ANNO 3 - NUMERO 22 - Dicembre 2011/Gennaio 2012
22 FREEPRESS di ENOGASTRONOMIA ABRUZZESE
22 C COME SPECIALE VERDE
L’Abruzzo che mangia vegetariano C COME EMANUELA TOMMOLINI Cucina naturale a Colonnella C COME NATALE I dolci tradizionali e il Galateo
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>> Ufficio fotografico Ufficio fotografico: Modiv. Hanno collaborato a questo numero: Mario Sabatini, Marco Di Edoardo, Antonella D’Orazio, Piergiorgio Greco, Nadia Miriello e Mario Torreggianti >> Stampa AGP Arti Grafiche Picene - Maltignano (Ap) Per questo numero di C come magazine hanno ricercato, approfondito, provveduto, faticato, inseguito, perseguito, amato insieme a noi Roberto Ardizzi, Marco Di Edoardo, Maura Di Marco, Antonella D’Orazio, Massimo Giuliano, Eleonora Mancinelli, Ludovica Persichitti, Alberto Presutti, e i cuochi Teresa e Carmine Cercone, Lucio D’Angelo, Emanuela Tommolini, Lorenzo Pace Vieni a trovarci su Facebook: cerca la pagina “C come Magazine” e clicca “Mi piace”
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Degustazione di prodotti tipici ed eventi
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MQ. DI MERCATO PRODOTTI TIPICI D’ABRUZZO
C COME SOMMARIO
05 >> C come Sommario 07 >> C come Editoriale 08 >> C come Fotoeventi 17 >> C come Informazione 18 >> C come Vi consigliamo 22 >> C come Food design 62 >> C come Ricette 64 >> C come News C come SPECIALE ARIA 28 >> C come Stili Alimentari 34 >> C come Vegetarianismo 38 >> C come Emanuela Tommolini C come ABRUZZO 24 >> C come Persone 52 >> C come Tipico C come NATALE 42 >> C come Galateo 46 >> C come Tradizione
Foto copertina: Mario Sabatini
Cosa c’è nel numero Ventidue
C come RUBRICHE
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C COME EDITORIALE
di Cristina Mosca, direttore responsabile C come magazine
C COME NON C’È LIMITE AL MEGLIO
La squadra che si è creata intorno a C come magazine è proprio forte. Mai come in questo numero abbiamo avuto prova così lampante dell’entusiasmo, della fiducia e della dedizione che i nostri collaboratori, siano occasionali o siano consolidati, traspirano da tutti i pori quando parlano con C, di C, su C. È un’energia positiva che ricade come una fontana luminosa sul prodotto finale e irradia voglia di condividere anche su chi lo legge, seduto in poltrona. È una forza di cui non vorremmo mai fare a meno e da cui C come magazine è stata sostenuta, puntellata, abbracciata soprattutto in questo numero, che ha faticosamente arrancato tra le mille altre “chiusure” e pareggi di conti di fine anno. Nostri prodi, sotto i colpi del tempo tiranno abbiamo avuto uno calo di pressione e voi ci avete sorretto sotto le braccia. Lo avete fatto con tutto il corpo, dando il meglio di voi, approfondendo ricerche, incontrando persone, dedicando tantissimo tempo e cura a quello che avete scritto, e soprattutto amandolo. Ogni tanto ci chiediamo se davvero vi meritiamo. Che il 2012 sia un anno redditizio, per noi che facciamo da testa d’ariete al progetto, per voi che ci mettete il cuore, e per voi altri che ci leggete e che ci mettete il gusto, la fatica, la curiosità. Facciamo tutti parte di una grande, fortunata squadra, che vuole solo fare meglio.
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C COME FOTOEVENTI
di Maura Di Marco - Foto: Modiv
Esperimenti in alta quota
Feudo Antico avvia la sperimentazione nel vigneto di montagna più alto d’Abruzzo: situato a 800 metri di altitudine a Castel di Sangro, è parte del progetto di Niko Romito “Casadonna” e include la messa a dimora di uve autoctone come il Pecorino, così come di uve innovative per le nostre montagne, come Pinot nero, Riesling renano, Sylvaner verde, Traminer e Veltliner. Lo studio condotto da Feudo Antico su questi vigneti, esposti a Ovest su una pendenza del 15%, su un terreno franco-argilloso, è stato condotto dal team del professore Attilio Scienza dell’Università di Milano. «La vera scommessa – ha spiegato alla presentazione ufficiale del 22 novembre Andrea Di Fabio, di Feudo Antico – è rappresentata dal Pecorino: trattandosi di una varietà autoctona, la buona riuscita del progetto rappresenterà un opportunità di non poco rilievo per tutto l’Abruzzo».
Legumi Party
Ceci, fagioli, piselli, lenticchie, fave, farro, lupini e cicerchie: i piatti poveri della cucina mediterranea ma tanto ricchi di proprietà nutrizionali sono stati i gustosi protagonisti della terza edizione del Legumi Party, organizzata al porto turistico Marina di Pescara all’inizio di novembre. Le ricette della cucina locale sono state rese ancora più appetitose dagli abbinamenti di Santino Strizzi. Il tutto accompagnato da oli extravergini d’oliva, vini, manufatti artigianali ed esibizioni folcloristiche, in sintonia con l’impegno degli esperti dei Parchi abruzzesi che stanno attuando una significativa rivalutazione della biodiversità regionale anche per quanto riguarda la produzione dei legumi. La rassegna è stata promossa dall’Agenzia Master 5 e dal format televisivo Agricoltura Oggi, con i patrocini dell’assessorato regionale all’Agricoltura, dell’ARSSA e della Camera di Commercio di Pescara. (da www.agricolturaoggi.it)
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Bacco, Venere
Trabocco
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È andato bene il debutto lancianese di ‘Bacco Trabocco & Venere’, rassegna tematica di enogastronomia sbarcata nel capoluogo frentano in occasione della sua quarta edizione. Quest’anno, all’auditorium Diocleziano, sono stati protagonisti i bocconotti di Castel Frentano e i torroni di Atessa; in passato era toccato alla patata turchesa, al peperone dolce di Altino e alla pizza fritta. Oltre alle tradizionali degustazioni (sugli scudi le mitiche “sise delle monache” di Guardiagrele), hanno tenuto banco convegni, balli e momenti di musica folkloristica abruzzese. Per non farsi mancare proprio nulla, ‘Bacco Trabocco & Venere’ ha proposto anche un raduno di auto d’epoca, che hanno percorso l’itinerario della Costa dei trabocchi, una sfilata di bellezza e una mostra fotografica dedicata al mare. (Massimo Giuliano)
Il Gran Premio della pizza
A giudicare i partecipanti al Gran Premio della Pizza organizzato da bar.it in collaborazione con www.compagniadellapizza.it e la Squadra Italiana Pizzaioli Professionisti nell’ambito della fiera Abruzzo-Marche “Tech & Food” a Centobuchi di Monteprandone (AP) siamo stati invitati anche noi di C come magazine: a rappresentarci degnamente nella giuria Gusto e Cottura c’era il nostro amico Mario Torreggianti, insieme a panificatori, chef e pizzaioli. La categoria della pizza classica è stata vinta da Emanuele Piancatelli di Macerata, ma al secondo posto si è classificato il lancianese Nicola Salvatore, dell’associazione Pizz’Abruzzo doc. Ad un abruzzese è andato anche il premio per la miglior conoscenza tecnica: si tratta di Alberto Aceto, il pizzaiolo del Granchio Royal (Lido delle Sirene) di Pescara. Durante il Gran Premio Della Pizza i pizzaioli giuliesi della squadra italiana pizzaioli professionisti Valerio Valle e Biagio Saccomandi , che hanno partecipato all’ evento come giuria d’onore, hanno presentato fuori concorso la “Pizza liquida”, o “Pizza al bicchiere”. (Foto: Mario Torreggianti)
I vincitori di Abruzzo Wine 2011
Una sesta edizione partecipata, quella di Abruzzo Wine 2011: la cerimonia di premiazione del concorso organizzato dall’Ais di Pescara si è svolta nella sala consiliare del Comune di Pescara lo scorso novembre. Ecco i vincitori, votati dai soci Ais con quasi duemila schede: per la categoria vino bianco il Pecorino Costantini, per il Cerasuolo 2010 di Francesco Paolo Valentini, per il rosso giovane il Montepulciano Tiberio, per il rosso maturo il “Bellovedere” Montepulciano 2006 “La Valentina”. Il miglior vino da dessert è risultato il muffato Sauvignon “San Lorenzo”, il miglior vino spumante quello dell’azienda “Dora Sarchese”. È stata giudicata l’etichetta più bella quella del vino “Pan” di Cantina Bosco, mentre la migliore campagna pubblicitaria quella ideata dall’agenzia pubblicitaria Dispenser per la Cantina Zaccagnini. Come azienda dell’anno è stata scelta la Cantina Masciarelli, mentre l’enologo dell’anno è stato Gianni Pasquale. I migliori rapporti qualità-prezzo sono stati riscontrati per la cococciola “Brilla” dell’azienda “Marchesi de’ Cordano”, il “Capestrano” Cerasuolo d’Abruzzo di Pasetti e il Montepulciano d’Abruzzo “Lepore”. Siamo stati premiati anche noi di C come magazine per la categoria giornalisti dell’anno, insieme a Paolo Castignani di Rete8, mentre come miglior blog è stato indicato “Scatti di gusto”, nei suoi rappresentanti Vincenzo Pagano e Alessandro Bocchetti. Il miglior vino biologico è stato il Montepulciano di Emidio Pepe e la Cantina Emergente è la “Mastrangelo - Tenimenti del Grifone” (Vasto). La migliore enoteca? “La bottega del vino” di Pescara, il miglior sommelier nel ristorante Paride D’Angelo e al Cultivar Itrana dell’azienda agricola Baldassarre di Rosciano è andato il premio per il miglior olio. Ospiti speciali della manifestazione i premiati fuori regione: il migliore vino (Tenuta San Leonardo Avio – Alto Adige), la migliore Cantina (azienda vinicola “La Stoppa” di Piacenza - Emilia Romagna) e il miglior cinque grappoli Duemilavini 2012 (Pollenza Conte Aldo Maria Brachetti-Peretti, Tolentino Marche). Jonathan Nossiter è intervenuto per ritirare il premio per il miglior libro, “Le vie del vino”.
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Le cene da Les Paillotes
Continuano gli appuntamenti al Cafè Les Paillotes di Pescara, in cui chef rinomati si affiancano alla cucina del “resident chef” Antonio Strammiello innescando confronti interessanti. Dalla cena Chic per l’Unità d’Italia (Luca Collami, Alberto Faccani, Roy Caceres e Antonio Strammiello) si è passati al confronto con i piatti dell’entroterra di Peppino Tinari e con un menu a base di pesce di fiume proposto da Sandro Serva di Rivodutri di Rieti, che insieme al fratello Maurizio gestisce il ristorante stellato “La trota”. Il 2011 si è concluso con un ritorno a grande richiesta: sua maestà la pizza, con Luigi Dell’Amura, pronipote dell’inventore della pizza al metro di Vico Equense.
Una festa per la prima stella
La gioia di vedere ufficializzata una stella che gli era stata annunciata da almeno tre anni, Marcello Spadone l’ha voluta condividere con un piccolo gruppo di amici, clienti e colleghi. Su “La Bandiera” di Civitella Casanova, infatti, quest’anno è caduta la sua prima stella Michelin: un ulteriore stimolo a crescere in qualità e precisione, con un profondo rispetto per le materie prime e una formazione continua. Uno stimolo che si aggiunge a quello, che in realtà non è mai venuto meno, dai suoi figli Alessio e Mattia e da sua moglie Bruna sia in sala sia in cucina. Nell’ambito della serata non potevano mancare gli arrosticini di Civitella Casanova.
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A Roma d’Abruzzo
“Sapori
e
profumi
Lo scorso 13 dicembre l’associazione Qualità Abruzzo ha organizzato a Roma un percorso culinario per giornalisti e rappresentanti dell’enogastronomia e del turismo nazionali. “Sapori e profumi d’Abruzzo”, realizzato in collaborazione con l’assessorato regionale al Turismo, si è svolto presso il ristorante “Convoglia” all’interno della stazione Termini ed ha visto l’associazione dei tredici ristoratori e dei tre pasticceri di tutte e quattro le province abruzzesi rappresentata quasi al completo. Lavoro di squadra e sinergia sono state le due parole d’ordine della serata, in cui sono stati presentati sia in veste tradizionale sia in veste più giocosa alcuni dei prodotti principali abruzzesi, tra cui fagioli bianchi tondino del Tavo, panocchie di retina, chioccioline di mare e seppie dell’Adriatico, ventricina dell’alto vastese, canestrato di Castel Del Monte, patate del Fucino, zafferano dell’Aquila e agnello dei parchi. A tavola sono stati serviti i Fusilloro Verrigni e l’olio “Opera mastra” di Peppe Ursini. www.qualitaabruzzo.it
Igles Corelli Giulianova
a
È stato un percorso accattivante e insolito, accompagnato da tutti i sapori del bosco, quello che gli amici dell’associazione enogastronomica Chaine des Rotisseurs - Bailliage “Abruzzo Nord” ci hanno proposto in uno dei loro incontri conviviali. Lo scorso novembre nella cucina dell’hotel Cristallo di Giulianova c’era Igles Corelli, 2 stelle Michelin e tre cappelli per la guida L’Espresso. A tavola: oca, colombaccio, Fischione e Germano reale, accompagnati da Barbera e Nebbiolo d’Alba, e da un Barolo 2007 dell’azienda Renato Ratti. La presenza della Chaîne in Italia risale al 1960, ma già nel 1954 alcuni italiani avevano ricevuto l’investitura a Rouen nel corso di uno Chapitre di Francia.
