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comeMagazine

ABRUZZESE IN UN FREEPRESS

ANNO 4 - NUMERO 26 -OTTOBRE 2012 / GENNAIO 2013

LA CULTURA ENOGASTRONOMICA

c come

Inserto

Speciale Bianco

Speciale Regali

Salone del Gusto 2012

Vino, latte e derivati

Donare il territorio


PA S S I O N E

I TA L I A N A

Fabbrica Sedie, Tavoli e Sofà 65013 CITTÀ S. ANGELO (PE) ITALIA TEL: +39 085 95201 - FAX: +39 085 9500288 - www.fabercsa.com - info@fabercsa.com


Salone del Gusto 2012 I cibi che cambiano il mondo È stata di una tonalità tutta autunnale l’edizione 2012 del Salone del Gusto, la biennale organizzata da Slow Food, Regione Piemonte e Città di Torino in collaborazione con Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Svoltasi dal 25 al 29 ottobre a Torino, per la prima volta ha visto l’accorpamento con un altro grande evento, “Terra Madre”: ingresso unificato per l’area Lingotto fiere e l’adiacente Oval. Per la gioia di tutti gli appassionati e gli operatori. COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE / FOTO MODIV - SLOW FOOD ABRUZZO


c come inserto / Salone del gusto 2012

Cibi che cambiano il mondo” è il tema che ha sintetizzato il Salone del Gusto e Terra Madre 2012. Le storie di chef, artigiani e comunità del cibo di 150 Paesi hanno fatto capire come si possa rivoluzionare il paradigma che regola questo mondo in crisi a partire dal cibo, dimostrando che possiamo fare qualcosa di buono per la nostra salute, l’ambiente e il sistema produttivo senza rinunciare al piacere del cibo e alla convivialità. Sono molte le esperienze che ha proposto il ricco programma di Salone del Gusto e Terra Madre 2012: un grande Mercato, che ha creato una felice unione tra espositori, presìdi Slow Food e comunità del cibo; laboratori del Gusto e incontri con l’autore, per approfondire e assaggiare in compagnia di produttori, chef, coltivatori di vigne, birrai ed esperti; teatri del gusto, per osservare da vicino le mani dei cuochi creare i piatti simbolo dei loro ristoranti; percorsi educativi per bambini e adulti; conferenze per aprire il dibattito su come stili alimentari responsabili possano migliorare la nostra salute e quella del pianeta. Un’enoteca valorizzante territori di confine, aree montane

e terroir estremi ha riunito le 1200 etichette delle migliori Cantine italiane e ha proposto appuntamenti a tavola, per fare il giro del mondo restando in Piemonte. Anche l’Abruzzo ha svolto un ruolo importante, con un programma estremamente ricco, variegato ed interessante, grazie alla collaborazione tra l’assessorato regionale alle politiche agricole e Slow Food Abruzzo.

Tra laboratori del gusto, presentazioni di volumi e menu tematici, i visitatori hanno avuto la possibilità di conoscere i tanti prodotti di alta qualità che la nostra regione può vantare e di poter assaggiare le numerose eccellenze regionali.



I PRESIDI SLOW FOOD LENTICCHIE DI SANTO STEFANO DI SESSANIO Le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio sono coltivate esclusivamente nei terreni agricoli ai piedi del Gran Sasso aquilano, nei territori di Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Barisciano, Castelvecchio Calvisio e Castel Del Monte, a quote cosi elevate (tra i 1000 e i 1500 metri di altitudine!) che non vengono attaccate dai parassiti dei semi. Sono più piccole e più scure delle altre, non hanno bisogno di ammollo preliminare alla cottura, cuociono più rapidamente e non si spappolano. Contengono quasi il doppio di ferro rispetto alle colleghe “normali” (8,9 mg contro i normali 5,4 mg per ogni 100 g) e un basso contenuto di lipidi. Diverse fonti lasciano pensare che la loro coltivazione in Abruzzo fosse praticata già nell’epoca medievale, anche in termini piuttosto importanti visto che un contratto monastico del 998 rivela che le lenticchie erano sottoposte al canone livellario. Vengono seminate in primavera e raccolta verso agosto. Dal 2008 questo presidio Slow Food è protetto anche da un’associazione per la sua tutela e valorizzazione.

prestigio, anzi ci sono invidiati loro: il di quest’anno. Non hanno stati pecorino canestrato di Castel Del Monte, nulla da invidiare, ai profondamente legato alla transumanza; le di Santo Stefano di Sessanio, che cibi del mondo, in lenticchie contengono più ferro delle lenticchie normali; termini di veracità, e soprattutto la profumatissima mortadella legame al territorio e di Campotosto, irrinunciabile e preziosa I presìdi abruzzesi Slow Food hanno trovato una perfetta collocazione nel tema


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ghiottoneria tutta nostra. I presìdi erano affiancati dalle “Bancarelle” di rappresentanti eccellenti del territorio, come il Consorzio Produttori aglio rosso di Sulmona, l’A.r.p.o. (associazione regionale produttori ovi-caprini d’Abruzzo), l’A.r.a. (associazione regionale allevatori d’Abruzzo), il Consorzio “Tuber – il tartufo d’Abruzzo”, il Consorzio per la tutela dello zafferano dell’Aquila e il Consorzio produttori solina d’Abruzzo.

Numerosi sono stati i laboratori del gusto organizzati nello stand Abruzzo: dai mieli allo zafferano dell’Aquila, dalla promozione del ritorno del maiale nero fino alla cucina “della paranza”, per la valorizzazione della piccola pesca. Pasta fatta in casa con acqua e farina, patate Turchesa e del Fucino, il pomodoro a pera d’Abruzzo, razza bovina marchigiana, i novelli oli extra vergine d’oliva, prosciutti italici e frumento di solina hanno rappresentato in


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Il paradigma che regola questo mondo in crisi si può rivoluzionare a partire dal cibo: possiamo fare qualcosa di buono per la nostra salute, l’ambiente e il sistema produttivo senza rinunciare al piacere del cibo e alla convivialità I PRESIDI SLOW FOOD PECORINO CANESTRATO DI CASTEL DEL MONTE Questo formaggio artigianale, stagionato dai 2 ai 10 mesi, è ottenuto dal latte crudo di pecora coagulato con sale e caglio di vitello o di agnello. Il nome “canestrato” viene dalle impronte, impresse sulla crosta, del canestro utilizzato tradizionalmente per la messa in forma del prodotto. Sulla crosta scura si possono presentare diverse muffe tipiche degli ambienti di stagionatura scelti per lui, come cantine in mattoni e pietra, mentre la pasta, dura e dal colore giallo paglierino, ha un’occhiatura appena visibile ma sprigiona un odore complesso e intenso. Ha una piccantezza intensa ma non invadente, che lo rende buono sia da taglio sia grattugiato. Le forme, cilindriche e dalle facce piane, pesano da un chilo e mezzo fino ai 15 Kg. Storicamente questo formaggio rappresenta la transumanza. Secondo la Guida ai prodotti tradizionali abruzzesi (Arssa, 2006), il suo legame con il pascolo è determinante per aromi e sapori: particolarmente intensi sono, infatti, quelli dei Canestrati prodotti nei mesi tra maggio e giugno, periodo di maggiore fioritura e rigoglio. Dal 2005 è sotto la protezione del Consorzio di tutela omonimo.


UN DISCIPLINARE PER L’ARROSTICINO D’ABRUZZO Noi lo abbiamo annunciato già nel numero 25, ma da ottobre 2012 l’annuncio è diventato realtà: durante il Salone del gusto è stato sottoscritto il protocollo d’intesa tra la direzione agricoltura della giunta regionale, l’Associazione regionale allevatori (A.r.a.) e l’Accademia dell’arrosticino d’Abruzzo (Acarb) per l’istituzione del marchio “Buongusto – l’Arrosticino d’Abruzzo”. D’ora in poi, chi vorrà fregiarsi di questo marchio dovrà preoccuparsi della tracciabilità del prodotto e dell’adesione ad un disciplinare che coinvolge i settori di produzione, allevamento, trasporto e macellazione degli ovini, fino alla preparazione degli arrosticini e al loro confezionamento. Le principali peculiarità dell’arrosticino d’Abruzzo saranno abruzzesità della materia prima, frollatura particolare e stecchino serigrafato.


maniera completa un Abruzzo desideroso di far conoscere il meglio di sé. Molta importanza è stata data anche al vino: ogni giorno, i relatori Pierluigi Cocchini, Davide Acerra e Massimo Di Cintio hanno introdotto un aperitivo Slow con presentazione dei principali vitigni abruzzesi e degustazione guidata di alcune etichette presenti nella

protagonisti il Montepulciano d’Abruzzo, il Trebbiano, il Cerasuolo e i vini a fermentazione spontanea.

guida Slow Wine:

A pranzo e a cena si sono alternati all’interno dello stand Abruzzo una serie di chef e ristoratori che hanno preparato le diverse specialità locali per i visitatori prenotati: l’istituto alberghiero di Villa Santa Maria (Ch) e gli allievi di “Niko Romito Formazione” di Castel di Sangro (Aq), e poi i ristoranti “Clemente” di Sulmona (Aq), “La Bilancia” di Loreto Aprutino (Pe), “Taverna 58” di Pescara, “L’Angolino da Filippo” e la “Bottega Culinaria Biologica” di San Vito



