C come magazine n. 11

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ANNO 3 - NUMERO 11 - Febbraio/Marzo 2010

11 FREEPRESS di ENOGASTRONOMIA ABRUZZESE

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SPECIALE CHEF

Dal lusso alla semplicità

C COME NICOLA FOSSACECA Semplicità, il tuo nome è pesce C COME SIGEP La fiera delle dolcezze


>> Editore Modiv s.n.c.

www.modiv.it - info@modiv.it - www.ccomemagazine.it

>> Ufficio fotografico Modiv. Ha collaborato: Mario Sabatini. Archivi foto: Moma, Identità Golose.

>> Direttore responsabile Cristina Mosca (non fumatrice)

>> Stampa AGP Arti Grafiche Picene - Maltignano (Ap)

se volete dirle qualcosa fatelo a: redazione@c-magazine.it

>> Area marketing e commerciale Daniele Di Vittorio (ex fumatore) marketing@c-magazine.it - 3887960830

Maurizio Di Battista

(ex fumatore)

maurizio@modiv.it - 3296249283 >> Editore: Modiv s.n.c. Viale Matrino 36, 65013 Marina di Città Sant’Angelo (Pe) Tel/fax 085.959746 - cell. 388.7960830 www.modiv.it - info@modiv.it Registrazione presso il Tribunale di Pescara n° 7/08 del 31/03/2008

In questo numero si sono affrettati, divertiti, emozionati, innamorati insieme a noi Roberto Ardizzi, Marco Di Edoardo, Massimo Giuliano, Guernica, Massimo Iafrate, Mara Marinangeli, Nadia Miriello, Jenny Pacini, Ludovica Persichitti, Anita Righetti, Stefano Sebastiani e i cuochi Antonio e Andrea De Sanctis, Julien Ferretti, Francesco Lupinetti, Mattia Presenti e Santino Strizzi. Per i cappelli della copertina si ringrazia la Moda nel Lavoro di Valentino Di Giovanni. come

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C come RUBRICHE 05 >> C come Sommario 07 >> C come Editoriale 11 >> C come Informazione 12 >> C come Food Design 52 >> C come Ricette 61 >> C come Guernica 63 >> C come News 66 >> C come Controeditoriale C COME SPECIALE CHEF 32 >> C come Identità Golose 36 >> C come Fornelli Polemici 40 >> C come Libri (1) 42 >> C come Libri (2) C come ABRUZZO 14 >> C come Nicola Fossaceca 18 >> C come Legumi 22 >> C come Tradizione 26 >> C come Vi consigliamo

Foto copertina: Mario Sabatini

cosa c’è nel numero Undici

C COME SOMMARIO

28 >> C come Saral Food 30 >> C come Martedì Grasso 51 >> C come Abbinamenti 56 >> C come Estero C come REPORTAGE 8 >> C come Fotoeventi 46 >> C come Sigep

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C COME EDITORIALE

C COME ECCEZIONE Cristina Mosca

Direttore responsabile di C come magazine Vede: blu cobalto Ascolta: con tutti i sensi Osa: voler cambiare il modo di pensare le cose

In questo numero ci siamo permessi di prendere una boccata d’Europa e di restituirvela nella maniera più costruttiva possibile. La bella, toccante esperienza ad Identità Golose ci ha incoraggiato a concentrarci sulla caratteristica più preziosa di un cuoco: la sua passione. Una caratteristica comune a tutti i fortunati che riescono nel proprio lavoro perché lo amano, il che li induce a guardare “più in là” e che, come sempre accade, li porta a scontrarsi con opinioni, valori e persino ottusità, a volte, del mondo che li circonda. «In Italia abbiamo un problema – ha detto Paolo Marchi durante il congresso milanese – abbiamo una litigiosità insita che ci porta a condannare chi ha successo, invece di cercare un confronto ed, eventualmente, dare valore». Ci siamo concessi quindi un’eccezione: uno sguardo fuori regione per parlare di cucina molecolare e per conoscere più da vicino i cuochi in questo momento sotto i riflettori. Abbiamo scoperto così persone profondamente umili e appassionate come ogni grande artista dovrebbe essere: degli amorevoli cantastorie che fanno di un mestiere la loro favola personale. Nella boccata d’Europa rientra anche l’inaugurazione di una rubrica dedicata ai nostri cuochi che sono andati a lavorare all’estero, facendosi in qualche modo ambasciatori d’Abruzzo. Cominciamo con Massimiliano Ascione, che abbiamo conosciuto a Santo Stefano di Sessanio due anni fa e che oggi è negli Emirati arabi. Negli altri articoli cavalchiamo con orgoglio l’onda del successo di Nicola Fossaceca, puntualmente individuato su scala nazionale come chef emergente, e ci dilettiamo con la pasta alla chitarra e i ravioli dolci teramani. Buon appetito!

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C COME FOTOEVENTI

dii Daniele Di Vittorio - Foto: Modiv

Al centro dei sapori

Con una cena raccontata dal giornalista Antonio Paolini, lo chef Rodolfo Checchia ha coccolato oltre cento ospiti alla cena inaugurale del ristorante Acquaviva il 28 gennaio. Il ristorante è nato all’interno del Breaking Business Hotel di fronte al casello autostradale di Mosciano Sant’Angelo. Tra i piatti serviti a tavola: crema di patate rosse con baccalà e tartufo di Campovalano, tacconi con salsa di rana pescatrice e costoletta d’agnello cacio e uova. I vini: Montonico La Quercia, Trebbiano Nestore Bosco e Pecorino Cataldi Madonna.

Le eccellenze d’Abruzzo alla Camera

“A cena con i cuochi di Villa Santa Maria”

Quest’anno è stato scelto l’Abruzzo per presentare le eccellenze enogastronomiche del made in Italy. Lo scorso dicembre le nostre produzioni agroalimentari sono state presentate a Palazzo Montecitorio dall’assessore Mauro Febbo insieme al presidente della regione Gianni Chiodi e al presidente del consiglio regionale Nazario Pagano. Si sono occupati del catering lo staff di Peppino Tinari e gli studenti dell’istituto albeghiero “G.Marchitelli” di Villa Santa Maria.

Una serata amichevole organizzata a gennaio dai cuochi dell’associazione Val di Sangro presso il ristorante San Marco a Vasto. I cuochi della serata erano: Nicola Fiore, sua moglie Francesca, Tommaso Sboro, Antonio Iezzi, Silvano Foia, il presidente dell’associazione Domenico Di Nucci e lo scultore decoratore Dino Cieri.

Lauretum Vinum et Oleum

È tornato a ridosso dell’Immacolata per le vie del centro storico di Loreto Aprutino l’appuntamento dedicato all’incontro tra arte ed enogastronomia. È stato possibile degustare, ammirando il patrimonio storico-artistico del borgo, i vini e gli oli di qualità tipici della zona, accompagnati da piatti tipici serviti in piatti di ceramica di Castelli, in un percorso guidato tra il museo “Acerbo” delle ceramiche, i frantoi di un tempo esposti nell’Oleoteca Regionale e i reperti archeologici dell’Antiquarium.

“Il maiale secondo noi”

Grande successo anche quest’anno per la seconda edizione della “maialata” organizzata da Angela e Peppino Tinari presso il ristorante “Villa Majella” di Guardiagrele insieme a Vittorio Fusari, chef di “Dispensa pani e vini” di Adro (Bs). Menu a tema con maiale nero abruzzese e vini Marramiero, Zaccagnini, Valle Reale, Masciarelli e Tiberio.

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C COME INFORMAZIONE di Roberto Ardizzi, consulente SGQ

GLI AGRITURISMO DI QUALITÀ Il bello della nostra terra

Negli ultimi anni un numero sempre maggiore di appassionati si è avvicinato alla ricettività enogastronomica e turistica degli agriturismo. La “corsa” all’ambiente e all’aria aperta ha spinto molti imprenditori al recupero di casali e strutture che giacevano da anni nell’oblio e nella rovina, facendone dei veri gioielli dei nostri territori. Tanto che anche per queste forme di ristorazione sono stati identificati degli standard del servizio che tutelino il cliente nella scelta finale. In sintesi sono: Parcheggio: un’area apposita deve essere dedicata al parcheggio, recintata con materiali che si integrino con l’ambiente circostante, dotata di spazi per differenti tipologie di vetture (auto, roulotte, camper, ecc), illuminata con sistemi a basso impatto ambientale e dotato di cestini portarifiuti. Accoglienza: il personale deve conoscere una o più lingue straniere e garantire la sicurezza degli ospiti (con un armadietto del Pronto Soccorso e una polizza assicurativa per la responsabilità civile). L’agriturismo di qualità deve destinare adeguati spazi agli animali degli ospiti con ciotole di acqua e/o fontane, indicare una sala lettura o relax per gli utenti e fornire le aree comuni di toilette attrezzate. Ristorazione: gli arredi devono essere in stile rurale, con un numero di coperti in linea con le disposizioni regionali, tavoli e sedie in stile e di artigianato locale e mai in plastica. Il menù deve avere solo piatti tipici realizzati con ingredienti

del fondo o del territorio; i vini devono essere di prevalente produzione locale; deve esserci una produzione propria di pane, dolci, marmellate, miele, confetture. Camere: le camere sono nominate e in perfetto stile rurale, con impiantistica perfettamente funzionante, porte e finestre che assicurano isolamento termico e acustico, dotate anche di servizi per bambini e/o neonati, nonché di zanzariere o di strumenti repellenti per gli insetti. Servizi aggiuntivi: presenza di un parco curato e attrezzato, di una piscina, di un’area dedicata alle attività sportive all’aria aperta e di una convenzione con le altre tipologie d’attività sportive; di un locale lavanderia ad uso degli ospiti, del pacchetto di escursioni organizzate. Naturalmente non tutte le strutture sono organizzate per offrire una tipologia così ampia di servizi, ma bisogna sempre ricordare che alcuni punti sono definiti dalla legislazione in vigore, e quindi, ad esempio, non sarebbe accettabile un’offerta enogastronomica che non preveda almeno una ricetta preparata con i prodotti dell’orto, così come sarebbe da evidenziare in rosso l’assenza di un corner di vendita di prodotti tipici o la mancata “partecipazione” degli ospiti alla vita rurale (ad esempio la raccolta dell’uva). Quindi per una bella giornata all’aria aperta, scegliamo sempre il bello e il buono della nostra terra, ma anche ciò che rispetti norme e regolamenti.

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La chitarra

C COME FOOD DESIGN

di Ludovica Persichitti - ludovica.architettura@gmail.com

LA PASTA E LE SUE FORME Si mangia anche con gli occhi!

