ANNO 3 - NUMERO 17 - Febbraio/Marzo 2011
17 FREEPRESS di ENOGASTRONOMIA ABRUZZESE
17 C COME SPECIALE TERRA
Erbe spontanee, agricoltura e semi antichi C COME GIANSANTE & OTTALEVI Un’osteria di mare a Francavilla C COME TRENO Sulmona-Carpinone: a sciare… sui binari
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>> Ufficio fotografico Mario Sabatini Modiv. Hanno collaborato: Antonio d’Angiò, Maurizio Di Battista, Venanzio Di Giulio, Pietro Di Padova, Aurelio e Giuseppe Manzi, Silvia Mazzotta, Mario Pellegrini, Federico Rucci, Paride Sticca e Andrea Straccini. >> Stampa AGP Arti Grafiche Picene - Maltignano (Ap) Per questo numero hanno aspettato, inseguito, rispettato, apprezzato, ascoltato, raccontato, pazientato, riferito insieme a noi: Monica Andreucci, Roberto Ardizzi, Natascia Cupaiolo, Mimmo D’Alessio, Angelica D’Angiò, Maurizio Di Battista, Vincenzo Di Ienno, Luana Di Lorito, Maura Di Marco, Massimo Giuliano, Angela Iezzi, Maurizio Odoardi, Ludovica Persichitti, Giovanni Rosato, e i cuochi Aldo Baglioni, Dario Del Signore, Gianni Di Carlantonio, Aldo D’Ostilio, Lorenzo Ferretti, Vito GiansancomeIezzi, Gabriele Marrangoni, Michele Ottalevi, te, Antonio Enzo Piccirilli e Mario Rabottini. Vieni a trovarci su Facebook: cerca la pagina “C come Magazine” e clicca “Mi piace”
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C come RUBRICHE 05 >> C come Sommario 07 >> C come Editoriale 08 >> C come Fotoeventi 11 >> C come Informazione 12 >> C come Food Design 16 >> C come Giansante & Ottalevi 60 >> C come Teatro 61 >> C come Libro 62 >> C come Ricette 64 >> C come News 66 >> C come Controeditoriale C come SPECIALE TERRA 30 >> C come Agricoltori 34 >> C come Orto 38 >> C come Naturale 42 >> C come Vigne 46 >> C come Vi consigliamo 48 >> C come Spesa 50 >> C come Sicurezza 51 >> C come Dibattito C come ABRUZZO 22 >> C come Festival
Foto copertina: Mario Sabatini
Cosa c’è nel numero Diciassette
C COME SOMMARIO
26 >> C come Novità 52 >> C come Treno 56 >> C come Montagna C come REPORTAGE 18 >> C come Milano 24 >> C come Rimini magazine 4
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C COME EDITORIALE
di Cristina Mosca, direttore responsabile C come magazine
C COME DEMOTIVATIONAL Si chiamano Demotivational poster e, lo confesso, potrei passare delle ore a sfogliarli. Si trovano su internet (chi non li conosce, googli), nascono in America come parodia dei motivational poster, il cui scopo nelle aziende, dice Wikipedia, è quello di accostare ad un’immagine evocativa una scritta che pubblicizza un determinato valore. Loro sono costruiti allo stesso modo ma pubblicizzano perlopiù valori negativi, o alludono a doppi sensi. Li adoro perché mostrano le cose da un’ottica diversa, spesso commentando con poche parole, e riescono ad immortalare in maniera esilarante, talvolta dissacrante, situazioni divertenti, incredibili, ad effetto. Si basano su paranoie, tormentoni, slogan, “fail” e “win”, scherzi del caso colti in maniera assolutamente fortuita. C’è un filone tutto italiano che traduce i demotivational poster o che raccoglie segnalazioni dallo Stivale. E io mi diverto ad assistere ai miracoli della mente umana di fronte ad una base tanto semplice quanto fantasiosa, cioè il reale. Perché, signori della corte, molte cose le abbiamo davanti agli occhi, ma non abbiamo il cervello abbastanza allenato per allungare la mano e coglierle: crediamo sempre che il meglio sia oltre le montagne, oltre il confine, e non crediamo più a quello che abbiamo qui accanto. Ci siamo abituati a non credere più, ad essere demotivati: ma questo, sappiatelo, non è un alibi per smettere davvero. E, se non impariamo che la vita, per dirla alla Oscar Wilde, è troppo importante per essere presa sul serio, finiremo per morire dalla noia. I primi demotivati, lo scopriamo in questo numero, sono alcune persone rimaste indietro, nonostante siano le prime che dovremmo ringraziare quando mangiamo: sono le persone che lavorano nei campi, le più vicine al battito del cuore di mamma terra, a volte le ultime ad essere gratificate da un chiassoso terzo millennio che ha sempre fretta. Al loro mestiere nobile e massacrante, che oggi è sempre più difficile scegliere di intraprendere, dedichiamo questo Speciale terra, augurandoci che voi, la prossima volta che andate a fare la spesa, vi soffermiate un secondo di più sul cartellino della provenienza del prodotto.
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C COME FOTOEVENTI
di Daniele Di Vittorio - Foto: Modiv
Izs, un calendario “gustoso”
Sarà da mettere in dispensa il calendario 2011 presentato lo scorso dicembre dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “Giuseppe Caporale”: il tema “Paesaggi d’Abruzzo e Molise, tradizione gastronomica e sicurezza alimentare” lo trasforma in un bello scorcio sulla nostra regione, alternando panoramiche ad un piatto proposto da uno chef. Hanno partecipato i ristoranti “Al Metrò” di San Salvo Marina, “Beccaceci” di Giulianova, “Elodia nel Parco” di Camarda, “L’Angolo d’Abruzzo” di Casoli, “La bandiera” di Civitella Casanova, “La Zattera” di Pescara, “Nonna Maria” di Termoli, “Osteria degli Ulivi” di Montorio al Vomano, “Vecchia Trattoria da Tonino” di Campobasso, “Zunica” di Civitella del Tronto, e gli stellati d’Abruzzo “Villa Majella” di Guardiagrele e “Reale” di Rivisondoli,
Primo congresso cuochi di Pescara
Lorenzo Pace è stato confermato all’unanimità alla presidenza per altri quattro anni dell’associazione provinciale cuochi di Pescara. Insieme a lui sono stati riconfermati vicepresidente Lucio D’Angelo, presidente onorario Nicolò Di Garbo, segretario Rino Saturni e consiglieri Gianluca Carrozzi, Enea D’Amico, Michele Ottalevi, Enzo Piccirilli e Mario Rabottini, con le due new entry Giuseppe Di Malta e Luca Spinosi. Al congresso sono intervenuti Lorenzo Pace e il bistellato Michelin Niko Romito. Durante i lavori del congresso “Il cuoco del terzo millennio” sono stati nominati soci onorari della Federazione Italiana Cuochi (Fic) il giornalista enogastronomico Massimo Di Cintio e l’imprenditore agroalimentare Alessandro Quartiglia, ed è stato conferito un riconoscimento alla carriera ad uno dei fondatori dell’associazione, lo chef Vincenzo Scerpa.
Biodiversità in convivio
È stata una prima edizione entusiasmante quella dello scorso gennaio, organizzata ad Altino dall’associazione Peperone dolce di Altino insieme alla Riserva del Lago di Serranella ed al consorzio aree protette di Anversa degli Abruzzi. Il primo convivio delle biodiversità è stato innaffiato da vini biologici Chiusa Grande ed ha avuto come protagonisti il peperone dolce di Altino, la ventricina del Vastese, il grano solina, senatore Cappelli e farro, i fagioli “suocera e nuora” della vallata del Sangro, i “mugnoli” di Pettorano sul Gizio, la farina di granturco della varietà “ottofile” della Valle Peligna, la patata rossa dei monti Pizzi, i formaggi di Montazzoli del caseificio San Giovanni, la mela piana e la mela Molise, una selezione di caffè Saquella e liquori Alleva e Jannamico. Durante la cena sono intervenuti agronomi, botanici, storici, produttori ed architetti. Il convivio è stato introdotto dall’esperto Aurelio Manzi.
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C COME INFORMAZIONE di Roberto Ardizzi, consulente SGQ
IL TURISMO ENOGASTRONOMICO CRESCE Ecco la “nicchia” del futuro
Tra tutte le diverse tipologie di turismo quello enogastronomico è certamente una “nicchia” capace di fare grandi numeri e di crescere tanto e nel giro di poco tempo. Nel 2008 si calcolavano circa 4 milioni di turisti eno-gastronomici, divenuti nel 2009 ben 6,5 milioni. Complessivamente si stima però che almeno 30 milioni di turisti nazionali e 20 milioni di turisti stranieri abbiamo viaggiato in Italia mossi da motivazioni e interessi legati all’offerta enogastronomica. L’Osservatorio sul turismo del vino Censis Servizi Spa 20092010 stima il giro d’affari tra i 3 e i 5 miliardi di euro. In Italia esiste anche la BITEG, la Borsa Internazionale del Turismo EnoGastronomico, quale riconosciuto appuntamento leader per la promozione e la commercializzazione del turismo enogastronomico. Tra le top destination del turismo enogastronomico spicca (neanche a dirlo!) la Toscana che intasca il 44% delle preferenze dei turisti enogastronomici, seguita con notevole distacco dal Piemonte (20% delle preferenze), Veneto (13%) Umbria (9%) e Puglia (7%). Sorprende l’assenza dell’Emilia-Romagna tra le prime cinque regioni che pure sul turismo enogastronomico ha tanto di buono da offrire e da dire, essendo la prima regione italiana per numero di prodotti DOP e IGP (26 contro i 19 della Toscana).
Focalizziamo adesso l’attenzione sulla tipologia “turista enogastronomico”: concentrazione nella fascia d’età 30-50 anni, appartenente ad una classe di reddito medio e medio alto (86%). Sono due le categorie prevalenti: chi affronta un viaggio superiore ai 300 km per poter degustare i prodotti e i vini di un territorio, e chi è inquadrabile tra i cosiddetti turisti di prossimità, cresciuti dal 2005 ad oggi di più del 18%, che si muovono in un’area di 100 km e che rappresentano uno strumento di destagionalizzazione e un veicolo di commercializzazione dei prodotti locali. Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo i turisti enogastronomici rappresentano un’importante porzione della più ampia categoria del “turismo verde”, ossia di quei turisti che desiderano il contatto con il “territorio e l’ambiente” di destinazione, cercano anche “relax e tranquillità”, “ospitalità” e “conoscenza delle tradizioni culturali, folcloristiche ed enogastronomiche”. Il turista tipo sceglie agriturismi e hotel di charme alla ricerca della soluzione ricettiva che offre la possibilità di vivere a maggior contatto con il territorio, sia essa residenza storica all’interno di un borgo con centro benessere, o agriturismo biologico in aperta campagna; è fortemente interessato ad acquistare servizi culturali per la fruizione del territorio e prodotti tipici da degustare a casa, per continuare a vivere anche con gli amici l’esperienza della vacanza.
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C COME FOOD DESIGN
di Ludovica Persichitti - ludovica.architettura@gmail.com
RECUPERATO È BELLO
Muv box concept
Muv box concept
Muv box concept
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Un break responsabilmente eco
Circondiamoci di oggetti recuperati, riparati, riciclati! Alleniamo la fantasia, reinventiamo nuovi modi ecosostenibili di vivere la giornata, le nostre abitudini e, perché no, anche le pause golose. Richiediamo una pausa caffè che rispetti l’ambiente, un aperitivo eco-friendly o una cena a chilometri zero. Tentativi di questo tipo sono fortunatamente in crescita e sempre più di tendenza grazie anche ad una sensibilità ecologica che comincia a proporsi come lifestyle globalizzato. Pensate di sorseggiare un caffè all’interno di un vecchio vagone anni ’60, restaurato in stile metropolitano, creativo e giovane... Si chiama The Deptford Project ed è stato Morag Myerscough a trovare affascinante e potenzialmente utilizzabile una vecchia carrozza, reperto ferroviario ubicato nell’area degradata del South–East di Londra. Ne è stato ricavato un bar che è oggi punto di ritrovo dei giovani londinesi: un vero centro culturale all’aperto dove, oltre alla possibilità di bere caffè da agricolture bio ed assaporare cibi genuini preparati con prodotti locali, si possono visitare all’esterno mercatini e botteghe di giovani artigiani e creativi emergenti (www.thedeptfordproject.com). Per la ristorazione mobile un esempio viene dal Canada: nel porto vecchio di Montreal un container dismesso si trasforma
in novanta secondi in un fast food completo di forno a legna e coperti per ventotto persone. Oltre ai concetti di mobilità e trasformabilità, il progetto ha ottenuto notevoli consensi per l’attenzione al risparmio energetico: la struttura è costituita da un vecchio container, il materiale dei pavimenti è realizzato dal riciclo di pneumatici e il fabbisogno energetico viene fornito per il 45% da un sistema di pannelli fotovoltaici installati sulla copertura (www.muvboxconcept.com). Un aspetto da non sottovalutare è quello del consumo responsabile, soprattutto di alimenti autoctoni, al fine di ridurre le emissioni di CO2 dovute ai trasporti. Un locale in cui acquistare e consumare solo prodotti locali e di stagione, in cui poter condividere, in un ambiente dal sapore domestico, piccole esperienze legate ai cibi freschi e genuini, è il Mia Market. Si tratta di un food concept, ideato dal gruppo di cinque architetti “Arabeschi di latte”, situato in via Panisperna a Roma. È un piccolo negozio di soli prodotti freschi, ma anche un laboratorio di esperienze culinarie (cooking studio), un posto dove si può godere della semplicità dei prodotti e della fragranza dei profumi ma anche concedersi un boccone di pane e marmellata mentre si sceglie con cura la spesa per la cena (www.miamarket.blogspot.com).