La guida Duemilavini del 2012
Sono quindici i vini abruzzesi ad aver meritato i “Cinque Grappoli” secondo la tredicesima edizione della guida Duemilavini 2012 dell’Ais: il Cerasuolo d’Abruzzo 2010 di Valentini, l’Edizione 11 Cinque autoctoni 2009 di Farnese, lo Jarno Rosso 2007 di Castorani, il Montepulciano d’Abruzzo 2008 di Emidio Pepe, il Montepulciano d’Abruzzo Binomio 2007 de La Valentina, il Montepulciano d’Abruzzo Cocciapazza 2008 di Torre de’ Beati. Quattro Montepulciano Colline teramane: l’Adrano 2008 di Villa Medoro, il Celibe Riserva 2007 di Strappelli, il Neromoro Riserva 2007 di Nicodemi e il Pieluni Riserva 2007 di Dino Illuminati. Si chiude con altri Montepulciano: il Nerodichiara 2007 di Contado Veniglio, il San Calisto 2008 di Valle Reale, il Tonì 2008 di Cataldi Madonna, il Villa Gemma 2007 di Masciarelli e lo Zeus 2008 di Gentile. Avendo preso i Cinque Grappoli per 27 volte, l’azienda Masciarelli si rivela essere la migliore abruzzese con due “tastevin” (un tastevin è assegnato ogni dieci Cinque Grappoli), seguita da Valentini (16 Cinque grappoli), Dino Illuminati (11) e Farnese (10).
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I nostri più affezionati clienti.
La prima azienda mangimistica italiana con sistemi certificati di gestione per la qualità e per l’ambiente. Dal 1981 la SAGeM produce e fornisce mangime di prima qualità per i propri clienti, senza trascurare le necessarie garanzie per i nostri produttori. Il ciclo di produzione, denominato Natura Ciclo Completo, avviene con un controllo attento e costante delle fasi di semina e raccolto. Qualità e rispetto processi di etto dei naturali p nutrimento sono i principi che guidano lavoro. no il nostro lavo oro. L L’accurata selezione delle materie prime rende il nostro mangime di qualità superiore. e.
S.A.Ge.M. - Soc. Coop. Via Salara, 52 · 64026 Roseto degli Abruzzi (TE) · Tel. 085.8930184 r. a. · Fax 085.8943046 · www.sagem.coop · e-mail: info@sagem.coop
C COME INFORMAZIONE di Roberto Ardizzi, consulente SGQ
L’UNIONE FA LA FORZA Perché esistono i poli d’innovazione
La saggezza popolare riporta molti detti e proverbi, ma mai come in questo periodo uno in particolare è di stringente attualità: “L’unione fa la forza”. Crisi economiche di lungo corso, eventi casuali e non programmabili, mercati in fase deflattiva o – al contrario – aree in decisa crescita, hanno portato alla necessità per le PMI del nostro tessuto imprenditoriale a “fare gruppo”. In sostanza è l’applicazione pratica del concetto di “sinergia”: la sommatoria finale è maggiore della somma delle singole parti. Ecco quindi che la Regione Abruzzo, direttamente e attraverso i suoi bracci operativi (quali ad esempio “Abruzzo Sviluppo”, società in-house della Regione), ha favorito la nascita di 8 cosiddetti Poli d’innovazione: Servizi avanzati, Automotive, Elettronica-Ict, Edilizia, Agroalimentare, Tessileabbigliamento, Turismo ed Economia sociale e civile. Tali poli sono riconosciuti come “raggruppamenti d’imprese indipendenti, start-up innovatrici, piccole, medie e grandi imprese nonché organismi di ricerca attivi in un particolare settore o ambito territoriale e destinati a stimolare l’attività innovativa incoraggiando l’interazione intensiva, l’uso in comune di installazioni e lo scambio di conoscenze ed esperienze nonché, contribuendo in maniera effettiva al trasferimento di tecnologie, alla messa in rete e alla diffusione delle informazioni tra le imprese che costituiscono il Polo”. La strategia che deve muovere verso questa scelta si evidenzia in diverse attività: avere dei gruppi di “organizzazioni” endogene che conoscono esigenze, punti
di forza e di criticità del territorio di riferimento e dell’ambito “merceologico” di appartenenza; permettere una gestione delle progettualità con “think tanks” (letteralmente, “serbatoi di pensiero”) professionali ed agili; coinvolgere realtà che – diversamente – avrebbero fatto esclusivamente da spettatrici, come ci insegnano tante esperienze passate; favorire l’accesso al credito e alla finanzia agevolata. Quest’ultimo punto (croce e delizia d’ogni imprenditore) è in realtà il target focus dell’iniziativa, dal momento che è intenzione di permettere l’accesso all’Euro Finanza esclusivamente da parte dei Poli stessi. È superfluo ed inutile ricordare che la Regione Abruzzo è una delle “meno attente” alla gestione e progettualità dei Fondi Europei: si stima che – negli anni passati – una quota pari a circa l’87% dei fondi disponibili non sia stata utilizzata nel nostro territorio e, di conseguenza, reindirizzata ad altre aree. Tuttavia la speranza legata all’attività dei Poli d’innovazione è alta, anche in funzione dell’interesse da questi suscitato: infatti già più di 700 imprese hanno deciso di aderire a questa forma aggregativa. Un ulteriore spinta deve venire dal fatto che siamo in imminenza di chiusura del settennato dell’asse 2007-2013: far trovare all’Europa una Regione Abruzzo strutturata e dinamica da questo punto di vista potrebbe rappresentare nuova benzina per far ripartire il nostro motore, e riprendere la strada mai dimenticata del “Modello Adriatico di Sviluppo”. Buon lavoro e…. tutti per uno!!
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C COME VI CONSIGLIAMO
Comunicazione istituzionale
Fattoria La Valentina Via della Torretta 52 65010 Spoltore (PE) Tel. e Fax + 39 085 4478158 www.lavalentina.it
ROSSO COME LA POTENZA Così La Valentina produce il suo Montepulciano
Nel nostro viaggio sensoriale tra i vigneti de La Valentina, dopo aver seguito gli uomini nella vendemmia delle uve a bacca bianca a settembre siamo stati attirati dai profumi e dai colori della vendemmia del Montepulciano. Abbiamo subito constatato che le operazioni di vendemmia manuale e poi di raccolta, diraspamento e pigiatura dell’uva a bacca rossa viene messa la stessa cura dedicata alle sorelle bianche e più delicate che abbiamo accompagnato questo autunno: Pecorino, Trebbiano e Fiano. A differenza di queste ultime, per il Montepulciano il percorso è più lungo: i primi grappoli, destinati alla produzione del Cerasuolo linea classica, vengono raccolti in una prima fase, che quest’anno è caduta intorno al 10 settembre, mentre per la linea classica del Montepulciano si attende ancora qualche giorno, quando il colore dei tralci incomincia ad essere più marroncino. A determinare il tempo di raccolta è, come per le uve bianche, prima l’esperienza e poi lo stato delle analisi dei grappoli presi a campione: l’obiettivo è raccogliere al miglior punto di maturazione possibile. Dal filare o dal tendone in cui è maturata fino all’azienda di Spoltore, l’uva ha spesso un po’ di strada da fare dal territorio che spesso la ospita da oltre trent’anni: accade ad esempio a quella destinata allo “Spelt Montepulciano”, coltivata su
una superficie scelta di 20 ettari tra Spoltore, San Valentino e Scafa, o a quella per il “Binomio”, un Montepulciano non filtrato coltivato su 4 ettari nel Comune di San Valentino, e nato dalla collaborazione tra la Fattoria La Valentina e Stefano Inama. I profumi dell’uva destinata allo “Spelt Montepulciano” saranno valorizzati poi dall’affinamento del vino, in parte in botti di rovere da 25 hl e in parte in barrique nuove e di secondo passaggio, con una fermentazione malolattica spontanea ed affinamento per circa 18 mesi. «Per il blending finale provvediamo ad un’accurata cernita, botte per botte – assicura Sabatino Di Properzio, uno dei tre titolari dell’azienda – e seguiamo ogni passaggio con attenzione, fino al finale periodo di sosta in botti di rovere da 25 hl, prima di arrivare all’imbottigliamento almeno un anno prima della commercializzazione». Il risultato è un vino che si presenta con bell’abito rosso rubino molto carico, di grande consistenza, che si apre con sentori speziati e mediterranei e lascia percepire un piacevole tono minerale roccioso e una nota di cioccolato che fa presagire una grande evoluzione. Lo si può accostare ad un agnello delle montagne abruzzesi al forno con erbe aromatiche oppure ad una polenta con funghi porcini e foglie di basilico. Le uve del cru “Bellovedere”, il più volte premiato
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Montepulciano Riserva che esprime tutta la raffinatezza e la rotondità de La Valentina, vengono invece lasciate a completare la maturazione anche una settimana in più rispetto alle altre del vigneto di Spoltore, e poi trasportate in azienda in cassetta. «Il “Bellovedere” è come lo si vede in etichetta – spiega Sabatino Di Properzio – ha l’essenzialità e la forza dell’ambiente pedemontano ingentilito dalle brezze del mar Adriatico: ritrae il profilo del Gran Sasso perché cresce esposto a Sud/Sud-Ovest, “guardandolo”. Il mosto macera per circa 30 giorni in tini tronco conici aperti, di rovere di Slavonia, e viene affinato per 18 mesi in parte in barrique nuove, in parte in altri tini di rovere di Slavonia, ed una piccola quota in tini di cemento. Il travaso e l’imbottigliamento avvengono senza filtrazione un anno prima della commercializzazione». Durante questi passaggi, in cui sia manualmente sia meccanicamente vengono “somministrati” rimontaggi e follature con la stessa amorevolezza e costanza di quando ci si occupa di un bambino piccolo, l’aria è allegra, vinosa e profumata. «Mentre lo “Spelt” è un vino da invecchiamento, corposo, destinato all’affinamento – spiega Michele Reale, l’enologo che dall’interno dell’azienda completa la consulenza dell’enologo toscano Luca D’Attoma – nel “Bellovedere” constatiamo la potenza di questa Doc Riserva sottozona “Terre dei Vestini”: la carica di tannini morbidi e vellutati rimane alta anche per 10 anni». Si tratta di una qualità selezionata di uva che proviene dalle rese bassissime anche rispetto ai limiti di legge: tra i 50 e gli 80 quintali per ettaro nel caso del “Bellovedere”, quando per legge si può arrivare
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fino a 100, e solo 40/50 quintali ad ettaro per il “Binomio”, che invece potrebbe toccare i 140. «“Binomio” viene da un Montepulciano clone Casauria, anche detto Africa, che prende il suo nome dalla forma del grappolo – continua Michele Reale – è un vino che raggiunge a volte i 15 gradi alcolici, potente, che riceve molto sole dall’allevamento a tendone molto aperto e dall’operazione di diradamento che effettuiamo durante l’invaiatura e in cui togliamo almeno la metà dei grappoli, per favorire la maturazione di quelli che restano». Il risultato è un vino che al naso è molto intenso e fa pensare a fragoline di bosco, mora, altri frutti rossi selvatici e spezie, e che al palato si presenta potente, di spessore con un tannino maturo e importante ma in grande equilibrio generale. Chiude senza spigoli, fresco e con notevole persistenza aromatica, rendendosi adatto ad un accostamento con una pecora alla callara, carni da forno ed alla brace e formaggi molto stagionati. La sua lavorazione è unica in azienda: la macerazione e la fermentazione avvengono in tini inox verticali, mentre l’affinamento dura anche 18 mesi e avviene in barrique nuove e di secondo passaggio. Il segreto è non avere mai fretta: a La Valentina è il tempo delle cose a comandare. Ecco che il ciclo di un “Binomio” o di un “Bellovedere” dura almeno tre-quattro anni dalla vendemmia: il “Binomio 2008” ed il Bellovedere 2007 stanno completando in questo momento l’affinamento in bottiglia, mentre lo “Spelt Montepulciano 2007” è da poco in commercio nella sua nuova veste: per la prima volta, per un vino de La Valentina viene usata una borgognotta.
