dell’elettore. Chi ha messo la croce a cavallo della scheda voleva certamente esprimere il consenso al M5S. La legge rifatta nel 2018 è scritta male, basta aggiungere una sola riga: la soglia del 3% vale per la lista e anche per il candi-
l’analisi del voto dopo la batosta
Bisato convoca il Pd il 3 ottobre Dimissioni pronte, si gira pagina Possamai: «Discutere a fondo sulle ragioni di questa pesante sconfitta» Camani e Zanoni: «L’opposizione alla Lega va costruita sul New Green Deal dell’Ue» PADOVA
La lettera di dimissioni è già scritta ma Zingaretti ha invitato Alessandro Bisato a non precipitare le decisioni. Meglio riflettere e far maturare così l’alternativa per il ricambio della squadra. Il disastro elettorale in Veneto va fatto decantare, inutile recitare mea culpa a farsi crocifiggere in poche ore. Bisato ha chiuso la lettera nel cassetto della sua scrivania e lo riaprirà il 3 ottobre, quando a Padova si riunirà la direzione regionale dem. Lui gode di un vastissima maggioranza, pari al 65 per cento dei voti, perché l’area di Franceschini-Baretta e Martina-Fracasso è largamente in testa in Veneto. E quindi le sue dimissioni potrebbero essere respinte, ma dopo la disfatta il Pd vuole girare pagina. In fretta. GLI SCHIERAMENTI IN CAMPO
Sul fronte opposto c’è il sottosegretario Andrea Martella che si trova anche Variati come alleato del nuovo corso di Zingaretti in Veneto. Resta da capire quale sarà il ruolo di Alessandra Moretti, che da
dato presidente quando si presenta con un solo partito e quindi non scatta lo sbarramento del 5% previsto per la coalizione”. Questa tesi verrà accolta dall’ufficio elettorale della Corte d’appello? Non resta che attendere il verdetto anche se l’ufficio elettorale della Regione sottolinea che nel 2010 si presentò
di questa sconfitta ci impongono di discutere e capire perché non siamo stati competitivi. Al di là di quelli che saranno i nomi dei nuovi vertici di partito, noi dovremo lavorare sui contenuti per formare un’opposizione efficace in Regione ma nel contempo anche costruire una strategia al di fuori del Consiglio. Da ieri, cioè dal giorno successivo le elezioni, è iniziata l’era del “dopo Zaia” visto che l’attuale presidente è al suo terzo mandato e quindi non potrà più ricandidarsi. Ora tocca a noi iniziare un nuovo percorso. Il nostro ruolo all’opposizione» conclude Giacomo Possamai in una dichiarazione all’Ansa «sarà importante su diversi temi. Vogliamo un Veneto diverso da quello attuale, dove 14 mila giovani sono andati via negli ultimi anni: questa regione deve tornare ad essere appetibile al punto da richiamare ragazzi per lavorare e non essere costretti a vederli fuggire». PARLANO CAMANI E ZANONI
Foto di gruppo del Pd con i candidati schierati per le elezioni al parlamento del 2018
Bruxelles è scesa in campo per difendere sia Bisato che Lorenzoni, memore del processo subito nel 2015, quando raccolse il 22,7% dei voti. Non ha invece cambiato idea Elio Armano, lo scultore ex segretario Ds che in consiglio regionale ha fatto opposizione a Galan e Zaia. «Credo che il professor Arturo Loren-
zoni sia un autorevolissimo docente che deve tornare il prima possibile alla sua cattedra di Ingegneria, nell’interesse degli studenti. Quanto ai dirigenti del Pd, vanno accolte le dimissioni del segretario regionale Bisato, dei 7 segretari provinciali e anche dei circoli: bisogna rifondare il Pd, oggi ridotto a un comita-