La pasta disegnata da Stark

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La pasta disegnata da Giugiaro

Molto spesso nella progettazione di un prodotto, e sempre nella buona architettura, la forma scaturisce dalla funzione: sta poi alla creatività e alle capacità del professionista rendere l’appeal e la piacevolezza. Parlare di estetica del cibo sarebbe troppo articolato e porterebbe fuori pista, ma tutti siamo d’accordo nel pensare che la forma di quello che mangiamo deve essere piacevole, invitante. Non parlo solo di pietanze presentate con maestria da chef, ma in particolare di tutti i cibi che ogni giorno troviamo sulle nostre tavole: biscotti, panini, pasta e ogni prodotto che provenga da un impasto da plasmare. E la pasta? Quanti formati siamo abituati ad acquistare e mangiare oggi di pasta? E quanti, seguendo una tendenza molto in voga in questo periodo, ci capita di riscoprire tra quelli della tradizione? Nomi strani e forme dettate dalla piacevolezza estetica e soprattutto dal meccanismo artigianale e manuale di produzione. Una volta la maestria stava nel trovare, pur nella rudimentalità degli strumenti a disposizione, una forma che si abbinasse al condimento e alle materie prime a disposizione e che fosse possibile preparare in grandi quantità (erano famiglie molto numerose) senza impiegare troppo tempo. Questo è il caso dei maccheroni alla chitarra, piatto principe della tradizione abruzzese, di cui viene pubblicata la ricetta tra qualche pagina. Si tratta di uno spaghetto lungo realizzato con un telaio

rettangolare di legno e corde parallele in acciaio (la “chitarra”) che con la pressione del matterello tagliavano la sfoglia conferendo la caratteristica sezione quadrata. Il prodotto sopravvive ed è apprezzatissimo da più di un secolo perché la forma, scaturita da esigenze di lavorazione, risulta perfettamente adatta alla sua funzione, quella di legarsi a sughi corposi che meglio si trattengono nella porosità della sezione squadrata dello spaghetto… La ricerca di una forma funzionale della pasta arrivò, negli anni ’80, ad attirare l’attenzione di due aziende che coinvolsero nomi molto noti del design italiano: Giorgetto Giugiaro e Philippe Starck. Il primo si occupò nel 1983 per Voiello dello sviluppo di una forma “moderna” di pasta, ideando le Marille. Giugiaro studiò un formato che non assorbisse troppo condimento ma che lo catturasse al suo interno (per questo le scanalature dentro e non fuori) e che in cottura aumentasse di volume per un aspetto decorativo e piacevole, naturalmente producibile per estrusione. Philippe Starck nel 1987 propose invece all’azienda francese Panzani Mandala, la pasta dalla forma per 90% aria, per godere di un boccone che riempia la bocca senza appesantirsi, e che però mantenga la cottura (quindi non sia completamente cavo). La sezione richiama il simbolo dello Yin e dello Yang, espressione del suo apprezzamento per la pasta come “bene alimentare equilibrato”...e come, su questo, dargli torto?!

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C COME NICOLA FOSSACECA di Cristina Mosca – Foto: Mario Sabatini

SEMPLICITÀ, IL TUO NOME È PESCE A San Salvo si sperimenta con freschezza

La fortuna aiuta gli audaci, ma una buona dose di talento non guasta. Ecco perché quello che pochi anni fa poteva sembrare un salto nel buio, oggi si rivela una scelta azzeccata per Antonio e Nicola Fossaceca, i due fratelli di San Salvo (Ch) che hanno trasformato un’eredità in un patrimonio. Nel loro ristorante “Al metrò” tutto passa attraverso la cura del dettaglio e attraverso la voglia di sperimentare: percorsi che hanno già portato Nicola, oggi membro dell’associazione cuochi della provincia di Pescara, a conseguire il Trofeo “Giano” per il piatto più innovativo a “Lu carrature d’ore” del 2008 e nell’aprile 2009, venti giorni dopo il sisma, il premio come miglior giovane chef emergente del Centro Italia nell’ambito della Festa dell’olio extravergine d’oliva Medoliva Club 2009 ad Arezzo: premio che gli è valso l’invito allo show cooking del Merano Wine Festival lo scorso novembre, dove gli è stato consegnato il premio “Ruota d’oro Top di domani” della Guida “Alberghi e ristoranti d’Italia”, e anche il riconoscimento come cuoco emergente dell’anno a “Identità Golose”. Ma Nicola Fossaceca, che nel ristorante è il re della cucina, è un ragazzo molto timido. La freschezza e i colori dei suoi piatti lo fanno dedurre, il suo sorriso lo conferma. La sua è una strada presa quasi per caso, dietro idea di suo fratello Antonio che nel 2000, appena Nicola si è diplomato all’istituto alberghiero di Termoli, ha aggiunto alla pasticceria dei genitori l’angolo pub, che ha fatto subito da trampolino

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ad un’altra idea: un ristorante vero e proprio. All’inizio il pesce era cucinato in maniera tradizionale, poi nel 2005 è arrivata la svolta, dovuta a due incontri in particolare: quello con Moreno Cedroni attraverso le pagine del suo libro “Sushi e Susci”, regalato da un caro amico, e quello con Niko Romito, al ristorante “Reale” di Rivisondoli. «Ho cominciato a considerare la cucina come un modo per andare oltre la semplice soddisfazione della fame – racconta Nicola Fossaceca – Riflettendo, sperimentando, pensando, cambiando ho trovato la mia definizione personale del “fare il cuoco”: curare una ristorazione fuori dal comune». E così, presa coscienza del rischio di un cambiamento così radicale, mentre Antonio assecondava le sue passioni specializzandosi sul servizio in sala e sui vini fino a diventare sommelier professionista, Nicola seguiva un corso di cucina creativa e frequentava Niko anche in occasione di lezioni, approfondimenti, esperimenti. Non a caso è particolarmente orgoglioso di una delle ultime novità che ha tirato fuori dalla sua pentola: una sorta di “brodetto alla sansalvese”, che riprende il concetto base del brodetto tipico alla vastese con la differenza che “coccola” chi lo mangia spinandogli il pesce in partenza. Le lische, infatti, vengono lasciate ad insaporire il brodetto durante la cottura e tolte prima del servizio in tavola. Adesso il suo obiettivo è continuare a migliorarsi. Il suo sogno nel cassetto? «Cucinare guardando il mare».

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Cicoria e cicale di mare

Spigola con carciofi di Cupello

Ingredienti per 4 persone: 16 cicale di mare, 300 g di cicorietta di campo, 1kg di pomodorini, 2 spicchi di aglio rosso di Sulmona, 1 peperoncino piccante, 20 g di zenzero, olio extravergine d’oliva, sale.

Ingredienti per 4 persone: 4 filetti di spigola da 120 g l’uno, 6 carciofi di Cupello, 200 g di carciofini di Cupello sott’olio, 1 tuorlo d’uovo, rosmarino, 1 bicchiere di vino bianco, aglio rosso di Sulmona, olio extravergine d’oliva, qualche fogliolina di menta.

Preparazione: Con una forbice incidere le cicale lungo tutto il perimetro, sgusciarle e metterle in un piatto. Con tutti i ritagli della cicala fare un sugo in un sacchetto per sottovuoto, aggiungendo uno spicchio d’aglio, un filo d’olio, dei rametti di prezzemolo, un pezzettino di zenzero, del peperoncino piccante e 1 kg circa di pomodorini tagliati a spicchi. Cuocere per 6 ore a circa 70 gradi. Filtrare e tenere da parte. Lessare la cicorietta in acqua salata per due minuti e raffreddare in acqua e ghiaccio. Saltarla in padella con olio e aglio e aggiungervi il sugo preparato precedentemente, e fare cucinare circa 5 minuti. Cucinare le cicale nel forno a microonde un minuto. Comporre il piatto e aggiungere dei crostini di pane.

Preparazione: Marinare con un filo d’olio e rosmarino la spigola e lasciarla per 20 minuti fuori in un piatto, arrostirla sulla griglia da ambo i lati per circa 2 minuti e cucinare in forno a 180° per 10 minuti. Pulire quattro carciofi privandoli delle foglie esterne e del fiele, tagliarli in 4 parti e rosolarli in padella con olio e due spicchi di aglio rosso di Sulmona; sfumarli con un bicchiere di vino bianco e terminare la cottura. Tagliare i restanti due carciofi molto finemente e friggerli in olio di semi a 180° per ottenere delle chips. Fare una salsa frullando i carciofini sott’olio e il tuorlo d’uovo, se necessario aggiungere dell’olio. Prendere il piatto e fare una striscia di salsa di carciofi, adagiare i carciofi saltati in padella, i tranci di spigola, un filo d’olio e le chips di carciofi.

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C COME LEGUMI

di Jenny Pacini. Foto: Modiv

LA CARNE DEI POVERI Lenticchie, ceci e fagioli: un pieno di proteine

Da sempre, nella storia, i legumi sono presenti sulle tavole degli italiani: non sono costosi, crescono negli orti di casa, sono ottimi per le zuppe (buone riscaldate anche il giorno dopo) e per condire la pasta. Marco Gavio Apicio, vissuto al tempo di Augusto, nel ricettario della cucina romana dal titolo “De re coquinaria” scriveva che i legumi, anticamente gustati solo a fine pasto, nell’età imperiale diventarono protagonisti di sontuose entrée o piatti d’ingresso. Nel Medioevo, quando l’Europa intera era minacciata da epidemie e carestie, la maggior parte della popolazione era costituita da ceti poveri che non potevano permettersi cibi costosi come la carne. Fu proprio la diffusione e la coltura dei legumi a migliorare le aspettative di vita, contribuendo al miglioramento della salute della collettività, rendendola più resistente alle malattie e consentendo così al nostro continente di ripopolarsi in breve tempo. I legumi erano la cosiddetta “carne dei poveri”: gli studi in proposito

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confermano che in questi semi è presente un elevato valore energetico, proprio perché ricchi di proteine, ma anche di vitamina B, ferro e calcio. Inoltre, i legumi secchi sono in grado di abbassare la colesterolemia, grazie alla lecitina. Come scrive l’Accademia della Cucina Italiana nel libro “L’Italia dell’orto”, la particolare conformazione morfologica del territorio abruzzese consente la coltivazione di alcuni legumi di singolare sapore. Con le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio, piccole e scure, dalla buccia tenera e sottile, si preparano alcune ricette tipiche di differenti località del Teramano, dalla semplicissima minestra a zuppe più elaborate. Particolarmente saporita e ricca di ferro, questa lenticchia si coltiva in piccole terrazze ricavate su terreni aspri liberati dalle pietre. Anche i ceci sono molto utilizzati nella cucina abruzzese: tipici quelli rossi di Navelli, con i quali si prepara la zuppa di ceci con il pane fritto, ma anche la zuppa di ceci e castagne, minestra delle aree montane.