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TIPO: rosso VARIETÀ: Montepulciano Caratteristiche dei vigneti Comune: Spoltore, San Valentino, Scafa e paesi limitrofi Superficie: scelta su 20 ettari Altitudine: da circa 150 m fino a 400 m slm Esposizione: prevalentemente Sud/Sud-Ovest Natura del suolo: argilloso di medio impasto Sistema di allevamento: tendone e filare Densità: 1600-2000 piante / ettaro Eta’ dei vigneti: da 27 anni Rendimento dei vigneti: 50 hl / ettaro Vendemmia: manuale
L’abbinamento
Capretto cacio e uova di Teresa e Carmine Cercone, Taverna de Li Caldora Pacentro (Aq)
Ingredienti per 4 persone. 1 Kg di capretto tagliato a pezzi grossolani, 1 rametti di rosmarino, 4 spicchi d’aglio rosso schiacciati, ½ peperoncino, 1 dl di vino bianco Trebbiano “La Valentina”, 1 dl di acqua, olio extravergine di oliva, sale q.b., 2 uova intere, 50 gr di pecorino stagionato. Soffriggere leggermente il capretto con gli odori, aggiungere vino ed acqua e far evaporare. Salare. Preparare un battuto con le uova ed il formaggio. A cottura del capretto ultimata, togliere dal fuoco, aggiungere il battuto di uova ed amalgamare il tutto sempre lontano dal fuoco. Servire, possibilmente con peperoni arrosto.
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C COME FOOD DESIGN
testo e foto di Ludovica Persichitti - ludovica.architettura@gmail.com
VOI COME LO FATE… IL PACCO? Confezioni originali per i doni fai-da-te
Lucine intermittenti, vetri appannati, aria frizzantina... Il Natale è alle porte e che lo si voglia o meno è pronto a palesarsi un pensiero fatto di carta da pacchi e riccioli colorati: i regali! Un dono è tanto apprezzato quanto più lascia trasparire la cura e l’attenzione impiegate nella sua ricerca: per questo, per il calore e l’aspettativa emozionante che trasmettono, molto spesso si regalano dolci o gustosi prodotti alimentari andando a ripescare le tipicità della tradizione, nelle diverse e originali proposte che il nostro ricco territorio offre. C’è anche chi, amante della cucina o appassionato, si cimenta personalmente nella produzione e realizzazione di genuini dolcetti, panettoni, conserve o profumate marmellate, magari adoperando i frutti del proprio orto. Ma siccome anche l’occhio vuole la sua parte, è appropriato che ogni dolce regalo abbia una confezione (packaging) che ne rispetti il contenuto, sia dal punto di vista funzionale e quindi che conservi intatto il prodotto e lo renda maneggevole, sia da quello estetico, rispettandone genuinità e fantasia. Allora perché non cimentarsi nella realizzazione di packaging originali e personalizzati? Quello che occorre sono colla, forbici e cartoncini rigidi, meglio se riciclati, oltre a tutto ciò di inutilizzato che i cassetti
offrono: avanzi di carta da regalo, spago e pezze di stoffe. Prima di tutto è bene valutare il contenuto del pacchetto: la quantità, il peso e il tipo di alimento. Per esempio, se per il nostro amico amante del cioccolato abbiamo pensato a dolciumi completamente glassati, è bene che siano avvolti con della carta velina prima di richiuderli nella confezione... Non sarebbe piacevole aprire la scatola e scoprirne l’ interno imbrattato di crema, zucchero a velo o cioccolato! Vogliamo regalare un tris di marmellate o miele vari? Il packaging più adatto non ha tagli né incollaggio sul fondo, bensì un foglio unico piegato, i quali lati sono bloccati in alto nelle asole. Magari ritagliamo anche due mezzelune, così da creare una comoda maniglia per la presa. Valutiamo bene anche le dimensioni e le quantità di quello che vogliamo regalare; sarà più bello aprire una confezione e trovarne l’interno ordinato e giustamente pieno. Evitiamo pacchetti straripanti o scatole sproporzionatamente grandi in cui il contenuto si possa spostare continuamente da un lato all’altro nel trasporto. Alcuni semplici schemi per realizzare originali packaging come quelli creati da me e che vi mostriamo in foto e in video anche sul sito di C come magazine (www.ccomemagazine.it)
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C COME PERSONE
Foto e testo di Antonella D’Orazio
GIOVANNI SPAVENTA, DECANO DEI CUOCHI ABRUZZESI Da Villa Santa Maria all’hotel Cipriani di Venezia
Spesso i grandi chef diventano personaggi di un romanzo, con le loro vite inaspettate, un avvicendarsi di esperienze collezionate in diversi luoghi del mondo. Che siano animi poetici o sanguigni, caratteri docili o scontrosi, per tutti l’obiettivo è uno solo: dai mercati ai fornelli, trasformare il cibo in piaceri della tavola. Ho conosciuto Giovanni Spaventa tramite uno dei suoi tanti allievi, Giuseppe Finamore, oggi chef alla Camera dei Deputati. Mi ha raccontato la sua carriera mostrandomi tantissimi documenti e fotografie che tirava fuori da semplici scatole. Li ho trovati incantevoli: un susseguirsi di parole e colori, di scritti e immagini che raccontano la vita di un uomo, di uno chef. Un’illustrazione in particolare è ammirabile. Un menù personalizzato, realizzato dalla pittrice Liselotte Höhs: la cena in onore dell’Accademia Internazionale della Gastronomia. Come non perdersi nella fantasia di emozioni che si mescolano fra loro fino a fondersi? I coloratissimi disegni
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descrivono le ricette e li immagino come una liaison con la gente. Giovanni racconta che aveva ed ha tuttora un credo: raggiungere l’armonia tra prodotti “giusti”, cotti e conditi al punto “giusto”. Si conservano solo così i sapori originali di ciascun ingrediente e quindi se ne rispettano i gusti. Un elogio alla semplicità. Nel lavoro ha sempre amato il rigore, la disciplina. «Non bisogna sbagliare mai e, soprattutto in cucina, bisogna dimenticarsi l’orologio». Affascina, nella sua semplicità, quando racconta che una sera ha aspettato fino a mezzanotte tra i fornelli per servire il branzino bollito al Presidente Carter. È stato secondo e poi primo chef nelle cucine dell’hotel Cipriani a Venezia, dove lo ha chiamato un altro chef di Villa Santa Maria, Angelo Maiocco, e dove ha lavorato, con diverse mansioni, per 24 anni. La sua carriera, come tanti villesi, l’ha iniziata a Napoli, ed in particolare alla NATO di Bagnoli come lavapiatti. Ha seguito le orme di suo padre Nicola Spaventa, chef presso nobili famiglie francesi di cui conserva ancora i menù
La sua cucina: un elogio alla semplicita
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delle ricette che aveva inventato. Un articolo del critico gastronomico Guagnini a lui dedicato descrive perfettamente la sua passione, il suo lavoro: “Lo Chef Giovanni Spaventa non ha paura di nessuno”. Mentre continuiamo a spulciare tra questi meravigliosi ricordi spunta il testo di Mario Borrini, “Cucina pratica professionale”: una guida a cui lui si è affidato perché rispecchia molto il suo modo di intendere la cucina. Per mangiare bene bisogna trovare prodotti di qualità e cucinarli rispettandone il sapore. Il non badare alle apparenze, forse insegnamento di Giuseppe Cipriani, è sicuramente abitudine della sua quotidianità, prestando sempre attenzione alla sostanza e parlando di cucina al sapore. Ama più il salato che il dolce, non ama le cucine bizzarre o estreme. Tra gli ingredienti essenziali che predilige e di cui non può fare a meno c’è il burro. Tra le spezie ci sono
il coriandolo, finocchio selvatico, timo e maggiorana. Nelle sue cucine di abruzzese ha portato soprattutto la precisione, la puntualità e la laboriosità che caratterizzano la gente della nostra terra “forte e gentile”. Ma anche le verdure e il modo di cuocerle, lasciandole croccanti in modo da conservare tutti i loro valori nutrizionali. Gli chiedo quali sono i piatti tipici della cucina villese a cui è più legato, lui mi parla di “sagne a pezz”, maccheroni alla chitarra, “pizz e foie”. Piatti di una cucina povera, piatti di una cucina tradizionale. Sono tutti fatti con alimenti naturali, certo con tocchi magistrali da chef. Impariamo a mangiare e capire i prodotti quando siamo bambini e quei profumi, quei sapori li lasciamo assopire nella nostra mente per poi riconoscerli e gustarli ogni volta che li ritroviamo. Come in uno scrigno segreto, di quel prezioso ed immenso bagaglio culturale uno chef ne fa tesoro e come
SPAVENTA E DI GARBO DECANI DEI CUOCHI ABRUZZESI Dal 14 al 16 ottobre 2011 si è svolta a Villa S. Maria (Ch) la 33 esima edizione della Rassegna dei cuochi. Nell’ambito della kermesse culinaria l’Unione cuochi abruzzesi ha insignito gli chef Nicolò Di Garbo e Giovanni Spaventa (al centro nella foto) dell’onorificenza di “Decano dei cuochi abruzzesi”. Entrambi, oltre ad essere valenti professionisti, sono stati dirigenti dell’Unione fin dalla sua costituzione, instancabili animatori delle attività associative e divulgatori dell’arte culinaria, sempre impegnati per la crescita professionale dei cuochi abruzzesi. Nicolò Di Garbo (80 anni) è stato il primo insegnate di cucina dell’Istituto alberghiero di Pescara e uno dei fondatori dell’Associazione cuochi della stessa città, ricoprendone il ruolo di presidente per 10 anni. Giovanni Spaventa (78 anni) “mitico” chef della “Patria dei cuochi”, oltre ad aver ricoperto la carica di presidente dell’associazione cuochi Valle del Sangro, è stato primo chef dell’Hotel Cipriani di Venezia per 7 anni, in un rapporto di lavoro che è cominciato nel 1966 ed è finito nel 1990. Nella foto, da sinistra: Domenico Di Nucci, presidente dell’associazione Cuochi Valle del Sangro; Lorenzo Pace, presidente associazione Cuochi di Pescara; Leo Giacomucci, presidente onorario dell’Unione cuochi abruzzesi; Nicolò Di Garbo e Giovanni Spaventa, decani dei cuochi abruzzesi; Andrea Di Felice, presidente Unione regionale cuochi; Giuseppe Finamore, consigliere Unione cuochi abruzzesi. .
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per magia lo elabora nella sua cucina, dosandolo insieme a incontri, viaggi, esperienze di lavoro. È così che fa nascere l’essenza della gastronomia: le emozioni. «Uno chef – dice Giovanni Spaventa – quando cucina, quando crea, mette sempre nei suoi piatti i gusti e i concetti di “quel sapere”. Quest’alchimia, questa artigianalità, questa manualità ti catturano e ti crescono dentro. La diversità tra un giorno e un altro, i piatti, i colori, gli ospiti che cambiano, rendono questo mestiere avvincente tanto da non farlo essere mai monotono e banale. Forse, per uno chef, solo i clienti che non sono curiosi, che non vogliono scoprire cose nuove, possono far venir meno la voglia di apprezzare questo mestiere». Ogni ingrediente è un piatto particolare. Puoi capitare a casa sua un banalissimo giovedì di novembre e sentire il profumo della sua cucina. Schietta, ma dove la cura e l’attenzione fanno
diventare ogni elemento un piatto particolare. Lui mi dice sempre che ogni piatto ha la sua personalità e che il successo lo ha ottenuto soprattutto per il suo impegno costante, per la sua onesta e lealtà verso i clienti e verso le persone. La sua è una eccellente maestria culinaria e tra i piatti che hanno riscontrato più successo ci sono sicuramente le “Rosette di vitello alla Cipriani”, un piatto che ha rielaborato e che è diventato subito il cavallo di battaglia del ristorante. Ogni volta che passo a casa sua mi affaccio in salotto e guardo il quadro con cui lo hanno omaggiato nell’hotel dove ha lavorato per una vita. Un quadro dipinto da un grande artista. Mi piace guardarlo: è il ritratto di uno chef in divisa bianca e medaglione color bronzo. I tratti sono semplici e i colori vivi. L’ultimo sguardo mi cade sempre sulle mani che tiene unite: quelle mani abili che “sanno”.
ROSETTE DI VITELLO ALLA CIPRIANI
di Giovanni Spaventa
Ingredienti: 500 g di filetto o lombo di vitello, tagliato in fettine tonde e sottili; 1 litro di latte, 4 o 5 cucchiai di farina, 75 gr di burro, tartufo, 50 gr di funghi porcini tritati finemente, 60 gr di prosciutto cotto tritato finemente, 100 gr di Emmenthal tritato finemente, cinque tuorli d’uovo, sale, marsala, pan grattato, prezzemolo. Preparare una besciamella con la farina, il burro e il latte. Prestare attenzione alla consistenza: deve essere piuttosto dura. Far saltare in una padella i funghi e il prosciutto bagnati col marsala, unire il tartufo e aggiungere il tutto alla besciamella. Aggiungere anche il formaggio e per ultimo il prezzemolo tritato. Infarinare le rosette di carne e scottarle in un tegame di rame con burro e olio. Appena scottate, bagnare con un po’ di Marsala, asciugare e raffreddare. Aggiungere i tuorli alla besciamella, e quando è bollente immergervi le rosette. Questo passaggio va eseguito con molta attenzione: prendere la rosetta con due forchette alle estremità, immergerla nella salsa e disporla su una teglia unta. Fare lo stesso con tutta la carne e far sì che la salsa copra tutta la rosetta. Mettere in frigo e lasciar raffreddare un paio d’ore. Prima di servire, passare all’uovo battuto e pan grattato, lavorare con molta delicatezza (come per una Milanese) e friggere. Accorgimento: panare e friggere non appena tirate fuori dal frigo, altrimenti perdono di consistenza. Servire le rosette con zucchine fritte e patate fiammifero, magari accompagnate da salsa perigourdine.