to elettorale senza programmi» dice Armano con la solita schiettezza. LA DELUSIONE
Come superare la delusione dopo la batosta? Una risposta arriva da Giacomo Possamai, il più votato con 11.515 preferenze tra i sei consiglieri regionali Pd: «Le proporzioni
Su Facebook dice la sua Vanessa Camani, che entra a palazzo Ferro Fini dopo una breve esperienza alla Camera dei deputati. «Verrà presto il tempo per analizzare questa pesante sconfitta. E lo faremo con serietà e in profondità. Consentitemi però di ringraziare le 6.187 persone che mi hanno dato la loro fiducia, permettendomi di essere eletta in consiglio regionale. Da qui ripartiremo, capendo ciò che non ha convinto della nostra proposta politica, ma nella consapevolezza che la sinistra può e deve esercitare un ruolo in questa Regione, per rappresentare e costruire un’alternativa radicalmente
un caso analogo. avid Borrelli, sceso in campo per il M5s con il consenso di Beppe Grillo, raccolse 80.246 voti pari al 3,1% ma la lista si fermò al 2,6%. E non ci fu verso di entrare a palazzo Ferro Fini. Qualche anno dopo, Borrelli fu eletto al parlamento europeo, da cui è decaduto nel 2019, al termine di un divorzio politico clamoroso legato ai mancati rimborsi elettorali. Ora fa l’imprenditore nel settore dell’informatica. Nel 2015 è sceso in campo Jacopo Berti e il risultato fu straordinario: il 12% al candidato presidente, tenace avversario di Luca Zaia, Alessandra Moretti e Flavio Tosi, mentre la lista 5 stelle si fermò al 10,8%. Cinque i consiglieri, con una legislatura di scontro frontale con la Lega sui temi caldi, dai Pfas alla Pedemontana. Berti non si è ricandidato, fa l’imprenditore nel settore dell’informatica e si augura che la Corte d’appello di Venezia ponga rimedio a una legge pasticciata, scritta male dalla Lega per creare difficoltà alle minoranze. Resta da capire perché lo staff del M5s non abbia adottato le giuste contromisure spiegando ai propri elettori dove tracciare la croce per evitare equivoci: la matita non è il mouse e il seggio non va confuso con la piattaforma Rousseau. — ALBINO SALMASO © RIPRODUZIONE RISERVATA
opposta al “modello unico” leghista». Da Treviso fa sentire al sua voce Andrea Zanoni che ha raccolto 6.500 consensi: «Il Pd dovrà puntare sui temi che più ci stanno a cuore: tutela dell’ambiente e biodiversità, riconversione ecologica con il Green New Deal, tutela della salute e sanità. Un bella sfida in una regione tra le più inquinate e massacrate d’Italia». — © RIPRODUZIONE RISERVATA
le tappe
Un commissario e poi il congresso straordinario Cosa prevede la procedura dopo le dimissioni di Alessandro Bisato che verranno formalizzate il 3 ottobre? Si va verso il congresso straordinario ma come fase intermedia è probabile che venga nominato un commissario, inviato da Roma. In passato un ruolo analogo fu svolto da Lorenzo Guerini, attuale ministro della Difesa, che sostenne la candidatura di Alessandra Moretti per la regione, quando era nella segreteria al fianco di Renzi. Difficile ipotizzare nomi perché si tratta di una poltrona che scotta, raramente diventata un trampolino di lancio. Solo Roger De Menech dopo l’elezione a deputato nel 2013 ce l’ha fatta a diventare segretario regionale e a gestire le elezioni del 2015. Prima del deputato bellunese, il Pd del Veneto era affidato a Rosanna Filippin, avvocato e poi senatrice Pd di Bassano. —