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Spesso i legumi vengono accompagnati alle verdure dell’orto caratteristiche delle nostre terre, come ad esempio i cacigni abbinati ai fagioli. Ogni legume ha la sua portata: i cannellini toscani, ad esempio, sono ideali per un antipasto e un’insalata; i borlotti per le minestre; i bianchi per umidi di carne e trippa. Le lenticchie di grandezza media e quelle piccole sono perfette per zuppe e contorni; ottime anche quelle decorticate, di colore rosso, ideali per la purea; e che dire dei ceci, morbido ripieno dei dolci calcionetti fritti o protagonisti (come i fagioli), del primo piatto a base di sagne, impastate solo con acqua, farina e sale? Infine, i legumi non possono non essere presenti nel piatto tipico della massaia abruzzese, che arrivata la primavera, svuota la madia dei rimasugli invernali e cucina il tutto in un calderone per preparare le famose “virtù”, tipiche del Teramano. Oltre ai legumi tipici ve ne sono altri degni di nota, rappresentativi della nostra regione: i fagiolini occhialuti, il Tondino di Cappelle sul Tavo, le lenticchie rosse, i fagioli neri, rossi, bruni e la cicerchia, un legume quasi dimenticato, che

contiene nei suoi baccelli dei semi poco più grandi dei piselli ma schiacciati. Famose sono le cicerchie di Castelvecchio Calvisio. In onore dei legumi il mese scorso si è svolto presso la sede di Chieti Scalo della Camera di Commercio il Legumi Party, una manifestazione che ha visto come protagonisti ceci, fagioli, piselli, cicerchia, lenticchie, fave… Qui il gourmet Santino Strizzi ha preparato in estemporanea piatti gustosi e semplici, come la pasta spezzettata con fave e i classici tubetti con piselli. «Consiglio sempre a chi ha problemi di digestione dei legumi – ci dice il gourmet – di utilizzare quelli decorticati, oppure di passarli. Inoltre suggerisco sempre di aggiungere alla cottura dei legumi un po’ di rosmarino». La manifestazione si è svolta dal 22 al 25 gennaio ed è stata organizzata dall’agenzia di comunicazione Master 5, produttrice del format televisivo “Agricoltura Oggi”, dalla Regione Abruzzo e dall’Arssa, con l’intento di valorizzare i prodotti tipici. Attraverso le ricette abruzzesi a base di legumi si riscopre un antico mondo rurale, frutto della fantasia e della creatività di un popolo che ha sempre utilizzato i prodotti della terra, facendo della semplicità una tradizione a tavola.

FAVE E SAGNETTE di Santino Strizzi

Ingredienti (4 porzioni). 240 g di fave secche da mettere a bagno il giorno prima; 240 g di sagnette o pasta spezzettata; 2 pomodori freschi tagliati a dadini; 8 fette di pancetta tagliata a striscioline; olio, cipolla, carote per il soffritto. Lasciare in ammollo le fave per 12 ore, lessare per 7 minuti in acqua leggermente salata. Soffriggere la pancetta senza l’aggiunta di olio fin quando non diventa croccante. A parte soffriggere cipolla, carota e sedano e aggiungere il pomodoro a dadini. Terminata la cottura delle sagnette unirle al soffritto per circa un minuto con l’aggiunta di un mestolo d’acqua bollente. Infine, aggiungere la pancetta ed un pizzico di peperoncino.

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C COME TRADIZIONE

di Anita Righetti - Foto: Mario Sabatini

LA CHITARRA ABRUZZESE Primo e secondo piatto

La chitarra abruzzese non è uno strumento musicale, anche se nella nostra regione ci sono liutai di rilievo, ma uno strumento che solletica il palato. La chitarra abruzzese è pasta all’uovo di grano duro: solo uova e solo farina di grano duro, possibilmente della varietà “Senatore Cappelli”, coltivata direttamente nelle nostre terre, lavorata a mano e rigorosamente a mano tirata. Fin qui è esperienza diffusa… adesso però entra in gioco lo strumento tipico per ottenere lunghi maccheroni a corpo quadrato: “la chitarra abruzzese”, una cornice di legno rettangolare ricoperta, per lungo, da fili d’acciaio distanti 0,3 cm e tenuti più o meno tesi da delle viti che, a seconda di quanto vengono strette, “accordano” lo strumento … che da questa caratteristica prende il nome di chitarra. Orgoglio per i giorni di festa delle nostre donne di ieri, che cantando quande la fijia me faceve le sagne lo scrocche si sende da la muntane alludevano al suono che fa il matterello nell’arrotolare la sfoglia (che più era grande e più faceva rumore), oggi resta come piatto tipico vissuto anche nel quotidiano. Magari la si compra dal pastaio sotto casa ma la “chitarra” resta uno dei grandi piatti della tavola abruzzese. È impossibile dettare una ricetta con precisione millimetrica, perché nelle proporzioni incidono molti fattori, dalla grandezza dell’uovo alla grana della farina, fino all’umidità dell’ambiente… Possiamo dire con ragguardevole affidabilità che per un

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uovo medio ci vogliono circa 50/70 gr di farina setacciata di grano duro. La convenzionale fontana di farina qui è d’obbligo, perché impastando con le punte delle dita si deve sentire bene che il panetto non sia troppo duro, anche se poi la pasta si dovesse “allentare” e si ammorbidirà mentre la lavoriamo; se giusta nelle proporzioni si alliscerà quasi subito, diventando “di seta”. Non deve essere nemmeno troppo morbida, altrimenti si “attacca” e si può bucare. È la peggior cosa che può accadere alla massaia, occhio! Si avvolge tutta la pasta sul matterello e si taglia sul dorso con una sola, lunga incisione, ottenendo larghe fasce rettangolari di circa 15/20 cm di larghezza, in proporzione al diametro del matterello e con la lunghezza data dal diametro della sfoglia. La sfoglia si poggia sui fili per scorrervi sopra col matterello corto e far cadere la pasta tagliata: i fili di pasta ottenuti vanno spolverati di farina prima di essere raccolti, così non si attaccano tra di loro, e vanno bolliti il prima possibile, altrimenti la pasta ingrigisce. Il condimento storico per la chitarra è il “ragù all’abbruzzese” (sì, con due b!): 300 gr di muscolo di vitello, 300 gr di punta di petto di vitello, 200 gr di pancetta di maiale con la cotenna, 300 gr di collo o costato di agnello e una codina di agnello, che fa la sottile differenza. Aglio vestito, rosmarino, salvia e maggiorana e/o timo sono gli odori che accompagnano la cottura della carne e vanno poi tolti; una cipolla non ci sta male. Quando la carne, salata e tirata ogni tanto con

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un goccio d’acqua lasciato cadere sull’olio bollente (mai sulla carne), è cotta, si toglie dal tegame e si lascia in caldo come secondo piatto, accompagnato da insalata mista. Nel tegame si versa il pomodoro in proporzione di 5/600 grammi… E qui le scuole di pensiero sono diverse: chi gradisce il pomodoro a pezzi e chi il pomodoro passato, non cambia niente. D’obbligo invece è che l’olio residuo della cottura della carne non sia eccessivo quando si aggiunge il pomodoro. Quando il pomodoro raggiunge il bollore, si aggiusta di sale e si aggiungono le polpettine di carne di vitello macinata sottilissima, fatte con 250 gr di carne impastata benissimo con un uovo piccolo, due cucchiai colmi di parmigiano grattugiato, un odore di noce moscata, e sale q.b. Le polpettine, piccolissime, possono essere anche senza uovo: sono più leggere. Quando il sugo con le polpettine si è addensato il “ragù all’abbruzzese” è pronto per condire la pasta. La chitarra, cotta al dente, si condisce col ragù in un largo piatto da portata a bordi alti che permette di mescolare agevolmente e sprigionare ogni sapore. Il parmigiano, grattugiato al momento, va messo solo sulla pasta già nel piatto, cosicche la singola forchettata sia spolverata di formaggio, e a chi piace il peperoncino piccante abruzzese ci sta… da dio!Naturalmente il vino da abbinarci è Montepulciano d’Abruzzo doc. Queste descritte sono dosi per 4 persone: per la pasta bastano due uova, la farina sufficiente e circa mezz’ora per la lavorazione, circa 3/5 minuti per la cottura da quando riprende il bollore. La pasta è pronta quando non ha più l’anima bianca: si spegne il fuoco, si versa una tazza di acqua fredda nella pentola e si scola bene la pasta pronta da condire. Per il ragù ci vogliono almeno 3 ore e si può preparare anche il giorno prima. La pasta alla chitarra si presta anche al mare non solo alla campagna. È ottima condita con un sugo di pesce in bianco preparato lasciando cuocere lentamente, possibilmente, in un tegame di coccio tipico, 200 gr di cicale di mare (le panocchie) sgusciate del carapace, 200 gr di calamari tagliati piccoli, 100 gr di scampi completamente sgusciati e 1 o 2 seppioline piccole, anche intere.Nel tegame l’olio e il pesce a fuoco bassissimo arrivano a cottura giusto il tempo che bolle l’acqua e la chitarra è cotta: si condisce nel tegame e si passa nel piatto aggiungendo un filo di olio crudo, extravergine d’oliva, of course! Con circa mezz’ora è pronto il piatto e il suo vino è sia il Trebbiano sia il Cerasuolo d’Abruzzo doc. Questi due piatti esaltano il gusto di un sapere antico che trova ancora oggi uso nel quotidiano della nostra tavola.

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C COME VI CONSIGLIAMO

Comunicazione istituzionale

«SI CHIAMERÀ FESTIVAL» Al Saral torna la sfida della Mokambo Chiama a raccolta tra i cento e i centocinquanta partecipanti ogni anno: è il Mokambo Trophy Speciality Coffee, concorso drink coffee organizzato dal club “Maestri dell’Espresso” e dall’Accademia del Buon Gusto con il patrocinio del Saral, che nella sua undicesima edizione cambia nome e diventa Festival Mokambo. Aperto a tutti i professionisti del settore il Festival dai 14 ai 60 anni vedrà cimentarsi anche quest’anno tanti talenti in nuove idee e giochi di sapore. Rigorosamente ad iscrizione gratuita e diviso in categorie juniores, dedicata agli studenti degli istituti alberghieri, e seniores, riservata ai caffè speciali dei baristi, la sfida di quest’anno sarà il caffè ice cream shakerato. Nel 2010 continua il dialogo che

Per la Caffè Mokambo il Saral di Silvi Marina è l’appuntamento abruzzese più importante. Qui rafforziamo l’amicizia con i clienti abituali e avviamo nuove interazioni. Curando l’azienda da oltre venti anni posso testimoniare che questa vetrina è altrettanto importante anche per gli altri partecipanti: non a caso la scegliamo per presentare nuovi prodotti e nuove iniziative. Al centro dell’attenzione, nel nostro stand, ci sarà la seconda edizione del Master sul caffè che sabato 20 marzo e domenica 21 sarà curato dagli esperti Antonio Corvini e Massimo Urru, del club Maestri dell’Espresso: dalle 16 alle 17 appassionati e professionisti potranno aggiornarsi sulle novità del settore. Lunedì 22, invece, nella sala congressi della Fiera Adriatica Palauniverso si svolgerà dalle 14.30 l’undicesimo Festival Mokambo. Quest’anno la partecipazione si estende fuori regione: sarà possibile infatti iscriversi anche su www.mokambo.it» Donato De Luca, responsabile Caffè Mokambo.

l’azienda porta avanti con il territorio con il Cocktail Show Coffee, che durante l’intero anno scolastico accompagna i giovanissimi degli istituti alberghieri di Roccaraso, Termoli e l’Aquila nell’arte del servire il caffé. «Una bevanda così antica e così giovane allo stesso tempo è sempre alla moda – spiega Antonio Corvini, che sabato 20 terrà una lezione del master – Noi ci confronteremo su nuovi modi di proporlo e sul trend del suo mercato, concludendo con una vera e propria festa del caffè lunedì 22 marzo». Alcuni approfondimenti sul festival andranno in onda sul format Glamour Tv dall’inizio di marzo su Telemare, Sky 873, Rete 8, Telemolise e Tv centro Marche. Per tutte le informazioni www.glamourtv.it.


