C come magazine n.20

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ANNO 3 - NUMERO 20 - Agosto/Settembre 2011

20 FREEPRESS di ENOGASTRONOMIA ABRUZZESE

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20 C COME SPECIALE FRESCO

A tavola scorzone, baccalà e pomodoro a pera

C COME NIKO ROMITO Un nuovo progetto a Castel di Sangro C COME RIFORMA Arssa addio: motivazioni e dubbi



>> Editore Modiv s.n.c.

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>> Direttore responsabile Cristina Mosca (non fumatrice) se volete dirle qualcosa fatelo a: redazione@ccomemagazine.it

>> Area marketing e commerciale Daniele Di Vittorio (ex fumatore) marketing@ccomemagazine.it - 3887960830

Tiziana Lalla

(non fumatrice)

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>> Editore: Modiv s.n.c. Viale Matrino 36, 65013 Marina di Città Sant’Angelo (Pe) Tel/fax 085.959746 - cell. 388.7960830 www.modiv.it - info@modiv.it

>> Ufficio fotografico Ufficio fotografico: Modiv. Hanno collaborato a questo numero: Mario Sabatini; Francesca Brambilla, Letizia De Antoniis, Marco Di Virgilio, Giampiero Laviano; Ludovica Persichitti, Serena Serrani; Andrea Straccini >> Stampa AGP Arti Grafiche Picene - Maltignano (Ap) Per questo numero di C come magazine hanno approfondito, studiato, indagato, ricercato, verificato insieme a noi Monica Andreucci, Roberto Ardizzi, Cesare Marcello Conte, Daniel Della Seta, Luana Di Lorito, Maura Di Marco, Tino Di Sipio, Leo Giacomucci, Massimo Giuliano, Eleonora Mancinelli, Jenny Pacini, Ludovica Persichitti, Franco Santini, e i cuochi Nick Biasella, Floriano Capraro, Enzo D’Andreamatteo, Cinzia Fazzini, Francesca Fiordigiglio, Gabriele Marrangoni, Lorenzo Pace, Niko Romito, Patrizia Corradetti Zenobi. Vieni a trovarci su Facebook: cerca la pagina “C come Magazine” e clicca “Mi piace”

Registrazione presso il Tribunale di Pescara n° 7/08 del 31/03/2008

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vino d’amare Cococciola Cantina Frenana DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA

visualadv.it

cantinafrentana.it


C COME SOMMARIO

05 >> C come Sommario 07 >> C come Editoriale 08 >> C come Fotoeventi 17 >> C come Informazione 22 >> C come Food design 42 >> C come Vi consigliamo 61 >> C come Libro 62 >> C come Ricette 64 >> C come News 66 >> C come Controeditoriale C come SPECIALE FRESCO 28 >> C come Baccalà 32 >> C come Tartufo estivo 36 >> C come Arrosticino 38 >> C come Recupero C come ABRUZZO 18 >> C come Uva 24 >> C come Niko Romito

Foto copertina: Mario Sabatini

Cosa c’è nel numero Venti

C come RUBRICHE

50 >> C come Riforma C come REPORTAGE 44 >> C come Vini 56 >> C come Trabocco 58 >> C come Racconto

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C COME EDITORIALE

di Cristina Mosca, direttore responsabile C come magazine

C COME BUONE, MERITATE VACANZE!

E non ho altro da aggiungere, Vostro Onore.

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C COME FOTOEVENTI

di Daniele Di Vittorio - Foto: Modiv

Pizza a 4 mani a L’Aquila

Continua la serie di appuntamenti gourmet di Marzia Buzzanca da “Percorsi di Gusto” a L’Aquila, in collaborazione con Scattidigusto.it. Noi abbiamo assistito, a luglio, alla sera in cui il co-chef è stato Gino Sorbillo, che ha proposto pizza fritta interpretata con formaggi campani e verdure stagionali. Una serata molto bella all’insegna della qualità e del buonumore, con una Marzia in forma smagliante e un Gino Sorbillo molto concentrato ma divertente. I prossimi incontri: lunedì 22 agosto ci sarà Felice Sgarra, chef del “fu” Vinalia; martedì 6 settembre Gabriele Bonci; giovedì 29 settembre Maurizio Santin. Lunedì 10 ottobre sarà la volta di Franco Pepe e il 17 ottobre interverrà Niko Romito.


XXVI Mediterranea, mostra dell’agroalimentare d’Abruzzo

È arrivata con un paio di settimane di anticipo rispetto al solito “Mediterranea”, la mostra dei prodotti tipici agroalimentari d’Abruzzo. Diverse le attività che si sono svolte nella manifestazione: seminari, incontri e lezioni di degustazione con l’Ais e la commissione d’assaggio dell’olio d’oliva. Due sono state le novità di quest’anno: la partecipazione di una folta delegazione di aziende enogastromiche spagnole, guidate dalla Camera di Commercio italiana a Barcellona, e la realizzazione del Progetto “Med in Italy” avente come capofila l’ente camerale pescarese e svoltosi con la collaborazione delle Camere di Commercio abruzzesi, di Ancona e di Avellino: rivolto alla promozione della filiera agroalimentare certificata nel Mediterraneo, il progetto coinvolgerà 46 aziende provenienti dalla nostra regione, le Marche e la Campania e buyers egiziani, marocchini e tunisini. (Foto Modiv - Andrea Straccini)

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Rosato di sera, buon Cerasuolo si spera

Giornata particolare, quella del 9 luglio, quando l’Aurum di Pescara si è riempito di decine di produttori di vino e di centinaia di persone. Nell’ambito della kermesse “Rosato di sera” sono stati offerti in degustazione i vini della Doc Cerasuolo d’Abruzzo e la schiera dei vini Rosati IGT, tutti abruzzesi. L’evento è stato promosso dal Movimento Turismo del Vino d’Abruzzo e dal Consorzio regionale di Tutela dei Vini, con la collaborazione della Camera di Commercio di Pescara e della Regione. É il primo evento di un programma di attività di promozione che proseguirà in autunno a Roma. ed è stato accompagnato dai prodotti tipici proposti da Res Tipica e dalle Città del Vino, insieme ad una selezione di oli dell’associazione Confrantoiani e del Consorzio di tutela dell’olio Dop aprutino-pescarese.


Plenus da Vinè

Bella degustazione dell’azienda “Marina Palusci” di Pianella presso l’Enoteca Vinè, lo scorso sabato 25 giugno a Pescara, dove Massimiliano D’Addario ha presentato i vini Plenus Montepulciano a fermentazione spontanea ed il Pecorino in purezza, insieme agli oli monocultivar “Uomo di ferro” e “Alchimia”, abbinati ai pani di solina e saragolla della fattoria “Le gemme” di Walter D’Ambrosio. A guidare la degustazione è stato il professore Leonardo Seghetti, enologo dell’azienda. (Foto: Giampiero Laviano CDG)

“Dall’Etna al Gran Sasso”

È stata un’edizione speciale quella del 2011 di “Dall’Etna al Gran Sasso” a Città Sant’Angelo, in cui è stato celebrato il decimo anniversario del gemellaggio con Nicolosi, Comune alle pendici dell’Etna. Nella seconda metà di luglio i consueti dieci giorni di eventi gastronomici e musicali hanno permesso di confrontare tradizioni e sapori di una terra lontana da noi solo per i chilometri e non per le caratteristiche della sua gente. Migliaia di visitatori hanno affollato la manifestazione, che rappresenta anche un momento intenso di cultura e folklore, grazie all’esibizione di numerosi gruppi musicali e cori.

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Ekk… il Garden!

Sotto le stelle è più magico assaporare un vino, specie se abruzzese: durante il mese di luglio nell’affascinante cornice del Garden di “Ekk - Abruzzo in sintesi” due eventi hanno fatto incontrare musica e gusto: dall’aperitivo cenato “Garden Break” al concerto di Gershwin, che hanno rivelato un vivaio serale inedito e piacevolissimo. Particolarmente suggestivo è stato il concerto con doppio pianoforte di Roberto Rega e Gennaro Partenza, con Michele Ciamponi alle percussioni, con la famosa Rapsodia in blu. Immancabile il buffet a base dei prodotti di Ekk Mercato Tipico e la pizza Doc preparata dal pizzaiolo Nicola Salvatore.

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La spesa sotto le stelle

Questa estate la spesa si fa direttamente in campagna e... sotto le stelle. La Confederazione Italiana Agricoltori di Pescara, l’associazione Donne in Campo di Pescara e l’associazione Turismo Verde, in collaborazione con la Cciaa di Pescara propongono sette appuntamenti serali, con programmi di cultura gastronomica e di intrattenimento, direttamente presso gli agriturismo della provincia. La formula innovativa: ci si va tutti in pullman, con ritrovo dalla stazione centrale di Pescara. I primi tre appuntamenti sono stati a Cugnoli presso la “Fattoria di Maria Donata” e la fattoria didattica “Rosso di sera”, e ad Abbateggio presso “Villa Begi - Sapori di Bea”. Informazioni: donneincampo. pescara@cia.it o 3288221152. (Foto: Marco Di Virgilio)


Gli Oscar Green della Coldiretti

Il 18 giugno a Pescara nell’ambito del week-end dedicato a “BIO c’è”, il mercato del prodotto biologico proveniente da tutta Italia, sono state premiate le aziende agricole che puntano all’agricoltura tra informatica e welfare community. La menzione speciale per il Paese Amico è andata all’assessorato alle attività produttive del Comune di Pescara nella persona di Stefano Cardelli, mentre il concorso Oscar Green Abruzzo, promosso da Giovani Impresa Coldiretti, ha premiato sei aziende che si sono distinte per aver creduto nell’innovazione e nei progetti particolarmente curiosi: Sergio Carosella di Chieti (allevamento di maiali) ha vinto la categoria “Stile e cultura” di Impresa con un progetto di adozione a distanza di suini; la cooperativa olivicola Plenilia di Pianella si è imposta per “Oltre la filiera” per i risultati raggiunti nell’ultimo anno; l’azienda olivicola di Tommaso Masciantonio di Casoli ha vinto “Esportare il territorio” per l’impegno e i risultati in termini di esportazione del prodotto in tutti i continenti; “Ciucolandia” di Cristian Merlo di Capestrano ha avuto il premio per “Campagna Amica” perchè è riuscito a creare una vendita diretta di latte d’asina nel circuito dei mercati di Campagna amica; Simona Di Battista di Tornimparte, che alleva cavalli, ha vinto “In-generation”; Rurabilandia di Atri, ex orfanotrofio in cui la Fondazione Ricciconti attua progetti di integrazione (welfare community) per disabili con particolare riferimento all’agricoltra sociale, ha vinto la categoria “Sostieni lo sviluppo”. L’Abruzzo si è distinto anche nel concorso nazionale Innovabio, che ha premiato su cinque categorie anche una azienda abruzzese: l’azienda agricola di Monica Flarà di Castel Castagna, che produce cereali, miele, uova e farro biologico per trasformarlo in farina, gallette e pasta. A fare da cornice alle premiazioni, una singolare iniziativa organizzata sulla spiaggia: i pony express della frutta hanno consegnato sotto gli ombrelloni le carote per l’abbronzatura.

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I nostri più affezionati clienti.

La prima azienda mangimistica italiana con sistemi certificati di gestione per la qualità e per l’ambiente. Dal 1981 la SAGeM produce e fornisce mangime di prima qualità per i propri clienti, senza trascurare le necessarie garanzie per i nostri produttori. Il ciclo di produzione, denominato Natura Ciclo Completo, avviene con un controllo attento e costante delle fasi di semina e raccolto. Qualità e rispetto processi di etto dei naturali p nutrimento sono i principi che guidano lavoro. no il nostro lavo oro. L L’accurata selezione delle materie prime rende il nostro mangime di qualità superiore. e.