12 Cronaca
L'ARENA
Giovedì 24 Settembre 2020
REGIONALI 20 IL VOTO IN CITTÀ. Il risultato, al netto dell’exploit dello schieramento del presidente, ridisegna gli equilibri nel centrodestra in vista del rimpasto in Giunta e delle nomine
Fratellid’Italiaprimo fra ipartiti Èal17percento,superatosolo dalla ListaZaia. Maè dipocosoprail Pd,battela Lega estacca ForzaItalia, ormaial 4,5percento egrazie all’apportodiTosiperBozza Enrico Giardini
Il ciclone Luca Zaia, rieletto presidente della Regione con il 76,79 per cento, e il risultato della sua Lista Zaia al 44,57 per cento (quasi tre volte la Lega, il suo partito, a quota 16,93) hanno ridisegnato anche la geografia politica di Verona città. Con ricadute anche nella maggioranza di centrodestra (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Battiti, Verona Domani) del sindaco Federico Sboarina. Che ha due assessori, Filippo Rando (Lista Zaia) e Daniele Polato (FdI) eletti in Regione e ora da sostituire. A Verona città la Lista Zaia è prima con il 31,48 per cento, seguita al 17,01 da Fratelli d’Italia, di Giorgia Meloni che, dunque, è il primo partito vero e proprio nel territorio cittadino e pure schierato con Zaia. Anche se si parla di una ipotesi, per le amministrative a Verona, di mettere in campo una Lista Zaia locale. Al terzo posto, invece, staccato di poco, con il 16,59 per cento, che alle regionali 2015, quando era ancora a trazione renziana, era il primo partito in città con il 22,5 per cento, pur essendo stato il centrodestra nel 2015 al 60; quarta la Lega, il partito di Zaia, con il 14,3, due punti
sopra cinque anni fa, quando c’era anche la Lista Tosi che era al 16,86. La Lista Zaia è passata in cinque anni in città dal 9,3 al 31,40 e quindi oltre tre volte tanto. Al quinto posto di arrivo c’è Forza Italia, con il 4,58 per cento (cinque anni fa era al 7,1) ma forte tra l’altro del fatto che un candidato al Consiglio regionale, poi eletto, Alberto Bozza, era espresso dalla Lista Tosi. Segue al sesto posto, in città, il Movimento 5 Stelle, con il 3,65 per cento, quasi un quarto del 12,3 per cento delle regionali 2015. Seguono, con un totale del 10 per cento circa tutti insieme, dieci liste. Da Europa Verde al 2,51 per cento, quindi Il Veneto che vogliamo, la lista del candidato presidente del centrosinistra Arturo Lorenzoni, che ha conquistato il 2,49 e dopo i renziani della lista Sbrollini presidente (Italia viva, Pri, Psi, Civica per il Veneto) fermi all’1,53 per cento. Quindi +Europa in Veneto-Volt all’1,34 e poi Solidarietà Ambiente Lavoro all’1,02; seguono Veneto Ecologia Solidarietà allo 0,67 per cento, il Partito dei Veneti allo 0,47 e infine Veneto Simonetta Rubinato per le Autonomie allo 0,18 e ultima Sanca Autonomia allo 0,11. Sul fronte della maggioranza dunque, anche in città, i dati salienti sono il triplo dei
GiorgiaMeloni incittà all’inizio disettembrecon i candidativeronesi alleelezioni regionali