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Al Salone del gusto è nato ufficialmente il marchio “Buongusto – l’Arrosticino d’Abruzzo», con la firma pubblica di un accordo tra la direzione agricoltura della giunta regionale, Ara e Acarb I PRESIDI SLOW FOOD MORTADELLA DI CAMPOTOSTO Conosciuta anche come “coglioni di mulo” per via dell’inconfondibile insaccatura a coppie e riconoscibile per l’imbracatura a quattro spicchi, perfettamente aderente al budello, una volta tagliata la mortadella di Campotosto (Aq) svela un ghiotto cuore bianco dovuto alla caratteristica barretta di lardo inserita durante la preparazione. È possibile consumarla dopo circa tre mesi dalla macinatura, quindi orientativamente a maggio, ma raggiungono l’apice del gusto nella tradizionale Sagra della mortadella, che si svolge la seconda domenica di agosto a Campotosto, ma di fatto le scorte si esauriscono già nei primi mesi dell’anno. Documenti storici accertano la produzione di tale tipologia di salume in questa zona fin dal 1796. Di forma ovoidale, del peso medio di 400-500 g, questo profumatissimo insaccato viene preparato seguendo una tecnica particolare: la macinazione molto fine delle parti più magre del maiale, il condimento a base di sale, pepe e vino bianco e la maturazione dell’impasto per almeno 24 ore con infuso di cannella e chiodi di garofano ne sono alla base. La lavorazione della carne avviene a dicembre: dopo essere composte in quella forma singolare, le mortadelle vengono profumate con vino, scorza d’arancia e chiodi di garofano, insaccate e cucite a mano in un budello. Ai fini della sua tutela e della sua valorizzazione, nel 2008 si è costituita l’associazione dei produttori della mortadella di Campotosto, i cui aderenti seguono un preciso disciplinare tecnico di produzione.



c come inserto / Salone del gusto 2012 Chietino (Ch) e “La Piazzetta” di Sant’Omero (Te). Niko Romito ha adempiuto appieno alla responsabilità di rappresentare il territorio abruzzese aprendo la fiera con una lezione di cucina, presso lo stand Garofalo, e proseguendo nella stessa serata, con gli “appuntamenti a tavola”, dove ha dato vita a “Romito è Reale”, interpretando alcuni prodotti del nostro territorio e abbinandoli alla Cantina Masciarelli. Il giorno successivo ha condotto il laboratorio del gusto “Dell’agnello abruzzese non si butta via niente”, mentre nel pomeriggio, all’interno dello spazio lo Slow Food Educa, nell’appuntamento il “Quinto quarto, la cucina senza sprechi” ha fatto preparare per visitatori piatti prelibati realizzati usando le parti di


alcuni animali considerate meno nobili. La scuola Niko Romito Formazione ha presentato a giornalisti ed addetti ai lavori, insieme all’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (partner istituzionale del progetto), dei nuovi corsi. Niko ha infine discusso di “cucina consapevole” nell’incontro “Imparare a Cucinare”, evidenziando l’attenzione verso il gusto dei prodotti e verso il valore della biodiversità agroalimentare.


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LA CULTURA ENOGASTRONOMICA

ABRUZZESE IN UN FREEPRESS

>> Editore Modiv s.n.c. Sede legale: Viale Matrino 36, 65013 Marina di Città Sant’Angelo (Pe) Tel/fax 085.959746 - cell. 388.7960830 www.modiv.it - info@modiv.it. C come magazine è un bimestrale di cultura enogastronomica abruzzese a distribuzione gratuita. Registrazione presso il Tribunale di Pescara n° 7/08 del 31/03/2008.

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c comeMagazine Sommario

Inserto: Speciale Salone del Gusto 2012

c come rubriche

05 Editoriale / 07 Informazione / 08 Fotoreportage / 12 Food design 26 Packaging / 61 Libro / 62 News / 64 Controeditoriale

c come speciale bianco

36 Latte / 42 Ricette / 44 Storia / 46 Mozzarella / 48 Trebbiano / 52 Recupero

c come vi consigliamo

14 Fattoria La Valentina / 22 Feudo Antico / 28 Vitellone Bianco / 32 Regali

c come abruzzo

18 Nicola Rapino / 56 Rassegna

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Approved Event


c come editoriale

DI CRISTINA MOSCA - DIRETTORE RESPONSABILE C COME MAGAZINE

Benvenuti nell’Era dell’Aquario Si dice che il 21 dicembre siamo entrati in quella che viene definita Era dell’Aquario (la mia amica astrologa Rita La Rovere mi ha insegnato che si scrive così, senza il gruppo cq). Tra le mie letture casuali mi è capitato di incrociare un post pubblicato su un sito che si chiama fuoriradio. com. È del marzo 2011 e viene riportata una lezione di un corso che tale professoressa Viviana Vivarelli avrebbe tenuto a Bologna, seguendo il suo libro “Lo specchio più chiaro” su Carl Gustav Jung. Non la conosco e non ne conosco l’affidabilità. La descrizione che viene fatta dell’era che ci aspetta, tuttavia, mi è suonata come il miraggio di un futuro più forte e più giusto, in cui sentirsi meno soli e più gratificati: perciò mi è piaciuta. Secondo la prof. Vivarelli, “l’era dell’Acquario sarà l’era dei gruppi, dei movimenti, delle associazioni, delle reti senza capi o regole o strutture, con ordini sociali diversi da quelli gerarchici tradizionali”, perché “l’Aquario indica intelletto superiore, idealismo (che è diverso da ideologia), concetti universali e alti progetti collettivi”. Mi piacerebbe che fosse davvero così. Perciò è

esattamente in questa chiave che ve la lascio. “I figli dell’Acquario cercheranno principi universali validi per tutti i popoli e lavoreranno per una coscienza planetaria, in cui, per la condotta etica, non si seguirà più (...) una struttura rigida di potere, ma si farà azione pratica di salvezza mediante la pratica diretta. Non ideologie ma ideali. Non ubbidienza passiva ma autoconsapevolezza. Non dipendenza ma autonomia. Non massificazione ad opera delle propagande di regime ma spirito critico e rinascita, partendo da se stessi. Il nuovo sapere si fonderà sull’organizzazione di gruppo, sull’esperienza personale, sull’espansione della coscienza, creando un pensiero universale, operativo e sociale, che cresce collettivamente, partendo dalla rinascita del singolo ma in una prospettiva transpersonale e secondo un’etica praticata. Il percorso d’anima non sarà più basato sul trascendente ma sull’immanente, sull’esperienza diretta e sul lavoro collettivo a favore del mondo.”

«Non ideologie ma ideali. Non ubbidienza passiva ma autoconsapevolezza. Non dipendenza ma autonomia. Non massificazione ad opera delle propagande di regime ma spirito critico e rinascita, partendo da se stessi» PAG 5 / C COME EDITORIALE



c come informazione DI ROBERTO ARDIZZI, CONSULENTE SGQ

Turismo enogastronomico Il futuro è nel web marketing Abruzzo “regione dei parchi”, no... “dei monti”, no... “della costa”, anzi... “delle eccellenze enogastronomiche”, o forse... Sono tanti i messaggi lanciati all’Italia sulle qualità della nostra regione, ma qual è alla fine l’immagine che passa? e come si muove il potenziale acquirente del brand Abruzzo? Se focalizziamo la nostra attenzione sulle potenzialità del turismo enogastronomico – “nicchia” che sta conoscendo una crescita all’apparenza senza sosta – la nostra Regione presenta una serie di eccellenze “democraticamente” ubicate su tutto il territorio. A tale riguardo un recente studio di ISNART, centro studi di Unioncamere, porta in primo piano il rilevante apporto delle produzioni enogastronomiche nella scelta dei turisti, sia italiani che stranieri. Uno dei punti dolenti però rimane la fase comunicativa e - nella fattispecie - l’utilizzo del marketing (MKTG) 2.0: ancora non vi è raccordo tra le esigenze dell’obiettivo (target) “market” e la rapidità di risposta, che dovrebbe passare naturalmente sul web. In termini di divulgazione generale dell’immagine, ad oggi i principali canali che veicolano le informazioni sul territorio regionale sono il passaparola e la propria esperienza di vacanza (in entrambi i casi: 36% circa). Possedere una casa sul territorio (18% per gli stranieri; 19,1% per gli italiani) rientra tra i fattori di convenienza della scelta (economica, oltre che di riduzione

dell’impegno nella ricerca dell’alloggio e della meta di vacanza); tuttavia questi fattori riguardano già la fase del “riacquisto” di un pacchetto turistico. In generale risulta più che evidente un ridotto utilizzo del canale ad oggi “principe” per la ricerca di informazioni: internet. I dati statistici riportano che gli Italiani lo usano in una percentuale del 16,8% mentre gli stranieri sono al 29,6%; non si può quindi prescindere dal comunicare (e comunicare bene...) sul web. Se si fa un raffronto sulla presenza dei nostri operatori e produttori enogastronomici sulla rete, si evidenzia che molti di essi appoggiano le loro pagine e informazioni su siti istituzionali, ad esempio con un link nel sito del Comune o della Provincia di residenza, oppure fanno passare le comunicazioni esclusivamente sui social network: la classica pagina su Facebook. Lo stesso studio di ISNART riporta questa evidenza e ne sottolinea le problematiche connesse: l’internauta ha bisogno di informazioni esaustive non solo sull’azienda, sui prodotti e sui servizi, ma anche sul territorio di riferimento. La vendita on line e la spedizione dei prodotti sono ormai una prassi in moltissime province e regioni a vocazione agricola, eppure in Abruzzo la vendita “diretta” è ancora prevalente: si pensi alle Cantine Sociali e alla vendita del vino sfuso. Cosa serve alle nostre eccellenze enogastronomiche? Visibilità, aggiornamento continuo, velocità di accesso alle informazioni e soprattutto la loro fruibilità … in sostanza un ABRUZZO 2.0!

