ANNO 3 - NUMERO 21 - Ottobre/Novembre 2011
21 FREEPRESS di ENOGASTRONOMIA ABRUZZESE
21 C COME SPECIALE ARIA
I pani, i lieviti e le pizze d’Abruzzo C COME REGALI Pasta, olio, spumante o cioccolato? C COME MANCINI A San Vito una bella scoperta
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>> Ufficio fotografico Ufficio fotografico: Modiv.Hanno collaborato a questo numero: Mario Sabatini, Monica Andreucci, Ludovica Persichitti. >> Stampa AGP Arti Grafiche Picene - Maltignano (Ap) Per questo numero di C come magazine hanno assaggiato, spiluccato, masticato, annusato, indagato, gustato, apprezzato insieme a noi Monica Andreucci, Roberto Ardizzi, Maura Di Marco, Nadia Miriello, Ludovica Persichitti, Nicola Salvatore, Simona Salvi, e i cuochi Cinzia Mancini, Valerio Centofanti, Lorenzo Pace e Lorenzo Ferretti. Per le foto di copertina e dello Speciale Aria si ringraziano i titolari delle pizzerie “Il prato” di Francavilla al mare e “Pepe nero” di Cepagatti per la loro disponibilità.
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C COME SOMMARIO
05 >> C come Sommario 07 >> C come Editoriale 08 >> C come Fotoeventi 15 >> C come Informazione 16 >> C come Vi consigliamo 20 >> C come Food design 62 >> C come Ricette 64 >> C come News 66 >> C come Controeditoriale C come SPECIALE ARIA 26 >> C come Lieviti 30 >> C come Pane 36 >> C come Pizza 42 >> C come Pasticceria C come ABRUZZO 22 >> C come Mancini 46 >> C come Estero 51 >> C come Recupero 52 >> C come Regali 59 >> C come Solidarietà
Foto copertina: Mario Sabatini
Cosa c’è nel numero Ventuno
C come RUBRICHE
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C COME EDITORIALE
di Cristina Mosca, direttore responsabile C come magazine
C COME NON SI DEV’ESSERE PIÙ BUONI SOLO A NATALE.
In questo numero di C come magazine si sente già un po’ di odore di Natale. Oltre allo speciale di quattro pagine sui consigli per gli acquisti, infatti, c’è una meravigliosa fragranza di farina e lieviti, come se fossimo di fronte al grande fuoco di un forno a legna, o ai bordi della tavola di legno che nostra nonna usava per ammassare per la cena della Vigilia. Nello “Speciale Aria” continuiamo il nostro omaggio agli elementi naturali, cominciato con lo “Speciale Terra” del numero 17, e ci divertiamo perciò ad indagare l’interazione tra l’aria e i lieviti, studiando a modo nostro prodotti da forno come pane, pizza e cornetti. Lo sapevate che anche la pizza può essere un prodotto tipico abruzzese? E che se rispolverassimo il buon vecchio lievito madre, investendo un poco più del nostro tempo, digeriremmo meglio? Adesso lo sapete. E lo chef che abbiamo scelto per il numero 21? Una sorpresa, anche per noi: una ragazza di San Vito chietino, Cinzia Mancini, che lavora con il passaparola di chi apprezza la sua creatività, la sua originalità e anche la sua straordinaria timidezza. Del resto, la grandezza di una persona si misura sulla sua umiltà. E siccome non è vero che a Natale si è tutti più buoni, perché lo si può essere anche durante il resto dell’anno, in questo numero abbiamo scelto di regalare uno spazio pubblicitario al Banco Alimentare: vogliamo rilanciare i buoni propositi fatti all’inizio dell’anno e ricordarvi della Colletta annuale che si terrà sabato 26 novembre. Si tratta di pochi euro in più che non peseranno nella spesa settimanale, perché ve lo assicuriamo, la certezza di un contributo decisivo per qualcuno che ne ha davvero bisogno vi farà sentire molto più leggeri.
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C COME FOTOEVENTI
di Maura Di Marco - Foto: Modiv
50 anni di Colle Moro
Erano in 17 a firmare il suo atto costitutivo: adesso i soci sono 650, e realizzano 170mila ettolitri di vino grazie all’uva coltivata in 1200 ettari esclusivamente in provincia di Chieti. La Cantina sociale Colle Moro di Guastameroli di Frisa ha celebrato il 50esimo anniversario dalla firma del suo statuto, avvenuto nel 1961, con una festa popolare lunga due giorni, ricca di gastronomia locale, animazione, musica e danze. La due giorni si è aperta con un saluto da parte dell’attuale presidente Nino Cipolletta, e del primo presidente, Camillo Caldora. Erano presenti anche le autorità locali, tra cui l’assessore regionale all’agricoltura Mauro Febbo, il presidente della Provincia di Chieti Enrico Di Giuseppantonio, Florindo Caldora, rimasto alla direzione della Cantina per 30 anni, e i sindaci di Frisa e degli altri comuni dove si producono le uve di Colle Moro.
DiWine America
Il progetto DiWine Jazz della cantina Chiusa Grande di Nocciano è sbarcato in America; il primo vino abruzzese con la colonna sonora è stato presentato ad oltre 160 persone a New York e a Montreal, nel Mount Stephen Club e della Trattoria Cinque, in due degustazioni sensoriali con suggestive letture di testi poetici, proposte dell’attrice e doppiatrice Gio Gio Rapattoni. Le due serate sono state organizzate in collaborazione con le Camere di Commercio italiane degli Stati Uniti e del Canada. Ospiti speciali delle due serate il console generale d’Italia a Montreal Giulio Picheca, il vice console a New York Lucia Pasqualini e i presidenti delle due Camere di Commercio.
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Serate Ekk
Sono ricominciate le cene a tema in Ekk Ristorante presso Ekk Abruzzo in sintesi. Il debutto è stato affidato a sua maestà il peperone dolce di Altino in una serata tutta vegetariana, a metà settembre, e le iniziative si sono intensificate ad ottobre con la prima della serie di cene storiche, dedicata alla cucina borbonica, e ad un interessante connubio tra la cucina argentina e i prodotti tipici locali (spezie a parte). Allegra l’interazione con il tango con la performance “Tango essentia” dell’orchestra “Lo que vendrà”. Dedicate alle tradizioni culinarie abruzzesi saranno le serate in omaggio alla cucina di mare (27 ottobre) e alla notte di San Martino (venerdì 11 novembre). Di ispirazione esotica ma sempre fortemente radicata nel territorio sarà la serata dedicata alle influenze arabe nella cucina tradizionale abruzzese (giovedì 1 dicembre), mentre il 15 dicembre prenderà il via la serie “Concerto e musica live”, in cui alla cena a tema si aggiungeranno musicisti locali che alterneranno musica jazz e folclore d’autore rivisitati.
Abruzzo di sera
Un evento di straordinario successo, quello organizzato dal Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo e dal Movimento Turismo del Vino Abruzzo nel chiostro del Bramante venerdì 30 settembre: per la prima volta 45 produttori associati sono stati coinvolti attivamente in un’iniziativa pensata per promuovere la conoscenza dei vini abruzzesi fuori regione. Noi abbiamo raggiunto il luogo dell’evento come di consueto a nostre spese, e abbiamo potuto riscontrare obiettivamente l’ottima riuscita della serata in cui venivano offerti vini bianchi e rosati, pasta alla pecorara e olio Dop Aprutino Pescarese e della cooperativa Frantoiani. Già a partire dalla prima ora si è creata una lunga e ordinata fila in piazza per entrare e accedere alle degustazioni. Interviste a produttori ed organizzatori sono state trasmesse in diretta su Rai Radio2 durante la trasmissione Decanter.
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La rassegna dei cuochi di Villa Santa Maria
La 33esima edizione della Rassegna dei cuochi di Villa Santa Maria è stata una scommessa coraggiosa della nuova amministrazione comunale di Vito Paolini, nel trovare un equilibrio tra l’innovazione e la tradizione. Ecco perché per la stesura del programma è stato vincente il coinvolgimento di Antonio Paolini e Roberto De Viti che hanno messo in campo sia i talenti conclamati sia i volti nuovi dell’enogastronomia regionale, ed ecco perché è stato necessario tornare all’idea originaria del contest tra ben 12 ristoranti provenienti da tutte le province. Fondamentale è stata la collaborazione con l’Ipssar Marchitelli, quest’anno punto nevralgico della manifestazione con molte iniziative per far incontrare studenti in corso ed ex studenti che hanno fatto carriera. È stata originale l’atmosfera dell’evento conclusivo, l’”ultima cena del re”, basato sulle ricerche di Antonio Stanziani e Mario Setta, che ha riproposto il menu della cena preparata da Aquilino Beneduce (1883-1964), “monzù” per eccellenza di Villa Santa Maria, per la corte del re Vittorio Emanuele II, ospite dei duchi di Bovino, la sera del 9 settembre 1943 nel castello di Crecchio.
Mariola in Abruzzo
Due tappe delle lezioni di cucina dell’Accademia del Sapore Lagostina si sono svolte anche in Abruzzo, a Pineto nello showroom Miton, in collaborazione con la scuola di cucina Erbapepe di Francesca D’Orazio, e a Villa Santa Maria in collaborazione con l’istituto alberghiero. Protagonista di entrambi gli appuntamenti è stato Massimiliano Mariola, chef del Gambero Rosso Channel. I vincitori del concorso Lagostina si sono cimentati nella preparazione del pacchero ripieno di gamberi rossi con bottarga di muggine, la ricciola marinata al limone cotta al vapore con melanzane e il carrè di agnello con olio alla menta, crema di fave e cicorietta fritta.
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Sposa l’Abruzzo...di domenica
Da novembre 2011 a giugno 2012 passa la domenica in famiglia con noi! Scopri i borghi, i luoghi di ricerca enogastronomica, le bellezze e i monumenti della nostra regione! E visita con le nostre guide le più belle mostre d’arte del centro Italia!
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C COME INFORMAZIONE di Roberto Ardizzi, consulente SGQ
LA RIFORMA DELLA POLITICA AGRICOLA COMUNE Dal 2013 è più competitiva e più verde In vista delle proposte della Commissione sul futuro della Politica Agricola Comune (PAC), il Parlamento presenta la sua posizione per il prossimo bilancio a lungo termine per il periodo 2014-2020. I deputati desiderano mantenere invariato fino al 2020 il bilancio UE per il settore agricolo, per far sì che agli agricoltori siano garantiti gli incentivi per fornire scorte di prodotti alimentari sicuri, per la protezione dell’ambiente, per creare nuovi posti di lavoro e per assicurare la competitività del settore agricolo comunitario. In reazione a voci sul taglio degli aiuti al secondo pilastro della PAC, i deputati hanno ripetuto il loro sostegno per assicurare adeguate risorse finanziarie anche per lo sviluppo rurale. «Il voto invia un segnale chiaro e forte al commissario (Dacian Ciolos) e spero che la Commissione terrà presente il contenuto della relazione e lo incorporerà nella proposta legislativa finale», ha dichiarato il tedesco del PPE Albert Dess, relatore della risoluzione. Ecco quali sono i buoni propositi degli eurodeputati. Rendere la PAC più verde. Se la politica agricola dell’UE mira a fornire prodotti alimentari sicuri e d’alta qualità e a contribuire alla protezione dell’ambiente e alla diffusione delle energie rinnovabili, tale politica dovrà essere finanziata adeguatamente in modo da fornire agli agricoltori un incentivo all’utilizzo di tecniche moderne e ecocompatibili. I pagamenti diretti agli agricoltori dovrebbero essere più chiaramente legati alle “misure verdi” (basse emissioni di carbonio, basso consumo energetico). Un ampio sistema europeo di incentivi, finanziato dall’UE al 100%, dovrebbe essere istituito per sostenere gli agricoltori che appoggiano lo sviluppo sostenibile. Più equa distribuzione dei finanziamenti UE. I finanziamenti agricoli dovrebbero essere distribuiti più equamente tra
gli Stati membri e tra le diverse categorie di agricoltori. Il Parlamento propone che ogni Paese dell’Unione Europea riceva una percentuale minima della media UE dei pagamenti diretti. I deputati sono d’accordo con l’introduzione di un massimale per i pagamenti diretti per agricoltore, ma sottolineano che le nuove regole devono tener conto delle dimensioni delle aziende agricole e dei criteri oggettivi di occupazione, nonché delle pratiche sostenibili. Per evitare un uso improprio del denaro pubblico, i pagamenti diretti dovrebbero essere riservati agli “agricoltori attivi”, cioè a coloro che effettivamente utilizzano la loro terra per la produzione. Stabilità: speculazione, gestione delle crisi e potere contrattuale degli agricoltori. La lotta alla speculazione sulle materie prime agricole e l’estrema volatilità dei prezzi richiedono una soluzione a livello globale, in modo da garantire una maggiore stabilità per gli agricoltori e le forniture su larga scala di prodotti alimentari sicuri. Il Parlamento propone un sistema mondiale di notifica dello stato attuale delle scorte, per contrastare la speculazione selvaggia delle materie prime agricole. Situazione dei prodotti lattiero-caseari. Per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di prodotti lattierocaseari, i deputati hanno chiesto alla Commissione di monitorare il mercato lattiero-caseario per il periodo successivo al 2015. Il sistema attuale delle quote sarà soppresso nel 2014. I prossimi passi. La risoluzione non legislativa è stata approvata per alzata di mano. La Commissione presenterà il suo progetto di pacchetto legislativo alla fine dell’autunno e Parlamento e Consiglio saranno chiamati a decidere insieme sul contenuto definitivo della legislazione.