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C COME STILI ALIMENTARI Testo e foto di Nadia Miriello
«MANGIO BIODINAMICO! ANZI DIVENTO VEGANO. O…» Un po’ di chiarezza su filosofie e diete
Non è questione di esser buoni o cattivi. Per una volta sforziamoci di scavalcare facili pregiudizi e luoghi comuni per scoprire cosa c’è davvero dietro una consapevole scelta vegetariana, al di là della volontà etica di evitare la consumazione di carne a tavola per puro amore e rispetto degli animali. Due chiacchiere in confidenza con l’amico Michele Meomartino, presidente dell’associazione VEGetariANA abruzzese, ci aiuterà senz’altro a fare un po’ di chiarezza sull’argomento. Michele, classe ’60, vive a Montesilvano in un casolare di campagna che ospita il suo vivace Circolo Olis per la divulgazione delle discipline olistiche. È scultore, oltre ad essere conosciuto come uno degli attivisti più vulcanici e poliedrici del mondo dell’associazionismo locale, ormai da una trentina d’anni a questa parte. Per entrare nel vivo della nostra chiacchierata snocciola dati recentissimi che confermano quanto il tema vegetariano coinvolga oggi una
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buona fetta degli italiani. Pare infatti che il nostro Paese sia al primo posto in Europa per numero di adepti di questo stile alimentare ed esistenziale, diventati oggi ben 5 milioni contro i 500mila del 1985, anno in cui Michele ha abbracciato questa scelta di vita e di pensiero. «Eppure – si rammarica – tra gli abruzzesi c’è ancora molta ignoranza, a differenza delle altre regioni del Centro Sud, dove si registra una maggiore sensibilità. Per molti i vegetariani sono ancora degli strampalati che campano d’erba!». Il vegetarianismo (o vegetarismo) implica diete a base vegetale che fanno largo impiego, ad esempio, di frutta e verdura, con l’esclusione della carne (carne rossa, pollame e pesce). In alcuni casi sono banditi dal piatto anche i latticini e/o le uova, mentre le diete vegetariane più rigorose tagliano dal menù perfino sottoprodotti animali, come caglio e gelatina di origine animale. «La scelta vegetariana – sottolinea Meomartino – sconta a
Diventare vegetariani comporta una profonda, anche se graduale, trasformazione dei nostri stili di vita
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Speciale Verde tutt’oggi diversi pregiudizi, a cominciare dalla convinzione che questo tipo di alimentazione produca gravi carenze nutrizionali. Invece ho conosciuto personalmente vegetariani da cinque generazioni che godono di ottima salute! Ma la decisione di diventarlo va assolutamente accompagnata da una profonda, anche se graduale, trasformazione dei nostri stili di vita, che va coniugata con il benessere integrale della persona e soprattutto con una maggiore qualità della vita per tutti. Il che non può non chiamarci in causa come cittadini attivi nel perseguire il bene comune, soprattutto se consideriamo che la scelta vegetariana è perfettamente coerente con i comportamenti ecologici e sostenibili. Basti pensare che le implicazioni dell’elevato consumo di carne a livello mondiale, dall’uso dell’acqua alla produzione di foraggio per gli animali, sono tra i principali responsabili dell’inquinamento da anidride carbonica». Occhio, in ogni caso a non fare confusione con le altre classificazioni dei variegati e particolari regimi, stili e filosofie alimentari. Oltre ai vegetariani classici, infatti, esistono i latto-ovo-vegetariani, i latto-vegetariani, gli ovo-vegetariani, i fruttariani, i vegani e i crudisti. «I vegani – precisa Michele - sono quelle persone che oltre a non mangiare “cadaveri” (carne e pesce, n.d.r.) e perciò non consumano neppure le uova, il miele, il latte e suoi derivati. I crudisti addirittura ingeriscono i cibi così come sono senza ricorrere alla cottura, e per forza di cose si nutrono prevalentemente di verdura, germogli, frutta, semi e cereali
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in ammollo». Discorso a parte vale per la sempre più praticata dieta macrobiotica, che «è invece un modello alimentare ideato dal giapponese George Oshawa all’inizio del 1900, secondo il quale – spiega Meomartino – ogni cibo appartiene ad una delle due energie Yin e Yang. La scelta di diventare macrobiotici non comporta necessariamente quella di essere al contempo vegetariani. Conosco tanti macrobiotici che mangiano carne e pesce». A Pescara, per l’esattezza in via Isonzo, opera il Circolo culturale “Un Punto Macrobiotico”: uno dei nodi della rete macrobiotica più presente in Italia, nata da un’idea di Mario Pianesi (pioniere della Macrobiotica Italiana), fondata come associazione nel 1980 e che oggi conta in Italia 69 negozi e 52 ristoranti, più cinque laboratori alimentari, tre centri commerciali, due case editrici, due sale da the, sette forni a legna, un ostello, laboratori specifici per le produzioni di abbigliamento, calzature e arredamento naturali, un laboratorio di vernici vegetali e persino una mensa universitaria. Un altro negozio della catena è in via Migliori a Giulianova. A Spoltore c’è invece “Biopolis”, supermercato di prodotti biologici e biodinamici in attività dal 2000. Due parole anche per chiarire l’iper-inflazionato termine biologico: «L’agricoltura biologica, in estrema sintesi, si distingue dalla tradizionale perché non fa uso di sostanze chimiche, bensì ricorre solo a preparati naturali sia nella produzione sia nella trasformazione dei prodotti. Regola che vale, naturalmente, anche per la zootecnia».
La dieta macrobiotica è un modello alimentare che non richiede di essere vegetariani
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Speciale Verde Biologico e vegetariano vanno senza dubbio a braccetto, quindi, ma per i vegetariani non è indispensabile che nel piatto finiscano frutta e verdura bio. Spesso queste due concezioni del viver sano si ritrovano fianco a fianco tra gli scaffali dei punti vendita specializzati, come l’Emporio “Primo Vere” di Pescara, megabottega del bio, dell’equo solidale e dei prodotti a Km zero in via San Donato che ospita l’associazione VEGetariANA, o il “Maggiociondolo” in via Arapietra, il primo supermercato bio di Pescara. In questo negozio è possibile trovare anche alimenti biodinamici, i cui principi di base fanno un passo ancora oltre i dettami del biologico. L’agricoltura biodinamica fa fede alla filosofia di Rudolf Steiner, il filosofo austriaco padre della concezione naturale della vita, che ha ispirato una parte considerevole delle filosofie del certiquality. Frutta, verdura, latticini, carni e formaggi vengono prodotti passando attraverso la filiera agroalimentare senza modificare né la naturalezza del metodo né i ritmi: la certezza dei biodinamico è quella di recuperare il lato “sano” del produrre il cibo. Nonostante quella dei VEGetariANI sia l’unica realtà associativa in Abruzzo a dichiararsi esplicitamente vegetariana, in regione vivono e transitano tanti vegetariani che non hanno tessera alcuna. Senza contare associazioni come la Lav (Lega Anti Vivisezione), che sposano la causa da altre prospettive, come quella animalista. Un sottobosco così variegato e in crescente fermento incoraggia degustazioni in piazza, corsi di cucina, feste e rassegne culturali. Altra buona nuova, soprattutto per la gioia dei nostalgici della “Taverna delle mille erbe” di Strada Fonte Borea, il primo e per lungo tempo unico ristorante vegetariano di Pescara, a fine settembre in via L’Aquila ha aperto “Profumo di Sole”, il primo vegetable bar abruzzese, punto d’incontro per appassionati e non di frutta e verdura fresche. «Mi piacerebbe – confessa Meomartino – che il cibo diventasse per tutti motivo di gioia e convivialità e non, come invece accade sovente, un mero pretesto per lunghe ed inutili discussioni. Ai non vegetariani chiederei una maggiore attenzione verso questo “mondo” e verso le tante ragioni che sono alla base delle sue scelte, che non sono solo di natura personale, religiosa, spirituale, etica e filosofica, ma anche e soprattutto sociali, ecologiche ed economiche. Ai vegetariani e ai vegani consiglierei, d’altro canto, di essere tolleranti e meno intransigenti con coloro che hanno fatto e fanno scelte differenti. Infine a tutti, me compreso, ricordo che, anche se il cibo con tutte le sue implicazioni è fondamentale per la vita dell’uomo, come disse circa 2000 anni fa un falegname ebreo “Non si vive di solo pane…”».
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C COME VEGETARIANISMO
di Maura Di Marco – Foto: Mario Sabatini/Nadia Miriello
«MANGIO BIODINAMICO! ANZI DIVENTO VEGANO. O…» Un po’ di chiarezza su filosofie e diete Onnivori, carnivori, vegetariani o vegani? Molti di noi non avrebbero dubbi eppure è importante sapere che «un’alimentazione senza carne non è un’alternativa bensì un punto di partenza». Esordisce così la dottoressa Serena Luciani, nutrizionista biologa a Pescara, una delle pochissime abruzzesi iscritte alla Società scientifica di nutrizione vegetariana. «Mangiare bene significa partire da una base vegetariana per aggiungere, strada facendo, cibi in grado di darci il giusto apporto proteico e vitaminico, misurato sul nostro fabbisogno alimentare». Le conseguenze di un’alimentazione iperproteica sono più o meno conosciute a tutti nonostante basti poco per cancellarne la memoria: aumento di peso, malfunzionamento dell’apparato renale, affaticamento del fegato, ipercolesterolemia e, in casi più gravi, comparsa di patologie tumorali. Secondo Veronesi, ognuno di noi non dovrebbe assumere più di 70 grammi al giorno di proteine, di cui metà di origine vegetale e metà di origine animale. «Basta un dato per capire quanto siamo lontani da questo presupposto scientifico – prosegue la dottoressa – 100 grammi di carne contengono, all’incirca, 20-25 gr di proteine e noi ne mangiamo, in media, almeno 200-300 al giorno».
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L’alimentazione vegetariana prevede una serie di alimenti base come i legumi, i cereali integrali, la frutta secca ed i semi oleaginosi (sesamo, lino e girasole) che vanno assunti secondo un certo ordine: «È per questo importante, nel passaggio da un’alimentazione all’altra, l’assistenza di un esperto, altrimenti si rischia di incorrere nella comparsa di alcuni disturbi particolarmente gravi come, per esempio, l’anemia. È consigliabile assumere, oltre ai cereali integrali ed in alternativa ai legumi, il seitan (alimento ricco di glutine proveniente dal grano), il tofu e il tempeh nonché le alghe che, diversamente da quanto si possa credere, sono gustosissime e possono essere consumate in mille modi». Ci sono, poi, delle integrazioni obbligatorie da fare: la vitamina B12 che si trova soltanto in tracce negli animali e si può prendere sotto forma di pasticche; la vitamina D che si otterrebbe esponendo al sole viso ed avambracci per 15 min al giorno ma che si assume, a sufficienza, con la tintarella estiva; infine, la vitamina A, che si ottiene dalla conversione, per opera del nostro organismo, dei carotenoidi contenuti nei vegetali. Altra notizia da sapere è che vegetariani non si nasce ma ci si può diventare sin da piccoli (a meno che il bimbo non
Vegetariani non si nasce ma ci si può diventare sin da piccoli
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Speciale Aria
Speciale Verde ami molto mangiare, circostanza in cui è consigliabile o un maggiore apporto di latte, derivati e uova o, in casi particolari, l’integrazione con carne e pesce) e lo si può essere durante tutta la vita, compreso il periodo della gravidanza. Anzi, come
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Occorre integrare l’alimentazione vegetariana abruzzese con seitan, tofu, tempeh e vitamine
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sottolinea la dottoressa, «il passaggio al vegetarianismo o al veganismo è auspicabile durante l’adolescenza, quando le nostre papille gustative non sono ancora troppo abituate ai sapori della carne, sebbene esse siano comunque in grado di riadattarsi a qualsiasi età. È ad ogni modo fondamentale – rimarca – fare molto attenzione che una scelta del genere da parte di ragazzi non sia in realtà il segnale d’allarme di un disturbo alimentare». In sostanza, diventare vegetariani significa sposare una filosofia di vita sana, un credo di pensiero, più che di forma, non facile ma comunque possibile. La crisi economica e la vita fuori casa mal si combinano con questo modo d’essere. L’ABC di questo tipo di alimentazione è dato da cibi che devono essere, rigorosamente, freschi, di stagione e locali e tutti sappiamo quanto questo può arrivare a costare. Ma è anche vero che «mangiare carne solo due volte a settimana comporta un risparmio di spesa che può essere indirizzato ad un acquisto più coscienzioso». Più difficile è trovare una soluzione ai consumi fuori casa o alle cene di lavoro. «Nel primo caso – ci suggerisce la dottoressa – c’è bisogno di un pizzico in più di organizzazione per poter preparare il pranzo prima di uscire; nel secondo caso, bisogna ammettere che, a volte, è dura persino andare in un ristorante e trovare una semplice insalata di stagione». I benefici, però, sono davvero tanti: ci si sente meglio, grazie anche ad un aumento della qualità del sonno, e si sta meglio, non solo da un punto di vista medico ma anche estetico, con pelle più liscia e capelli più forti. E per gli irriducibili al piacere di costolette, salsicce e costate, basta ricordarsi una piccola formula per ridurre i rischi: carne solo 2 volte a settimana moltiplicato per verdure fresche, locali e di stagione. Ricordatevelo, ricordiamocelo. Firmato: una ex convinta carnivora.