«L’utilizzo del marketing 2.0 è uno dei punti dolenti della comunicazione di ancora troppe aziende abruzzesi: non basta la pagina Facebook, l’internauta non solo ha bisogno di informazioni esaustive sull’azienda, sui prodotti e sui servizi, ma deve anche poter comprare on line» PAG 7 / C COME INFORMAZIONE


c come fotoreportage DI ROBERTO PARISIO / FOTO_MODIV

Legumi party Locanda dei Parchi Dieta mediterranea

Legumi party

Grande successo, al porto turistico Marina di Pescara, per la quarta edizione di “Legumi Party”. La rassegna è nata nel 2009 per esaltare prodotti (i legumi, appunto) che non hanno mai avuto grande esposizione mediatica, e si avvale dei patrocini dell’assessorato regionale all’Agricoltura e della Camera di Commercio di Pescara. Per tre giorni, dal 30 novembre al 2 dicembre 2012, quaranta espositori hanno accolto i numerosi visitatori, presentando i loro “gioielli” gastronomici. A fare da cornice c’erano i gustosissimi risotti di Santino e Luigi Strizzi, cucinati con le lenticchie, i ceci e i fagioli. Presenti anche le cooperative pianellesi Capo e Plenilia, produttrici di olio extravergine di oliva, che hanno rappresentato il Consorzio di Tutela Dop Aprutino Pescarese. Nicola Genobile, oltre alla celebre porchetta, ha portato a “Legumi Party” i suoi salumi, mentre Giogoloso, mago-artigiano del gelato, ha divertito i più piccoli con le sue straordinarie doti da entertainer. La manifestazione ha ospitato altresì alcuni manufatti dell’artigianato tradizionale abruzzese. Non solo: quest’anno Legumi Party è stata dedicata al nuovo marchio “Buongusto, l’Arrosticino d’Abruzzo”, da poco riconosciuto dalla Regione. (Foto e testo di Massimo Giuliano)

PAG 8 / C COME FOTOREPORTAGE


La locanda del Pompa diventa dei Parchi

Fino a pochi mesi fa era conosciuta come La Locanda del Pompa, storica realtà teramana fondata da Elio Pompa, patron della cucina tradizionale del territorio. Oggi è la Locanda dei parchi e si è caricata di una responsabilità in più: raccontare, attraverso la cucina, l’intera area. «La nostra aspirazione è riuscire a suscitare emozioni», spiega Walter Mazzitti, che divide le sorti di questa nuova avventura insieme a Paolo Pompa, figlio di Elio, e allo staff del ristorante. La formula nuova prevede apertura solo le sere del venerdì e del sabato e la domenica a pranzo; ogni fine settimana viene lanciata l’idea di un menu a tema, pensato intorno a precisi itinerari di scoperta del patrimonio del Gran Sasso. Alcuni esempi: la patata turchesa, prodotta all’interno del Parco; i funghi porcini; le zuppe della tradizione e sapori di stagione. Per essere informati sulle cene a tema: info@lalocandadeiparchi.it

AZIENDA ZIENDA PREMIATA A

CONCORSO ORSO ENOLOGICO INTERNAZI INTERNAZIONALE

2009 - 2010 - 2011

SELEZIONE NAZIONALE VINI DA PESCE

2008 - 2009 - 2010 - 2011

3° CONCORSO ENOLOGICO NAZIONALE

2011

qualità è il nostro mestiere

la

Dieta mediterranea, senza il sole non funziona.

Olio d’oliva ed esposizione al sole sono il binomio che rendono vincente la dieta mediterranea. Nel convegno “La dieta mediterranea: le eccellenze d’Abruzzo” che si è svolto a Chieti il 7 novembre Adolfo Panfili, presidente A.i.m.o., ha ricordato che questo stile di vita si distingue perché nato tra popolazioni esposte al sole. «Il punto di forza delle popolazioni mediterranee è l’esposizione al sole – ha dichiarato – Il colesterolo non si abbassa con un utilizzo smodato di pasta e pane o di olio extravergine di oliva, ma stando all’aperto». Stress e cattiva alimentazione mantengono il corpo in costante stato di allarme e favoriscono l’accumulo di grasso e quindi di tossine. Il convegno è stato organizzato dal movimento FareAmbiente e Co.t.ir. L’esigenza di tracciabilità dei prodotti anche nei ristoranti e di materie prime autoctone è stata l’argomento principe di tutti i relatori, tra cui l’onorevole Salvatore Grillo (FareAmbiente), il genetista Michele Stanca (presidente Unasa), il ricercatore Co.t.ir Elvio Di Paolo e il docente di enogastronomia Sergio Di Giulio. Al convegno hanno presenziato 200 studenti di 4 scuole secondarie di secondo grado di Chieti.

Azienda Agricola F.lli Biagi C.da Civita, 14 Colonnella (TE) Tel. 0861 714066

www.aziendaagricolabiagi.it


c come fotoreportage DI ROBERTO PARISIO / FOTO_MODIV

Festival delle letterature Ais Abruzzo

Amici del Festival delle Letterature di Pescara

Ci siamo proposti come media partner per il decimo Festival delle Letterature dell’Adriatico che si è svolto a Pescara dal 15 al 18 novembre 2012, e ne siamo orgogliosi. Abbiamo respirato la voglia di restare intellettualmente vivi degli oltre 7.000 spettatori che hanno assistito ai circa 70 appuntamenti organizzati prevalentemente tra via delle Caserme e corso Manthoné, nel centro storico di Pescara, e siamo stati contenti di aver contribuito anche noi. Abbiamo curato due incontri precedenti gli aperitivi letterari, offerti quest’anno dalla Cantina Citra: sono stati serviti quasi 1.000 calici di vino tra Pecorino spumantizzato, Cerasuolo d’Abruzzo e Montepulciano d’Abruzzo doc, più una bottiglia Magnum di Montepulciano d’Abruzzo “Caroso” lasciata in dono ad alcuni autori ospiti del Festival. Noi abbiamo portato a Pescara Adua Villa, noto volto televisivo della “Prova del cuoco”, che abbiamo conosciuto a settembre grazie alla manifestazione Chieti Mostra Libri organizzata dall’associazione AbruzziAmoci. Adua Villa ha presentato il libro “Un sommelier per amica” e ha dato anche al pubblico alcuni consigli pratici e informali su come scegliere il vino, dalla semplice lettura dell’etichetta sulla bottiglia a come va servito. Il secondo incontro è stato presentato dalla nostra collaboratrice Antonella D’Orazio ed ha visto protagonisti il ricercatore di tradizioni Antonio Di Lello e il cuoco Antonio Stanziani, autori del libro “La cucina dei luoghi di San Francesco Caracciolo, patrono dei cuochi d’Italia” (Tabula editore), su aspetti meno noti della vita del santo protettore nei cuochi, originario di Villa Santa Maria (Ch).