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C COME GIANSANTE & OTTALEVI
di Cristina Mosca – Foto: Mario Sabatini
«LA BUONA CUCINA DEV’ESSERE ALLA PORTATA DI TUTTI» Un’osteria di mare a Francavilla
Non lo facciamo mai. Non scegliamo mai nessuno, per questa rubrica, che non abbia un certo numero di anni di attività alle spalle. Il più giovane che abbiamo deciso di inserire, qualche tempo fa, aveva festeggiato da poco il secondo anno di apertura del suo locale, e lo abbiamo scelto perché ci stupiva e ci stupisce ancora. E adesso loro due, Vito Giansante e Michele Ottalevi (in rigoroso ordine alfabetico), ci hanno stupito in altra maniera: per il loro concept e per il coraggio di mettersi in proprio dopo tanti anni di lavoro nel banqueting abruzzese. Dal gennaio 2010 gestiscono l’“Osteria I tempi andati”, a Francavilla al mare, aggiungendo alla sfida di questi tempi difficili l’ulteriore sfida di non cambiare il nome del locale: «Chi l’ha detto che un piatto presentato in maniera innovativa e basato su prodotti del territorio debba essere pagato caro? – spiegano – Bisogna partire dal basso, dalle famiglie, dai gruppi di amici: mangiare bene dev’essere prima di tutto un modo di pensare». Ecco perché vogliono portare avanti l’idea di una buona osteria di mare, dove in cambio di un prezzo accessibile vengono promessi (e mantenuti) territorialità, qualità, sfizio e professionalità. «Usiamo materie prime a chilometri zero – assicurano, mentre sistemano il tonno nel piatto come se fosse uno spiedino di frutta – a cominciare dal vino, di cui abbiamo
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almeno un’etichetta per ogni provincia abruzzese. Salvo qualche rara eccezione, ci riforniamo di verdure, carni e pesci solo tramite mercati o produttori locali». Sentita la necessità di mettersi in discussione e probabilmente spinti anche dai successi giunti su scala nazionale e regionale, i due hanno prima consolidato una forte stima reciproca professionale e poi si sono sentiti pronti per lavorare gomito a gomito. Nel 2007 Michele, oggi consigliere dell’associazione provinciale cuochi di Pescara, ha conseguito un titolo assoluto e una medaglia d’oro nel campionato internazionale di cucina a Marina di Massa, proponendo la scrippella croccante farcita al ragù di scampi su patate e carciofi stufati e filetto di branzino al timo limone: tuttora se ne trova una versione in carta. Nel 2008 Vito, che da poco era iscritto all’associazione, ha vinto “Lu Carrature d’ore” con un carpaccio di pecora marinato alla menta piperita, con ricottina affumicata al ginepro in crosta di puls di farro e riduzione al mosto cotto. Entrambi, insieme ad altri associati, nel 2009 hanno totalizzato sette medaglie d’oro come team a Marina di Massa, di cui due a Michele come capo-team. Un lavoro di squadra che è già in parte provato, ora va solo… assaggiato.
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Cubi di tonno scottato in padella,
la sua giar diniera e salsa ai lamponi
Barattolino con orzotto ai frutti di mare pepata di cozze e vongole al cartoccio
Ingredienti per 4 persone: 400 g di filetto di tonno, 300 g di patate, 4 pomodorini, 100 g di cipolla, 80 g di lamponi, 100 g di olio d’oliva extra vergine, sale q.b, 200 g di riduzione all’aceto balsamico, 0,08 g di pistilli di zafferano, 200 g di Montepulciano d’Abruzzo, 200 g di zucchero, 200 g di aceto di vino bianco
Ingredienti per 4 persone: 80 g di orzo perlato, 100 g di calamari, 200 g di vongole nostrane, 200 g di gamberi, 80 g di olio extravergine d’oliva, 1 foglia di alloro, sale q.b. Per il cartoccio: 1 kg di cozze, 1 kg di vongole, 10 g di aglio, 100 g di pomodori Pachino, olio e pepe q.b
Preparazione: Tornire le patate dando una forma cubica, lessarle in acqua acidula con 100 g di zucchero, il sale e lo zafferano; terminata la cottura scolarle e raffreddare. Tagliare la cipolla a faldine, lessarle in acqua e vino per 15 minuti e lasciarle raffreddare nell’acqua di cottura. Tagliare in quattro parti i pomodorini e salarli leggermente. Lessare i lamponi in 300 g di acqua per 10 minuti; terminata la cottura frullare con 30 g di olio. In un pentolino ridurre l’aceto balsamico e lo zucchero e far raffreddare. Tagliare il tonno in cubi da 25 g. In una padella antiaderente con poco olio scottare il tonno su due lati lasciandolo al cuore abbastanza crudo e salare alla fine. Disporre sul piatto da portata le patate, la cipolla, i pomodorini e il tonno. Guarnire con la salsa ai lamponi la riduzione al balsamico e l’olio d’oliva.
Preparazione: Per l’orzotto: lessare l’orzo per 20 minuti, scolare e raffreddare. Pulire e tagliare a julienne i calamari, privare del carapace i gamberi, aprire una metà dei frutti di mare in padella con olio e aglio, sgusciarli e conservare il frutto nell’acqua di cottura. In padella scottare in poco olio i calamari e successivamente i gamberi. Aggiungere l’orzo, le cozze, le vongole con la loro acqua, l’alloro e mantecare con l’olio e il sale. Versare l’orzo in 4 barattolini di vetro e tenerli in caldo a bagnomaria per 10 minuti. Per il cartoccio: Tagliare un foglio di carta “Fata” in 4 rettangoli di 25 cm. Spazzolare e eliminare il baffo alle cozze e spurgare in acqua e sale le vongole. Dividere le cozze e le vongole nei fogli di carta, insaporire con l’aglio, i pomodorini, l’olio e il pepe. Chiudere a il cartoccio con spago da cucina e cuocere in forno a vapore per 5 minuti. Servire mettendo sui piatti il barattolino e il cartoccio.
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Niko sul palco di Identità Golose
I Capellini glassati ai porri
C COME MILANO
di Daniele Di Vittorio – Foto: Modiv
LUNGA VITA A IDENTITÀ GOLOSE! La kermesse è il punto fermo dell’alta ristorazione Sono passati tre anni dalla prima apparizione di “C come magazine” al congresso di cucina d’autore “Identità golose”: dalla neve del 2009 che ha accolto Ferran Adrià, alla pioggia del 2010 con un Massimo Bottura in grande spolvero, fino al 2011 con il sole, Niko Romito e sua signoria la pasta. Nella solita location del MIC in via Gattamelata, affiancato dall’evento “Risotto per Milano” e in collaborazione con Winelove, anche quest’anno il Congresso dei cuochi d’autore ci ha fatto vivere delle emozioni intense. Emozioni che per noi hanno avuto il loro apice durante l’intervento di Niko Romito. Sì, perché quest’anno tutti attendevano al
varco lo chef più stellato d’Abruzzo, dopo la scorpacciata di premi avuti nel 2010. E le attese non sono state tradite. Tre concetti del Nikopensiero serviti come antipasto e tre bellissimi video a seguire hanno svelato alla platea di che …pasta è fatto lo chef di Rivisondoli. Il primo concetto è legato al famoso “chilometro zero”: «Per me che vivo sulle montagne abruzzesi è quasi scontato avere dei prodotti di alta qualità a portata di mano – ha spiegato – ma se abitassi in città? Secondo me è responsabilità culturale di un cuoco dare il meglio di ogni cosa. E se io so che il meglio di una determinata carne la trovo fuori regione, io ho
Paolo Marchi «La pasta è ancora al dente»
Gel di vitello con porcino, tartufo e mandorle
La pasta secondo Scabin
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il dovere di andarmela a procurare, anche se lo stesso tipo di carne ce l’ho vicino casa». Il secondo concetto riguarda la sempreverde diatriba tra cucina innovativa o di tradizione: secondo Niko non ha senso fare differenziazioni. «Sono facce di una stessa medaglia. Quello che si richiede ad ogni piatto è emozionare», ha spiegato. Infine ha posto l’accento sulla tecnica: «È impensabile una cucina d’avanguardia senza la tecnica, perché permette di trasformare in realtà quello che si ha nella testa». E proprio la tecnica è stata protagonista dei suoi video che hanno sviscerato la preparazione dei “Capellini (Verrigni) glassati ai porri”, della “Melanzana arrosto” e del “Gel di vitello con porcino, tartufo, e mandorle”, mettendo
in evidenza la sua abilità in cucina e nelle preparazioni e nelle cotture, che indubbiamente hanno convinto anche i più diffidenti. Ci ha fatto molto piacere vedere che, nella tre giorni di Milano, sono stati presenti alcuni indomabili abruzzesi: ristoratori (in ordine di apparizione Daniele Zunica, Marzia Buzzanca, Nicola Fossaceca, Peppino Tinari, Antonello Moscardi), giornalisti (Antonio Paolini, Alessandro Bocchetti, Massimo Di Cintio) e produttori (Pastificio Verrigni e Feudo Antico), tra quelli che abbiamo incontrato. Noi crediamo che questi eventi siano un’occasione per conoscersi meglio e rappresentino il miglior modo per vedere, sentire e imparare nuove cose. Lunga vita ad Identità Golose!
OCCHIO DI BUE SUI PRODOTTI ABRUZZESI Non di soli personaggi vive l’Abruzzo, ma anche di prodotti di qualità. E due di questi prodotti sono stati protagonisti, lunedì 31 gennaio in una serata organizzata nel Westin Palace Milano, in un “Pasta Dinner Party” organizzato dalla casa editrice Gribaudo per presentare il suo programma annuale de “Il Gusto”. Si tratta della pasta Verrigni e dei vini Feudo Antico, apprezzatissimi da tutti gli invitati: è spiccato il Tullum Rosso Riserva, lanciato nell’occasione.
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C COME FESTIVAL Comunicazione istituzionale
MOKAMBO CHIAMA ITALIA! Talentuosi al Saral Food di Silvi
C’è già grandissima attesa per l’evento più grande del Saral Food di marzo, organizzato da Caffè Mokambo con la direzione tecnica del club Maestri dell’Espresso e la collaborazione dell’Accademia del Buon Gusto. Dalle 14,30 di lunedì 21 marzo nella sala superiore della Fiera Adriatica di Silvi si svolgerà il Festival Mokambo, che quest’anno presenta grandi novità. La prima sorpresa è nella finale regionale della consueto Cocktail Show Coffee, riservata agli studenti degli istituti alberghieri di Abruzzo e Molise: ora le prove sono due e i ragazzi dovranno cimentarsi sia nel caffè sia nel cappuccino. I professionisti, invece, dovranno proporre quattro drink a base di caffè, di cui uno dovrà essere un cocktail libero. La parte più emozionante e nuova sarà quella dedicata alla finale nazionale intitolata al Giro d’Italia: gli 8 migliori barman che la scorsa estate si sono fatti notare nelle selezioni alle tappe del Giro, curate dalla Mokambo, si cimenteranno in cinque drink a base di caffè, di cui uno con un’attenzione particolare alla decorazione, e saranno giudicati da un esperto di decorazioni. «Il Festival è arrivato alla dodicesima edizione ed è ormai una kermesse affermata e ambita – spiega Massimo Urru, che cura l’evento insieme ad Antonio Corvini e lo condurrà insieme a Walter Bucciarelli – È un’occasione in cui i barman danno valore e lustro non solo alle loro attività, ma anche alla
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loro formazione. Escono da dietro il bancone e approfittano per confrontarsi tra di loro». Oltre ai premi per le rispettive categorie (i vincitori dell’anno scorso sono stati Yoana Soto, del “De Cecco” di Pescara, per la categoria juniores; e Dominik Manzi, della pasticceria Pannamore di Vasto, per la categoria seniores), in palio ci sono anche un premio per la migliore decorazione, sponsorizzata dalla Cooperlat; uno per la migliore tecnica, offerto dalla Iperclub; e uno per il migliore abbinamento. L’evento godrà di un intrattenimento tutto abruzzese. «Siamo orgogliosi di rappresentare un punto di riferimento nella formazione e nella promozione di talenti in questo settore – commentano Nicola Di Nisio e Donato De Luca, responsabili commerciali Mokambo – a maggior ragione perché, di ritorno dal Sigep di Rimini, ci troviamo da una parte ad aver consolidato il rapporto con chi già ci conosceva, e dall’altra ad esserci allargati, per la prima volta, al mercato israeliano. In fiera hanno avuto un successo clamoroso due novità: la miscela “Talento” (100% arabica) e la nuova linea che si avvale del marchio fairtrade, garante degli standard internazionali del commercio equo e solidale». L’adesione al Festival Mokambo è gratuita e si può richiedere il modulo di iscrizione a mokambotrophy@yahoo.com. La presenza dell’azienda si conferma tutti i giorni della fiera (20 - 23 marzo) presso lo stand 89.
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C COME RIMINI
di Maura Di Marco - Foto: Modiv
Un caffè da Mokambo è tappa fissa
UN 2011 DOLCE PER IL SIGEP Record d’ingressi con oltre centomila visitatori
Luciano Di Sabatino di Faber Una torta da Guinness
Fabrizio Colagrante di Fox Italia Federico Anzellotti
Il Salone Internazionale della Gelateria, Pasticceria e Panificazione artigianali si conferma una delle fiere più importanti del panorama enogastronomico italiano internazionale. Nel Rimini Firea erano presenti 730 imprese, di cui 14 abruzzesi, disposte in 90mila mq su 14 padiglioni. Come ogni anno a corollario della fiera si è svolta una serie di manifestazioni e eventi di primissimo livello. Per cominciare, 2 record da Guinnes dei primati: il gelato più grande del mondo (281 cm di altezza) e la maxi torta da 500 mq e 3300 kg realizzata in onore del 150° anniversario dell’Unità d’Italia da una squadra di 70 persone della Con.pa.it (Confederazioni pasticceri italiani), diretta dal presidente nazionale Federico Anzellotti, di Miglianico (Ch), e composta anche dagli abruzzesi Gianni Veronese della “Pasticceria Veronese” di Chieti; da Lorenzo Cavallone di “Dolci Pensieri”, di Penne; e da Umberto Cirone, del “Panificio Stella” di Montesilvano. Sulla torta, in omaggio all’Abruzzo spicca la Bella Addormentata. Nella Sigep Bread Cup sono stati i panificatori americani ad aggiudicarsi il 5° trofeo; infine l’Italia sarà rappresentata
da Yumiko Saimura, nata a Khobe in Giappone ma ormai piemontese, alle manifestazioni mondiali in programma ad ottobre per la cioccolateria. Si è svolto anche il campionato mondiale juniores di pasticceria, vinto dall’Italia, con la definizione della squadra azzurra che parteciperà alla Coppa del mondo di gelateria nel 2012 al Sigep: il riminese Andrea Borgognoni e il barlettano Antonio Daloiso, coadiuvati dal manager abruzzese Federico Anzellotti e dal coach Gianluca Fusto, hanno superato la Sud Corea e la Francia. In particolare gli asiatici hanno stupito giuria e pubblico per gli straordinari progressi che la pasticceria sta compiendo in quella parte del mondo. Il campionato mondiale juniores, riservato a pasticceri under 23, era articolato su sei prove: la realizzazione di cioccolatini, la presentazione artistica in cioccolato, “Quiz-Dessert al Bicchiere”, presentazione artistica in zucchero, torte e monoporzioni gelato al caffè. Anche “C come magazine” era presente al Sigep: presso il press corner della manifestazione la nostra rivista è stata in distribuzione per tutta la durata della fiera.