C COME SARAL FOOD

Comunicazione istituzionale - Foto: Modiv

DICIANNOVE ANNI E NON SENTIRLI Il Saral Food a Silvi

Anche quest’anno si rinnova l’appuntamento con il Saral Food che dal 20 al 24 marzo inaugura la sua diciannovesima edizione. La fiera di alimentazione, ristorazione, gelateria, pasticceria, panetteria, birre, vini e distillati è l’unica del settore a svolgersi in Abruzzo durante la stagione invernale e si aspetta anche quest’anno i 30mila visitatori che l’hanno affollata nelle ultime edizioni tra turisti, semplici curiosi e operatori del settore: «Sono sempre più numerose le aziende

che trovano nel Saral un valida opportunità di crescita – commenta Giancarlo Cianflone, responsabile di Fiere Service – Qui si incontrano dettaglianti, grossisti e produttori provenienti anche da fuori regione». Alcuni esempi abruzzesi sono la Caffé Mokambo, Faber Sedie, Piccoli Big Store, Gelateria Magrini e altre: tutte pronte a servire l’eccellenza su un piatto d’argento. L’appuntamento è alla Fiera Adriatica PalaUniverso dalle 9,30 alle 19,30.

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C COME MARTEDÌ GRASSO

di Marco Di Edoardo - Foto: Modiv

QUATTRO “CHIACCHIERE” A TAVOLA Il Carnevale e i ravioli teramani

Ed eccolo tornato, questo periodo di gioia, di colori, di scherzi e travestimenti ma anche di abbuffate di dolci e di piatti succulenti. Il Carnevale (dal latino carnem levare, eliminare la carne) è una festa che fa parte della tradizione cristiana e che termina abitualmente con il martedì grasso, ultimo giorno prima dell’inizio della Quaresima, periodo in cui, secondo i canoni cattolici, bisogna praticare il “digiuno ecclesiastico” e altre forme di penitenza. Forse anche per questo il Carnevale si contraddistingue come un periodo in cui si rompono gli schemi: anche a tavola è concessa la trasgressione. La tradizione gastronomica italiana carnevalesca è infatti piena di cibi “corpulenti” e soprattutto di dolci, simili in quasi tutta la penisola anche se caratterizzati quasi sempre da una variante regionale. Così in Abruzzo si prepara la cosiddetta “cicerchiata”, dolce somigliante agli struffoli napoletani che consiste in una colata di miele su delle palline di pasta fritte nell’olio d’oliva, nella forma simili a delle cicerchie, legumi molto coltivati in passato. Altre golosità tipiche di Carnevale sono castagnole e chiacchiere (in alcune regioni frappe o bugie) entrambe preparati con impasto di uova, farina e burro, fritte nell’olio e

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cosparse di zucchero a velo. Ma fra tutte le pietanze carnevalesche nella cucina abruzzese ve n’è una che si differenzia: sono i ravioli dolci di ricotta, conditi con sugo o in bianco, usanza tipica soprattutto della provincia teramana. La tradizione narra che il giorno del martedì grasso, proprio per prepararsi al periodo di sacrificio della Quaresima, bisognasse mangiare addirittura sette volte e consumare tutti gli alimenti più calorici rimasti in dispensa. Da qui, l’usanza di preparare una pasta ripiena come i ravioli: la loro particolarità nel Teramano sta nel fatto che, pur essendo consumati come primo piatto, sono dolci. Verdure e carne infatti, nel passato, scarseggiavano e allora per il ripieno si utilizzava la ricotta, resa più sfiziosa dall’aggiunta di zucchero e cannella. Lessati e conditi poi con sugo di pomodoro o di carne, spolverati di parmigiano o pecorino abruzzese, i ravioli dolci sono a volte preparati anche in bianco conditi con cannella e zucchero oppure fritti e mangiati come dolce. Questo piatto potrebbe sembrare uno scherzo di un cuoco burlone, ma dopo tutto, anche se lo fosse, si sa che “a Carnevale ogni scherzo vale”.

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C COME IDENTITÀ GOLOSE

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di Cristina Mosca. Foto: Modiv - Identità golose

AL CONGRESSO DELLE NUOVE IDEE Concedersi il… lusso della semplicità 3

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1 Gualtiero Marchesi ritira il premio creatività 2 Enzo Vizzari, Franck Cerutti e Alain Ducasse 3 La consegna del premio che San Pellegrino ed Acqua Panna hanno assegnato a Nicola Fossaceca, giovane promessa della cucina italiana 4 Antonio Paolini intervista Uliassi 5 Niko Romito e la sua “chitarra” 6 Paolo Marchi e Massimo Bottura al momento della premiazione come “Cuoco dell’anno”

Attenzione e sobrietà. In queste due parole chiave è racchiuso il senso della sesta edizione di “Identità golose”, il congresso italiano di cucina d’autore che dal 31 gennaio al 2 febbraio ha animato il Milano Convention Centre: l’attenzione alla qualità della vita e la diffusione di uno spirito di sobrietà che porti a prediligere materie prime del territorio e della stagione. «Il prodotto artificiale oggi sta perdendo colpi di fronte al “sapore” e al “sapere” – ha puntualizzato Paolo Marchi, ideatore del congresso – La nuova frontiera della ricerca gastronomica è segnata dal ritorno a una creatività basata sul prodotto, che si incrocia sia con la valorizzazione della terra promossa da vent’anni da Slow Food, sia con la più recente riflessione di Ferran Adrià sul fatto che tutto può concorrere a fare alta cucina». Filo conduttore degli interventi e dei laboratori è stata la sinergia tra futuro e passato, individuando nel presente una nuova fase che ha il suo fulcro, come testimoniato da Mauro Uliassi, in un «cambiamento dei costumi che porta ad una maggiore attenzione nei confronti dell’ambiente». Nel presentare i suoi spaghetti affumicati alle vongole (definiti da

Paolo Marchi “un bosco in fiamme sotto il mare”), Uliassi ha esposto un’analisi interessante della parola “tradizione” presa nel suo significato letterale. La radice, ha spiegato, è la stessa del verbo tradere (trainare, consegnare) e tradire: «Fare innovazione non significa andare in contrasto con la tradizione, perché questa parola ha in sé il dinamismo del passaggio, del “tradimento” di quello che è stato a favore di quel che sarà. Non c’è fissità nella tradizione, non c’è opposizione al nuovo bensì interpretazione, in base alla personale creatività e sensibilità». Un concetto affascinante che ispira i maggiori cuochi di questo momento, perché la qualità delle piccole cose non è questione di tendenza, ma di stile di vita. «Non è banale conoscere di persona il proprio pescatore o il proprio fruttivendolo – ha confermato lo chef Massimo Bottura prima di raccontare la storia della sua “sarda che vuole diventare saraghina ma si trasforma in aringa” – se avvicinate con curiosità e soprattutto con saggezza, le contaminazioni sono un modo per aprirsi verso il mondo, lasciando entrare l’identità della nostra terra. Un

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Speciale Chef

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1 Alain Ducasse e Massimo Bottura con Max Laudadio di Striscia la notizia 2 Roberto De Viti sul palco di Identità Golose 3 Andrea Di Fabio direttore commerciale di Feudo Antico responsabile dell’etichetta Tullum magazine 34

cuoco deve conoscere la differenza tra “fresco” e “il più fresco”». Un motivo d’orgoglio per l’Abruzzo e per noi di C come magazine: Nicola Fossaceca, che avevamo designato come chef di questo numero già dallo scorso dicembre, ha ricevuto il premio che San Pellegrino ed Acqua Panna assegnano ogni anno alla “giovane promessa” della cucina italiana. Sempre parlando di orgoglio, inoltre, in conclusione della prima giornata di convegno il nuovo Rosso della Doc Tullum è stato presentato in un evento collaterale di degustazioni presso il Nhow Hotel. Ai giovani è andato il pensiero comune: mentre Massimo Bottura consigliava di cominciare con la panificazione e di individuare e approfondire i propri interessi («Studiate, viaggiate, perché potrebbero trasformarsi in passioni… ma non dimenticate mai chi siete e da dove siete venuti»), Mauro Uliassi dichiarava che «nessun cuoco può chiamarsi tale se prima non si confronta con la pasta: è lei a dettare i tempi, bisogna essere una macchina perfettamente sincronizzata». E a proposito di pasta, ad essa è stata dedicata una delle tre giornate monografiche (oltre che ad olio e pasticceria d’autore), a cui sono intervenuti, tra gli altri, Elio Sironi, Alfonso Caputo, Moreno Cedroni e Niko Romito, il nostro eroe di Rivisondoli, che ha rivelato di aver cominciato a studiare e proporre il pesce, per la prima volta dopo tanti anni di carne. Ha illustrato una pasta alla chitarra che invece dell’uovo utilizza l’albumina ottenuta dalle teste di scampi “spremute” in una macchina speciale usata in America per estrarre il succo dalla frutta. Un piatto che della riconoscibilità e della semplicità fa il suo motto: sembra spartano e semplicemente in bianco… ma parla con i profumi del mare appena arriva in tavola. «Tutto si basa sugli equilibri – ha spiegato – non si può sbagliare un colpo, non si può mentire». Alain Ducasse, Franck Cerutti, Filippo Chiappini Dattilo, Stefano Ciotti, Alberto Faccani, i fratelli Massimo e Raffaele Alajamo, Valentino Marcattillii, Davide Scabin e Thierry Bridron, coordinatore tecnico dell’École du Grand Chocolat Valrhona, sono solo alcuni dei nomi che hanno fatto sognare i golosi provenienti da tutta Italia. L’attenzione è stata calamitata dalla troupe di Striscia la notizia: Max Laudadio ha infatti approfittato del congresso per intercettare Paolo Marchi e Massimo Bottura sull’argomento dei fornelli polemici. Riuscire c’è riuscito, ma per scoprire, di fatto, nulla di nuovo: Bottura ha dichiarato apertamente di essere dalla parte di Striscia e di essere assolutamente in regola, anche di fronte ai N.a.s. La provocazione del congresso che forse rimarrà più impressa? Il Sex on the beach, un dolce a favore della lotta all’Aids pensato da Alvin Leung. Adesso il prossimo appuntamento con l’audace, imperturbabile, appassionato Paolo Marchi è a Bon – Identità di libertà il primo marzo nella Repubblica di San Marino.