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C COME EMANUELA TOMMOLINI
Speciale Verde
di Cristina Mosca – Foto: Mario Sabatini
UNA CUCINA CON L’ACCENTO SULLA I A Colonnella si mangia pensando al benessere
Un luogo legato al benessere e all’alimentazione, sì, ma che desse spazio anche alla ricerca e alla curiosità: qualcosa di diverso da quello che già esiste, insomma. Quando Emanuela Tommolini ha cominciato il percorso che l’ha portata ad aprire a Colonnella il ristorante “Esprì” insieme a Fabio De Cristofaro, aveva in mente una specie di laboratorio in cui predominasse lo spirito vegetariano, visto che lei ha sposato questa filosofia a 20 anni. Propone cucina naturale con un tocco di brio: un modo divertente e amichevole di rapportarsi con il cibo, reso con allegria da quell’accento impunemente messo alla parola francese “esprit”, “spirito”, per far intuire al mondo dei vivi che il vegetarianismo non è natura morta bensì l’apice dei suoi colori e dei suoi significati. Ampliare il menu con carni biologiche e pesce dell’Adriatico, per andare incontro un po’ a tutti, è stato necessario, ma non va mai in contraddizione con l’obiettivo principale di questi due trentaduenni impavidi: «Quando arriva un mio piatto, desidero si capisca che si riceverà del bene già solo guardandolo – afferma Emanuela – mi piace pensare al benessere che passa attraverso l’alimentazione e raggiunge un’altra persona, che terminerà il pasto con un bel ricordo. Per noi la cucina naturale rappresenta un modo di nutrirsi che valorizza le virtù degli alimenti, ne rispetta i tempi e procede
in sintonia con l’ambiente». Una volontà che ha preso forma compiuta, tra inevitabili tentativi ed errori, in appena due anni, che ha potuto vedere la luce grazie ad un progetto approvato dall’agenzia “Sviluppo Italia” e che ha calamitato l’attenzione del giornalista Antonio Paolini, che ci ha segnalato questa realtà nuova, coraggiosa e di qualità. Decisivo per entrambi è stato il mese di stage nel novembre 2010: Fabio nella sala del ristorante “Reale” di Niko Romito, Emanuela nella cucina del ristorante vegetariano “Joia” di Milano, al fianco di Pietro Leeman. Il resto lo stanno facendo i libri, l’esperienza, la voglia di conoscere e di perfezionarsi, qualche dritta dei papà (un noto nutrizionista giuliese quello di Fabio, un noto ristoratore di Martinsicuro quello di Emanuela) e l’armonica collaborazione in cucina con altre due donne, Cinzia Fazzini e Rosella Scarpantoni. I prodotti sono i migliori in termini di qualià: la maggior parte risponde ai criteri della filiera corta, il resto alle eccellenze italiane. «Crediamo si possa cogliere l’”esprit” del cibo e del vino – conclude Fabio, che è anche sommelier – solo attraverso una cucina della spontaneità che nutre l’anima e il corpo». Dalla leggerezza dei movimenti e dalla semplicità del piatto si intuisce che la forza, infatti, sta dentro: e che la natura non è solo vitalità e completezza, ma è soprattutto perfezione.
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Speciale Verde
Ciclo vitale: composizione di semi, radici, foglie, germogli, fiori e frutti
Ingredienti Semi (mandorle, noci, semi di girasole, zucca, lino…); foglie (cuori di gentilina bianca e nera, lattuga, radicchio, barba di frate, riccia…); erbe aromatiche fresche (finocchietto, basilico, menta, maggiorana, origano, erba cipollina); cuori di sedano; finocchi; lupini sbucciati e dissalati; radici (carote, ravanelli, daikon…); germogli freschi; petali di fiori eduli; coriandoli di cavolo rosso; frutta di stagione (chicchi di melograno, spicchi di arancio pelato a vivo, mela verde, pera…). Per il gomasio: sette cucchiai di semi di sesamo, 1 cucchiaio di sale marino. Per la vinaigrette al miele: 10 gr di aceto di mele, 40 gr di olio extravergine d’oliva, 1 gr di sale, 1 cucchiaio di miele d’acacia. Preparazione Lavare ed asciugare bene tutti gli ingredienti. Selezionare le foglie più piccole e tenere in modo da lasciarle intere per preservarne la forma naturale, gli altri ingredienti possono essere affettati con l’aiuto di una mandolina. Creare una composizione armoniosa con tutti gli ingredienti in base alla propria fantasia e sensibilità. Condire con gomasio e vinaigrette al miele. Servire l’insalata accompagnata da un panino alla zucca e noci. Per il gomasio: Tostare i semi di sesamo, aggiungere il sale e pestare grossolanamente il tutto al mortaio. Per la vinaigrette al miele: sciogliere il sale nell’aceto, aggiungere l’olio e il miele, sbattere energicamente con una piccola frusta finché gli ingredienti non risultano ben emulsionati.
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Speciale Verde Uovo morbido in crosta di pane alle erbe con fonduta di patate e zafferano
Ingredienti per 4 persone 4 uova, 1 patata media, olio, sale e pepe. Per la panatura: 1 uovo sbattuto, farina 00. Per la fonduta di patate e zafferano: 300 gr di patate, 100 gr di cipolla, 2 gr di zafferano in polvere, 10 gr di olio extravergine di oliva, 1 rametto di timo, sale e pepe. Per il pane alle erbe: 300 gr pane bianco raffermo privato della crosta, 200 gr di erbe fresche miste, sale e pepe, un pizzico di Parmigiano Reggiano Preparazione Per la fonduta di patate e zafferano: stufare a fuoco lento la cipolla tagliata a julienne in una pentola con l’olio (freddo), un pizzico di sale e il rametto di timo, senza farle prendere colore. Quando la cipolla è ben appassita e “suda”, aggiungere le patate pelate e tagliate a fettine molto sottili. Coprire con l’acqua e portare a cottura. A questo punto eliminare il timo, aggiungere lo zafferano e passare al mixer, setacciare con un colino a maglia sottile e aggiustare di sale e pepe. Per il pane alle erbe: passare tutti gli ingredienti al mixer e setacciare con un colino a maglia fine. Lessare la patata, sbucciarla e passarla allo schiacciapatate, condirla con olio e sale. Cuocere le uova con il guscio per 5 minuti e 15 secondi in acqua bollente, raffreddarle in acqua e ghiaccio e sbucciarle. Impanarle passandole prima nella farina, poi nell’uovo sbattuto ed infine nel pane alle erbe. Ripetere questa operazione due volte. Friggere in olio a 150° per tre minuti. Salare leggermente. Mettere in un piatto fondo due cucchiai di fonduta di patate e zafferano, posizionare al centro un nido di schiacciata di patate, adagiarvi sopra l’uovo fritto, finire con una macinata di pepe.
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C COME GALATEO
del Maestro Alberto Presutti, www.albertopresutti.it – Foto: Mario Sabatini
A TAVOLA CON BUONGUSTO Il bon ton delle feste “perfette”
Per tradizione cattolica e per consuetudini gastronomiche noi italiani amiamo trascorrere le festività natalizie seguendo un rituale che, di anno in anno, poco lascia alle mode e si replica nel suo cerimoniale famigliare, tanto atteso sia per convivialità sia per il gusto di decorare la casa. Il Natale e la tavola costituiscono un binomio inscindibile e curatissimo. Apparecchiare è un’arte che come tutte le altre si può sempre imparare. Il Bon Ton consiglia, innanzitutto, di evitare di cadere nell’esibizionismo referenziale, in particolare nell’esposizione dei “gioielli di famiglia” come servizi di argento, porcellana, cristallo di Boemia. Soprattutto non è bene seguire tendenze stravaganti suggerite da mass media in cerca di scoop ed è importante saper disporre con attenzione ed eleganza, unite alla semplicità, tutti gli elementi
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che si hanno a disposizione. Per il Bon Ton e il buongusto non sono derogabili la scelta e il mantenimento di un tema o di un accostamento di colori predominanti in eventi come la cena della Vigilia o il pranzo di Natale. Decorare la casa non significa abbandonarsi al folclore degli addobbi natalizi, ma impreziosire solo pochi punti importanti, come l’ingresso e la sala da pranzo, senza eccedere oltre. L’albero, che è il simbolo del Natale, sia pure ricco nelle decorazioni, nei “capelli d’angelo” che lo avvolgono e nelle luci che lo fanno scintillare a sera, ma al contempo non sia un monumento barocco e sovraccarico di palle e luminarie, che predomina aggressivo nella sala da pranzo. Il cerimoniale prevede di iniziare con la vestizione della tavola, che non può prescindere dalla scelta dei colori: verde,
Apparecchiare è un’arte
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rosso, oro, argento e bianco, sempre classici, ovviamente abbinati due a due. Di colore rosso sia il tovagliato, mentre il bianco è imprescindibile per la ceramica dei piatti. I bicchieri siano in cristallo, naturalmente: trasparenti per godere delle tonalità dei vini. È essenziale non commettere l’errore di vanità di poggiare sulla tavola un centrotavola che per dimensioni spicchi per altezza, coprendo così la reciproca visuale ai commensali che si saranno seduti ai loro posti seguendo le indicazioni di graziosi segnaposto in cartoncino, ingentiliti dal tratto del pennino della stilografica. Immancabili siano i candelieri, il cui numero dipenderà dalla lunghezza della tavola, muniti di candele a tortiglione, rosse o color oro, abbellite con fiocchi di raso colorato. Per quanto concerne le posate, siano disposte secondo Bon Ton (forchette a sinistra, cucchiaio e coltello a destra) ricordando la buona regola che ne prevede l’utilizzo a principiare da quelle più esterne al piatto e man mano “a scalare”. …E poiché a Natale le portate sono numerose, la posateria mancante si aggiungerà via via, all’occorrenza, per non gravare l’ospite di imbarazzi ma anche per semplificare l’allestimento della tavola che, come afferma il Bon Ton, è più raffinata quanto meno complessa. Sulla tavola natalizia troveranno posto vini sia rossi che bianchi, e ne conseguirà che i bicchieri saranno in numero relativo, posti alla destra del piatto, a scalare a partire da quello dell’acqua. Per i vini d’annata si provvederà ad ossigenarli, in tavola, con un decanter. Come di regola, in tutte le sale da pranzo non si deve saturare l’ambiente con profumi o incensi dall’odore forte che inquinerebbero l’olfatto e il gusto, danneggiando i sapori delle pietanze oltre a rischiare di provocare allergie tra i commensali.
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e trepidanti attendevamo l’arrivo di Babbo Natale e dei suoi doni, rito liberatorio di un anno intero di aspettative e buoni comportamenti. Pertanto da adulti sta a noi portare in casa quelle stesse vibrazioni di magia e serenità, e poiché l’educazione è fatta anche di consuetudini e tradizioni, non dobbiamo discostarcene, anzi coltivandole piacevolmente rivivremo ricordi unici che al cuore fanno molto bene! I regali. Il Natale ha il suo aspetto “commerciale”, e l’acquisto dei regali che orneranno la base dell’albero, divenendone l’apertura il momento clou della festa, spesso complica giorni già pieni di incombenze. Il Bon Ton consiglia semplicità e buon gusto anche nella scelta dei regali più costosi. Innanzitutto, mai lasciarsi trascinare nel comprare oggetti suggeriti dalle tendenze dell’ultimissima moda, che poi di moda passeranno altrettanto velocemente. Per individuare il regale confacente è indispensabile stabilire quale confidenza si abbia con il destinatario, valutando la spesa in proporzione alle nostre tasche: è Natale e di regali se ne devono fare diversi. Chi li riceve, accetti i regali col sorriso anche quando non sono di specifico gradimento, mai pensando a come e quando, e soprattutto a chi, riciclarli a posteriori, perché questo oltre ad essere imperdonabile è pure il modo migliore per incorrere in imperdonabili gaffe! È sbagliato, infine, assecondare i bambini in richieste capricciose e impertinenti, ed abituarli all’”erba voglio” con la scusa delle Feste quali il Natale o l’Epifania.