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Fine 2012 con l’AIS Abruzzo

Un 2012 ricco di riscontri e di qualità quello che si è chiuso sulle attività dell’Associazione Italiana Sommelier Abruzzo. Ai primi di novembre la sala consiliare del Comune di Pescara è stata gremita come di consueto per la cerimonia di consegna dei 30 riconoscimenti “Pescara Abruzzo Wine”, organizzato da Ais Pescara (l’elenco dei premiati è su ccomemagazine.it). All’inizio di dicembre gli appassionati si sono riversati a centinaia nello Sporting hotel “Villa Maria” di Francavilla per scoprire i vini “cinque grappoli” della Guida Bibenda 2013. Questo gran Galà del vino d’Abruzzo è stato l’occasione per parlare di vino biologico e vino naturale in un’accesa tavola rotonda a cui hanno partecipato i produttori Franco D’Eusanio, Cristiana Tiberi e Sofia Pepe, l’enologo Luca D’Attoma e il giornalista Giampaolo Gravina. (Foto Mario Sabatini/Modiv)

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c come food design

DI LUDOVICA PERSICHITTI - LUDOVICA.ARCHITETTURA@GMAIL.COM FOTO_ANDREA CETRULLO

Le forme del pane nostrum

Simbolo di nutrimento della cultura mediterranea, il pane è un semplicissimo, essenziale e perfetto esempio di forma di cibo. Declinato in forme di ogni genere, riporta spesso figure decorative che spaziano dai simboli arcaici agli elementi ornamentali più naif: stemmi, nodi, trecce, corone. Tutto ciò che è plasmabile in preparazione, e che in cottura mantiene la forma ideata, è stato in passato, ed è tuttora, sviluppato in molteplici varianti. Gli antichi Greci, ad esempio, producevano più di 70 qualità di pane e sfruttavano la modellabilità dell’impasto per creare grandi pagnotte a forma di capra da offrire a Demetra. Oggi, se ci pensiamo, la sola parola pane comprende una moltitudine di prodotti. Ma perchè forme e tipologie sono così numerose? Si tratta di un mero artificio estetico, o le peculiarità di un impasto particolare danno davvero il massimo risultato con una determinata forma, nel rispetto del principio di Sullivan “la forma segue la funzione”? Vale la pena approfondire l’argomento e chiarire ogni aspetto direttamente dagli esperti del settore. Per fare questo ho scelto “Pane Nostrum”, manifestazione monografica sul pane che si è svolta a Senigallia dal

20 al 23 settembre 2012. Nel suggestivo scenario della Rocca Roveresca, tra forni a cielo aperto, eventi espositivi, incontri e laboratori di panificazioni, ogni anno il Comune di Senigallia, la Confcommercio e la C.I.A. della Provincia di Ancona mettono in scena il racconto della fantasia e delle tradizioni del pane, coinvolgendo maestri panificatori e attori d’eccezione come Moreno Cedroni e Mauro Uliassi, per declinare il “pane nostrum” nelle forme e nei modi più personali. Da una parte mani che lavoravano, avvolgevano, accarezzavano e intagliavano, dall’altra centinaia di pani, panini, filoncini, spolette e focacce in esposizione: talmente tanti da desiderare di provarne di ciascuno il sapore. Come sottofondo a questo profumo di buono e farine di ogni tipo, si mescolavano parole e lingue di nazionalità distanti. E prendere parte al laboratorio di panificazione del Maestro Antonio Cipriani e rendermi conto del perchè di quelle forme, che rappresentano il giusto mezzo tra fantasia e funzionalità, e capire che il rito del “fare il pane” non è solo questione di ingredienti bensì la perfetta orchestrazione di elementi come fantasia e rappresentazioni allegoriche di cui “il nostro amico tempo” (come lo chiamava il maestro panificatore) è direttore.

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c come vi consigliamo

Sabatino Di Properzio

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c come vi consigliamo

REDAZIONALE / FOTO_MODIV

Ecco i vini più premiati de La Valentina

È sempre bello condividere momenti di particolare gratificazione con le persone di cui si ha stima. Per questo a novembre 2012 la Fattoria La Valentina si è concessa un momento di confronto e condivisione con operatori del settore enogastronomico, giornalisti e degustatori di vino per festeggiare un bel risultato: il Montepulciano d’Abruzzo doc “Spelt” ha ricevuto il riconoscimento dei tre bicchieri dalla guida Gambero Rosso per il terzo anno consecutivo. Dei “tre bicchieri” dell’edizione 2013 è stato insignito lo “Spelt” 2008, mentre agli “Spelt” 2007 e 2005 sono andati i “tre bicchieri” delle edizioni precedenti. L’azienda ha perciò proposto una verticale di cinque annate: le 2005, 2007 e 2008 e addirittura una del 2000 e una del 2001, quest’ultima giudicata con 90/100 dal Wine advocate e dal Wine Spectator e con 91/100 dalla guida Veronelli. «Teniamo particolarmente allo “Spelt” – ha spiegato Sabatino Di Properzio, titolare de “La Valentina” – perché il livello di attenzione che gli viene dedicato in cantina non è mai sceso di un solo millimetro. Ha iniziato il suo percorso come selezione nella vendemmia del 1997, e il protocollo di vinificazione non è cambiato: viene prodotto ancora dalla scelta delle migliori uve di tutti i nostri vigneti. Siamo contenti, perciò, che alla fine ci sia stata questa risposta sia dalla critica, sia dai consumatori».

Lo Spelt si propone come un tributo a Spoltore, sede della Fattoria “La Valentina”, perché con questo nome i longobardi chiamavano il farro, coltivato anche sulle colline spoltoresi e da cui la città ha preso il nome: le spighe presenti nello stemma comunale, infatti, sono di farro e non di grano come invece si sarebbe portati a pensare. Fermentato e macerato per circa tre settimane in tini d’acciaio verticali, lo Spelt viene travasato in parte in botti di rovere da 25 hl e in parte in barrique nuove e di secondo passaggio. La fermentazione malo lattica è spontanea e l’affinamento dura circa 18 mesi, poi il blending viene accuratamente scelto, botte per botte, per passare un altro periodo di sosta in rovere e venire affinato in bottiglia per un anno, prima della commercializzazione. La sua produzione è cresciuta del 10/15% rispetto all’inizio, fino a raggiungere oggi circa 40mila bottiglie l’anno. In questo periodo l’azienda si sta finendo di occupare dell’annata 2009. La verticale sullo “Spelt” del 5 novembre è stata guidata dal giornalista del “Gambero Rosso” Alessandro Bocchetti, che ha messo in rilievo le consistenze e le qualità delle diverse annate. È stato sorprendente come tra il vino del 2000 e quello del 2001 sembrasse «passato un decennio, invece che un anno solo: il secondo si è presentato compatto al naso e in forma splendida, il primo aveva una spiccata nota agrumata e si configurava “roccioso”». Un tono roccioso

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Il Montepulciano d’Abruzzo doc Spelt 2008 rappresenta il terzo “tre bicchieri” della guida Gambero Rosso riconosciuto a questo vino.

La produzione dello Spelt è cresciuta del 10/15% rispetto all’inizio, fino a raggiungere oggi circa 40mila bottiglie l’anno

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confermato anche dall’«esuberanza classica e sentori salmastri al naso» dell’annata 2007, mentre lo “Spelt” 2005 ha conquistato tutti con la sua compattezza, la fittezza della trama tannica e la compostezza. Bocchetti l’ha definito «quasi masticabile: un vino che ha ancora molto da dire». Se il Montepulciano d’Abruzzo doc “Spelt” è stato il re della giornata, occorre nominare i principi “Binomio” e “Bellovedere” che si sono fatti apprezzare a tavola. Anche loro hanno fatto parlare di sé in quest’ultimo anno, grazie a dei bei riconoscimenti da parte di numerose realtà enogastronomiche di tutto il mondo. Ad esempio un anno fa esatto, il 31 dicembre 2011, sul Corriere della sera il giornalista Roberto Perrone

assegnava al “Bellovedere” 2006 il riconoscimento informale della “Scorribanda” come vino dell’anno, e a maggio veniva consacrato dalla rivista “Il mio vino” come vino del mese. Nello stesso 2011, il “Binomio” 2007 ha ricevuto 93 punti su 100 dal Wine Advocate di giugno, un “super 3 stelle” dalla Guida Veronelli 2012 e 5 grappoli Ais nella guida Duemilavini. «Mettersi in gioco e cercare il confronto è sempre molto importante per chi vuole fare un vino di qualità – conclude Sabatino Di Properzio – Tuttavia riteniamo che ogni filosofia aziendale debba essere fedele a se stessa, e puntare lo sguardo al di là di premi e di certificazione: i nostri primi concorrenti siamo noi, e il nostro primo obiettivo è superare noi stessi».

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Geometrie di spada, zucca & patate

ÂŤGiochiamo sulle consistenze e sui sapori, ma senza essere irriverenti. Il gusto deve mantenere una sua riconoscibilitĂ , pur cogliendo di sorpresaÂť


c come Nicola Rapino DI CRISTINA MOSCA / FOTO_MARIO SABATINI

A Francavilla la cucina dei colori Avremmo voluto guardarla, circa 7 anni fa, l’espressione del primo cliente che si vide servire una “piccola colazione” a base di pesce sulla tavola apparecchiata di Nicola Rapino: un “cornetto” fatto di ricotta e pomodoro candito, “farcito” con una mazzancolla e servito insieme ad una tazzinacappuccino con crema di patate.

