C come Magazine n.8

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Per il numero 8 di C come Magazine hanno mangiato, guidato, sudato, pregato, creduto, confidato, trionfato insieme a noi Roberto Ardizzi, Guernica, Ludovica Persichitti, Anita Righetti e Giovanni Rosato.

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C come RUBRICHE 05 >> C come Menu 07 >> C come Editoriale 09 >> C come Informazione 10 >> C come Food design 61 >> C come Film 62 >> C come News 66 >> C come Controeditoriale C come SPECIALE FORMAGGIO 26 >> C come Tradizione 30 >> C come Formaggio 35 >> C come Pecorino C come ABRUZZO 12 >> C come Marcello Schillaci 16 >> C come Novità 22 >> C come Tullum 52 >> C come G8

Cosa c’è nel numero otto

C COME MENU

Foto copertina: Mario Sabatini

55 >> C come Ricette C come REPORTAGE 38 >> C come dieci stelle 42 >> C come Tuttofood 46 >> C come Trabocchi 50 >> C come Degustazione 58 >> C come Agroalimentare

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C COME EDITORIALE

C COME RIMEMBRI ANCORA? Cristina Mosca

Direttore responsabile di C come Magazine Vorrebbe: vacanze (ma le avrà) Ne vorrebbe sempre di: ottimismo (ma non ha mai smesso)Non ne vorrebbe più di: crisi (ma sta provvedendo).

Il pezzo forte di questo numero 8 è una bella scoperta, che non è né glamour né sofisticata ma in compenso C piace molto: si tratta di un uomo, un promotore della cucina teramana che non è solo un custode della tradizione ma un vero e proprio nostalgico, che fa di odori e sapori una DeLorean tutta personale per tornare indietro nel tempo. “Siamo fatti anche noi della stessa materia di cui son fatti i ricordi”, potremmo dire parafrasando il Prospero shakespeariano de “La tempesta”, anche se lui parlava di sogni (ad altra sede rimanderemo il dibattito se ci sia poi così tanta differenza tra gli uni e gli altri). Perciò abbiamo voluto parlarvi di Marcello Schillaci e del tempo che lui ha fermato in corso Porta Romana con la sua Cantina, che nel 2007 è stata segnalata dalla Guida dell’Espresso e che quest’anno ha ricevuto il riconoscimento “Buona cucina 2009” della rivista del Touring Club. Abbiamo scelto con lo speciale di questo numero di onorare un prodotto tipico del nostro Abruzzo intorno al quale fioriscono sempre più numerose manifestazioni: chiamatelo cacio, chiamatelo formaggio, metteteci il peperoncino, le erbe o i vermi, ma merita sempre la nostra attenzione e sempre resta una fonte inesauribile di scoperte e di ispirazione, pregna di storia, di memoria e di tradizioni. Noterete inoltre che in questo numero 8 un paio di personaggi dell’enogastronomia abruzzese ricorrono in più di un servizio: conoscete i nostri sforzi per seguire iniziative promosse da realtà diverse che riteniamo interessanti, ma purtroppo il nostro naso a volte ci riporta sempre nella stessa cucina, anche se avevamo creduto di seguire un odore completamente nuovo. Questo non può che confortarci e dimostrarci che le passioni si rinnovano, cambiano forma e stupiscono con nuovi colori, pur portando sempre lo stesso nome. Ma cosa v’è in un nome? Quella che noi chiamiamo una rosa non perderebbe il suo profumo se avesse un altro nome...

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C COME INFORMAZIONE

di Roberto Ardizzi, consulente SGQ

DOV’È LA QUALITÀ VERA? Come riconoscere le aziende certificate

Siamo sempre più “bombardati”, in qualità di utenti e consumatori, da termini e slogan in cui vi è come denominatore comune il concetto di qualità: più o meno fantomatici Percorsi Qualità, prodotti di alta qualità, aziende in regime di Total Quality, ossia di qualità totale... Ma a cosa corrisponde esattamente il concetto di “certificazione di Qualità”? Si tratta né più né meno dell’attestazione, da parte di un Ente terzo, neutro ed indipendente, della capacità di una organizzazione di rispettare ed applicare degli standard internazionali (le famose norme UNI EN ISO, sigle e abbreviazioni che stanno per Ente Italiano di UNIficazione, European Accreditation e International Standard Organization), a seguito di una visita ispettiva. Certificare la propria azienda vuol dire quindi seguire un percorso molto chiaro: prima vi è l’attività di un consulente che predispone il SGQ (Sistema gestione Qualità), applicando normative e linee guida e creando la documentazione necessaria: manuale, procedure, istruzioni e registrazioni. Il già nominato Ente di Certificazione interviene in un secondo tempo: nella figura del proprio “ispettore” sottopone l’azienda ad una verifica per valutare la corretta applicazione degli standard normativi. Soltanto in caso di esito positivo viene rilasciato l’ambito certificato di qualità, che ha una validità di tre anni e prevede una visita di mantenimento annuale. Tale iter vale per ogni tipo di certificazione (aziendale, ambientale, alimentare, di filiera...) e per ogni tipologia mer-

ceologica di azienda. Pertanto, soltanto le aziende che espongono chiaramente il proprio certificato, con tanto di numero di rilascio, una dicitura che provi la certificazione (“azienda certificata UNI EN ISO” con il numero della norma, oppure “Sistema Gestione Qualità certificato”...) logo dell’Ente di certificazione e del Sincert (l’Ente Italiano di accreditamento) possono essere definite aziende in regime di Qualità Certificata. Questo non impedisce a tutte le organizzazioni di “implementare” il proprio metodo di lavoro secondo standard di qualità, senza però mai arrivare alla certificazione vera e propria: attenzione, quindi, alle definizioni allusive di cui un’azienda può fregiarsi e che possono indurre in errore il consumatore. Nel dettaglio, la situazione in Abruzzo per quanto riguarda il settore 03 “Imprese Alimentari, delle Bevande e del Tabacco” (codifica EA – European Accreditation): secondo la banca dati del Sincert aggiornata al 31.03.2009, in Abruzzo ci sono 138 organizzazioni certificate e sono nel campo dell’olio, del vino, delle carni, del caffè, della pasta, dei salumi, dei formaggi, del latte, dei prodotti ortofrutticoli, dei dolci e delle acque minerali e bevande. Quarantuno aziende risultano essere nella provincia di Chieti, 25 nell’Aquilano, 28 in provincia di Pescara e 44 in quella di Teramo. La qualità è un plusvalore e come tale deve essere valorizzata, ma la chiarezza e il rispetto dei consumatori devono sempre venire prima di ogni altra cosa.

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C COME FOOD DESIGN di Ludovica Persichitti

CIBO: LE NUOVE TENDENZE Idee originali per il finger food Stuzzicare, spiluccare, assaggiare...mangiare con le dita! Questa è la crescente tendenza chiamata Finger Food, sulla quale vengono strutturati sempre più spesso i menù di party e catering: tavolate di assaggini “mono-boccone” dall’aspetto invitante e dagli svariati abbinamenti. Così, per non venir meno alle buone maniere e per facilitare il consumo “a bocconi”, designer e aziende si sono impegnati nella ricerca di accessori divertenti e funzionali per il finger food. Un esempio interessante è il k-wine, un leggero piattinovassoio pensato per essere utilizzato durante un party o in generale in tutte le occasioni in cui il cibo viene consumato in piedi sorseggiando del buon vino. La forma è stata pensata per poter alloggiare al centro un bicchiere a calice e contemporaneamente impugnare con una mano piatto e bicchiere, permettendo così di avere sempre l’altra mano libera per bere, mangiare ed intrattenere conversazioni. La disinvoltura dei movimenti è intuibile nel fatto che l’impugnatura è spostata al centro e il peso rimane bilanciato, rendendo così l’utilizzo più stabile e meno faticoso, anche con bicchiere e piatto pieno. Progettato da Matteo Bertanelli e Michele di Monte e prodotto dalla Aznom srl,

k-wine è realizzato in polipropilene alimentare infrangibile, riciclabile, lavabile in lavastoviglie e adatto al microonde; si presta a personalizzazioni con logo o scritte a tema. Quando invece tra le portate del banqueting si alternano proposte cremose ad altre più consistenti, “moscardino” rappresenta l’utensile più funzionale. Questa posata usa e getta, ideata dai designer Giulio Iacchetti e Matteo Ragni, è l’incrocio perfetto tra un cucchiaio e una forchetta. Valore aggiunto alla funzionalità della forma è il materiale, il Mater-Bi, una bioplastica ricavata dal mais, realizzata in Italia (a Terni), completamente biodegradabile: una scelta che dichiara apertamente l’intenzione di azzerare l’impatto ambientale dei prodotti usa e getta. Così, sia per l’ironia della forma che richiama il contesto alimentare (il polipetto), sia per la funzionalità attenta alle nuove esigenze del mangiare e all’ecologia ambientale, il prodotto in questione è stato insignito nel 2001 del premio più ambito nel settore del design: il Compasso d’oro ADI (Associazione per il Disegno Industriale). Non c’è da stupirsi: il lavoro del designer può spaziare in qualunque ambito purché prenda spunto dalla realtà quotidiana con un’ottica anticipatrice e ne restituisca un prodotto che funzioni.

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C COME MARCELLO SCHILLACI

di Cristina Mosca - Foto: Mario Sabatini

LASCIATE OGNI NOSTALGIA, O VOI CH’ENTRATE A Teramo una Cantina per i ricordi Avete presente il film d’animazione “Ratatouille”? Quello in cui il rigidissimo critico culinario si scioglie di fronte a questo piatto elementare e genuino, la ratatouille appunto, perché gli ricorda l’infanzia? Anche a Teramo è capitato che un emigrato sia tornato dopo 60 anni e abbia pianto assaggiando le mazzarelle e la trippa di Marcello Schillaci, identiche a quelle che mangiava quando la sua famiglia era ancora unita. «Il cibo è fonte di ricordi e di sorprese continue – confessa Schillaci, sulla soglia della sua Cantina – Teramo merita di non dimenticare la sua storia». Questo è un viaggio cominciato pochissimi anni fa, solo quattro in fondo, ma che è carico di un vissuto di quasi mezzo secolo. Siamo nel quartiere storico teramano di Porta Romana, sul corso, dove la prospettiva chiude le case in uno scenario medievale: «Guardate che bello – si interrompe Schillaci, indicando con un gesto amorevole l’intero quartiere – è qui che sono nato ed è qui che ho passato una vita tra gli odori e i sapori delle Cantine. La gente era povera e si condivideva tutto, dal cibo ai problemi: chi tornava dal fiume con i gamberi, chi coglieva gli ortaggi dai vicini orti... Si univano le materie prime e ci si sedeva a tavola, ordinando il vino del cantiniere mentre in cucina venivano preparati i pasti». Marcello Schillaci non vuole essere chiamato ristoratore, bensì promotore della tradizione teramana; a noi piace definirlo un nostalgico, perché sappiamo benissimo che si nascondono più ricordi in un piatto di pasta che in una lettera d’amore. «Ho rilevato quella che fino agli anni ‘70 è stata la Cantina di Falasca – racconta – e che era proprio accanto a quella di “Papparone”, con la quale collaborando, respirando l’atmosfera di quartiere: è proprio questo posto che mi ispira: non avrebbe senso far nascere un’altra Cantina altrove». In questo tratto di strada, infatti, il tempo pare fermo a quarant’anni fa: a partire dai muri, pregni di fumi e odori, per passare all’arredamento, rigorosamente monocromatico, fino