La buona educazione è fatta anche di consuetudini
In famiglia. Dice un proverbio popolare, “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”. Le rimpatriate famigliari sono come certi minestroni: dentro c’è di tutto, e proprio per questo bisogna imparare a sorbirle, senza essere troppo schizzinosi o bisbetici. Le “solite” chiacchiere con i parenti, i “soliti” aneddoti sentiti ripetere per l’ennesima volta, le “solite” fisime degli anziani, la “solita” confusione. Per il Bon Ton è doveroso condividere questa umanità e questi ricordi, che coincidono con quando eravamo bambini
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Il Capodanno. Il cenone di Capodanno diviene l’ultima occasione per “abbuffarsi” prima di ripromettersi di iniziare, con l’anno nuovo, una dieta rigenerante, che in ogni caso non dovrà mai essere sbandierata né imposta a familiari. Purtroppo, il Capodanno spesso costituisce l’occasione per eccessi di qualunque natura, a partire dall’utilizzo sconsiderato di fuochi di artificio, girandole e petardi, passando per il gettare oggetti “vecchi”, secondo tradizione, dalle finestre, magari centrando in testa qualcuno, fino allo sparare con fucili in aria, con il rischio di colpire di rimbalzo chi se ne sta tranquillo a terra. Il Bon Ton impone, invece, il massimo rispetto per i vicini di casa e per le persone anziane.
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C COME TRADIZIONE
Testo e foto di Marco Di Edoardo Esecutori: Cristian Pierannunzi, Antonietta Fulgenzi e Cristina Di Pietro
CALCIONETTI DA MANGIARE IN UN BOCCON…OTTO! Due classicità del Natale abruzzese
Come recita una famosa pubblicità, il Natale quando arriva arriva e insieme alle renne, ai regali e al simpatico vecchierello barbuto vestito di rosso arrivano anche tutte le tradizioni culinarie di questo periodo. Dal cenone della Vigilia al pranzo di Natale vero e proprio, tutto è caratterizzato da pietanze tipiche dei vari territori italiani, ma soprattutto da dolci artigianali “fatti in casa”, che molto spesso variano di ingredienti e preparazione, a distanza anche di pochissimi chilometri. L’Abruzzo vanta una grandissima varietà di dolci artigianali natalizi, tutti preparati seguendo rigorosamente le antiche ricette tramandate di generazione in generazione. In questi giorni, vicino al fuoco del camino, nelle case delle province abruzzesi le massaie sono tutte intente a preparare calcionetti, bocconotti, sfogliatelle, pepatelli, parrozzi, “cilli ripieni”, torcinelli dolci e tante altre leccornie. Fra tutte queste prelibatezze, che fanno venire l’acquolina in bocca solo a nominarle, due in particolare ultimamente stanno attirando l’attenzione del panorama culinario italiano e stanno iniziando ad avere il successo che meritano anche fuori regione: i calcionetti e i bocconotti. Friggete o infornate
a 180 gradi il vostro Natale 2011, cospargetelo di zucchero e conciatelo bene per le feste: se dolce è sempre più buono! I calcionetti: quando la povertà diventa bontà! Non si conosce molto della storia dei calcionetti, queste piccole bontà natalizie di cui vanno pazzi piccoli e grandi: pare comunque che il nome derivi dalla loro forma assomigliante a dei piccoli panzerotti (“cavzun”, “cavzunitte”). Sono dolci a forma di piccole mezze lune, appunto, fatti di pasta morbida fritta preparata con farina olio e vino e ripieni di un impasto che nella versione teramana (li caggiunitte) è costituito da purea di castagne e/o ceci, zucchero, cacao, cedro e polvere di caffè. I vari ingredienti sono mescolati tra loro facendo attenzione a non coprire troppo l’aroma della castagna, che ne costituisce l’ingrediente base. L’origine dei calcionetti è sicuramente da ricercarsi nell’alimentazione povera delle popolazioni contadine e montane che cercavano di impiegare in tutti i modi qualsiasi frutto che la terra potesse offrire, in questo caso castagne nelle zone di montagna e ceci in quelle di pianura. La loro forma buffa e paffuta, inoltre, si sposa perfettamente con
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NEL TERAMANO SI FANNO COSÌ Ingredienti: Per la pasta: 1 kg di farina, 2 bicchieri di vino bianco, 1 bicchiere di olio d’oliva. Per il ripieno: 1 kg di castagne, 250 gr di zucchero, 200 gr di mandorle tritate, 250 gr di cioccolato fondente tritato, 2 cucchiai di cacao amaro, ¼ di litro di rum per dolci, 2 cucchiai di polvere di caffè Disporre la farina a fontana sulla spianatoia e, nel mezzo, versare il vino bianco e l’olio di oliva. Impastare con le mani fino ad ottenere una pasta che risulti omogenea e non troppo morbida, per evitare che durante la frittura possa rompersi. Coprire l’impasto e lasciarlo riposare per una mezz’ora circa. Nel frattempo lessare le castagne sgusciate e passarle fino ad ottenere una purea. Mescolare le castagne con lo zucchero, il cedro, le mandorle, il cioccolato fondente, il caffè, il cacao ed il rum. Passare l’impasto nella macchina stendipasta 2 o 3 volte per renderlo più liscio e sottile possibile, tagliarlo in rettangoli e, dopo averlo passato di nuovo nella stendipasta, formare delle strisce; con l’aiuto di due cucchiai disporre sulla sfoglia delle palline di ripieno, chiudere a libro pressando bene i bordi e con la rotellina tagliare i calgionetti a mezza luna. Friggere rapidamente in olio bollente e subito dopo cospargere di zucchero. Lasciar raffreddare e gustare!
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l’atmosfera gioiosa e celebrativa del Natale. In alcune zone abruzzesi, perlopiù nell’entroterra chietino e pescarese, l’impasto dei calcionetti prevede anche le uova a e il ripieno è costituito prevalentemente da marmellata di uva. Il bocconotto: da privilegio aristocratico a prodotto tradizionale I bocconotti vengono preparati in tutto il territorio abruzzese e le loro varianti sono davvero molte. La storia narra che l’origine di questo dolce sia collocata intorno agli inizi del 1700, quando il cioccolato sbarcò in Europa, e che la sua nascita sia avvenuta a Castel Frentano, cittadina a pochi chilometri da Lanciano, e che qui si sia diffuso tra i palazzi aristocratici della nobiltà locale fino a diventare il dolce preferito del filosofo e politico abruzzese Bertrando Spaventa, nativo di Bomba, nella Val Di Sangro. Solo agli inizi del secolo scorso la bontà del prodotto frentano ha raggiunto anche i palati della gente comune. Da questo momento in poi ci hanno pensato le massaie del circondario lancianese a custodire gelosamente la ricetta e a reclamarne l’autenticità. Il bocconotto probabilmente deve il suo nome alla sua antica natura, cioè quella di poter essere mangiato in un sol boccone, ed è una tartelletta di pasta frolla farcita di forma troncoconica rovesciata, data dalle apposite formette utilizzate per la cottura in forno, in alluminio o acciaio inox (inizialmente erano di rame) con il diametro massimo di 10 cm e con altezze di 2 o 3 cm. L’esterno del bocconotto è interamente di pasta frolla che in seguito alla cottura assume un bel colore dorato ed è ricoperto, nella parte superiore, da un abbondante strato di zucchero a velo. La farcitura interna è di colore scuro, di consistenza compatta e dal profumo fragrante di cioccolato, cannella e mandorle tostate. Su proposta della delegazione di Lanciano dell’Accademia italiana di cucina, accolta e patrocinata dall’amministrazione comunale, la ricetta del bocconotto castellino è stata codificata con rogito notarile e il bocconotto di Castel Frentano ha ottenuto la certificazione P.A.T. (prodotto agroalimentare tradizionale), tanto che la sua ricetta originale e la sua dscrizione possono essere consultate sul sito www. comunedicastelfrentano.it. Oggi ne troviamo diverse varianti nel territorio abruzzese: nel Pescarese ad esempio nel ripieno viene aggiunto il liquore Centerba, in altre zone si usa il mosto cotto, mentre nella zona di Montorio al Vomano, in provincia di Teramo, il ripieno viene preparato con marmellata di uva, cioccolato, scorza di limone e mandorle tostate ed il dolce assume il nome di “bocconotto reale”, poiché le formine dove viene preparato sono simili a piccole coroncine.
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LA RICETTA UFFICIALE DEL BOCCONOTTO DI CASTEL FRENTANO, CODIFICATA CON ROGITO NOTARILE
Ingredienti (per 100 bocconotti): Per la pasta: 40 rossi d’uovo, 1 kg di zucchero, ½ litro di olio d’oliva, un bicchiere di liquore dolce, le bucce di due limoni grattugiate, farina al bisogno (avendo cura che la pasta non sia troppo dura). Per il ripieno: 3 litri d’acqua, 1 kg di zucchero, 1 kg di cioccolato fondente, 1 kg di mandorle tostate e tritate, aroma di cannella, 20 rossi d’uovo Per il ripieno far bollire i tre litri di acqua col chilo di zucchero e far sciroppare il tutto; a questo punto aggiungere il chilo di cioccolato, il chilo di mandorle tostate e la cannella. Quando si raffredda, unire i 20 rossi d’uovo e far sbollentare; quindi aggiungere la cannella macinata. Per la pasta frolla montare i 40 rossi d’uovo con lo zucchero, aggiungere il mezzo litro d’olio, le bucce dei limoni grattugiate e il liquore. Aggiungere infine un paio di bianchi d’uovo montati a neve e la farina necessaria affinché l’impasto non risulti troppo duro. Quindi ungere con l’olio o con burro le pareti interne delle formette e mettere della pasta frolla all’interno di esse. La pasta deve aderire in uno strato sottile alle pareti: in questa sottile camicia di pasta frolla versare il ripieno. Compiuta questa operazione, coprire ogni formetta con un dischetto di pasta frolla, che faccia da coperchio al bocconotto; ora resta solo da infornare a 180 gradi. La cottura termina quando i bocconotti assumono un colore ambrato: una volta raffreddati, estrarli dalle formette e ricoprirli di un fitto strato di zucchero a velo.
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BOCCONOTTO REALE
Ingredienti (solo ripieno): 400 gr di marmellata di uva, 250 gr di mandorle tostate e tritate, la scorza di 1 limone grattugiato, 100 gr di cioccolato fondente Dopo aver imburrato le formine sistemarle in una teglia, con le mani formare delle piccole sfere d’impasto e posizionarle dentro ogni formina. Con l’aiuto delle dita allargare l’impasto e farlo aderire bene ai bordi. Dopo aver mescolato bene gli ingredienti per il ripieno, depositarne una piccola quantità all’interno di ogni formina. Successivamente formare dei dischetti con altro impasto e coprire ogni formina eliminando l’eccedenza di pasta e schiacciando bene i bordi per evitare che il ripieno possa fuoriuscire durante la cottura. Bagnare i bocconotti con un po’ d’acqua e cospargerli con dei granelli di zucchero affinché vengano glassati. Infornare a 180° per 20 minuti circa.
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C COME TIPICO
di Eleonora Mancinelli – Foto: Piergiorgio Greco
QUEL LEGAME IMPRESCINDIBILE Prodotti e territorio, un binomio vincente
L’Abruzzo è una delle regioni più belle d’Italia, incontaminata, baciata dal sole ed espressione di una secolare cultura contadina e pastorale e contraddistinta da sapori tipici ed intensi. La Majella, i monti innevati, i Parchi lussureggianti, l’”Adriatico selvaggio”, le verdi colline, i pascoli: tutt’intorno l’Abruzzo ci parla di sé e della sua storia, ed è impossibile non fare due più due e riconoscere che la qualità dei suoi prodotti è data dal loro forte legame con il territorio. La nostra regione si colloca, infatti, tra le prime tre nel reparto dell’agriturismo ed è la prima in Italia a spendere soldi in cibo: è stato rivelato lo scorso 22 settembre a Pescara durante la tavola rotonda “L’agriturismo nel sistema turistico italiano: oltre la crisi, prospettive in Abruzzo”, promossa da Confagricoltura. Gli operatori del sistema agrituristico hanno espresso in questa occasione le problematiche legate all’agricoltura, derivanti dalla duplice crisi, nazionale e regionale, quest’ultima dovuta al terremoto che ha penalizzato le zone interne. Gli esponenti delle maggiori associazioni turistiche concordano sul fatto che i pubblici organismi dimostrano una
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conoscenza miope del territorio e sull’evidente difficoltà di autoveicolazione del patrimonio culturale abruzzese: perché l’entroterra abruzzese è un polmone di capienza turistica enorme, ma non consapevole della propria grandezza e delle proprie potenzialità . «Il nesso tra agricoltura e turismo è potenzialmente rilevante – è stato precisato – ma l’Abruzzo dimostra scarse capacità autopromozionali: la sfida è portare ricettività e presenza nell’entroterra rurale anche con metodi anticonvenzionali, che destino l’interesse del turista affascinandolo e suggestionandolo attraverso il recupero di identità e cultura locale». Per questo motivo, cultura e ambiente diventano motori di sviluppo per l’attivazione di una filiera produttiva dalle potenzialità quasi illimitate, in grado di competere a livello nazionale, a condizione che si individuino (e si mettano in pratica) politiche di programmazione ispirate al principio dell’integrazione e del fare sistema. Turismo del benessere, balneare, paesaggistico, dei borghi, religioso, termale, dei parchi, culturale… il turismo è unico ma serve solidarietà tra le parti per ottenere ritorni economici.