S.A.Ge.M. - Soc. Coop. Via Salara, 52 · 64026 Roseto degli Abruzzi (TE) · Tel. 085.8930184 r. a. · Fax 085.8943046 · www.sagem.coop · e-mail: info@sagem.coop


C COME INFORMAZIONE di Roberto Ardizzi, consulente SGQ

LO STANDARD DE.C.O Un forte legame tra prodotto e territorio

Oggi le produzioni agroalimentari ed artigianali di nicchia, le produzioni caratteristiche e quelle tipiche costituiscono veri e propri strumenti di marketing territoriale per le amministrazioni pubbliche e per le aziende singole o associate. Il legame di un prodotto al suo territorio di origine, alle tradizioni ed alla sua storia, costituisce un valore aggiunto per il prodotto stesso e per la sua funzione di attrattore soprattutto in ambito turistico. Ne sono esempio le famose denominazioni territoriali e di prodotto per cui il flusso turistico nel comparto del turismo enogastronomico e culturale si muove sul territorio attirato da un prodotto oppure si muove verso un territorio e ne conosce e ne apprezza le produzioni. In entrambi i casi, abbiamo di fronte esempi di valorizzazione integrata del territorio e delle sue risorse. Tra questi una sempre maggiore attenzione viene rivolta ai prodotti a Denominazione Comunale di Origine (De.c.o) che oggi rappresentano un rinnovato strumento di promozione e valorizzazione di quei prodotti limitati in termini di quantità (e per questo di eccellenza) e dei comuni da cui provengono. Le Denominazioni comunali furono una originale intuizione di Luigi Veronelli alla fine degli anni ‘90, il quale credeva fermamente nella possibilità dei piccoli Comuni di poter valorizzare quelle produzioni di nicchia ma anche quelle

tradizioni originali e quelle forme artigianali uniche e davvero rappresentative di un territorio, al di fuori dagli schemi imposti dai regolamenti comunitari per i prodotti tipici, ovvero per quei prodotti a marchio Dop (Denominazione di Origine Protetta), Igp (Indicazione Geografica Protetta) o Stg (Specialità Tradizionale Garantita). Oggi gli attuali “eredi” dell’idea veronelliana delle produzioni a denominazione d’origine comunale continuano nell’opera meritoria di diffusione e promozione di quell’intimo legame tra territorio e risorse produttive, anche a fini turistici, tramite iniziative atte a promuovere le numerose Denominazioni comunali italiane. Tra i prodotti De.c.o si segnalano diverse eccellenze di tutte le regioni italiane (l’elenco in continuo aggiornamento è riportato nel sito www.infodeco.it) e – sulla scia di una tipologia di turismo enogastronomico in progressiva crescita – si moltiplicano le manifestazioni a tema lungo tutta la penisola. Per quanto concerne la nostra regione, il famoso miele di Tornareccio è stato dichiarato De.c.o. con delibera del Consiglio Comunale nell’aprile 2010. Naturalmente altri comuni abruzzesi stanno seguendo l’iter per il riconoscimento delle diverse eccellenze (segnalo come pure esempio la volontà del comune di Giulianova di portare a Denominazione comunale il famoso Brodetto alla Giuliese).

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C COME UVA Comunicazione istituzionale

Fattoria La Valentina Via della Torretta 52 65010 Spoltore (PE) Tel. e Fax + 39 085 4478158 www.lavalentina.it

È TEMPO DI INVAIATURA Una passeggiata nella vigna de La Valentina

Si chiama invaiatura la fase di maturazione dell’uva, in cui dal verde acerbo passa alla caratteristica colorazione che le appartiene: nera per il Montepulciano, verde dorato per tutte le uve a bacca bianca. Eppure, se nel mese di agosto ci si concedesse il lusso di una passeggiata tra i filari, non si potrebbe fare a meno di paragonare la trasformazione in atto alla tintarella che gli esseri umani in questo stesso periodo sono impegnati a prendere in spiaggia. Guardare “negli occhi” i grappoli esposti in fila, pacifici, fiduciosi e concentrati su se stessi e sul sole porta inevitabilmente a meravigliarsi, ancora una volta, del magnifico spettacolo che è la natura. «Abbiamo scelto una gestione larga del sistema di

allevamento a tendone – spiega Sabatino Di Properzio, uno dei titolari della Fattoria La Valentina – Questo crea abbastanza distanza da favorire l’ossigenazione, e, naturalmente, permette al sole di raggiungere più facilmente il grappolo. Di conseguenza le rese scendono in quantità ma aumentano di qualità, e diminuisce anche il rischio dello sviluppo di malattie: quando ai periodi piovosi segue il fresco, infatti, la maggiore circolazione d’aria tra le foglie aiuta ad asciugarle e a non permettere ad ospiti indesiderati di annidarsi». Il colpo d’occhio parla da solo: il fogliame è verde brillante ed è chiaro che di malattie non c’è traccia. Contro la terra bagnata, lungo il fianco della collina spoltorese, i

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nuovi impianti di Pecorino risaltano e sorridono timidi a pochi centimetri da terra, mentre i loro nonni, vigne di Montepulciano Bellovedere e Trebbiano dai 25 anni di età in su, si esercitano nel consolidato mestiere dell’invaiatura. «Quello che ci si aspetta da una bottiglia di vino – spiega Di Properzio, scorrendo con occhi affezionati il crinale verdeggiante – è che esprima la qualità di un territorio, e, personalmente, trovo la campagna pescarese magnifica». Talmente magnifica che si merita una piccola sfida: il primo Fiano prodotto in Abruzzo ai fini dell’imbottigliamento in purezza, che attualmente cresce in un ettaro di un vigneto a Scafa, insieme ad altri dodici di Montepulciano e due di Trebbiano. Sulle colline di San Valentino e Scafa ci sono anche i quattro ettari di Montepulciano coltivati per l’azienda Binomio, sorta da un accordo tra La Valentina e Stefano Inama nel rilevare il terreno, nel 1999, da un’altra azienda vitivinicola, di cui già il valore del prodotto era già noto. Superato il periodo a rischio oidio, in agosto l’impegno principale in vigna, di fronte ad un ciclo stagionale non regolare, è guardarsi dalla quarta generazione di tignoletta, parassita che viene deposto sulla buccia e si nutre della

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polpa dell’uva, e che se non viene arginato si estende al resto del grappolo. «Il nostro monitoraggio del volo degli insetti è costante – spiega Nunzio Di Michele, responsabile delle vigne – e appena individuiamo traccia di parassiti reagiamo subito con un trattamento di bacillus». «Ogni acino per noi è come se fosse una perla – spiega Sabatino Di Properzio – Non a caso i grappoli, durante la vendemmia, vengono raccolti a mano e trasportati in cassette da 3 o da 5 chili: per averne la massima cura. Quello che conta è il vino e come ci si comporta con l’uva: quasi non si dovrebbe ragionare nell’ottica dell’etichetta, ogni annata ha una sua personalità». E mentre ci prepariamo alla vendemmia 2011, piccole, interessanti sorprese commerciali arriveranno già da questo autunno, con la messa in mercato dello Spelt Montepulciano imbottigliato in Borgognotta, e l’arrivo dello Spelt Trebbiano e del già citato Fiano, che affiancheranno le produzioni consuete di Cerasuolo e di Pecorino. «Il Pecorino Igt – chiosa Di Properzio – può rappresentare il territorio anche meglio di una Doc, perché è legata al luogo di produzione e non al metodo: un vino di qualità non può prescindere da un’uva di qualità».


effe

TIPO: rosato VARIETÀ: Montepulciano Nasce dalla ricerca che da sempre viene svolta da La Valentina, mirata all’ottenimento di una qualità espressione assoluta dell’originalità dei nostri terroir. È ottenuto da uve raccolte a fine ottobre, macerate per circa 18 ore, con salasso del mosto e fermentazione lenta a bassa temperatura controllata in tini di acciaio. Dopo l’affinamento in acciaio, non chiarificato nè stabilizzato, viene imbottigliato a metà gennaio. Il Cerasuolo Effe è fuori dalle consuete righe, si presenta con una nota calda da alcool su fondo di ciliegie accompagnate da nuances di anice e mandorla. Esemplare la polpa ben sostenuta da una sottile ed elegante trama tannica, equilibrata dalla chiusura acida fondamentale per la tipologia. È un vino da tutto pasto L’abbinamento

Gallo di cortile con peperoni gialli e rossi sfumati con Trebbiano e rosmarino di Enzo D’Andreamatteo, Locanda Manthoné, Pescara

Ingredienti 6 persone: 1 gallo da 2 kg, 1 peperone giallo, 1 peperone rosso, 2 o 3 rametti di rosmarino, aglio, olio extravergine d’oliva, 200 gr Trebbiano d’Abruzzo, sale q.b. Preparazione: mettete l’olio e l’aglio intero in un tegame di coccio a fuoco lento. Fate sudare l’aglio e poi toglietelo. Aggiungete i peperoni e fateli leggermente appassire. A questo punto aggiungete il gallo che avrete precedentemente fatto a pezzi piccoli e fatelo rosolare a fuoco medio. A rosolatura avvenuta, alzate il fuoco e innaffiate il gallo con il vino e, fatto sfumare, cuocete a fuoco medio per 30 minuti avendo cura di aggiungere di tanto in tanto un mestolo di brodo vegetale. Lo accostiamo al Cerasuolo Effe in quanto la succulenza del gallo è bilanciata dalla struttura “importante” del vino.

Varietà Montepulciano

Vendemmia 2008

e svolgiamo, mirata all’ottenimento di una qualità ità dei nostri terroir. Nell’ottima vendemmia 2008, il suolo “ Linea Classica” applicato a delle uve di elevata e di questo vino particolare, che sarà prodotto in ogni

VIGNETI:

5 ettari m fino a circa 350 m slm ente Sud/ Sud-ovest loso di medio impasto

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C COME FOOD DESIGN

testo e foto di Ludovica Persichitti - ludovica.architettura@gmail.com

“EAT AND BEAT” Quando l’evento fa tendenza

muovendosi in parata e in postazione, per le vie del centro È interessante scoprire come il food design spazi dalla storico, ho pensato che lo spettatore avrebbe potuto trovare progettazione del cibo in senso stretto a quella dell’involucro istintivo interagire all’ascolto tenendo il tempo, come si fa e dei luoghi di consumo. tamburellando le dita su di un tavolo. Tendenza degli ultimi anni è quella dei food events: occasioni Da qui, l’idea di creare una degustazione di prodotti semplici in cui, in uno spazio e tempo circoscritti, il cibo diviene (olio, pane e confetture) servendosi di un supporto che non strumento di comunicazione e l’aspetto ludico e quello sarebbe poi finito nella spazzatura, ma riciclato per interagire scenico sono predominanti rispetto alla degustazione con lo spettacolo musicale. Chiunque avesse voluto, dell’alimento in sé. Eventi studiati ad hoc, commissionati per avrebbe avuto la possibilità di servirsi di bastoncini in legno manifestazioni, spazi museali ed occasioni particolari, con per prendere il cibo e posizionarlo su di un disco in cartone finalità interattive in cui il fruitore è guidato nell’approccio alimentare, realizzato come una sorta di “tagliere da polso”, al cibo coerentemente con il tema della circostanza, e monouso, forato verso il bordo per essere agevolmente personalizzati dagli utensili all’allestimento degli spazi. tenuto come una tavolozza da pittore. Ogni supporto Quando mi è stato proposto di creare un evento di food riportava una scritta “batti qui” ed un logo rappresentante design per la “Street Band Parade”, manifestazione musicale cerchi concentrici, per indicarne il ri-utilizzo: usare lo stecco organizzato dalle associazioni culturali Piazza Dantea en d in legno per battere sul tagliere e seguire a tempo di musica le Piano B per il 9 luglio 2011 nel centro storico di Giulianova, food event design band. A supportare il tutto, una mostra fotografica sulla storia ho pensato di elaborare un concept che valorizzasse la del food design per intrattenere durante la degustazione… e manifestazione e ne promuovesse l’interazione con lo poi tutti in strada a battere il tempo! Un food event chiamato spettatore. Trattandosi di uno spettacolo molto dinamico ... di PANE ed OLIO IN UNO STECCHINO IN PIEDI ”contemporaneamente, “eat and beat” . in cuiDEGUSTAZIONE tre Band avrebbero suonato

l u dovi c a pe r s i c hi t t i

s t u di o

ARCHITETTURA E FOOD DESIGN VIA LAZIO 16 65121 PESCARA

eat

beat

con “TAGLIERE “DA POLSO”

E DOPO AVER STUZZICATO NON SI BUTTA VIA NIENTE !