LE AZIENDE ABRUZZESI PRESENTI • • • • • • •
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Ali d’Oro srl di S. Nicolò a Tordino Frigomeccanica srl di Mosciano Sant’Angelo Hot Class srl di Colonnella Inox Pack spa di Controguerra Jej di Alessandro Piero di S. Egidio alla Vibrata. Fox Italia srl di Città Sant’Angelo Faber di Città Sant’Angelo
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Global Packaging srl di Pescara Modiv snc di Città Sant’Angelo A.G.E.P.A sas di Castiglione Leone Gabriele srl di Città Sant’Angelo Caffè Mokambo di Chieti Diedi srl di Chieti Nuova Con.Pa.It di Miglianico
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C COME NOVITÀ
Comunicazione istituzionale
PRONTI, PARTENZA, VIA! “Ekk - Abruzzo in sintesi” aprirà il 10 marzo È sempre là, bella, statuaria, dal taglio dinamico, moderno e, perché no, sensuale. I lavori di recupero alla struttura della Cantina Santangelo sono quasi terminati e il 10 marzo una nuova realtà aprirà i battenti. Si chiama “Ekk Abruzzo in sintesi” il nuovo piccolo mondo che ai piedi del borgo di Città Sant’angelo racchiuderà il verde, i sapori, i colori, l’accoglienza e la creatività della nostra terra in un’area di 8 chilometri quadrati. Il complesso conterrà un hotel eco-sostenibile di 33 camere, un Garden di 8mila
metri quadri gestito dal gruppo Febo, 250 posti auto, un mercato permanente del prodotto tipico di 600 mq con le scaffalature divise per province, e un bar e un ristorante che valorizzeranno le tipicità, le ricette e le eccellenze del nostro territorio. Dopo essere stato presentato alla stampa di Milano con il magnifico rito della Panarda, il progetto ha un altro banco di prova in occasione della Bit: Gabriele Marrangoni, lo chef del ristorante “Cantina Santangelo” interno ad Ekk,
I fratelli Enzo, Antonella e Umberto Febo
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Due ricette dello chef PECORA ALLA “CALLARA” Ingredienti per 6 persone: 2 kd di carne di pecora a tocchi; 1 costa di sedano; 1 carota; 1 cipolla; 2 spicchi di aglio; 1 rametto di rosmarino; 1 foglia di alloro; 5 bacche di ginepro; ½ litro di vino bianco; 1 mazzetto di maggiorana; 1 mazzetto di pipirella (timo serpillo); olio extravergine di oliva; sale e pepe q.b. Lessare la carne di pecora per 30 minuti in acqua bollente, schiumare le impurità. Scolare e sciacquare di nuovo con acqua calda. Scolare ed asciugare la carne con un canovaccio. Riscaldare bene un tegame ed aggiungere l’olio extravergine. Versare la carne e rosolarla; aggiungere sedano, carota, cipolla a pezzettoni e l’aglio tagliato a fette. Rosolare ancora per qualche minuto e sfumare con il vino bianco. Aggiungere il rosmarino, l’alloro e le bacche di ginepro. Salare e pepare. Coprire a filo con acqua calda e portare a cottura fino a che la carne non risulti tenera; eventualmente, se necessario, aggiungere acqua calda. Alla fine, la pietanza deve rimanere leggermente brodosa. Ultimare con abbondanti foglioline di “pipirella” e maggiorana.
sarà ospite dei Borghi più belli d’Italia insieme al Comune di Città Sant’Angelo nel padiglione 3, stand D50: nella giornata del 18 febbraio offrirà ai visitatori tacchino alla canzanese con verdure agrodolci, torte rustiche con ricotta e verdure selvatiche, timballini, insalata di baccalà con peperoni arrostiti, oli extravergine d’oliva, vini, salumi, formaggi, sott’oli, fiadoni, confetture, marmellate, mieli, e dolci secchi. Sono infatti oltre 130 le aziende che hanno aderito a Ekk Tipico d’Abruzzo, il mercato permanente, e da qui attingerà
il ristorante: quale migliore pubblicità della degustazione? Dopo averli scoperti cucinati nelle ricette tradizionali o nelle loro interpretazioni, infatti, i visitatori potranno acquistare i prodotti direttamente dal mercato. Per il 150enario dell’Unità d’Italia, in virtù di un circuito nazionale Ekk sta preparando una Festa dedicata a Pellegrino Artusi. Tutti gli eventi e gli aggiornamenti possono essere seguiti sul sito www.ekktipicodabruzzo.it o sul profilo www.facebook.com/ekk. abruzzo.
OPERAZIONE RECUPERO La Cantina Santangelo è stata realizzata negli anni ‘70 ed era un supporto per tutti i produttori vitivinicoli della zona; ha funzionato per circa quindici anni, poi è stata abbandonata per più di un decennio. I lavori di recupero sono stati condotti dallo Studio di Mario D’Urbano, di Pescara. L’edificio era quasi tutto in cemento armato; la quota di calpestio di ogni piano è stata rialzata a filo con quella del solaio delle botti: in tal modo l’intercapedine sottostante di risulta è stata sfruttata per consentire l’istallazione degli impianti. Le botti al piano terra e al piano interrato sono state aperte da un lato per esser trasformate in box adatti ala vendita dei prodotti del garden e dei prodotti tipici. Il progetto architettonico ha cercato di enfatizzare la presenza del materiale cemento armato e le forme già esistenti, rispettandole il più possibile. Nel disegno generale si è cercato di usare un linguaggio moderno: i tagli ai setti in cemento armato che si sono dovuti fare per esigenze funzionali sono stati lasciati volutamente a vista. Le aperture praticate sulle facce della torre, per dare luce alle camere dell’hotel, generano una matrice irregolare e danno un’immagine nuova a questo elemento totemico. Nell’area vendita garden è stato studiato un percorso obbligato che culmina nel grande spazio a doppia altezza interno, dove è ubicato un bar caffetteria e su cui si affacciano una sala conferenze e i corridoi dell’hotel. I materiali usati per le parti in aggiunta sono l’acciaio, il vetro e il cemento armato. Per ottenere un piano di appoggio per le serre a ridosso dell’autostrada si è realizzato un terrazzamento usando le terre armate al posto dei muri di contenimento, riducendo così al minimo l’impatto ambientale.
LATTE E CAFFÈ CON PANE “ABBRUSTOLITO” Ingredienti per 8 persone: 8 fette di pane raffermo; 400 ml di latte; 2 tazze di caffè; ½ bicchiere di Stravecchio (o Cognac); 700 gr di ricotta di pecora sgocciolata; 3 uova; 335 gr di zucchero. In una griglia (o padella antiaderente) bruschettare il pane. Scaldare il latte, aggiungere il caffè caldo, la metà dello Stravecchio e 85 gr di zucchero. Immergere il pane nella bagna di caffè-latte e disporlo sul fondo di una pirofila. Montare i tuorli con 165 gr di zucchero e scaldare sul fornello fino a 82 °. Montare a neve ben ferma gli albumi con 85 gr di zucchero. Conservare i due composti in frigo. Setacciare la ricotta e amalgamare i tuorli. Aggiungere un po’ di bagna del pane e lo Stravecchio rimanente. Quando gli ingredienti sono ben amalgamati, incorporare gli albumi montati poco alla volta, con un movimento dal basso verso l’alto. Alternare a strati il pane e il composto di ricotta. Decorare la superficie con caffè macinato e rassodare in frigo almeno 4 ore prima di servire.
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C COME AGRICOLTORI
Speciale Terra
Testi e foto di Maurizio Di Battista
LAVORARE LA TERRA È UN MESTIERE DURO …e non è un luogo comune Trattare argomenti eno-gastronomici implica necessariamente un interesse all’origine di ciò che consumiamo sulle nostre tavole, consapevoli che una sana agricoltura garantisce ottimi prodotti per la gastronomia. Andremo perciò a tastare il polso alla nostra produzione regionale, consci che i conseguenti cambiamenti sociali hanno fatto sì che la vera cultura contadina sta sfumando nei tenui ricordi dei più anziani. La posizione dell’agricoltore rimane per molti versi singolare: da una parte appare chiaramente come egli sia, fra tutti, colui che ancora ha un contatto molto diretto con la realtà naturale; nel contempo deve misurasi con gli aspetti della realtà contemporanea, quali gli ultimi sviluppi delle tecnologie meccaniche e chimiche. Una situazione particolare, al confine fra la variabilità frenetica del mondo contemporaneo e le permanenze del mondo naturale, i cui fenomeni sono comunque oggetto di esperienza e di riflessione quotidiane. Faccio perciò visita ad una azienda del territorio gestita da due giovani fratelli, eredi di un’attività agricola a conduzione famigliare. Adagiata tra le colline rosetane, su di un promontorio aereo che permette alla vista di spaziare a trecentosessanta gradi su di un panorama unico che va dai monti della Laga al Corno Grande, dalla Majella all’Adriatico, vi è l’azienda agricola
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Poliziani, posizionata in un ambiente estremamente ben conservato e lontano da inquinamenti di origine umana. Ad accogliermi trovo Luca, il più grande dei due figli che gestiscono per lo più produzione casearia. Dai numerosi capi di bestiame ricavano il latte che destinano alla produzione dei propri formaggi o che commercializzano ad altre aziende del territorio. Inoltre dispongono di un discreto numero di capi suini, per una piccola produzione di insaccati classici. Per il resto, l’azienda lavora i terreni di proprietà principalmente per la produzione di foraggio per gli animali da latte e di ortaggi per il consumo umano. È un’azienda a conduzione familiare, il lavoro di gestione è quindi particolarmente duro, e oltre ad essere faticoso, mi fa notare Luca, è sempre meno redditizio. «Quando decisi, anni fa, di prenderla in gestione con mio fratello non immaginavamo di farci carico di tante difficoltà», mi confessa. I dati degli studi di settore ci illustrano una realtà viva, all’avanguardia, di nuove realtà che nascono, soprattutto di imprenditoria giovanile che si riavvicina ad un settore per troppo tempo snobbato… ma analizzando a fondo la realtà dei fatti è ben diversa. È vero che molti giovani sembrano interessarsi all’agricoltura, ma è anche vero che sono aumentate le difficoltà rispetto ad un tempo: «Le remunerazioni sono
Oggi è più difficile gestire un’azienda agricola e meno redditizio di un tempo
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Speciale Terra veramente basse rispetto alla dose di lavoro e ai rischi che si prendono. Molte leggi hanno tagliato le gambe a piccoli produttori: troppa burocrazia e troppe differenze di attuazione tra uno Stato e l’altro della Comunità Europea», sentenzia Luca, che è in totale disaccordo con la gestione comunitaria del commercio dei prodotti caseari. Lamenta una mancanza di coesione comunitaria e mi mostra tutte le
luce di questa situazione, è ovvio che un contadino si senta schiacciato dalle spese e sia tentato ad abbandonare i propri campi. E così stiamo diventando spettatori (e artefici) della rovina del mestiere più antico del mondo. La conduzione di gran parte delle aziende è attenta e rispettosa dell’ambiente, evitando l’uso di sostanze per reintegrare ciò che i terreni perdono, ma la predilezione di una grande varietà di colture,
attrezzature che l’azienda deve disporre per essere a norma: impianti moderni e costosi. Mi conduce nelle stalle per farmi assistere alla mungitura su una mucca pezzata da latte, operazione che non avviene più a mano, dato il numero elevato di capi, ma con delle sofisticate macchine mungitrici: un insieme di componenti che, imitando la poppata del vitello, estraggono il latte in modo dolce, delicato e veloce e lo convoglia in un punto di raccolta. Vedo sgorgare il latte dalle mammelle del mammifero, bianco, puro, e soprattutto fresco, pronto per essere subito trasformato in formaggio, e capisco la frustrazione del mio interlocutore. Gli animali da latte mangiano prodotti derivati da un’agricoltura sana, per lo più fieno prodotto da loro in terreni fertilizzati con liquami animali. Vivono e riposano in piattaforme a norma, vengono munti con sistemi non invasivi, il latte che se ne ricava dalla mungitura è ottimo, risultato di una filiera di produzione a chilometri zero. Lo sforzo profuso dall’agricoltore non è invece ripagato in modo equo: c’è troppa discrepanza tra il prodotto di stagione raccolto dal contadino e il guadagno che ne consegue rispetto al prodotto venduto nei supermercati. «È triste pensare che anni fa i miei genitori guadagnavano abbastanza da poter garantire solo con certi raccolti il sostentamento di un’intera famiglia, mentre ora si riescono a coprire a malapena le spese». Ci troviamo davanti al solito dilemma: come mai, se il prodotto è di buona qualità, gran parte resta invenduto? Alla
la monocoltura, cioè la produzione controllata di una sola specie di pianta, è un altro dei problemi dell’agricoltura di oggi: «Praticando la monocoltura l’uomo ha semplificato la struttura dell’ambiente riducendo la ricchezza di forme viventi che caratterizza un ecosistema naturale – è la spiegazione di Luca – Nell’ecosistema naturale una grande varietà di forme viventi garantisce la stabilità per la comunità vivente. Le monocolture si sono rivelate così ecosistemi vulnerabili ai parassiti e alle malattie». In passato i contadini erano consapevoli che una produzione varia e il sistema a maggese delle colture garantivano maggiore fertilità dei terreni senza dover giungere al largo uso di additivi chimici. A loro volta, i pesticidi, col passar del tempo, impoveriscono i terreni e rischiano di compromettere gli stessi raccolti. Sembra quasi che per essere competitivi e per rimanere nel trend della produzione agricola, sia necessario sottostare a certi compromessi che… compromettono sempre più l’agricoltura abruzzese con i suoi sapori e odori. «Ricordo che d’estate l’aria odorava di fieno, fin giù la marina, confondendosi con le correnti salmastre. Le contrade, i paesi erano invasi dall’effluvio delle erbe secche. Ogni volta che penso al passato, il primo ricordo è olfattivo ed è appunto quel semplice odore di grano che si confondeva con il mare. Ma di tutto quello che fu vita, lavoro, tradizione, cultura abruzzese, non vi è rimasta che qualche debole traccia».
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IL PUNTO DI VISTA DEGLI AGRICOLTORI
La Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) si occupa di fornire informazioni e servizi utili ai cittadini e alle imprese operanti nel settore agricolo. Il presidente della Cia della provincia di Teramo, Giorgio De Fabritiis, ha constatato in particolare che il problema dell’agricoltura abruzzese è un problema culturale: «La collettività – ci ha illustrato – dovrebbe preservare il ruolo del contadino, che nel sistema economico è il meno visibile nonostante produca quello che ci permette di vivere mangiando. Mentre gli agricoltori non riescono quasi più a vivere di quello che producono. La produzione di derrate è aumentata, è necessario allora un discorso di qualità e non di quantità e soprattutto favorire la biodiversità». I tanti soci agricoltori che aderiscono alla CIA lamentano problemi di reddito di fronte all’elevato aumento di gasolio per i mezzi agricoli, e l’aumento del costo dell’acqua. «Una soluzione – continua De Fabritiis – potrebbe essere tornare alle cooperazioni di un tempo, visto che dopo una breve stagione felice hanno perso il loro fascino, tanto che sono scomparse quasi tutte: riproporle sarebbe una buona soluzione per abbattere i costi». Un altro problema emerso è legato alla precaria situazione delle infrastrutture e dei servizi nelle aree più interne: se non vi sono servizi adeguati come può un agricoltore portare economia in una azienda? Sembrano problemi di altri tempi ma è la situazione reale del nostro Abruzzo, così come si stanno perdendo le varietà di frutti: «Un tempo si potevano trovare varie tipologie di mele, oggi sono standardizzate a tre o quattro varietà: questo perché le sementi vanno gradualmente a perdersi, cancellate dai registri europei, e sono destinate alla probabile estinzione e a essere completamente sostituite da ibridi, i cui semi non si possono riseminare se non penalizzando fortemente la possibilità di raccolto». Oggi, la quasi totalità delle sementi delle varietà commerciali di cetrioli, cocomeri, pomodori, melanzane, zucchine, meloni e peperoni sono ibridi e una piccola parte sono le varietà più vecchie di trentacinque anni. Il cambiamento di certi aspetti dell’agricoltura significa la perdita anche della relativa cultura; la cultura di un paese sparisce infatti se sparisce la sua terra: alberi, biodiversità, identità alimentare, tradizioni, canti, superstizioni, feste, rapporto con la natura. «Esiste una relazione stretta fra coltura e cultura – conclude De Fabritiis – ed è necessario fare un passo indietro e ridare all’agricoltura il ruolo che gli spetta, ma la realtà è che, ormai, business e agricoltura sono un binomio inscindibile». (M.D.B.)