voti della Lista Zaia rispetto alla Lega. Anche se i dirigenti leghisti del partito di Salvini tendono a sminuire questo dato, affermando che tutti i componenti della Lista Zaia sono leghisti; gli eletti consiglieri sono Stefano Valdegamberi, uscente - potrebbe essere tra i papabili per un assessorato in Regione - l’assessore veronese Filippo Rando e Filippo Rigo. In testa ai partiti veri e propri c’è dunque Fratelli d’Italia - che ha eletto Daniele Po-
lato, pure assessore comunale - e ha chiesto che l’assessorato al turismo sia dato a FdI di Verona, e magari potrebbe andare proprio a Polato (a Verona spetterebbero due assessori regionali). Il Pd, secondo partito per poco dietro a FdI, ha eletto Anna Maria Bigon, che in città è prima per preferenze con 2.486, davanti alla consigliera comunale Elisa La Paglia con 2.348. La Lega ha conquistato due consiglieri, Elisa De Berti, assessore uscente e in aria di conferma,
ed Enrico Corsi, pure uscente. Se andasse in Giunta la De Berti, entrerebbe in Consiglio il primo dei non eletti, Marco Andreoli. È entrato come detto in Consiglio anche il tosiano Alberto Bozza, in Forza Italia, e poi c’è Tomas Piccinini, della Lista Veneta Autonomia. Nel centrodestra, dunque, primeggia FdI, che doppia il risultato del Veneto e per questo chiede di più, nella Giunta di Verona. E in Veneto. • © RIPRODUZIONERISERVATA
VIAGGIONELMOVIMENTOA PICCO. Al2,7 cioèun quartodei votidelleregionali 2015.Vanzetto: «Tornarealle origini»
Elettanel Vicentino,risiede aMontecchia
Cristina Guarda, “decima” consiglieraveronese C’èundecimo consigliere regionaleveronese. Èuna donna.Non inquantoeletta nellanostraprovincia, visto che loèstata inquelladi Vicenza, mainquantoèdiCologna Venetaeabitaanche a MontecchiadiCrosara,con il marito,residenzache alterna conLonigo (Vicenza). ÈCristina Guarda,30anni, imprenditrice agricola,elettainEuropa Verde asostegno delcandidato alla presidenzaArturoLorenzoni. Eraconsiglierauscente. «L’argomentocentraledel mioimpegnoèstato l’inquinamentodelle acqueda Pfas,assieme allatutela eil rilanciodegli ospedalidi periferia- inparticolarea Verona,quellodiMalcesine -e delsettore dacui provengo, l’agricoltura»,dice. «Insomma, hosceltolaterra intuttii sensi, nellavoroinagricoltura, nella miaaziendaviticola aLonigo, e inpoliticaaderendoal progetto diEuropa Verde.Vivo a cavallo traVicenza eVerona equesto nonsoloperchéhosposatoun veronese»,spiega,«ma perché inrealtàgià datempo mi confrontocon molticittadini veronesiperquestioni alParco dellaLessinia,agli inquinamenti,nonsolodelle acque,ma anchedell’aria comele emissionidi odoria
CristinaGuarda, di Europa Verde Veronella- finoagli ospedali, da Malcesinea Legnago,con particolareattenzione aSan Bonifacio,riferimento sanitario imprescindibileanche per l’area Berica».Perquesto«quattro anni faproposiche lariorganizzazione delleUlss,rivelatasia oggi disastrosa,nonsibasasse sui confiniprovinciali, masul bacino di utenzadegliospedaliedeiservizi sanitariterritoriali». CristinaGuarda èsempre attivistaper il dialogo interculturaleepromotrice della formazioneall’etica d’impresa. «Oggi,dopocinque anniricolmi di proposteebattaglie,continuo con unprogettoduraturo, con loscopo diriportaresul tavolodella Regioneedellapoliticaitaliana, conun partito innovativo,le prioritàambientali eperle famiglie». E.G.