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Vendemmia del Fiano
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Vendemmia del Trebbiano
C COME VI CONSIGLIAMO
Comunicazione istituzionale
Fattoria La Valentina Via della Torretta 52 65010 Spoltore (PE) Tel. e Fax + 39 085 4478158 www.lavalentina.it
IL GIOCO DI… SCHIENA La vendemmia dei bianchi de La Valentina
L’uva e le donne hanno una cosa in comune: non basta guardarle per capire se sono “pronte”, bisogna conoscerne anche l’umore. Per questo non c’è mai una data precisa per l’inizio della vendemmia: il via, specie in casa La Valentina, viene dato dai sensi e dai numeri. Si fa una spremitura a campione (circa 10 kg di uva su un ettaro) e si manda subito in laboratorio di analisi di Pescara, allo stesso tempo si guarda l’uva ed il vigneto con attenzione e si assaggiano acini di qua e di là. Quando i dati analitici e quelli sensoriali raggiungono l’equilibrio desiderato, si chiamano a raccolta gli operai e il giorno dopo si comincia! Quando dati e sensazioni non quadrano, si aspettano alcuni giorni e si ripete la procedura, «possibilmente – spiegano a La Valentina – prelevando l’uva dallo stesso filare o addirittura dallo stesso grappolo». Mentre all’inizio di agosto l’assoenologi aveva profetizzato una vendemmia tardiva in Abruzzo, il bel tempo di settembre ha provveduto a ripristinare l’equilibrio, tanto che in alcuni casi è stata addirittura anticipata. Il primo a venire vendemmiato quest’anno da La Valentina è stato il Fiano: giovedì 1 settembre l’afa opprimeva già alle nove e mezza
del mattino l’ettaro tra Scafa e Alanno coltivato a filare, rendendo particolarmente duro il lavoro degli undici operai piegati sulle cassette dall’alba, attenti a cogliere i grappoli con estrema delicatezza. Quest’uva predilige le zone alte con una buona escursione termica, è un’uva molto delicata e tendenzialmente precoce; è quella che rischia più di tutte di “scottarsi” a causa del troppo sole. Gli operai si muovono in lunghi e stretti corridoi fatti di viti e guai a dimenticarsi una cesoia da qualche parte: la cortina degli alberelli è impenetrabile, per cercarla tocca aggirare tutta la fila! Questa è la terza annata di Fiano: la prima a venire commercializzata è del 2010 ed è “lanciata” proprio questo autunno. «Si tratta di un vitigno caratteristico della Campania – spiega Sabatino Di Properzio, uno dei titolari de “La Valentina” – che abbiamo voluto piantare qui quasi come “stravaganza”, per fare qualcosa di diverso. Siamo sempre stati categorici nella scelta dei vitigni autoctoni, e li abbiamo sempre voluti anche circoscrivere nella provincia di Pescara: adesso abbiamo voluto provare a proporre qualcosa di ancora poco visto». Lo studio dell’area preposta a Santa Teresa di Spoltore è stato affidato al consulente enologico e agronomo toscano Luca
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D’Attoma, il quale ha individuato, per clima, esposizione e tipo di terreno, una serie di varietà adatte: tra queste anche il Grillo, varietà siciliana di media montagna, la Garganega, il Fiano e perfino il Gewurztraminer. «Abbiamo scelto il Fiano perché è vitigno del Centro Sud Italia e quindi quello geograficamente e per tradizione più vicina a noi. Quella che stiamo per immettere nel mercato è del 2010: ha già raggiunto uno standard che reputiamo soddisfacente». Il Trebbiano, invece, coltivato a pergola abruzzese su una dolce collina ai piedi di Moscufo, a confronto col suo cugino Fiano se la spassa comodamente all’ombra: anche raccoglierlo è più agevole perché non si sta curvi ma dritti, e si ha appesi al busto dei secchi di plastica che rendono facili le operazioni. Qui ci si muove comodamente in tutte le direzioni. I grappoli stavolta stanno in alto e sono più pieni, sodi, robusti; tutti lavorano di buona lena e rovesciano il raccolto nella vasca del piccolo trattore che porterà il raccolto in azienda almeno un paio di volte al dì. Assistiamo alla vendemmia del Trebbiano lunedì 5 settembre: è stato
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meno faticoso perché l’afa era sparita e si era alzata anche una leggera brezza. Normalmente si impiegherebbe almeno un giorno e mezzo per due ettari di vigneto, ma per una migliore gestione del lavoro è meglio coinvolgere un maggior numero di operai e terminare il raccolto prima del tramonto, quando è possibile, in modo che l’uva non debba aspettare troppo e schiacciandosi non cominci a fermentare. Il Pecorino, tramite un sistema alternativo di pergola abruzzese, è ancora più riparato, almeno 30 centimetri sotto la vegetazione: così i raggi del sole lo raggiungono non in maniera diretta. Quest’anno è stato necessario battere sul tempo il breve peggioramento delle condizioni atmosferiche sopraggiunto a ridosso dell’autunno, e ci si è dovuti muovere contro il vento, le prime gocce di pioggia e l’aria carica di elettricità. Adesso tutte le uve “bianche” sono al sicuro, a fermentare in cantina, mentre la raccolta delle “rosse”, le uve a bacca nera, è iniziata da poco: ma questa è un’altra storia, e la racconteremo un’altra volta….
fiano
TIPO: bianco VARIETÀ: Fiano Il Fiano “La Valentina” va ad aggiungersi alla linea dei bianchi Igt del territorio, affiancandosi così al Pecorino e al Trebbiano. Il 75% è fermentato separatamente in acciaio e il 25% in tonneaux, per valorizzarne le rotondità e i profumi; è vinificato con metodo classico e viene imbottigliato in aprile, per permettergli di completare l’affinamento in bottiglia. Dal colore limpido, giallo oro con belle striature verdognole e un bouquet floreale di ginestra e gelsomino con note fruttate di albicocca mela e pompelmo, al sorso è pronto e beverino, rispondente e di buon spessore. Presenta un buon equilibrio acido-sapido che accompagna la beva fino alla fine lunga e pulente. Si abbina bene con piatti a base di baccalà in umido, tagliolini con tartufo abruzzese e piatti di pesce (spigola al sale, pescatrice al forno con pomodorino...) L’abbinamento
Tagliolini al tartufo bianco di Valerio Centofanti, L’Angolo d’Abruzzo, Carsoli (Aq)
Ingredienti per 4 persone. Per i tagliolini: 500 gr. farina 00; 4 uova; 4 tuorli; 1 cucchiaio olio extra vergine di oliva; per la salsa 50 gr. burro; 5 gr. tartufo bianco; olio extra vergine di oliva, sale, brodo vegetale, parmigiano q.b.. Preparazione: far riposare 30 minuti in frigo i tagliolini preparati come d’abitudine. Per la salsa: amalgamare in una ciotola il burro con il tartufo. Lessare in abbondante acqua salata i tagliolini; in padella sciogliere il burro al tartufo con brodo vegetale sale e olio; saltare i tagliolini con la salsa e una spolverata di parmigiano; adagiare i tagliolini in un piatto piano e grattare il tartufo a scaglie.
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C COME FOOD DESIGN
testo e foto di Ludovica Persichitti - ludovica.architettura@gmail.com
GLI ORTI URBANI Torna una buona abitudine?
La coltivazione dell’orto è sempre stato uno dei più spontanei interventi antropici sul territorio e piuttosto comune anche nella configurazione delle città agli inizi del XX secolo. Contestualmente al boom economico successivo al secondo Dopoguerra, la coltivazione spontanea di orti in ritagli (a volte abusivi) di tessuto urbano, divenne segno di degrado paesaggistico. Oggi, invece, si sta sviluppando una nuova sensibilità e gli orti urbani vengono recepiti come luoghi di evasione, di recupero di un’arte del coltivare e motivo di riqualificazione ambientale e sociale. L’argomento è stato affrontato anche in uno degli incontri di “SPARTA - dell’ altra arte”, mostra curata dalla Galleria White Project di Pescara all’interno del Festival dannunziano, che coniuga arte contemporanea ed intrattenimento. Moderato da Eleonora Sablone, ingegnere specialista in eco sostenibilità, e dal sociologo Simone D’Alessandro, nell’incontro si è parlato del panorama contemporaneo e del caso olandese di Urbaniahoeve, Fondazione che si occupa della pianificazione degli spazi verdi nel tessuto urbano secondo i principi della Permacultura (strategie ecologiche per il ripristino dell’equilibrio degli ecosistemi). Inserire gli orti in città può rappresentare anche l’opportunità per recuperare specie in via d’estinzione e applicare metodologie scientifiche. Questo è il progetto di Italia Nostra, la cui sezione di Chieti, rappresentata dal presidente Giancarla Armidi, ha intenzione di preservare gli orti nei conventi e creare isole di educazione ambientale e di valorizzazione delle tipicità con la collaborazione delle scuole
agrarie e l’interesse di Federfarma e Slow Food. Riflettendo sull’aspetto sociologico degli orti urbani come strumento terapeutico, pedagogico e di inclusione sociale, vale la pena citare l’esempio degli Orti d’Oro a Pescara. Nato nel quartiere di San Donato su un’area di proprietà del consigliere provinciale Antonella Allegrino, è uno dei progetti della sua Onlus Domenico Allegrino, che in questo caso si prefigge di coinvolgere persone pensionate in attività occupazionali. Quaranta orti di 75 mq ciascuno si susseguono senza barriere nel rispetto della fiducia reciproca e vengono affidati a pensionati senza proprietà, i quali possono beneficiare ciascuno del proprio raccolto e condividere momenti di convivialità nel pagliaio comune, costruito secondo tecniche tradizionali. Lo spazio all’ingresso ospita un elemento modulare di orto urbano in legno, realizzato da alcuni studenti del corso di Progettazione architettonica 3 seguiti da Alberto Ulisse, della Facoltà di Architettura dell’Università d’Annunzio. Questo lavoro sugli orti urbani, intesi come attrezzature per lo spazio collettivo, è stato poi sviluppato dallo stesso Ulisse (UNOAUNO_ spazioArchitettura) insieme agli studenti per il concorso nell’ambito dell’ExposudGARDEN 2011, risultando primo classificato. È vincente, e realizzata nel Vulcano Buono di Nola, l’idea di una stanza urbana coltivata creata da moduli in legno in cui si susseguono sedute, setti, semenzai e fioriere: l’orto urbano non solo come terreno produttivo, ma anche come attrezzatura per lo spazio da progettare. (Leggi l’approfondimento su www.ccomemagazine.it!)
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C COME MANCINI
di Cristina Mosca – Foto: Mario Sabatini
LA GRAZIA DELLA MATERIA PRIMA Una nostra scoperta a San Vito
La semplicità è tutto. Se è condita con estro tutto femminile, poi, diventa un vero e proprio viaggio alla scoperta di una personalità: quella di Cinzia Mancini, classe 1973, da due anni ai fornelli della sua “Bottega culinaria biologica” ma da almeno quindici in giro per il mondo. La scoperta dei suoi piatti ci arriva per vie insolite, un consiglio quasi da amica, giunto inaspettato durante una conversazione con la produttrice Chiara Ciavolich. Dopo una peregrinazione a caccia di questo ristorante che se ne sta nascosto sulla strada per Sant’Apollinare, siamo giunti in un luogo che rispecchia lo stile della sua proprietaria: pulito, elegante, con un tocco di aggraziata audacia. È quando ci arriva una foglia di borragine “brinata” poggiata su una crema di bietoline, che capiamo che a questa ragazza non piacciono le cose facili. «Ho sempre lavorato nella ristorazione, all’inizio quasi per caso, ma lo stage formativo di due anni fa da Valeria Piccini del ristorante “Caino” mi ha illuminato – spiega Cinzia Mancini – Era un mondo completamente diverso da quello da cui venivo e ha innescato in me una sfida: come preservare il valore della materia prima, per me intoccabile, senza rinunciare alla creatività?». Orti di proprietà e fornitori di fiducia sono i due cardini intorno ai quali ruota la sua cucina, ma siccome l’arte non ama i limiti
non sempre si resta nei ranghi abruzzesi: «Certo il concetto di biologico comprende anche quello della filiera corta, specie se, come me, si decide di farsi seguire da aziende che lavorano con amore. La voglia di crescere però non deve essere costretta a fermarsi all’interno di confini geografici: si può scendere a compromessi per lasciare in carta alcune pietanze “rassicuranti”, riconoscibili... ma di fatto in una “bottega” tutto può succedere». Il successo di questa scelta coraggiosa in aperta campagna è decretato dal passaparola di quegli avventori che non si stancano di fare nuove scoperte. Il lavoro artigianale, unito alla necessità di fare esperimenti senza dimenticare il rispetto per il gusto e per le proprietà nutritive del prodotto, fa il resto. Chi sapeva che per lasciare inalterato il sapore dell’insalata la si dovrebbe mangiare con bacchette di legno, o che il cacao è una spezia amara e può essere utilizzato per spaghettini al cioccolato fondente al 99% da saltare ad aglio, olio e peperoncino? «Il mio obiettivo è restituire alla materia prima il ruolo da protagonista che le compete: le verdure prima di tutto, con cui mi piace molto giocare. La stessa parmigiana di melanzane, così come la propongo io, nasce dalla considerazione che troppo spesso c’è una cottura talmente impegnativa che gli ortaggi, alla fine, vengono un po’ bistrattati. Poverini».