BATTI QUI

1 ) INSERIRE L ’ INDICE NEL FO RO 1) INSERIRE L’ INDICE N EL FORO 2) UTI LI ZZARE LO STECCO PER BATTERE A TEMPO DI MUSI CA 23 SUL magazine TAGLI ERE


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C COME NIKO ROMITO

di Cristina Mosca – Foto: Mario Sabatini / Francesca Brambilla / Serena Serrani

RITORNO IN GRANDE STILE Un progetto a Castel di Sangro

La prima stella Michelin nel 2007, la seconda nel 2009 ed un en plain mozzafiato di riconoscimenti nelle guide 2011 (Miglior cuoco dell’anno per Identità Golose, Miglior pranzo dell’anno per l’Espresso e tre forchette per il Gambero rosso). La scalata di Niko Romito, chef di Rivisondoli, è stata pressoché vertiginosa e bruciante. Noi di C come magazine la siamo stati a guardare con il naso all’insù e la bocca semiaperta, a partire da quel giorno di inizio 2008 in cui ci siamo presentati al suo desco “Reale” armati solo di un MacBook e di un pdf del numero Zero, per chiedergli la nostra prima intervista. E siccome il suo successo è stato clamoroso, a tratti disorientante, e ad oggi è il primo abruzzese bistellato, da bravi compaesani quali siamo lo tiriamo per la manica bianca e gli chiediamo di scendere dalle nuvole e di fare il punto della situazione. In realtà Niko sulle nuvole sembra non esserci mai salito, e se l’Italia tutta pare tanto innamorata di questo ragazzone che attraverso i fornelli spiega il suo territorio, da consacrarlo ambasciatore della gastronomia abruzzese, lui le responsabilità se le sente tutte addosso e continua a lavorare ai suoi progetti a capo chino, a costo di isolarsi e con il rischio di non godersi conquiste piccole e grandi. Di fatto il suo lavoro, messo a confronto con quello di molti suoi colleghi fuori regione, è tra i più riconoscibili,

rintracciabili, e preziosi, perché si identifica fortemente nella materia prima che viene utilizzata. «Tra fornitori, produttori e operatori del settore, intorno ad un ristorante si crea un intero indotto economico – commenta – di cui le istituzioni non sembrano avere abbastanza coscienza». I primi passi verso uno sviluppo gastronomico importante che parte dal basso intanto già ce l’abbiamo: dopo aver fatto testa di ariete lui, si sono accesi i riflettori italici su un Abruzzo gastronomico di qualità che a quel punto ha voluto dimostrare quello che vale, ottenendo i meritati riconoscimenti su scala nazionale. «Se non credessi nel sistema Abruzzo non avrei investito in un nuovo progetto, che avrebbe potuto invece portarmi altrove, anche fuori Europa», chiosa Niko. Esattamente un anno fa, infatti, pubblicavamo per primi su carta le foto del recupero di CasaDonna e oggi siamo i primi a mostrarvi che il progetto è diventato una realtà. Dall’inizio di agosto l’ex Convento a Castel di Sangro ospita la nuova sede del ristorante Reale, che da maggio era stato messo a riposo a Rivisondoli, e a breve sarà sede della prima scuola professionalizzante privata di cucina, che tra l’altro avrà un occhio particolare per i cinque istituti alberghieri e per gli aspiranti cuochi di qualità residenti e meritevoli. E noi siamo ben lieti di assistere all’inizio di questa bella avventura

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Risotto acido di pecora

con piselli e maggiorana

Ingredienti per 4 persone: 320 g di riso Carnaroli; 500 g acqua; 250 g formaggio di pecora Gregoriano di Scanno; 200 g di piselli freschi; 10 g di foglie di maggiorana; 10 g di amido di riso Preparazione (1h 15’): Tagliate a dadini il formaggio, tuffatelo in una pentola con l’acqua fredda e portate a ebollizione per 10 minuti a fiamma moderata. Spegnete e filtrate il brodo ottenuto con un colino cinese o un telo di lino. Aprite i baccelli e sgranate i piselli: sbollentateli per pochi minuti e immediatamente raffreddateli in acqua ghiacciata; poi privateli della buccia esterna. Teneteli da parte. In una casseruola di rame tostate il riso a secco per un paio di minuti, quindi portatelo a cottura, bagnandolo con il brodo di formaggio, per 15-18 minuti. Tempo totale: 1h 18’. Utensili: casseruola di rame; colino cinese; telo di lino

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GUAZZETTO DI FRUTTA FRESCA CON SORBETTO ALLO ZENZERO

Ingredienti per 4 persone: Per il guazzetto: 500 g frutta fresca, 500 g acqua, 150 g zucchero; 2 fiori anice stellato; 1 stecca di cannella; 100 g di purea fresca di albicocche. Per il gelato: 500 g di latte intero; 100 g di zenzero; 150 g di panna liquida fresca; 110 g di zucchero. Per decorare: biscotti “lingue di gatto” q. b. Preparazione (1 h 20’): Per il guazzetto: in una casseruola di rame dai bordi alti versate l’acqua, aggiungete lo zucchero, l’anice stellato e la cannella spezzettata: rimestate e portate a ebollizione per qualche minuto. Spegnete e lasciate raffreddare. Lavate e mondate la frutta fresca e poi tagliatela a dadini: ponetela in infusione nello sciroppo di zucchero per almeno 1 ora. Quindi filtratela con un colino a maglie larghe e incorporate la purea ottenuta dopo aver centrifugato in frullatore le albicocche mondate e denocciolate. Preparate il gelato: dopo aver portato il latte a ebollizione, fuori dal fuoco mescolatevi lo zenzero e lasciatelo in infusione per 5 minuti. Filtrate e poi unite la panna e lo zucchero: mescolate e fate raffreddare a temperatura ambiente. Mettete il composto nella gelatiera e mantecate. Finitura: al momento del servizio versate al centro di un piatto fondo un mestolino di guazzetto di frutta. Sopra, deponete una pallina di gelato allo zenzero e decorate con lingue di gatto. Tempo totale: 1 h e 23’ (escluso il tempo di infusione della frutta, cioè 1 ora). Utensili: Frullatore, gelatiera, colino

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Speciale Fresco

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C COME BACCALÀ

Speciale Fresco

di Maura Di Marco

DEL MERLUZZO NON SI BUTTA VIA NIENTE! Il piatto “povero” più ricco che c’è

responsabile alle vendite della Foodsimport di Colonnella Avete mai visto un baccalà vivo? Impossibile, per un semplice – il baccalà contiene una quantità di proteine superiore a motivo: non esiste un pesce che si chiama baccalà. Sembra quella della carne bovina, pochi grassi e poche calorie ed scontato dirlo, invece non tutti sanno che è il merluzzo, una è ricco di sali minerali, quali sodio, potassio, calcio, fosforo, volta pescato, a diventare baccalà o stoccafisso, a seconda magnesio e selenio. L’Italia è il primo consumatore mondiale: di come viene successivamente conservato e lavorato. le ricette in tutto lo Stivale sono innumerevoli, dal Triveneto La fortuna del merluzzo in Italia vede il suo inizio con il alla Basilicata e alla Campania, fino ad arrivare in Abruzzo. Concilio di Trento, che a metà del 1500 condannò la dottrina Da noi, è stato sempre reputato il cibo dei poveri, e utilizzato luterana ed attuò la Controriforma, che prevedeva, tra molto soprattutto nella cucina contadina e di montagna per l’altro, di mangiare di magro il mercoledì, il venerdì e tutte le sue alte capacità di conservazione. Purtroppo è stato le feste comandate, che allora erano tante. Per le persone accantonato nella cucina casalinga per la sua complessità di di quel tempo, in particolare quelle non molto facoltose e preparazione… L’ammollo per la dissalatura, infatti, a volte per chi non abitava lungo le coste, era di certo una gran deve durare anche quattro giorni, e non sempre si è in grado bella scomodità, considerando che i frigoriferi ancora non di capire quando il pesce è esistevano. Si diffuse così il pronto per la cottura. Oggi commercio dello stoccafisso BACCALÀ O STOCCAFISSO? però, anche grazie agli e del baccalà, grazie alle investimenti della nostra loro caratteristiche e al loro Se viene subito pulito, messo in un barile e coperto di sale, azienda, leader in questo prezzo basso, e all’operato è chiamato baccalà, parola di origine fiamminga che vuol dire settore, adesso il baccalà delle Repubbliche Marinare bastone di pesce. Se invece, dopo la pesca, viene lasciato è in vendita già dissalato, che con i loro traffici ad essiccare all’aria fredda, diventa stoccafisso: da stock, e reputiamo sia un passo ne contribuirono alla legno, e fish, pesce. Alias bastone di legno, ché tale appare importante anche nel campo commercializzazione in tutta per la sua durezza. I fautori di questa tecnica di conservazione della ristorazione». l’Italia. «Dal punto di vista sono stati i Vichinghi, i grandi navigatori provenienti dal Nord Il merluzzo è tra i pesci più nutritivo – spiega Paolo Monti,

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Speciale Fresco CARPACCIO DI BACCALÀ ALLA CATALANA di Patrizia Corradetti Zenobi, ristorante “Zenobi” di Colonnella (Te)

Ingredienti: gr.250 filetto di baccalà ammollato, 1 cuore di sedano, 1 cipollotto fresco, 2 pomodori a pera Abruzzo verdi, olio extra vergine di oliva, sale, pepe. Preparazione: Lavare e tagliare a fettine i pomodori a pera, il cipollotto, il sedano. Privare il baccalà della pelle e delle lische, lavarlo, asciugarlo e affettarlo, a mano, sottilmente. Sistemare le fettine di baccalà, il pomodoro, il sedano e il cipollotto sul piatto di servizio; condire con dell’ottimo olio extra vergine di oliva ed un pizzico di sale. (Foto: ristorante Zenobi)

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Speciale Fresco se ha un odore nauseante. importanti del panorama della Norvegia. Dalle loro parti, al largo delle isole Lofoten, Lo stomaco del merluzzo ittico perché oltre ad essere di merluzzi ce n’erano a iosa: i Vichinghi li pescavano, e li viene spedito in Giappone: economico, abbondante facevano essiccare all’aria aperta. Ne veniva fuori un alimento là ci infilano dentro degli (ogni femmina depone tre perfetto per le loro esigenze: nutriente, leggero (poca acqua, altri pesci, e poi lo usano milioni di uova per volta!), poco peso), di lunga conservazione perché disidratato, come per il sushi. In Islanda, del nutriente, dieteticamente le mummie. Poi gli spagnoli hanno “inventato” il baccalà: una merluzzo non gettavano prezioso (i pochi grassi che volta pescato il merluzzo, per conservarlo, invece di esporlo neppure la pelle: sostituiva ha sono grassi insaturi, che all’aria perchè la Spagna è meno fredda della Norvegia, lo il pane, che a quelle invece di far male fanno mettevano sotto sale: tecnica che già usavano con le balene. latitudini, non potendosi bene), non deperibile e I Vichinghi impararono dai Baschi questo nuovo sistema di coltivare cereali, non c’era facilmente trasportabile, conservazione del merluzzo, e ne estesero l’impiego: oltre (non c’è neppure adesso, è considerato l’omologo che come cibo, sulle loro navi il baccalà fungeva anche da ma viene importato). Fritta acquatico del maiale, barometro. Lo appendevano infatti a bordo con delle corde: o arrostita e spalmata di perché di lui non si butta quando cominciava a gocciolare, voleva dire che era in arrivo burro, la pelle del merluzzo via niente. una tempesta, perchè la maggiore umidità dell’aria faceva era la merenda preferita In Norvegia la testa del sciogliere il sale. dei bambini islandesi. merluzzo viene bollita; la Conciata come il cuoio, veniva usata pure per confezionare lingua è una vera ghiottoneria e le guance vengono fritte borse. E se cane non mangia cane, pesce mangia pesce: in pastella; le uova di merluzzo, lessate nella loro sacca, si l’intestino macinato del merluzzo viene dato in pasto ai mangiano affettate; il fegato, cotto in salsa; si ingerisce l’olio salmoni d’allevamento. di fegato di merluzzo perché contiene molte vitamine, anche

E A SANT’OMERO UNA SAGRA IN SUO ONORE La sagra del Baccalà di Sant’Omero (Te) è arrivata alla 31esima edizione. Una idea nata grazie alla Pro loco locale e alla famiglia Monti, imprenditori commercianti – ormai di quarta generazione – di baccalà e stoccafisso. Da questa unione è nata una festa che rende omaggio al baccalà, molto presente nella cucina locale e considerato il piatto dei poveri. Il menù della sagra è fatto esclusivamente di baccalà secco norvegese ali bianche per tutti i secondi, e di filettoni di baccalà Gadus Morhua per gli antipasti, i primi, le cotolette e le olive ripiene. Anche l’afflusso delle persone alla sagra è stato sempre più importante: basti pensare che nella prima edizione vennero cucinati 70 kg di baccalà, mentre attualmente ne vengono cotti circa 4500 kg. È significativo che nell’estate del 2003 una delegazione dell’associazione guidata da Riccardo Monti sia stata ospite ad Alesund, in Norvegia, per cucinare ricette a base di baccalà norvegese per un manifestazione locale, molto simile alla sagra di Sant’Omero, che ha avuto molto successo sulla stampa norvegese.