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Le monocolture si sono rivelate ecosistemi vulnerabili ai parassiti e alle malattie
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C COME ORTO
Speciale Terra
di Giovanni Rosato – Foto: Aurelio Manzi, Mario Pellegrini, Giuseppe Manzi
QUI SI PROTEGGE LA NOSTRA STORIA Alla ricerca dei prodotti medievali Enula e calamo
Mochi
Ceci (nero, rosso e a fiaschetta)
Robiglio e pisello comune
Fagiolo “socere e nore”
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Ciò che mi stupisce maggiormente quando penso al cibo, è osservare l’impronta culturale che lega inevitabilmente ogni uomo al suo territorio di nascita, che si potrebbe identificare anche grazie ai consumi alimentari che segnano, come un confine geografico, le nostre differenze. Ognuno di noi porterà per sempre con sé una traccia indelebile, fatta di ricordi e profumi, di alcuni cibi da cui è stato letteralmente “cresciuto” e che variano a seconda di cultura, zona di provenienza ed educazione. Le principali sfide del nostro secolo, come i cambiamenti climatici, la conservazione della biodiversità, la crisi energetica, la sovranità alimentare e l’accesso al mercato per i produttori agricoli, dovrebbero essere affrontate confrontando l’agricoltura odierna con quella biologica, sostenibile e biodinamica, conoscendo le problematiche legate all’uso di pesticidi, fertilizzanti e diserbanti nella coltivazioni e il conseguente inquinamento del suolo, soppesando gli effetti sul sistema ambiente e sulla nostra salute. Le varietà autoctone sono organismi adattati all’ambiente nel tempo, quindi capaci di resistere anche in situazioni difficili perché hanno messo in atto delle vere e proprie strategie per la sopravvivenza: in questo modo resistono
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in situazioni estreme, ad esempio di scarsità d’acqua o di temperature eccessivamente basse o alte. La tutela di queste varietà è importante anche per preservare la cultura e le tradizioni dei luoghi. Nel mondo contadino del passato, infatti, ogni famiglia custodiva una propria “banca del seme”, un patrimonio genetico di sementi, a volte frutto del lavoro di intere generazioni, rinnovato e perpetuato nel tempo. Tra le antiche forme colturali, gli orti tradizionali costituiscono un tassello importante nel mosaico del paesaggio agrario. I vecchi orti infatti segnano e condizionano la struttura e la forma urbana delle nostre città storiche con la loro geometrica disposizione. In Abruzzo le testimonianze di maggior interesse le troviamo all’Aquila, dove gli ortolani della Rivera, raggruppati un tempo in corporazioni, coltivavano l’importante area orticola tuttora attiva a ridosso delle mura cittadine ed irrigata dalle acque della fontana delle novantanove cannelle. Altri orti antichi disposti su terrazzamenti sorretti da mura si trovano a Fossa, Capistrello, Montorio al Vomano, mentre nei Comuni Rocca San Giovanni, Lanciano e Atessa ne troviamo alcuni a ridosso delle antiche mura medievali. Certi vegetali a noi oggi comuni erano sconosciuti agli uomini dell’antichità classica e del Medioevo: non dobbiamo mai dimenticare che patate, pomodori, granturco e tantissimi altri
Sono state recuperate varietà come i ceci neri o la rapa del Gran Sasso
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Speciale Terra cominciarono ad arrivare in Europa solo dopo la scoperta del continente americano. Che cosa si trovava, dunque, negli orti, e quindi sulle tavole, degli uomini vissuti in Abruzzo prima del 1500? Lo possiamo scoprire grazie all’orto medievale rurale allestito tre anni fa, per finalità didattiche e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, nella Riserva regionale “Lago di Serranella” in
coronopo, enula campana, macerone, che invece in passato costituivano un cibo comune sulle tavole. Accanto agli ortaggi classici, c’è tutto un campionario di legumi e cereali frequentemente coltivati in passato ma oggi dimenticati, tra cui la cicerchiola, la cicerchia porporina, i mochi, il robiglio; oppure il miglio, il panico, la saggina, i farri. «Particolare attenzione è stata posta nel recupero delle vecchie varietà
Val di Sangro, in base alle informazioni dedotte dai documenti storici e dall’indagine territoriale. «L’esperienza degli orti tradizionali, medievali e di altre epoche storiche costituiscono uno strumento originale per focalizzare l’attenzione sulla necessità di salvaguardare la straordinaria biodiversità agraria che si è accumulata nei millenni di pratica agronomica – spiega Mario Pellegrini, direttore della Riserva regionale dell’Oasi di Serranella – e che se non sapientemente custodita rischierebbe l’estinzione delle antiche varietà agronomiche delle nostre campagne. L’orto è anche il luogo fuori dal tempo, dell’intimità ritrovata. Nella cura delle piante, nel rispetto dei cicli biologici, l’uomo ritrova quel rapporto profondo e sincero con la natura e i suoi ritmi. Un legame che oggi si è profondamente incrinato, ma di cui sempre più si sente la necessità». Alcuni degli ortaggi coltivati (circa un centinaio) oggi non vengono più consumati, come ad esempio pastinaca,
colturali in uso nella vallata del Sangro – conclude Mario Pellegrini – e, più in generale, in Abruzzo, ormai sull’orlo dell’estinzione in quanto soppiantate dalle moderne cultivar orticole». Sono state così recuperate varietà altrimenti destinate all’oblio, come i ceci neri e quelli a fiaschetta, la rapa del Gran Sasso, la zucca a fiaschetta in uso lungo il Sangro, la cipolla di Scurcola Marsicana, il farro dei Monti della Laga o l’orzo da caffè del Teramano e via di seguito. Altri settori dell’orto della Riserva ospitano le piante classiche della tradizione erboristica medievale (agnocasto, ruta, malvone, scilla, balsamita, peucedano, ecc.), così come alcune piante aromatiche, oggi quasi del tutto dimenticate ma un tempo di uso comune: coriandolo, aneto, maggiorana, menta verde, rafano. Si possono osservare anche le essenze tradizionalmente coltivate per tingere i panni, come il guado o la robbia, le piante ricche di tannino impiegate per conciare i cuoi, come nel caso dello scotano o del sommacco.
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I vecchi orti condizionano la forma urbana delle nostre città storiche
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NEL PESCARESE GLI ESPERIMENTI PIÙ GIOVANI Melissa, lavanda, timo, valeriana, menta, alloro, biancospino. E poi salvia, iperico per curare le ferite, la robbia per tingere i tessuti di rosso, il guado per l’azzurro. Infine, al centro, un melograno, a simboleggiare la fertilità e l’abbondanza. Il piccolo orto medievale di 25 metri quadri impiantato ad Elice nell’estate 2010 dall’associazione Elicethnos con la collaborazione dell’amministrazione comunale sarà a tutti gli effetti funzionale alla rievocazione medievale che ogni anno coinvolge circa 200 figuranti elicesi nel centro storico. Il cerusico, l’uomo alla taverna e il tintore lavoreranno le piante in diretta, dando ancora più credibilità alla loro mansione, perché si avvarranno di questa riproduzione dell’orto “dei semplici” realizzato con la consulenza della studiosa di storia medievale Miriam Di Domenico. L’orto “dei semplici” era gestito principalmente da monaci ed è chiamato così perché le erbe venivano usate com’erano, senza contaminazioni o lavorazioni ulteriori (come accade invece per le erbe “officinate”). Ad Elice è stato ricreato, non a caso, in “vie degli orti”, riportandolo quindi probabilmente in un luogo che già lo ha visto crescere. Una ricerca storica analoga è in corso nella Riserva naturale Lago di Penne ad opera della Cogecstre. (C.M.)
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C COME NATURALE
Speciale Terra
di Natascia Cupaiolo e Angelica d’Angiò - foto di Natascia Cupaiolo e Antonio d’Angiò
FATELO CON LE ERBE SPONTANEE La tradizione esalta sapori e proprietà
Curarsi con le erbe spontanee non significa correre ai ripari quando un malanno ci affligge. Un modo per curarsi, anzi certamente il modo migliore per salvaguardare al meglio la propria salute, è cibarsi frequentemente con i prodotti selvatici della terra, e vivere ogni giorno tenendo presente il nostro benessere. “Ogni menù è una ricetta medica” citava a metà 900 una delle massime di J. Rostad: spostando l’asse portante alimentare dal cibo della tradizione al cibo industriale dell’epoca attuale, abbiamo negato ampiamente questa affermazione, con la conseguenza fondamentale di veder fiorire ogni genere di patologia legata ad un cattivo modo di alimentarsi e di un totale allontanamento dalla natura. In un simile contesto si inserisce il nostro lavoro di recupero di alcuni piatti della tradizione alimentare abruzzese legata all’uso di piante spontanee nel nostro territorio. Ciò significa riconquistarsi un legame con la propria terra attraverso i suoi frutti più preziosi, consumandoli il più possibile così come ci vengono dati. Oltre all’importantissimo recupero del legame con la terra, biologico, antropologico e culturale, l’alimentazione naturale che reintroduce l’uso di erbe spontanee richiede di acquisire una maggiore consapevolezza in campo nutrizionistico (fitoterapia alimentare) per capire in modo semplice come, recuperando i
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Borragine
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piatti della nostra tradizione contadina, si componga un pasto equilibrato e sano. L’alimentazione naturale rappresenta per noi una ricerca in cui risulta felice il connubio fra tradizione ed innovazione: essa è allo stesso tempo in sintonia con il modo di alimentarsi tradizionale delle generazioni passate e le ricerche scientifiche più attuali che evidenziano i principi attivi, il valore energetico e nutrizionale di erbe spontanee utilizzate in ricette ormai scomparse da tempo dalle nostre tavole. Il “simposio delle erbe”, incontri ragionati sulla corretta alimentazione, consiste in una delle nostre iniziative, appena avviata, in collaborazione con l’associazione naturalistica “Il Veratro” di Chieti: le protagoniste sono le erbe spontanee della tradizione culinaria popolare abruzzese, ne viene esaltato il valore nutrizionale e terapeutico, e vengono riportate in concreto sulla tavola imbandita a festa conoscenze antiche e moderne di un’alimentazione sana e consapevole. Nella prima cena-incontro la lettura di racconti di medicina alimentare popolare, ricette, poesie, detti e proverbi, indicazione di nomi dialettali attribuiti alle erbe, è stata accompagnata da un attento resoconto di Angelica, educatrice alimentare, sulle evidenze nutrizionali dei vari piatti del menù, e di Natascia, farmacista specializzata in fitoterapia, sul loro valore
Ricette ormai scomparse dalle nostre tavole hanno importanti valori nutrizionali e terapeutici
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Speciale Terra Convento di Sant’Antonio
fitoterapico specifico accertato da evidenze scientifiche. È stato solo il primo degli incontri a tema che si svolgeranno anche nel 2011 nella sede del circolo culturale “Fermenti” a Monteodorisio, nato proprio con la mission di promuovere iniziative culturali a vari livelli nel nostro territorio. In quell’occasione, la raccolta delle erbe è stata fatta a San Buono, in un luogo incontaminato vicino ai boschi del
come la pimpinella, la cicoria, la piantaggine, la calendula e i suoi fiori, i crespini detti cascigni, la malva, la ruchetta, la borragine, e contiene proprietà terapeutiche importanti tali da determinare azioni marcatamente antinfiammatorie, ricostituenti, rimineralizzanti, depurative, disintossicanti, digestive, antibatteriche, vitaminizzanti, diuretiche, antianemiche e potremmo continuare a lungo. “Pizze e
convento di Sant’Antonio, con l’ausilio di nonna Anna che, donna esperta di erbe spontanee, ci ha aiutate in questo percorso. Molte delle piante contenute nelle ricette tradizionali come pizze e fuje o cascigne e fajule, nei tortini all’ortica ed erbe aromatiche, negli olii aromatizzati, nel pesto di pimpinella, nelle “misticanze”, nelle erbe pastellate che abbiamo scelto di introdurre nei nostri menu possiedono proprietà terapeutiche rilevanti. Basti pensare alle sole foglie di borragine, pastellate in farina di riso e cotte al forno per sfruttare al meglio le proprietà terapeutiche dell’acido gamma linoleico. Confermate dall’individuazione dei principi attivi da parte dei moderni metodi scientifici, queste proprietà terapeutiche venivano attribuite alla borragine già dalla tradizione contadina, per soggetti affetti da sindromi depressive, stati di angoscia, di abbattimento, nervosismo e insonnia: da qui l’appellativo “pianta del buon umore”. Essa costituisce un ottimo tonico del sistema nervoso e non solo: i bambini un tempo succhiavano il suo fiore dolciastro, che di acido gamma linoleico contiene la percentuale più alta. La sola “misticanza”, l’insalata mista di erbe selvatiche che è stata offerta all’inizio dell’incontro a tema per stimolare l’azione enzimatica, è fatta con erbe
fuje” è un piatto semplice della tradizione contadina abruzzese, fatto con verdure selvatiche di stagione lessate e ripassate in olio d’oliva, accompagnate da peperoni rossi dolci e dalla “pizze”, un impasto di farina di granturco ed acqua bollente cotto al forno o tradizionalmente sotto il “coppo” nel focolare domestico, sbriciolata e ripassata insieme alle verdure e al condimento che può essere arricchito con guanciale di maiale. Le erbe utilizzate da noi in questa stagione sono state principalmente la bieta, la “panarazza”, nome dialettale che indica l’aspraggine, e la piantaggine, la malva e i cascigni, le cui proprietà terapeutiche sono molteplici. “Cascigne e fajule” è un altro piatto popolare della tradizione culinaria abruzzese in cui viene utilizzata, oltre ai fagioli locali, un’erba spontanea piuttosto comune e presente in molte ricette: il crespino, detto “cascigno”. Esso è raccolto indifferentemente nelle sue tre specie, quale quella comune (sonchus oleraceus), spinosa (sonchus asper) e dei campi (sonchus arvensis). Ha un buon contenuto di sali minerali, vitamine, fibre; ha proprietà diuretiche, digestive, depurative, lassative ed ipoglicemizzanti. Il suo sapore dolciastro serve a bilanciare l’amaro di altre erbe, per questo è presente in qualsiasi misticanza e nella preparazione di pizze e fuje.