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La parmigiana di melanzane
Ingredienti per 4 persone 2 melanzane, 200 gr di parmigiano reggiano grattugiato, 200 ml di panna fresca, 1 pomodoro, basilico nano, 50 g di farina 00, 3 rossi d’uovo. Preparazione Private le melanzane della buccia e tagliatela a pezzettoni. Cuocetela in forno a 180° per 15 minuti. Ancora calda frullatela con il mixer e 3 cucchiai di olio extravergine: aggiustate di sale e lasciate raffreddare il composto. Per la crema al parmigiano portate a ebollizione in un pentolino la panna e il parmigiano grattugiato; togliete dal fuoco e girate finché il parmigiano non si è sciolto completamente. Intanto preparate la sfoglia di pasta fresca: mettete la farina setacciata a fontana e al centro i rossi d’uovo, e impastate bene fino ad ottenere un composto liscio ed elastico. Avvolgete il panetto in pellicola trasparente e lasciate riposare in frigo per un’ora. Tirate l’impasto con un mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottilissima e ricavate dei dischi con un coppa pasta: disponetevi al centro un cucchiaino di purea di melanzane, sigillate e cuocete in acqua bollente salata per 2 minuti. Sul fondo di un piatto versate un mestolino di crema al parmigiano, adagiate i tortelli, aggiungete un filo d’olio extravergine, dadini di pomodoro e basilico.
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Baccalà e peperoni
Ingredienti per 4 persone 4 peperoni rossi; 300 g di baccalà dissalato; 100g di olio extravergine d’oliva; 4 g di agar agar. Preparazione Il giorno precedente arrostite i peperoni interi sulla brace, e ancora caldi privateli della buccia e tenetela da parte. Frullate i peperoni privati dei semi e delle nervature interne. Scaldate la purea, aggiungete l’agar agar e portate a ebollizione. Stendete la purea ancora calda su un vassoio coperto da carta da forno in maniera uniforme e sottile. Lasciate raffreddare in frigorifero. In una teglia, cuocete il baccalà a vapore per 18 minuti e frullatelo con un mixer avendo cura di aggiungere l’olio a filo. Nel frattempo essiccate in forno a 180° la buccia del peperone e la pelle del baccalà. Triturate la buccia e friggete la pelle in olio bollente. Ritagliate dei rettangoli precisi di sfoglia di peperone e ponete al centro un cucchiaio di baccalà mantecato. Avvolgete su se stessa la sfoglia fino a formare un cannolo, aggiungete un filo di olio, una spolverata di buccia di peperone e appoggiatevi la pelle croccante.
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C COME LIEVITI di Maura Di Marco – Foto: Sabatini/Modiv
GRANI E LIEVITAZIONE Cosa c’è da sapere?
Prendete un piattino, metteteci della farina, possibilmente di origine Cappelli, mescolate con dell’acqua, aspettate qualche ora e produrrete naturalmente il lievito madre, una pasta acida che, un tempo, i vecchi fornai custodivano gelosamente nelle loro botteghe e distribuivano alle famiglie contadine per ricavarne il pane fatto in casa. Se poi utilizzaste quel lievito madre per fare anche voi il pane, otterreste con molta probabilità, a patto che siate bravi ad impastare come le vostre nonne, il pane di una volta, croccante, digeribile, ad alto contenuto proteico e a basso dosaggio di carboidrati: un toccasana per un’alimentazione corretta ed una bomba per il gusto. Il punto è che, purtroppo, la farina derivante dal grano Cappelli è sempre più rara, la qualità dell’aria sempre più scadente e la pazienza per una fermentazione naturale sempre più corta. Ne parliamo con Osvaldo Legnini, tecnico alimentare che con la sua azienda ha incrementato fatturato e risorse umane con una gamma di prodotti alimentari salutari, poveri di grassi e ricchi di proteine. «La varietà di grano Cappelli fu scoperta in Abruzzo, agli inizi del 900, da un senatore delle Repubblica italiana appassionato di agricoltura, da cui ne ha preso il nome. La
struttura si rivelò sin da subito vincente – ci spiega Legnini – La farina ottenuta dal grano Cappelli era facilmente impastabile e consentiva di ottenere una massa soffice, liscia e ricca di glutine». Ma il Cappelli aveva un difetto: lo stelo troppo alto lo esponeva al vento e ne abbassava la resa. «Fu così che, dopo vari incroci, a fare la storia dell’Abruzzo furono due tipi di grani morbidi, il Mec e il Marzotto, oggi praticamente inesistenti, che, grazie alla presenza di particolari enzimi, si combinavano con i lieviti contenuti naturalmente nell’aria e permettevano di ottenere un gusto unico al mondo». L’Abruzzo non è mai stato un grosso produttore di grano, sebbene avesse tutte le potenzialità per farlo: “Una politica agricola poco attenta, l’avanzare di colossi industriali come la Francia e la Russia, una borsa prezzi lontana come Bologna (l’unica in Italia) hanno fatto sì che oggi ci ritroviamo a lavorare grani provenienti dall’estero che, la maggior parte delle volte, ci deludono nel risultato». Ma non solo. «Durante i miei anni di lavoro al mulino – ci racconta Legnini – abbiamo scoperto che, in realtà, uno dei problemi più grandi è dato dai pesticidi contenuti nell’aria a cui dobbiamo la consistenza vetrosa dei pani che troviamo
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Speciale Aria nella maggior parte dei supermercati». Il lievito madre, secondo Legnini, dovrebbe essere, per fornai e pizzaioli, il Vangelo, eppure nel mercato c’è un vero e proprio abuso del lievito di birra, che permette di restringere costi e tempi di lavorazione con un conseguente allargamento del nostro punto vita.«Il lievito madre ha la capacità di scomporre l’amido contento nella farina (o nella crusca) prima in fruttosio, poi in saccarosio e maltosio ed infine in glucosio: energia pura per il nostro organismo, data la sua facile assimilabilità nel nostro sangue. Il lievito di birra, invece, contiene un solo tipo di lievito, il Saccharomyces della famiglia delle Cervisiae, che ha la capacità di far fermentare anche il maltosio, che è una componente zuccherina molto pesante per il nostro corpo». Se pane e pizza ottenute dal lievito madre hanno bisogno di circa sei ore per lievitare, con il lievito di birra basta un’ora e mezza per ottenere l’impasto: «Con una fermentazione
così corta – ci spiega – tutte le calorie della farina vanno a finire direttamente nelle nostre pance, con conseguenze devastanti per la linea e per la salute. Purtroppo, la maggior parte dei dietologi non conosce questi meccanismi chimici e così la prima cosa che fa è togliere dalla nostra alimentazione pane e pasta. In realtà, se si tornasse ai lieviti madre ed ai grani di una volta, potremmo mangiarne in quantità, con effetti solo positivi per la nostra linea». Ancora una volta è la crisi a fare da padrona anche sulle nostre tavole, nonostante le statistiche parlino di boom di ristoranti e consumo di cibi fuori casa. Il lievito di birra, fermentando in così poco tempo, permette di aumentare la produzione ed abbassare i costi di lavorazione: ma a quale prezzo? Forse è arrivato il momento di chiedercelo e soprattutto di domandare, entrando in un forno o in una pizzeria, che tipo di lievito viene utilizzato ed incentivare, così, un ritorno al passato che ci farà stare bene nel futuro.
Farina di grano Cappelli
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C COME PANE
di Cristina Mosca – Foto: Modiv
MOLLICHE DI CULTURA Il territorio si riconosce a morsi
Col pane fondamentalmente funziona come con il pesce: ogni territorio usa la materia prima che ha a disposizione. E siccome funziona anche come con il vino perché ogni pane racconta un terroir, un morso alla fetta giusta può essere in grado di riportare la memoria ad un tempo, ad un luogo, a dei volti che non ci sono più. Si tratta di una cultura da fare… a molliche, da sciogliere in bocca e masticare il più a lungo possibile. All’inizio era il farro. Questo grano duro dalla spiga senza barbe fu il cereale preferito dai Romani per circa tre secoli: è dal farro che, infatti, deriva il nome farina. Quello che oggi chiamiamo pane nasce nell’era cristiana, quando si scoprì che quella sorta di galletta dura non lievitata e costosa che usavano e che diventava subito immangiabile, se fatta lievitare era più digeribile, più morbida e persino più buona. «Inizialmente il farro veniva macinato a
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mano usando due pietre o con il mortaio, in seguito arrivò la mola rotante, azionata dapprima dagli schiavi, poi da asini e muli e raramente da cavalli – spiega il giornalista e scrittore abruzzese Stanislao Liberatore, autore del libro “Cibi e luxus di Roma imperiale” (edizioni Qualevita 2006) – Con il farro si preparava solo la puls, la polenta, mentre qualcosa somigliante al pane vero e proprio comparve sulla mensa dei Romani nel IV secolo a.C., con l’arrivo del frumento, che si poteva ridurre più facilmente in farina: dopo lo stadio intermedio di una specie di focaccia cotta sotto la cenere e mangiata con companatici diversi, si passò alla galletta dura e infine al pane come lo conosciamo noi». Nelle 258 panetterie pubbliche della Roma imperiale ci si cominciò finalmente a sbizzarrire nelle diverse varietà per accontentare la clientela: si andava dal pane scuro, “popolare”, fatto di
Ogni fornaio è un artigiano e firma il suo prodotto
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Giuseppe Ciavarini e Vincenslao Ruccolo, ass. panificatori provincia di Chieti
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Speciale Aria farine setacciate, al pane per ricchi, molto raffinato, fatto di farina bianca finissima, che non rientrava nella diffusione gratuita riservata alla plebe; c’erano l’integrale, più bianco e setacciato più volte; il quasi bianco, il tenero e il cotto allo spiedo; il “nautilus” per i marinai e il “militaris” per i combattenti, il pane al burro per i Galli, il pane con la frutta e infine il pane rotondo, il più comune, con due tagli in croce in superficie per renderlo già sporzionabile in quattro. Ci fu un momento in cui i panettieri, per aumentare la curiosità, inventarono anche un pane da mangiare con le ostriche, un pane al latte e uno alle uova, un altro insaporito al succo d’uva disseccato. Un’originalità che non è mai venuta a mancare. Alla base di un pane che parla del territorio c’è il cereale presente in quel suolo, in innumerevoli varianti e spesso integrato con quello di cui l’area è più ricca, dalle patate alle noci al peperone dolce. In Abruzzo si crea un interessante divario di profumi e sapori tra i pani della costa e i pani dell’entroterra, pur trattandosi a volte anche solo di una distanza di 5 Km. Mentre sulla costa vediamo prevalere cuscini, filoni e pagnotte, dai profumi più leggeri, all’interno assistiamo a pani più compatti e longevi, dagli odori più marcati e dall’alveolatura più stretta.
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tradizionalmente di farina, olio extravergine d’oliva, acqua e sale e viene cotta sotto il “coppo”. La ricetta del pane nobile di Guardiagrele, tipico di Guardiagrele e di Bocca di Valle, affonda invece nel Medio Evo: è sostanzioso e si conserva a lungo, in sacchetti di carta o stoffa, rispondendo così alla necessità delle popolazioni locali, in prevalenza carbonai, che dovevano affrontare lunghe permanenze nei boschi. Per il suo impasto si utilizza una miscela complessa: farine di tipo 00, integrale, di mais, avena, orzo, miglio e segale, con semi di sesamo, formaggio, olio extravergine di oliva, acqua, sale, lievito madre e una piccola quantità di lievito di birra.
I pani dell’entroterra hanno sapori e profumi più marcati
Nello specifico, nella provincia di Chieti fino a poco tempo fa si poteva fare ad esempio affidamento sulla farina di grano Cappelli, oggi in pieno recupero, pare, solo da parte del panificio Ciavarini di Ortona, e a suo tempo valorizzata dal senatore di cui porta il nome: un pane che sta benissimo con la zuppa di pesce e la cui modalità di preparazione, secondo la Guida ai prodotti tradizionali d’Abruzzo dell’Arssa, viene tramandata da padre in figlio dagli anni ’30. Secondo la guida, la lavorazione vede i suoi aspetti più importanti nell’«utilizzo della pasta di riporto (lievito madre) e della pasta acida: la prima viene sapientemente curata e rinnovata dal panificatore con il rinfresco serale, mentre la seconda viene prodotta dalla fermentazione in acqua fresca di una parte dell’impasto». Sempre al teatino appartiene la pizza “scime”, una specie di focaccia azzima, entrata nella tradizione popolare abruzzese probabilmente attraverso le numerose comunità ebraiche storicamente presenti in regione; nasce dai “ritagli” di operazioni più complesse nella panificazione («Il momento della pulitura dei tavoli era la festa di ogni bambino», raccontano i fornai), è fatta
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Dell’Aquilano è tipico il pane casereccio, caratterizzato dalla lunga conservabilità (oltre 10 giorni) grazie alla lievitazione naturale e alla pasta semintegrale, in cui ogni artigiano stabilisce le proporzioni da dare alla farina 0 e a quella integrale. «Il bello di questa attività – spiega Vincensalo Ruccolo, coordinatore dell’associazione provinciale panificatori di Chieti – è che ogni fornaio è come un artigiano: va a crearsi un suo prodotto, sarà poi il consumatore a dargli un valore». Della provincia dell’Aquila è caratteristico il soffice e bianco pane con le patate, tubero da sempre molto diffuso soprattutto nell’area marsicana, e una delle fonti principali di alimentazione alternative al grano. Un esempio di recupero è il pane scuro realizzato con la farina di grano “Solina”, la cui coltivazione, tornata in auge, in Abruzzo è documentata sin dal 1500 per la spiccata attitudine del cereale a resistere alle avversità in ambienti montani. La guida dell’Arssa parla anche delle pagnotte da forno di Sant’Agata, o “cacchiette”, tipiche di Castelvecchio Subequo, a base di farina di grano tenero Solina, patate, uova e aromatizzate ai semi di anice: il loro nome viene dalla forma che ricorda il seno, poiché nel culto popolare Sant’Agata è la protettrice dell’allattamento. È tradizione portarle in Chiesa per la benedizione in occasione del 5 febbraio e del 20 agosto, giorni dedicati alla Santa. Il pane casereccio dell’interno della provincia di Pescara è un pane profumato che segue ancora antiche ricette, ed è identificato dai fornai che lo producono: per questo c’è il pane “di Bussi” o quello “di Sant’Eufemia a Majella” o “di Cepagatti”. Per lo più sono pani bianchi, contraddistinti dalle forme a cuscinetto o a filoncino. Un morso al pane è come un morso al territorio, dicevamo: se il casereccio aquilano è
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Pane casereccio teramano
Pane con le patate
Pane di Cappelli
Pane casereccio pescarese
Pizza “scime�
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Speciale Aria stato scelto in un contest, all’inizio del 2011, come miglior pane abruzzese da abbinare ad un prosciutto San Daniele, il pane di Sant’Eufemia è stato portato lo scorso ottobre alla festa del pane di Charleroi, in Belgio, in rappresentanza dell’Italia, per iniziativa di una delegazione spontanea della provincia di Pescara, stimolando nella comunità italiana buonumore, ricordi e segrete commozioni. Tipico del Teramano è invece il pane senza sale, votato ad una conservazione più lunga, anche contro l’umidità, forse retaggio dell’antica lotta toscana su questo prezioso elemento. Altre varietà teramane, per lo più “svaporate” perché la modalità di cottura lo lasciano leggermente imbiancate, sono il pane alle noci, il semintegrale, il cotto
a legna. A proposito del sale, lo stesso Ruccolo ha potuto constatare come molti suoi colleghi in regione siano da sempre abituati ad usarne poco, poiché il sapore e il profumo del pane provengono dalle farine ricavate da cereali autoctoni. Si consideri solo che dalla montagna alla costa le percentuali di sale sono già bassissime, tra l’1,8% e l’1%. La “scoperta” è avvenuta in occasione del proposito di Fippa (Federazione Italiana Panificatori, Pasticcieri e Affini) e Confesercenti di sposare l’idea del “pane mezzo sale”, in ottemperanza al programma ministeriale “Guadagnare salute”. Abitudini semplici e buone, proprio come il pane, che appartengono da sempre alla nostra tradizione contadina, ma che sistematicamente ci ostiniamo a sottovalutare.