CENTROSINISTRA. All’11 percentoin regione
Nel 5 Stelle resa dei conti dopo la sberla Pd veneto, ora è crisi IlsegretarioBisato «Idirigentipensanosoloalgoverno» versoledimissioni Fantinati:«Ascoltareiveneti sull’autonomia».Gennari: «Smentitisempreda Roma» Resa dei conti. Già, perché i veronesi del Movimento 5 stelle lamentano un corto circuito tra leader di Roma, intesa anche Governo, e le regioni, i territori. Anche con gli enti locali. Quindi: linee politiche contraddittorie, che avrebbero provocato difficoltà nei candidati locali a essere identificati in temi, battaglie storiche, opinioni. Risultato: cilecca. Il Movimento 5 Stelle, dopo la batosta subita alle elezioni regionali - appena temperata dal successo del “Sì” al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, essendo stato il primo promotore della riforma - oltre a leccarsi le ferite tenta di individuare una cura. In questo caso ricostituente. «Il Movimento 5 Stelle dovrà ripartire dal territorio», diceva ieri su L’Arena Francesca Businarolo, deputata pentastellata veronese, al secondo mandato, presidente della commissione Giustizia. I dati parlano chiaro. Il 3,3 a livello regionale del candidato presidente del Veneto del Movimento 5 Stelle Enrico Cappelletti e il 2,7 della lista
(3,79 per cento nell’intera provincia di Verona il candidato e 2,95 la lista) quindi un quarto rispetto a cinque anni fa, lontani anni luce dal 32 per cento alle politiche del 4 marzo 2018, fa partire un’analisi spietata. Il movimento non ha più un consigliere regionale veronese: l’uscente e ricandidato Manuel Brusco, alla luce del risultato inferiore alla soglia di sbarramento del 3 per cento della lista, non ce l’ha fatta. Nel nuovo Consiglio non c’è un M5S. Nelle altre Regioni e Province non è andata meglio. «Non abbiamo risposto alle esigenze dei veneti, dovremo risalire la china iniziando a fare le politiche che ci chiedono i cittadini veneti, come l’autonomia, di cui io ero e sono un sostenitore», dice Mattia Fantinati, deputato scaligero, già sottosegretario, vicino a Luigi Di Maio. «Certo», prosegue, «noi soffriamo le elezioni locali, ma andare sotto il 3 per cento fa male. Noi comunichiamo male il nostro programma e siamo percepiti per quelli del no, anche se alcuni dei no erano solo
MattiaFantinati
MartaVanzetto
AlessandroGennari
per modalità diverse di attuare opere e penso a Tav, collettore del lago di Garda, strada Pedemontana veneta. Alleanze? Io sono per il dialogo». Nel Consiglio comunale il 5 Stelle ha due consiglieri, Alessandro Gennari e Marta Vanzetto. Nel 2012 il debuttante 5 Stelle, con l’allora candidato sindaco Gianni Benciolini (ora in +Europa), prese il 9,5. Risultato confermato cinque anni dopo, quando candidato era Gennari. Nel frattem-
po però il movimento era cresciuto a livello nazionale e due anni e mezzo fa, prima con Lega e da un anno con Pd, Leu e Italia Viva, è stato al Governo. «La ricetta è una sola», dice Gennari. «Ritrovare le battaglie che ci hanno fatto arrivare al governo. Noi eletti e i militanti abbiamo fatto banchetti nei Comuni, gazebi, iniziative. Ci siamo spesi contro la Tav e poi viene Di Maio in Fiera a dire il contrario e lo
stesso per la Pedemontana». Sulle alleanze, invece, Gennari dice di no: «Non pagano». Durissima Marta Vanzetto. «Il M5S ha investito solo su campagne elettorali che garantiscano il Governo. I dirigenti hanno esaurito la linfa di Casaleggio e Grillo. E non può venire un nostro ministro in Veneto e dire il contrario di quanto noi abbiamo detto in campagna elettorale sul territorio. Così gli elettori non ci capiscono più». • E.G.