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La borragine porta il buonumore; i “cascigni” sono depurativi
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, Sbollentatura per pizze e fuje
Piantaggine
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UN TAGLIO NON VALE UN ALTRO…
Per capire se chi sta in cucina sa quel che fa, oltre alla pulizia di cui si circonda occorre guardargli nel...cassetto delle posate. La dice lunga, infatti, se dentro c’è un coltello di ‘ceramica’, e lo usa regolarmente nel tritare/affettare/sminuzzare. Per queste operazioni non c’è nulla di peggio che la lama metallica, in quanto materiale che volatilizza gli aromi propri e non preserva le sostanze nutritive nobili dei cibi. La prova si fa sfregando le dita odorose di pesce, per esempio, sotto il filo d’acqua contro una lama qualsiasi: l’afrore sparirà subito. Si chiamano generalmente coltelli in ceramica ma in effetti spesso la base utilizzata è ossido di zirconio, sorta di diamante sintetico: essendo materiale inerte è antibatterico, non provoca reazioni chimiche con gli alimenti, evitando così sapori sgradevoli di metallo, ed ovviamente non si deteriora perché non ha parti ossidabili. Facile da lavare, basta un goccio di detersivo per stoviglie. Leggerissimo e maneggevole, è sempre pronto per l’uso dato che mantiene inalterata, anche per anni, una perfetta taglienza. Unico difetto: costa molto più di un coltello normale, ma se ben curato dura per sempre, proprio come un diamante! (M. A.)
Nonna Anna sceglie i “cascigni”
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C COME VIGNE
Speciale Terra
di Maurizio Odoardi e Angela Iezzi (ARSSA) – Foto: Mario Sabatini/Modiv
COLTURE E IMPIANTI ENERGETICI Cosa sta succedendo in Abruzzo?
Il produrre uva e vino, come per qualsiasi altra attività produttiva, è condizionato soprattutto dal profitto. Le produzioni agricole dipendono infatti anche da altri fattori, come quelli merceologici, di costume, sviluppo tecnologico, e ambiente, nel quale vengono portate avanti, in maniera naturale e con il corretto e vario intervento dell’uomo. Quello vitivinicolo è un comparto sottoposto alle regole della Unione Europea, in termini di quote di superficie di possibile coltivazione possibili da ottenere da parte di ogni Paese e ogni conduttore di vigneti. È noto che negli ultimi decenni, ove le condizioni climatiche
dei vigneti (Reg.CEE 479/08, 555/08 e successivi applicativi). In sostanza è stata data la possibilità, nel triennio 20082011, di estirpare in Italia oltre 50.000 ettari di vigneto con un contributo ettariale che va da oltre 10mila euro a decrescere nell’ultima annualità: il tutto, per cercare di ristabilire un migliore equilibrio di mercato. In Abruzzo, dove i vigneti nel 2008 occupavano una superficie di circa 35.000 ettari, la quota di riferimento è di oltre 3mila ettari, che sarà quasi raggiunta con l’attuale ultima fase di estirpi. Ovviamente i vigneti saranno sostituiti con altre coltivazioni e forme di gestione del suolo.
lo hanno reso possibile, in molte zone del mondo sono stati condotti programmi di introduzione e di incremento della coltivazione della vite destinata a produrre uve da vino. Il fenomeno è stato spesso gestito in forma industriale e poco regolamentata ed ha generato, anche per questi motivi, uno scompiglio nella millenaria storia dell’agricoltura mediterranea in cui la coltivazione della vite è tradizionale, originale e tipica dall’epoca avanti Cristo. La politica Comunitaria tra le tante riforme ha prodotto quella della nuova Organizzazione comune di mercato del vino, e tra le misure transitorie ha previsto l’estirpazione a premio
Le motivazione dell’ampia adesione alla Misura comunitaria sono da ricercare soprattutto nel momento di crisi che attraversa il settore vitivinicolo per i diminuiti prezzi di mercato, e quindi nel minor interesse a produrre vino. Ma non bisogna dimenticare che la vitivinicoltura è un’arte antica che oggi trova ulteriore valorizzazione nel connubio inscindibile con la storia di un territorio, con la cultura dei suoi popoli, con la tradizione e le caratteristiche pedoclimatiche e paesaggistiche dei luoghi. Anche in questa ottica andrebbe inquadrato lo “spopolamento viticolo”, che desta qualche preoccupazione in diverse zone del territorio regionale.
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È fortemente riduttivo correlare l’incremento del fotovoltaico all’estirpazione dei vigneti
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Speciale Terra
Dai semi migliori I raccolti migliori I mangimi migliori
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Il principio che avrebbe dovuto guidare le estirpazioni dei vigneti intendeva favorire la qualità naturale del vino, eliminando le viti meno in grado di fornire produzioni di eccellenza (quelli a fondo valle umidi e molto produttivi, o vitigni di scarsa qualità riconosciuta). Si dovrebbe invece decisamente dire no all’eliminazione dei vigneti collinari e delle aree più vocate, che danno molto spesso in Abruzzo vini magnifici e dei vigneti che caratterizzano il paesaggio. Sono proprio loro a costituire il valore ambientale della viticoltura tanto perseguito e osannato. Tra l’altro, la riduzione dei vigneti e della produzione comporta anche ripercussioni sociali di una certa rilevanza: un esempio su tutti, minore occupazione. Quale futuro aspetta i terreni “denudati” dalle vigne? In diversi casi si assiste al perseguimento di un altro lodevole obiettivo: il risparmio energetico attraverso l’installazione di impianti fotovoltaici. Essi sfruttano l’energia solare per produrre energia elettrica e rappresentano, unitamente ad altri sistemi di energia rinnovabile (eolica, da maree, da biomasse) importanti possibilità per sostituire parte delle energie fossili in via di esaurimento. Tra gli altri, il decreto ministeriale del 28 maggio 2005 ha previsto significativi aiuti alla realizzazione di impianti fotovoltaici e diversi ne sono stati realizzati anche in Abruzzo o ve ne saranno su terreni ex vigneti. Queste strutture hanno quindi un loro significato soprattutto economico per il proprietario del terreno, come contratti di affitto di durata minima decennale ben remunerati; di fatto, però, possono deturpare il paesaggio in maniera tale da arrecare danni a volte ingenti diretti e indiretti. È necessario rilevare che l’agricoltura nel suo complesso risente in maniera forte dello stato di crisi globale, infatti non esistono coltivazioni e attività connesse che garantiscono redditi certi e duraturi. Bisognerebbe incrementare l’attenzione verso il mondo agricolo e intervenire nei confronti di quegli anelli della filiera vitivinicola che si assicurano
margini elevati di profitto a scapito dei produttori agricoli. Inoltre, nella gestione del territorio, ad esempio per la progettazione dei piani paesaggistici, si dovrebbe prevedere la partecipazione attiva di quelle figure professionali, gli agronomi, in grado di valutare i pro e i contro dei molteplici fattori che entrano in gioco. Le più belle e caratteristiche colline teatine, per dirne una, non possono perdere quel fascino rappresentato per oltre mezzo secolo dalle distese di vigneti variamente colorati, in primavera dalle tonalità di verde e dai vari gialli e rossi in autunno. La “pergola solare” – tipologia d’impianto fotovoltaico – non dovrebbe sostituire la “pergola abruzzese di vigneto” produttrice di quel nettare degli dei tanto conclamato fin dall’antichità e nell’era moderna. I vigneti e i produttori vitivinicoli, la cultura, la tradizione, la tipicità, l’originalità, costituiscono quella trama che oggi si concretizza nel turismo ecosostenibile e in quello gastronomico tanto faticosamente realizzati nel tempo e apprezzati anche in Abruzzo. Non è corretto ed è fortemente riduttivo correlare l’incremento del fotovoltaico all’estirpazione dei vigneti, che rappresenta solo un’occasione coincidente e nulla più. Magari ci si deve augurare che gli impianti fotovoltaici possano essere realizzati in siti comunque idonei, ma non in quelli ove il vigneto è un valore da salvaguardare per il bene di tutti. Le scelte imprenditoriali sono sempre prevalenti e condizionano i cambiamenti nella società, che in questo caso può essere chiamata a convivere con realtà non perfettamente in linea con i migliori auspici teorici. I mutamenti legati allo sviluppo tecnologico non possono essere rifiutati, ma vanno gestiti negli interessi della società, intera pubblica e privata, così come la viticoltura, oggetto in questi anni della ricerca di un nuovo equilibrio tra produzione e consumo, deve poter seguire il suo percorso non più solo con la partecipazione attenta dei soggetti della filiera più direttamente coinvolti.
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Impianto a biogas di potenza 1 MW
C COME VI CONSIGLIAMO
Speciale Terra
Redazionale
ARGON ENERGIA Srl. via G.Carducci, 71 65122 Pescara Tel/Fax:+39.085.9434828 info@argonenergia.com
IN AGRICOLTURA VA FATTA DI NECESSITÀ VIRTÙ Argon Energia: «Gli scarti faranno la differenza»
«L’ingresso delle rinnovabili nel mondo dell’agricoltura può rappresentare, per molti imprenditori agricoli alle prese con attività in crisi, la chiave di volta per il futuro”. La pensa così Giacomo Ortolano, fondatore ed amministratore della Argon Energia Srl, azienda nata circa tre anni fa a Pescara e con due sedi operative a Roma e Milano. La Argon, oltre a realizzare impianti ad energia rinnovabile chiavi in mano per industrie, famiglie e pubbliche amministrazioni (“working for”), progetta sistemi per la produzione di energia in partnership con importanti player nazionali (“working on”). Ma non solo: Argon Energia sta coltivando nuove idee per il comparto agroalimentare, nutrendole con una filosofia aziendale che rappresenti il giusto connubio tra compatibilità ambientale e paesaggistica ed utilizzo delle rinnovabili. Come emerge da un’indagine condotta a livello nazionale da Confagricoltura, il settore primario dell’economia sta vivendo una crisi profondissima: l’Italia ha perso, negli ultimi 12 anni, 5 milioni di ettari di superficie agricola e, di tutti gli ettari censiti come agricoli, ben un milione è abbandonato a se stesso. «Proprio nel momento in cui la normativa relativa al mondo delle rinnovabili si sta facendo più stringente, è opportuno che gli imprenditori agricoli colgano i vantaggi offerti da queste nuove fonti di energia», suggerisce Ortolano.
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Tra le fonti più convenienti per gli agricoltori, oltre al fotovoltaico e all’eolico, ci sono le biomasse, che utilizzano i residui di lavorazione dei campi o le colture dedicate: quelli che, spesso, sono scarti o produzioni non redditizie possono infatti trasformarsi in conferimenti per la generazione di energia pulita garantendo, così, la crescita di imprese innovative ed autosufficienti.Dai reflui degli allevamenti, ad esempio, si può estrarre biogas, e dai residui di lavorazione dei campi si possono ricavare biomasse per la produzione di calore, di energia e del 10% di biocarburanti obbligatorio al 2020. Un esempio di come Argon Energia si sta muovendo in questo campo possiamo vederlo nel settore vitivinicolo, in cui sta lavorando alla valorizzazione degli scarti di potatura della vite, utilizzando la vinaccia e gli scarti stessi per la produzione di energia. Oppure, nel campo del trattamento delle colture dedicate, settore nel quale l’azienda ha attivato un impianto di biogas da 1 MW in Piemonte. Le rinnovabili hanno tutte le potenzialità per invertire la tendenza del settore agricolo rendendolo anche più appetibile per le nuove generazioni: il vecchio agricoltore potrebbe lasciare il passo ad un piccolo ma grande imprenditore, con in testa il cappello dell’innovazione ed in mano le radici per il futuro. Una bella sferzata di… energia, per il mondo del lavoro.
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C COME SPESA
Speciale Terra
Foto: Modiv/Coldiretti
GLI ABRUZZESI VANNO DAL CONTADINO Le iniziative a favore della filiera corta
In genere si dice che se Maometto non va alla montagna, è la montagna ad andare da Maometto. In Abruzzo da pochi mesi accadono entrambe le cose: i produttori hanno fatto in modo che il consumatore possa sia raggiungerli in campagna, sia accoglierli in città. Oltre al circuito dei punti vendita Agriservice, nato per commercializzare prodotti abruzzesi e latte fresco; alle tavole calde “Terra del gusto”, che vanno per la maggiore nel Teramano usando soprattutto prodotti locali; e al mercato permanente del prodotto tipico che da marzo funzionerà all’interno di Ekk Abruzzo in sintesi, a Città Sant’Angelo, ci sono due grandi iniziative che permettono al percorso tra il produttore e il consumatore di accorciarsi. La prima è inserita nel circuito nazionale “La spesa in campagna” della Cia, patrocinata dalla Regione Abruzzo e a cura di Turismo verde Abruzzo, associazione Donne in campo e Agia (Associazione giovani imprenditori agricoli) e si chiama “La spesa in fattoria in Abruzzo”. Il sito www. laspesainfattoria.it si presta a guida web degli oltre 300 produttori, divisi per categorie merceologiche, per province e anche per Comuni, che si impegnano a riproporre le specialità inserite nell’Atlante dei prodotti tipici tradizionali e prodotti Dop, Igp, Doc, Doccg. Aziende biologiche e biodinamiche,
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piccole attività di artigianato rurale e di conserve, confetture, liquori e infusi sono accanto ad aziende che fanno vendita diretta di latte, formaggi, olio extravergine di oliva, vino, miele, prodotti apistici, carne, salumi, uova, ortaggi, zafferano, frutta, erbe officinali, cereali e legumi. In questo modo si va a colpo sicuro scegliendo on line i prodotti che interessano e andandoli ad acquistare direttamente dal produttore. La seconda iniziativa vede i produttori partecipare all’Agri mercato di “Campagna amica”: da novembre a Pescara c’è il primo che la Coldiretti allestisce completamente al coperto, ma dal sito www.campagnamica.it si rintracciano facilmente le date dei mercati di Vasto, Lanciano, Chieti, Alba Adriatica, Giulianova e Sant’Omero. Circa 35 produttori, di cui la maggior parte provenienti dal Pescarese, dal giovedì al sabato sono stanziali a Pescara nella struttura adiacente al mercato ittico sul lungofiume nord, e dalle 8,30 alle 19,30 propongono verdure, frutta, pane, olio, vino, formaggi, cereali, legumi e carni tutelati dalla garanzia Coldiretti, che impone un prezzo di vendita inferiore almeno del 30% a quello indicato dall’sms consumatori (47947) come prezzo medio di un dato prodotto. Maometti di tutto Abruzzo, la campagna vi aspetta!