SOS PANETTIERI?
È stato quasi impossibile ignorare lo scalpore suscitato verso la fine dell’estate dall’Sos panettieri in Abruzzo. L’allarme era partito da Teramo, quando un rappresentante della categoria, Francesco Di Antonio, ha denunciato la carenza di fornai nel capoluogo provinciale. Il giornalista teramano Nicola Catenaro, collaboratore del Corriere della Sera, ha svolto alcune indagini e passando per il presidente regionale Fenapi Vincenzo Staffilano è giunto a San Vito, da Vincenslao Ruccolo, coordinatore dell’associazione provinciale panificatori di Chieti oggi presieduta da Giuseppe Ciavarini. L’Sos fornai ha fatto il giro d’Italia e anche altre regioni hanno rilanciato il proprio. Lo scalpore era suscitato anche dalla rivelazione che fare il panettiere potrebbe essere più redditizio di quanto si pensi, e l’effetto del telefono senza fili ha portato a parlare persino di un introito di tremila euro al mese. «D’estate il lavoro aumenta – ci ha spiegato, dopo l’uragano mediatico, Vincenslao Ruccolo – e se un panettiere trovasse un collaboratore disposto ad affiancarlo o a sostituirlo se lo terrebbe ben stretto. Io stesso questa estate avrei pagato qualsiasi cifra per qualcuno di fidato che mi facesse riposare qualche ora in più la notte. Se è un lavoro redditizio? Posso portare esempi in cui panettieri sensibili e lungimiranti, come un collega di Montesilvano, pagano gli assistenti davvero validi anche 1200, 1300 euro netti ogni mese, indipendentemente dalla mole di lavoro, perché d’estate aumenta, sì, ma è anche vero che d’inverno diminuisce. Spesso basta un poco di buona volontà». Un poco di buona volontà che, c’è da dire, a volte va a carico dei titolari, che sentendo parlare di crisi e di tempi imprevedibili hanno remore a promettere ulteriori stipendi e preferiscono perdere la salute sul lavoro, pur di salvarsi – o in alcuni casi affondare – da soli. Grazie alla diffusione mediatica da un lato, ma a causa di un utilizzo approssimativo dell’informazione dall’altro, sono state oltre 2500 le autocandidature giunte via mail alla Confesercenti Abruzzo, senza contare le telefonate che hanno ingolfato sia la sede abruzzese che quella centrale a Roma per venire puntualmente dirottate verso i Centri per l’impiego e le Agenzie di lavoro, nel rispetto delle competenze. Ora circa 50 aspiranti lavoratori nel settore della panificazione, tra cui molti under 35, provenienti dalle regioni del Centro-Sud Italia ma anche da Emilia Romagna e Liguria stanno frequentando i corsi teorico-pratici professionalizzanti, i primi del Centro Sud per la formazione dei panettieri, organizzati del Cescot (Centro Sviluppo del Commercio e del Turismo) nell’“Officina dei Sapori” di Sulmona. Che di laureati disoccupati sia piena l’Italia è una realtà conclamata: chissà che non sia la volta buona per assistere al ritorno di un po’ di competitività nel mondo del sano lavoro manuale. Anche laureato, perchè no. (C.M.)
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C COME PIZZA
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di Nicola Salvatore (www.pizzabruzzodoc.it), delegato Abruzzo per l’Api Foto: Mario Sabatini
LA POSSIAMO FARE ANCHE “TIPICA”! Un inaspettato veicolo di cucina regionale
Aria dentro, aria fuori: anche nella pizza c’è un allegro gioco di lievitazione, aromi e rigonfiamenti. Oggi dire pizza è dire subito aria di festa, di allegre compagnie. Basta girare per qualsiasi pizzeria, magari proprio per quelle storiche di Napoli (via dei Tribunali, da Gino Sorbillo, o da “Starita a Materdei”), per capire che la pizza, prima ancora che mangiarla, la si respira, sia mentre si fa la fila davanti ai locali, sia mentre la si aspetta al tavolo in pizzeria o a casa. Un vero amante di questo prodotto culinario pagherebbe l’impagabile per poter tornare indietro nel tempo e respirare il profumo che doveva
certamente riempire, alla fine del 1600, i suoi primi luoghi di consumo, ossia le strade e in particolar modo quelle di Napoli, ai tempi del Regno di Napoli e delle due Sicilie. Le sue origini sono quelle di un piatto povero poiché necessita, per la sua produzione, di alimenti semplici e facilmente reperibili come farina, olio, sale, lievito, e di riposare in un luogo al riparo dall’aria, sotto enormi candidi teli di lino, per evitare che si asciughi e si secchi! Nasce intorno al 1600 dall’innegabile ingegno culinario meridionale, bisognoso di rendere più appetibile e saporita la tradizionale schiacciata
IL DECALOGO DELLA PIZZA DI QUALITÀ! 1) Ben cotta in tutte le sue parti. 2) Non bruciata, specie nella parte inferiore e ai bordi. 3) Aspetto piacevole e di forma tondeggiante. 4) Abbinamento degli ingredienti equilibrato e piacevole. 5) Né troppo secca né troppo umida e soprattutto soffice. 6) Un giusto equilibrio fra aromi spezie. 7) Esaltazione delle materie prime, di ottima qualità e ben selezionate. 8) Abbinamento a precise bevande per un’ottima digeribilità. 9) Un perfetto equilibrio tra lipidi, glucidi e protidi, portatore di una precisa quantità di calorie. 10) In degustazione, sempre ben calda in un efficiente, armonioso ed ospitale ambiente con caratteristiche mediterranee.
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Speciale Aria I TRUCCHI PER IL FAI-DA-TE Ingredienti base: 500 ml di acqua; 1 kg di farina 00 (se professionale per pizza, 900 gr); 5/15 gr. di lievito di birra fresco (meno di 1/2 cubetto); 25/30 gr. di sale marino sciolto in poca acqua; 25/30 gr. di olio extra vergine di oliva (4/5 cucchiai) Per ottenere risultati discreti e… digeribili, anche per una pizza fatta in casa è opportuno organizzarsi almeno cinque/sei ore prima di consumare il prodotto. Utilizzare acqua a temperatura ambiente in inverno e addirittura molto fredda in estate: non tiepida, poiché ciò anticiperebbe notevolmente la lievitazione. Evitare il contatto diretto lievito-sale. Aggiungere il sale sciolto in acqua solo dopo aver iniziato l’impasto e dopo che la farina ha assorbito il lievito. Usare preferibilmente lievito fresco e friabile; se usiamo lievito secco va sciolto a 38°. È preferibile usare sale marino, perché più stabile. Iniziare sempre l’impasto con una mano e utilizzare l’altra solo dopo che ha preso consistenza: questo permette di avere sempre una mano pulita per prendere oggetti e altri ingredienti. La maturazione dell’impasto equivale un po’ alla frollatura della carne. Una carne bianca necessiterà di una breve frollatura, una di manzo, al contrario, di diversi giorni, ma in entrambi i casi la frollatura deve essere sempre fatta a dovere, altrimenti il prodotto sarebbe immangiabile. Ecco perché, quando entriamo in una pizzeria e leggiamo di lievitazioni di 8, 24 o addirittura 48 ore, non possiamo fare il confronto: la loro digeribilità è strettamente legata alle interazioni di acqua, lievito, sale e olio (naturalmente extravergine di oliva) e connessa anche alle loro proporzioni! Durante la lievitazione, meglio detta fase di riposo dell’impasto, è necessario coprire la pasta con un panno umido o con pellicola/telo-plastica per alimenti, dopo averli leggermente unti con olio extravergine d’oliva. È importante evitare di metterla a riposare in prossimità di correnti d’aria. Per la farcitura è preferibile usare prodotti di qualità, selezionati e lavorati in pezzi non piccoli ma neanche eccessivamente grandi. Non macinare mai la mozzarella con il tritacarne perché durante la cottura, essendo snervata, cambierebbe sapore e non filerebbe. Accertarsi che il forno sia ben caldo e che abbia raggiunto almeno i 220°.
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Speciale Aria di pane; all’inizio si trattava di pasta per pane cotta in forni a legna e condita con aglio, strutto e sale grosso, oppure, nella versione più “ricca”, con caciocavallo e basilico. Come la conosciamo noi, dall’impasto soffice e gustoso, arriva fra il ‘500 e il ‘600: è la cosiddetta pizza alla ”mastunicòla”, ossia pizza al basilico, e viene riportata in molti scritti di storia gastronomica come la prima ricetta di pizza che si conosca. Veniva preparata per un marito che si chiamava, appunto, mastro Nicola, mettendo sul disco di pasta dello strutto, formaggio, foglie di basilico e pepe. Più avanti nel tempo nasce quella ai “cecinielli”, ossia con la minutaglia di pesci che soprattutto i pescatori avevano a disposizione. L’arrivo sulle tavole della pizza moderna avviene, infine, con la scoperta del pomodoro! Importato dal Perù, dopo la scoperta dell’America, il pomodoro fu dapprima usato in cucina come salsa cotta con un po’ di sale e basilico e solo più tardi a qualcuno venne l’idea di metterlo sulla pizza. Inventandola. È cominciata cosi l’era della pizza moderna: nel Sud Italia così come anche in America, perché nell’Ottocento la pizza col pomodoro è arrivata fino in America grazie agli emigranti italiani a New York, che la facevano più o meno come in Italia, attraverso mezzi, ingredienti e condizioni di fortuna, e senza nessuna specifica capacità professionale. È così che è nata e cresciuta la pizza in America, fino a diventare uno dei più grandi business del mondo e portando spesso con sé manciate di disinformazione sulla sua reale provenienza. Emblematica è la domanda di una ragazza americana, venuta in vacanza in Italia, che chiese: «Come si dice pizza in italiano?» È in questo stesso periodo che a Napoli avviene il “matrimonio storico” con la mozzarella. Un pizzaiolo napoletano, Raffaele Esposito, e sua moglie, su richiesta della Regina Margherita prepararono tre pizze: una alla “mastunicòla”, una alla marinara e una pizza con il pomodoro, la mozzarella e il basilico, pensando all’aria patriottica che si respirava nel Paese e al tricolore Italiano. Alla regina piacque tremendamente quest’ultima ed il pizzaiolo per questo motivo la battezzò con il suo nome. Fu da allora che la pizza Margherita si impose ovunque nel mondo, fino ai giorni nostri. E gli abruzzesi, erano lì! ….perché bisogna sapere che a Napoli, com’è riportato da Michele Parise in un articolo de “Il Mezzogiorno” dell’1 novembre 1929, «tutti gli “sguatteri” (fornai di pizzeria) sono abruzzesi, e stanno tutti agli ordini del loro capo, che innanzi al forno ha tutta l’aria di un comandante. E le infornate aumentano sempre più a misura che i clienti affollano le sale e il grido fatico si ripete: «Pronto c’ ‘a pala!», pronto con la pala!» In questi stessi locali il nostro Gabriele d’Annunzio si ispirò
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Speciale Aria e compose alcune sue famose opere e canzoni, come “A’ vucchella”. Dello stesso d’Annunzio sappiamo, grazie al trattato di Enrico Di Carlo su “Gabriele d’Annunzio e la gastronomia abruzzese”, che «gradiva molto la pizza del fornaio pescarese Pasquale Liberi, alla quale aggiungeva pomodori, mozzarelle e acciughe». Un uomo in linea con le evoluzioni del suo tempo, insomma. Non vi è nessun piatto come la pizza capace di attrarre l’attenzione di platee eterogenee, in qualsiasi luogo, contesto, latitudine e longitudine essa la si proponga. La pizza è un prodotto semplice, anche se non facile da realizzare a regola d’arte: è facile però da mangiare, in piedi, come cibo di strada, in allegria con gli amici, nelle versioni e nei condimenti più disparati. Quale mezzo potrebbe essere più immediato ed allo stesso tempo
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efficace per far conoscere l’Abruzzo, se non una pizza allo Zafferano, o con le Ventricine, vastesi e/o teramana, o ancora con l’aglio rosso di Sulmona, o il tartufo di Quadri…? Io stesso organizzo annualmente due campionati di pizza, uno di tipica regionale, aperto anche alle specificità delle altre regioni, e uno dedicato all’“oro rosso d’Abruzzo”, lo zafferano. E che dire della pizza alla teramana con le mazzarelle sfasciate, realizzata in collaborazione con Gabriele Marrangoni, chef di Ekk Ristorante, presentata anche alla Mostra Mediterranea di Pescara insieme ad altre due pizze inedite, quella pescarese alla “sciabbicotta” con battuto di pesce azzurro dell’Adriatico e quella pennese con la trippa? Un elenco di ingredienti pressoché infinito, a dimostrazione del fatto che anche la pizza può essere un prodotto tipico regionale!