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Speciale Chef

C COME FORNELLI POLEMICI

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di Stefano Sebastiani. Foto: www.elbulli.com

LA CUCINA MOLECOLARE Cosa c’è dietro la querelle

In piena diatriba che gravita intorno alla cucina molecolare e all’utilizzo degli additivi chimici dietro i fornelli, Massimo Bottura, il più avanguardista dei cuochi italiani, esce dalla sesta edizione di “Identità golose” come chef dell’anno. La precisa – e per certi versi provocatoria – scelta di Paolo Marchi ci spinge a pensare e a interrogarci su quanto sta accadendo. Che cos’è la cucina molecolare? Niente di più che una cucina che nasce dall’osservazione del comportamento chimico-fisico delle molecole. È quella scienza in grado di capire con una certa precisione che cosa accade alle tante molecole del cibo, costituite da migliaia di atomi dei prodotti di origine animale e vegetale, dalla preparazione fino alla cottura. In pratica, i principi propugnati dalla cucina molecolare hanno portato all’invenzione e alla sperimentazione di nuove modalità di preparazione, cottura, abbinamento e presentazione dei cibi: il congelamento attraverso l’azoto liquido, l’uso alimentare del tabacco, la “frittura” nello zucchero, l’uso del vuoto spinto per la preparazione di mousse e meringhe… Inoltre, e soprattutto, hanno portato al miglioramento della comprensione dei fenomeni alla base delle trasformazioni delle pietanze cucinate, i quali hanno portato sia alla con-

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futazione di alcune “credenze popolari” sulla gastronomia (come l’utilizzo del cucchiaino nella bottiglia di spumante), sia al miglioramento delle tecniche di preparazione, basandosi ad esempio sul pH, sulle Reazioni di Maillard, o sulle proprietà fisiche e chimiche degli alimenti. In questo modo sono stati sfatati scientificamente alcuni miti appartenenti alla tradizione culinaria, andando a pizzicare corde sensibili dell’immaginario collettivo. Elementi fondamentali nella cucina molecolare sono gli additivi, come per esempio la lecitina di soia. La lecitina è una molecola che ha la capacità di legarsi sia all’acqua che ai grassi, riuscendo così a miscelare intimamente due componenti dei cibi che normalmente non si sopportano e tendono a stare separati. Si trova in molti alimenti ed il più noto è il tuorlo dell’uovo, ricco di grassi ma anche di acqua. È la lecitina la responsabile della consistenza cremosa del tuorlo. Le proprietà della lecitina vengono implicitamente sfruttate nella preparazione della maionese, permettendo all’acqua e all’olio di formare la famosa salsa. La lecitina è una sostanza chimica presente in natura. È salita alla ribalta recentemente quando diversi servizi televisivi, l’hanno presa come esempio di “additivo chimico” usato nella cucina molecolare, insieme alla gomma di guar, i sali

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Speciale Chef di calcio e le maltodestrine. Gli additivi utilizzati nella cucina molecolare molte volte non sono molecole sintetiche, ma naturali, già presenti in natura. E poi, perché aver paura della chimica? La chimica organica per esempio studia i composti del carbonio. Ed il carbonio è presente ovunque. Le cronache attribuiscono a Ferran Adrià, chef spagnolo del ristorante “El Bulli” a Roses nella Costa Brava e cultore-fondatore della cucina molecolare, l’utilizzo spasmodico degli additivi… ma demonizzare il termine “molecolare” che fino a poco tempo fa seduceva e adesso crea cardiopalmo è

ridicolo. Può sembrare strano ma, secondo alcune fonti, la cucina molecolare prende vita in un consesso di scienziati e non da un congresso tra pentole e fornelli, come si paventa da anni. Lo chef che sposa questo modo di fare cucina, sfruttando le conoscenze scientifiche, cerca di creare nuove tecniche e nuovi piatti agendo sulle consistenze. Non dimentichiamo che la cucina è un linguaggio mediante il quale si può esprimere armonia, creatività, felicità, bellezza, poesia, complessità, magia, humour, provocazione… cultura.

MA LORO, CHE COSA DICONO?

Il passo dall’informazione alla mistificazione alle volte è davvero breve e impietoso, perciò abbiamo approfittato di “Identità golose” per guardare più da vicino i protagonisti della diatriba e sentirli parlare. Abbiamo così scoperto nei nostri interlocutori persone appassionate, devote al loro mestiere, sognatrici quasi, in cerca dell’emozione e rispettosi della materia prima. «Puntare il dito contro singole persone come i cuochi è fin troppo facile – ci ha risposto Paolo Marchi, l’ideatore del congresso – Perché nessuno parla, ad esempio, del mondo dei cosmetici? La polemica che è stata imbastita non presenta una critica costruttiva e dà voce ad una campana sola». Ma allora, perché Ferran Adrià ha annunciato la chiusura di “El Bulli”? «Perché “sta talmente avanti” che sta sicuramente già pensando a qualcosa di nuovo – dichiara Paolo Marchi – tanto che quando tornerà verrà accolto da un’attesa spasmodica». Il premio Nino Negri come cuoco dell’anno è andato a Massimo Bottura, il primo bersaglio italiano nella questione dei “fornelli polemici”: è stato un chiaro messaggio di solidarietà e di amicizia, confermato dall’applauso, lungo e caloroso come un abbraccio, che lo ha accolto spontaneamente sul palco. «È un momento difficile, quasi da caccia alle streghe – ha esordito lo chef, emozionato – ma questo genere di polemica non porta a niente, anzi ci sta distraendo da cose più importanti come la divulgazione della cucina italiana nel mondo. La contaminazione è un punto di partenza, non di arrivo: non faccio rivoluzioni, non rinnego mai il passato, anzi vi attingo. L’innovazione è più vicina alla tradizione di quanto si possa pensare. Io cerco di evolvermi cavalcando il futuro: quando le idee trovano una forma d’espressione, come accade in uno studio di artista, possono vivere per l’eternità. Fare ricerca è un modo di esprimere una passione che la maggior parte delle volte non paga e che spesso viene digerita dal futuro: ma l’abbiamo dentro, e non possiamo farne a meno». C.M. Ferran Adrià

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Massimo Bottura

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Speciale Chef

C COME LIBRI (1)

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Foto Modiv

UN VOLUME “REALE” I Padovani raccontano Niko Romito Settanta ricette che disegnano cinque percorsi ben precisi, tra memoria, montagna, evoluzione creativa, semplicità, territorio e tradizione. Centonovanta pagine che per la prima volta racchiudono l’arte e la passione del primo bistellato Michelin in Abruzzo. “Niko. Semplicità reale” è il libro che Gigi e Clara Padovani sono riusciti a pubblicare prima convincendo la casa editrice, Giunti, avvezza a cuochi affermati e a più stelle, e poi vincendo la ritrosia tutto abruzzese dello chef di Rivisondoli. «È stata una sorpresa trovare tanto attaccamento alla propria terra in un cuoco così giovane – racconta Clara Vada Padovani – un autodidatta che va all’accurata ricerca delle materie prime e che si evolve all’insegna della semplicità. Ho chiesto esplicitamente di tradurre le sue ricette in maniera da renderle applicabili anche a casa: ci sono piatti disarmanti nella loro semplicità». Le fotografie di Francesca Brambilla e Serena Serrani rendono perfettamente giustizia al mondo di Niko. Azzeccata

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la scelta di introdurre dei focus sui prodotti del territorio, dall’aglio rosso di Sulmona al canestrato di Castel Del Monte, passando per le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio e finendo allo zafferano. Inusuale, rispetto agli altri libri della collana Giunti, è stata l’intervista “doppia” rivolta a Niko e alla sorella Cristiana, che insieme a lui manda avanti il ristorante. «È stata una scommessa – conclude Clara – perché quando abbiamo proposto il lavoro alla casa editrice Niko aveva da poco conquistato la sua prima stella. Noi abbiamo chiesto fiducia, ed eccoci a coronare il suo successo ad un anno dalla seconda stella». Il valore aggiunto del libro sta anche nelle firme alle introduzioni alle singole sezioni, ad opera di Carlo Petrini, presidente nazionale di Slow Food; Luigi Cremona, curatore della guida Alberghi e ristoranti d’Italia di Touring Editore; Enzo Vizzari, direttore de Le guide de “L’Espresso”; Marco Bolasco, direttore editoriale di Slow Food Editore; e Paolo Marchi, curatore della guida Identità Golose. .

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Speciale Chef

C COME LIBRI (2)

Speciale Chef

Foto: archivio Moma

TRA ARTE E TRADIZIONE Gli chef di “Qualità Abruzzo” in un ricettario

È orgoglioso Mariano Monaco del volume che ha visto la luce lo scorso dicembre a conclusione di un viaggio nel gusto a 15 puntate. “Le ricette di Moma” è la traccia tangibile dell’appuntamento televisivo che la famiglia Monaco ha organizzato nella trasmissione “Itinerari” curata da Pubblivideo. Location speciale dell’iniziativa è stato infatti il centro cucine “Moma”, ultimo arrivato della famiglia Monaco di Mosciano Sant’Angelo che da almeno tre generazioni è nel settore mobili: qui Andrea Beccaceci, Valerio Centofanti, Moris Fortunati, Nadia Moscardi, Marcello Spadone, Antonio Strammiello e Giuseppe Tinari hanno rappresentato l’associazione “Qualità Abruzzo” descrivendo due ricette a testa davanti alla telecamera e permettendone infine la raccolta in quasi cento pagine di un volume a copertina rigida, dalla veste grafica accattivante e dall’approccio intuitivo. «Ho pensato a questi chef perché ne conosco il valore in prima persona – spiega Mariano Monaco, ideatore dell’iniziativa – e perché volevo rendermi promotore di qualcosa che fosse di

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sprone sia alle vecchie generazioni, che sono depositarie di un sapere che a volte a qualcuno sfugge, sia a quelle giovani, che dovrebbero essere più curiose ed esperte del loro territorio e delle loro tradizioni culinarie. È molto importante, infatti, il minimo comune denominatore che accomuna i sette protagonisti: tutti usano prodotti abruzzesi». La prima stampa del volume ha visto distribuite duemila copie sul territorio, tra Euromobili, i centri cucine Moma di Mosciano e Montesilvano e i ristoranti degli chef che hanno aderito all’iniziativa (“Beccaceci”, “L’angolo d’Abruzzo”, “L’angolino da Filippo”, “Elodia”, “La bandiera”, “Café Les Paillotes” e “Villa Majella”). Il libro è introdotto da una descrizione del territorio con uno sguardo in particolare su Mosciano Sant’Angelo, e parla del valore del progetto, racconta in breve la storia di ogni chef e presenta un intero menu: dieci ricette a testa, che esprimono un territorio con eleganza e maestria e ne esaltano i sapori con la giusta originalità. .

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C COME SIGEP di Daniele Di Vittorio - Foto Modiv

LA FIERA DELLE DOLCEZZE È abruzzese il pasticciere più bravo d’Italia

Si percepiva un’atmosfera internazionale alla 31° fiera del Sigep, il Salone internazionale della gelateria, pasticceria e panificazione artigianali inaugurato sabato 23 gennaio a Rimini e terminato il 27 gennaio. In fiera, nelle cinque giornate, 720 sono state le aziende presenti, disposte su 90mila mq. In mostra l´intera filiera del dolce artigianale in tutte le sue declinazioni: macchinari, ingredienti, arredamento, accessori, decorazioni, servizi, editoria e comunicazione. Nell´area espositiva c’è stato il debutto del Sigift, il Salone della bomboniera, confetteria, decorazione e regalo. Il bilancio 2010 ha due titoli fondamentali: Sigep ha confermato ancora una volta la sua leadership mondiale ed è l´unica e indiscutibile piazza per i contatti e i contratti d´affari per gelato e dolciario artigianale.