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Speciale Terra
C COME SICUREZZA
C COME DIBATTITO
di Maura Di Marco
Speciale Terra
di Massimo Giuliano
CIA E INAIL COLTIVANO LA PREVENZIONE
ITALIA A RISCHIO OGM? I sì e i no
Se son rose fioriranno
Nel mondo dell’agricoltura affiora “Agricoltura sicura”, un’iniziativa per la sicurezza e la prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro promossa dalla Confederazione Italiana Agricoltori abruzzese e dall’Inail Abruzzo su base regionale. Il progetto è stato illustrato in una conferenza stampa lo scorso 13 gennaio alla presenza, per l’Inail, di Enrico Susi, vice direttore regionale, Antonio Di Marino, responsabile regionale attività istituzionali e Giorgio Picco, responsabile processo regionale prevenzione; per la CIA, di Domenico Falcone, presidente regionale, e Roberto Furlotti, amministratore delegato della Cipat Abruzzo, agenzia formativa della Cia. I dati relativi agli incidenti sui posti di lavoro sono allarmanti: in un anno, gli infortuni sul lavoro in Abruzzo sono sì “scesi’”dai 24 mila ai quasi 20 mila casi nel 2009, ma il numero resta altissimo, così come altissima è l’incidenza sul mondo dell’agricoltura. Dei 20mila infortuni, 2400 riguardano il settore agricolo, flagellato anche da 9 decessi sui 39 in totale e da un terzo delle 40mila malattie professionali rilevate. Difficile trovare dei rimedi nell’immediato: ogni settore ha le sue caratteristiche ed i suoi codici comportamentali, per cui ben vengano iniziative come questa che hanno, tra le prime
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azioni da mettere in piedi, un’indagine a campione (saranno intervistate 600 imprese e 200 lavoratori) per «leggere meglio – come recita la nota stampa della CIA – le problematiche sulla sicurezza ed invertire l’attuale stato delle cose». L’obiettivo che si pongono i soggetti promotori è ambizioso ma auspicato da tutti: «ridurre sensibilmente il numero di incidenti e di malattie professionali nel mondo dell’agricoltura». Per fare questo è necessaria, oltre all’indagine, una campagna di comunicazione a tappeto che coinvolga imprenditori ed operai, lavoratori e consulenti, nonché un’azione di formazione che crei delle nuove figure di front office e back office, capaci di dialogare al meglio con l’utenza. La comunicazione, intesa anche come semplificazione amministrativa e facilità di accesso ai dati, è “il seme” da cui cresceranno tutte le azioni di questo progetto. Anche la comunicazione ex post, infatti, avrà il suo peso: alle strategie messe in campo faranno seguito delle azioni di monitoraggio che serviranno a drizzare il tiro. Un confronto continuo e trasparente tra pubblico e privato è quello che tutti, compresi i soggetti promotori, si aspettano da quest’iniziativa. E, come si dice, se son rose fioriranno.
arma che abbiamo per competere sui mercati internazionali». Il ministro dell’agricoltura Giancarlo Galan, ormai si sa, è a L’ammonimento di Coldiretti è che «gli Ogm spingono verso un favore degli Ogm. E questo sta naturalmente generando due modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione schieramenti: i pro e i contro, anche perché Galan ha scelto e il grande nemico della tipicità. La scelta di non utilizzare una linea nettamente di rottura rispetto a quella sposata Ogm riguarda una precisa posizione economica per il futuro dal suo predecessore, Luca Zaia, e in generale dagli ultimi di un’agricoltura che vuole mantenere saldo il rapporto con i ministri delle politiche agricole. consumatori». Duilio Campagnolo, presidente L’Abruzzo, per fortuna, di Futuragra, parla di “ipocrisia” COSA SONO GLI OGM ha già detto no per voce sull’argomento, in quanto dell’assessore regionale «gli Ogm vengono importati Su Wikipedia leggiamo che “con Organismi genetiall’agricoltura Mauro Febbo. senza alcun problema per le camente modificati si intendono solo gli organismi Noi ci limitiamo a fornire un filiere zootecniche della nostra in cui parte del genoma sia stato modificato tramite dato quantomeno interessante: eccellenza agroalimentare ma, le moderne tecniche di ingegneria genetica. Non solo 1 italiano su 10 vede come allo stesso tempo, si fa di tutto sono considerati Ogm tutti quegli organismi il cui un pericolo la diffusione dei cibi per negare agli agricoltori di patrimonio genetico viene modificato a seguito di Ogm (11,7%), secondo quanto trarre vantaggio dagli evidenti processi spontanei”. emerge da un sondaggio benefici economici, ambientali e dell’Osservatorio Scienza e sanitari degli Ogm». Società. Ma c’è anche chi dice no: «Bisogna fare molta attenzione Intanto, poco prima di Natale, Galan è tornato a farsi sentire quando si parla di miglioramento genetico e di Ogm perché sulla questione, ribadendo al presidente della Conferenza un conto è la selezione naturale aiutata dall’uomo secondo delle Regioni che bisogna adottare le linee guida sulla le leggi di Mendel e un conto sono gli Ogm», afferma il coesistenza tra colture tradizionali e biologiche e quelle presidente della Coldiretti, Sergio Marini, che paventa anche geneticamente modificate, per interrompere uno stallo «una confusione che non fa altro che distruggere il valore e che dura da anni. Il dibattito, insomma, è destinato a non la distintività del nostro Made in Italy agroalimentare, l’unica esaurirsi.
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C COME TRENO
di Monica Andreucci– Foto: Federico Rucci e Pietro Di Padova
LA SULMONA-CARPINONE D’INVERNO A sciare… sui binari
Il viaggio che stavolta andremo a fare con il treno, alla scoperta delle località e delle contrade più segrete d’Abruzzo, si svolge sulla linea che raggiunge la seconda quota più alta ed è tra le più datate dell’intero sistema ferroviario italiano: quella che da Sulmona va a Carpinone per poi dirigersi o verso Napoli o a Campobasso/Benevento. È così rilevante da rendere arduo scegliere tra le tantissime citazioni storiche, tecniche e turistiche per raccontarla, e sono talmente vari i territori attraversati dai binari che il tasso di “biodiversità” compone un paniere ricchissimo di prodotti agroalimentari indigeni. Non per nulla l’area in cui si snoda tocca due Parchi Nazionali (Maiella-Morrone e Parco Nazionale d’Abruzzo) e quattro aree protette di gran rilevanza (Bosco S. Antonio e Quarto S. Chiara su Campo di Giove, Monte Genzana-Pettorano, Montedimezzo/Torre di Feudozzo-Castel di Sangro). Una delle primissime pubblicazioni per turisti, la “Guida d’Abruzzo” di Enrico Abbate, nel 1903 scrive che dalla città di Ovidio “si stacca un tronco ferroviario, inaugurato il 18 settembre 1897, fino a Isernia, ove si collega con varie
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altre linee: tronco che non esitiamo a dichiarare il più bello dell’Appennino per le grandiose opere d’arte costruitevi e per la magnificenza dei sempre variati panorami che offre.” E come non esser d’accordo? Basta infatti una conoscenza superficiale dell’orografia abruzzese per immaginare la spettacolarità delle vedute dal finestrino, in un tragitto che lascia ad Introdacqua la direzione Avezzano, s’allunga verso Pettorano sul Gizio da cui va inerpicandosi alla Maiella mentre alla visione della Conca Peligna s’aggiunge il profilo netto, sullo sfondo, del gruppo Gran Sasso. Quindi su fino a Campo di Giove, prima dolcemente ma poi con decisione per sbucare sul sistema degli altipiani maggiori (Cinquemiglia il più noto) e, passando da Palena, arrivare alla stazione di Rivisondoli - Pescocostanzo dopo 50 km, a quota 1268,82 metri. Dopo quella del Brennero, il cui scalo è posto ad un’altitudine di 1371 metri, questa è infatti la ferrovia a scartamento ordinario più alta d’Italia… e anche, nel pezzo centrale, tra le più impegnative di tutta la rete, visto il territorio completamente montuoso: eppure rappresenta l’itinerario migliore per realizzare il sogno di Ferdinando
Dopo quella del Brennero, questa è la ferrovia a scartamento ordinario più alta d’Italia
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II di Borbone, cioè collegare Napoli con l’Adriatico. Il tracciato è caratterizzato da alcune interessanti peculiarità ingegneristiche dovute all’estrema tortuosità, con curve il cui raggio minimo è di 250 metri (meno della transalpina in Valdadige, che non arriva sotto i 285 metri); il superamento di pendenze fino al 28 per mille, visto che si passa dai 328 m di Sulmona agli 800 m di Castel di Sangro toccando, appunto, il punto più alto della linea; una lunghezza totale di 129 km di cui 25 percorsi nelle 58 gallerie (la più lunga è di 3109 metri, sulla salita di Monte Pagano già in Molise); la presenza di 407 opere infrastrutturali, fra ponti, viadotti, acquedotti,
ponticelli e cavalcavia. La complessità tecnica portò a spese elevatissime per il ripristino post-bellico: negli anni ‘50, il totale ammontò a quasi 4 miliardi di lire dell’epoca! Oggi quei binari rappresentano un’opportunità turisticamente straordinaria. Con la stagione fredda, poi, già solo potersi immergere in scenari siberiani tra quinte montuose imponenti dà al viaggio un fascino unico, al punto da aver giustificato la creazione di una fermata, la Monte Maiella Campo di Giove, appositamente dedicata agli sciatori. All’inizio dell’altopiano del Quarto S. Chiara, quota 1073 mt. s.l.m., si apre al passeggero curioso uno scenario immenso,
AGLIO, IL BENE CHE TI VOGLIO L’aglio rosso di Sulmona è un prodotto Igp prevalentemente coltivato nei territori della Valle Peligna che circondano Sulmona, ma lo si può trovare anche in altre aree abruzzesi come la Valle del Tirino e la Marsica. È impiegato in massima parte per il consumo fresco ma anche per la produzione di una ricetta tipica, i “crastatelli” sott’olio. È l’unico ecotipo di aglio italiano che emette regolarmente lo scapo fiorale e risulta avere il più alto contenuto di oli essenziali sia nel bulbo sia negli scapi. Ciò rende l’aglio rosso di Sulmona particolarmente adatto per l’utilizzazione degli estratti in campo farmaceutico ed erboristico. Si riconosce dalle tipiche tuniche (le pellicine intorno agli spicchi) color rosso porpora, che avvolgono ogni spicchio (bulbillo), ed è una delle specie più pregiate in Italia. Tradizionale della zona è anche la raccolta dello scapo fiorale dell’aglio rosso (cioè lo stelo che fuoriesce dal terreno e dal quale nasce poi il fiore), chiamato “zolla”, che si effettua manualmente. Viene asportato per consentire alla pianta di svilupparsi: non farlo significherebbe bloccare la crescita del bulbo interrato, anche perché col tempo diventerebbe lignea e porterebbe a maturazione il fiore sopra la pianta, che a sua volta germinerebbe un altro aglio in miniatura: cosa da evitare perché toglierebbe nutrimento al bulbo. Pochissime varietà di aglio “mettono” la “zolla”, che è quindi un prodotto estremamente ricercato. Per la trasformazione si utilizzano le parti più tenere e succulente degli scapi fiorali che, una volta raccolti, devono essere lavorati nel più breve tempo possibile per evitare che le sostanze benefiche tipiche dell’aglio si disperdano con l’asciugatura. Nella tradizione contadina le zolle si consumano condite in insalata o conservate sott’olio: tagliate a pezzetti, si fanno bollire in aceto per cinque minuti, quindi si pongono in vasetti di vetro e coperte con abbondante olio extravergine di oliva. Le zolle possono diventare anche una deliziosa crema salata. La Valle Peligna è terra di antica tradizione agricola, raccontata da Ovidio; il Catasto del 1929 riporta che nel sessennio 1923-1928 nel comune di Sulmona furono coltivati ad aglio mediamente 15 ettari. (M.A.)
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avvolto nel biancore e paradiso per chi ama il fondo o le ciaspole. Scendendo allo scalo, è possibile calzare gli sci già dal marciapiede ed iniziare una passeggiata a passo alternato o pattinato fino alla stazione di Palena o Rivisondoli, da cui tornare indietro. Un’esperienza che si può fare solo in certe contrade svizzere, comunque alpine, più selvagge; qui molte sono le possibilità di fare escursioni in ambiente ben organizzate, come quelle curate dall’a.s.d. NaturalMente di Pescocostanzo, che ci ha gentilmente concesso le foto. Pure nel tratto molisano i panorami sono d’autentico spirito selvaggio, quasi dovunque gli stessi che s’ammiravano oltre un secolo fa; purtroppo col nuovo orario Trenitalia, il tragitto da Castel di Sangro a Carpinone è sostituito da corse d’autobus (non sempre in comoda coincidenza...) pur se l’armamento pare tenuto in continua efficienza. E pensare che c’è la seria richiesta all’Unesco per farne Patrimonio culturale dell’umanità! Il potenziale economico (magari allora non propriamente turistico, ma convinto) che il treno poteva sviluppare in zona, fu sottolineato da Gustavo Strafforello, studioso
piemontese, che nel 1899 su “La Patria, Geografia d’Italia/ Abruzzi e Molise” scriveva: “Finalmente la ferrovia SolmonaIsernia (…) congiunge le due città. Fra queste due estremità ergesi una regione montuosa, che ora si stende in ampii altipiani non alberati in gran parte e con clima frizzante anche nella state, ed ora si restringe sui dorsi di ampie giogaie, che dominano vallate coltivate a cereali ed a pascoli, eccetto alle due estremità ove vegetano l’ulivo e la vite. La conformazione dell’Appennino è ivi bizzarra in sommo grado (…). La nuova linea ferroviaria, con ventidue stazioni, attraversa paesi pittoreschi ma poveri di industrie, onde potrà l’alpinista girovago ammirare il dorso dirupato della Majella, e potrà parimenti il paesista contemplare il profilo vaporoso del Matese e il cacciatore far buona preda; ma la vaporiera spanderà per ora con poco profitto le sue capricciose volute di fumo in quei solitari altipiani e soltanto l’avvenire potrà apportare a traverso quei monti una più intensa corrente di traffico...” Noi girovaghi del terzo millennio, intanto, utilizziamo quel trenino per scoprire nuovi antichi sapori.
COSA SI MANGIA? A Pettorano ci si riscalda con la fumante polenta, preparata con farina di mais squisitamente (alla lettera!) indigena. Coltivato in una piccola zona, in area protetta dal Parco della Maiella, il granturco qui è presenza inusitata, economicamente marginale ma dalle caratteristiche e dalla resa gastronomiche tutte da provare. Tempi grami, invece, per i maiali, ma non per chi sa apprezzarne certe... derivazioni: restiamo nei pressi dei binari Sulmona-Carpinone, e scopriamo che a Pacentro si sta preparando il guanciale. È prodotto molto raffinato, che da più parti vien messo sullo stesso piano del ben più blasonato (e costosissimo...) lardo di Colonnata. In quel di Pratola Peligna, chi vuol fare la spesa locale dovrà cercare il miele bio e la pasta trafilata a bronzo, come pure l’ottimo tartufo, “diamante nero”. Tutto questo, poi, senza parlare della produzione confettiera, in cui si approfitta del periodo freddo per lavorare i ripieni dalle caratteristiche aromatiche che, con la stagione calda, risultano meno stabili. Che dire poi dell’imminente fioritura dei mandorli, che forniscono la materia principe dei confetti? Nella Conca Peligna, inoltre, anche se ancora non disgela completamente, è tempo di seminare l’aglio rosso di Sulmona: sarà pronto per la rituale raccolta del 24 giugno. Questi prodotti sono tutti coordinati nel paniere del Consorzio “Disulmona”, che garantisce anche la qualità e la commercializzazione. Salendo verso gli altipiani, il modo di ristorarsi cambia davvero: lassù sono state scoperte sorgenti termali che fanno funzionare alla grande un centro a Rivisondoli ed uno a Castel di Sangro, con fanghi su cui si concentra l’attenzione scientifica. Nella piana castellana, per tornare al prodotto tipico, si stanno recuperando alcune varietà di frutti dimenticati, tanto antichi quanto gustosi. Così le lecine (prugne), mele gelate, le limoncelle, il butirro, il pero spino, che per ora trovano utilizzo in confetture artigianali da scovare ed imparare ad apprezzare. Ultimo sguardo sul Molise: Isernia è da tener presente per la notevole produzione di cipolle, che si seminano or ora e saranno pronte a fine giugno per l’omonima sagra. (M.A.)