alle fotografie, ai suppellettili che sono quasi oggetti da collezione e anche agli strumenti da lavoro. «L’ultimo acquisto è di pochi giorni fa» annuncia mostrandoci orgoglioso uno scolapasta degli anni ’60, tutto in metallo e con i piedini arricciati. Dietro di lui troneggiano la tabella dei gelati confezionati Toseroni e l’insegna su ferro del suo locale: «L’ho commissionata al giovane artista Berardo Di Bartolomeo – racconta – chiedendogli di farla come l’avrebbe fatta un artigiano di cinquant’anni fa, quindi riconoscibile anche dagli analfabeti: grazie al disegno di una damigiana, un bicchiere di vino e affettati sul tagliere, chi non sapesse leggere il nome “Cantina di Porta Romana” capirebbe che in questo posto si beve e si mangia. Credo nelle mie idee e credo che siano apprezzate da chi vuole rivivere un momento autentico. La mia è una “cucina cucinata”, quella della più vera tradizione teramana ma anche abruzzese, del sugo lasciato in cottura per tre ore e dell’uso, a volte anche sconsiderato, di odori come timo, salvia, maggiorana, prezzemolo, rosmarino... Sono la base della nostra storia». Mosso da questa passione, Marcello Schillaci ha di recente fondato l’Art, l’associazione ristoratori teramani dentro le mura (www.arteramo.it): sette realtà più o meno storiche che condividono l’obiettivo di tutelare la cucina teramana e di far rivivere il quartiere, cominciando dalla manifestazione dei primi giorni di agosto “Porta Romana bella” e probabilmente proseguendo, a settembre, con un revival della Sagra del Gallinaccio, che altro non è se non il tacchino alla canzanese. Nella sua opera di tutela e promozione della tradizione, Marcello Schillaci confessa di avere un “mito” personale: Carlo Marconi, scomparso negli anni ‘90, che già quarant’anni fa sottolineava l’importanza della vita nei borghi creando un momento di incontro nel suo giardino, “Lo svarietto”. E conclude: «Persone così non dovrebbero morire mai».

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Pennette ai Gamberi di fiume

con sugo lungo

Ingredienti per 6 persone: 1 kg di gamberi di fiume; erbe aromatiche ( maggiorana, timo, lauro), peperoncino, aglio; 1 bicchiere di vino; 1 kg di pomodori pelati; 600 gr di mezze penne rigate. Preparazione: Mettere a soffriggere in abbondante olio i gamberi di fiume; bagnare con vino, aggiungere tutti gli odori, versare i pelati passati a mano e lasciare in cottura per circa 1 ora a fuoco lento; a sugo cotto aggiungere pasta e 2-3 mestoli d’acqua. Il piatto va mangiato con il cucchiaio.

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Mazzarelle

alla teramana

Ingredienti: Coratella di agnello; erbe aromatiche (maggiorana, timo, rosmarino), peperoncino, aglio e cipolla; lattuga romana per avvolgere le listelle; pomodori pelati; vino. Preparazione: Tagliare a listelle la coratella (cuore, polmone e fegato d’agnello), avvolgerla in foglie di lattuga e legare con la stessa coratella, ottenendo cosÏ le mazzarelle. Fare bollire per circa mezz’ora; in una teglia mettere abbondante olio e inserire le mazzarelle; aggiungere una spruzzata di vino, gli odori, il pomodoro e lasciare in cottura per circa un’ora.

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C COME NOVITÀ

Foto: Mario Sabatini

IN TAVOLA I CINQUE COLORI DELLA NATURA I nuovi sughi di Giuseppe Ursini

Sono cinque come le dita di una mano; come i cinque sensi; come i colori della natura. Giuseppe Ursini, noto mastro oleario e innovatore in specialità come delizie sott’oli e pestati, si prepara a conquistare la tavola degli abruzzesi con i cinque sughi della vita, ognuno di un colore diverso, a simboleggiare un aspetto diverso di noi. Il bianco per schiarire la mente, il viola per l’ispirazione, il verde per l’equilibrio, il rosso per l’energia, il giallo per l’allegria: ogni vaso è a misura di famiglia, studiato per soddisfare 3/4 porzioni alla volta, e nasconde una storia che ci appartiene ma che avevamo dimenticato. La “Gricia”, ad esempio è

bianca perché è la versione originaria della popolarissima amatriciana prima dell’arrivo, in Italia, del pomodoro con la scoperta delle Americhe: contiene guanciale stagionato, cipolla bianca, spezie, pecorino dop e naturalmente olio extravergine di oliva, ed è consigliato in modo speciale sui rigatoni o i paccheri. In tema di pomodori, il sugo “Pomo d’oro” stupisce perché è giallo: in origine infatti questo ortaggio aveva un colore dorato! Ursini ha individuato chi ha recuperato il seme e oggi propone il pomodoro giallo insieme a carote, peperoni gialli, un tocco di cipolla, spezie e olio, e lo suggerisce su pennette rigate, conchiglie o

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fusilli. Su uno spaghetto al dente o una fettuccina è invece il posto ideale del sugo “Sciuè Sciuè”, il rosso, a base di pelati o pomodori freschi, basilico ed olio, che ricorda quel sugo veloce che nella tradizione napoletana (il nome infatti significa “lesto lesto”) veniva cucinato da un cuoco a turno per lo staff delle cucine di alberghi e ristoranti poco prima del servizio. Il sugo vegetariano è un po’ “matto”, perché si ispira alla saggezza dei nostri nonni del “non si butta mai niente, tutto si recupera” ma unisce in maniera stravagante ai pomodori verdi, quelli autunnali, una serie di vegetali accomunati dai sapori più disparati ma che in comune hanno il colore, il verde: ecco che fanno la loro comparsa in scena spinaci, porri e basilico, per un risultato sorprendente soprattutto su farfalle, orecchiette e gnocchetti. Ispirato ad altri tempi è anche il sugo “Frantoiana”, che ricorda quel primo piatto, la “trappetara”, che veniva cucinato all’interno dei frantoi per i lavoratori all’opera e che veniva impreziosito dall’olio appena uscito dal frantoio. Rincorrendo questi sapori, il sugo ripropone olive viola denocciolate, melanzane, aglio rosso e radicchio, con peperoni secchi, piccoli capperi e persino pesce azzurro. Da provare sulle linguine ma anche sulla pasta corta. Tutti i sughi sono lavorati nella nuova cucina Ursini, secondo le mani esperte dello staff di donne diretto dallo chef Ermanno Di Paolo: ognuno di loro interpreta la tradizione senza perdere di vista il territorio. «Per buona parte la materia prima dei sughi è coltivata nei due ettari del nostro orto sovrastato dall’abbazia di San Giovanni in Venere – dichiara Giuseppe Ursini, che ha seguito (e mai dimenticato) la sua originaria vocazione da ristoratore per 15 anni, fino al 1995 – e quello che non coltiviamo noi lo acquisto comunque da produttori della zona: è nella qualità della materia prima il segreto della bontà di un prodotto». Durante l’estate l’orto è curato dal fedele Giovanni Sorgini, il frantoiano, che da gennaio si trasforma in potatore di ulivi. «Il mio staff conta circa 15 persone – racconta Ursini – sette, tra cui anche mia moglie Tiziana, lavorano in cucina; cinque sono in magazzino; le altre in amministrazione. La maggior parte di loro è con me da quando ero nella ristorazione: siamo una squadra molto affiatata e quando io sono costretto a lunghe assenze per lavoro, quando ritorno trovo l’azienda meglio di come l’avevo lasciata. È raro potersi fidare ciecamente di qualcuno, oggi». L’azienda è inoltre in corso di trasferimento in un vasto capannone di 1400 metri quadri, pacificamente adagiato nel mezzo di un uliveto di 4mila mq: questo ampliamento permette di accentrare le attività produttive, eccetto quella della trasformazione delle olive, che continuerà a svolgersi nel frantoio Ursini a pochi chilometri di distanza. La cucina in cui vengono lavorati i sughi è a vista e ogni movimento lo si segue dall’uf-

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ficio: «È come essere in un grande ristorante, dove la cucina al centro della sala permette di mostrare il lavoro degli operatori, alacre e senza segreti – spiega Giuseppe Ursini – L’ho voluta così affinché i nostri visitatori “buttino un occhio” anche sull’area più critica, quella di produzione, e possano giudicare il metodo di lavoro e le materie prime. Con questi nuovi sughi ho voluto assecondare i nuovi ritmi delle famiglie e le nuove tendenze del mercato ma non era nelle mie corde consegnare un prodotto senza l’anima: perciò ho restituito ad ogni colore il suo significato originario, il suo carattere rurale, ispirandomi alla campagna di valorizzazione dei cinque colori della vita dell’orticoltura italiana, portata avanti dal Ministero dell’agricoltura qualche tempo fa». Ma come può un prodotto così artigianale, con vegetali freschi, senza semilavorati e conservanti,

arrivare ad una validità di vita fino a due anni? Giuseppe Ursini sorride orgoglioso. «Si tratta di una tecnica culinaria che agisce sull’acqua libera contenuta nelle verdure, ma che abbiamo perfezionato facendo adattare dei macchinari alle esigenze della produzione e ai tempi di pastorizzazione, piccoli accorgimenti ma di enorme importanza». I cinque “Sughi della vita” hanno richiesto otto mesi di ricerca, per poi superare brillantemente il primo test sul mercato la scorsa primavera vendendo oltre tremila vasi in 40 giorni al mercato enogastronomico “Eataly” di Torino: un destinatario importante, che ha inciso sulla scelta dello stile pulito ed essenziale dell’etichetta. «Un successo inaspettato – confessa il produttore – Ora sono pronti per l’Abruzzo». L’appuntamento è a settembre in tutti i negozi di specialità alimentare.