La massa deve riposare al riparo dall’aria.
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ASTROPIZZA “EMOTION” – DEDICATA AL SEGNO DELLO SCORPIONE
di Nicola Salvatore
Astropizza Emotion – dedicata al segno dello Scorpione Ingredienti: Mozzarella di Bufala, Bresaola, Carpaccio di Tartufo, e scaglie di Grana. Nella scelta di questi ingredienti ho tenuto conto della forte carica emotiva del segno dello Scorpione, proponendogli quindi cibi che per aroma e consistenza provochino forti reazioni. Il rosso scuro della bresaola e il nero del tartufo sono i colori del Segno, e li ho uniti ad elementi dal gusto intenso e deciso, come intenso e deciso è il suo carattere. Il tutto è adagiato in forte contrasto sulla bianca mozzarella di bufala: le scaglie di Grana completano questo concerto di profumi e sapori, decisamente intensi e persistenti. E buone emozioni al festeggiato!
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C COME PASTICCERIA Foto e testo di Monica Andreucci
TRA CORNETTI E BOMBOLONI Il diavolo e l’acquasanta…
«Se non hanno il pane, dategli delle brioche!»… e al giusto punto di cottura, possibilmente. Il profumo che sprigionano è talmente evocativo che viene da dar ragione alla snobissima Maria Antonietta. Dalle nostre parti e poco più in là, la prima colazione di bar e caffetterie declina il lavoro del pasticcere in “cornetti” e “bombe”. Pur di assistere alla preparazione dei protagonisti delle nostre mattine, abbiamo scelto un’esperienza straordinariamente emotiva, quanto culturale in senso lato: passare una notte col pasticcere. Nulla di azzardato o imbarazzante, però: è quando tutti folleggiano o dormono che i laboratori si dividono tra… il diavolo e l’acquasanta. Da una parte brioche, o “paste cresciute” o “lievitati”, dall’altra Krapfen, “bombolone” o “gnocco fritto” che chiamar li si voglia lungo la “pancera” dello Stivale (tra Lazio e Abruzzo ed in alcuni dintorni): non è difficile vedere in un cornetto attributi luciferini e in una “bomba”, con quell’anello
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giallino che le fa da cintura, un’aureola santificante. Sarà che alla gola, come al cuore, non si comanda, e se poi ci si mette la curiosità e la voglia di apprezzare il lavoro dell’artigiano – il gusto e il sapere a lui collegato – comunicandolo a chi, più che mangiare, ingurgita, la “nottata” è fatta. Sono ospite della pasticceria Franco, a Santa Filomena di Montesilvano. Un laboratorio quasi storico, apprezzato e dimostrato anche da riconoscimenti ufficiali. Diversi esercizi vi si riforniscono quotidianamente, e poi c’è la vendita diretta di torte, semifreddi e tante altre dolcezze. Cosa avviene. Il primo passo è preparare l’impasto/base: «Cosa che facciamo già nel tardo pomeriggio – illustrano Franco ed il figlio Gabriele Amoretti mentre sono all’opera – perché poi la massa dovrà riposare. Di solito lavoriamo 10 kg di farina insieme agli altri ingredienti (ricetta a parte), quindi il tutto “fa la nanna” per almeno 10-12 ore. Da quel “tutto”, ricaveremo
Una magia che inizia alle tre del mattino
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Speciale Aria CORNETTO Ingredienti per 20-25 cornetti (croissant): 800 hg di farina 00; 200 hg farina manitoba; 200 hg di zucchero; 200 hg di burro; 8 uova intere; circa 6 gr di sale; 80 gr di lievito di birra; buccia di limone grattugiata; vaniglia in bacche o polvere; acqua q.b.; 250 hg di burro per sfogliare (4 pieghe). I croissant sono nati a Vienna, una città in guerra, assediata dai Turchi. La storia ci narra che i militari dell’impero Ottomano, nel lontano 1683, tentarono di entrare nelle invalicabili mura dell’antica Vienna scavando dei tunnel e approfittando del buio della notte, momento in cui tutti gli austriaci dormivano profondamente. Tutti, ad eccezione dei mattinieri fornai, che udirono il lavorio dei Turchi e diedero l’allarme. Per ricordare lo scampato pericolo e celebrare il fondamentale apporto alla protezione della patria, i fornai crearono un dolce riprendendo la forma della mezzaluna, tanto cara all’impero Ottomano. Luna crescente: croissant, appunto.
BOMBOLONE
Ingredienti per circa 40 bomboloni (Krapfen): 600 hg farina; 400 hg di farina manitoba; 100 hg di zucchero; 50 hg di burro; 8 gr di sale; 5 tuorli d’uovo; 30 gr di lievito di birra; buccia di limone grattugiata; vaniglia in bacche o polvere; acqua qb. Anche il Krapfen è un dolce di origine austriaca, per la precisione di Graz, il capoluogo della Stiria. Da Graz nel ‘600 fu presto esportato a Vienna, poi si diffuse nel Lombardo-Veneto e soprattutto in Trentino (nei centri dolomitici si mangiano ancora oggi i migliori) e nel resto della Penisola, con nomi diversi e piccole varianti. Quello che un Krapfen deve assolutamente avere per essere considerato tale è il ripieno di marmellata di albicocche, da introdurre prima di friggere il dolce, affinché tutta la pasta ne assorba l’aroma, anche se li si può riempire a piacimento con crema pasticcera, cioccolata... Importante la ricopertura di zucchero al velo; deve inoltre essere stato impastato con il burro migliore, fritto e servito caldo.
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Speciale Aria sia i cornetti, standard e piccoli da farcire, sia maritozzi e ciambelle». Le “bombe” vengono impastate la notte stessa. La prima parte della nottata, dalle 3 alle 4, è dedicata alla cura dell’impasto. Recuperato dal breve letargo, tutto viene poi rimpastato e diviso, per l’uno o l’altro destino. «Lo stendiamo con la macchina sfogliatrice e tagliamo col tagliapasta se è per i dolci “santi”, mentre se è destinato ai cornetti occorre ripassarlo più volte e ripiegarlo, per incorporare il panetto di burro». Più che in pasticceria, durante questa fase pare d’essere in una stireria industriale, visto l’aspetto da perfetto lenzuolo che la dolce mistura ha. Certo, il profumo è già allettante! Il grande tavolo vede quindi steso tutto il frutto dei “passae-ripassa” tra i rulli fino ad uno spessore di quasi mezzo centimetro. Il momento è bellissimo perché ora si ritagliano tutti i triangolini. Qui se ne fanno ogni notte diverse decine, ed è operazione tutta manuale. Ammiro la sapienza che muove quei polsi, per cui non si spreca davvero nulla: su lunghe strisce si va disegnando un reticolo quasi architettonico, mentre dai cerchi si useranno i “buchi” per le ciambelle e vi si praticherà un altro foro per le ciambelline. Par quasi di disturbare col flash un coordinamento di gesti precisissimo, una specie di danza che Franco e Gabriele sanno intrecciare. È tutto matematico: «Mentre l’impasto riposava – dicono – abbiamo preparato le farciture. Crema pasticcera e confettura, la prima tutta “fatta in casa” e l’altra scelta di qualità, perché con il calore non ci siano problemi di sapore o fuoriuscite impreviste». A questo punto si mette la noce all’albicocca – di solito è quella, tradizionalmente – al centro dei triangolini e si accende la friggitrice. Segue l’arrotolamento dei “diavoletti”, la loro sistemazione nelle lastre da forno e la lievitazione per altre 2 ore. Dopo la cottura, cresceranno fino a diventare 120 gr, e probabilmente saranno tra i cornetti più grossi d’Italia, praticamente del pianeta. È il momento della seconda magia: nella vasca per le bombe vanno 30 litri di olio, dove si tufferanno e gonfieranno tante belle aureole. «Usiamo olio di palma – spiegano – perché ha un alto punto di fumo e non viene assorbito più di tanto dall’impasto. Abbiamo fatto diverse prove, prima di decidere: chi mangia le nostre paste non deve poi aver problemi di digestione o di dita troppo unte!». Nel frattempo, dentro al forno girano le lastre ed ad ogni passaggio il contenuto lievita, si indora, e profuma. Sono le 5,30 del mattino quando si completa la frittura e, con normali forbici, appena raffreddatesi, le tonde aureole vengono tagliuzzate e farcite, quindi passate nello zucchero. Ed i cornetti, finalmente, si acclimatano: l’alba autunnale è appena pallida quando diavoli ed acquesante son tutti pronti per augurare un ottimo, dolcissimo, “buon giorno”.
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C COME ESTERO di Nadia Miriello – Foto concesse da M. Pasquarelli
DA PIZZOFERRATO AD HONG KONG Massimo Pasquarelli è il primo stellato italiano all’estero
“Duo di Spinosini con amarena Fabbri in un turbante di gelato di patate grigliate e parmigiano reggiano, granella di prosciutto di Parma su crema di pistacchio e fiori di timo”. Si sposano i sapori, i colori e i profumi speziati del nostro Stivale in questa briosa ricetta ideata dallo chef Massimo Pasquarelli per l’ultima edizione della kermesse “Il Gelato nel Piatto”, che si è svolta dal 19 al 24 luglio scorsi in cento ristoranti di tutto il mondo, proponendo inconsueti abbinamenti tra gelato e prelibatezze made in Italy. Dal curioso accostamento di ingredienti e gusti, che ha riscosso successo anche per la variopinta estetica del piatto, si capisce subito che a questo cuoco trentacinquenne, nato in Svizzera ma fieramente originario dell’Abruzzo interno, piace davvero tanto stupire il palato e gli occhi dei commensali. Anzi, spiazzarli piacevolmente. Primo chef italiano a conquistare la stella Michelin in un ristorante francese “Benoit Tokyo” e primo a conquistarla in Asia, Pasquarelli è nato a Männedorf, nel Canton Zurigo, ma i suoi genitori vivono a Pizzoferrato, piccolo borgo in provincia di Chieti che lasciarono negli anni Sessanta per emigrare in Svizzera e dove hanno fatto ritorno dopo la nascita di Massimo. Come molti colleghi corregionali, Pasquarelli ha frequentato la scuola alberghiera di Villa Santa Maria, a dire il vero senza lusinghieri risultati, come lui stesso ammette. «Fui bocciato al terzo anno – ricorda – e decisi di lasciare
perché sentivo che questo lavoro era tutt’altra cosa. Il vero percorso formativo è iniziato per me con il trasferimento a Imola nel ristorante San Domenico dello chef Valentino Marcattillii. Per il resto, mia madre e mia nonna mi hanno insegnato a mangiare, mentre mio padre e mio nonno a stare a tavola: devo decisamente più a loro che alla scuola, da questo punto di vista». Con alle spalle il fortunato esordio romagnolo, l’abilità ai fornelli di Massimo è maturata poco a poco tra Roma, New York, Parigi, Monaco, Londra, la Maremma, Tokyo, Osaka e Monte Carlo, culminando con una meritata ciliegina sulla torta: è oggi consulente gastronomico per il colosso Shangri-La International ed executive chef del prestigioso ‘The Aberdeen Marina Club” di Hong Kong, catena alberghiera cinese di cui Massimo dirige i 5 ristoranti. Gli anni trascorsi al fianco del cuoco e imprenditore francese Alain Ducasse, che gli ha affidato le chiavi delle sue cucine per ben 6 anni, insieme alle esperienze con Arrigo Cipriani e Sirio Maccioni (Mister ‘Le Cirque’, 1200 dipendenti nel mondo per 50 milioni di euro di fatturato) e al lavoro in Francia, Usa, Inghilterra, Australia e Asia, hanno animato in Pasquarelli una vivace curiosità ed una rispettosa attenzione per le culture del cibo e del territorio. «Non credo ai segreti in cucina – precisa – mi piace condividere il sapere. Ho cercato di imparare qualcosa da tutti i colleghi con i quali ho avuto
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POLLO GIALLO DI FATTORIA AL NERO DI SEPPIA, CALAMARI ALLO ZAFFERANO D’AQUILA, PASTINACA FRESCA FRULLATA
Ingredienti per 4 persone: 2 kg di pollo giallo d’allevamento, 4 seppioline, 2 g di zafferano in polvere, 1 spicchio d’aglio, gambi di prezzemolo, 5 cl di brodo di pollo, 10 g nero di seppia. Salame di pollo: 150 g di carne di pollame, 10 cl panna liquida, 10 cl di latte intero, 2 uova, 1 cl di cognac, 6 g di sale fino; 1 peperone piquillo; 4 rametti di prezzemolo; 1 porro; 1 cipolla; 1 spicchio d’aglio; pepe macinato. Fondo di pollo: Carcasse di pollame, 1 carota, 1 cipolla, 1 spicchio d’aglio, 1 stecca di sedano, 10 g di concentrato di pomodoro, 1 cl di vino bianco, 1cl di cognac, peperoncino, scorze di 1 arancia. Guarnizioni: 2 pezzi di pastinaca, ¼ di l di brodo di pollo, sale fino, peperoncino, olio d’oliva. Preparazione del pollo Separare la carcassa centrale dai petti di pollo, mettere da parte la coscia. Fare un brodo con le carcasse di pollame. Preparazione del salame di pollo: disossare e rimuovere la pelle grassa dalla coscia, passare due volte al mixer con la lama ben affilata per renderlo estremamente morbida. Tritare il porro e la cipolla, sbiondire in poco di burro con uno spicchio di aglio. Sfumare con il cognac, ridurre della metà e aggiungere il latte e la panna da cucina. Bollire 3 minuti, versare nel frullatore e frullare fino alla giusta densità, condire e aggiungere piquillos e prezzemolo fresco tritato. Mescolare la carne di pollo con il latte freddo, aggiungere un uovo e un tuorlo d’uovo, aggiungere alla miscela un albume d’uovo montato a neve, mettere in un sacchetto da pasticceria per formare dei cannelloni, e arrotolarli nella pellicola. Cucinarli a vapore di circa 70° per circa 6 minuti. Guarnizioni: Pelare e tagliare una mezza pastinaca in quarti in modo che ce ne siano tre per ogni persona. Il restante, tagliarlo a grandi pezzi, e farli inbiondire in poco burro e sale; sfumare con il vino bianco, cuocere a fuoco basso fino a quando la pastinaca sara molto morbida, salare e frullare con un mixer. Pulire i calamari, cotti in brodo di zafferano per venti minuti a 80°. Tagliare a fette di 0,5 cm in larghezza, mettere da parte. Fondo di pollo e salsa al nero di seppia: fare arrostire le carcasse di pollo, aggiungere e rosolare gli aromi, aggiungere il concentrato di pomodoro, caramellare, sfumare con il cognac e poi vino bianco. Ridurre della metà e versare il brodo di pollo. Cuocere circa 1 ora, poi mettere in infusione per 5 minuti con il peperoncino e la scorza di arancia, filtrare al colino fine, aggiungere il nero di seppia e ridurre fino ad ottenere una consistenza liscia e nappante. Aggiustare di sale. Finitura: disporre la purea di sul piatto, inanellare la seppia sul salame, cucinare il petto di pollo, napparlo di salsa e disporlo al centro del piatto.