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C COME TARTUFO ESTIVO

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di Tino Di Sipio – Foto: Letizia De Antoniis

LO SCORZONE È NOBILE Un gioiello nascosto della natura Forse non tutti sanno che l’Abruzzo si pone fra i primi posti in Italia per la produzione di tartufo. Ben il 40% del territorio regionale è tartufigeno! Ha un raccolto annuo, mediamente, di 4.000 kg ottenuti da oltre 10.000 “cavatori”. La produzione è rappresentata dal tartufo bianco (15%), dal tartufo nero pregiato (33%) e, per il rimanente, dal tartufo nero estivo, più noto come scorzone (Tuber aestivum). Le zone più vocate sono, per la provincia di Chieti, quelle della Val di Sangro, Quadri, Borrello, Pizzoferrato, Torrebruna, Carunchio, Fara San Martino, Lama dei Peligni; per la provincia de L’Aquila Valleroveto, Luco, Gioia dei Marsi, Pescina, Pescasseroli, Fagano, Zona Sub Equana,

Vallepeligna, Capestrano e Altopiano di Navelli. Vediamo interessato pressoché tutto il territorio del Teramano, ma molto meno il Pescarese, con Popoli, Bussi, Loreto, Penne e la zona Vestina. Oltre alle tantissime tartufaie naturali sparse in gran parte della regione, si sono recentemente aggiunti numerosi campi specializzati di coltura con piante micorizzate che danno un prodotto la cui qualità nulla ha da invidiare a quella delle tartufaie naturali. Per tutte le produzioni il cavatore deve oggi, per legge, servirsi dei cani: in Abruzzo i preziosi cani sono il Lagotto, il Segugio, ma spesso anche semplici meticci opportunamente addestrati. Un tempo veniva usato anche

il maiale (la femmina), ma poi è stato bandito perché con la sua irruenza danneggiava gravemente le tartufaie. Per moltissimo tempo il tartufo abruzzese è stato esportato verso le regioni già famose per coltura e cultura di questo gustoso tubero (…come succede ancora per il nostro olio extra vergine!!). Eppure già nell’800 era ritenuto una importante risorsa da tutelare, tant’è che la Camera di Commercio de L’Aquila in quel periodo emanò un preciso regolamento atto a normare tempi e modalità di raccolta. Ancora oggi una buona parte della produzione continua ad “emigrare” verso altre terre, sottobanco: una vero mercato “nero” ma di certo non “pregiato”, che non consente all’Abruzzo il giusto riconoscimento della sua produzione. Nella ristorazione abruzzese solo in tempi recenti il tartufo appare in forma più consistente nelle offerte gastronomiche. Discorso diverso invece va fatto per la gastronomia regionale: i buongustai abruzzesi, infatti, hanno da sempre e costantemente apprezzato questo gioiello nascosto della natura. Anche ai tempi della Panarda, famoso e copioso banchetto della storia gastronomica abruzzese, il tartufo era presente fra le oltre 100 portate del pantagruelico menù. Oggi, nei non molto numerosi ristoranti tipici (quelli veri!!!) della nostra regione, il tartufo abruzzese occupa un posto di rilievo. Uno di questi, il ristorante Ekk Cantina Santangelo

Ben il 40% del territorio regionale è tartufigeno

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CREMA DI PATATE NOVELLE CON GUANCIALE E TARTUFO ESTIVO di Gabriele Marrangoni

Ingredienti per 4 persone: 400 gr di patate novelle; 4 fettine di guanciale; mezza cipolla; 60 gr di tartufo estivo; mezzo litro di sale; pepe nero di Mulinello; olio extravergine di oliva. Preriscaldare il forno a 100°; disporre le fettine di guanciale su una placca antiaderente e metterle al forno fino a quando non diventano croccanti (almeno 30 minuti). Sbucciare e tagliare a cubetti le patate, e metterle in una casseruola insieme alla cipolla tagliata a spicchi. Coprire a filo con il brodo vegetale e portare a cottura. Passare il composto al passaverdure (si sconsiglia l’utilizzo del mixer, altrimenti la crema viene collosa) e, con l’aiuto di una frusta, incorporare mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva. Aggiustare di sale e pepe macinato al momento. Scaldare la crema ottenuta e servirla fumante aggiungendo una fettina di guanciale per ogni commensale. Cospargere con abbondante tartufo estivo affettato molto sottile con l’apposita mandolina. Nota: per ottenere un sapore leggermente tostato della crema, preferisco rosolare patate e cipolle in poco olio extravergine di oliva prima di aggiungere il brodo vegetale (rigorosamente di verdure!). Ottimo sarebbe l’utilizzo della patata “turchesa”, prodotta nella zona del Parco del Gran Sasso – Monti della Laga, anche questa reperibile presso Ekk Mercato. Suggerisco l’abbinamento con un Cerasuolo di Montepulciano. Prosit!

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Speciale Fresco all’interno di Ekk Abruzzo in sintesi a Città Sant’Angelo (Pe), ha voluto addirittura dedicare al tartufo nero estivo (scorzone) un intero menu, un Galà, dal 16 al 31 agosto. Ho voluto incontrare il patron del ristorante, lo chef Gabriele Marrangoni. Caro Gabriele, la prima domanda che voglio farti è perché hai voluto dedicare un Galà ad un prodotto spesso non tanto apprezzato come lo scorzone. «Lo scorzone è sicuramente quello che dà come profumi e sapori un grado minore rispetto al pregiato nero e al bianco… ma è altrettanto vero che in questo periodo, oltre ad essere più facilmente disponibile, esprime il meglio dai suoi profumi e sapori. Ma c’è un altro motivo per cui ho voluto il Galà del tartufo abruzzese: per stimolare i miei ospiti ad adoperarlo nella loro cucina quotidiana. Si tratta di una materia prima molto semplice da trattare, che dà svariate possibilità di utilizzo e permette di evitare il rischio della monotonia sulla tavola di tutti i giorni».

Una buona parte della produzione abruzzese è destinata all’esportazione sottobanco

Che difficoltà hai a reperire il tartufo - e non solo in questo periodo? «Molti cavatori sono amatoriali: trovare l’azienda che riesca a fornire il prodotto con le stesse modalità previste dalla legge risulta molte volte difficile. Sto cominciando a vedere risolto questo problema con la possibilità di attingere al mio dirimpettaio Ekk Mercato Tipico d’Abruzzo, che raccoglie al suo interno il meglio delle nostre aziende tartufigene, e naturalmente non mi riferisco a prodotti aromatizzati o mixati con funghi e quant’altro. È chiaro, inoltre, che esistono sempre quei cavatori tartufai che propongono il loro tartufo senza mettere in difficoltà il ristoratore dal punto di vista gestionale. A proposito dell’utilizzo del tartufo, Gabriele, rispondiamo ad una domanda molto frequente: «Ma si cuoce?» «Il tartufo abruzzese bianco non sopporta assolutamente la cottura, perché rilascia a crudo il meglio del suo profumo e sapore. Il tartufo nero pregiato può essere utilizzato a contatto col calore, che però deve essere non di alta intensità. Lo scorzone, invece, sopporta il contatto con il calore e quindi può essere utilizzato anche sin dall’inizio della preparazione della ricetta, in quanto la sua conformazione, se è a perfetta maturazione, non modifica i suoi profumi, anzi li esalta».

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C COME ARROSTICINO

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di Eleonora Mancinelli – Foto: Modiv

FINO ALL’ULTIMO SPIEDINO Qualità, cottura e salatura alla base di buoni “rustelle” Non esiste un vademecum dell’arrosticino perfetto, ma Pierluigi Di Mascio, produttore e presidente di Campagna Amica Pescara, ha accettato di darci alcune dritte su come riconoscere un buon arrosticino di pecora. E siccome in Abruzzo le sere estive sono fortemente caratterizzate da carbonella e “rustelle”, non c’è periodo più adatto per parlarne. «Fra tutti i fattori – spiega – è la qualità della carne ad influenzare la bontà dell’arrosticino: la pecora non deve essere né troppo vecchia, perché lo renderebbe eccessivamente fibroso, né troppo giovane, cioè poco più di un agnello maturo, pena la perdita del classico sapore. La cottura è altresi un fattore da non sottovalutare: un arrosticino che si rispetti deve essere cotto su un carbone vivo, altrimenti rischia di diventare amaro e la distribuzione del grasso al suo interno deve essere equilibrata. Forse

non tutti sono a conoscenza del fatto che se non viene manipolato con dell’aggiunta di grasso tra un cubo di carne e l’altro vengono penalizzate la cottura e, di conseguenza, la sua morbidezza. In ultimo, dobbiamo accertarci che il nostro arrosticino presenti una salatura adeguata che ne consolidi il carattere, non eccessiva ma nemmeno …timida». Grazie ai consigli preziosi di un esperto del settore, ecco il segreto per distinguere l’arrosticino artiginale da quello industriale: il primo è riconoscibile perché i pezzi della carne sono disomogenei e tendenzialmente più grandi rispetto a quello industriale, che invece presenta cubetti di carne di eguale misura, squadrati. Dopo aver seguito queste accortezze vi consigliamo di accompagnare l’arrosticino ad un vino rosso in “barrique” servito a temperatura ambiente per sublimarne il sapore.

L’ARROSTICINO D’ORO A CRECCHIO È stato “Il signore delle pecore” a vincere la seconda edizione de “L’arrosticino d’oro” che si è svolto a Crecchio dal 24 al 26 giugno. Una giuria a cui ha preso parte anche “C come magazine” gli ha assegnato il primo premio offerto da Landolfo Orafo di Francavilla. L’azienda “Il Ritrovo” si è aggiudicata l’argento (un viaggio offerto dall’agenzia di viaggi Imv Tour di Pescara) e “La Castellana” ha meritato sei mesi di pubblicità gratuita sul portale Arrosticinionline.com. La scelta è stata ardua perché le aziende concorrenti erano tra le migliori; le altre quattro in gara erano Arrosticini Tornese (vincitore della prima edizione), Il Vitello d’Oro, La Plaza e Nuove Idee che si sono consolate con delle targhe di partecipazione. (E.M.)

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C COME RECUPERO

di Maura Di Marco - Foto: Arssa

IL POMODORO A PERA Perché vale la pena riscoprirlo

A chi ci chiede che forma ha l’Abruzzo, molti di noi risponderebbero quella delle onde del mare, altri quella sinuosa delle colline, alcuni quella della Bella Addormentata che svetta sull’Adriatico. Ma se ponessimo la stessa domanda a Rocco Marinucci, ricercatore agronomo dell’Arssa, avremmo quasi la certezza di una risposta: l’Abruzzo ha la forma di una pera. A chi di voi sta ridendo, rispondiamo che non stiamo scherzando: l’Abruzzo ha la forma di una pera, anzi, sarebbe meglio dire quella di un pomodoro a pera. La scoperta è dell’Arssa, l’Agenzia regionale che da sempre è impegnata nel recupero del territorio e che, da circa cinque anni, è coinvolta nel progetto di rinascita di un frutto unico al mondo che, per via dei cambiamenti ambientali, rischiava di

perdere le sue peculiarità morfologiche e qualitative. Come ci spiega lo stesso Marinucci, lungo il dosso del pomodoro a pera sono comparse, con il tempo, delle spaccature che ne disperdevano profumi, sapori ed aromi. Inoltre, la sua tipica forma piriforme rischiava di assumere una sembianza “globosa”. «Abbiamo cercato di rispondere – ci spiega Marinucci – alle richieste del mondo dell’agricoltura che non voleva rinunciare a questo tipo di coltivazione: recuperare il pomodoro a pera per consentire ad un settore strategico dell’economia regionale di recuperare risorse, valorizzando, al tempo stesso, i frutti della nostra terra». Marinucci, insieme ai suoi colleghi Roberto Di Muzio ed Antonio Marini, ha distribuito, in soli 3 anni, circa 300.000 piantine. Ma non solo: essi hanno collaborato con il Centro di

Sono state distribuite 300mila nuove piantine in 3 anni

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UNA MERENDA D’AMORE Sbucavano appena gli occhi ed un ciuffo di capelli, tre dita per mano ed il naso spiaccicato al filo del bordo: ma a quello spettacolo non mancavano. I bambini d’una volta, sulla punta dei piedi, intorno al tavolo di cucina vivevano ogni giorno il momento magico della preparazione della merenda. Che, nelle contadine contrade nostrane, si faceva prevalentemente a pane, ujie e pommodore, appunto. Adesso la scena globalizzata (quando significa appiattimento sociale, non piuttosto arricchimento culturale) del “break” tra un “lunch” (pranzo) ed un “dinner” (cena), ha il rumore del cellophan lacerato, colori improbabili di additivi tanto accattivanti quanto inutili, odori innaturali nel loro eccesso falso-appetitoso, e la consistenza spugnosa che si scioglie in bocca, gioco di lingua-gengive e giù. Una pura formalità, insomma, veloce e comoda, usa-e-getta. È la “mulinobianchizzazione”, trasformazione dei cuccioli d’uomo in semplici tubi digerenti. I quali, grazie a questo, non sanno più vivere il cibo consumandolo sempre meno a tavola, non distinguono i sapori perdendo una gran parte della propria sensibilità, si riempiono di brufoli e diventano obesi. Inevitabilmente, quindi, insoddisfatti. E, quel ch’è peggio, incapaci di amare. Intorno a quella tavola, anche nelle cucine più misere, si teneva quotidianamente un rito dalla straordinaria forza educativa ed affettiva. Dal taglio della pagnotta – o la scelta dei pezzi più adatti, e attenzione a non far preferenze tra gli affamati spettatori – al filo d’oro che ci si faceva colare sopra, con grande parsimonia per carità, alla cernita dei rossi pomi il cui succo era ottimo per ammorbidire la mollica, tutto era ipnotico. Odori, colori e suoni, come i gesti e gli sguardi, trasformavano l’operazione in una sorta di “sacra rappresentazione”, la cui liturgia ormai perduta era esperienza (come si direbbe oggi) olistica, totale. Ma soprattutto grandemente comunicativa, non solo per l’aspetto tecnico-culinario (ad esempio nella scelta degli ingredienti più adatti, benché di ricetta elementare si tratti) quanto, soprattutto, per la enorme carica umana che vi passava, componente più importante. Educazione alimentare allo stato purissimo, cioè cultura, mica una materia scolastica com’è oggi! Di una merenda d’amore si trattava, perché l’adulto che, quasi uno stregone, compiva il miracolo di far star buoni per diversi minuti tutti li citl e li bardisc coinvolti era come se dicesse ad ognuno: “Questa cosa la faccio per Te, e la cura che ci metto non è solo rispetto del cibo. È il bene, tutto il bene che Ti voglio.” Impossibile farlo con una asettica confezione monodose. (Monica Andreucci)

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Speciale Fresco Ricerche di Milano e l’Istituto Monsanpaolo del Tronto affinché i semi selezionati recuperassero le caratteristiche originali. Come ha illustrato in un suo intervento Valentino Ferrari, i semi sono stati sottoposti ad un processo di miglioramento tramite ibridazione, ma senza ricorrere ad incroci genetici. Ed i tre (Marinucci, Di Muzio e Marini), grazie al supporto scientifico ed organizzativo dell’Arssa, ce l’hanno fatta, oltre le più rosee, o sarebbe meglio dire, rosse aspettative. Il pomodoro a pera è, oggi, richiestissimo dal mercato, tanto che molte catene di centri commerciali nazionali ne vorrebbero addirittura l’esclusiva. Buonissimo da mangiare a crudo o ad insalata, per via del suo sapore in perfetto equilibrio tra zuccheri ed acidità, ancor meglio se passato, per via della carnosità e della scarsa presenza

d’acqua e di semi nelle logge seminali. Ma un segreto bolle in pentola: soprattutto se consumato cotto, il pomodoro a pera sprigiona al massimo tutti i suoi effetti salutari. Il licopene, contenuto in grosse quantità, ha proprietà anti-cancerogene e, se cucinato, rompendosi molti dei legami chimici, amplifica tutta la sua forza benefica. Sono tanti i Comuni che dalla costa alle vette hanno aderito al progetto: Francavilla, Miglianico, Ripa Teatina, Giulianova, Penne, Montorio al Vomano ed Isola del Gran Sasso. «La nostra nuova sfida è trovare strade alternative al consumo di questo prodotto. Tra le più innovative – conclude Marinucci – c’è quella in modalità succo di frutto, proprio per via delle sue qualità a favore del nostro organismo».