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C COME TULLUM Foto: Modiv

UNA NUOVA DOC CHE UNISCE IL TERRITORIO E Charles Harris “firma” il primo negozio Feudo Antico

È stata presentata il 12 giugno all’ex Aurum di Pescara la nuova doc Tullum, un vino al 100% tollese che fa del territorio un elemento distintivo e un valore aggiunto. La doc Tullum appena nata ha già due grandi meriti: ha riunito il territorio di Tollo, per decenni diviso dalla politica e oggi riappacificato grazie al vino, e fa parlare di sé in Italia e all’estero grazie alla scelta, come testimonial, di 3 abruzzesi doc: Luigi Borrelli, Alda D’Eusanio e Adua Villa, che per un giorno sono tornati nella loro terra di origine per alternarsi al tavolo dei relatori nella presentazione alla stampa. Luigi Borrelli, responsabile della redazione Rai di New York, è infatti originario di Atessa, in provincia di Chieti; Alda D’Eusanio, giornalista Rai, è tollese; e Adua Villa, sommelier volto della trasmissione di Rai Uno “La Prova del Cuoco”, è originaria di Avezzano. La presentazione dei vini Tullum e del progetto che ha valorizzato l’intero Abruzzo del vino è stata affidata all’enologo Riccardo Brighigna e ad Andrea Di Fabio, direttore commerciale di Feudo Antico, la società che si occuperà della commercializzazione dei vini Tullum sul territorio nazionale: «Tullum vuole valorizzare il territorio di Tollo, fortemente vocato alla viticoltura – afferma Andrea Di Fabio – Siamo infatti partiti dallo studio dei suoli, del microclima, dei portainnesti, e abbiamo definito poi i singoli fogli mappali, dove autorizzare la produzione di specifici vitigni». La doc Tullum riguarderà 300 ettari potenziali e, per il primo anno, verranno prodotte 66mila

bottiglie. Le tipologie, in totale, saranno sei, di cui quattro riservate ai bianchi (Tullum Bianco, Tullum Superiore, Pecorino e Passerina) e due ai rossi (Tullum Rosso e il Tullum Rosso Riserva). In commercio sono oggi le tipologie Tullum Bianco, Tullum Passerina e Tullum Pecorino, mentre per il Tullum Superiore, il Tullum Rosso e il Tullum Riserva bisognerà attendere il 2010. La nuova doc Tullum crea quindi nuove opportunità per l’Abruzzo del vino, rivolgendosi al consumatore moderno, attento alla qualità, alla sostenibilità, alla salubrità e all’eticità del vino. Ad aggiungere un tocco di internazionalizzazione è stato, il 31 luglio scorso, un evento creato per l’inaugurazione, proprio a Tollo, del primo negozio dedicato alla doc Tullum. Padrino d’eccezione dell’evento è stato infatti Charles Harris, pittore scozzese di fama mondiale ed esponente della corrente del Nuovo Tradizionalismo, che ha “firmato” l’apertura del primo punto vendita di Feudo Antico. Il suo passaggio lascia un vero e proprio segno, poiché l’artista ha donato al negozio un’opera realizzata appositamente per l’occasione. Non si tratta del primo contributo alla doc, perché Harris ha già realizzato l’acquerello del paesaggio di Tollo che è usato nell’immagine del marchio del vino, regalandone al paese i diritti di utilizzo. La doc Tullum oggi diventa una carta in più, per l’enologia regionale, da poter giocare dopo quaranta anni di comunicazione concentrata quasi esclusivamente su Trebbiano e Montepulciano.

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C COME TRADIZIONE

di Anita Righetti - Foto: Mario Sabatini

IL FORMAGGIO E LE SUE STRADE Dalla transumanza alla tavola

La cultura agropastorale della terra d’Abruzzo è un fatto, ma è anche storia. Gli Aragonesi, col loro brevissimo governo a cavallo del Quattro/Cinquecento (solo sessant’anni!) hanno fissato un profilo economico e sociale del nostro territorio che ha definito anche la nostra cultura a tavola. La loro esperienza di dialettica montagna/pianura che vedeva le greggi svernare dai Pirenei in Catalogna ha permesso che regolassero la transumanza anche tra l’Abruzzo e il Tavoliere delle Puglie. Hanno consacrato l’attività dell’allevamento delle pecore, in uso già dagli Italici con punte varie di eccellenza nel tempo, e sviluppato il com-

mercio della rilevante produzione di lana per tessuti ruvidi. Sulla transumanza si innestano anche molte altre economie fiorentissime come la macellazione di animali giovani, e per ultimo, ma non ultima in ordine di importanza, la produzione di formaggi. È chiaro che, volendo andare lontano con lo sguardo alla storia, non possiamo far passare sotto silenzio questi fatti. È con questo sguardo lontano che uno dei quadri di apertura della cerimonia d’inaugurazione dei XVI Giochi del Mediterraneo che si sono svolti in Abruzzo riproduceva un gregge di pecore. Lo scenario complessivo però va ben ol-

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tre il gregge, sia per la cerimonia che per la storia: i tratturi tracciati dagli Aragonesi, caduti in disuso solo da pochi decenni, hanno permesso lo sviluppo di eccellenze straordinarie, tra cui il formaggio pecorino! Da quello di Pizzoli a quello di Castel del Monte, a quello di Farindola che si lavora con caglio di derivazione suina ad altissima digeribilità ed è il solo riconosciuto dall’apposito protocollo ministeriale, il pecorino abruzzese è dolce, profumato, morbido: mai eccessivo. Le diverse zone di produzione conferiscono differenze che si traducono in fragranze e profumi che in alcuni vengono ancor più esaltati, come per la ricotta di Anversa degli Abruzzi affumicata con legno di ginepro. Il nostro pecorino è eccellente in ogni sua declinazione, dalla ricotta fresca o secca, al formaggio fresco o semistagionato o stagionato. È un prodotto che va a strutturare alcuni dei nostri piatti più importanti come il fiadone, dove la presenza del pecorino grattugiato conferisce quel tipico gusto piccante più lieve o più persistente, a seconda della stagionatura; o come l’ “agnelle casc’e ove”, dove il pecorino semistagionato grattugiato ne determina la morbidezza cremosa. Il formaggio in Abruzzo non è solo pecorino però, anzi. Il formaggio vaccino è molto diffuso ed importante come presenza. In alcuni casi è l’alternativa al pecorino, come per esempio nella zuppa di verdure di campo o di orapi, ossia spinaci selvatici montani, dove il gusto personale decide tra il pecorino e il formaggio vaccino per cosa mescolare alle uova o per come legare la zuppa a fine cottura. Nel pane di Pasqua, invece, bisogna usare rigorosamente il formaggio vaccino che nell’unione con la pasta lievitata non dà cattivi odori, cosa che accadrebbe usando il pecorino. Volendo trovare un difetto, se di difetto si può parlare, il nostro formaggio merita un solo appunto: non raggiunge produzioni numericamente di rilievo e questo limita ad una nicchia il privilegio di gustarlo. Abbiamo un bel da fare noi abruzzesi in cucina. È questione che questa terra ci ha offerto molto e noi cerchiamo di renderle onore... o quantomeno ci proviamo con ferma convinzione.

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C COME FORMAGGIO

Reportage – Foto www.cacioinfesta.it / Modiv

L’insostenibile leggerezza del cacio Sapori e odori dell’Abruzzo caseario

Nonostante l’imperversante maltempo, ha avuto molto successo la seconda edizione di Cacio in festa, la kermesse itinerante organizzata dall’Ara (associazione regionale allevatori) e dall’agenzia di comunicazione e pubblicità Meta in collaborazione con Arssa, l’assessorato regionale all’agricoltura e le delegazioni di Chieti, Teramo e Pescara dell’Onaf. Ben trentaquattro caseifici distribuiti tra le province (dodici in più dell’anno scorso), hanno aperto le loro porte a curiosi e ad appassionati proponendo degustazioni, dimostrazioni e minilaboratori per promuovere le tipicità casearie del territorio. Nella piovosissima giornata di domenica 21 giugno si è creato ugualmente un bel movimento per tutto l’Abruzzo grazie allo spirito di iniziativa di chi non ha voluto perdere l’occasione per catturare l’atten-

zione di quei turisti che non si sono lasciati impaurire dal terremoto. La giornata di Cacio in festa 2009 si è caricata infatti di un valore ancora più simbolico dopo il crollo delle prenotazioni turistiche che hanno seguito il sisma, soprattutto per aziende aquilane come la Collefiorito di Roccacasale, la Mascionara di Campotosto, la Rotolo di Scanno, la Gran Sasso di Castel Del Monte (che ha mostrato caseificazione, mungitura e stagionatura); o come la Del Giudice di Rivisondoli, che ha mostrato la filatura della mozzarella; la Cianflocca di Castel di Sangro, la Specialità tradizionali caciocavalli di Pescocostanzo, la Grancia di Santangelo a Villetta Barrea, la Porta dei Parchi di Anversa degli Abruzzi, la Progetti sotto il cielo di Carsoli, che ha mostrato la lavorazione di ricotta e formaggio, e come il Consorzio di

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produttori latte di Bazzano. Della provincia di Chieti hanno partecipato la fattoria Alimonti di Guardiagrele, il caseificio San Giovanni di Montazzoli, la Fonte la Spogna di Montenerodomo e la Fonte dei Sapori di Fossacesia, che hanno mostrato tutto il ciclo del formaggio dalla mungitura il mattino presto alla lavorazione del latte, fino alla caseificazione. A Sant’Eusanio del Sangro è stato possibile degustare formaggi e vino Collemoro presso l’azienda I Formaggi di Rosella, mentre a Castelfrentano ha aderito Il Castellino, a Roccaspinalveti La Bruna, e a Casoli Pietrapenta ha proposto dimostrazioni fino al pomeriggio. Nella provincia di Pescara ci sono state degustazioni e visite guidate nelle aziende Astolfi di Penne, Cantalupo di Tocco da Casauria, La tua fattoria a Serramonacesca, da Bontà Aretusi di Alanno, da De Felicibus di Collecorvino e nella Santa Caterina a Loreto Aprutino, mentre a Cepagatti è stato possibile visitare l’azienda La caciara ma anche partecipare, al caseificio artigianale Il tratturo, alla tosatura delle pecore e gustare i piatti tipici del pastore come la pecora alla callara, la pasta alla pecorara, le sagne del tratturo... Nella provincia di Teramo, infine, hanno aderito a Cacio in festa l’azienda Di Pancrazio di Campli, la Giuseppe Branella di Ancarano, la Fattoria Gioia di Cellino Attanasio con prodotti biodinamici, l’azienda Sammartino a Teramo, la Sapori del Gran Sasso di Bellante stazione e la cooperativa Masserie del Parco di Arsita, del consorzio di tutela del Pecorino di Farindola. I visitatori hanno potuto gustare canestrati, creme e ricotte caprine, cacioricotte, giuncate, ricotte salate, scamorze di latte di capra, formaggelle morbide di capra, formaggi stagionati in grotta, caciofiore, pecorini, marcetti, pecorini aromatizzati, formaggi primo latte, pecorini ubriachi, alle vinacce e sotto crusca e tante, tante altre varietà di formaggi. Molti caseifici hanno messo in vendita anche salumi, confetture, miele, arrosticini, pane, verdure di coltivazione propria, specialità aziendali come “la pagnottella” e prodotti caratterizzanti il territorio, perfino lana. Adesso i riflettori sono puntati sulla più grande rassegna sui formaggi del centro Italia: “Buon Gusto – I formaggi d’Abruzzo”, presentata alla Bit, e che si svolgerà a Gessopalena, in provincia di Chieti, all’inizio di settembre. Da raccontare è un’altra coraggiosa iniziativa ideata per il secondo anno da un gruppo di giovani per la loro amata Farindola: si chiama “Pecorino & pecorini” e a cavallo tra la fine di luglio e l’inizio di agosto ha proposto l’abbinamento tra le eccellenze casearie del territorio e quelle vinicole con un ottimo condimento sonoro. Nelle tre serate infatti i concerti di Tony Pagliuca, dei Save Our Soul e dei New Dreamers di Penne hanno chiamato a raccolta ben mille visitatori, che hanno toccato con mano le bontà di tre aziende agricole locali (la Marcella, la Martinelli e la Astolfi), una

di pane (la Fratelli Camplese), tre di olio (la Cantagallo di Farindola, la Gentile di Carpineto della Nora e la Goccia d’oro di Penne) e dodici cantine della provincia e non solo (Chiusa Grande, Ciavolich, Strappelli, Coste di Brenta, San Lorenzo, Contesa, Collefrisio, Torre Raone, Tenuta I Fauri, Barone di Valforte, Bosco e D’Onofrio). «La nostra non è una sagra, ma una vera e propria degustazione itinerante – tiene a precisare l’organizzatore Luca Labricciosa, direttore de La Zanzara – che mette in rete produttori locali e ne esalta il lavoro artigianale, reagendo così ai meccanismi della grande distribuzione che a volte li soffoca». “Pecorino e pecorini” ha incontrato il beneplacito della Regione, della Provincia di Pescara, del Comune di Farindola, di Slow Food ed è stato realizzato grazie alla collaborazione di Ambiente è/e vita.