Consultazionicon ivertici dellacordata exrenziani ma non con gli zingarettiani Ipotesicommissariamento Aria di dimissioni dei vertici veneti del Pd. Se il Movimento 5 Stelle piange dopo la tegola delle elezioni regionali di domenica e lunedì, dalle quali non è uscito alcun consigliere eletto visto il 2,7 per cento della lista sotto la soglia di sbarramento del 3 (altro articolo), il Pd non ride. Anzi. Tra i cinque partiti della coalizione del candidato presidente Arturo Lorenzoni, il Pd ha preso l’11,4 per cento, cinque punti in meno rispetto al 16,1 per cento del 2015, quando aveva pure la componente renziana ora in Italia Viva. Ha eletto sei consiglieri regionali, tra cui la veronese Anna Maria Bigon (unica dell’opposizione a Luca Zaia, che ne ha otto, nel Veronese), ma è in calo netto. Al punto che tra le ipotesi che circolano in queste ore c’è quella di un congresso straordinario del Pd in Veneto. Le ipotesi sono al vaglio di Alessandro Bisato, il segretario regionale, anch’egli candi-
AlessandroBisato, delPd
dato alle regionali e non eletto, e di cui sono attese le dimissioni. Secondo quanto appreso, il segretario, di Noventa Padovana, di cui è sindaco, tra l’altra sera e ieri mattina ha avuto contatti con più di un compagno di partito, prevalentemente della sua area di ex renziani, per le consultazioni sul da farsi. Non ci sarebbero invece contatti con l’ala «zingarettiana» del partito. La mancata convocazione di un congresso potrebbe portare anche a un commissariamento del partito in regione. Un partito sempre più in calo di consensi, in cerca di identità. • E.G.
GIOVEDÌ 24 SETTEMBRE 2020 LA STAMPA
PRIMO PIANO
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DOPO LE ELEZIONI
Fuoco incrociato nel centrodestra Salvini: “Servivano altri candidati” Le sconfitte in Puglia, Toscana e Campania accendono gli animi: parte la corsa alla leadership ALESSANDRO DI MATTEO ROMA
Adesso è il momento delle accuse reciproche, nel centrodestra. Le regionali avrebbero dovuto essere l’inizio della riscossa, un «avviso di sfratto per il governo», addirittura un «7 a 0», si era sbilanciato Matteo Salvini, e svegliarsi con un “tre a tre” equivale ad una mezza sconfitta che non poteva non lasciare strascichi. La sfida per la leadership era già aperta da mesi, di fatto, da quando i sondaggi
I sondaggi danno Meloni e FdI in forte ascesa mentre la Lega perderebbe il 10% danno Fdi tra il 15% e il 16% e la Lega in calo di almeno dieci punti rispetto alle europee del 2019, e la sconfitta in Toscana e Puglia ha inevitabilmente fatto esplodere la polemica. Scelte sbagliate al Sud Ne è nato subito un botta e risposta con Giorgia Meloni, ma le critiche sono arrivate anche da Giovanni Toti, un po’ a sorpresa, visto che il governatore ligure era uscito da Forza Italia proprio perché sosteneva la linea di un’alleanza più stretta con Salvini. Il leader della Lega del resto sapeva che sarebbe partito il tiro al bersaglio con-
Ieri su La Stampa
Commentando i risultati delle elezioni regionali, Giorgia Meloni ha affermato: «Noi abbiamo fatto la nostra parte, mentre altri no». Per la leader di Fratelli d’Italia «nel centrodestra serve più gioco di squadra». E a proposito dei prossimi mesi: «Parlamento delegittimato, nessuna possibilità di fare le riforme costituzionali».