La sfida è destare l’interesse del turista, anche con metodi anticonvenzionali
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«L‘agriturismo ed il turismo tutto – è stato concluso – devono poter contare su una politica snella, e l’accesso al credito deve essere costante, in grado di recepire le richieste
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L’agriturismo deve poter contare su politiche snelle e su buone infrastrutture
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dell’imprenditore e di promuovere profitto a livello locale e a livello delle infrastrutture, incentivando il turismo rurale e creando strutture d’eccellenza. I tempi commerciali non corrispondono ai tempi politici, ma la politica deve sorreggere il turismo rassicurando gli imprenditori e favorendo il sostegno bancario tra piccole imprese e banche, rifuggendo il turismo di massa e ancorandosi al turismo di qualità». Quello delle infrastrutture è un problema molto sentito, infatti è stato rilanciato anche alla fine di novembre anche dalla Europ Invest in collaborazione con il Città Sant’Angelo Village: al dibattito “Destinazione turismo: infrastrutture e servizi” sono intervenuti anche l’assessore regionale al turismo Mauro Di Dalmazio e il docente di Economia delle imprese di trasporto della Facoltà di Scienze manageriali Armando Della Porta. Prendere per mano il turista post moderno attraverso la riscoperta dell’urbs locale e degli odori e sapori delle contrade natie, mostrando attenzione alla tipicità, si rivela un atteggiamento vincente per un turismo virtuoso e più competitivo. Nell’immaginario del turista infatti, il patrimonio artistico viene associato anche a quello enogastronomico e i prodotti di nicchia si ammantano di cultura e storia. Il prodotto tipico è un prodotto caratteristico, con un forte legame con l’area geografica in cui nasce e con caratteristiche qualitative molto specifiche, dovute anche ai processi artigianali di lavorazione tramandati da generazioni. Verso questa tipologia di prodotti si sono orientati da tempo i consumatori, sempre più alla ricerca, in un mercato che tende alla standardizzazione dei gusti, di un’offerta che si basi maggiormente sulla genuinità della tavola, sulla esclusività dei prodotti tipici, su ciò che di significativo e unico una località può offrire. Su questa specificità si è concentrato il convegno tenutosi il 24 settembre a Tornareccio, nell’ambito della nona edizione di “Tornareccio Regina di miele” (vedi box): promuovere il prodotto tipico in quanto
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rappresentante della nostra storia, con un occhio al futuro in un periodo di incertezza. I prodotti tipici sono detentori di valori specifici ed irripetibili del nostro territorio e conservano una ricchezza economica e culturale, in grado di contribuire sia allo sviluppo sia alla scoperta di molte località della nostra provincia, non ancora sufficientemente conosciute. «Occorrerebbe diventare orgogliosi del marchio italiano, comprare prodotti nazionali o regionali – ha affermato con veemenza Gioacchino Bonsignore, ospite d’onore – Invece
il made in italy viene sottovalutato in Italia, Paese che quasi nasconde le proprie origini contadine. Arriviamo al punto che i produttori sono i primi a non credere pienamente nell’eccellenza del territorio e dei propri prodotti, mentre spetta proprio a loro, in comunione con la politica, offrire un solido sostegno per realizzare un industria turistica che dia la possibilità di produrre ricchezza ed occupazione a livello locale». Anche le scelte dei consumatori pesano nello sviluppo del turismo abruzzese: «La rivoluzione comincia a
I VINCITORI DI BUONGUSTO 2011
Sono stati quaranta gli espositori ad aver partecipato alla sesta edizione di Buongusto, la rassegna dei formaggi che ogni settembre si svolge a Gessopalena: un altro esempio di lungimiranza e di fidelizzazione degli appassionati, che colgono l’occasione per acquistare prodotti latteo-caseari artigianali provenienti da tutta la regione. Sempre molto competitivo anche il concorso “I formaggi del Buon Gusto”, che negli anni è diventato un vero e proprio indicatore di qualità per i consumatori. Una giuria di esperti degustatori presieduta da Paola Ippoliti dell’Onaf ha selezionato il miglior prodotto per ognuna delle 10 tipologie di formaggio in gara, attraverso le quali si sono confrontati i produttori. Al pubblico è spettato il compito di segnalare il prodotto preferito tra le “Fantasie casearie” assaggiando le proposte dei produttori in una gara di formaggi non riconducibili ad altre categorie. I migliori Fior di latte sono risultati quelli delle aziende di Andrea Spica (primo classificato), Mario Verna e Vincenzo Cianflocca, le migliori giuncate quelle di Nicola Alimonti, dell’azienda “I formaggi di Rosella” e di Mario Verna. Nella categoria Caciotta vaccina (dai 15 ai 30 giorni di stagionatura) sono saliti sul podio le aziende “Fattorie del Vomano”, “Sammartino” e quella di Mario Verna, mentre per il Caciocavallo l’azienda “La Grancia di Sant’Angelo”, seguita da “Fonte La Spogna” e “Spica Andrea”. Le più buone Scamorze appassite? Quelle di “Fattorie del Vomano”, di Vincenzo Cianflocca e della “Fonte La Spogna”. I migliori Pecorini stagionati fino a 90 giorni, sono de “I sapori del Gran Sasso”, di Gino Illuminati e di “Santa Caterina”, mentre i migliori Pecorini stagionati oltre i 90 giorni sono de “La mascionara”, “Cantalupo” e “Santa Caterina”. Per la categoria dei Caprini si sono classificati primi tre l’azienda “La tua fattoria”, “I sapori del Gran Sasso” e quella di Giuseppe Muscente, mentre il giudizio del pubblico ha decretato vincitori dei Formaggi fantasia il caseificio “San Giovanni” con lo yogurt vaccino, “I sapori del Gran Sasso” con il Caprino stracchinato e l’azienda di Gino Illuminati con il Pecorino di Fossa. (Foto: Meta) .
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tavola – ha commentato l’esperto di prodotti tipici Tino Di Sipio – I consumatori abruzzesi devono diventare i primi consumatori dei propri prodotti locali e solo successivamente pensare di esportare il turismo altrove. Lo stesso prodotto tipico che un tempo era considerato un piatto di povertà, oggi diventa raro perché storico e testimone di un passato e viene investito di genuinità e di particolarità». Contro la logica delle grandi lobbies e della politica
delle Grande Distribuzione Organizzata che ci vorrebbe massificati, Tino Di Sipio lancia la sua personale chiamata alle armi: «Bisogna consumare, rivendicare e riscoprire i prodotti della propria terra». Nel frattempo, l’Unesco ha decretato la Dieta mediterranea come patrimonio culturale immateriale dell’umanità… Consumatori d’Abruzzo, unitevi!
TUTTI PAZZI PER IL MIELE Un buon lavoro in termini di legame tra prodotto e territorio lo sta senz’altro facendo da diversi anni il Comune di Tornareccio, e lo sta facendo al di là dell’alternarsi delle opposte correnti politiche, a conferma della comunione di intenti che può rendere grande un piccolo luogo. Il lavoro di promozione e di sensibilizzazione dentro e fuori la regione comincia nel 2002 con la ratificazione dell’adesione all’associazione Città del miele, da parte dell’allora sindaco Nicola Berardi e consolidata da colui che ne aveva intuito il valore, Luigi Iacovanelli, oggi ex sindaco, e che viene confermata degnamente dal sindaco attuale Nicola Pallante. Una delle prime azioni della nuova amministrazione comunale è stata infatti avviare le procedure per far riconoscere il miele come De.C.o., Denominazione comunale d’origine. Quest’anno c’eravamo anche noi alla nona edizione di “Tornareccio Regina di Miele”, manifestazione che si svolge alla fine di settembre e che, favorita stavolta da condizioni atmosferiche dignitose, ha calamitato oltre 6mila persone, anche da fuori regione. Tra stand dolcissimi ed eventi a tema è stato molto partecipato e sentito il convegno “Il prodotto tipico: una storia che parla al futuro”, presieduto da Gioacchino Bonsignore, giornalista del Tg5, insieme all’esperto di prodotti tipici Tino Di Sipio, al presidente dell’associazione Res Tipica Fabrizio Montepara, allo stesso sindaco Pallante e al presidente della provincia di Chieti Enrico Di Giuseppantonio. All’inizio di novembre, inoltre, il miele di Tornareccio è stato il protagonista del concorso nazionale “Il miele in cucina”, promosso dall’associazione Le Città del Miele: due giovani allievi dell’Istituto Alberghiero “Giovanni Marchitelli” di Villa Santa Maria hanno vinto un premio per la loro capacità di gestire la versatilità di questo prodotto. Giancarlo Guglielmo e i suoi Spaghettoro “Verrigni” al miele di castagno in ragù bianco d’agnello mantecato alla ricotta di pecora, hanno vinto il primo premio della sezione “pasta secca”; Andrea Iannarelli, con il cocktail “Piramide di Miele” a base di miele di millefiori shakerato con gin, cointreau, succo di limone e rondelle di zenzero, ha invece ottenuto il premio speciale nella sezione bar. (Foto: Agenzia ArsNova) .
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C COME RICETTE a cura dell’Unione cuochi abruzzesi
LA FAVATA DI SANT’ANTONIO di Lorenzo Pace
Ingredienti per 4 persone: 300 g di fave secche decorticate, 50 g d’olio extravergine d’oliva aquilano, 1 foglia di alloro, 1 spicchio d’aglio rosso di Sulmona, sale q.b. Lessare le fave e salarle 5 minuti prima del termine della cottura. Appassire nell’olio l’aglio schiacciato e l’alloro e eliminarli. Unire le fave scolate, lasciarle insaporire, aggiungere 150 g d’acqua di cottura e continuare a cuocere per alcuni minuti. Mettere la Favata nei piatti fondi, spolverare con il prezzemolo e irrorare con un filo d’olio extravergine d’oliva.
Il 17 gennaio si festeggia Sant’Antonio Abate, particolarmente venerato dai contadini abruzzesi in quanto protettore degli animali, e per l’occasione in tutta la regione si organizzano eventi e cerimonie in suo onore. Dal 1657 a Villavallelonga, piccolo paesino della Marsica, secondo una consolidata tradizione familiare, per rinnovare un voto fatto dai suoi antenati a Sant’Antonio Abate Pietro Paolo Serafini distribuiva ad amici, parenti e poveri una minestra di fave lesse, chiamata “La Favata”, e “La Panetta”, una pasta pane lievitata con l’aggiunta di uova e anice. La leggenda a cui fa onore racconta infatti che Sant’Antonio salvò un neonato dalle fauci di un lupo su implorazione della madre del bimbo: per la grazia ricevuta, la donna fece il voto di dedicare al Santo una “festa di fuoco”: appunto la “Panarda a fuoco”. Dall’anno successivo la donna ogni 16 gennaio accendeva dei falò e cuoceva le fave dentro a delle grandi caldaie in rame, distribuendole ad avventori e poveri insieme alla “Panetta”. Da secoli le fave sono considerate simbolo di fertilità, a causa della loro forma, ma anche un cibo propiziatorio per riti sacrali: anticamente si credeva che le fave nascondessero le anime dei defunti. Più realisticamente si può affermare che le fave, legumi prodotti in grandi quantità, tra i primi in primavera, consumabili sia freschi che secchi, nonché unico cibo reperibile in tempi di carestia, abbiano rappresentato per i contadini un alimento indispensabile per la loro sopravvivenza. Con il passare degli anni e con il susseguirsi delle generazioni, il luculliano banchetto della Panarda fu trasferito nelle case e celebrato la sera del 15 gennaio, preceduto dall’orazione a Sant’Antonio e inframezzato dal rosario e dai canti che ripercorrono le gesta dell’eremita.
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LU SERPENDONE [Il Serpentone] di Lucio D’Angelo
Ingredienti per 5/6 serpentoni: Per il ripieno: 1,5 Kg di scrucchijata (confettura d’uva con buccia); 200 gr di noci sgusciate; 200 gr di cioccolato fondente; 100 gr di mandorle; 15 gr di buccia d’arancia; un pizzico di cannella tritata. Per la frolla: 1 Kg di Farina “00”; 200 gr di zucchero; 130 gr di olio extravergine d’oliva; 150 gr di vino bianco; 4 uova; 1 buccia grattata di limone; 2 gr di vanillina. Per la glassa al cioccolato: 50 gr di cacao amaro, 100 gr di zucchero, 150 gr di acqua. Per la glassa bianca: 50 gr di albume, 150 gr di zucchero a velo, 10 gocce di succo di limone. Per il ripieno: Riscaldare la scrucchijata, unire il cioccolato e lasciare fondere rimestando continuamente. Aggiungere le noci, le mandorle tritate, amalgamare, unire la buccia d’arancia tritata finemente, la cannella e lasciare raffreddare completamente. Per la frolla: Disporre la farina a fontana versare al centro tutti gli ingredienti, impastare e lasciare riposare per circa 15 minuti. Per la glassa al cioccolato: Mettere lo zucchero e il cacao in un pentolino, possibilmente in rame, mischiare bene in modo da non formare grumi, diluire lentamente con l’acqua, mettere sul fuoco e portare a ebollizione, lasciare cuocere fino a raggiungere la densità della colatura a filo. Per la glassa bianca: Versare tutti gli ingredienti nella planetaria e montare per pochi minuti, senza renderla spumosa. Stendere la pasta frolla con il matterello allo spessore di circa 3 mm, larga 15 cm e lunga 45 cm. Sistemare il ripieno, aiutandosi con un cucchiaio sul bordo lungo, arrotolare e formare un tronco di circa 6 cm, modellare a forma di serpente arrotolato con un diametro di circa 18 cm. Cuocere in forno a 180° per circa 30 minuti, appena cotto spennellare con la glassa al cioccolato ancora calda, per la glassa bianca lasciare raffreddare. A piacimento sulla glassa bianca si possono aggiungere anche delle codette di zucchero.