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C COME PECORINO

di Giovanni Rosato

A FARINDOLA UN FORMAGGIO UNICO AL MONDO Un consorzio protegge la sua tradizione

Tra i tanti gioielli d’Abruzzo uno dei più importanti, misteriosi ed unici nel panorama del formaggio è di sicuro il pecorino di Farindola. La sua è una storia avvincente che si perde nel tempo, tant’è che le prime notizie sulla sua esistenza sono di epoca romana, con alcune citazioni che fanno riferimento al “formaggio dei Vestini” fatto con caglio di suino. Ed è proprio questa la prima caratteristica del pecorino di Farindola. Leggete bene: è l’unico formaggio al mondo preparato con latte ovino e caglio di suino. La risposta al perché di questa particolarità è una sola: territorio. Farindola ha un patrimonio ovino molto consistente grazie alla disponibilità di pascolo di proprietà pubblica e si è sempre caratterizzata per la produzione di formaggio: una delle poche risorse per la popolazione locale, la quale barattava con altri prodotti l’asprezza di un territorio montano che poco dava in termini di agricoltura. La transumanza verticale, che prevede pascoli estivi in montagna e invernali a bassa quota, è un’altra particolarità di questa parte d’Abruzzo, favorita da differenti microambienti che permettono di trovare, a poca distanza, condizioni climatiche adatte alla pastorizia di tutte le stagioni dell’anno. Ancora una volta il territorio incide sulle scelte degli uomini che piegano alle sue volontà i propri stili di vita. Nella tradizione, mentre gli uomini seguivano le greggi di pecore al pascolo in quota, alle donne spettava il compito di occuparsi della casa e della trasformazione del formag-

gio. Altro caso più unico che raro: oggi nell’etichettatura del formaggio troviamo il nome della donna che l’ha lavorato e seguito durante tutte le fasi, a testimonianza della cura e del fare meticoloso dietro ogni forma. Ma com’è fatto il pecorino di Farindola? Cominciamo dal caglio. C’è un alchimia dietro la preparazione che si ottiene lavorando la mucosa dello stomaco di suino, ben lavata, tagliata a striscioline e posta sotto sale per 2-3 giorni. Viene messa a macerare in un contenitore di vetro scuro con una miscela di aceto e vino bianco con aggiunta di peperoncino piccante pepe per almeno 3-4 mesi. Per produrre il pecorino di Farindola si filtra il latte ovino appena munto per allontanare le eventuali impurità visto che non vi è alcun processo di termizzazione o pastorizzazione del latte. Si porta ad una temperatura di 36-37°C e si procede alla cagliatura con l’aggiunta di caglio liquido di maiale. Quindi si lascia riposare per tutto il tempo necessario alla coagulazione. Si procede prima con una rottura grossolana della cagliata e, una volta fatta sedimentare la massa sul fondo, si passa all’estrazione manuale, ponendo la cagliata in canestrini (o fuscelle) per favorire l’eliminazione del siero. Dopo una leggera pressatura manuale viene la fase della salatura. Successivamente la forma viene estratta dalla fuscella, lavata e posta ad asciugare e stagionare in locali freschi per un periodo che va da 4 mesi fino a un anno. La superficie delle forme viene periodicamente unta con una

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miscela di olio extravergine d’oliva e aceto. Un trattamento atto a prevenire la formazione di muffe che conferisce alla pasta particolare morbidezza ed evita screpolature della crosta. Un passaggio di cui solo le donne possono occuparsi, come dicevamo prima. Nel 2002 si è costituito un Consorzio per la tutela del pecorino di Farindola, al quale aderiscono 26 produttori. Il territorio di produzione si trova al confine tra le province di Pescara e Teramo, sotto il versante orientale del Gran Sasso: nella provincia di Pescara Farindola, Penne, Montebello di Bertona, Villa Celiera, Carpineto della Nora e Civitella Casanova; in quella di Teramo Arsita e Bisenti. «Il disciplinare di produzione – ci spiega l’appassionato e competente presidente del Consorzio, Ugo Ciavattella – è fatto in modo da garantire la conservazione degli usi tradizionali in tutta la filiera. Ad esempio gli animali sono sempre residenti nell’area tipica di produzione, allevati al pascolo e alimentati solo con erba, fieno, e concentrati tradizionali a base di mais, orzo, grano, fave, senza semi oleosi, sottoprodotti o insilati». Le forme di formaggio pesano in media 1,5/2 Kg e vengono ottenute cagliando 5 litri di latte per ogni chilo di semistagionato, da pecore che producono meno di 1 litro al giorno per circa cento giorni di mungitura. «L’obiettivo del consorzio – ci ricorda Ugo Ciavattella – è la salvaguardia del territorio che passa anche attraverso il recupero e lo sviluppo di un’antica tradizione, resa oggi efficiente e remunerativa per quegli imprenditori agricoli che hanno saputo cogliere quest’opportunità che genera posti di lavoro e salva un patrimonio di tutti». Le forme sono circolari ed il colore della crosta vira dal giallo ambrato al marrone scuro, secondo il periodo di stagionatura. La pasta è semidura con occhiatura piccola e diffusa con una frequente scagliosità. Dal punto di vista sensoriale prevalgono i profumi ed i sapori di erba e fieno, con leggero sentore animale, aromi ben persistenti con note di sottobosco e fungo, specialmente ad alta stagionatura.

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C COME DIECI STELLE

Foto: Modiv

GLI ARTISTI DEL CIBO PER LA PRIMA VOLTA INSIEME Cinque stellati Michelin per L’Aquila

Uno spettacolo a cui è valsa la pena partecipare come spettatori paganti. La “Sinfonia a dieci stelle per L’Aquila” organizzata da Slow Food e Niko Romito il 15 giugno nello Sporting Hotel Villa Maria di Francavilla al mare messo a disposizione dalla proprietaria Elena Petruzzi, ha stupito, commosso, meravigliato, e si è confermata l’esperienza unica che si preannunciava. «Ho alzato il telefono e ho avuto l’immediato consenso di questi miei colleghi – ha raccontato Niko Romito – che si sono caricati delle spese e sono arrivati in Abruzzo per aiutarci nella colletta per il Mercato della Terra da realizzare per i produttori de L’Aquila. Un gesto di generosità nei confronti del quale saremo sempre grati». Insieme a Niko Romito del ristorante “Reale” si sono alternati ai fornelli i fratelli Nicola e Pierluigi Portinari del ristorante “La Peca” di Lonigo (Vi), Davide Scabin del “Combal.Zero” di Rivoli (To), Mauro Uliassi dell’omonimo ristorante di Senigallia (An) e i due teramani Leonardo e Davide, assistenti di Massimo Bottura (“Osteria La Francescana”, Modena). Due stelle Michelin ciascuno, per un totale di dieci che hanno illuminato il cielo abruzzese per sostenere le produzioni agroalimentari colpite dal sisma, in sintonia con la filosofia Slow Food a favore della microeconomia. «Dobbiamo evitare che i piccoli produttori lascino L’Aquila – sostiene il presidente Slow Food Abruzzo Raffaele Cavallo – perciò stiamo raccogliendo denaro, anche tra i nostri soci in tutta Italia, per installare nel capoluogo una sorta di Casa per i produttori che hanno perso

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i loro negozi. Da settembre inoltre ripartirà l’iniziativa dei Gruppi d’Acquisto con cui è possibile comprare i prodotti locali». Personaggi illustri, giornalisti e protagonisti della politica abruzzese hanno perciò potuto paragonare diversi stili e diversi sapori della cucina creativa di ogni parte d’Italia, a confronto dei quali l’operazione di promozione dei sapori abruzzesi di Niko Romito è spiccata fortemente. Il più generoso è stato Uliassi, che non si è accontentato di attenersi al menu e di chiudere la cena con una “Interpretazione di tiramisù” da sogno, ma l’ha anche aperta a sorpresa con pane, burro e alici e ha aggiunto un primo piatto. È stato Niko Romito ad avere l’incarico di preparare i palati alla cena, con il Gelato di piselli con pancetta croccante e olio al pepe e l’Assoluto di cipolle con zafferano tostato e parmigiano, dai sapori di casa nostra. A lui si sono contrapposti una Tagliatella di seppia con pesto di alga Nori e mandorle fresche, offerta da Mauro Uliassi, e i Bigoli integrali marinati e gelato di cipolla rossa preparata dai fratelli Portinari, che hanno interpretato questo piatto povero della tradizione marinara. Un singolare Maialino al cocco, dal sapore deciso, di Davide Scabin e un’originale Idea di melanzana ideata dai collaboratori di Massimo Bottura dopo un viaggio in Thailandia hanno condotto la cena verso il dessert. Tra una portata e l’altra i commensali hanno avuto l’onore di incontrare gli chef e di sentirli raccontare la loro arte e le loro motivazioni, individuando nella loro matrice comune la ricerca della materia prima e dei gusti base, come il sale, l’amaro, il piccante.

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1 Stand Parrozzo D’Amico; 2 Giuseppe Ursini nel suo stand; 3 Staff Pastificio Maiella; 4 Macchine Pastificio Cocco; 5 Staff Contado degli Acquaviva; 6 Sergio Vastano al padiglione Abruzzo; 7 Incoronata e Paolo D’Amico di Reginella D’Abruzzo; 8 Staff Pan dell’Orso; 9 Innocenzo Chieffo, direttore del Centro Regionale per il Commercio Interno delle Camere di Commercio d’Abruzzo con le hostess del padiglione Abruzzo

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C COME TUTTOFOOD di Daniele Di Vittorio; Foto: Modiv.