Se cucinato sprigiona tutti i suoi effetti salutari

A TAVOLA… ROTONDA Venerdì 29 luglio presso il Miglianico Golf Country Club la Pro Loco di Miglianico ha organizzato, con il supporto dell’amministrazione comunale, una tavola rotonda dal titolo “Il pomodoro a pera … Una realtà d’Abruzzo”. L’incontro è stato organizzato in occasione della consueta manifestazione gastronomica miglianichese “Le contrade del piacere”. Durante il convegno sono state illustrate le caratteristiche del prodotto da parte dei tecnici A.r.s.s.a, dei Sindaci dei nove Comuni che hanno aderito al progetto del pomodoro a pera d’Abruzzo. Una giuria di esperti capitanata dall’unione Cuochi Abruzzesi ha premiato a pari merito, come piatti migliori del primo concorso “Viva la pappa col pomodoro a pera d’Abruzzo”, la Pecora alla callara della signora Antonia Di Giacomo e il Baccalà con sugo di pomodoro a pera della signora Rosa Cataia. Luciano Di Bartolomeo (nella foto) è stato invece premiato come miglior produttore di pomodori a pera. .

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C COME VI CONSIGLIAMO

Comunicazione istituzionale

Ristorante Villa Vignola Località Vignola 66054 VASTO (CH) teL 0873/310050 www.villavignola.it

BENVENUTI A VILLA VIGNOLA A Vasto un angolo di paradiso Quando Guido Mazzetti scelse la villa patronale in località Vignola per iniziare la sua attività aveva capito benissimo davanti a cosa si trovava. Arrivare a Villa Vignola, sedersi in terrazza, mangiare il pesce del territorio preparato e ammirare il panorama è un’esperienza che prima o poi va fatta. E se non si ha voglia di tornare a casa si può sempre soggiornare in una delle cinque stanze che la struttura ha a disposizione, e che sono state pensate per chi sceglie di passare le vacanze in questo posto. Le stanze sono arredate con mobili antichi e curate in ogni particolare, l’ambiente è caldo e amichevole e il personale fa il possibile per lasciar trascorrere ai visitatori un periodo di pace, in un’atmosfera tranquilla e riposante. Innamorarsi di questo posto è molto facile: circondata da un giardino che dà sul mare, tra gli agrumi e gli ulivi, questa bella villa si affaccia su un panorama mozzafiato, una spiaggia rocciosa e un’acqua limpida. Sono molti i personaggi famosi che sono passati da queste parti e si sono stupiti del posto. Vedere per credere, le loro testimonianze sono nel ristorante: Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Maria Grazia Cucinotta e

Gigi Proietti, I Pooh, John Lynch, Pupo e tanti altri sono tutti in fila, immortalati insieme a Guido Mazzetti nelle foto sulle pareti del ristorante, soddisfatti e dal volto disteso. La cucina è sobria e intelligente, fatta di materia prima di qualità e verdura grazie allo chef Giampietro La Verghetta che trasforma questi ingredienti nei segreti del suo stile leggero (un esempio sono i crudi marinati e le cotture al vapore). Prima di diventare cuoco, Giampietro si è diplomato presso l’istituto alberghiero di Villa Santa Maria e ha fatto esperienza in un ristorante a Monaco in Germania. Il suo segreto sta nel divertirsi e nell’uso di prodotti a km 0. In un menu ideale vi segnaliamo come antipasto carpaccio di tonno rosso con julienne di cipolla di Tropea in agrodolce; come primo piatto una crêpe farcita con zucchine, scampi e ricotta su un letto di pomodorini vesuviani, pinoli e basilico e un giro di salsa di pesto di rucola; come secondo un tronchetto di pescatrice al vapore al profumo degli agrumi di Vignola con contorno di verdure mediterranee. Per finire, un semifreddo all’arancio con salsa all’Aurum. Tra i vini si può scegliere da una carta ben fornita. Non vi resta che andare a provare.

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C COME VINI

di Daniel Della Seta, giornalista autore e conduttore “Italia che va...” Rai Radio 1 Foto: Modiv / Della Seta / Witaly

L’ARTE DEL SAPORE E DEL SAPER VIVERE Un commento di chi ci guarda da fuori regione

Si è chiusa con successo la settimana dei Vini da vitigno autoctono della Guida di Touring Editore “Vinibuoni d’Italia”, che ha visto darsi appuntamento a Civitella del Tronto decine di giornalisti enogastronomici da tutta Italia, dalla California e dal Canada, per scegliere i migliori vini in assoluto e premiarli con la “corona” sulla guida 2012. La chiusura dei lavori di selezione ha avuto due momenti particolarmente suggestivi dentro la Fortezza di notte. Venerdì 29 luglio ha stupito tutti la Cena sotto le stelle, curata dagli chef teramani dell’associazione “Qualità Abruzzo”, dagli stessi Daniele Zunica e Luca Di Felice, padroni di casa perché del ristorante Zunica, e da Domenica Vagnarelli, Massimiliano Capretta, Vito Pepe del Ristorante “Beccaceci”, Claudio Di Remigio de ”La conchiglia d’oro” e Sandro Ferretti, dell’omonima pasticceria rosetana. La sera del 30 la Fortezza è stata aperta al pubblico e le “corone” sono state presentate anche agli appassionati. La manifestazione è stata sostenuta dalla Camera di Commercio di Teramo.

Fuggire dalla città, dalla frenesia delle giornate d’una estate instabile climaticamente e economicamente, ricca d’incertezze e di nubi all’orizzonte. Approdare nei borghi dell’Abruzzo, nella Provincia di Teramo, laddove quel bastione della Fortezza di Civitella del Tronto fu l’ultimo a cedere ai piemontesi il 20 marzo di 150 anni fa, ci permette quasi di rientrare, quest’anno, nella storia, quasi riappropriarcene, in un ideale percorso sensoriale e visivo che coinvolge però tutti i sensi. Da Castelbasso, con alcune delle sue espressioni artistiche recuperate e altre offerte per iniziativa di un mecenate legato da affetti profondi a quel luogo, sino a volgere lo sguardo dall’alto dei 600 metri della

Fortezza di Civitella verso l’Adriatico. Ci sentiamo al sicuro qui, sorvegliati dal corno del Gran Sasso a contemplare quei trenta chilometri che dalla montagna, passando per la collina, ci conducono al mare. Questa è la magia di un luogo che mi ha rammentato una vista simile nel deserto del Negev, tra stambecchi del deserto e ulivi forti a testimoniare la volontà di vita, o il panorama che, in Israele, da Masada guarda il Mar Morto e la Giordania. La nuova edizione della guida sui migliori vini d’Italia ci permette di vivere esperienze talora inaspettate e straordinarie, quelle, per intenderci, che ci arricchiscono, che ci permettono di riannodare le fila dei rapporti umani, di

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coltivare la condivisione, di parlare e ascoltarci davanti un buon piatto della tradizione locale, innaffiato da quanto di meglio offra il territorio. E guardandosi negli occhi, oltre la forma finalmente ecco la sostanza. Ho incominciato a vivere e capire quello che bevevo e mangiavo oltre 25 anni fa, quando in Umbria sperimentavo i vari condimenti assieme a mia zia Fiammetta, tra strozzapreti, spaghetti, ciriole, arrosti, bagnati da Sagrantino. E chiudendo gli occhi sentivo la vita di quel territorio. Ho imparato ad apprezzare la terra a sorprendermi per la bontà di quel pane, di quell’olio, a godere della raccolta delle more trasformate in conserve dalla sapiente mano familiare. Per chi, come me, è nato “topo” di città, è stato l’inizio di un percorso che mi ha portato parimenti a capire le ragioni di quella produzione, la

storia nelle rughe degli abitanti dei paesi con cui nell’incrocio di inflessioni ci scambiavamo sorrisi, battute, intese e sguardi orgogliosi di chi ce l’aveva fatta. E oggi con la stessa umiltà e curiosità adoro girare con telecamere discrete e microfoni, tra i vicoli, per parlare con gli anziani seduti sulle panchine, scoprire e raccogliere i racconti su come siano stati recuperati quei vitigni autoctoni, orgoglio della nostra produzione vitivinicola nazionale. Non serve solo degustare a fiere o a manifestazioni per capire quanta strada abbiano compiuto il Trebbiano, il Montepulciano pluridecorato, ora i modaioli Pecorino e Passerina, e le recenti certificazioni a comprovare i progressi. Bisogna esserci, sui luoghi, annusare quella terra, prenderla in mano, capire quanto persino la tecnologia nulla possa dinanzi alla maestosità della natura e dei suoi ritmi. Progressi

In questi luoghi abruzzesi capisco quanto la tecnologia nulla possa dinanzi alla maestosità della natura e dei suoi ritmi

LA SCELTA di Franco Santini

Da tre anni ormai mi occupo della selezione dei vini abruzzesi per le finali di Vini Buoni D’Italia, ma questa è stata senz’altro l’edizione che ho sentito più “mia”. Sarà che per la prima volta la scelta delle “corone” avveniva nella mia terra, oppure per il fatto che, dopo un paio d’anni di rodaggio, il sodalizio e la sintonia con Andrea De Palma, coordinatore delle regioni Abruzzo-Molise-Puglia, sono diventati sempre più stretti, sta di fatto che sulla selezione di etichette che avevamo deciso di proporre per le finali di Civitella del Tronto nutrivo molte aspettative. Dopo il lungo e faticoso lavoro di scrematura – in cui abbiamo assaggiato alla cieca (a bottiglia coperta) circa 450 vini da tutto l’Abruzzo – ci eravamo presentati alle finali con solo venti etichette, che a nostro avviso offrivano un quadro ben delineato del meglio della produzione regionale. Già questi numeri dovrebbero dare un’idea di quanto rigido sia stato il taglio operato! Volevamo proporre per la finale solo vini che ci avessero convinto al 100% e che fossero autenticamente rappresentativi per la loro categoria. In più, avevamo deciso di rischiare su alcune tipologie “minori” (vedi la cococciola), rinunciando in partenza a qualche vino che sarebbe andato a “corona” senza troppi problemi ma che, nell’economia della produzione vinicola abruzzese, ha un ruolo più marginale (penso, ad esempio, agli straordinari vini da dessert di Zaccagnini e Angelucci). Nelle finali di Civitella i 20 finalisti, secondo il protocollo ormai consueto a Vini Buoni D’Italia, sono stati sottoposti al giudizio dei selezionatori delle altre regioni, che, a maggioranza, hanno eletto i “coronati”. Alla fine, ben 12 vini su 20 hanno conquistato il massimo riconoscimento, e, a leggere i nomi dei vini premiati, non posso che essere soddisfatto, perché sono prodotti ed aziende che per storia e qualità raccontano l’Abruzzo e lo fanno amare anche al di fuori dei nostri confini.