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il piacere di lavorare, indipendentemente dalla loro cultura o filosofia culinaria. Non ho però fretta di arrivare, perché credo fermamente nel vecchio adagio del chi va piano va sano e va lontano. Girando il mondo porto sempre con me il desiderio di apprendere: per me sapere è potere. La mia cucina – sottolinea – viene influenzata dal mercato locale, dalle esigenze del posto e, non ultima, dalla volontà di far bene e lasciare un ricordo positivo di me. Se mi riesce di cucinare bene è perché ci metto impegno, dedizione, studio, cura del dettaglio, preparazione». Tanta determinazione, condita da indiscusso talento, tecnica e creatività, sono state premiate con innumerevoli riconoscimenti, tra i quali brillano in particolare le stellette Michelin ottenute in Francia e in Asia. Dinamismo e varietà sono senza dubbio due dei capisaldi della carriera ancora in ascesa di questo giovane toque globetrotter, tra l’altro scelto come consulente gastronomico dal noto gruppo Shangri-La International: «Ho sempre ammirato le persone dinamiche – spiega Pasquarelli –
indipendentemente dalla professione. Sono convinto che oggi per essere al passo si debba avere questa adrenalina che ti distingue nel gruppo. Avere una mentalità aperta, poi, aiuta a non limitarsi alle proprie idee, adattandosi alle più disparate richieste. A casa - osserva - riusciamo ad inventare un piatto in due secondi, sul lavoro invece per preparare un gran piatto che possa restare nella mente di chi l’assapora c’è bisogno di tempo, di provare, di mettere a punto. I grandi prodotti girano nei grandi ristoranti, le tecniche sono ormai conosciute dai grandi chef, ma cosa fa la vera differenza è l’istinto nascosto in ognuno di noi». Chi direbbe mai che uno chef ormai accreditato come Massimo, che nel giro di una mattinata – gli crediamo sulla parola – ha dato vita al ghiotto turbante di gelato di patate grigliate e Parmigiano di cui sopra, coltiva in segreto il sogno di aprire un negozio di scarpe da donna? Si stenta a crederlo dopo aver letto un curriculum così, eppure il progetto esiste, almeno nelle intenzioni. Non subito, bensì… «verso i 40 anni».
PAESE CHE VAI, CIBO CHE TROVI…
Un cuoco di mondo come Massimo Pasquarelli sa, e può dire la sua su, come si mangia qua e là nel globo. Non mi sono fatta sfuggire l’occasione di curiosare tra vizi e virtù della tavola internazionale, annotando apprezzamenti e qualche critica. «I giapponesi – esordisce – mangiano meno salato di noi e non amano gli alimenti grassi. La loro cucina è arte: qualsiasi ingrediente ha una storia ed è buono un po’ tutto. A Tokyo ci sono i migliori ristoranti al mondo. In America, nonostante i luoghi comuni, si mangia bene. Non mi riferisco ai fast food ma alla variegata cucina tradizionale: la carne migliore l’ho gustata lì. I Britannici, pur avendo materie prime di qualità, sono forse quelli che mangiano peggio. Per quanto riguarda i Francesi, nei ristoranti si mangia bene, ma a casa mi sono spesso apparsi in difficoltà, salvati da baguette e formaggio. In Germania, come in Austria e Svizzera, non si mangia poi così male: il problema è che dopo una settimana hai assaggiato tutte le ricette! In Cina mi è capitato di mangiare delle “prelibatezze” che da noi avrebbero fatto scattare i Nas, ma è da apprezzare il legame forte con la tradizione e il valore del cuoco. Gli scandinavi preparano bene 5, 6 piatti: per il resto ci buttano dentro tutto ciò che il momentaneo raptus creativo del cuoco riconosce essere di origine animale o vegetale. Del Nord Africa ricordo piacevolmente soprattutto frutta, verdura, capperi, mandorle, olive e miele. Turchi e greci hanno una cucina molto semplice, basata sui sapori del Mediterraneo, con un inizio di spezie davvero gradevole. Gli italiani, infine, mangiano meglio di tutti: non è facile per un abruzzese preferire uno stile di cucina diverso!». (Na.Mir.)
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C COME RECUPERO
di Simona Salvi
L’AGRICOLTURA CONTRO LA CRISI La tutela della biodiversità può fare da volano per lo sviluppo
Un ritorno all’antico, alle ricchezze del nostro territorio. Potrebbe essere questa la via per uscire dalla crisi economica. La proposta viene da Emergenze Mediterranee, la rassegna di culture, arti, linguaggi promossa dalla sezione italiana dell’Istituto internazionale del Teatro del Mediterraneo. A settembre a Controguerra un dibattito incentrato sul futuro dell’agricoltura e dell’alimentazione nel Mediterraneo ha posto sotto analisi lo sviluppo delle politiche di cooperazione euro-mediterranee e le possibili reti di partenariato. Un processo incompleto passato attraverso diversi tentativi: dalla “Politica mediterranea globale” del 1972 al “Partenariato euro-mediterraneo” del 1995, modificato nel 2004 con la “Politica europea di vicinato”. Il cosiddetto processo di Barcellona avrebbe dovuto segnare una svolta per la costruzione di un modello di partenariato globale. «La Dichiarazione di Barcellona ha fallito nel suo intento perché sono variate le condizioni geopolitiche sulle quali era basata – ha sottolineato Andrea Serraino, avvocato esperto in diritto dell’Unione Europea – Oggi la politica di cooperazione euro-mediterranea nel settore agroalimentare è insoddisfacente. Tradizioni locali, ricchezze del territorio potrebbero costituire un saldo volàno di sviluppo e unione». Volàno che permetterebbe anche di uscire dalla crisi economica attuale, la più grave e più lunga dopo quella del 1929, che, come ha ricordato Leandro Di Donato, presidente
della sezione italiana dell’Istituto Internazionale del Teatro del Mediterraneo, «sta riproponendo in modo drammatico il problema dell’accesso alle risorse». La domanda di beni e risorse sta crescendo in modo esponenziale per l’incremento demografico e l’aumento del reddito della popolazione dei Paesi emergenti. Oggi il nostro pianeta è abitato da 7 miliardi di persone. Si stima che intorno al 2050 raggiungeranno i 9 miliardi. A fronte di ciò, una persona su sette soffre di problemi di denutrizione (nel 2010 erano 925 milioni, dati FAO), il settore agricolo ha perso il 25% dei posti di lavoro in meno di dieci anni (dati Eurostat) e i prezzi dei cereali stanno crescendo a livello esponenziale per effetto di calamità naturali e del loro impiego crescente nella produzione di biocarburanti. Qual è allora la via per il futuro? Il sostegno delle politiche di cooperazione agroalimentare e di tutela della biodiversità. Una biodiversità naturalmente presente in natura che abbiamo paradossalmente abbandonato per tentare di ricrearla artificialmente attraverso la manipolazione genetica. Come ha ricordato Dino Mastrocola, preside della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Teramo, «delle 250 mila specie di piante identificate di cui 80 mila eduli, solo 150 sono coltivate e 12 coprono oltre il 90% dell’intero consumo di alimenti di origine vegetale. Tutte le specie che non rispondevano ad un alto tasso di produttività sono state abbandonate».
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C COME REGALI
Redazionale
EVVIVA LA STRENNA LOCALE A Natale pensate abruzzese!
Regalare un cesto o dei prodotti alimentari a Natale non passerà mai di moda, specie nei momenti di crisi: a Natale è bello restituirsi un po’ di abbondanza e di serenità, e se questa abbondanza è made in Abruzzo e per di più aiuta a far girare la microeconomia locale, a noi l’idea piace ancora di più. Tra bombardamenti mediatici e vetrine incantevoli si finisce per avere solo l’imbarazzo della scelta, è vero, ma noi siamo qui apposta per illuminarvi, specie per quanto riguarda la provincia di Pescara, a seconda della categoria merceologica che preferite approfondire. Vi stuzzica l’idea di regalare pasta? E perché non, allora, pasta fresca? Quest’anno abbiamo scelto per voi quella della Mugnaia, azienda di Elice, che da poco ha inaugurato la sezione e-commerce nel suo sito ed entro 48 ore è in
grado di far giungere un regalo tutto abruzzese ai vostri amici nel resto di Italia. Volete convincere qualcuno che è dall’olio extravergine d’oliva che traspare il vigore di una terra? Provate con l’olio novello dell’azienda Palusci di Pianella, uno dei pochi ad essere prodotti in frantoio secondo i metodi tradizionali. Soddisfare con del cioccolato i palati più esigenti sarà uno scherzo se vi rivolgerete a Massimo Tavoletta, mastro cioccolatiere di Pescara, che è in grado di personalizzare tutto quello che tocca e di fare panettoni interamente di cioccolato. Per brindare tutti insieme, infine, vi suggeriamo il primo spumante Rosè, di Dora Sarchese: potete scegliere anche tra due packaging diversi, tra il raffinato Rosè Osè e l’ammiccante Rosè Privè. Che Natale è in Abruzzo, se non parla almeno un po’ abruzzese?
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UN REGALO DA LONTANO Cordoni di frate, fettuccine, chitarrine o sagnette? Potete fare una sorpresa agli zii che si sono trasferiti in Valtellina; potete dare loro la possibilità di sentirsi nuovamente a casa; potete inviare un abbraccio tutto abruzzese agli amici in Trentino, per ricordare la vacanza che avete condiviso nella Regione verde d’Europa, o anche semplicemente al vostro cliente fuori provincia. Il pastificio Mugnaia di Elice, nota sul territorio per la sua produzione di pasta fresca fatta a mano, dà oggi la possibilità di effettuare acquisti on line, con un quantitativo minimo di 5 Kg. Il prezzo è lo stesso che trovereste al supermercato. La novità è che oltre alla tradizionale pasta Mugnaia di Elice, realizzata in lunghissimi nastri fatti di acqua e farina, alla Pecorara di S.Agnello, agli “Gnocchi D’Annunziani” e agli anellini alla pecorara, nello spazio e-commerce trovate anche le sagnette, i cordoni di frate (da provare con pesce e ceci), e la chitarrina e le fettuccine di Elice: questi ultimi quattro generalmente non sono distribuiti in Gdo e nei punti vendita all’ingrosso in cui si trovano gli altri prodotti firmati Mugnaia. Sul sito trovate anche le ricette. Attenzione: trattandosi di pasta fresca fatta a mano e da conservare a 4°, l’ordine arriverà a destinazione entro due giorni lavorativi e viaggierà in speciali confezioni termiche. L’accesso per lo spazio e-commerce è nel sito www.mugnaia. it: basta cliccare sul carrello. E se volete conoscere il sapore di questa pasta cucinata nella maniera tradizionale, segnate in agenda il mese di agosto: l’azienda è la protagonista della sagra annuale dedicata alla Mugnaia ad Elice.
Contatti: www.mugnaia.it; E-mail: info@mugnaia.it; Tel. 085.9609195.