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C COME MONTAGNA di Vincenzo Di Ienno – Foto: Paride Sticca e Venanzio Di Giulio
UN’AVVENTURA SUL MORRONE Cinque giovani abruzzesi a 2mila metri
Siamo cinque ragazzi poco più che ventenni appassionati della natura, della montagna: Venanzio, Marco, Paride, Marco e il sottoscritto, Vincenzo. Vi racconto la nostra breve ma intensa esperienza su una stupenda montagna del nostro Abruzzo, il Morrone, vissuta il 7 e l’8 gennaio. Partiamo la mattina del 7 alle ore 8,30 dalla piazza del nostro piccolo centro, Tocco Da Casauria e ci dirigiamo verso Salle, dove lasciamo l’auto. Il piano è raggiungere il rifugio ‘’Iaccio Grande’’ situato in un vallone sulla nostra meravigliosa montagna a quota 1708 metri sul livello del mare. L’obiettivo è trascorrere la notte nel gelido rifugio e raggiungere la vetta nella mattinata seguente. Dopo tre ore di cammino con qualche difficoltà prima con il fango e poi con la neve fresca salendo su per la montagna, finalmente raggiungiamo il fatidico rifugio. Conoscendone il gelo interno, non molto differente da quello esterno, la primissima cosa che ci balena per la mente è fare un po’ di legna per non congelare durante la notte. L’impresa è alquanto faticosa ma molto affascinante nello stesso tempo. Faticosa perché dopo aver fatto fasci di legna, questi devono essere saliti su un pendio pieno di neve fresca in prossimità del rifugio. Ed affascinante perché l’impresa sembra farci tornare indietro di secoli… Dopo parecchi tentativi riusciamo finalmente ad accendere
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il fuoco, ma la speranza iniziale di riuscire a riscaldare l’ambiente va presto scemando: dopo ben nove ore di camino acceso, la temperatura è aumentata di così poco da non farci quasi accorgere della differenza, così maledettamente lieve. Le mura interne brillano per il ghiaccio allo stesso identico modo di quando abbiamo acceso il fuoco alle 15, così come a mezzanotte, quando abbiamo spento. Risate e battute continue sulla nostra, per alcuni aspetti, scarsa attrezzatura e sulla quasi inutilità del camino presente nella stanza e sulla scarsissima qualità del vino bevuto a cena, hanno reso leggere queste ore difficili. A mezzanotte, anche se la temperatura non è mutata a nostro favore, decidiamo di andare a dormire, ma prima usciamo coraggiosamente dal rifugio per ammirare lo straordinario spettacolo notturno in quota. Le stelle brillano così intensamente che sembrano volerci comunicare qualcosa e noi rimaniamo esterrefatti ed attoniti da tanta grandezza, da così tanta bellezza. La sofferenza per il gelo sembra essere quasi alleviata dal calore delle emozioni provate in quegli istanti. La mattina seguente la sveglia suona alle sette e siamo così intirizziti nei nostri sacchi a pelo, tra l’altro zuppi per la spaventosa umidità, che alzarci diventa impresa ancor più ardua del normale. Abbiamo impiegato ben due ore per
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prepararci e fare colazione prima di partire alla volta della vetta. Così, dopo aver risistemato i nostri zaini, partiamo e affrontiamo immediatamente il vento che troviamo in cresta, che è talmente violento che a stento riusciamo a rimanere dritti, per di più con la neve che in molti tratti, non essendo ghiacciata, ci fa sprofondare facilmente. La cresta della montagna è molto spessa e per questa ragione è formata da innumerevoli colli e valloni che rendono suggestivo il paesaggio: la neve dà un tocco magico che rende il tutto incantevole. Alle 10,30, dopo un’ora e mezza di cammino, giungiamo alla nostra tanto attesa ed auspicata vetta, a quota 2061. Da lì si può ammirare l’Abruzzo quasi nella sua interezza; la neve ed il gelo donano alla montagna e alle sue vette la loro autentica essenza. Il vento è micidiale, per il gelo e la veemenza, ma il panorama è mozzafiato e l’atmosfera è grandiosa. Grandi gioie convergono in inquietudini, in un connubio sublime:
gioie per la soddisfazione e per lo stupore e inquietudini per la nostra piccolezza di fronte a tanta grandiosità. Dopo aver scattato qualche foto riscendiamo verso il rifugio, riprendiamo i nostri zaini e ci apprestiamo nuovamente alla discesa, ritornando a quella che io chiamo, almeno in questi momenti di totale pace e serenità, la “malvagia società di bassa quota”. Siamo cinque ragazzi poco più che ventenni, con una forte passione ed amore per la natura e la montagna, che riescono a cercare e trovare in essa la loro essenza: quella da cui la stragrande maggioranza delle persone si tiene oggi purtroppo distante, vivendo in questa società sempre più fatua, nella quale si vive quotidianamente una sfrenata e insulsa corsa verso non si sa bene cosa… e per evitare questo ci isoliamo, quando possibile, in questo modo, per ritornare a scoprire e conoscere il reale spirito dell’uomo, per cercare noi stessi nella natura, perché è possibile farlo anche ad un passo dalle nostre case, sulle nostre montagne.
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C COME TEATRO
C COME LIBRO
Foto: Silvia Mazzotta
di Luana Di Lorito - Foto: Archivio Buon Gusto
CENA A RITMO LENTO
LE PIANTE DI NINO TIERI Un libro per scoprire le erbe selvatiche
L’eros nella cultura del territorio La visione della regista pescarese Adriana Carnemolla è assolutamente attuale e in piena linea con la filosofia del nostro tempo: non solo il prodotto a chilometro zero è sacro, ma contiene anche una vitalità e una carica che affonda nelle radici di noi stessi, proprio perché scaturisce dal medesimo territorio che ci ha generato. Lo spettacolo “Cena a ritmo lento” è sperimentale e noi abbiamo assistito alla première al Florian Espace di Pescara, in attesa di vederlo proiettato verso (e su) i palcoscenici romani questa primavera. Sospesa tra il cabaret e la performance, infatti, l’azione teatrale, nelle diverse espressioni, viene svolta zigzagando tra il reale ed il virtuale con l’intento di coinvolgere il pubblico (letteralmente, visto che gli spettatori
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vengono presi per mano e fatti accomodare a tavola) a vivere concretamente le emozioni provocate dal gusto del cibo. Tra proiezioni filmiche, immagini di Mapplethorpe, citazioni di d’Annunzio, Dino Campana e Andrè Gorz, sulla tavola si alternano un nuovo vino di Pianella, della cantina Lampato, e l’olio garantito dalla Federdop, mentre gli attori mangiano bucatini e si scambiano opinioni sull’amore e sulla morte. «Olio e vino non sono solo prodotti da consumare – spiega la regista – ma costituiscono un vero e proprio paesaggio. Nello spettacolo li propongo come prodotti erotici, intendendo l’eros come energia primitiva, forza vitale legata alle viscere della terra, che può finire solo con il suo opposto: thanatos, la morte».
“Lavate bene le cime di ortica, fate sgocciolare. A parte fate un soffritto con la pancetta, l’olio e l’aglio. Appena rosolate le cime, versatevi almeno un litro di acqua molto calda, i pomodori a pezzi, l’ortica e il peperoncino...” È la ricetta della zuppa di ortiche e mi piace iniziare proprio dalla cucina questo viaggio attraverso il mondo del libro “Piante spontanee, mangerecce e aromatiche” (edizioni Menabò, Ortona Ch, luglio 2010) in cui l’autore Nino Tieri, prendendoci per mano (e per la gola...), ci accompagna per monti e valli d’Abruzzo scovando il “verdume” più o meno conosciuto. È in cucina infatti che celebriamo al meglio la passeggiata appena fatta in cerca di questa o quell’erbetta spontanea, curandone la raccolta con gesti delicati per non rovinarne l’integrità (Tieri dedica un’intera utilissima pagina alla modalità di raccolta, a pagina 12), per poi condividerla a tavola, apprezzandone il gusto delicato e il ritrovato sapore del profondo rapporto con la terra. Sono quasi una cinquantina le ricette contenute nel libro, una vera e propria mini-guida all’uso delle erbe spontanee che già da sé vale la pena di possedere nella propria cucinoteca. Entrando nel vivo del libro (pp. 13 - 53), apprezziamo subito le schede delle piante mangerecce, selezionate, come dichiara l’autore stesso, per riconoscibilità e diffusione tra le numerose specie disponibili nella nostra regione: aglio
campestre, cicoria, crescione, “cascigno”, esquiseto, papavero rosso (si, proprio lui... nei pochi angoli dei campi di grano risparmiati dalla chimica), pimpinella, tarassaco, ruchetta selvatica, veronica acquatica solo per solleticarvi la fantasia... Sfilano invitanti le pagine, corredate da una o più foto e altrettante precise descrizioni su etimologia, habitat, uso in cucina e controindicazioni. L’ultima parte del libro (pp. 81-113) è dedicata alle piante aromatiche, siano esse da orto o selvatiche, che fortunatamente abbondano in natura, come l’origano, il timo e le mentucce. In questo caso le schede ci rammentano caratteristiche, conservazione, utilizzo in cucina e, per gli amanti dei rimedi naturali, persino proprietà terapeutiche delle stesse. Un glossario finale spiega i termini più specialistici, aiutando la lettura. Grazie (ma non solo) alla crisi che spinge saggiamente il consumatore a rivolgere lo sguardo verso il terreno, riuscendo talvolta a distoglierlo dai banchi del supermercato, e alla diffusione di culture anticonsumistiche, Slow, bioeconomiche..., cresce la nicchia degli appassionati erbofili nella doppia variante dei nostalgici delle ricette della nonna e salutisti neo-flexitariani. A loro principalmente, ma non solo, si rivolge il libro di Nino Tieri: semplice e pratico, un vero e proprio prontuario da portare durante le nostre escursioni erbaiole. E così farò.
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C COME RICETTE a cura delle associazioni cuochi della FIC
TAGLIATELLE AL RAGÙ DI FAGIANO E CASTAGNE CON LAMELLE DI TARTUFO NERO di Antonio Iezzi e Gianni Di Carlantonio, ass.ne cuochi Val Di Sangro
Ingredienti per 4 persone: 400 g di tagliatelle biologiche, 35 g di olio extravergine d’oliva, 700 g di fagiano, 250 g di castagne, 100 g di farina tipo “00”, 100 g di sedano, 100 g di carote, 80 g di cipolla, 5 g di bacche di ginepro, alloro, rosmarino e timo q.b., 1 litro di Montepulciano d’Abruzzo, 100 g di burro, 200 g di tartufo nero, 150 g di scaglie di parmigiano, 1 limone, sale q.b. Dividere in quarti il fagiano, metterlo sotto marinatura con sedano, carote e cipolla tagliati in piccoli dadi e coprire con il vino rosso. Aggiungere le bacche di ginepro il rosmarino e alloro, lasciare marinare per circa 8/10 ore. Tirare via il fagiano dalla marinatura, disossare il petto e passarlo in un trito di timo e buccia di limone tritata. Rosolare in padella la restante parte del fagiano tagliato a pezzi, porlo in una teglia con olio d’oliva e la base della marinatura, infornare a 180/200 ° per circa 2 ore. Versare il tutto in una casseruola alta aggiungendo brodo fino a completa copertura, e lasciar cuocere sul fornello per circa 2 ore. Filtrare il sugo e legare con roux di burro e farina; spolpare la carne e tagliarla a piccoli dadi; lessare le castagne sbucciarle e unire il tutto nel ragù di fagiano. Riprendere il petto del fagiano marinato nel timo e limone, scottarlo in padella con un filo d’olio e burro, quindi tagliarlo a lamelle. Cuocere le tagliatelle al dente saltarle con il ragù di fagiano. Impiattare le tagliatelle e guarnirle con le lamelle di petto di fagiano e con scaglie di tartufo e parmigiano.
TAGLIATELLE AL NIDO AI GERMOGLI D’ORTICA E GUANCIALE
di Lorenzo Ferretti e Aldo D’Ostilio, ass. ne cuochi Teramo Ingredienti per 4 persone: 400 g di tagliatelle biologiche, 150 g di germogli d’ortica, 100 g di guanciale stagionato, 300 g di pomodori maturi, 60 g di pecorino stagionato, 30 g di olio extravergine d’oliva, 20 g di cipolla bianca, sale e pepe. Per le decorazioni: pastella croccante (1 cucchiaino di zucchero, 2 di fecola, 3 di farina). Pulire, lavare e sbollentare le ortiche; farle raffreddare, lasciando 4 germogli da parte. Pelare i pomodori, ricavarne dei filetti sottili, conservare le pelli mettendole a tostare in forno. Tagliare il guanciale a fette sottili e poi a listelli, conservando 4 fette; saltare in padella olio e cipolla e quando questa sarà dorata aggiungere il guanciale. Una volta rosolata toglierlo, aggiungere nel fondo di cottura i filetti di pomodoro e a fine cottura della salsa aggiungere i germogli d’ortica lasciandoli cuocere per circa 3 minuti. Cuocere le tagliatelle al dente e saltarle nella salsa; nel frattempo preparare la pastella unendo agli ingredienti acqua gassata fredda, patellare i germogli di ortica e friggerli, tostare le fette rimanenti di guanciale. Disporre le tagliatelle a nido, guarnire con degli schizzi di salsa dove disporremo intercalati dei petali di pomodoro, dei germogli di ortica e una fettina di guanciale; completiamo con dei listelli di pecorino.