Certo gli sarebbe stato subito chiaro che con il cuoco non c’è da restar seri: una personalità tanto garbata quanto creativa, che in cucina non sa limitarsi alla “manovalanza” ma vuole conoscere, sperimentare, scoprire. «La presentazione del piatto è sicuramente la parte più divertente – spiega – e non a caso è sempre stata la mia preferita. Ma non basta: la freschezza e la stagionalità delle materie prime deve essere il primo fattore, a costo di uscire dalla regione per avere la giusta qualità. Nel settore del pesce, specie per me che adoro trattare il crudo, è imprescindibile per un buon risultato». L’avventura ne “L’angolino sul mare”, il ristorante di famiglia sospeso sull’Adriatico in contrada Setteventi di Francavilla al mare, è cominciata all’inizio del millennio grazie alla passione di mamma Elisabetta Lonero per la gastronomia. «Mi è sempre piaciuto girare per ristoranti con mio padre – spiega Nicola – perciò quando ragioniamo su un nuovo menu, in genere ogni paio di settimane, ci immedesimiamo sempre in chi ha “le ginocchia sotto il tavolo”: giochiamo sulle consistenze e sui sapori, ma senza essere irriverenti. Il gusto deve mantenere una sua riconoscibilità, pur cogliendo di sorpresa». Mamma Elisabetta è tuttora braccio destro in cucina, e le sorelle Francesca e Cristina portano avanti la gestione del ristorante in sala. Chissà anche cosa deve aver pensato il primo commensale che assaggiò il “carpaccio tiepido”, oppure il “brodetto crudo”, in cui il brodo caldo viene versato su una fondina con i pesci usati per il brodetto, ma crudi, senza tuttavia cuocerli. La mente da quasi ingegnere ambientale (è ad un passo dalla laurea) di Nicola Rapino combina sfizio, eleganza e brio in un solo piatto. Un senso dell’estetica ereditato dai genitori gli fa comporre le portate pensando in termini di arancione, rosso, verde, ma senza prescindere dalla sostanza. Fino al 2007 ha onorato l’Abruzzo come ospite fisso della Prova del Cuoco, su Rai Uno, godendo del confronto con le persone di fuori regione e alimentando la sua creatività con quello che qui avrebbe difficilmente imparato: «Ognuno impara a valorizzare i prodotti che contraddistinguono il suo territorio – spiega – perciò avviene un bellissimo scambio di esperienze e di consigli. Solo così è possibile crescere, in un settore, perfezionando le regole». PAG 19 / C COME NICOLA RAPINO


“Geometrie di spada, zucca & patate� Ingredienti per 4 persone:

Per i club sandwich: 800 g di filetto di spada, 300 g polpa di zucca gialla cotta in forno, 300 g patate lesse, timo, sale olio. Per il tortino di zucca: 100 g di polpa di zucca, 100 g di patate, 2 uova, timo, pan grattato, crema di zucca, 100 g di polpa di zucca, 1 spicchio di aglio, 1 peperone dolce secco, brodo di vongole, crema di patate, 100 g di patate lesse. Per la salsa di zucca: zucca gialla 300 g (polpa pulita), 1 patata, aglio, timo, olio extra vergine, sale e brodo vegetale Per i club sandwich: tagliare a fette di circa mezzo centimetro il pesce e rifinirle dandogli forma triangolare. Schiacciare con una forchetta le patate insieme ad olio, sale e timo, e la zucca allo stesso modo, ottenendo due distinte farce. Farcire i triangoli di pesce alternando uno strato di patate e uno di zucca, salare e cuocere in forno misto, a 150 gradi per 30 minuti. Al momento di servire, scottare in padella calda. Per il tortino di zucca e patate: unire gli ingredienti in una ciotola e cuocere come una frittata. Una volta cotta, rifinire i lati dando una forma rettangolare. Per le patate croccanti: tagliare le patate con una grattugia e sciacquare bene sotto acqua corrente per togliere tutto l’amido. Tamponare e friggere in olio di arachide. Preparare le due salse di zucca e patate frullando con il brodo di vongole. Impiattare mettendo alla base il tortino di zucca, poi i sandwich di spada; decorare con le due salse, le patate croccanti e il timo fresco.

C COME FRATELLI DI TILLIO


“Mec” seppia

Ingredienti per 4 persone:

Per gli hamburger: 4 panini al nero di seppia, 2 seppie medie, 2 patate lesse, pan grattato, 4 scaloppe di fegato grasso d’oca, 4 foglie di insalata, timo, olio, sale. Per le salsicce: tentacoli delle seppie, pasta kadaifi, 1 foglio di colla di pesce, olio di arachide (per friggere), maionese al nero di seppia, olio, sale. Per le stick di seppia: ali e ritagli di seppia, farina di semola, olio di arachide Per gli hamburger: Tagliare a quadretti i corpi delle seppie; schiacciare le patate con i lembi di una forchetta e aggiungerle alle seppie, regolando di sale e profumando con del timo fresco. Con dei dischi di acciaio formare degli hamburger e cuocere in forno a vapore a 80 gradi per 30 minuti. Spolverare con del pan grattato e all’ultimo scottare in una padella antiaderente. Scottare le scaloppe di foie gras per un minuto per lato in padella. Comporre il panino: tagliare a metà il pane e scaldarlo in forno, farcirlo con l’hamburger di seppia, il foie gras e la foglia di insalata. Tenere in caldo. Per le salsicce: cuocere i tentacoli nel forno a vapore per 1 ora a 80 gradi. Aggiustare di olio e sale e frullare in un cutter; ammollare la gelatina, strizzarla e unirla al composto. Una volta freddo, con l’aiuto di una sacca da pasticcere formare delle salsicce e avvolgere nella pasta kadaifi. Friggerle in abbondante olio di arachide. Per le stick di seppia: tagliare le ali e la restante seppia a forma di bastoncini, infarinarle, scuoterle dall’eccesso di farina e friggerle. Impiattare l’hamburger, le stick e la salsiccia decorando con la maionese al nero. PAG 21 / C COME NICOLA RAPINO


c come vi consigliamo

L’enologo Riccardo Brighigna. In alto: Andrea Di Fabio, direttore di FeudoAntico

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REDAZIONALE / FOTO_FEUDO ANTICO

Via Perruna - 66010 Tollo Tel. +39.0871.969128 www.feudoantico.it info@feudoantico.it

Feudo antico: la naturalità anche in cantina

Per raggiungere Tollo si percorre la strada che da Pescara porta ad Ortona, seguendo la costa. Arrivati al bivio, lungo stradine tortuose si sale la collina, in cima alla quale sta la cittadina che domina il paesaggio. Il clima qui è l’ideale per la viticoltura, influenzato dalle brezze provenienti dal mare e dalle escursioni termiche tra il giorno e la notte, dovute alla vicinanza del massiccio della Maiella e del mare Adriatico. Entrando a Tollo l’attenzione è colpita dai cartelli blu di Feudo Antico, che indicano i vigneti aziendali, ovvero quelli collocati nelle posizioni migliori. Il comune di Tollo, infatti, conta 4.200 abitanti, quasi tutti viticoltori, ma solo 20 fanno parte di Feudo Antico. La principale produzione aziendale è la doc Tullum, una delle più piccole doc d’Italia, che comprende esclusivamente il comune di Tollo. Il riconoscimento è stato assegnato perché, da sempre, l’area è conosciuta per la propria vocazione alla viticoltura di qualità. Recentemente Feudo Antico ha sviluppato un nuovo

ed ambizioso progetto con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale e produrre vini biologici nel rispetto della nuova normativa europea Reg 230/2012 che, a partire dalla vendemmia 2012, autorizza a riportare in etichetta la dicitura “vino biologico” (e non più “vino prodotto da uve da agricoltura biologica”) a fronte di parametri precisi in vigneto e cantina. «Il regolamento 230/2012 andrà a fare chiarezza nel comparto, a tutela del consumatore – afferma Andrea Di Fabio, direttore di Feudo Antico - Attualmente noi produciamo due referenze biologiche, il Tullum Bianco e il Rosato, che si affiancano alla linea tradizionale. Si tratta dell’inizio di un percorso nel quale crediamo molto: secondo noi produrre in modo sostenibile diverrà sempre più un dovere morale per le aziende. A questo si associa l’interesse crescente dimostrato dal consumatore per i prodotti bio, il cui mercato solo nel 2011 è cresciuto dell’8,9%. Oggi i primi dieci prodotti

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c come vi consigliamo biologici in Italia rappresentano il 57% del mercato e fra di essi non vi è il vino. C’è quindi ancora molto da fare». Il Tullum Bianco ed il Rosato sono vini prodotti da uve biologiche, con fermentazione spontanea e non filtrati. Un metodo di vinificazione che recupera l’eredità secolare del territorio: un tempo, infatti, non si usavano lieviti selezionati né si filtrava il vino. Le uve provengono dai 6 ettari di vigneti dedicati, di età non inferiore ai 15 anni. Qui si usano solo concimi organici naturali e la difesa dalle malattie della vite si basa soprattutto sulla prevenzione; il trattamento, quando necessario, prevede solo le sostanze naturali di zolfo e rame. I vigneti dedicati a questi vini producono basse rese per ettaro, limitate ad 80 quintali contro i 90 previsti da disciplinare. Dopo la vendemmia manuale le uve arrivano in cantina, dove avviene la pressatura. Segue la fermentazione, innescata esclusivamente dai lieviti presenti naturalmente sulle bucce degli acini. Per il Rosato, la fermentazione avviene in parte in vasche di cemento e in parte in piccole botti di terzo passaggio di rovere francese e acacia austriaca, dove prosegue successivamente l’affinamento per circa 5 mesi. Per il Tullum Bianco, invece, sia la fermentazione sia l’affinamento vengono svolti in vasche di cemento. Per preservare poi l’integrità del vino non viene eseguito alcun trattamento di stabilizzazione, né filtrazione prima dell’imbottigliamento. Questo permette di ottenere un prodotto “vivo”, diverso ogni anno, più completo e longevo, ricco di colloidi e sostanze antiossidanti naturali. La filtrazione, infatti, implica normalmente l’asportazione di elementi importanti, che nel Rosato e Tullum Bianco vengono invece preservati.