‘Lu serpendone’ (il serpentone) è un tipico dolce di Fara Filiorum Petri (Ch) che veniva preparato anticamente in coincidenza della macellazione del maiale in quanto per la farcitura di questo prodotto veniva impiegato il Sanguinaccio (oggi sostituito con la srucchijate). Attualmente la preparazione è strettamente connessa alla festività di Sant’Antonio Abate il 17 gennaio. Il 16 gennaio giorno in cui si svolge la cerimonia delle “farchie”, altissimi fasci di canne preparate dalle diverse contrade, lasciate ardere tutta la notte in memoria del miracolo di Sant’Antonio che salvò il paese dall’assedio francese nel 1799. La forte connotazione religiosa e di devozione al Santo che assume la festa delle farchie lascia spazio anche ad una simbologia sacrale del dolce che rimanda alla connotazione malefica del serpente come alterego del male. Ma la sua reificazione sotto forma di dolce in onore del Santo ne annulla la maleficità.
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C COME NEWS
Un patto per lo sviluppo rurale
Campagna amica arriva a CSA
Le patate e le carote marsicane
Lo scorso 9 dicembre la Provincia di Pescara ha chiamato a raccolta tutti i sindaci per la firma del Patto per lo sviluppo rurale, un’intesa che coinvolge ogni municipalità del territorio assegnando a ciascuna un ruolo di primo piano nella valorizzazione dell’agricoltura. Hanno risposto 32 dei 46 sindaci invitati, accolti dal presidente Guerino Testa e l’assessore Angelo D’Ottavio: a loro è stato chiesto, attraverso il Patto, di aderire alle previsioni della Carta di Matera, il manifesto programmatico proposto dalla Cia ai Comuni italiani per “un futuro con più agricoltura”. Le amministrazioni si impegnano a “sostenere e difendere in tutte le sedi i benefici economici, sociali e territoriali che l’agricoltura porta con sé” in nome della “rivalutazione dell’attività agricola in tutte le sue forme, la salvaguardia del suolo e dell’ambiente e la valorizzazione del rapporto tra cibo e territorio, non dimenticando la diffusione prioritaria dei servizi e la semplificazione della macchina burocratica”. La sottoscrizione è avvenuta alla presenza di Claudio Sarmiento (Cia) e Beatrice Tortora (“Donne in campo”).
Il mercato agroalimentare a chilometro zero promosso dalla Coldiretti è arrivato anche a Città Sant’Angelo. Grazie ad una convenzione stipulata tra il Comune e la Federazione provinciale della Coldiretti, da domenica 18 dicembre in piazza della Marina “Campagna amica” proporrà ogni domenica dalle 8 alle 13 i prodotti agricoli provenienti dalla provincia pescarese e dalle campagne angolane. I circa venti produttori presenti avranno dalle confetture agli ortaggi freschi, dal pane alla pasta, dall’olio al vino passando per miele e cereali. Presto, sempre attraverso l’associazione Agrimercato d’Abruzzo, verrà attivato anche il mercato contadino nel centro storico di uno dei Borghi più belli d’Italia, il sabato mattina. All’inaugurazione erano presenti il sindaco di Città Sant’Angelo Gabriele Florindi, il direttore regionale Coldiretti Simone Ciampoli, la presidente di Coldiretti Pescara Chiara Ciavolich, il presidente dell’associazione Agrimercato Pierluigi Di Mascio, il coordinatore regionale di Campagna Amica David Falcinelli e il segretario di zona Coldiretti Mauro Del Ponte.
Gli iter per il riconoscimento DOP per la patata dell’Altopiano del Fucino e per la certificazione IGP della carota del Fucino sono in dirittura d’arrivo. Il 10 novembre scorso il Consorzio del Fucino ha protocollato presso il Ministero dell’Agricoltura le modifiche alla certificazione IGP della carota, scaturite anche dall’apporto scientifico realizzato dal Centro ricerca Crab di Avezzano per garantirne sul mercato la qualità e il Marchio, così da definire il nuovo Disciplinare. «I produttori sono a conoscenza che le modifiche sono state inevitabili – spiega l’assessore regionale all’agricoltura Mauro Febbo – affinché il betacarotene e le proteine rispettassero i parametri e limiti consentiti per legge. Sono convinto che per fine anno o inizio 2012 si concluderà questo lavoro, con una pubblica audizione e sopralluogo del Ministero dell’Agricoltura». Il ministero delle Politiche agricole si è inoltre impegnato a stanziare 7,5 milioni di euro per il settore pataticolo, che, come ricorda l’assessore, produce ogni anno 2 milioni di quintali di patate, ben 1/3 della produzione nazionale.
magazine 64
Censimento dell’agricoltura
Ritorno alle… Origini
La I assemblea “Collegium Cocorum”
È stato presentato dall’assessorato regionale il 6° Censimento Generale dell’Agricoltura, riferito ad aziende agricole e zootecniche. I numeri dicono per esempio che, alla data del 24 ottobre 2010, a fronte di un aumento delle grandi aziende del 16,87% in Italia, in Abruzzo siamo arrivati al 60,89%. Se il numero totale delle aziende diminuisce, è anche vero che nel Paese siamo ad un -32,2%, ma nella nostra regione il dato è del -13,6%. In Abruzzo abbiamo oltre 67 mila aziende e sempre più donne a capo di imprese agricole: diminuisce del 29,2% la presenza delle donne capoazienda in Italia, in Abruzzo invece cresce del +6%, e aumenta in generale anche il titolo di studio di chi investe nel comparto agricolo. Qualche problema lo abbiamo nel comparto zootecnico, dove si è registrato un -14,2%, rispetto al -8,2% nazionale. Hanno espresso pareri sul censimento, che è da perfezionare tenendo conto di tante variabili, i rappresentanti della Struttura speciale di supporto-Sistema informativo e delle 4 organizzazioni professionali regionali: Coldiretti, Copagri, Confagricoltura e Cia.
È stata presentata il 13 dicembre a Pescara l’associazione Origini, con l’aiuto dell’enologo Vittorio Festa. L’evento “In alto i calici” ha visto la partecipazione del giornalista Luca Maroni e la degustazione dei vini delle aziende associate. Tra le abruzzesi: Agri-Bio di Stefania Pepe (Torano Nuovo), Belfiore (Loreto Aprutino), Cantina Eredi Legonziano (Lanciano), Cantine Bove ( Avezzano), Cantine Ciampoli (Ortona), Cantina Sangro (Fossacesia), Cantina Sociale (Ari), Cantina Sociale (Paglieta), Cantine Dragani (Ortona), Cantina Chiarieri (Pianella), Colle del Sole (Francavilla al Mare), Colle Rotondo (Ofena), Fattoria Teatina (Chieti), Jasci Donatello (Vasto), Jasci&Marchesani (Vasto), La Cascina del Colle (Villamagna), Marchesi de’ Cordano (Loreto Aprutino), Palazzo Centofanti (Giuliano Teatino), Praesidium (Prezza), Tenuta dei Tigli (Casacanditella), Tenuta Magna (Villamagna), Tenuta Oderisio (Monteodorisio), Cantina Terzini (Tocco da Casauria), Cantina Rivomaris (Vasto), Vigne di More (Thione degli Abruzzi), Vigneti Radica (Tollo), Vini del Golfo (Vasto).
Mercoledì 14 dicembre 2011 la prima assemblea regionale degli insigniti abruzzesi del “Collegium Cocorum” è stata ospitata dal ristorante “Villa Majella” a Guardiagrele e ha rappresentato un importante momento di riflessione e di stimolo per i circa 50 cuochi professionisti presenti, con il “collare” e non, provenienti da tutta la regione. Al tavolo di confronto si sono seduti il vicepresidente della Fic nazionale Giacomo Giancaspro, il presidente regionale dell’Unione cuochi abruzzesi Andrea Di Felice e il delegato abruzzese dell’Accademia italiana della cucina Mimmo D’Alessio. Tutti hanno stimolato la categoria ad adeguarsi ai tempi, «prima che siano i tempi a prendere il sopravvento», condividendo la propria professionalità ma evitando la tentazione di spettacolarizzare il proprio lavoro «dimenticando di essere operatori di salute». L’incontro si è concluso con una conversazione sui tagli dell’ovino abruzzese, guidata da Peppino Tinari, titolare di “Villa Majella”, e dal direttore dell’Ara Francesco Cortesi, che ha illustrato l’importanza del marchio “Buon Gusto Agnello d’Abruzzo”.
magazine 65
C COME NEWS
Le nuove chiocciole
Le stelle Michelin in Abruzzo
Michele Ottalevi vince a Milano
Nella guida delle Osterie d’Italia 2012 presentata all’hotel Miramare di Città Sant’Angelo il 28 novembre, l’Abruzzo è rappresentato da 47 osterie di mare e di terra – 7 delle quali inserite nello speciale capitolo degli arrosticini – con 4 novità e 6 “Chiocciole”. Sono state le 6 osterie premiate a curare la cena: “Sapori di Campagna” di Ofena - Aq (Crema di fagioli bianchi poverelli con salsa di broccoletti, polpettine di salsiccia e crostini di pane); “Taverna de li Caldora” - Pacentro Aq (Straccetti di agnello dorati e fritti con marinata di verdurine); “Vecchia Marina” – Roseto degli Abruzzi Te (Gnocchetti con panocchie e mazzancolle); “Font’Artana” – Picciano Pe (Fracchiata); “Zenobi” di Colonnella – Te (Coniglio in padella con olive e rape); e “Taverna 58” – Pescara (Pizza dolce e torta croccante). Alla presentazione sono intervenuti Raffaele Cavallo, presidente Slow Food Abruzzo-Molise; Alessandro Nicodemi, presidente Consorzio Colline Teramane Docg; Marco Bolasco e Eugenio Signoroni, curatori della guida e Massimo Di Cintio, coordinatore per Abruzzo e Molise. (Foto:CdG)
Sempre grazie alla diretta web di Dissapore.com abbiamo appreso in tempo reale la bella notizia: l’Abruzzo mantiene tutte le stelle Michelin e anzi ne guadagna due. È stata confermata la doppia stella al ristorante “Reale” di Niko Romito, che come sappiamo si è trasferito quest’anno a Castel di Sangro, ed è stata confermata anche la stella a “Les Paillotes” di Pescara e a “Villa Majella” di Guardiagrele (Ch). Come già raccontato nei foto eventi “La Bandiera” di Marcello Spadone ha portato la prima stella a Civitella Casanova, in provincia di Pescara, e “Magione papale” di William Zonfa l’ha portata a L’Aquila. Zonfa è stato infatti lo chef di “Vinalia”, il locale gourmet di Marzia Buzzanca che ha dovuto chiudere i battenti a causa del terremoto del 2009, perché era proprio nella “zona rossa”. Il caso ha voluto che entrambi riaprissero la loro attività nell’estate dopo il terremoto: lei in via Leosini, in pieno centro storico, e lui nel ristorante dell’hotel “Magione papale”, in via Porta Napoli.
Michele Ottalevi, uno dei due chef dell’”Osteria dei tempi andati” di Francavilla, è stato fra i quattro premiati del concorso individuale di cucina calda per le unioni regionali italiane organizzato dalla Fic. Il tema del concorso era “Cucine d’Italia tra il pane e il vino’’. I suoi sponsor erano Cantina Tollo e Despan attrezzature alberghiere. Il piatto “Parrozzo di pane cotto cacio e uova allo zafferano Dop dell’Aquila su ristretto di pomodoro, cubi di tonno mediterraneo scottato con erbe della Majella e salsa ai lamponi, giardiniera di patate carciofi e cipolla di Tropea in agrodolce con riduzione all’aceto balsamico di Modena e spuma di vino rosso raboso” è stato accompagnato da Cococciola di Cantina Tollo. Michele Ottalevi è anche consigliere dell’Associazione Cuochi Pescara. Il concorso si è tenuto per la prima volta in Italia all’interno della prestigiosissima fiera Host di Milano “Salone internazionale dell’ospitalità professionale” in programma dal 21 al 25 ottobre.
magazine 66
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Da
125
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un grande patrimonio del nostro Paese.
La pasta è tra le più grandi tradizioni del nostro Paese. E noi di De Cecco la manteniamo intatta dal mulino alla tavola. Il cuore del grano viene macinato e impastato a freddo con acqua purissima. La pasta viene trafilata al bronzo ed essiccata lentamente, seguendo un metodo antico e sapiente. Per questo di De Cecco ce n’è una sola, da 125 anni.