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Visitata da 96.491 operatori professionali (+4,1% rispetto al 2009), dei quali 16.954 stranieri (+5,2% sul 2009), la fiera è una risposta forte del sistema nazionale dolciario artigianale, solido e orientato all´innovazione, tanto da attirare sulla manifestazione una domanda straniera in costante crescita. Ottimo anche il riscontro mediatico: si sono accreditati 455 giornalisti, 143 dei quali stranieri, con i principali network televisivi che hanno trasmesso servizi sulla manifestazione. Ma il Sigep non è solo fiera. All’interno della manifestazione si sono svolti tanti eventi, di cui alcuni di caratura internazionale, come la Coppa del mondo della Gelateria vinta dalla Francia; i concorsi Gelato al pistacchio e Mille idee per un nuovo gusto organizzati dall´associazione italiana gelatieri; il Sigep Giovani

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Stage 2010, dove i giovani studenti delle scuole professionali convengono con i loro lavori e per affiancare i grandi Maestri ed acquisire preziose conoscenze; i Campionati italiani di pasticceria, per juniores e seniores, organizzati dalla Conpait (Confederazione Pasticceri d´Italia); la Sigep Bread Cup, dove i concorrenti, provenienti da dieci Paesi, si sono sfidati realizzando pani totalmente nuovi e dolci, e tanti altri piccoli eventi. E l’Abruzzo? Quattordici le nostre aziende, oltre a C come magazine che quest’anno è stata tra i media partner della manifestazione. L’azienda Caffè Mokambo ha confermato anche quest’anno la sua presenza a questa fiera, come pure la Faber sedie di Luciano di Sabatino che con il suo stand non mancherebbe per nulla al mondo. Del mondo dei confetti e delle bomboniere erano presenti Confetti Pelino di Sulmona, “La Bomboniera” di Anna Maria Tirimacco e Casimirri, che insieme ai confetti ha presentato anche altri prodotti della linea cioccolato. Stand rinnovato per l’azienda Leone Gabriele, che ospitava all’interno un bar per i propri visitatori e un’area affidata in partnership alla Confetti Palazzone. Tra le altre aziende abbiamo trovato Diedi e Braden, che hanno proposto originali soluzioni di design per gli arredi professionali, Hot Class con sistemi alternativi professionali per la cucina, Inox Pack con nuovi progetti di prodotti in acciaio, Global Packaging con le soluzioni per imballaggi e Ali D’oro e J&J con le novità nel campo dei gelati. Dulcis in fundo (è proprio il caso di dirlo) non possiamo non citare gli abruzzesi doc che sono stati protagonisti alla fiera: Emmanuele Forcone è il nuovo campione d’Italia di pasticceria, nonché vincitore della selezione per la lavorazione dello zucchero. Con questo premio Forcone, che è originario di San Valentino ma lavora per la pasticceria “Pannamore” di Vasto, si è aggiudicato l’opportunità di far parte della rappresentativa italiana che nel 2011 gareggerà in occasione della Coppa del Mondo di Pasticceria, in programma a Lione in Francia. Una competizione a livello internazionale che porterà il suo nome al più alto livello sulla piazza nazionale. Al Sigep scopriamo anche la storia di due aquilani, Stefano Biasini e Michele Morelli, che hanno portato elaborazioni innovative come i gelati allo zafferano, al Montepulciano d’Abruzzo e alla genziana nella mostra collettiva “Verso l’Eccellenza”, organizzata al Sigep. La loro vicenda è toccante: avrebbero dovuto inaugurare la loro nuova gelateria il 9 aprile 2009 a L’Aquila, la loro città. Sappiamo bene cosa è successo invece a tre giorni dall’evento… ma loro non hanno rinunciato ai loro progetti e tre mesi dopo, il 16 di luglio, hanno realizzato quello per cui lavoravano da tempo, aprendo “La Piazzetta” in viale Corrado: un locale che unisce la torrefazione artigianale del caffè alla gelateria di alto livello. Un lieto fine per un lieto evento.

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1 Emmanuele Forcone con i suoi trofei 2 Luciano di Sabatino nel suo stand Faber 3 Gli acquilani Stefano Biasini e Michele Morelli 4 Il nuovo stand dell’azienda Leone 5 Il nuovo stand di J&J 6 Stand La Bomboniera 7 Stand Diedi Group 8 Stand confettificio Palazzone 9 Stand Caffè Mokambo 10 Miniconi colorati Ali d’Oro 11 Stand confettificio Pelino 12 Stand Casimirri

Dolci Magie 13 Stand Inox Pack 14 Stand Hot Class cooking system 15 Stand Braden Italian Design

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C COME ABBINAMENTI

di Massimo Iafrate

SENSAZIONI E SENTIMENTI Abbinare è come vivere un’amicizia

Non so se a voi è capitato mai di uscire una sera con la ferma intenzione di recarvi al ristorante con la simpatica compagnia di... voi stessi. A noi “single per scelta”, questo tipo di cose, riesce meglio che ad altri. Sedere, da solo, ad un tavolo di un ristorante è come scendere da un treno in una piccola stazione e fermarsi a guardare il passare incessante ed indaffarato dei “vagoni” delle vite altrui… Qualche sera fa, nel ristorante di un mio caro amico Angelo, aspettando sua sorella Emanuela, la sorridente cameriera, il mio sguardo è caduto su una coppia... Lei aveva una carnagione bianca, quasi di porcellana: una persona che nasconde dentro di sè un mondo di emozioni; lui parlava senza prestare attenzione a lei che lo ascoltava. Immediatamente ho pensato ad un… abbinamento. Lei, delicata, con un “cuore” nascosto all’interno, pieno di emozione… era una bellissima mozzarella di bufala. Lui, un vino rosso “troppo giovane”, impetuoso, che afferma se stesso più di ogni altra cosa. Un vino senza l’eleganza propria della maturità: quella del donarsi. Lui, con un tannino non maturo, aggressivo, abbinato alla sottile tendenza acida e sapida di fondo di lei, non lasciava altro in bocca che una spiacevole percezione di amaro…. L’amaro che si prova nel guardare due persone così distanti. Poi ho notato un….”balletto”, pochi tavoli più in là… Lui parlava con lei, entrambi erano persi l’uno nell’anima dell’altro.

Ogni volta che Lui si sporgeva verso la compagna, con un sincronismo perfetto Lei sembrava volere, avvicinandosi, donarsi a lui. Guardandoli si percepiva una completa fusione di sensazioni e sentimenti, ma loro, singolarmente, rimanevano entità distinte. Un uomo ed una donna, per poter condividere un amore, una vita, devono essere delle sane entità. Cercare nel partner quello che manca a noi stessi significa solo lasciare che l’altro ci (s)travolga. Infatti, negli abbinamenti riusciti, nessuno dei due sapori prevarica l’altro, ma entrambi si fondono e creano delle percezioni più complete. Lui… un elegante e vivace spumante metodo classico, maturato lentamente in bottiglia sui propri “lieviti”… Un uomo che ha vissuto la sua maturazione nella “propria bottiglia”, senza lasciare che altri la vivessero per lui in un grosso contenitore. Lei, sbarazzina, all’apparenza fragile e delicata, nascondeva, dietro uno sguardo profondo e cosciente, un’ampia personalità. Simile all’aroma delicato di un caprino fresco francese che stupisce per l’imponenza delle sensazioni, per la durata delle percezioni che riescono a donare in un equilibrio perfetto. Mentre li guardavo, ipnotizzato, mi donavano una profonda sensazione di serenità e di completamento. Fare abbinamenti è come vivere un amore, un’amicizia….. che dura tutta una vita.

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C COME RICETTE a cura delle associazioni cuochi della FIC

PRONTI PER IL 2010! Alla conviviale del tesseramento di Pescara

Tra momenti di convivialità, di riflessione e anche di commozione si è svolta il 25 gennaio la festa del tesseramento 2010 dell’associazione Cuochi della provincia di Pescara. Preceduta da un convegno sull’importanza dei prodotti tipici nella cucina abruzzese, la serata al Serena Majestic di Montesilvano si è alternata fra portate di classe e piccoli colpi di scena: primo fra tutti, la nomina a socio onorario del giornalista enogastronomico Massimo Di Cintio, per passare poi alla targa di riconoscimento a Rino Saturni, fedele segretario dell’associazione, e al premio alla carriera consegnato a Nicolò Di Garbo da Leo Giacomucci, presidente onorario regionale. «Ama la giacca bianca come la sua famiglia – è stata la presentazione di Lorenzo Pace, presidente provinciale dell’associazione – e ha trasmesso la stessa passione e la stessa dedizione a generazioni di cuochi. A 78 anni lavora dietro ai fornelli con la stessa energia e lo stesso entusiasmo di un trentenne». Nicolò Di Garbo è stato per dieci anni presidente provinciale, è oggi presidente onorario ed è stato il primo insegnante di cucina dell’istituto alberghiero “De Cecco”. Durante il convegno è stato precisato dai relatori Massimo Di Cintio, Raffaele Cavallo (presidente Slow Food Abruzzo) e Niko Romito (chef) l’importanza dell’utilizzo del prodotto tipico nella ristorazione: «I cuochi devono essere i primi ambasciatori del territorio e contribuire alla sua microeconomia», è stato il concetto più ripetuto dell’incontro, moderato dal giornalista Rai Lucio Valentini. La conviviale è stata curata dal team

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costituito da Mario Rabottini, Michele Ottalevi, Silvestro Ruggieri, Vito Giansante, Enzo Piccirilli e Floriano Capraro. Sono stati serviti spuma di zucca alle mandorle croccanti con cubo di patate con i funghi e quenelle di broccolo e alici; vellutata di fagioli tondino del Tavo con rape strascinate e baccalà mantecato all’olio extra-vergine d.o.p. aprutinopescarese; millefoglie di scrippelle con carciofi di Cupello e lenticchie di Santo Stefano di Sessanio; rotolo d’agnello cace e ove con “lu ciabbotte”; e bavarese con zafferano d.o.p. dell’Aquila con ricotta di pecora e crema alla Centerba. .

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FILETTO DI TONNO PADELLATO ALL’ACETO DI LAMPONI CON CIPOLLA ROSSA CANDITA di Francesco Lupinetti, ass.ne cuochi Pescara

TURBANTE DI SPIGOLA CON ORO D’ABRUZZO di Antonio e Andrea De Sanctis, ass.ne cuochi Valle del Sangro

Ingredienti per 4 persone: 400 g di filetto di tonno rosso, 10 g di olio extravergine di oliva, 50 g di aceto di lamponi. Per la cipolla candita: 50 g di cipolla rossa, 20 g di zucchero, 100 g d’acqua, sale q.b. Per guarnizione: 4 foglie di porro, 4 alkekengi, 100 g di isomalto, sale rosa dell’Himalaya q.b.

Ingredienti per 4 persone: 4 spigole; 5 g di zafferano dop dell’Aquila; 100 g tra sedano, carota e cipolla; 1 foglia di alloro; 0,5 g di semi di finocchio selvatico; 20 g d’olio extravergine d’oliva; 15 g di farina; 200 g di vino Pecorino; sale e acqua q.b.

In una padella antiaderente rosolare velocemente con un filo d’olio il filetto da entrambi i lati. Togliere il filetto, bagnare il fondo con l’aceto, filtrare il liquido ed emulsionare con il minipimer. Per la cipolla: creare uno sciroppo con l’acqua e lo zucchero, immergere la cipolla sfogliata e tagliata a petali e lasciare sobbollire alcuni minuti. Sbollentare le foglie di porro, raffreddarle in acqua e ghiaccio, asciugarle e avvolgere degli spiedini di legno creando una base. Versare la salsa nel fondo dei piatti, sopra sistemare la base di spiedini e al centro mettere il filetto. Guarnire con gli alkekengi, il sale rosa e dei fili di zucchero ottenuti con l’isomalto.