Il leader della Lega Matteo Salvini, 47 anni
la sf ida interna
In Veneto scoppia la polemica tra leghisti “Nessuna pietà per chi è andato con Zaia” L’assessore regionale Roberto Marcato brinda al record di preferenze conquistate in Veneto (11.660). E nel giorno della riconferma va all’attacco di chi, tra i suoi compagni di partito, ha voluto a tutti i costi entrare nella Lista Zaia per essere più sicuro dell'elezione: «Sarò “violento” con questi presunti leghisti che hanno avuto come obiettivo solo la poltrona. Chi è un militante della Lega deve essere orgoglioso di es-
sere candidato da questo partito e invece per qualcuno non è stato così, per fortuna non tutti sono stati eletti. Da dirigente della Lega verso queste persone non avrò “pietà”, si dovrà andare a una “verifica” delle posizioni, perché un partito è tanto più forte quanto più si rispettano le regole. Un militante al momento dell'iscrizione firma un contratto con diritti e doveri, che devono venire rispettati». —
tro di lui e subito dopo aver letto i risultati ha cominciato ad attribuire il mezzo passo falso alle «scelte sbagliate» al sud, dove i candidati erano stati indicati da Fratelli d’Italia - in Puglia - e da Forza Italia, in Campania. Salvini, a luglio, aveva anche provato ad avanzare pretese sulla regione governata da Michele Emiliano, ma la Meloni aveva imposto il rispetto degli accordi che affidavano la Puglia a un candidato indicato da Fdi, quel Raffaele Fitto che poi è stato battuto da Emiliano. Per questo ora attacca: se mi aveste dato retta, forse le cose sarebbero andate diversamente.
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Prendo le mie responsabilità Ma già ieri, su queste pagine, Giorgia Meloni aveva risposto a Salvini, ricordando che Fitto ha preso «30mila voti in più della coalizione» e aggiungendo: «Noi abbiamo fatto la nostra parte, in Puglia come in Toscana. Se fosse stato così per tutti, se tutti fossimo cresciuti, avremmo vinto». Un messaggio fin troppo chiaro, visto che il partito di centrodestra che «non è cresciuto» in Puglia è proprio la Lega. Salvini non ci sta, e parlando a Porta a porta insiste: «Abbiamo perso in Puglia e Campania. Molto sommessamente, ho provato a spiegare agli amici del centrodestra che, probabilmente, pugliesi e
Un tandem alla guida del progetto politico per andare oltre Forza Italia
Il patto tra Toti e Carfagna “Fondiamo un nuovo centro” IL RETROSCENA AMEDEO LA MATTINA ROMA
L
e elezioni regionali, oltre agli effetti stabilizzanti sul governo Conte, stanno producendo un terremoto nel centrodestra. Non c’è solo lo scontro frontale tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Si è messa in moto tutta l’area centrista e moderata. In queste ore si stanno svolgendo decine di incontri a Roma, i cellulari di Giovanni Toti e Mara Carfagna sono intasati di telefonate. Chiamano senatori, deputati, dirigenti locali: tutti vogliono capire cosa intendono fare, come uscire dalla crisi profonda nella quale è avvitata Forza Italia (percentuali
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del 5-6% in media, con tonfi drammatici del 3% al Nord). La paura prende alla gola i tanti orfani di un’area politica triturata dalla Lega e da FdI, dalla subalternità al nazional-sovranismo e che si definisce liberale ed europeista. Poi c’è l’aspetto più prosaico di colo-
Molti esponenti azzurri temono di finire stritolati tra la Lega e FdI ro che vedono ridursi al lumicino la possibilità di tornare in Parlamento, soprattutto adesso che la vittoria referendaria del Sì taglia 345 tra senatori e deputati. Allora Giovanni e Mara
stanno tentando di mettere su una nuova ditta che superi e sostituisca FI, che «rifondi il centro del centrodestra». Nel giugno del 2019 erano stati chiamati dal Cavaliere a coordinare il rilancio del partito, un mese dopo destituiti, emarginati. Carfagna alla presentazione dei candidati campani non è stata nemmeno invitata. Toti è sempre stato snobbato. Ma alle Regionali il governatore è stato rieletto con oltre 380 mila voti, pari al 56,13%, e la sua lista «Cambiamo» ha fatto il botto (20%), riuscendo a spuntare una media attorno al 4% nelle Regioni dove si è votato. Quanto basta per esaltare la convinzione o la velleità di fare il passo politico della vita in tandem con la vicepresidente della Camera. Con lui al Sena-