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In occasione della 32esima edizione della Rassegna dei cuochi di Villa Santa Maria, lo scorso ottobre si è svolto il primo concorso “Cuoco Doc”, coordinato dall’executive Chef Antonio De Sanctis e mirato a valorizzare la cucina tradizionale e le peculiarità dei prodotti tipici abruzzesi, e ad approfondire le tematiche tecnico scientifiche nel settore culinario del prodotto biologico. Il concorso sponsorizzato da Delverde è stato vinto dall’associazione cuochi Val di Sangro; tutti gli altri si sono classificati al secondo posto ex aequo
SPAGHETTI AL PESCE SPADA E MELANZANE CON RICOTTA SALATA di Dario Del Signore e Aldo Baglioni, ass.ne cuochi L’Aquila
Ingredienti per 4 persone: 400 g di spaghetti biologici, 50 g di olio extravergine d’oliva, 100 g di cipolla rossa, 500 g di melanzane, 700 g di pesce spada, 30 g di basilico, 50 g di ricotta affumicata salata, mezzo peperoncino, sale q.b. Tagliare le melanzane a dadini, disporle in uno scolapasta e salarle per almeno un paio di ore per far perdere l’acqua di vegetazione. Friggerle, scolarle e metterle da parte. Tritare finemente la cipolla e farla soffriggere in una casseruola con l’olio; una volta dorata aggiungere il pesce spada e farlo rosolare insieme al basilico e al peperoncino; aggiustare di sale e far cuocere. A questo punto aggiungere le melanzane e lasciar cuocere per altri 5 minuti. Incorporare la ricotta nella salsa. Cuocere la pasta al dente e mantecarla nella salsa, guarnire il piatto con del basilico, melanzane, cipolla e ricotta salata.
SPAGHETTI FREDDI CON “CHITARRA” DI ORTAGGI, CAVIALE DI POMODORO E ARIA DI BASILICO. TUBETTINI LISCI CON I FAGIOLI TONDINO DEL TAVO. ELICOIDALI CON RAGÙ DI GALLINELLA DI MARE E RAPE.
di Mario Rabottini e Enzo Piccirilli, ass.ne cuochi Pescara (Ingredienti per 4 persone) Per gli spaghetti: 80 g di spaghetti biologici, 50 g di carote Igp del Fucino, 50 g di zucchine, 50 g d’olio extravergine d’oliva, sale q.b. Per il caviale di pomodoro: 100 di succo di pomodori a Pera, 1 g di agar agar, 500 g di olio di arachidi. Per l’aria di basilico: 5 g di basilico, 20 g d’acqua, 5 g d’olio extravergine d’oliva, 1 g di albumina. Mondare gli ortaggi, tagliarli alla mandolina a mò di chitarra, sbianchirli e raffreddarli in acqua e ghiaccio. Cuocere gli spaghetti e raffreddarli. Unire gli ortaggi agli spaghetti, condire con l’olio e regolare di sale. Per il caviale di pomodoro frullare il succo con l’agar agar, portare a bollore e raffreddare fino a 40°. Mettere in un dosatore, gocciolare il succo nell’olio alla temperatura di 12° e scolare il caviale con una schiumarola. Frullare il basilico con l’olio e l’acqua, passarlo allo chinois, aggiungere l’albumina e frullare incorporando aria. Per i tubettini: 50 g di tubettini lisci biologici, 100 g di fagioli Tondino del Tavo, 30 g di sedano, 40 g di carota, 40 g di cipolla, 1 foglia di alloro, 1 spicchio d’aglio rosso di Sulmona, 40 g d’olio extravergine d’oliva, 150 g di salsa pomodoro, 30 g di pancetta stagionata, sale q.b Mettere in ammollo i fagioli per 12 ore, lessarli con sedano, carota, cipolla, alloro e regolare di sale 10’ prima della fine cottura. Appassire nell’olio l’aglio tritato, unire i fagioli con l’acqua di cottura, e cuocere all’interno i tubettini. 5 minuti prima del termine della cottura aggiungere il pomodoro. Tagliare la pancetta all’affettatrice e seccarla al microonde.
Mondare le rape, lessarle e raffreddarle in acqua e ghiaccio. Sbianchire i pomodorini, raffreddarli in acqua e ghiaccio, spellarli, eliminare i semi e tagliarli a spicchi. Sfilettare e spellare le gallinelle e tagliarle a cubetti. Con le spine e le teste realizzare un fumetto. Tagliare gli ortaggi in brunoise, appassirli nell’olio, unire le rape tritate, le gallinelle, aggiungere i pomodorini e regolare di sale. Cuocere gli elicoidali e mantecarli nella salsa.
Per gli elicoidali: 80 g di elicoidali biologici, 500 g di gallinella di mare, 200 g di cime di rape, 20 g di cipolla, 20 g di sedano, 30 g di carota, 1 spicchio d’aglio rosso di Sulmona, 80 g di pomodorini ‘ppisarelle, 50 g d’olio extravergine d’oliva, sale q.b.
Presentazione: Avvolgere gli spaghetti in 4 forchette, sopra adagiare il caviale e l’aria di basilico. Mettere i tubettini nei bicchierini e sopra sistemare la pancetta. Mettere gli elicoidali in 4 ciotoline. Nei piatti rettangolari mettere in sequenza di degustazione: la forchetta, il bicchierino e la ciotolina.
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C COME NEWS
C COME NEWS
Forcone vicecampione del mondo
Pubblica il tuo racconto su C !
Valle Reale scala la top 100
Per un piatto di lenticchie
Da Ortona un nuovo marchio
C.C.I.A.A. 2.0
In occasione della XII coppa del mondo di pasticceria dello scorso 23 gennaio a Lione, in Francia, Emmanuele Forcone, 27 anni, si è aggiudicato il secondo posto insieme alla squadra nazionale italiana. Nato a San Valentino e celebre maestro della pasticceria Pannamore di Vasto, già campione italiano di pasticceria del Sigep di Rimini nel 2005 e nel 2010 per la categoria Seniores e nel 2003 per la categoria juniores, Emmanuele è salito sul podio insieme ai compagni di squadra Domenico Longo di Reggio Calabria e Davide Comaschi di Milano, il direttore tecnico Alessandro Dalmasso e l’allenatore Luigi Biasetto. Per la competizione, gli italiani hanno proposto il tema del “Bosco incantato”: Forcone si è esibito con una “Ninfa” di zucchero realizzata coniugando il cioccolato, uno dei suoi ingredienti preferiti, ai sapori esotici. Una giusta escalation, dopo essersi classificato terzo, insieme alla squadra nazionale italiana, alla “Coupe du Monde de la Patisserie 2007” e ad aver fatto ingresso, nel 2009, nell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani.
Nell’edizione 2011 del Premio racconto breve “Giammario Sgattoni” organizzato dalla Pro Loco di Garrufo di Sant’Omero, C come magazine mette in palio un premio speciale: la pubblicazione di un elaborato. Il tema della sesta edizione è “Il cibo dei riti, il cibo delle feste”: i racconti devono essere inediti, non devono superare le 16mila battute e devono essere inviati entro il 14 maggio. La partecipazione è gratuita e aperta a tutti gli over 14. La premiazione avrà luogo nel corso della III rassegna umoristica “Sorridi con gusto”, inserita nell’ambito della manifestazione enogastronomica “Garrufo con Gusto” che si svolgerà durante la prima settimana di agosto 2011, a Garrufo di Sant’Omero (Te). Gli altri premi consistono in un pernottamento in camera matrimoniale con colazione e una cena per due persone, con degustazione di vini delle colline teramane, presso l’Hotel Ristorante “Zunica 1880”, a Civitella del Tronto; e prodotti tipici della cultura e della tradizione abruzzesi. Cerca il bando completo su www.ccomemagazine. it o su www.garrufo.it.
Nella classifica dei Top 100 migliori vini rossi italiani apparsa sul numero 119 della rivista Gentleman di Milano Finanza, il San Calisto 2007 della cantina Valle Reale di Popoli, spicca al settimo posto. Si tratta di una graduatoria ottenuta incrociando tutti i dati delle valutazioni assegnate dalle guide dei Vini nazionali ed internazionali. Il San Calisto 2007 è al settimo posto assoluto a pari merito con il Solaia 2007, ed è il primo come Montepulciano d’Abruzzo. «È un nuovo riconoscimento – dichiara il titolare dell’azienda agricola di Popoli, Leonardo Pizzolo – che premia il nostro territorio e il nostro lavoro svolto negli anni. Dopo i tre bicchieri plus sulla guida “Gambero rosso” e i riconoscimenti dell’Associazione italiana sommelier (Ais) e di Slow Food, questa posizione in classifica è un ulteriore motivo d’orgoglio». Lo scorso gennaio l’azienda è stata protagonista, insieme alle cantine Emidio Pepe e Valentini, dell’evento intitolato “Trebbiano d’Abruzzo, tre anime autentiche”organizzata dall’Ais a Roma.
Hanno raccolto oltre 2mila euro i tredici ristoratori di Qualità Abruzzo nell’iniziativa natalizia “Un piatto di lenticchie per la casa famiglia dell’associazione I bambini di Betania”. Fino al 15 gennaio, infatti, gli 11 ristoratori e i 2 pasticceri hanno devoluto 3 o 5 euro per ogni ordinazione a base di lenticchie di Santo Stefano di Sessanio, presidio Slow Food, alla comunità educativa e residenziale di Tortoreto “La casa di Lorenzo”, gestita dall’associazione “I bambini di Betania”. Questa Onlus si impegna soprattutto a favore di bambini e ragazzi messi in stato di disagio, sostenendo le famiglie attraverso progetti di prevenzione, una rete di volontari e una equipe di specialisti. “La casa di Lorenzo” è stata fondata il 24 gennaio 2009 nel centro di Tortoreto lido ed è rivolta a minori in grado di accogliere circa dieci bambini che si trovano temporaneamente senza una famiglia. Per la Casa di Lorenzo è stato appena avviato il progetto di un centro diurno, dove i bambini accolti nella comunità possono recarsi per delle attività ludiche, ricreative e culturali.
Dall’idea di due imprenditori ortonesi e dal tratto dell’agenzia di comunicazione F&G (Fimiani&Giampietro) di Pescara nasce San Tommaso, una linea di prodotti a chilometro zero frutto della collaborazione tra l’istituto professionale alberghiero e l’associazione di cuochi “Custodi della tradizione” di Villa Santa Maria. I prodotti a marchio San Tommaso (pasta secca, pasta fresca, sughi pronti, sott’oli, pesti, olio extra vergine d’oliva, così come salumeria e casearia) contribuiscono, insieme al Centro di volontariato internazionale di Ortona, alla concretizzazione di iniziative di solidarietà nei Paesi del terzo mondo. Ad esempio è in corso la realizzazione di orti agricoli familiari in Burkina Faso e in Congo. L’obiettivo generale del progetto è quello di dare voce alle produzioni alimentari locali, garantendo freschezza e genuinità dei tesori gastronomici d’Abruzzo. È possibile trovare i prodotti San Tommaso nelle migliori botteghe alimentari e nei piccoli supermercati della regione.
Scoprire come finanziare con bandi pubblici la tecnologia e l’innovazione senza passare per burocrati e falsi consulenti, imparare sempre dagli altri che hanno fatto prima di noi, fare pubblicità al proprio prodotto o servizio senza spendere una fortuna, trovare con un click i fornitori da tutto il mondo, imparare a navigare tra migliaia di informazioni ed arrivare dritti al punto sono stati i primi obiettivi del convegno “L’impresa ai tempi del web”, che si è svolto a metà dicembre a Pescara nonostante la neve battente che imperversava su tutta la costa. Esponenti dal mondo universitario, associazionistico ed imprenditoriale hanno testimoniato come i nuovi strumenti ICT possano essere utili per il miglioramento delle relazioni con i propri mercati. La Camera di Commercio ha annunciato che entro l’anno, lancerà il nuovo portale in chiave web 2.0: aumenteranno, in questo modo, i vantaggi a favore dell’utenza che potrà usufruire di informazioni profilate sulle proprie esigenze o di strumenti di contatto “social” come blog e forum. (Foto: Andrea Straccini)
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C COME CONTROEDITORIALE
di Mimmo D’Alessio, delegato Abruzzo Accademia della cucina
SIAMO NOI I “POLLASTRI”DI ALLEVAMENTO
Molti ci invidiano l’adattabilità che riusciamo a dimostrare nei momenti difficili. Durante l’ultima guerra, ad esempio, tante sono state le originali trovate gastronomiche che hanno contribuito a salvare dalla fame le generazioni del tempo: il caffè fatto con la cicoria, il ragù con l’uovo sodo sbriciolato al posto della carne, le minestre insaporite solo da qualche verdura. La necessità aguzza l’ingegno, si sa, e oggi assistiamo al ritorno degli orti cittadini; certo nel Mezzogiorno d’Italia non si è mai smesso di avere il piccolo orto familiare, almeno un vaso di peperoncino piccante coltivato a casa. Purtroppo il fenomeno è dovuto ad un ineluttabile ritorno ad una condizione di disagio che molti stanno attraversando, ma almeno sta permettendo di riscoprire la stagionalità e la qualità dei prodotti che un consumismo indisciplinato aveva, di fatto, soppresso: fragole, zucchine e cocomeri in pieno inverno, arance in estate e, soprattutto ortaggi e frutta non autoctona hanno imperversato sulle nostre tavole, in barba ai costi ed ai sapori piuttosto indecisi. Non subiamo solo falsi dell’orto: con il pesce è accaduta la stessa cosa, e anche con la carne, con gli insaccati ed i formaggi… Bisogna constatare che in Italia abbiamo un’autentica miniera di qualità gastronomiche, un forziere, una cassaforte aperta ai predatori del gusto. È successo persino con l’alimento principe della tavola, il pane. Chi ha ancora il coraggio di affermare: buono come il pane!
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Quale pane? Quello che è stato “raffinato” per renderlo più bianco e che, ovviamente, costa di più perché ha subito un procedimento di lavorazione più lungo? O prendiamo lo yogurt: prima viene reso “magro” (?) e poi ci viene rimesso quello che è stato tolto e, naturalmente, il consumatore paga il doppio processo di lavorazione non accorgendosi che l’unico dimagrimento lo ha subito il suo portafogli. Così, i prodotti di nicchia, “grazie” alla collaborazione di sprovveduti amministratori pubblici, vengono riprodotti dalle multinazionali alimentari che li offrono a noi cittadini, attraverso le grandi distribuzioni, magari promuovendoli con lo stesso nome ma con un gusto del tutto diverso rispetto a quello originario; e, dopo un po’ di tempo, il falso diventa originale. È accaduto con il pollo: oggi sono poche le persone che preferiscono quello ruspante, che ha razzolato e beccato sull’aia, rispetto a quello ben ingabbiato, che ha mangiato solo mangime ed antibiotici. Il pollo è stato allevato e hanno allevato anche noi a mangiarlo! I veri pollastri di allevamento siamo noi! Chiudiamo, per favore, la cassaforte dei sapori e cerchiamo di trarre profitto dai nostri tesori, paesaggi, monumenti e prodotti tipici di inimitabile bontà. Dobbiamo essere capaci di sviluppare un’economia che sappia sapientemente integrare il turismo con la gastronomia e l’agricoltura di qualità. Ricordiamo a noi stessi la parabola dei talenti, …..oppure ….. vogliamo continuare a fare i polli?
Fatto della stessa pasta.
“Il Classico” De Cecco: l’olio capace di soddisfare i palati più esigenti.
Fatto con la stessa cura e la stessa passione dedicate alla pasta di semola, “Il Classico” De Cecco è un olio extra vergine di oliva dal carattere pieno e gradevole. L’utilizzo del vetro scuro preserva le sue caratteristiche organolettiche e nutrizionali che lo rendono il condimento ideale per arricchire di gusto ogni tuo piatto.