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FACCIAMOLO… NUOVO! Il periodo che va da ottobre a dicembre è l’ideale per gustare l’olio novello: quello che vi consigliamo noi ha la giusta armonia tra piccante, amaro e sentori fruttati, e ricorda il vigore dell’olio “di una volta”. Il Novus non filtrato dell’azienda Marina Palusci, infatti, è uno dei pochi oli extravergini d’oliva in circolazione ad essere fatto ancora con il metodo tradizionale a presse, con frangitura in macine di granito. È il risultato di un olivaggio al 60% Dritta e 40% Leccino ottenuto, nei primi tre giorni di raccolta a mano nella prima decade di ottobre, dalle 380 piante a lui dedicate; viene imbottigliato ancora grezzo in bottiglie trasparenti. È un olio pronto, molto particolare, che dà il meglio di sé su una semplice bruschetta ancora calda, ma che a crudo è adatto a valorizzare i più disparati tipi di piatti, dalle zuppe di legumi alla pasta “rustica” fatta con acqua e farina. Lo stato grezzo aumenta infatti la densità, dando la sensazione di una vera “spremuta di olive”. Chi lo conosce se ne assicura l’acquisto già da settembre! Gli oliveti secolari Palusci sono situati esclusivamente nel territorio di Pianella e puntano a rappresentare appieno le caratteristiche della cultivar Dritta, la varietà autoctona più antica ed importante d’Abruzzo. L’azienda non teme di mettersi in gioco e spesso e volentieri viene insignita da riconoscimenti, come la medaglia d’argento per il Fruttato leggero ricevuta all’inizio di ottobre a Verona nel concorso “Aipo d’argento”, per il Monocultivar Leccio del Corno “Alchimia”.
Contatti: www.olivetopependone.com; E-mail: info@olivetopependone.com; Tel 339.2285185.
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IL PANETTONE È DI CIOCCOLATO!
Come Re Mida faceva con l’oro, anche Massimo Tavoletta è in grado di trasformare in cioccolato tutto quello che tocca. Per questo Natale potete contare sui panettoni, sia tradizionali sia fatti interamente di cioccolato con nocciole e wafer: realizzati con metodi tradizionali, rispecchiano la creatività e il buon gusto del cioccolatiere. Ci sarà inoltre da divertirsi con le creme spalmabili e i cioccolatini natalizi, speziati con anice stellato, cannella, arancia candita: già aprendo un vasetto il profumo vi farà sentire a Natale. In una confezione regalo che farà felice un’intera famiglia non possono mancare, per i più piccoli, i nuovissimi “ciupa chocolate” o i cioccolatini a forma di animaletti o di lettere dell’alfabeto, e per gli intenditori confetture artigianali, biscotti e caffè di arabica in purezza uguale a quello che si può scoprire nell’angolo degustazione nel punto vendita in via Battisti a Pescara. Per i piccoli regali potete sbizzarrirvi con tutte le varianti più singolari: dalle tavolette spolverate al cocco o alle nocciole ai cioccolatini ripieni di amarene, ai classici al cioccolato fondente ad altissime percentuali. Se avete in mente un regalo che non è in vendita non dovete preoccuparvi: da buon artigiano, Massimo Tavoletta può personalizzare praticamente ogni cosa, in modi che a sentirli raccontare vi sembrerebbero impossibili…
Contatti: www.cioccolatotavoletta.it; E-mail: info@cioccolatotavoletta.it; Tel. 085.4429501.
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QUEST’ANNO SI BRINDA COL ROSÈ
Cin cin! Uno spumante Rosè metodo classico prodotto da uve Montepulciano d’Abruzzo fa sempre la sua raffinata, trasgressiva figura. Se poi si pensa che quando la Cantina Dora Sarchese lo lanciò sul mercato dopo la sua prima sboccatura, nel 2007, era il primo del suo genere in regione, abbiamo l’ennesima conferma che l’enologo Leonardo Seghetti è un autentico talent scout del vino. Commercializzato con due etichette diverse, una pensata per la sensualità della bottiglia trasparente e una per il gusto del proibito con la bottiglia nera, questo spumante Brut è un regalo che migliora di anno in anno. Come volete festeggiare a casa dei vostri amici? Con il giovanile Rosè Osè o il galante Rosè Privè? Una dualità che è più di un proposito, è un tango: non a caso l’elegante etichetta, che scende sottile sulla bottiglia quasi come un reggicalze, nel Vinitaly 2009 ha ricevuto una menzione speciale all’International Packaging Competition, e lo scorso settembre ha ricevuto una segnalazione di merito al ventesimo premio nazionale Etichetta d’oro, a Cupramontana. Le uve Montepulciano di questo Brut sono coltivate a filari nell’agro di Caldari, su un altopiano di circa 150 metri di altezza, ai piedi della Majella e vendemmiate nella seconda metà di settembre; il pigiato è macerato a freddo e il vino viene fatto riposare in acciaio. Si trasforma in vino spumante secondo il metodo tradizionale. Secco, sapido, equilibrato di buon corpo, con la sua spuma cremosa, il perlage fine e persistente e l’intenso sentore di frutta a bacca rossa come ciliegia o fragola, lo spumante si presta all’abbinamento col pesce, dall’antipasto all’arrosto, alle minestre, alle carni bianche e ai formaggi freschi. La sua produzione si affianca allo spumante bianco “Esmery’s” ottenuto da Chardonnay, Trebbiano e Cococciola, e agli altri vini dell’azienda (i Montepulciano, il Pecorino, la Cococciola, il Trebbiano, il Rosato Lapis), per finire col passito rosso con uve di Montepulciano, il “Suavitis”. Se vi piace l’idea di un cesto regalo, potete fare tutto in Cantina: vi stupirete con le linee dei Sott’oli, delle Confetture, della frutta sciroppata, e persino dei condimenti, delle salse e dei patè. Contatti: www.dorasarchese.it; E-mail: sarchese.dora@tin.it Tel. 085.9031249
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ASSOCIATO A
MEMBRO DELLA
AccentOnDesign Milano
IN COLLABORAZIONE CON
15a giornata nazionale della
FAI LA SPESA PER CHI è
POVERO
TROVA I PUNTI VENDITA
CONDIVIDERE I BISOGNI, PER CONDIVIDERE IL SENSO DELLA VITA Il momento storico che stiamo vivendo rimane molto delicato e drammatico. I poveri sono in costante crescita e sono sempre più prossimi a ciascuno di noi. Non manca solo il cibo, manca il lavoro, la casa e soprattutto sembrano venir meno le ragioni per sperare e per questo si è sempre più soli; una solitudine spesso avvertita da chiunque,
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poveri o ricchi. Cristo, presente ora, colma quella solitudine, risponde a tutte le esigenze del nostro cuore. Per questa esperienza, proponiamo a ognuno la Colletta Alimentare, perché facendo la spesa per chi è nel bisogno, si ridesti tutta la nostra persona, cominciando a vivere all’altezza dei desideri del nostro cuore.
C COME SOLIDARIETÀ
PER UN PUGNO DI EURO IN PIÙ Dalla Colletta del Banco alimentare alle iniziative locali
Non è giusto che a marzo vengano già dimenticati i buoni propositi che pianifichiamo a dicembre, pieni di altruismo. Noi vogliamo rinnovarli anche in un periodo “decadente” come l’autunno. Abbiamo perciò deciso di regalare uno spazio pubblicitario al Banco Alimentare per ricordarvi della Colletta annuale di novembre, inventata dalla Fondazione Banco Alimentare quindici anni fa. Un’iniziativa importante per rifornire questa realtà di viveri da distribuire alle oltre 200 associazioni che ad essa fanno riferimento. La sede in via Tirino a Pescara rifornisce tutto l’Abruzzo e il Molise: è aperta tutto l’anno, in costante dialogo con l’industria alimentare e i privati. Se avete qualche dubbio sull’efficacia e sulla trasparenza della Colletta annuale del Banco, quest’anno provate a contribuire: il sorriso sincero del volontario in pettorina gialla che raccoglierà la busta che stenderete all’uscita del supermercato sabato 26 novembre ve lo spazzerà via come vento di primavera. (www. bancoalimentare.it/it/abruzzo). Sarà lo stesso vento che vi accarezzerà se il 22 ottobre farete la spesa nei punti Ipersimply di Pescara, Montesilvano, Silvi, Silvi marina e Spoltore, e all’uscita donerete dei beni di prima necessità a favore dell’Emporio della solidarietà di Pescara, il terzo in Italia strutturato con schede a punti in cui le (sempre più numerose) famiglie in difficoltà temporanea possono
fare la spesa gratis, non solo in termini di generi alimentari ma anche in termini di igiene per la casa e per la persona. L’Emporio è in via Rubicone, è gestito dall’associazione CuoreCaritas ed è promosso dalla Caritas diocesana Pescara-Penne (http://cuorecaritas.blogspot.com). La Caritas parrocchiale di Montesilvano organizza con la parrocchia di S. Antonio da Padova “La domenica della carità”. Il punto di raccolta non è all’uscita del supermercato ma dopo la Messa, una domenica al mese: qui si tratta di generi alimentari e di vestiario. La prossima è il 13 novembre: potete tenervi informati scrivendo a caritas.santonio. montesilvano@gmail.com. Per il resto dell’anno tendete un orecchio al Teramano: il Banco di solidarietà di Teramo fa la sua raccolta annuale a Pasqua (www.bancodisolidarieta.it). Questi sono gli appuntamenti di cui siamo a conoscenza noi, promossi da realtà che conosciamo di persona, perciò non ci pensiamo due volte a segnalarli. Si tratta di aggiungere un pugno di euro in più alla spesa settimanale, pochi euro che possono fare una differenza concreta per un’intera famiglia. Ricordate di assicurarvi sempre della trasparenza delle associazioni che promuovono raccolte alimentari, perchè alcune palesemente approfittano della scia mediatica corroborata dall’estrema serietà del Banco alimentare.
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C COME RICETTE a cura delle associazioni cuochi della FIC
LI TAJLI’ UNDE DE LA MADONNE DE LA PACE [I tagliolini unti della Madonna della pace] di Lorenzo Ferretti - presidente associazione cuochi Teramo
Ingredienti per 4 persone: per il brodo: 1 kg gallina, 1 carota, ½ cipolla , ½ costa di sedano, 1 chiodo di garofano, noce moscata q.b., 4 lt d’acqua; per i tagliolini: 3 uova, 300 g di farina di grano tenero 00, sale q.b Per il brodo: lavare e fiammeggiare la gallina pulita, metterla in una pentola con l’acqua fredda, gli ortaggi a pezzi e il chiodo di garofano infilzato nella cipolla. Salare e lasciare sobbollire per 2 ore schiumando di tanto in tanto. Grattugiare la noce moscata, lasciare riposare e passare al chinois. Per i tagliolini: impastare la farina con le uova e il sale e lasciare riposare per 30 minuti. Stendere la massa fino ad ottenere una sfoglia di circa un millimetro di spessore e 15 cm di larghezza e la stessa di lunghezza. Spolverare le sfoglia con la farina, arrotolare 5 o 6 strisce di pasta e tagliare in modo da ottenere fili quadrati 1 x 1 mm. Lavorare con le forchette la pasta tagliata per separarla man mano che si asciuga e fare dei mucchietti di 25 g l’uno. Cuocere i tagliolini direttamente nel brodo bollente per alcuni minuti e servire.
È antica tradizione in Ancorano, paese in provincia di Teramo, festeggiare la Madonna della Pace, che si celebra il 20 ottobre. In questa ricorrenza è consuetudine preparare in tutte le famiglie “li tajlì unde de la Madonne de la Pace” (I tagliolini della Madonna della pace). Questa tradizione nasce da una leggenda sulla statua della Madonna. Si racconta che alcuni malfattori, dopo aver rubato la statua nella chiesa dove era custodita, la lasciarono per terra, in un fosso tra i paesi di Ancarano e Torano. Passarono alcune donne che provarono a prenderla per ricollocarla al suo posto, ma poiché era molto pesante non ci riuscirono. Una vecchietta che da Torano si recava ad Ancarano, nel vedere la statua abbandonata proruppe in una preghiera: «Oh, Madonna bella, se tu non pesassi tanto ti riporterei io nella tua Chiesa!». Miracolosamente notò che non aveva alcun peso e le fu facile sollevarla e dopo averla issata in testa, sulla tradizionale “canestrella“ fatta arrotolando “lù sparrò” (strofinaccio da cucina), la riportò in paese. Il parroco, per ringraziarla, la invitò a pranzo e fece cucinare dalla perpetua “lì tajlì unde” (tagliolini unti) con il brodo di gallina grassa. Il piatto era particolare e gustoso perché i tagliolini erano sottilissimi, tanto che vennero cotti direttamente nel brodo, così le caratteristiche organolettiche e nutrizionali restavano nel brodo stesso.
magazine 62
LE NEVULE DI URTONE [Le neole di Ortona]
di Lorenzo Pace - presidente associazione cuochi Pescara
Ingredienti per 4 persone: per le neole: 100 g di farina di grano tenero 00, 50 g di mosto cotto, 20 g d’olio extravergine d’oliva, 30 g di zucchero semolato, 1 g di buccia d’arancia, 1 g di cannella; per la guarnizione: 50 g di miele di castagno, 4 foglie di menta, 50 g di bucce di purthealle (arancia) della Costa dei Trabocchi candite. Bollire il mosto cotto con l’olio e la stecca di cannella. In una ciotola miscelare la farina con lo zucchero e la buccia d’arancia grattugiata. Versare le polveri nel mosto, amalgamare, rimettere sul fuoco per 1 minuto e lasciare raffreddare. Dividere l’impasto in cialdine di 20 g e cuocerle separatamente nell’apposito ferro per neole ortonesi. Togliere dallo stampo e avvolgerle a forma di cono. Disegnare il centro dei piatti un zig zag con il miele, sopra sistemare due neole per porzione appoggiate l’una sull’altra. Guarnire con le foglie di menta e le bucce d’arancia.