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in termini di qualità, di consapevolezza di vivere su uno scrigno di ricchezze proprio tra natura e storia, che non è facile da diffondere, da comunicare. Agronomi, tecnici ed enologi sono qui per questo. E noi pure siamo qui: per portare una prova concreta di diffuso entusiasmo. Una terra che ha la minore densità abitativa del paese, uomini e donne forti, senza fronzoli, rigorosi e dalla grande dignità. E dall’Aquilano, da me frequentato per lunghi anni, spingersi nel Teramano è stato un piccolo passo di grande significato, grazie agli organizzatori, alla Camera di Commercio, ai produttori, ai consorzi, agli operatori commerciali, e agli occhi di quegli abruzzesi stretti tra mare e montagne della provincia di Teramo, che ci hanno tramandato l’eccellenza

nella produzione agroalimentare. Avendo vissuto i teatri di pietra, questa volta le tavole imbandite con paste ricercate trafilate all’oro, con l’agnello farcito con guanciale, o con il pescato dell’Adriatico con ricciola, tonno e scampi, con dolci artigiani o rinnovati incontri di sapore, in uno scenario di rara suggestione ci hanno convinto che tutto questo non fosse finzione, ma realtà. E nella società dell’immagine, industriale, artificiale, sintetica, trasmettere questo messaggio di ritorno all’autentico, al biodinamico e al biologico, alla complicità, alla condivisione, alla coscienza della meraviglia che è qui, con la speranza che possa venire raccolto, rappresenta il vero obiettivo per non sprecare la propria vita all’inseguimento solo dell’effimero.

I MIGLIORI ABRUZZESI PER LA GUIDA VINIBUONI D’ITALIA • • • • • • • • • • • •

Camillo Montori – Trebbiano d’Abruzzo Doc Fonte Cupa 2010; Ciccio Zaccagnini – Montepulciano d’Abruzzo Doc Riserva Terre di Casauria San Clemente 2008; Fontefico – Montepulciano d’Abruzzo Doc Riserva Titinge 2008; Luigi Cataldi Madonna – Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Doc 2010; Masciarelli – Trebbiano d’Abruzzo Doc Castello di Semivicoli 2009; Masseria Coste di Brenta – Colline Frentane Igt Cococciola Elisio 2010; Nicodemi – Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Docg Riserva Neromoro 2007; Pepe Emidio – Montepulciano d’Abruzzo Doc 2008; San Lorenzo Vini – Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Docg Riserva Escol 2007; Speranza Giancarlo – Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Doc 2009; Torre dei Beati – Montepulciano d’Abruzzo Doc Mazzamurello 2008; Valentini – Trebbiano d’Abruzzo Doc 2009

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Da sinistra in senso antiorario: la sede Arssa di Avezzano; veduta della Conca; annuncio della nascita dell’Ente per il Fucino. Nella pagina successiva: quando viene invaso dalla nebbia, il lago che fu sembra tornare a vivere

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C COME RIFORMA di Massimo Giuliano - Foto: AA.VV

COSA SUCCEDERÀ ALL’ARSSA? Non era solo un’agenzia strumentale

La Giunta Chiodi ha preso una decisione tanto importante quanto contestata: cinque enti regionali verranno soppressi. L’obiettivo è chiaro: razionalizzare le spese, riducendo i costi (e gli sprechi). Il governatore Gianni Chiodi ha parlato di “rivoluzione nella governance dell’intera regione” e di “svolta epocale”. La Giunta regionale ha innanzitutto presentato un doppio disegno di legge che sopprime l’Arssa, l’Agenzia per i servizi di sviluppo agricolo, e l’Aptr, l’azienda di promozione turistica: due fra gli Enti regionali più importanti, che impiegano gran parte delle risorse destinate agli Enti strumentali. In un secondo momento sono stati presentati i ddl per sopprimere anche Abruzzo Lavoro, Arit e l’Agenzia sanitaria regionale. Ora che il Consiglio regionale ha approvato la legge che prevede la soppressione dell’Arssa e la riorganizzazione di tutti i servizi di supporto all’agricoltura, la Giunta ha quattro mesi di tempo per ridefinire e strutturare due o più servizi dedicati alla ricerca, innovazione,

competitività e sviluppo rurale per l’assolvimento delle funzioni già esercitate dall’Arssa. Un’agenzia che oggi non possiamo più considerare un semplice braccio operativo della Regione, ma un autentico pezzo di storia abruzzese, marsicana in primis, lungo 60 anni. La sua nascita è molto legata alle vicende del Fucino e potremmo farla risalire addirittura a quel 26 aprile 1852 in cui il Regio Decreto borbonico accordava la concessione dello spurgo e delle restaurazione del canale claudiano a una Società Anonima napoletana, nel tentativo di un prosciugamento del Fucino. Il compenso era naturalmente in parte costituito dalle stesse terre bonificate. Nella Società Anonima figurava anche il banchiere romano Alessandro Torlonia che divenne successivamente unico proprietario della Società, acquisendo le altre quote quando la Compagnia ebbe bisogno di nuovi fondi. I lavori per il prosciugamento iniziarono nel 1855 e terminarono

Un pezzo di storia abruzzese lungo 60 anni

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ufficialmente il 1 ottobre 1878. La piana così prosciugata doveva essere quindi resa lavorabile e abitabile, e per tal motivo occorreva costruire case, fattorie e strade. Una strada di 52 km ora circonda il bacino (ex-proprietà Torlonia) e 46 strade rettilinee, parallele e perpendicolari, per un totale di 272 km, lo attraversano. Sebbene la gloria di Torlonia e del suo operato ebbe echi anche fuori Italia, molti non erano contenti, e i problemi iniziarono ben prima del termine dei lavori: i paesi che giacciono sulla sponda del Liri si trovarono in condizioni peggiori durante l’inverno, perché aumentando la portata del fiume aumentava anche la portata delle inondazioni. I pescatori dei paesi che si affacciavano sul lago erano inoltre ora rimasti senza lavoro, producendo una nuova povertà. Occorreva trasformare le famiglie di pescatori in comunità contadine: allora oltre 11mila affittuari si divisero le terre e le subaffittarono: nel 1930 le grandi proprietà, superiori ai 10 ettari, costituivano il 2% della piana, ma dopo nemmeno 20 anni ne occupavano il 68%. A seguito delle lotte contadine del secondo dopoguerra, la riforma agraria del 1950 portò alla formazione, il 28 febbraio 1951, dell’Ente per la colonizzazione della Maremma toscolaziale e del territorio del Fucino, più tardi chiamato

Ente Fucino e infine Arssa. L’espropriazione terriera fatta ai danni dei Torlonia dovette essere condotta con cautela, poiché l’Ente dovette portare i 15.800 affittuari a 9918. I circa 29.000 appezzamenti originari furono aggregati in 10.000 unità. Gli esiti furono un miglioramento della produzione: in dieci anni (dal 1948 al 1958) il grano passò dai 26 ai 36 quintali all’ettaro, le patate dai 140 ai 230 e la barbabietola dai 260 ai 388. Da questa storia si capisce come l’Ente Fucino prima, e l’Arssa poi, siano stati fondamentali per lo sviluppo economico e sociale del territorio marsicano. Non c’è da stupirsi se quest’area continua ad essere al centro della contesa, tra stilettate e attacchi da un

Il territorio della Marsica è al centro della contesa

politico all’altro. Come spesso avviene, infatti, un provvedimento che dovrebbe avere conseguenze più che altro di carattere tecnico finisce per sortire polemiche squisitamente politiche. E così la diatriba tra destra e sinistra è servita. Iniziando dal personale, che verrà trasferito nella direzione regionale di competenza, vale a dire l’assessorato all’agricoltura: i consiglieri regionali del Pdl Valter Di Bastiano ed Emilio Iampieri hanno precisato che «non è previsto alcun cambiamento o spostamento dell’attuale sede dell’Arssa,

LE MOTIVAZIONI L’assessore all’agricoltura Mauro Febbo ha snocciolato cifre importanti: «Nell’Arssa, dal momento della soppressione, prevediamo di risparmiare oltre 1.240.000 euro l’anno. Portiamo a compimento un percorso che era aperto da 8 anni ma che nessuno aveva avviato con la dovuta determinazione. Solo di costi reali la Regione andrà a risparmiare 188mila euro per il direttore, 240mila euro per due dirigenti di area, 82 per i revisori dei conti, 606mila euro per l’Irap, 104 per l’Ici e 25 per l’Ires. Parlo solo dei risparmi immediati, poi ci sono quelli indotti. Ma soprattutto, dietro a questa riforma, c’è la volontà di raggiungere l’obiettivo della razionalizzazione delle risorse umane». Febbo ha ricordato che alla fine del 2008 l’Arssa aveva 264 dipendenti; attualmente la cifra è di 239 «perché in questi anni non abbiamo fatto un’assunzione». Parte di questo personale altamente specializzato transiterà, come detto, alla direzione regionale Agricoltura, «come accade da qualche mese in virtù di un provvedimento ad hoc proprio per far fronte alla carenza di personale», e andrà ad affiancare l’attuale organico «formando una squadra, in termini di competenze, di assoluto valore tecnico. Nei prossimi mesi – ha assicurato l’assessore – ci troveremo a gestire 200 milioni di euro del Psr, e solo un assessorato con alte professionalità e competenze potrà dare risposte concrete agli operatori agricoli. Questo provvedimento produrrà un risparmio non solo nell’immediato, in quanto è indirizzato soprattutto all’agricoltura del terzo millennio e alla nuova Pac 2014-2010. Non vogliamo gestire l’Arssa come è stato fatto negli ultimi anni quando, dietro esborso di decine di milioni di euro per la sede ubicata all’interno del Mof di Cepagatti, si sono dimenticati di andare a cancellare l’ipoteca sullo stabile. La nostra è una riforma che punta alla razionalizzazione delle spese e a evitare in maniera categorica scelte di questo tipo». Per Febbo, in definitiva, il ddl relativo all’Arssa «non parla di soppressione, ma di rideterminazione dei servizi di sviluppo agricolo». (M.G.)

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che nella Marsica è ancora conosciuta come Ente Fucino: un vincolo di forte appartenenza al territorio che mai avremmo consentito venisse meno. La riforma va nella direzione opposta a quella paventata dei tagli: più garanzie per il personale dipendente, che sarà maggiormente valorizzato rispetto al passato, e miglioramento dell’efficienza dei servizi anche alla luce delle nuove sfide dell’agricoltura moderna». Dunque, assicurano Di Bastiano e Iampieri, nessun danno alla Marsica e ai suoi lavoratori, mentre il consigliere regionale Daniela Stati denuncia furiosa che di quest’area è stata fatta «terra di conquista». Il Pd infine commenta, tramite il segretario regionale Silvio Paolucci e il capogruppo in consiglio regionale Camillo

D’Alessandro, che «questo progetto è solo un’operazione di facciata, che porterà risparmi esigui perché i dipendenti saranno trasferiti alla Regione. Anzi, proprio questo punto rischia di ottenere l’effetto contrario: potrebbero moltiplicarsi i contenziosi e persino le spese, perché sono stati tagliati i fondi ministeriali. Le agenzie strumentali devono essere oggetto di una riforma vera, partecipata e trasparente, che nella riduzione ne rinnovi le funzioni strategiche e le adegui alla luce delle nuove esigenze di una pubblica amministrazione moderna: mantenere tutto così servirebbe a poco». Noi auspichiamo solo una cosa: che la qualità, alla fine di questo lungo discorso, possa vincere sempre.

Una riforma che punta alla razionalizzazione delle spese

I DUBBI Con i tempi che corrono nessuno mette in dubbio il bisogno di risparmiare. A volte la razionalizzazione può passare attraverso scelte apparentemente impopolari, i cui benefici non sempre sono immediatamente manifesti. Ma viene da chiedersi quale sia il risparmio nel far transitare il personale alla Direzione regionale Agricoltura, mettendo tutto in un calderone, così che sia impossibile capire e distinguere spese oculate e con risultati concreti da altro genere di spese i cui risultati rispondono, in fin dei conti, alle logiche di vecchio stampo. Pensare ad un’agenzia in grado di gestire progetti e budget in maniera manageriale, agile, in grado di operare scelte controllabili e verificabili, possibilmente fuori dalle pastoie della burocrazia (una chimera?) e dando a dirigenti e tecnici la responsabilità di quello che fanno: questo, crediamo possa portare un vero risparmio, migliorando il sistema. Risparmiare vuol dire infatti spendere meglio, non necessariamente spendere meno. Piuttosto che comprare beni o servizi scadenti solo in funzione del prezzo, non è meglio sceglierli badando al rapporto qualità prezzo in funzione della loro destinazione? Scevri delle logiche demagogiche, applaudimmo a suo tempo l’abolizione del Consiglio d’amministrazione dell’Arssa; al posto di una marea di personaggi cooptati dalla politica fu nominato un unico direttore generale, e gli fu attribuita la responsabilità di bilanci, progetti e scelte. Questo dette nuovo impulso all’Ente. Adesso, invece di proseguire sulla strada della responsabilità, dell’efficacia e della verifica dei risultati, si rischia di riportare tutto dov’era un tempo, con conseguenze immaginabili. Non si mette in dubbio la necessità di fare ordine, di risparmiare, a cui la Giunta Chiodi ha risposto con la prospettiva di sopprimere i cinque enti. Ci chiediamo piuttosto chi potrà verificare la ponderatezza di certe scelte, l’efficacia e il raggiungimento dei risultati? Cosa può essere cambiato nel sistema dei controlli, che nel frattempo possa garantire l’efficacia di questa svolta epocale? Le sfide che l’agricoltura abruzzese dovrà affrontare nei prossimi anni, a cominciare dalla PAC 2014-2020, avrebbero bisogno di scelte fatte da tecnici preparati e motivati. Efficacia, professionalità, verifica e responsabilità dovrebbero essere le parole d’ordine. Possono essere assicurati dalla burocrazia, spesso più attenta a compiacere il clima del momento che a perseguire l’utile collettivo? Solo il tempo potrà dirlo. Noi, siamo speranzosi. (Luana Di Lorito)