c come vi consigliamo «A nostro avviso - continua Andrea Di Fabio - un vino davvero biologico deve rispettare la naturalità anche in cantina. Per questo abbiamo scelto di utilizzare, per il Bianco Tullum e il Rosato, lieviti autoctoni presenti naturalmente sulle bucce, evitando l’uso di selezioni commerciali. I lieviti autoctoni permettono di dare un prodotto non standardizzato, espressione autentica del territorio». Una volta terminata la fermentazione, il vino non subisce trattamenti di chiarifica, stabilizzazione e filtrazione e arriva perfettamente integro sulla tavola del consumatore. Feudo Antico non è però solo Tullum: «Nasce con l’obiettivo di rendere la viticoltura un’attività perfettamente in linea con le esigenze del XXI secolo – afferma Andrea Di Fabio – capace di proteggere ambienti fragili, offrire alla comunità locale un forte orgoglio di appartenenza e, ovviamente, remunerare in modo equilibrato. Siamo partiti da Tollo, la nostra terra, una cittadina completamente rasa al suolo nella seconda guerra mondiale che oggi è al centro della rinascita enologica dell’Abruzzo. Tullum è stata, infatti, la prima doc territoriale dopo decine di anni in cui la regione è stata dominata da due sole gigantesche doc: Trebbiano d’Abruzzo e Montepulciano d’Abruzzo. Adesso il nostro obiettivo è applicare questo modello anche in altri territori». Due anni fa Feudo Antico ha sposato il progetto Casadonna, voluto dallo chef Niko Romito, realizzando un vigneto sperimentale a Castel di Sangro con la finalità di verificare la possibilità di introdurre la viticoltura di montagna come attività economica interessante per il territorio.

Il progetto Casadonna


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1. Spumante “San Lorenzo” – Brut di Pecorino igt Colli Aprutini 2. Spumante “Lampato” - Brut di Pecorino 3. Spumante “Cerulli Irelli” – Levichi Brut e Brut Rosè

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c come packaging

DI MARIO DI PAOLO / SPAZIODIPAOLO.IT

Il segreto dello spumante è nella trasparenza Il lavoro di chi fa packaging è pensare la confezione giusta per un prodotto. Ma cosa si fa quando un prodotto ha il suo prestigio proprio nella trasparenza? Certo non lo si può lasciare “nudo”. Come inventarsi un involucro che esalti il perlage di uno spumante, ad esempio? Sicuramente partiamo da un vetro chiaro e una pulizia estrema dell’immagine. Grazie a diversi anni di esperienza siamo in grado di fare il paragone fra ben tre case histories. Si tratta, per tutti e tre, di spumanti prodotti da Cantine abruzzesi con vitigni locali e distribuiti nel canale Horeca. Anche se spumantizzare il vino non fa parte della tradizione del territorio, è giusto che le aziende scelgano di completare la loro gamma aggiungendo anche le bollicine. 1. Spumante “San Lorenzo” – Brut di Pecorino igt Colli Aprutini, prodotto a Castilenti. L’etichetta non circonda la bottiglia ma è come sospesa, al centro. Ha un’impostazione classica ed elegante, nel rispetto della linea scelta da San Lorenzo per tutti i suoi vini. Si è deciso di non agire per contrasto ma per sintonia, così il colore tenue dell’etichetta e dell’avvolgitappo fa da preludio sensoriale alla morbidezza del Pecorino. 2. Spumante “Lampato” - Brut di Pecorino, prodotto

a Pianella. Ci siamo occupati dell’etichetta di questa nuova linea e del vino frizzante (blend di Trebbiano, Pecorino, Cococciola e Malvasia) in sinergia con la rete vendita, perché l’azienda è molto giovane e la sua immagine è tutta da disegnare. Ci siamo divertiti a richiamare l’idea della bollicina giocando su linee curve e sulla nudità, in modo da dare spazio alla finezza del perlage. Qui è stata decisiva la scelta di adottare il vetro chiaro al posto di quello scuro: il giallo paglierino ne risulta valorizzato. 3. Spumante “Cerulli Irelli” – Levichi Brut e Brut Rosè, prodotti nel Teramano. L’etichetta, posta come un’elegante fascia bassa, e la bottiglia dalle linee raffinate lasciano intuire il primo come un prodotto superiore, per momenti importanti. L’etichetta del secondo è moderna e pulita: qui si gioca sulla freschezza e la simpatia per un pubblico sicuramente più giovane, in un’area di consumo dinamica. Essendo un vino particolarmente chiaro abbiamo stampato la R del rosè al contrario e posizionata sulla retro etichetta: diventa leggibile sulla fronte, in trasparenza, aumentando la percezione della caratteristica del prodotto.

«Cosa si fa quando un prodotto ha il suo prestigio proprio

nella trasparenza? Certo non lo si può lasciare “nudo”. Come inventarsi un involucro che esalti il perlage di uno spumante?» PAG 27 / C COME PACKAGING


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REDAZIONALE / FOTO_ WWW.VITELLONEBIANCO.IT

Consorzio di tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Via B. Simonucci ,3 06135 Ponte San Giovanni - (Perugia) www.vitellonebianco.it info@vitellonebianco.it

Razza marchigiana IGP Vitellone bianco: la carne del territorio

Per molti anni nel panorama enogastronomico regionale la presenza del vitellone bianco dell’Appennino Centrale IGP di razza marchigiana è stata un po’ penalizzata, da una parte per via del continuo abbandono delle campagne, dall’altra per una politica agricola che non ha favorito il rinnovo di quello che da sempre è un patrimonio locale. Benché il disciplinare dell’Indicazione Geografica Protetta sia stato approvato nel 1998, solo pochi anni fa è stata avviata la valorizzazione del prodotto, soprattutto con operazioni volte a far conoscere il prodotto e sensibilizzare sia i consumatori sia i produttori. Alcune cooperative e società oggi si occupano di commercializzare la carne bovina certificata IGP, ricercando migliori condizioni economiche per i produttori attraverso una politica di qualità a garanzia dei consumatori. Allevata soprattutto nelle Marche e in Abruzzo, Molise e Campania, la razza marchigiana ha un’ottima adattabilità al pascolo in diverse condizioni perché “si accontenta” dei foraggi presenti senza ricorrere ai mangimi, aiutando a mantenere in uso anche aree e pascoli marginali.

Uno dei principali motivi per cui si sta ritornando all’utilizzo e alla promozione di questa carne, è che offre vantaggi per tutti. Per il consumatore. La qualità è indubbiamente un elemento distintivo di questa carne. La sua tracciabilità completa, dall’allevamento al punto vendita, è un fattore di chiarezza e riconoscibilità garantita da un organismo indipendente. Tramite l’etichetta si possono conoscere molte informazioni, come il nome dell’allevatore, e sapere quindi in quali condizioni è stato tenuto l’animale. Per l’allevatore. Il riconoscimento della qualità permette di puntare a prezzi più alti, di lavorare meglio e con meno stress. Gli allevatori non soffrono della concorrenza di aziende di grandi dimensioni, che spesso sono distanti migliaia di chilometri. Il sistema di allevamento è più attento al benessere animale con la produzione di foraggi a basso impatto ambientale senza il ricorso a Ogm o ad accorgimenti del genere. La filiera produttiva è realizzata tutta sul territorio e lascia nello stesso i benefici economici anche all’indotto, fatto di piccoli trasportatori e piccoli impianti di lavorazione.

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c come vi consigliamo Per l’ambiente. Non possiamo parlare di “Km 0” ma certamente ce ne sono un po’ tutte le caratteristiche, compresa una notevole riduzione dell’inquinamento ambientale derivante dalla minore necessità di trasporto. I metodi di allevamento non stressanti per gli animali, con largo uso del pascolo e foraggi aziendali senza ricorso a mangimi o alimenti derivanti da monocolture a forte impatto ambientale, danno notevole beneficio all’ambiente, prevengono l’abbandono dei terreni agricoli ed i fenomeni erosivi che ne derivano. Il marchio di qualità IGP dell’Unione europea “Indicazione Geografica Protetta” viene attribuito a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica dipendono dall’origine geografica, e la cui produzione e trasformazione avvengono in un’area geografica determinata. Sulla scheda esposta nel punto vendita sono riportate la razza dell’animale, la data e il luogo di macellazione, l’azienda di allevamento dell’animale, l’impianto di macellazione e lavorazione. Il controllo della filiera è garantito dal Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale, organismo indipendente con l’obiettivo principale di tracciare e monitorare tutta la filiera produttiva dei bovini italiani da carne, per offrire maggiori garanzie ai consumatori ed assicurare la massima trasparenza in ogni singola fase della filiera. Il vitellone possiede la carne più succulenta, nutriente e fortificante: la si riconosce dal colore rosso vivo, dalla grana fine, consistente, contemporaneamente soda ed elastica al tocco, dalle piccole infiltrazioni di grasso (bianche o leggermente biancastre) che solcano la massa muscolare e dallo spessore esteriore del grasso, di colore bianco o giallo chiaro. Queste qualità derivano dalla razza dell’animale e dal regime alimentare durante il periodo d’ingrassamento. La carne contiene in media il 3% di grassi, variando da un minimo dello 0.5 % ad un massimo del 7 %: la carne I.G.P. presenta valori medi del 2%. Alcune semplici regole permettono una scelta sicura al momento dell’acquisto. Da privilegiare i tagli leggermente grassi, perché sono quelli più saporiti e morbidi, e tendono a sfibrarsi meno in fase di cottura;