Squamare e sfilettare le spigole. Condire con sale, metà finocchio e un pizzico di zafferano; avvolgere a turbante e cuocere in padella con il vino, l’acqua e i vegetali. In un pentolino amalgamare la farina con l’olio, unire il liquido di cottura delle spigole, il resto dello zafferano e dei finocchi e lasciare cuocere per quattro minuti. Mettere la salsa al centro dei piatti, sistemare sopra due filetti per porzione e guarnire con dei ciuffi di finocchio e cornucopie di carote.

FAZZOLETTI ALLA PESCATRICE IN SALSA DI GAMBERI E ZUCCHINE di Julien Ferretti, ass.ne cuochi Teramo

SEMIFREDDO AL PECORINO DI MONTEREALE CON SALSA ALLA CENTERBA E COULIS DI RIBES

Ingredienti per 6 persone: 500 g di farina; 5 uova; 800 g di rana pescatrice; 100 g di dadolata piccola di carote, cipolla e sedano; 100 ml vino bianco secco; 100 ml d’olio extra vergine d’oliva; 600 g di gamberi rosa; 300 g di zucchine; 80 g pomodoro ramato; prezzemolo; 1 fetta di pane raffermo

Ingredienti per 4 persone: Per il semifreddo: 150 g di melo astrakan rosso, 90 g di pecorino di Montereale, 350 g di latte, 130 g di zucchero, 400 g di panna fresca, 1 uovo, 40 g di farina, 8 g di colla di pesce, 1 stecca di vaniglia. Per la salsa al Centerba: 100 g di cioccolato bianco, 100 g di panna, 80 g di Centerba Toro. Per il coulis di ribes: 70 g di zucchero, 150 g di ribes, 50 g d’acqua. Per la guarnizione: 4 dischi di pan di spagna, 30 g di sciroppo per dolci, 12 ribes.

Preparare l’impasto con uova e farina le lasciare riposare. Cuocere con 50 g di dadolata e 50 ml d’olio la pescatrice e bagnare con 50 ml di vino; a fine cottura regolare il sale ed immergere la fetta di pane senza la crosta. Macinare il preparato senza le lische e formare i fazzoletti con la pasta stesa sottile tagliata a quadri da 10 cm di lato, ponendo il ripieno al centro e chiudendo con una forchetta. Fare pressione sul bordo per ben chiudere. Preparare la salsa, fare un fumetto con i gusci dei gamberi, saltare in padella i 50 g di dadolata aggiungere le zucchine tagliate a listelli corti e subito dopo la polpa dei gamberi. Bagnare con il fumetto e cuocere solo qualche minuto. Bollire i fazzoletti e saltare fino ad avere una salsa ben amalgamata. Disporre sul piatto e decorare con qualche gambero con tutta la testa e prezzemolo strappato.

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di Mattia Presenti, ass.ne cuochi L’Aquila

Per il semifreddo: frullare le mele con il pecorino e metà latte. Bollire il restante latte con la stecca di vaniglia. Montare le uova con lo zucchero, aggiungere la farina, unire il latte un mesto per volta, rimettere sul fuoco e cuocere fino al bollore. Unire la colla di pesce precedentemente ammorbidita in acqua, lasciare intiepidire e aggiungere la panna semimontata. Foderare la base di 4 stampini conici con altrettanti dischi di pan di spagna inzuppati nel Centerba. Versare il composto negli stampi e lasciare in congelatore. Per la salsa: sciogliere a bagnomaria il cioccolato fino a 45°c, aggiungere la panna e il liquore Centerba. Per il coulis: in un pentolino unire tutti gli ingredienti e cuocere fino ad ottenere una consistenza sciropposa. Mettere la salsa nei piatti, al centro sformare i semifreddi, sopra mettere i ribes e colare a filo sulla salsa il coulis.

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C COME ESTERO

di Nadia Miriello – foto concesse da Massimiliano Ascione

DA VASTO AD AJMAN Ecco l’uomo che fa leccare i baffi agli emiri

È un giovane abruzzese “globetrotter”, anche se in fondo il suo mondo potrebbe felicemente racchiudersi in una cucina. Rigorosamente multiaroma e multicolore. Massimiliano Ascione, 28 anni, professione chef, la passione per i fornelli ce l’ha nel sangue. Sarà forse per le radici partenopee (è nato ad Atessa, cresciuto a Vasto, ma la famiglia è originaria di Napoli) o per un’innata attitudine culinaria, di strada professionale e… geografica ne ha già fatta molta da quando, al compimento della maggiore età, ebbe la fatidica illuminazione e lasciò il liceo scientifico per tentare di realizzare il sogno di diventare un cuoco affermato. La piena consapevolezza della propria scelta e la grande determinazione, miste a bravura e un pizzico di fortuna, l’hanno portato in un paio d’anni dall’Istituto alberghiero di Termoli, dove ha sostenuto gli esami integrativi per ottenere l’idoneità d’accesso al triennio, alla rinomata scuola di Villa Santa Maria, nel Chietino, dove – attestati e diploma a parte – si è fatto subito notare per le spiccate qualità e capacità: a lui, infatti, è andato il premio come miglior allievo del terzo anno del corso di cucina, e in un concorso nazionale riservato a tutti i migliori studenti degli Alberghieri si è aggiudicato il quarto posto su 44 partecipanti. L’esperienza più preziosa,

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però, Massimiliano l’ha collezionata sul campo, sfruttando le pause estive per lavorare qua e là, anche fuori confine. Così, dopo una breve tappa a Montesilvano, si è ritrovato in Svizzera, in un lussuosissimo hotel di Gstaad, che si è rivelato soprattutto buona palestra di stile e raffinatezza. Finita la scuola, è poi giunto il momento di perfezionare l’inglese, e il nostro “self made chef” non si è lasciato di certo sfuggire l’opportunità di volare in Inghilterra e restarci un anno a imparar meglio il mestiere, da un altro punto di vista, più “international”. Un altro anno di formazione british, come secondo di cucina nel ristorante aperto dallo chef che aveva affiancato in passato, è arrivato dopo due stagioni trascorse a Firenze, nel Villa San Michele del gruppo Orient Express. Poi di nuovo l’Italia, tra Latina, Ravello e infine Santo Stefano di Sessanio, con la consulenza di Niko Romito. Proprio qui, nel cuore della sua terra, il sisma del 6 aprile ha dato una svolta alla carriera e alla vita di Max. «Il terremoto – spiega – mi ha profondamente traumatizzato. Mi terrorizzava l’idea di tornare in quel luogo, di dormire in quella casa, nello stesso letto. Vivere quei secondi da solo è stato terribile: ho visto la morte in faccia e credevo davvero sarei rimasto sepolto lì sotto!». La paura, quindi, o il destino: ogni tanto contano

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anche questi ingredienti imprevisti nel cammino di un homo faber ipsius fortunae, che s’è fatto da sé. E nel giro di un paio di mesi Massimiliano è volato negli Emirati Arabi Uniti. Precisamente ad Ajman, capitale dell’omonimo Stato, il più piccolo della confederazione araba. In realtà, l’offerta di lavoro adocchiata sul sito web della Federazione italiana cuochi era di un importante albergo della catena Kempinski a Jacarta. Ma il passaparola del curriculum ha probabilmente deciso la definitiva destinazione del cuoco giramondo. Passati brillantemente i colloqui in inglese con executive chef e general manager, in una quindicina di giorni sono arrivati

via e-mail contratto e visto d’ingresso: e finalmente il 20 giugno scorso la nuova avventura come chef del ristorante italiano “Sabella’s” nel 5 stelle di Ajman è iniziata. Certo, la distanza dai propri cari è considerevole. «Di sacrifici ne ho fatti per giungere fin qui – sottolinea Max – e, in ultimo, non è stato facile passare da un continente all’altro, soprattutto confrontarsi in cucina e fuori con una religione che ha usi e costumi totalmente diversi. Se non sono sposato è perché in questa fase della vita voglio pensare innanzitutto alla carriera: quando deciderò di fermarmi e magari aprire un locale tutto mio, allora penserò a metter su famiglia».

E L’ACQUOLINA IN BOCCA VIENE PURE ALLO SCEICCO

Quarantacinque gradi di giorno, con aria condizionata sempre in agguato. Lancette 3 ore avanti rispetto all’Italia. Lingua inglese quando va bene. Regole ferree a tavola, dove l’alcool e la carne di maiale sono assolutamente banditi. Non è facile per un cuoco nostrano adattarsi alla vita in Ajman, mezz’ora d’auto da Dubai. Ma Massimiliano ci ha provato, e ci sta riuscendo pure, perché la posta in gioco è alta: il ristorante italiano del Kempinski Hotel dispone di ben 80 posti ed è un fine dining, garantisce cioè piatti raffinati, agli avventori arabi come agli europei, soprattutto russi e tedeschi. Max ci lavora da qualche mese eppure ha già dato al menù un tocco abruzzese, arricchendolo con ricette della sua terra: zuppa di lenticchie e castagne arrosto, minestra di orzo e farro, ricotta di pecora cotta in forno, crespelle farcite con ricotta, pecorino e zafferano, baccalà. Stuzzicano l’appetito anche proposte italiane e creazioni mangerecce nate durante le trasferte nel mondo. Inevitabile poi, per un creativo perfezionista come il giovane vastese, una piccola rivoluzione di stili e prodotti: gli ingredienti che impiega in cucina sono infatti rigorosamente made in Italy e importati, dall’olio extra vergine d’oliva alla mozzarella di bufala, passando per formaggi e insaccati. Davanti a tanto ben di Dio neanche lo sceicco può resistere, e per lo chef Ascione aver servito un buffet nel lusso estremo d’arredi con rifiniture in oro e lampadari di cristallo non ha davvero prezzo! N.M.

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C COME GUERNICA di Guernica - www.l-ultimadea.blogspot.com

SAN VALENTINO: PRIMAVERA, AMORE, FERTILITÀ Correva l’anno 496 d.C. allorché Papa Gelasio introdusse il culto di San Valentino, in sostituzione di un antico rito pagano per la fertilità. Ripercorrendo la storia dei secolari rituali, dal fascino sempre immutato, è possibile indovinare l’importanza che il mese di febbraio rivestiva per gli antichi Romani: preludio alla primavera, stagione votata alla rinascita. A fare da ouverture erano vere e proprie cerimonie di purificazione. Si eseguivano pulizie approfondite delle abitazioni, che poi venivano cosparse di sale e farina. Subito dopo incominciavano i Lupercali: i sacerdoti addetti (Luperici) si recavano presso la grotta in cui leggendariamente la lupa aveva allattato Romolo e Remo, a compiere sacrifici ed elevare preghiere al Dio Lupercus affinché tenesse i lupi lontani dai campi. Inoltre, le città venivano cosparse del sangue degli animali sacrificati, come segno di fertilità. Ma il fulcro del rituale era una “lotteria dell’amore” che consisteva nell’inserire e mescolare i nomi di uomini e di donne seguaci del Dio: quindi un bambino estraeva a caso alcune coppie che per un anno intero avrebbero vissuto in intimità, affinché il rito della fertilità fosse concluso. Proprio allo scopo di porre fine a tali pratiche, ritenute immorali, la Chiesa introdusse il culto suddetto, identificando come santo degli innamorati Valentino. Nato a Terni nel 175 d.C., consacrato vescovo e successivamente martirizzato, Valentino fu considerato il primo religioso a celebrare l’unione tra un pagano e una cristiana. Il riferimento va alla leggenda di Sabino e Serapia, due giovani tanto innamorati da sfidare le ire dei familiari e infine la morte. Sabino, un legionario pagano, accettò di convertirsi al cristianesimo per amore di Serapia. Quando tutto pareva concludersi per il meglio, Serapia si ammalò gravemente di tisi. San Valentino li sposò ugualmente e nel momento della benedizione, miracolosamente, un sonno beatificante avvolse entrambi per

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l’eternità. Le vicende riguardanti il santo risultano molto confuse, eppure tutte rimandano a leggendari episodi di puro amore. Nonostante si tratti di una festività introdotta con il mero fine di soppiantarne un’altra e ripristinare la moralità, possiamo comunque coglierne l’aspetto più profondo e far si che il 14 febbraio si tramuti realmente nel giorno dedicato all’amore. Un giorno colmo di speranza per un sentimento vero, non più cinicamente considerato solo una chimera, e in cui il consumismo possa cedere il passo ai sentimenti.