L’ABRUZZO RISORGE A MILANO A Milano per dimenticare il terremoto

È stata archiviata la seconda edizione di TuttoFood, la manifestazione biennale organizzata da Fiera Milano International che si è svolta dal 10 al 13 giugno. All’indomani della chiusura si dichiarano tutti soddisfatti: il format internazionale voluto dall’organizzazione ha dato i suoi frutti ed ha fatto contenti anche gli espositori che hanno potuto fare affari con i tanti buyer stranieri presenti, oltre a numerose presenze anche di espositori esteri. Sono stati venduti spazi per quasi quarantamila metri quadri (+31% rispetto alla prima edizione) con oltre 1.500 aziende presenti. Anche i visitatori sono aumentati sensibilmente, con circa 30.000

presenze e il 35% di incremento. Le aziende abruzzesi erano presenti grazie all’iniziativa dell’Assessorato all’agricoltura, dell’Arssa e del Centro Regionale Commercio Interno delle Camere di Commercio d’Abruzzo che hanno organizzato e coordinato la partecipazione. Il padiglione Abruzzo era come un grande ombrello sotto il quale erano presenti diverse piccole e medie aziende, con le produzioni agroalimentari di eccellenza del territorio come la pasta, i salumi teramani; i dolci tradizionali come il parrozzo e il Pan Dell’Orso o le ferratelle, i tartufi, il miele di Tornareccio, gli oli extravergine della Maiella e gli oli agrumati della Costa

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1 Logo Pastificio la Mugnaia; 2 Stand Sorelle Nurzia; 3 Famiglia Cerasani nel suo stand; 4 Stand Fox; 5 Stand Falcone Dolciaria; 6 Immagine stand De Cecco; 7 Pastabus Del Verde; 8 I salumieri di Castel Castagna

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dei Trabocchi; i formaggi e i latticini della Conca peligna, i succhi e le farine di carota igp del Fucino; i fiadoni e le conserve di pesce, la mugnaia di Elice ed altri prodotti tipici. Un posto di rilievo ha avuto la provincia di L’Aquila, presente attraverso il Consorzio Operatori del Gran Sasso che riunisce dieci piccole aziende produttrici di specialità di montagna: legumi e cereali, pecorini e ricotte stagionate e affumicate, dolcetti tradizionali come amaretti, tozzetti e mostaccioli, miele (“Tratturo Magno” e “Ciccone Andrea”), i liquori “Infusi dell’Eremo” di Ghentianè, Genepy, Nocino, Zafferano, Ginepro, Ratafia, oltre allo zafferano dell’Aquila dop. Uno spazio all’interno del padiglione Abruzzo è stato dedicato ai vini dell’Enoteca Regionale, presente con i sommelier dell’Ais Abruzzo. I vini più gettonati sono stati il rosso Montepulciano d’Abruzzo (il vino doc più premiato nelle ultime tre edizioni del Vinitaly), il fragrante rosato Cerasuolo d’Abruzzo e i vini bianchi freschi e piacevoli, da uve autoctone e nomi curiosi come Trebbiano, Pecorino, Passerina, Cococciola. Ma non tutte le aziende abruzzesi erano all’interno del padiglione Abruzzo: diverse società erano presenti con stand autonomi all’interno di altri padiglioni della fiera. Si tratta di aziende medio grandi del territorio che sono in grado di sopportare l’investimento economico autonomamente e che hanno una produzione e una distribuzione maggiori rispetto alla media: basti pensare a Falcone, De Cecco, Fox... Tra queste spiccava il pastificio Del Verde, che ha scelto Tuttofood per presentare in anteprima assoluta il “Pasta Bus”, un originale e funzionale autobus dotato di cucina a vista e salottini interni per gli ospiti, ma che si apre all’esterno per creare un comodo dehor nel quale servire un pubblico molto più ampio. L’autobus, oltre a toccare numerose città nel tour previsto del 2009, è stato anche usato (e lo sarà ancora), per affiancare la Protezione civile nei luoghi del terremoto garantendo così presenza di uomini e mezzi al servizio della popolazione in difficoltà. La prossima edizione di TuttoFood si terrà, sempre a Milano e con la stessa formula, dall’8 all’11 giugno 2011: contiamo su un Abruzzo più presente con le sue aziende e le sue eccellenze per consolidare e anzi aumentare la visibilità dei prodotti della regione.

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1 Nadia e Vilma Moscardi; 2 Tra gli stand a San Vito Chietino; 3 Francesca Piccioli e Nicola Fossaceca al “Teatro del Gusto�; 4 Niko Romito

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C COME TRABOCCHI Foto: Modiv

CALA LENTA, LA MAGIA DELL’INEDITO Diecimila presenze nel 2009: è record per Cala Lenta

Un’occasione più unica che rara vedere a Caldari di Ortona Niko Romito di Rivisondoli, maneggiare un menu di pesce nella cucina della Cantina Dora Sarchese, o le sorelle Nadia e Vilma Moscardi di Camarda “giocare” con le ostriche nel relais di Agriverde: in 150 hanno gustato le loro “Cene d’autore” che hanno introdotto e concluso la quinta edizione di “Cala Lenta – Profumi e sapori della costa dei Trabocchi”. Sono oltre diecimila le presenze registrate fra il 3 e il 5 luglio nella tre giorni promossa da Slow Food Abruzzo e organizzata dalla Condotta di Lanciano, dedicata alle degustazioni, ad una mostra mercato (40 espositori)

e a varie iniziative di promozione del territorio. Più di settecento (un terzo provenienti da fuori regione) sono stati i partecipanti alle cene sui trabocchi convenzionati, rigorosamente prenotate on line. Il “Teatro del gusto”, tenuto da Nicola Fossaceca del ristorante “Al metrò” di San Salvo, da Ermanno Di Paolo dell’associazione “Custode della tradizione” di Villa Santa Maria e da Peppino Tinari di “Villa Majella” di Guardiagrele ha suscitato l’interesse di 250 persone, mentre in 300 si sono lasciati conquistare dai laboratori e dagli itinerari del gusto. Nelle 16 osterie di pesce selezionate hanno avuto molto successo le cene a tema,

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1 La tavolata dei coniugi D’Auria (Dora Sarchese); 2 Lo staff dell’organizzazione di Cala Lenta; 3 Musica in piazza a San Vito; 4 Il salone della Cantina Dora Sarchese; 5 Raffaele Cavallo e Antonello Moscardi del ristorante “Elodia” di Camarda (Aq); 6 Alcuni partecipanti alla cena da Agriverde; 7 Il “Teatro del gusto”; 8 Lorenzo Cocco del Pastificio Cocco alla cena da Agriverde; 9 Gianni Di Carlo e famiglia (Agriverde)

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tese a valorizzare la qualità del pesce azzurro: a Francavilla hanno aderito i ristoranti “Blu Marine”, “L’Angolino sul mare” e “Ottovolte”; ad Ortona “Al vecchio teatro”; a Marina di San Vito “L’angolino da Filippo”, “La scialuppa” ed “Esperia”; a Rocca San Giovanni il “Punta Vallevò” e “La balena”, a Vasto la trattoria “Da Ferri”, il ristorante “Lo zi’ Nicola al mare”, l’“Hostaria del Pavone” e il “Cibomatto”; a San Salvo “Al metrò”, l’“Osteria delle spezie” e il “Marina Ristorante”. I turisti hanno anche avuto la possibilità di fare il bagno nelle baie del litorale e di assistere, al rientro dei pescherecci nel porto di Vasto, alla preparazione del famoso “Brodetto alla vastese” da parte di alcune storiche famiglie di pescatori. «Cala Lenta ha assunto nel tempo un ruolo determinante nella promozione integrata della Costa dei Trabocchi – ha osservato il presidente di Slow Food Abruzzo, Raffaele Cavallo – ponendo sotto i riflettori non solo il Comune di San Vito Chietino, centro della manifestazione, ma anche i paesi del litorale adriatico che va da Francavilla al Mare a San Salvo. Credo di poter dire, senza paura di essere smentito, che Cala Lenta è riuscita perfettamente nell’intento di portare all’attenzione del grande pubblico le problematiche legate alla salvaguardia del mare e dello straordinario patrimonio natural-gastronomico della costa teatina, svelandone la ricchezza culturale e ambientale, nella più genuina filosofia di Slow Food». Una delle novità più curiose dell’edizione 2009 di Slow Food è stato il blu-burger, un panino col pesce azzurro servito nello stand dedicato al cibo di strada e ideato dallo chef Ermanno Di Paolo, membro dell’associazione “Custode della tradizione” di Villa Santa Maria, con la collaborazione della Condotta Slow Food di Lanciano. Il panino sarà presentato al prossimo Salone del Gusto di Torino. La manifestazione è stata realizzata con il contributo dell’assessorato all’agricoltura della Regione, e grazie ad Arssa, Aptr, Provincia e Camera di Commercio di Chieti, e i Comuni di San Vito Chietino e Vasto.

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C COME DEGUSTAZIONE

Foto: Modiv

DAL LATTE AL... MARE Alla scoperta di cosa mangiamo

Il pecorino non va accompagnato con vino rosso e i grassi Omega 3 e Omega 6 del pesce sono più facilmente assimilabili rispetto a quelli della carne. Queste piccole scoperte fanno parte degli obiettivi delle serate mensili di degustazione al Plaza Café in piazza Sacro Cuore a Pescara: serate mirate, come spiega il direttore Michele Capasso, a «diffondere una cultura più consapevole di quello che mangiamo, imparando ad apprezzare la provenienza del cibo, la sua storia, e domandandoci come valorizzare al meglio la sua interezza». Il viaggio è iniziato a giugno con una serata sui formaggi condotta da un appassionato Massimo Iafrate: tra l’intensa Raclette, il familiare pecorino di Farindola e lo strepitoso Roquefort è stata proposta una bella avventura nel gusto e nella storia, accompagnata da vini delle Cantine Dora Sarchese, da Inzolia siciliana e conclusa da un Sauternes per studiare abbinamenti e scoprire le dissonanze. «Il segreto è fare in modo che il sapore del formaggio non prevarichi quello del vino: devono fondersi – ha spiegato Iafrate – Dopo aver bevuto, la bocca deve restare pulita». Altrettanta passione è stata alla base della seconda serata degustativa, dedicata stavolta al pesce azzurro, ai crostacei e ai frutti di mare con il dietologo campano Franco Quaternato e il gourmet Giuseppe Varriale, membro d’onore dell’alta scuola di enogastronomia francese. Il 17 luglio è stato proposto un plateau di ostriche con Franciacorta d.o.c.g.,

pesce azzurro in tortiera con Trebbiano d’Abruzzo e astice alla griglia con Cerasuolo abruzzese, corredati da consigli sull’acquisto del pesce fresco e su come consumarlo: «Sono otto i dettagli che ci permettono di riconoscere la freschezza del pesce – ha spiegato Quaternato – tra i quali un ventre ancora intatto e gonfio. Consigliamo di far tagliare in tranci un pesce intatto, di cui si possa constatare di persona l’aspetto sano». Sapevate, ad esempio, che le acciughe dell’Adriatico sono più grandi del normale perché hanno l’opportunità di nutrirsi di molto plancton? Che la corazza dell’astice in realtà è blu, e solo da cotta diventa rossa? Che i crostacei andrebbero grigliati dalla parte del dorso? E che si dà più sapore al sugo se incidiamo gli scampi? «Nessun ingrediente o spezia dovrebbe coprire gli aromi della materia prima fresca – ha aggiunto Varriale – e nella cottura del pesce si dovrebbe evitare di aggiungere acqua. Il più amato? Il pesce bandiera, perché ha una lisca sola... ma gli altri, dal pesce spada al tonno allo sgombro, alle sarde, alici, acciughe e suri non vanno snobbati, perché hanno un alto grado di qualità nutrizionali». Una specialità da provare: l’aragosta alla termidoro, tolta dal guscio e cucinata con salsa di besciamella e poi gratinata. I prossimi appuntamenti sono il 18 settembre con il tema degli spumanti e il 9 ottobre con carni, barbecue e churrasco. Informazioni al plazacafe@schiratohotels.it o al 348/5567976.