Giovanni Toti, 52 anni, appena rieletto governatore in Liguria
to son già passati gli ex azzurri Massimo Berutti, Gaetano Quagliariello e Paolo Romani. Guardano con interesse al progetto Renato Brunetta, Deborah Bergamini, il vicecapogruppo alla Camera Roberto Occhiuto molto vicino alla Carfagna, Osvaldo Napoli e il senatore Andrea Cangini, uno dei principali promotori del comitato per il No. Tutti cominciano a guardarsi intorno per evitare di farsi cannibalizzare dai leghisti e dai Fratelli d’Italia. In un’intervista ad Huffington Post, Brunetta dice che Salvini «parla so-
ANSA
lo per la Lega». «Non ha mai seguito - ha aggiunto - lo stile di Berlusconi e, ha ragione Toti, non si è mai fatto carico di fare la sintesi di un centrodestra plurale». È la tesi del governatore ligure. Toti sostiene che per essere il capo servono numeri e capacità di gestire la coalizione. «A forza di dare spallate, finisce per rimediare una lussazione dopo l’altra», ha precisato in un’intervista al Corriere della Sera. Insomma dovrebbe togliersi la maglietta della Lega. Salvini ha replicato «ogni cosa a suo tempo»: «Io mi occupo di dare risposte con-
campani ci chiedevano candidature nuove, coinvolgenti. Ne ho parlato con la Meloni, ma non sono uno di quelli che quando vince, vince lui, e quando perde, perdono gli altri. Mi prendo la mia quota di responsabilità». In arrivo segreteria politica Ma, appunto, il leader della Lega è sotto pressione. Toti prima sul Corriere della sera lo accusa di avere «i voti», ma non «la capacità di gestire la coalizione», poi aggiunge in Tv: «Se Salvini vuole essere il leader del centrodestra - e ritengo che sia l’unico che in base ai numeri i cittadini hanno investito di questo compito gli dico da tempo che dovrebbe togliersi la maglietta della Lega, come fece Berlusconi, e cambiare schema di gioco, mettere un coordinatore della Lega. Vorrei che fosse anche il mio leader, ma io non sono leghista e mai lo sarò. Lanci una costituente del centrodestra». Ma l’attacco arriva anche da Fi. Dice Renato Bru-
La risposta di Matteo ai critici: “Una costituente? Ogni cosa a suo tempo” netta: «Salvini non è e non è mai stato il leader del centrodestra». Replica Salvini a Toti: «La costituente? Ogni cosa a suo tempo. Io mi occupo di dare risposte concrete laddove governiamo. Poi le maglie uno le mette e le toglie a seconda delle stagioni». E Edoardo Rixi aggiunte: «Senza Salvini Toti non sarebbe dov’è». Ma il leader della Lega sa che nel partito le cose diventano più complicate per lui, con la vittoria a valanga ottenuta da Luca Zaia in Veneto. Ai coordinatori regionali, non a caso, spiega che d’ora in poi nella gestione del partito sarà affiancato da una segreteria politica. — © RIPRODUZIONE RISERVATA
crete dove governiamo». Toti però insiste e invita Salvini a indossare «la giacca del capo coalizione»: «Lanci una vera costituente del nuovo centrodestra, una federazione nuova di forze». Alla Lega non va giù. Il leghista Edoardo Rixi gli ricorda che le sue affermazioni sono «uno scivolone mediatico frutto della poca lucidità post ubriacatura elettorale». «Da domani - sostiene l’ex vice ministro alle Infrastutture - spero che Toti torni in sé e recuperi la memoria, ricordandosi che senza la Lega e rsenza Salvini
L’idea è coinvolgere anche Calenda che però guarda con fastidio a destra non sarebbe dove è oggi». Nella rifondazione di un nuovo centro, Toti e Carfagna vorrebbero anche Carlo Calenda. Una riforma elettorale in senso proporzionale potrebbe dare corpo a questa ipotesi, ma Calenda non è disposto a guardare né ora né mai a destra. — © RIPRODUZIONE RISERVATA