L’autunno è la stagione della vendemmia per antonomasia, insieme, naturalmente, alla raccolta delle olive. Alcune fonti storiche rivelano che nel centro Italia la pratica della vinificazione sia iniziata intorno all’anno 1000 A.C. ad opera degli Etruschi. In quel periodo la gradazione alcolica dei vini era molto bassa e per questa ragione fin da subito gli antichi cuocevano il mosto e lo miscelavano al vino per abbattere la flora batterica in modo da prolungarne la conservazione. Tra i diversi gradi di cottura del mosto vi era quello di far ridurre il mosto della metà per ottenere il vino cotto, mentre con la riduzione di un terzo del prodotto iniziale si aveva il mosto cotto. Nel corso dei millenni le tecniche di produzione del vino sono state diverse e si sono affinate fino ad ottenere un prodotto di altissima qualità. Ma i contadini abruzzesi hanno conservato la tecnica della bollitura per rinforzare i vini deboli fino alla metà degli anni ‘70 del secolo scorso, ma è rimasta invece immutata fino ai giorni nostri la preparazione de lu ‘mmisctecotte (mosto cotto) poiché in Abruzzo continua ad essere ingrediente essenziale per diversi dolci tradizionale quali le neole di Ortona, il sanguinaccio, i mostaccioli e li cauciunitte di ceci o castagne, oltre ad essere presente in quantità non predominanti in diverse altre leccornie. I contadini consideravano lu ‘mmisctecotte e lu vine cotte dei “liquori” speciali e li offrivano con una certa ritualità in occasione di eventi particolari quali i battesimi, i matrimoni e i pranzi funebri. Il mosto cotto, inoltre, era somministrato ai convalescenti nella convinzione che avesse proprietà terapeutiche. magazine 63
C COME NEWS
La guida L’Espresso 2012
Slow Wine 2012
Il bar eccellente
Nella 34esima edizione della guida L’Espresso “I ristoranti d’Italia”, la top ten abruzzese vede confermarsi sul podio il ristorante Reale di Castel di Sangro (Aq), con tre cappelli e 18,5 punti, e “La Bandiera” di Civitella Casanova (Pe) con 16 punti. “Ottimo” a pari merito, con 15 punti e mezzo, il ristorante “Villa Majella” di Guardiagrele e il Cafè “Les Paillotes” di Pescara, e a 15 punti “Beccaceci” di Giulianova, “L’angolo d’Abruzzo” di Carsoli, “L’angolino da Filippo” di San Vito Chietino, “Mediterraneo”di Alba Adriatica e “Al metrò” di San Salvo. Chiude la classifica il “Ritrovo d’Abruzzo” di Civitella Casanova. Enzo Vizzari, direttore delle guide L’Espresso, ha spiegato che «sono duri questi anni per la crisi economica, ma decisivi per l’affermazione, in Italia e fuori, della nuova identità della cucina italiana». Sette ristoratori sui dieci rientrati nella top ten fanno parte dell’associazione “Qualità Abruzzo”, a riprova della comunione di intenti e della continua spinta verso l’alto che anima questa associazione che si è formata l’anno scorso.
Sono 57 le cantine segnalate in Abruzzo e Molise scelte per Slow Wine 2012 dal gruppo di degustatori coordinati dal curatore regionale Davide Acerra. Le “chiocciole” sono andate a Cataldi Madonna, Emidio Pepe, Praesidium, Torre dei Beati e Valentini. I vini slow, dalle qualità organolettiche ecellenti, sono il Cerasuolo d’Abruzzo 2010 Valentini, il Montepulciano d’Abruzzo Cerano 2007 di Italo Pietrantonj, il Montepulciano d’Abruzzo Notàri 2008 di Nicodemi, il Pecorino 2009 a Cataldi Madonna, il Tintilia del Molise Rutilia 2008 delle Cantine Salvatore, i Trebbiani 2009 di Emidio Pepe e di Valentini, e il Trebbiano d’Abruzzo Vigna di Capestrano 2009 Valle Reale. I grandi vini d’Abruzzo e Molise sono di Barba Fratelli (Bianco Vignafranca 2009), Borgo di Colloredo (Biferno Rosso Gironia 2005), San Lorenzo (Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Escol Ris. 2007), Agriverde (Montepulciano d’Abruzzo Plateo 2007), La Valentina (Montepulciano d’Abruzzo Spelt 2007) e Masciarelli (Trebbiano d’Abruzzo Castello di Semivicoli 2009).
È il settimo anno consecutivo che il bar Caprice di Fabrizio e Antonella Camplone a Pescara si conferma miglior bar della regione, collocandosi ai vertici dell’ospitalità italiana della caffetteria e della pasticceria per la guida Bar d’Italia del Gambero rosso, la prima ed unica, giunta alla dodicesima edizione, ad assegnare i voti ai bar. Il Caprice è l’unico in Abruzzo a figurare fra i 30 locali premiati con tre chicchi e tre tazzine, in rappresentanza della punta di diamante dei 1700 indirizzi selezionati dagli ispettori della guida. Qualità e territorio sono gli elementi che possono decretare la definizione di “bar eccellente”, e l’equipe di Fabrizio Camplone si è distinta con i “capricci” al caffè arabica e i gusti sempre originali dei gelati, grazie alla sua continua ricerca nel segno della tradizione abruzzese: impossibile resistere alla tentazione di scoprire un gelato al sapore di scrucchijata, liquirizia di Atri, bocconotto frentano, lattacciolo, Presentosa o addirittura al pecorino di Farindola, all’Aurum, all’olio DOP delle colline pescaresi.
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Diciotto anni, si ricomincia
Cinema e vino
La guida del Gambero
A Civitella Alfedena diventa... maggiorenne l’azienda “La Betulla Gastronomia e Natura” che, per i suoi 18 anni, si rinnova in modo radicale. Pietro Santucci, il titolare, ha trasformato la minuscola attività specializzata nella vendita di prodotti tipici abruzzesi in un vero e proprio centro culturale per la promozione dell’enogastronomia nostrana. Con un consistente ampliamento inaugurato lo scorso 30 luglio in via Nazionale, quello ch’è stato il primo negozio nel suo genere nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise ora propone anche la ristorazione consapevole per tutto l’anno tra confortevoli salottini attrezzati con sala lettura dedicata alla cultura abruzzese e sala video in 2d e 3d. Proseguiranno quindi gli assaggi delle varie tipicità con, in più, serate dedicate alla gastronomia, alla storia e alla letteratura d’Abruzzo insieme ad esperti del settore alimentare e attori teatrali, musica dal vivo, proiezioni storico-naturalistiche; verranno inoltre ospitate piccole mostre di fotografia e pittura naturalistica. (M.A.)
La delegazione provinciale dell’Associazione italiana sommelier e il Mediamuseum di piazza Alessandrini a Pescara organizzano la prima edizione di “Cinema e vino”: quattro appuntamenti in cui dalle 21 si assiste alla proiezione di un film e alla degustazione di un vino. La prima serata è stata dedicata, il 29 settembre, a “Il profumo del mosto selvatico” e ai vini de “La Valentina”; la seconda sarà il 27 ottobre con la Cantina “Tiberio” di Cugnoli e con il film italiano dedicato alla Valtellina “Le rupi del vino” (regia di Ermanno Olmi). Si proseguirà il 24 novembre con la Cantina di Città Sant’Angelo “Costantini” e la visione di “Sideways” (Usa, 2004), film con Paul Giamatti e Virginia Madsen dedicato alle strade del vino della California. Il 26 gennaio 2012 si va in Provenza con il film “Un’ottima annata” (Ridley Scott, 2006, con Albert Finney e Russel Crowe) e si torna in Abruzzo con la cantina “Bosco” di Nocciano. L’ingresso è di 15 euro, comprensive del buffet a chiusura di film e degustazione.
Vi raccontiamo i punteggi della guida Gambero rosso 2012 grazie all’efficiente diretta web del sito Dissapore.com. Il primo ristorante d’Abruzzo è il “Reale” di Niko Romito a Castel di Sangro, che con i suoi 93 punti tallona Massimo Bottura e Vissani (95 punti) e Heinz Beck (94 punti). Lo seguono il “Villa Majella” di Guardiagrele (87 punti), “L’Angolo d’Abruzzo” di Carsoli e “La Bandiera” di Civitella Casanova (84), il “Cafè Les Paillotes” di Pescara (83) e “Al metrò” di San Salvo (81). Si classificano con 80 punti “Mediterraneo” di Alba Adriatica, “Il ritrovo d’Abruzzo” di Civitella Casanova, “Casa D’Angelo” di Fara Filiorum Petri ed “Elodia” di Camarda. Chiudono l’elenco dei migliori ristoranti d’Abruzzo “Beccaceci” di Giulianova (79 punti), “La grotta dei Raselli” di Guardiagrele, la “Taverna de li Caldora” a Pacentro e “L’angolino da Filippo” a San Vito Chietino (78), e “Arca” di Alba Adriatica, “Zunica 1880” di Civitella del Tronto e il “Regina Elena” di Pescara con 77 punti. L’unica osteria d’Abruzzo a ottenere i tre gamberi è la “Vecchia Marina” di Roseto.
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C COME CONTROEDITORIALE
di Daniele Di Vittorio, direttore marketing C come magazine
OPERAZIONE GOURMET NEL FAST FOOD Quanto c’è da indignarsi?
Gualtiero Marchesi, fra i più conosciuti chef italiani nel mondo, inaugura una collaborazione gastronomica con l’impero McDonald’s e tutto il mondo “eno-gastrofighetto” si ribella. Dal web alla televisione, in moltissimi hanno sparato a zero sul Maestro: l’accusa più gettonata è quella di aver accettato una “inutile” collaborazione con la catena americana di fast food solo per speculare sul proprio nome. Noi ci siamo incuriositi e abbiamo esaminato la vicenda. Partiamo dal principio: Gualtiero Marchesi ha deciso di ideare per McDonald’s due panini e un dolce affiancando la multinazionale nello sviluppo e nella messa a punto delle ricette e nella scelta degli ingredienti. Sono nati così, dopo un anno di preparativi, “Adagio”, “Vivace” e “Minuetto”, nomi ispirati dalla grande passione per la musica di Marchesi, e a partire dal 5 ottobre sono disponibili, a rotazione, per tre settimane ciascuno in tutti i punti McDonald’s. La peculiarità di questi panini è data dall’uso di ingredienti non convenzionali per McDonald’s, quali le melanzane e gli spinaci. Un metodo brillante, osserva ironicamente qualcuno, per allontanare i giovani dal fast food: mettere le verdure nel panino. L’inaspettato incontro tra McDonald’s e il Maestro della cucina italiana è nato invece da una sfida comune: avvicinare due mondi diversi e portare a un pubblico più ampio il cambiamento del gusto affermatosi nell’alta cucina. Che noi lo vogliamo o no, infatti, dobbiamo pur tener conto dei numeri, e McDonald’s serve nel nostro Paese, ogni giorno, oltre 700mila persone (di cui 200.000 giovani) nei suoi 419 punti di ristorazione. Questo vuol dire che se di queste migliaia di consumatori abituali anche solo il 10% si incuriosisse e cominciasse a chiedersi chi sia Marchesi e cosa abbia fatto, a indagare la cucina gourmet, a confrontarla, a mettere il
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naso nel cosiddetto mondo slow, tutta la ristorazione medioalta non avrebbe che da beneficiarne. Citando parole usate da un rappresentante dalla ristorazione abruzzese, «le cose belle vanno fatte vedere, ma le cose buone vanno fatte assaggiare». Altro discorso sarebbe se avessimo invece a che fare con una critica incondizionata, che nasce ogni volta che c’è McDonald’s di mezzo: in questo caso ci troveremmo di fronte ad un desolante qualunquismo. Forse non tutti sanno che l’80% dei fornitori di McItalia è italiano, e che per ogni lotto di prodotto usato da McDonald’s si può risalire con esattezza a provenienza, allevamento e controlli sanitari del bestiame, che il 100% della carne bovina utilizzata è italiano. Con questo non vogliamo dire che la catena americana rappresenti il Bene assoluto, ma neanche il Male assoluto. La verità è che il mondo va avanti e il modo di mangiare dei giovani e delle famiglie di oggi è diverso da quello dei giovani e delle famiglie di ieri. Vanno bene la qualità dei prodotti, la riscoperta del prodotto tipico e delle eccellenze agroalimentari, la valorizzazione della filiera corta, ma le famiglie e i giovani, forse oggi un po’ più di ieri, devono far fronte al problema di arrivare alla fine del mese e non possono sempre permettersi di mangiare fuori casa in ristoranti dal livello qualitativamente alto e/o fare la spesa a Eataly o supermercati affini. Guardiamo quindi l’altra faccia della medaglia in un’operazione gourmet nel fast food: avvicinare (magari abituare?) all’alta cucina un pubblico che non è abituato a pensare in grande. Fonti: www.persapernedipiu.info, www.italiaatavola.net, www.cavoloverde.it, www.dissapore.com
www.dececco.it
Da
125
anni salvaguardiamo
un grande patrimonio del nostro Paese.
La pasta è tra le più grandi tradizioni del nostro Paese. E noi di De Cecco la manteniamo intatta dal mulino alla tavola. Il cuore del grano viene macinato e impastato a freddo con acqua purissima. La pasta viene trafilata al bronzo ed essiccata lentamente, seguendo un metodo antico e sapiente. Per questo di De Cecco ce n’è una sola, da 125 anni.