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C COME NEWS

I Piceni invisibili

Nestore Bosco premiata

Un caciocavallo… esplosivo.

La prima degustazione dell’anno organizzata dalla Confraternita del grappolo insieme alla condotta Slow Food di Pescara si svolgerà giovedì 25 febbraio alle 20.30 presso l’hotel Miramare di Marina di Città Sant’Angelo (Pe). “I Piceni invisibili” è la degustazione di 9 vini pecorino d.o.c. di Offida, presentata da “PicenINvisibili”. Protagonisti: “Io sono gaia…” 2007 de Le Caniette (Ripatransone), “Ciprea” 2008 dei Poderi San Savino (Ripatransone), “Donna Orgilla” 2008 di Fiorano (Cossignano), “Fiobbo” 2007 di Aurora (Offida), “Le merlettaie” di Ciù Ciù (Offida), “Pistillo” 2008 dei Poderi San Lazzaro (Offida), “Kiara” 2008 di San Giovanni (Offida), “Mida” 2008 di Allevi M.Letizia (Castorano, “Irata” 2008 di Clara Marcelli (Castorano), insieme a variazioni di formaggio pecorino provenienti da Atri e Farindola, a varie stagionature. Si mangerà sagnette, ceci e cozze, e baccalà. Faciliterà la degustazione Pierluigi Cocchini, master of wine Slow Food. La serata è a numero chiuso; informazioni e contatti su www.confraternitadelgrappolo.it.

Nel concorso enologico internazionale Premium Select Wine Challenge 2010 della rivista tedesca Selection svoltosi ad Alzey (Germania), ben due riconoscimenti sono stati assegnati ai vini della Cantina Bosco Nestore. Tra le migliaia di vini in competizione, il Montepulciano d’Abruzzo d.o.c. “Pan” ed il Pecorino i.g.t. Colline Pescaresi si sono aggiudicati la medaglia d’argento. I risultati verranno pubblicati su www. selection-online.com e sul numero primaverile della rivista Selection (edizione tedesca, austriaca e svizzera), in occasione del Fiera internazionale PROWEIN che si svolgerà a Düsseldorf dal 21 al 23 marzo. Creato dall’incontro di uve Montepulciano d’Abruzzo (85%) e CabernetSauvignon (15%), la caratteristica etichetta del Pan è stata creata dal pittore e sculture pescarese Pietro Cascella, scomparso nel 2008, il quale volle associare al cognome di famiglia, Bosco, l’immagine stilizzata del volto del dio greco dei culmini montani. La Cantina Nestore Bosco coltiva i vigneti dell’entroterra pescarese dal 1897.

Il caciocavallo del Molise? Una vera e propria “bomba”... Potrebbe essere descritta così la brutta avventura che tre giovani di Rionero Sannitico hanno vissuto all’aeroporto di Chicago nel periodo natalizio. I tre erano partiti dall’Italia per fare visita ad alcuni parenti a Cleveland: quando però il loro bagaglio a mano è passato al controllo dello scanner, la sagoma del formaggio è sembrata agli occhi della security analoga a quella di un ordigno. Così i poveri malcapitati sono stati bloccati e perquisiti, nonostante continuassero a ripetere che si trattava solo di “italian cheese”. La bomba in questione è stata tagliata, controllata e analizzata: alla fine tutto si è concluso con una risata generale. Più seri, invece, i tre molisani, che per questo inconveniente hanno perso la coincidenza con il volo per Cleveland. «Da questo episodio – ha dichiarato uno dei ragazzi – ho capito lo stato di terrore in cui vivono gli americani per possibili attacchi terroristici. Per un momento ho pensato che nel caciocavallo qualcuno avesse nascosto qualcosa di illegale». Gusti esplosivi, non c’è che dire. M.G.

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C COME NEWS

Agroalimentare all’estero

Carlo Petrini a Chieti

Pizzaioli abruzzesi premiati

Sono America, Russia, Giappone e India i nuovi traguardi all’estero della produzione agroalimentare regionale. Un programma che godrà di una forte sinergia tra Regione, Arssa, Centro Estero delle Camere di Commercio e privati vedrà le nostre eccellenze apparire negli stand di almeno una decina tra le più importanti manifestazioni fieristiche del mondo. Si va dal Winter Fancy Food di San Francisco al Prodexpo di Mosca, dal Foodex Japan di Tokio all’International Food & Drink Expo di New Delhi, e il 16 febbraio ci sarà anche una tappa pescarese del Road Show dei Vini. «Stiamo lavorando anche per essere presenti a Shangai, in Cina – ha dichiarato Mauro Febbo – insieme all’assessorato allo Sviluppo economico. Ci interessa far conoscere i nostri prodotti di eccellenza anche ai mercati emergenti come India e Brasile. Spesso l’agroalimentare abruzzese viene identificato solo con pasta, vino e olio d’oliva, ma ad esempio nel 2008 la voce principale dell’export regionale è stato costituito per il 35,5% da ortaggi: un dato che dà più possibilità di penetrazione dei mercati».

Il 4 febbraio il presidente di Slow Food Carlo Petrini è venuto a presentare in Abruzzo il suo libro edito da Giunti “Come non farci mangiare dal cibo” e c’eravamo anche noi. Lo hanno introdotto il presidente Slow Food Abruzzo Raffaele Cavallo e il giornalista de La Repubblica Antonello Caporale. L’incontro è stato aperto dalla presa di posizione contro gli Ogm da parte dell’assessore regionale all’agricoltura Mauro Febbo a nome dell’Abruzzo tutto. Durante il partecipato incontro, Carlo Petrini ha rimarcato l’importanza di restituire dignità ad un antico mestiere: «Oggi nessuno vorrebbe che il proprio figlio facesse il contadino, e invece la fuga dalle campagne è indice di una perdita di identità di una intera civiltà giunta all’ultima generazione. Chi è che lavorerà la terra? Non mangeremo computer o cellulari. Il mestiere del contadino è importante tanto quanto quello dell’avvocato o dell’insegnante. La sfida della modernità è produrre qualità alimentare, che è un dovere di tutti. Oggi invece chi è che porta avanti il made in Italy sono i nostri fratelli che vengono da fuori». C.M.

Il 18 gennaio si è svolta a Tortora Marina (Cs) la prima edizione del Premio Mediterraneo alla professionalità, organizzato dall’Albo Italiano Pizzaioli Professionisti. Anche alcuni pizzaioli abruzzesi hanno ricevuto questo riconoscimento, e sono Nicola Salvatore, presidente dell’associazione “Pizz’Abruzzo Doc”, i soci Antonio Freno, Massimo Bruni e Rossano Rosella e infine Valerio Valle, dell’associazione “Compagnia della Pizza”. L’ortonese Massimo Bruni lo scorso ottobre ha inoltre conquistato il primo posto per la pizza tonda classica (giuria “Gusto e Cottura”) al campionato nazionale di pizza piccante che si svolge a Scalea (Cs). In occasione del decennale dalla sua fondazione, in questo 2010 l’associazione “Pizz’Abruzzo Doc” farà un passo coraggioso oltr’Alpe: è imminente un viaggio a Dublino per allacciare rapporti e collaborazioni con organizzazioni europee di pizzaioli. Aggiornamenti su www. pizzabruzzodoc.it.


C COME CONTROEDITORIALE

di Mara Marinangeli, responsabile progetti speciali “Sorelle Nurzia”

OTTIMISMO E DINAMISMO GLI INGREDIENTI PER RIPARTIRE

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Siamo entrati nel nuovo anno. Il passaggio del periodo natalizio è una svolta che ho molto temuto per “Sorelle Nurzia”, considerando da un lato la stagionalità della nostra produzione e dall’altro la situazione in cui versa il nostro territorio, dove l’emergenza è finita ma dove mancano all’appello ancora 20.000 sfollati, e dove il centro storico rimarrà interdetto alla vita per molti anni. Nei prossimi mesi la Protezione Civile lascerà il comando della nostra Città nelle mani degli enti locali che dovranno guidarci verso quella ripresa economica che deve necessariamente, per forza di cose, farci tornare lentamente alla normalità. Molte cose purtroppo sono cambiate: il 6 aprile ha lasciato ferite profonde e disorientamento ma sono convinta che in quest’azienda ci siano futuro e potenzialità lavorativa per molti che in questo marchio hanno trovato l’ancora di salvezza dall’11 maggio, cioè dal giorno in cui finalmente i forni e le caldaie hanno ricominciato a funzionare a pieno ritmo, producendo biscotteria per le tendopoli prima e torroni destinati ai mercati di tutto il mondo da settembre in poi. A fine dicembre la sorte lavorativa per una ventina di dipendenti però, ha avuto una fine, data appunto la stagionalità del torrone: ma stavolta il loro riassorbimento nel tessuto commerciale è difficile (per non dire impossibile), dato il quasi completo blocco di attività commerciali o indotti lavorativi in una città ormai fantasma.

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Sin dal giorno successivo al terremoto ho cercato sempre di trovare le giuste motivazioni per non cedere il passo alla disperazione e siamo riusciti, con grande coraggio, a ripartire con energia e dinamismo. Adesso mi rendo conto, però, che il messaggio che da questa azienda deve partire deve andare ben oltre la mia città per arrivare dovunque il prodotto aquilano possa avere un indotto commerciale. Ora la strategia non può essere più economica, a mio parere, ma sociale, e adesso è importante muoversi con azioni mirate dove noi aziende abbiamo un ruolo chiave nella ripresa. Nella situazione post-sisma a L’Aquila, in cui l’economia ha conosciuto un fermo dovuto allo shock subìto, tutti potrebbero trarre un forte impulso alla rinascita, ma solo se correttamente indirizzati verso chi comprende l’importanza di sostenere commercialmente il nostro territorio. Questo è il mio progetto, che sto costruendo in funzione di un’idea precisa dove sento vivo lo spirito di iniziativa che la nostra azienda sta compiendo con sforzi enormi, ad esempio producendo da quest’anno anche le uova di Pasqua, colombe e pizze pasquali. Il nostro dinamismo però non è sufficiente se rimane privo di coordinate date da chi, fuori del raggio del sisma, può darci un sostegno, e soprattutto se questo sforzo resta isolato e non ispira anche le altre aziende, piccole o grandi che siano, a diventare attrici protagoniste del proprio futuro.

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