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C COME TRABOCCO

di Daniele Di Vittorio - Foto: Modiv/Slow Food

UN OMAGGIO ALLA CUCINA MARINARA Cala lenta, occasione di riflessione

“La grande macchina pescatoria, simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano…”: così Gabriele d’Annunzio definisce, nel “Trionfo della morte”, il trabocco, questa straordinaria costruzione da pesca che sfrutta elementari tecniche di incastri e contrappesi, da sempre capace di resistere al mare. Ed è proprio dall’antico gesto rituale della cultura marinara abruzzese del calare lentamente le reti in acqua, subito prima dell’alba, rilasciando le cime, che prende il nome la manifestazione biennale di “Cala lenta”, organizzata da Slow Food Abruzzo. Anche in questa edizione il progetto si è posto l’obiettivo di portare all’attenzione del grande pubblico le problematiche legate alla salvaguardia del mare e dello straordinario patrimonio natural-gastronomico della costa teatina, attraverso un programma composto da incontri, convegni, laboratori e mercato del gusto che raccontano il territorio abruzzese scoprendone la ricchezza culturale e le bellezze paesaggistiche. Quella tra il 7 e il 10 luglio è stata anche soprattutto l’occasione per riscoprire i classici cibi di strada abruzzesi, serviti nei tipici “cartocci”, e per gustare sapori che riportano alle gioiose feste di piazza, tra cui per la prima volta gli “arrosticini di mare”. Anche questa edizione ha dovuto fare i conti con un’affluenza inaspettata di visitatori, tanto da terminare

spesso i rifornimenti a metà serata. Di nuovo vincente si è dimostrata l’idea del Teatro del gusto, appuntamenti con cuochi provenienti da altri punti della regione, come Gennaro D’Ignazio de “La vecchia marina” di Roseto, Nikolai Di Placido, ventunenne abruzzese oggi al “Colline ciociare” di Acuto, e Domenica Vagnarelli, del ristorante “Mediterraneo” di Alba Adriatica. Immancabile è stata infine la formula delle cene tematiche in alcuni ristoranti della costa teatina, da Francavilla a San Salvo, e la cena d’autore con, quest’anno, Nicola Fossaceca. Abbiamo trovato particolarmente interessante il convegno della serata conclusiva “L’avventura della cucina italiana”, con un tavolo di discussione composto dal presidente di Slow Food Roberto Burdese, dal direttore editoriale di Slow Food editore Marco Bolasco, dal critico enogastronomico Stefano Bonilli, e dagli chef Niko Romito e Antonello Colonna. Dall’incontro è emersa la necessità di tutelare le diversità del territorio e i produttori seri e responsabili, e di non lasciare che il clamore mediatico condizioni professionalità e percezioni: la stampa deve sì vigilare sulle trasformazioni e verificare che siano di qualità, ma non ingabbiarle, anzi stimolare le evoluzioni come è accaduto negli ultimi trent’anni per tutta la cucina italiana.

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C COME RACCONTO

L’editore di C come magazine, Modiv snc, ha stanziato un premio speciale per il 6° Premio racconto breve 2011 “Giammario Sgattoni”, organizzato dalla Pro Loco di Garrufo di Sant’Omero (TE) nell’ambito della terza edizione della Rassegna umoristica “Sorridi con gusto” e quest’anno avente come tema “Il cibo dei riti, il cibo delle feste”. Destinatario del premio speciale, ovvero la pubblicazione del racconto, è stato Cesare Marcello Conte, di Giulianova, con il racconto “Il brodetto”, per la leggerezza e l’ironia con cui ha saputo tratteggiare il modo di essere marinaro, goliardico e verace. La Giuria, presieduta dalla prof.ssa Maria Colella e composta da Maria Teresa Barnabei, Franca De Santis, Eliodoro Di Battista, Amadio Galiffa, Simona Mignini e Cristina Mosca, ha designato come vincitori la bolognese Silvia Scapinelli (I classificata), Arturo Bernava di Chieti, e Daniela Bruni Curzi di San Benedetto del Tronto. La premiazione si è svolta il 3 agosto a Garrufo.

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“IL BRODETTO” di Cesare Marcello Conte

Fino a una trentina di anni fa, sotto i pini quasi centenari di piazza Dalmazia, c’era la cantina di Gasperino “Sperì” Tormenti, oggi trasformata in un wine-bar. Era il punto di ritrovo di tutti i pescatori che, quando restavano a terra per il cattivo tempo o durante le feste, vi passavano interi pomeriggi e serate, giocando interminabili partite a carte, concluse da feroci passatelle. Sul retro della costruzione era stata sistemata una fornacella che, corredata di un secchio di carbone e di una ventarola, veniva usata per cuocere sopraffini brodetti di pesce. Un giorno si ritrovarono Ttiliuccje lu ddragh’, Ndonje lu nan’ e Pepp’ lu cecat’. Armati di tegame, olio e di quant’altro necessario, accesero la fornacella, cominciarono a pulire il pesce, da cucinare e da mangiare proprio lì, all’aria aperta, su un tavolinetto. Misero nel tegame un dito d’olio, un aglio, un filo d’aceto, prezzemolo, peperoncino e sale; quando il tutto cominciò a soffriggere, un profumo intenso iniziò a spandersi per la pineta. Inserirono due calamari ed un polpo, fatti a pezzi, due granchi e tre seppie piccole, due bicchieri d’acqua. Dopo una decina di minuti, aggiunsero altra acqua e cominciarono a mettere nel tegame il pesce più tenero e che richiedeva minor tempo di cottura :due aragoste, un rospetto, tre ragnoli, sei merluzzetti, sette triglie, tre cianchette, tre baraccolette, una passera e una sfoglia. Dopo una buona mezz’ora di scopri, assaggia e ricopri, finalmente il brodetto fu pronto, bello caldo. Lo portarono in tavola, su cui già troneggiavano due fiaschi di vino rosso, un cestino pieno di pane affettato e una sparra, giusto per la pulizia. Armati di forchette, cominciarono a mangiare. A metà circa del pranzo, si avvicinò un giovane, in sandali, jeans e camicetta, occhi azzurri, barba e capelli lunghi,

pulitissimo. Peppe, strizzando l’occhio buono per il ridere, gli chiese: «O f’jie, chji t’ ha schiuvat’ da la crocje?» (Figliolo, chi ti ha schiodato dalla croce?) Il giovane, senza mostrarsi turbato, chiese a sua volta: «Ho fame, posso mangiare con voi?». Ndonje lu nan’, tutto cuore, gli rispose: «Ma como nono? Non sia mai detto che, alla marina, uno che cià fame sta a guardare altri che manciano. Accomodati con noi e buon appetito». Il giovane prese un piatto e, aiutandosi con una forchetta, vi mise un merluzzetto, una triglia, un granchio e una cianchetta. Poi chiese il coltello da pesce. A quel punto, Attilio si sentì in dovere di intervenire e, con molta calma e in buon italiano, gli disse: «È moldo strano, giovanotto bello, che per manciaro il pesce, vuoi il cortello. Forse non sai che il pescio, come il pane, l’uva e il pollastro, si mancia con le mane e che la forchetta serve solo per prendere il pescio dal tegame e per ammollare il pane nel sugo, senza ficcarci le dita?». Capita la sonata, il giovane cominciò a mangiare con le mani il poco pesce che aveva davanti e, mentre masticava ad occhi chiusi, gustando il boccone, sembrava che pregasse. Ndonje lu nan’, che perdeva tutte le occasioni per tacere, gli si rivolse chiedendo: «O giuv’nò, dimm’ però la verità, è bbon’ stu vrudett’? E’ la fine d’ lu monn’? Fors’, cchjì bbon’ d’ què lu sa fà sol’ la Madonn’». (Giovane, dimmi però la verità, è buono questo brodetto ? E’ la fine del mondo? Forse più buono di questo potrebbe saperlo fare solo la Madonna) E quello, in un dialetto giuliese che li sorprese: «N’n ghé lu ver’ - rispose a mezza voce - bon’ accuscj’ Mammà nn’ lu sa cocje!» (Non è vero. Buono così neanche mia Madre lo saprebbe cuocere). Bevuto un sorso di vino, si alzò, strinse la mano a tutti per ringraziarli e si allontanò versola spiaggia, lasciandoli a pensare se era uno che aveva voluto prenderli in giro o...

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C COME LIBRO

di Jenny Pacini

“101 COSE DA FARE IN ABRUZZO ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA” Luisa Gasbarri, nata e cresciuta in Abruzzo, la sua terra la conosce proprio bene. Non solo l’ha girata in lungo e in largo ma ne ha assorbito ogni cosa, interiorizzando le bellezze della nostra regione per restituircele in una sorta di tour poetico dal titolo “101 cose da fare in Abruzzo almeno una volta nella vita”, una “guida” edita da Newton Compton e distribuita in tutta Italia. La Gasbarri ha esplorato le quattro province, compresi gli interstizi: quegli angoli d’Abruzzo dove regnano le emozioni che scaturiscono da una terra “forte e gentile”. Indagando ciò che si trova tra le cose, tra noi e la nostra coscienza dei luoghi, l’autrice ci propone un turismo dell’anima, avventuroso, divertente e misterioso. E così, la lettura scorre che è una meraviglia, sfogliando un itinerario abruzzese decisamente non convenzionale che presenta le manifestazioni culturali più interessanti, la gastronomia, i travolgenti paesaggi naturali e le opere artistiche. Scopriamo una regione eterogenea dove ogni luogo ha una propria anima dettata dalla vocazione che più lo caratterizza: mare o montagna. E tra questi due spaccati d’Abruzzo si celano a loro volta altre peculiarità, che nel libro vengono raccontate dalla scrittrice sin nelle profondità più remote ed autentiche, talvolta con ironia e fantasia. Il lettore viene accompagnato per mano nella cattedrale di San Giustino a Chieti, alla scoperta

di un misterioso ectoplasma, oppure invitato a cena su un trabocco al chiaro di luna. E perchè non lasciarsi condurre in una nota cremeria pescarese per degustare il suo dolce tipico e scoprire il lato “neoplatonico” della panna, o in un luogo mistico dove il volto del Cristo assume i caratteri di una celebre opera leonardesca? Ci si potrebbe poi abbandonare alla seduzione del fuoco delle farchie e delle glorie, si potrebbero ripercorrere i tratti battuti dai briganti o raggiungere le miniere dell’oro rosso, lo zafferano. Tra le 101 cose da fare, ce ne sono di impensabili: concedersi un ballo con “la pupa”, esplorare gli Stonehenge d’Abruzzo in stile “Compagnia dell’anello”, ritrovarsi sul set di Blade Runner (nel cementificio pescarese), diventare Cappuccetto Rosso tra i boschi più belli o commettere il peccato di gola più irriverente mangiando magari le Sise delle monache, ed infine, immaginare la città del domani: L’Aquila. Un solo monito sembra emergere dalla lettura di una guida così pulsante e variopinta: non dobbiamo dimenticarci della nostra identità e l’autrice lo suggerisce esortandoci a riscoprire l’Abruzzo, regione dove “possiamo fare cultura, ricerca, progettare, costruire, innovare, e in chiave cosmopolita, alta”. Ma come si legge una guida di questo genere? Semplice, basta scegliere gli itinerari che stuzzicano di più dal titolo, ma anche una lettura random può ispirare una gita.

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C COME RICETTE a cura delle associazioni cuochi della FIC

BACCALÀ CON CAPONATA DI POMODORI E FAVE CON CREMA DI RICOTTA DI CAPRA di Nick Biasella, ass.ne cuochi Pescara Ingredienti per 4 persone: 4 tranci di baccalà ammollato; 30 g di farina di Marmora; 30 g d’olio extravergine d’oliva, sale q.b; per la caponata: g 200 pomodori rossi, 150 g di fave già sgusciate, 20 g d’olio extravergine d’oliva; un rametto di mentuccia fresca, sale q.b; per la salsa di ricotta: 200 g di ricotta di capra, 30 g di latte di capra Per la caponata: privare le fave della pellicina esterna cuocerle a vapore per 8 minuti e raffreddare in acqua e ghiaccio. Ridurre i pomodori a concassè, unirli alle fave e condirli con la mentuccia, l’olio e il sale. Infarinare il baccalà scaldare l’olio e dorarli. Per la crema: frullare la ricotta con il latte. Mettere al centro dei piatti la ricotta, sopra sistemare la caponata, su di essa mettere i filetti e guarnire con un gomitolo di pasta kataifi.