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1 Niko Romito e il ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini; 2 Lo chef Ermanno Di Paolo; 3 Lo chef Caludio Pellegrini con il dolce dedicato alla Basilica di Collemaggio; 4 La tavola pronta per la cena offerta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

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C COME G8

Foto: aa.vv.:

TRE ECCELLENZE ABRUZZESI A TAVOLA CON I BIG A Coppito orapi, roveie e carni al tartufo

Hanno cucinato il ragù ma senza il maiale, ed hanno inventato persino un gelato con guanciale croccante. Niko Romito, Ermanno Di Paolo e Claudio Pellegrini sono stati i tre protagonisti della ristorazione abruzzese durante il G8 che si è svolto nella caserma di Coppito dal 7 al 10 luglio scorsi. Nell’incertezza assoluta fino all’ultimo momento, per via della tensione generale legata al timore di scosse di terremoto che avrebbero potuto mandare tutto all’aria, i nostri tre hanno accolto i Big da più fronti rispettando però le imposizioni religiose di circa quaranta delegazioni, che non potevano mangiare carne suina. Niko Romito, segnalato dal Gambero Rosso, ha curato i 3000 aperitivi finger food e stupito le first ladies nel pranzo offerto dalla signora Daniela, moglie del presidente della Regione Gianni Chiodi, con cinque portate abruzzesi, alcune inventate per l’occasione. Per il G8 è nato infatti il gelato di “roveie”, un legume selvatico dolciastro quasi estinto che si trova nella zona d L’Aquila, che è stato servito insieme al guanciale croccante di Paganica. Le first ladies hanno gustato il baccalà di prima salatura, lacerato con olio extravergine di oliva e accompagnato da granita di patate al rosmarino e assoluto di peperone arrosto; tortelli liquidi di piselli tardivi con pomodoro fresco, basilico e pecorino di Castel del Monte; vitello glassato con orapi croccanti e macedonia tiepida di patate; e infine un “caldo-freddo di cioccolato e finocchio”. Il tutto affiancato

da pane a base di farina di solina e vini Marramiero, Masciarelli, Valentini e Barba. La cena offerta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, invece, è stata curata, d’accordo con il cuoco personale di Silvio Berlusconi Michele Persechini, da Claudio Pellegrini, presidente dell’associazione “Custode della Tradizione”, ed Ermanno Di Paolo, promotore dell’associazione e insegnante presso l’istituto alberghiero di Villa Santa Maria. La cena è stata costituita da antipasti di pomodori tiepidi con giuncata di Rivisondoli, maccheroncini alla chitarra con ragù abruzzese (ma, come detto, senza né carne di maiale né carne di agnello), un vitello in crosta di tartufo estivo delle colline del Sangro con contorni di melanzane farcite, fagiolini al burro e patate al forno; formaggi aquilani e trionfo di dessert regionali con un dolce che rievocava la cupola di Collemaggio, distrutta dal terremoto. Tra i vini, il Torre Migliori 2004 riserva, lo Zanna Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane docg 2005 di Illuminati, il Montepulciano d’Abruzzo San Callisto Valle Reale 2006 e il Cerasuolo Hedos Cantina Tollo 2008. I capi dello Stato hanno anche scoperto i rigatoni con zucchine e pistilli di zafferano abruzzese, filetto di vitello alle erbe aromatiche, gelato all’italiana con lingue di gatto, e vini Trebbiano d’Abruzzo Marina Cvetic 2007, Madonna Nera e Loré Illuminati, Villa Gemma Montepulciano 2003 di Masciarelli, e il Plaisir bianco 2008 e il Clematis 2004 di Zaccagnini.

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C COME RICETTE

a cura delle associazioni cuochi della FIC

Espressione di trippa marinata alla menta

Farfalle al pesto “caracciolino”

di Doriano Petricca, ass.ne cuochi L’Aquila

di Domenico Di Nucci, ass.ne cuochi Valle del Sangro

Ingredienti per 4 persone: 500 g di trippa di vitello pulita, 200 g di zucchero, 1 mazzetto di menta, 200 g di aceto di Trebbiano d’Abruzzo, 20 g d’olio extravergine di oliva, sale e acqua q.b.

Ingredienti per 4 persone: 400 g di farfalle, 200 g di fagiolini, 150 g di ricotta di pecora, 1 mazzo di basilico,1 ciuffo di prezzemolo,1/2 spicchio d’aglio, 200 g d’olio extravergine d’oliva, 60 g di noci, 20 g di pinoli, 100 g di formaggio di mucca stagionato.

Preparazione: Tagliare la trippa a strisce dallo spessore di 1 cm e lunga 4. Lessarla con i 50 g di aceto, scolarla e freddarla in acqua e ghiaccio. Scolarla e marinarla con il restante aceto, lo zucchero, il sale, metà della menta; coprire con l’acqua e lasciare in frigo per 8 ore. Mettere al centro dei piatti la trippa con un mestolino di liquido della marinatura, cospargere con della menta a julienne e completare con un filo d’olio extravergine d’oliva a crudo.

Preparazione: Mondare i fagiolini e lessarli e raffreddarli in acqua e ghiaccio. Frullare tutti gli ingredienti con l’olio, amalgamare con il formaggio e lasciare riposare per un’ora. Cuocere le farfalle, scolarle, mantecare con il pesto e servire.

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Torretta di baccalà su vellutata di peperoni rossi di Lucio D’Angelo, ass.ne cuochi Pescara

Sfogliatina di fichi con zabaione al mosto cotto e salsa di lamponi di Andrea De Felice, ass.ne cuochi Teramo

Ingredienti per 4 persone: 400 g di baccalà dissalato, 100 g di ricotta di mucca; 12 albumi d’uova, 30g di panna da cucina, 30 g di pane bianco, 70 g di olio extravergine, 3 peperoni cornetti rossi secchi, sale, pepe, prezzemolo, aglio q.b. Per la vellutata: 250 g di peperoni rossi quadri, 50 g di olio extravergine d’oliva, 20 g di cipolla, ½ aglio in spicchi, sale e pepe q.b. Preparazione: Per la torretta spellare il baccalà, con la pelle ricavare 4 rombi da seccare al microonde, e poi friggerli in modo da renderli soffiati. Tagliare il baccalà a bocconcini, cuocerli con l’olio e l’aglio, aggiungere il prezzemolo e frullarli nel cutter con la ricotta, il pane, la panna, metà dei peperoni e gli albumi e regolare di sale. Dividere il composto in 4 stampini a torretta e cuocere in forno a 135° per 30 minuti. Per la vellutata: mondare i peperoni, tagliarli a pezzi e cuocerli con l’olio, la cipolla e l’aglio; regolare di sale e pepe e frullare il tutto ottenendo una vellutata. Metterla nei piatti: al centro posizionare la torretta, decorare con un ciuffo di prezzemolo riccio e la pelle soffiata. Spolverare con il restante peperone secco tritato e completare con un filo d’olio extravergine.

Ingredienti per 4 persone: 200 g di pasta sfoglia, 150 g di lamponi, 4 fichi maturi, 50 g di zucchero a velo, 70 g di zucchero semolato. Per lo zabaione: 70 g di zucchero, 70 g di tuorli d’uovo, 70 g di mosto cotto. Per guarnire: un cestino di more, uno di ribes, uno di fragoline di bosco. Preparazione: Frullare i lamponi con lo zucchero, passare al chinois e conservare al fresco. Stendere la pasta sfoglia, ricavare 10 cerchi con diametro di circa 7/8 cm, spolverare con lo zucchero a velo e cuocere a 240° per 20 minuti. Togliere dal forno, spolverare di nuovo con lo zucchero a velo, continuare la cottura per due/tre minuti in modo da caramellare i cerchi di pasta sfoglia. Tagliarli a metà in orizzontale. Pelare i fichi e tagliare a fette. Per lo zabaione: in una casseruola di rame mescolare tutti gli ingredienti e montare con una frusta fino a che il composto diventa ben gonfio. Nel frattempo scaldare in forno le sfogliatine con i fichi. Disegnare con la salsa di lamponi una griglia nei piatti, al centro mettere la base della sfogliatina, sopra i fichi; nappare con lo zabaione, coprire con l’altra sfoglia e decorare con la frutta di bosco a piacere.

ERRATA CORRIGE La ricetta erroneamente pubblicata, nel numero 7, con il titolo “Crema tiepida alla ricotta con cristalli di Centerba Toro e cialda al miele di Sulla, mousse al parrozzo e pensando al bocconotto” è in realta del “Millefoglie di pane di solina tostato, borragine, panocchie dell’Adriatico e pomodoro a pezzetti, con emulsione di olio extravergine di oliva d.o.p. aprutino pescarese, aglio rosso di Sulmona e bastardone tritato” di Dario Stenta, Trofeo Giano per il piatto innovativo a Lu Carrature d’ore 2009

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C COME AGROALIMENTARE Foto: Modiv

PER MEDITERRANEA LE PRODUZIONI IN MOSTRA A Pescara il meglio del territorio

E 24!! Tante ormai sono le edizioni della Mostra Mediterranea, la mostra mercato dei prodotti tipici agroalimentari d’Abruzzo che ormai è diventata un classico dell’estate pescarese. Organizzata dalla Camera di Commercio provinciale, nella bella cornice del Porto Turistico di Pescara, anche quest’anno ha visto partecipare circa 100 tra aziende agricole, olearie e vitivinicole del territorio: da caseifici, salumifici, aziende di conserve alimentari, di tartufi, di cereali minori, di frutta, di verdura, pastifici, produttori di miele, imprese dolciarie, di liquori e di erbe officinali fino a produttori di vino, apicoltori e autorevoli rappresentanti di aglio rosso, mosto cotto, pane, formaggi stagionati e confetti. Erano presenti, inoltre, anche associazioni di settore e amministrazioni comunali delle aree regionali a vocazione agricola per valorizzare i prodotti tipici della regione, come la Coldiretti e le delegazioni di Chieti, Pescara e Teramo della Onaf, l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio. Ed anche quest’anno si sono svolti dei minicorsi di formazione su determinati prodotti di interesse generale: il gelato, il vino, la pasta, l’olio ed il formaggio. Novità importante della Mostra Mediterranea 2009 è stato il nuovo e moderno spazio espositivo: un’area di 6.650 metri quadrati individuata all’interno del porto turistico “Marina di Pescara”, di cui 1.200 coperti e dotati di impianto fotovoltaico. In questo spazio è stato possibile aumentare il valore della manifestazione offrendo ai visitatori un’area dedicata al Museo delle Arti e delle Tradizioni Contadine .