il sapore della carne è infatti dato in larga misura dal grasso, che deve essere bianco e compatto per contribuire a mantenere la tenerezza del prodotto. La tenerezza dipende dall’età dell’animale macellato: più giovane è l’animale, più tenera è la carne, ma aromi e gusto dell’animale giovane risultano meno pronunciati, così come bisogna stare attenti alla preparazione e alla cottura. Un buon bollito, un brasato, uno stufato non richiedono tagli molto teneri. Quando la carne è appena tagliata è rosso scuro, e di un rosso più acceso quando l’animale è giovane. Ha inoltre un contenuto di acqua pari al 65/70% del suo peso: è dunque normale che perda acqua durante la cottura. Anche in questo caso, più giovane è l’animale, più alto sarà il contenuto d’acqua. È bene diffidare di offerte troppo vantaggiose: il prodotto di qualità nazionale ha un maggiore costo di produzione, per cui se la carne è di qualità è giusto riconoscere un prezzo più alto. Dove trovarla. Nella regione Abruzzo, il numero degli animali razza Marchigiana allevati è lo stesso di un decennio fa perché, anche se ci sono meno aziende, ognuna ne alleva un maggior numero. Anche il numero di punti vendita della carne IGP continua a crescere: colossi della distribuzione come “LeclercConad”, “Coop” e “Iper” nei loro ipermercati hanno delle sezioni completamente dedicate alle carni a marchio. A questi si affiancano molte macellerie tradizionali, spesso in grado di preparare i tagli e consigliare al meglio i consumatori. Le mense scolastiche dei Comuni di Pescara e Roma da alcuni anni hanno introdotto la carne certificata nei loro menu. L’introduzione di alimenti di qualità nella loro dieta abitua i piccoli ai sapori ed aromi del territorio e disincentiva abitudini alimentari sbagliate, come il consumo di alimenti con grassi e zuccheri in eccesso.

“Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR): l’Europa investe nelle zone rurali” - PROGRAMMA DI SVILUPPO RURALE PER L’ABRUZZO 2007-2013 – MIS. 1.3.3. “Sostegno alle associazioni di produttori per attività di informazione e promozione riguardo ai prodotti che rientrano nei sistemi di qualità alimentare”

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Donare il territorio

Alla base della filosofia di C come magazine c’è la filiera corta. Prediligere i prodotti abruzzesi, tuttavia, non vuol dire demonizzare tutto quello che è fuori regione: una casa prende aria sana solo se vengono aperte le finestre. Scegliere i prodotti dei nostri artigiani vuol dire nutrirsi della propria terra e contribuire concretamente al suo sviluppo. C’è questa parola che ci piace tanto, “microeconomia”, e

che ci fa pensare alla cura dei dettagli che mette nel suo lavoro chi ama quello che fa. Ci piace quindi soffermarci, ogni anno, su qualche consiglio per le Feste, legato a prodotti che parlano del territorio e che rappresentano la propria provincia. Qualcuno lavora bene in e-commerce, qualcuno punta sulla vendita diretta. Tutti meritano di essere fatti conoscere e quindi comprati, donati. E ricordiamoci che i regali non si fanno solo a Natale.

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REDAZIONALE / FOTO D’ARCHIVIO

Pastificio Cocco Ogni momento è buono per spedire un regalo Gli antichi mastri pastai sostenevano che gli ingredienti per una buona pasta fossero quattro: il grano di montagna, l’acqua di sorgente, l’aria pura per l’essiccazione, e la lavorazione. La storia di “mastro Domenico” Cocco comincia con loro, quando nel 1916 entrò a lavorare in un pastificio di Fara San Martino e aveva solo 14 anni. Il luogo era perfetto sin dall’inizio per produrre pasta: le ottime caratteristiche organolettiche dell’acqua del fiume Verde, alimentato esclusivamente da sorgenti naturali, ed il particolare clima asciutto e ventilato, che permette una perfetta essiccazione della pasta, sono i primi due ingredienti di cui la natura lo ha fornito. Mastro Domenico ha dedicato la sua vita a questo mestiere affascinante e ne ha tramandato i segreti, così come gli anziani avevano fatto con lui, a suo figlio Giuseppe, che lo ha affiancato nel 1944 nella ricerca, tra le macerie dei bombardamenti, dei pezzi di macchine ancora utilizzabili. Gli antichi e preziosi macchinari sono ancora seguiti dal suo attento e scrupoloso controllo; alla sapiente cura novecentesca della produzione si è integrata, nel

terzo millennio, la spinta propulsiva dell’innovazione, grazie ad un’interfaccia virtuale che collega il pastificio a tutto il mondo con il sito bilingue che rende la pasta Cocco acquistabile da qualsiasi parte del pianeta via e-commerce. Ogni momento dell’anno è buono per fare un regalo a parenti lontani o amici che sono stati in visita in Abruzzo o che non lo conoscono: nella sezione virtual store (negozio virtuale) si ha l’imbarazzo della scelta fra il pacco gourmet di 6 Kg, il pacco famiglia di 12 Kg, il pacchetto o la cassetta della linea “Oro” (2 Kg o 8 Kg) e le alternative originali e insieme rassicuranti di matasse, spaghetti o pacco definite “come una volta” (2 Kg, 6 Kg o 12 Kg). Nella stessa sezione è possibile scoprire i punti vendita di pasta Cocco nel mondo, dall’Australia al Canada, dal Brasile al Giappone, in America e in Europa.

Pastificio Artigiano Cav. Giuseppe Cocco Zona Artigianale 15 - Fara San Martino (Ch) Tel. 0872 984121 - Fax. 0872 984133 www.pastacocco.com - info@pastacocco.com

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c come vi consigliamo

Per Centini il cioccolato deve anche divertire Da due anni il cioccolatiere Ezio Centini di Bisenti ha anche un punto vendita a Teramo. Questa è una cosa importante da sapere: chi ha scoperto l’originalità dei suoi prodotti di cioccolato ed era inibito dall’apparente lontananza del laboratorio bisentino rispetto a ovunque, non può non esserne sollevato. Nei pressi del raggiungibilissimo Duomo di Teramo, Giovanni, Lisa e Virginia Centini, figli di Ezio, gestiscono da marzo 2011 un bar cioccolateria che fa anche da punto vendita. È possibile correre qui tanto per un caffè di passaggio quanto per un regalo last minute, ma ad una sola condizione: che si voglia stupire il destinatario. Ezio Centini ama definirsi “Mercante di sogni”. È nei virtuosismi con il cioccolato che dà il meglio di sé e strappa un’esclamazione di stupore. Nell’ipotesi di riuscire a trattenersi di fronte ai panettoni al cioccolato e nocciole, sarà impossibile non cedere alla curiosità di scoprire la gamma di combinazioni che propone con il cacao. Portiamo ad esempio le tavolette alla propolis, al peperoncino, alla genziana, allo zenzero o alle 5

biodiversità di rosmarino; oppure il ciocaglio (tavoletta all’aglio rosso di Sulmona) o il Saline (tavoletta con cacao e sale di Cervia); o, ancora, il famoso cioccolatino Peccatino, con mandorle, panna e arancia; fino ai più recenti cioccolatini all’aloe vera, alla rosa canina e ai galletti, ossia i finferli che si trovano nei boschi d’Abruzzo. Da assaggiare i cioccolatini “medicinali” al carbone vegetale, che contengono anche melissa e cedrina. Una volta che si passa davanti al suo bancone non si può non assaggiare i Tatù, pani speziati tipici bisentini che lui con orgoglio e con merito ha riportato in auge e ha reso anche più sfiziosi nella versione “Tatù bò bò”, impregnati di punch d’Abruzzo e combinabili con gelato, frutta, composte, confetture... fin dove arriva la fantasia. Perché se con il cioccolato non ci si diverte, non ne vale la pena. Cioccolateria Centini, via Vittorio Veneto 26, 64100 Teramo - tel 0861 247867. Centini Chocolate, piazza Vittorio Emanuele I, Bisenti (Te) 0861 995962.