CHITARRINA AL NERO CON SEPPIA E SALSA DI RICOTTA E CARCIOFI di Cinzia Fazzini, ass.ne cuochi Teramo Ingredienti per 4 persone: per la chitarrina: 320 g farina 00, 3 uova, 4 g di nero di seppia; per il condimento: 280 g di seppia, 1 carciofo, 50 g tra sedano, carota e cipolla, 50 g d’olio extravergine d’oliva, sale q.b; per la salsa: 100 g di ricotta di mucca, dadolatine di seppie e ortaggi e sale q.b. Per la chitarrina: impastare la farina con tutti gli ingredienti e lasciar riposare per circa 20 minuti. Stendere la pasta con il matterello deve avere uno spessore uguale alla distanza che intercorre tra i fili d’acciaio della chitarra, cosicché la pasta risulti di sezione quadrata. Adagiare la sfoglia sul telaio e pressare con il matterello. Per il condimento: pulire le seppie tagliare il corpo a julienne dello spessore della chitarra e saltarle in padella con metà l’olio. Tagliare la testa a dadini e saltarla in padella con il resto dell’olio e il trito di carciofo, carota, sedano e cipolla. Friggere in olio extravergine d’oliva delle fette sottili di carciofo per la decorazione. Per la salsa: setacciare la ricotta con 50 g di acqua di cottura della pasta. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata, scolare al dente e saltare con la julienne di seppia. Mettere al lato dei piatti la salsa di ricotta sopra mettere un nido di pasta al lato sistemare la dadolata di seppie e ortaggi. Decorare con i carciofi fritti e qualche goccia di nero di seppia, stemperato con acqua calda .

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AGNELLO FARCITO DI VENTRICINA VASTESE CON FLAN DI FEGATO E CASCIGNJE SCTRASCINATE di Floriano Capraro, ass.ne cuochi Pescara Ingredienti per 4 persone: per l’agnello: 1 kg di pancia con lombo di agnello disossato, 100 g di Ventricina vastese, 20 g d’olio extravergine d’oliva, sale, pepe, rosmarino, alloro q.b; per il flan: 200 g di fegato d’agnello, 1 uovo e 1 tuorlo, 50 g di burro, 8 fette di patate lesse, sale e pepe q.b.; per li cascignje: 500 g di cascignje (crispigni), 1 spicchio d’aglio rosso di Sulmona, 40 g d’olio extravergine d’oliva, sale q.b; per la guarnizione: 50 g di fondo di agnello, 12 cupolette di gelatina di Centerba. Per l’agnello: salare, pepare, cospargere l’agnello con rosmarino e alloro tritati, coprire con le fette di Ventricina, avvolgere, salare, legare e cuocere in forno a vapore a 70° fino alla temperatura di 70°. Rosolare in padella con l’olio creando la rosolatura. Per il flan: frullare il fegato con tutti gli ingredienti. Foderare con le fette di patate la base di 4 stampini monoporzione, dividere all’interno la massa e cuocere in forno a vapore a 75° per 20 minuti. Per li cascignje: mondare gli ortaggi, lessarli e saltarli in padella con l’aglio e l’olio. Mettere al lato dei piatti un cespo di cascignje, sopra sistemarvi una fetta di agnello, al lato opposto mettere il flan di fegato e guarnire con la Centerba e il fondo.

SEMIFREDDO MENTA E CIOCCOLATO di Francesca Fiordigiglio, ass.ne cuochi L’Aquila Ingredienti per 4 persone: 300 g di panna, 100 g di meringa all’italiana, 50 g di sciroppo di menta, 200 g di cioccolato fondente. Montare la panna, incorporare la meringa, aggiungere lo sciroppo e amalgamare delicatamente. Riempire per metà 4 stampini monoporzione con il composto e abbattere a -18°. Sciogliere il cioccolato a bagnomaria, dividerlo nei stampini formando uno strato, rimettere alcuni minuti in abbattitore e coprire con il resto del composto di menta. Lasciare in congelatore per 3 ore. Servire alla temperatura di 15° guarnendo con foglie di menta, fragole e cioccolato.

magazine 63


C COME NEWS

A Miglianico vince il parrozzo

Vive la France!

Tre tesi premiate dalla Cia

La marsicana Cristina De Blasis, del bar “Conca d’Oro” di Avezzano, lo scorso giugno ha vinto il primo premio ndella gara conclusiva del corso per pasticceri organizzata dalla Confesercenti di Chieti e dalla Conpait (Confederazione pasticceri italiani). Il successo è stato decretato dal suo parrozzo all’Aurum, proposto in una ricetta che guarda contemporaneamente alla tradizione all’innovazione. Al corso hanno partecipato 16 aspiranti pasticceri, i quali si sono cimentati nella preparazione di specialità dolciarie alla presenza di una giuria composta da esperti del settore e da giornalisti. Capitanata dal vicecampione del mondo Emmanuele Forcone, la giuria era formata dal presidente nazionale della Conpait Federico Anzellotti, dal direttore di Confesercenti Lido Legnini, dal docente del corso, Renato Zara, e dai giornalisti Antonello Antonelli ed Ennio Bellucci. Era presente anche l’assessore regionale alle attività produttive Alfredo Castiglione. La manifestazione si è tenuta nella sede dell’azienda Fomar.

Anche quest’anno i vini abruzzesi hanno sfidato il mercato francese: nella 16esima edizione della Vinexpo di Bordeaux, fiera dedicata al settore vinicolo allestita presso la suggestiva location a bordo lago del Palais des Congre’s, la collettiva abruzzese ha avuto a disposizione 10 stand per offrire in degustazione i nostri vini. Durante il Vinexpo di Bordeaux, inoltre, è stato distribuito il n° 48 (giugno-luglio 2011) di “Gault & Millau”, dove c’era anche un dossier sul Montepulciano d’Abruzzo, con la recensione positiva di un trio di vini biologici di Stefania Pepe: il Cuore di vino e il Pepe rosso 2003, e il Controguerra 2004. Una bella occasione di promozione del territorio. La partecipazione alla fiera è stata promossa dall’assessorato all’agricoltura della Regione Abruzzo in collaborazione con il Centro Estero delle Camere di Commercio d’Abruzzo, che ne ha curato l’organizzazione. « Secondo gli ultimi dati – spiega il presidente del Centro Estero Daniele Becci - la Francia è diventata il quarto mercato, subito dopo Germania, Usa e Canada».

“Tesori di fattoria” 2011 si è conclusa a Giulianova il 24 luglio, con la consegna delle borse di studio del Premio “Massimo Cerasi”, per le migliore tesi presentata nella Facoltà di Agraria di Teramo 2010/2011. Sono stati premiati: con una borsa di studio di 1.500 euro Antonio Di Giosia per la tesi di laurea specialistica in Scienze e tecnologie alimentari “Applicazione pratica della tracciabilità ovi-caprina presso un centro di macellazione e la sua interrelazione col Sistema Informativo Regione Marche”; e con 750 euro a testa Fabio Felicioni per “Politiche di prezzo della distribuzione e disponibilità a pagare del consumatore per i vini abruzzesi” e la studentessa Chiara Rossi. La manifestazione è stata patrocinata da: assessorato regionale all’agricoltura; assessorato provinciale alle attività produttive; assessorato comunale alla cultura e manifestazioni; Cia Abruzzo; Camera di Commercio di Teramo; Arssa; BIM-Consorzio dei Comuni del Vomano e Tordino e della Provincia di Teramo; Bcc Castiglione M. R. e Pianella.

magazine 64


C COME NEWS

Il Moscato di Colle Moro

In memoria di Giovanna

Il primo punto pizza Doc

Il Moscato spumante “Splendore” 2010 della Cantina Colle Moro, di Guastameroli di Frisa, vince una delle tre medaglie d’oro assegnate all’Italia all’undicesimo concorso internazionale “Muscats du Monde”, organizzato da Forum Oenologie a Frontignan-La Peyrade, nel sud ovest della Francia. Il successo segue quello conseguito al concorso internazionale di Vinitaly, nello scorso aprile, dove il vino della Cantina chietina si aggiudicò un’altra medaglia d’oro. «Lo spumante “Splendore” - spiega l’enologo Vincenzo Marchioli – deriva da un assemblaggio di vitigni autoctoni da vigneti dei nostri soci: il Moscato di Frisa, simile al Moscato bianco di Canelli ma da esso distinto, e il moscato saraceno, un biotipo locale di moscato giallo. La vocazione del nostro territorio alla produzione di moscato è conosciuta da tempo ma è stata riscoperta di recente, anche grazie all’aumento della domanda di mercato di questi vini. “Splendore” è per eccellenza un vino da dessert ma si presta anche ad altri abbinamenti, e grazie alla bassa gradazione si può versare con generosità senza “rischio etilometro”».

L’evento che lei stessa aveva ideato è stato portato a termine in sua memoria. Il concorso che la sommelier Giovanna Lamolinara, scomparsa a Giulianova lo scorso dicembre, aveva voluto dedicare al piatto teramano delle Virtù è stato realizzato con grande successo dai suoi amici Peppino Forcella, da Antonietta Mazzeo ed Eleonora Lopes dell’associazione “Giovanna Lamolinara”. E così lo scorso 5 maggio una giuria eterogenea, che includeva anche il presidente dell’Unione regionale cuochi Andrea Di Felice, il dirigente del settore Turismo della provincia di Teramo Piergiorgio Tittarelli, e il professore Roberto Pelilli, membro del comitato “Le Virtù teramane”, ha decretato la vulcanica Anna Di Paoloantonio come vincitrice del concorso e meritevole di un piatto con il logo del concorso della tipica ceramica di Castelli, realizzato dall’azienda Ceramiche Simonetti. L’evento è stato patrocinato da: CCIAA di Teramo, Assessorato regionale all’Agricoltura, Provincia di Teramo, Comune di Tortoreto, Cia e Confcommercio Teramo, Colline Teramane a Ais Abruzzo.

Nasce a Canosa Sannita il primo punto pizza certificato dall’associazione Pizz’Abruzzo Doc. Il presidente Nicola Salvatore, dopo un periodo passato a condurre lezioni e dimostrazioni in giro per l’Abruzzo e per l’Italia, ha nuovamente un luogo in cui esercitare le sue attività e descrivere la sua filosofia. La pizza infatti può diventare un piatto unico se (mirabilmente) accoppiata ai prodotti abruzzesi, dallo zafferano aquilano alle mazzarelle teramane, passando per funghi e salsiccia locale. L’associazione regionale di pizzaioli Pizz’Abruzzo Doc è attiva dal 2000 e dal 2007 aderisce al consorzio Pro Pizza e al Comitato Italiano Pizzaioli per il riconoscimento della professione, organizzando il secondo Campionato di Pizza tipica regionale e Trofeo Alimonti. Tra le pizze-menu più singolari a Canosa Sannita ci sono quella dedicata al 150enario dell’unità d’Italia, con scaglie di pecorino abruzzese semistagionato, e la Stella d’Abruzzo, con ventricine abruzzesi piccanti. Il primo punto pizza è da oggi presso il dancing “Casa e chiesa” di via degli Eroi 23.

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C COME CONTROEDITORIALE

di Leo Giacomucci, presidente onorario regionale cuochi abruzzesi

QUAND’È CHE UN CUOCO DIVENTA “CHEF”?

In Francia dire chef significa dire capo di una qualsiasi azienda, in cui lavorano più operai. In Italia un cuoco viene chiamato chef anche se ha poca esperienza. Forse è da pochi anni che ha preso il diploma in un istituto alberghiero, oppure è solo un aiuto cuoco, e già viene chiamato chef. Ma chef non è solo la traduzione francese della parola cuoco, con cui oggi sempre più spesso viene confusa. Tempi addietro, nelle grandi cucine di alberghi o ristoranti esistevano le brigate. Il capocuoco che aveva la responsabilità veniva chiamato chef. Sotto di lui c’erano i cuochi di partita, cioè il capo salsiere, il capo al frigorifero, il legumiere, il cuoco alle minestre, ai pesci, il rosticciere, il pasticciere e così via. Questo percorso vale ancora: uno chef non è un cuoco, uno chef è il capo di una brigata.

magazine 66

Invece l’illusione di rendere più raffinata la parola italiana sostituendola con una francese porta ad una confusione di ruoli, e capita sempre più comunemente di sentire questo genere di equivoci anche in televisione. Io stesso, guardando un programma, ho sentito la presentatrice definire chef di un ristorante una persona all’inizio della sua carriera. La parola chef diventa opportuna, invece, oltre e non prima i dieci anni di esperienza variegata in cucina. Non è un caso se da qualche anno la Federazione nazionale dei cuochi ha istituito un riconoscimento, il Collegium Cocorum, stabilendo di assegnarlo a tutti i cuochi che hanno oltrepassato i quarant’anni e che abbiano almeno venticinque anni di esperienza in cucina, nei ristoranti e negli hotel!



www.dececco.it

Da

125

anni salvaguardiamo

un grande patrimonio del nostro Paese.

La pasta è tra le più grandi tradizioni del nostro Paese. E noi di De Cecco la manteniamo intatta dal mulino alla tavola. Il cuore del grano viene macinato e impastato a freddo con acqua purissima. La pasta viene trafilata al bronzo ed essiccata lentamente, seguendo un metodo antico e sapiente. Per questo di De Cecco ce n’è una sola, da 125 anni.


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