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C COME FILM

di Guernica - http://atuttavita.blogspot.com

Un’ottima annata Genere: Drammatico Anno produzione: 2006 Durata: 118 min Regia: Ridley Scott Cast: Russell Crowe, Albert Finney, Marion Cotillard, Abbie Cornish

Fin dalle prime battute, con impeto, Ridley Scott ci proietta nel mondo londinese delle quotazioni finanziarie, in cui cinismo e razionalità fanno da padroni incontrastati. Il protagonista Max Skinner (Russell Crowe), è un valente broker interamente votato al dio denaro. La sua vita ruota attorno al motto “Vincere non è tutto, è l’unica cosa”, mentre il valore dell’amicizia, del tempo libero o il godere di una vacanza assumono le fattezze d’illustri sconosciuti. Non trova alcun posto il valore, concepito oltre quello materiale delle cifre a sette zeri. Una svolta inaspettata giunge con la morte improvvisa del vecchio zio Henry (Albert Finney). La notizia scuote la preordinata vita di Max e lo conduce in Provenza, poiché unico erede della “Siroque”, una vasta tenuta con annessi vigneti. In quei luoghi ha trascorso buona parte dell’infanzia, e chiudendo gli occhi può facilmente scorge-

re i più bei ricordi, l’unico vero affetto ricevuto, quello dello zio, gli odori e i sapori nei quali la proprietà è immersa. È a questo punto che per Max comincia un tortuoso viaggio interiore. Lo scevro uomo d’affari è costretto a confrontarsi con persone vere, con i ricordi che timidamente si fanno largo. È obbligato a conciliare la sua posizione con la comparsa di Christie (Abbie Cornish), figlia illegittima dello zio Henry. In Fanny Chenal (Marion Cotillard) incontra l’amore. La bella locandiera lo inebria quanto, se non più, del vino rosso rubino di Provenza. Tutto di quella terra sussurra e scalda il suo animo, esasperando il broker spietato e infine piegandolo alle ragioni del cuore che lo spingeranno a non abbandonarla più. La sceneggiatura, basata su un romanzo di Peter Mayle “A Good Year”, fornisce un plot narrativo prevedibile, tuttavia adeguato al puro intrattenimento che la pellicola vuole offrire. Una serie di eventi fortuiti (almeno per il protagonista) costringeranno Max Skinner a compiere il classico cammino introspettivo e a recuperare la sua infanzia perduta. Ragionando in termini Pascoliani, inconsciamente ritroverà il fanciullino che alberga in lui, talvolta scomodo predatore di ogni razionalità, eterno Peter Pan intimidatore che spinge ad osservare il mondo servendosi d’irrazionali, immediate facoltà liriche ma anche di sensazioni pure e di sincerità. Ridley Scott descrive tutto questo magistralmente. Nessuna imperfezione nel racconto che si evolve per flash back tra presente e passato, fissando alcune scene come a proteggerle dagli eventi esterni, simili ad un fermo immagine che si traduce nell’immobilismo delle vecchie foto di cui la “Siroque” è disseminata. Perfetta la colonna sonora e totale sodalizio tra battute ed interpretazione degli attori. Unica pecca la troppa lentezza con cui si avvicendano le scene, con conseguenti cali d’interesse nel pubblico. È il luccichio del vino nei calici a risvegliare i sensi. Il nettare rosso danza e recita accanto a protagonisti di carne ed ossa, assumendo valore simbolico di una rinnovata e genuina vita, in netta rottura con il più sbrigativo whisky da city londinese.

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C COME NEWS

Il Premio Massimo Cerasi Hanno vinto una borsa di studio i tre ritenuti migliori fra i laureati della facoltà di Agraria di Teramo nell’ultimo anno che hanno partecipato al Premio intitolato a Massimo Cerasi, il compianto presidente della Cia di Teramo e patron della manifestazione “I tesori della fattoria”. La premiazione è avvenuta il 24 luglio all’interno dell’ottava edizione della rassegna enogastronomica giuliese. Il premio da 1500 euro è andato a Giuseppe Christian Fusella per la sezione Laurea Specialistica in Scienze e Tecnologie Alimentari e la tesi “Caratterizzazione delle popolazioni microbiche degradative dei prodotti della pesca in relazione a possibili strategie di bioconservazione”. Il premio da 750 euro è andato a Marco Santori per la sezione Laurea in Viticoltura ed Enologia e la tesi “Dimensionamento degli impianti enologici di una cantina cooperativa nella Comunità Valenciana”. Un altro premio da 750 euro è andato a Marco Alessandrini per la sezione Laurea in Scienze e Tecnologia Alimentari e la tesi: “Approcci analitici innovativi per l’analisi dei parametri di qualità dell’olio extravergine d’oliva”.

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Abruzzesi vincono al barbecue Sono di Gissi i due campioni di barbecue che hanno trionfato alla quarta edizione del Campionato del Mondo di Barbeque a Caorle, in Veneto. Bernardino Pachioli e Angelo d’Ugo hanno preparato un carpaccio di anguria arrostita con la tagliata al riverbero di sale con pennellata di cioccolato fumè e hanno battuto 130 coppie di cuochi di 19 nazionalità differenti tra Belgio, Sudan, Sudafrica, Austria, Argentina, Croazia, Cuba, Thailandia, Bangladesh, Mali, Etiopia, Albania, Tibet, Norvegia, India, Romania, Marocco e Santo Domingo. I due di Gissi si erano già imposti nella tappa di Milano, arrivando di diritto in finale a Caorle. A loro va una settimana di vacanza in Veneto, 50 bottiglie di vino veneto doc, uno “Scrigno delle Carni” da 15 kg e una confezione di Birra Dolomiti. Le quattro serate dedicate alle “Griglie roventi” hanno visto cucinare 1024 costate, distribuire 616 bottiglie di vino veneto doc, quasi 100 kg di noci Lara del Piave, 512 cuochi e oltre 30mila spettatori. La serata finale è stata condotta dal duo di Striscia Moreno Morello e Cristiano Militello, affiancati da Gabriela Barros.

L’Abruzzo che si compra Nel giro di pochi giorni sono state lanciate due iniziative che vedono i prodotti abruzzesi raggiungere un mercato sempre più ampio. Nelle prime due settimane di agosto, per il progetto “Siamo con l’Abruzzo” sostenuto dal Centro Interno delle Camere di Commercio insieme a Coldiretti e Parco del Gran Sasso–Laga, i prodotti di 15 aziende selezionate saranno in vendita nei 44 più grandi punti vendita Autogrill della rete autostradale italiana, in panieri con le più tipiche specialità regionali, dall’olio extravergine ai pestati, dal miele ai salumi, dai dolci ai formaggi. Contemporaneamente parte anche la campagna “Scegli Abruzzo – Mangia sano e solidale” dell’assessorato regionale all’agricoltura tramite Arssa, che vede l’agroalimentare della regione approdare nella Grande Distribuzione una settimana alla volta, partendo dal Megalò di Chieti alla fine di luglio e proseguendo, dalla fine di settembre fino a marzo 2010, nei principali centri commerciali d’Italia come gli Iper di Città Sant’Angelo, Milano, Verona e Rimini, gli Auchan di Torino, Bergamo e Udine, il Gran Sasso di Teramo e Roma Est.


C COME NEWS

Un consorzio sull’aglio rosso. Sono sulla linea di partenza i produttori di aglio rosso e si dichiarano pronti per unirsi in consorzio. In un convegno nazionale dedicato all’aglio rosso il 9 luglio a Sulmona, Arssa e pro loco di Campo di Fano, frazione di Prezza, da sempre custode della maggiore quantità di produzione dell’aglio rosso, hanno predisposto le coscienze a unirsi e dare vita al registro nazionale e alle etichette, tutte azioni propedeutiche alla realizzazione di una Denominazione di Origine Protetta del caratteristico prodotto sulmonese. Il mercato del prodotto, infatti, si trova ad un punto di svolta: entrare nell’elenco delle specie autoctone, relegando la coltivazione a pochi ettari, oppure valorizzare il prodotto accentuando il rapporto tra lo stesso e zona di coltivazione. Il seme peligno, inoltre, ha oggi la necessità di vedere tutelate la sua autenticità e la sua unicità, minacciate da varietà non autoctone provenienti dall’estero. A conclusione del convegno è stato eletto “Mister aglio rosso 2009”, il miglior esemplare dell’annata: ha vinto quello dell’azienda agricola di Mario Centofanti, di Marane di Sulmona.

Il Festival del Peperone dolce Il 12 e il 13 settembre ci sarà il primo “Festival del peperone dolce di Altino”, con il palio culinario delle contrade nel centro storico del paese. Il festival è stato preceduto, il 18 luglio, da un incontro-dibattito su “Il peperone dolce di Altino - Oasi di Serranella”. I lavori sono stati aperti dal presidente della neonata associazione di tutela, Tino Bellisario, che alla presenza del direttore dell’Oasi Mario Pellegrino ha dichiarato: «Tradizione, legame stretto con il territorio e microeconomia sono le voci che fanno sperare in una rinascita di questa produzione, che fino a non molti anni fa fu fonte di reddito per molte famiglie della Val di Sangro e motivo di orgoglio per i produttori di Altino». In squisitezze come la ventricina del Vastese e il brodetto, infatti, il peperone dolce trito fa la differenza. È stato rivolto un invito a tutti i Comuni limitrofi come Archi, Casoli, Roccascalegna, Sant’Eusanio del Sangro, Perano e Atessa a sensibilizzare i produttori sulla necessità di un disciplinare di produzione del peperone dolce che conduca verso una denominazione di origine. (G.R.)

L’Abruzzo al meeting di Rimini Torna da protagonista al trentesimo Meeting di Rimini “Luntane cchiù luntane”, il ristorante abruzzese ideato dalla Fondazione Santa Caterina di Pescara. Dal 23 al 29 agosto l’area enogastronomica ideata nel 2005 da amici e genitori della scuola Domus Mariae di Pescara sarà la più grande e importante di tutto il Meeting, con i suoi 400 posti a sedere e con una sala vip, riservata a ministri, sottosegretari, economisti, giornalisti, imprenditori e personalità che parteciperanno alla tradizionale kermesse di Comunione e Liberazione. Verranno serviti arrosticini (l’anno scorso sono stati 60mila), salumi abruzzesi, sagne e fagioli, gli anellini di Elice alla pecorara e pane olio e pomodoro, accompagnati da Montepulciano, Cerasuolo e Trebbiano e pecorino di Farindola servito con il miele di Tornareccio, la ricottina dell’Aquilano e liquori come Ratafià, Genziana e Centerba. Partner della manifestazione sono il pastificio F.lli De Cecco di Fara San Martino, la Falcone Dolciaria di Moscufo, l’associazione culturale Zeropiù e “Sapori veri“ di Notaresco.

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Pesticidi nel piatto abruzzese. Il dossier 2009 di Legambiente “Pesticidi nel piatto” presenta un quadro in miglioramento con i dati dello scorso anno. Con la collaborazione dell’Istituto zooprofilattico sperimentale “Caporale” in Abruzzo sono stati analizzati 173 campioni: 79 di frutta, 87 di verdure e 7 di prodotti derivati (passate di pomodoro, pane e altri). Sono spariti gli alimenti con residui al di sopra dei limiti consentiti del 2007 (un’irregolarità negli ortaggi da foglia e 2 nella frutta), e fragole (9,1%), pomodori (33,3%) e cereali (5,1%) appaiono regolari con un solo residuo, per il 38% del totale dei campioni analizzati. Il 40% dell’uva presa in considerazione si rivela regolare ma multiresiduo, con tracce anche di Procimidone, un fungicida classificato dall’Epa come possibile cancerogeno per l’uomo. Anche se il vino non è presente fra i campioni analizzati in Abruzzo, è facile dedurre che la presenza di uva “inquinata” mini anche la qualità del suo derivato. «È strettamente necessario investire ulteriormente sulla qualità piuttosto che sulla quantità», dichiarano da Legambiente Abruzzo.

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La pecora nera trova casa ... La pecora nera della Valle del Sagittario è “sbarcata” nello studio di Rai tre, accolta da tutti con entusiasmo, come ospite d’onore alla trasmissione “Cominciamo Bene Estate” del 10 luglio per il progetto “Adotta una pecora” ideato dall’abruzzese Nunzio Marcelli. Un incontro che ha dato l’occasione di illustrare il meglio delle produzioni e delle tradizioni della Valle del Sagittario. Corrado Barberis, presidente dell’Insor (Istituto Nazionale Sociologia Rurale) non ha mancato di elogiare la capacità di queste produzioni tradizionali di innovarsi e di rappresentare il vero simbolo di un’area geografica, in grado di arrivare fino all’anno Tremila unendo il rispetto per le modalità di allevamento millenarie a tecniche innovative di conservazione, come l’affumicatura al ginepro. Ma la vera protagonista è rimasta lei, la pecora nera, che il conduttore Michele Mirabella ha “adottato” in diretta, esibendo orgoglioso il certificato di adozione e la carta di identità. Del resto non avrebbe potuto sottrarsi, visto che la pecorella era già stata prontamente ribattezzata “Bella Mira”.

... e l’agnello un marchio. Dopo l’istituzione nel 2006 del marchio “Buon Gusto” che caratterizzerà le nostre produzioni regionali, l’Associazione Regionale Allevatori (A.r.a.) ha depositato, come marchio collettivo, il logo “Buon Gusto l’agnello d’Abruzzo”, insieme al relativo disciplinare di produzione, allo scopo di tutelare e valorizzare la produzione di carne di agnello di qualità, rintracciabile dall’allevamento al consumatore. Il disciplinare, tra l’altro, obbliga gli allevatori ad adottare il manuale di corretta prassi igienica ed HACCP per allevamenti ovi-caprini, predisposto dall’Associazione Italiana Allevatori in ossequio alla normativa vigente e validato dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, e prevede che gli agnelli siano nati ed allevati in aziende zootecniche ubicate nel territorio regionale, allattati esclusivamente con latte materno fino allo svezzamento e macellati in idonei impianti di macellazione individuati dall’A.r.a. È in via di preparazione anche il disciplinare relativo alle carni suine, che saranno contraddistinte dal logo “Buon Gusto il suino d’Abruzzo”, già predisposto.


C COME NEWS

Tornareccio regina di miele Sabato 26 e domenica 27 settembre torna la rassegna “Tornareccio Regina di Miele” per il paese teatino che costituisce metà produzione di quella regionale. Saranno due giorni ricchi di eventi ed iniziative, promossi dal Comune di Tornareccio e organizzati da Ars Nova di Sonia Iezzi nei vicoli del centro storico. Piatto forte di “Regina di Miele” saranno i coloratissimi stand delle aziende locali, dove trovare tutto ciò che riguarda il mondo delle api: oltre ai mille tipi di miele (acacia, millefiori, castagno, eucalipto...), anche prodotti quali pappa reale, propoli, cera e persino cosmesi. Ma non solo miele: la rassegna valorizzerà anche le altre produzioni tipiche del territorio come le mozzarelle, il vino, il tartufo e tanto altro. Variegato e coinvolgente si preannuncia il programma degli eventi collaterali, con spettacoli, botteghe delle tipicità e naturalmente visite guidate agli splendidi mosaici che da quattro anni arredano il borgo e che fino al 30 agosto sono i protagonisti di “Un mosaico per Tornareccio”. Il programma dettagliato sarà pubblicato su www. comuneditornareccio.it.

I Cuzzitilli di Keste Terre Hanno partecipato alla diciottesima edizione di “Ariaperta” a San Salvo dal 10 al 12 luglio, proponendo un piatto tipico ed estremamente semplice: i cuzzitilli alla ventricina. «Abbiamo versato in un tegame di grandezza media, a collo alto, dell’ottimo olio extra vergine d’oliva, prodotto esclusivamente dai nostri olivicoltori bassomolisani – ci spiega Massimo Di Stefano, presidente dell’associazione – Consigliamo delle dosi generose nel preparare un ricco tritato di cipolla nostrana da far imbiondire nell’olio; si aggiunge poi polpa di pomodoro, prodotta anch’essa dalle massaie monteneresi, e si porta ad ebollizione per circa 15-20 minuti. Poi si versa, tagliata a tocchetti, la ventricina montenerese, caratterizzata da carni di culatello e di coppa disossata impastate con sale e peperoncino macinato e stagionata per 4 o 5 mesi. Per gli amanti dei sapori piccanti, mentre l’acqua per la pasta “cuzzitill” giunge ad ebollizione consigliamo di preparare il peperoncino delle colline di Montenero, il “lazzaratt cucent”, per poi condire unitamente al pecorino grattugiato».

Le olive Slow Food Nell’affascinante cornice dell’Abbazia di San Giovanni in Venere lo scorso 22 luglio Slow Food ha presentato la Guida 2009 agli Extravergini d’oliva. In Abruzzo si evidenzia una buona media qualitativa a fronte di un aumento della produzione. Sono andate tre olive all’azienda di Bruno Nicodemi e a quella di Giuseppe Ursini per l’olio Tandem, mentre si sono guadagnati l’aggettivo di “eccellente” il Trappeto di Caprafico per il Dop Colline Teatine, il Monocultivar Itrana dell’azienda Baldassarre, il classico da Agricoltura biologica del Frantoio Montecchi e l’olio di La Quercia. Gli oli giudicati eccellenti sono quei prodotti che in degustazione risultano particolarmente emozionanti, pur senza raggiungere il massimo punteggio. In Abruzzo crescono di numero sia i monovarietali sia gli autoctoni, come l’intosso, il gentile di Chieti, il cucco, il nebbio, dritta di Loreto, leccino, ascolana, itrana, leccio del corno, picholine, e naturalmente le tre Dop Colline Teatine, Aprutino Pescarese e il Pretuziano.


C COME CONTROEDITORIALE

di Daniele Di Vittorio - marketing@c-magazine.it

BIOLOGICO SÌ…BIOLOGICO NO

La novità è questa: il cibo biologico non ha alcuna qualità positiva che lo distingua dal cibo “ordinario”, ossia quello ottenuto dai campi e dalle stalle in cui è ammesso l’uso dei prodotti chimici. Lo certifica la britannica Food Standard Agency, sulla base di uno studio scientifico pluriennale che verrà pubblicato dall’autorevole American Journal of Clinical Nutrition. Da quando siamo bambini ci hanno abituato a pensare che il cibo biologico sia di qualità superiore a quello delle altre coltivazioni mentre invece questa agenzia britannica ci insinua il beneficio del dubbio su questa questione. Allora vediamo di fare chiarezza. L’agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che considera l’intero ecosistema agricolo, sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, promuove la biodiversità dell’ambiente in cui opera ed esclude l’utilizzo di prodotti di sintesi (salvo quelli specificatamente ammessi dal regolamento comunitario) e organismi geneticamente modificati. La differenza sostanziale tra agricoltura biologica e convenzionale consiste nel livello di energia ausiliaria introdotto nell’agrosistema. Nell’agricoltura convenzionale si impiega un notevole quantitativo di energia ausiliaria proveniente da processi industriali (industria chimica, estrattiva, meccanica, ecc.); al contrario l’agricoltura biologica, pur essendo in parte basata su energia ausiliare proveniente dall’industria estrattiva e meccanica, reimpiega la materia principalmente sotto forma organica. Quindi: come è possibile che l’uso o il non uso di fertilizzanti e pesticidi (cioè anti-parassitari) non faccia differenza nella qualità dei cibi? Questa è una cosa che tutti credevamo fosse accertata e che non si potesse più mettere in discussione: invece il responsabile della ricerca il professor

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Dangour a questa obiezione dichiara che «l’eventuale sovrappiù di sostanze chimiche riscontrato nei cibi convenzionali rientra nelle ordinarie variazioni statistiche e non ha impatto significativo sulla salute». La Soil Association (la principale organizzazione di certificazione delle produzioni biologiche del Regno Unito) accusa la Fsa di aver presentato uno studio che tralascia aspetti importanti come l’impatto di pesticidi ed erbicidi. È pronta la risposta del dottor Dangour: «Vi è una possibilità che il cibo bio abbia meno residui chimici, ma ciò non rientra nell’orizzonte del nostro studio. Noi abbiamo dimostrato che ci sono pochissime differenze nutrizionali tra organico e convenzionale». La Soil Association però rilancia, avanzando il sospetto che il rapporto sia stato pubblicato ora non a caso, per influenzare la prossima ricerca in questo campo della Comunità Europea. Insomma, dietro ci sarebbero motivi politici e in ballo ci sarebbe la regolamentazione comunitaria del settore. A prescindere da tutti gli interessi economici che possano nascondersi (ricordiamo che gli alimenti biologici costano sempre un po’ più del normale), il dialogo secondo me è da condurre su un livello diverso, perché le motivazioni d’acquisto del prodotto biologico non si basano primariamente sul fatto se sia più nutriente o no. Chi acquista biologico aderisce ad un modo di vivere e pensare; il suo è uno stile di vita e non solo una maniera di mangiare. Chi acquista biologico lo fa perché crede nel rispetto dell’ambiente, perché vuole un mondo libero da pesticidi tossici e fertilizzanti, perché cerca di vivere una vita sana con meno cibi industriali e più frutta e verdura. Chi crede nel biologico crede in un mondo ideale dove il rispetto della terra è al primo posto. Pensate sia sbagliato?




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