PAG 34 / C COME REGALI


c come vi consigliamo

Uno Splendore di spumante dalla Cantina Collemoro

All’indomani del suo cinquantesimo compleanno e ben protetta dai vigneti teatini, la cantina Collemoro rappresenta ancora una delle realtà più rilevanti tra le cooperative abruzzesi. Parliamo di una superficie complessiva di circa 1.600 ettari che producono mediamente 250.000 quintali di uve e sono curati da 670 soci, che coltivano vigneti situati in 15 comuni diversi tra Frisa, Lanciano, San Vito Chietino, Ortona, Casalbordino e Torino di Sangro. Tra vitigni a bacca rossa (Montepulciano, Merlot, Sangiovese e Cabernet) e a bacca bianca (Trebbiano d’Abruzzo, Trebbiano toscano, Malvasia del Chianti, Chardonnay), e vitigni autoctoni come Pecorino, Passerina, Cococciola e Moscato di Frisa, la scelta è vasta. Proprio il Moscato rappresenta uno dei suoi fiori all’occhiello: nel 2011 lo spumante dolce “Splendore 2010”, derivante dai vitigni Moscato bianco di Frisa e Moscato giallo saraceno, è stato premiato in Francia con una delle tre medaglie d’oro assegnate all’Italia nel concorso internazionale “Muscats du Monde”, organizzato dal Forum Oenologie a Frontignan-La Peyrade,

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una delle regioni francesi più importanti del mondo per la produzione di moscato. La raccolta del moscato avviene con una vendemmia scalare, per una concentrazione aromatica dei rimanenti grappoli raccolti 20 giorni dopo. È perfetto per accompagnare dessert, piccola pasticceria e semifreddi al cucchiaio, torte e biscotti, in particolare se servito in un flûte ad una temperatura tra i 5 e gli 8 gradi. Per acquistarlo si può ordinare sia via telefono sia via e-mail, oppure avvalersi della vendita diretta in Cantina: sotto le Feste ci si può divertire anche a scegliere un vasto assortimento di confezioni natalizie di vini Collemoro e scaricare dal sito istituzionale collemoro.it un buono omaggio di 5 euro, valido per ogni spesa di almeno 50 euro fino al 31 dicembre 2012.

Cantina Colle Moro via del Mare- 66030 Guastameroli di Frisa (CH) tel. (+39) 0872.58128 www.collemoro.it info@collemoro.it


Il latte di asina è un alimento a scarsissimo contenuto in grassi, non contiene caseina, è ricchissimo di lattosio ed ha importanti valori di lisozima.


c come latte

FOTO E TESTO DI ROBERTO PARISIO – ROBERTO.PARISIO2010@LIBERO.IT

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Quando l’asino non è l’ultimo della classe

Tutti gli studi hanno dimostrato che il latte d’asina è l’alimento naturale di origine animale con le caratteristiche più vicine al latte materno. La storia degli asini ha contrassegnato le vicende dell’uomo e fin dai tempi antichi la loro fatica e la loro sensibilità hanno svolto un ruolo importante nell’economia domestica. In Abruzzo esistono due produttori ufficiali di latte d’asina, entrambi in provincia de L’Aquila. L’azienda Asinomania è ad Introdacqua ed è stata la prima a parlare di latte d’asina in Abruzzo; all’inizio di dicembre ha promosso un incontro con gli asini in piazza a Roccaraso. L’altra è l’azienda agricola di Capestrano “Ciucolandia”. Una terza azienda, Milva Cieri, nel Vastese, ha iniziato a settembre 2012 la sua produzione a Tufillo. PAG 37 / SPECIALE BIANCO / C COME LATTE


Non esiste un disciplinare di produzione del latte di asina a livello comunitario e i produttori stanno cercando di ottenerlo.

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In Italia i produttori ufficiali di latte d’asina sono circa 40: il primo in ordine di grandezza è l’azienda agricola Montebaducco con sede a Salvarano di Quattro Castella (RE), con circa 950 asini; il secondo produttore è l’azienda agricola Asilat con sede a Giarre (CT), con circa 350 asini. Per conoscere meglio questo settore abbiamo fatto una chiacchierata con Cristiano Merlo, titolare dell’azienda agricola Ciucolandia di Capestrano, che ha investito la sua passione e l’esperienza di allevatore, acquisita in varie zone d’Italia, in un territorio difficile quale è quello pedemontano alle falde del Gran Sasso. Cristiano racconta che «l’idea imprenditoriale è nata per caso, animata da questa singolare passione per gli asini, ed all’inizio ho comperato solo tre asine ed uno stallone. Oggi, dopo cinque anni, l’asineria possiede 120 asini e dispone di 87 ettari di terra, utilizzati in parte a seminativi biologici dedicati all’alimentazione degli animali ed in parte a pascolo». Ci guardiamo intorno e constatiamo che sono stati fatti investimenti importanti: prima non c’era che un vecchio casolare abbandonato ed ora osserviamo ampi stazzi per gli animali, due strutture ricostruite con pietre di risulta ed un magazzino per il deposito della produzione di latte e dei cosmetici. Il latte di asina è un alimento a scarsissimo contenuto in grassi (0,28g/100g) ed è contraddistinto dalla triplice caratteristica di non contenere caseina, di essere ricchissimo di lattosio (6,73g/100g) e di possedere importanti valori di lisozima (325 mg/100g). L’assenza di caseina non consente la derivazione in latticini e formaggi ma, al contempo, il suo consumo è vivamente raccomandato alle persone intolleranti alla proteina del latte nonché ai diabetici grazie alla mancanza di saccarosio.

La ricchezza di lattosio ha, invece, un effetto positivo sull’assorbimento intestinale del calcio e può aiutare nella prevenzione e nella cura della osteoporosi degli adulti, nonché a favorire la mineralizzazione delle ossa nei bambini. «Il lisozima del latte di asina – continua Cristiano – è un fondamentale cicatrizzante che fa bene all’uomo ed alla sua pelle. Come non ricordare la leggenda di Cleopatra che faceva il bagno nel latte di asina per mantenere la pelle liscia e delicata? Ancor oggi molte linee cosmetiche usano il latte di asina per produrre cremi ammorbidenti». Il lisozima è anche presente nella saliva del gatto, del cane, del leone: tutti animali, questi, che infatti si “leccano le ferite” per favorire la cicatrizzazione del proprio corpo. Con il latte d’asina è stata creata una serie di prodotti cosmetici, come saponi al latte con fragranze alla menta, agli agrumi, alla lavanda, latte di asina per il corpo con effetto emolliente e rinfrescante, bagnoschiuma e shampoo. La presenza nel latte d’asina di sostanze ad attività probiotica, che regolano la flora microbica intestinale, rende questo antico alimento molto utile anche nell’alimentazione delle persone anziane e debilitate. Oggi l’azienda Merlo produce 25 litri di latte di asina al giorno, interamente collocato presso privati ad un prezzo medio al consumo che si aggira intorno ai 15 euro al litro: un prezzo solo a prima vista proibitivo, ma che sconta in realtà costi di produzione altissimi. Ogni asina produce infatti circa 800–1000 cl di latte al giorno, contro una produzione giornaliera di latte da mucca che oscilla tra i 20 ed i 40 litri. «Il prezzo finale dovrebbe essere legato alla quantità di lisozima presente nel latte e non sempre è così – spiega – Il

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rischio, per noi produttori di qualità, è che molta produzione giunga sul mercato, magari anche dall’estero, in forma liofilizzata con contenuti proteici bassi a prezzi più che dimezzati». Il latte, prenotato quarantotto ore prima della consegna, viene “estratto” attraverso una mungitrice automatica, e poi sottoposto a immediata filtrazione e a raffreddamento, a temperature comprese tra 0° C e 4° C per mantenerlo allo stato originario evitando alterazioni di sorta o deterioramento. Dopo il raffreddamento, viene imbottigliato e conservato in refrigerazione fino alla vendita. Non vengono effettuati trattamenti con il calore, si tratta quindi di latte crudo (non sterile), che deve essere sempre conservato a temperature comprese tra 0° C e 4° C fino al momento del suo utilizzo, da effettuare entro la data indicata sulla bottiglia. L’azienda di Merlo è terza produttrice italiana di latte di asina ed è un’azienda biologica certificata dall’Icea di Bologna (Istituto di Certificazione Etica Ambientale): eppure «non esiste un disciplinare di produzione del latte di asina a livello comunitario e noi produttori

stiamo cercando di ottenerlo - dice Cristiano -. Oggi lo vendiamo fresco, a crudo, senza la pastorizzazione (che altererebbe la presenza di lisozima) ed entro quattro ore dalla mungitura, secondo la filosofia del latte a chilometri zero, tenendo sempre conto dei controlli sanitari periodici». In tema di rivalutazione di tradizioni ed alimenti antichi, nonché di salvaguardia di specie zootecniche alternative, la realizzazione dell’innovativa filiera del latte di asina appare di particolare interesse in Italia centrale e meridionale, dove esistono specie asinine autoctone in forte contrazione numerica. Tale indirizzo produttivo potrebbe rappresentare, per le zone collinari e pedemontane, una risorsa economica e zootecnica di notevole interesse per lo sviluppo del territorio d’Abruzzo.

(Per le foto di questo servizio si ringraziano Roberto Parisio, Ciucolandia e Carla Procario dello Iat di Roccaraso)

Composizione media del latte di varie specie (fonte ciucolandia.it) Latte umano Vacca Asina Capra Bufala Cavalla

Acqua

Grasso

Ceneri

Lattosio

Proteine

88.30 87.50 91.10 88.56 81.22 90.00

3.50 3.50 0.28 3.35 8.54 1.50

0.20 0.80 0.32 0.79 0.77 0.40

6.50 4.70 6.73 4.50 5.12 6.20

1.50 3.50 1.63 2.90 4.51 1.80

g/100g

g/100g

g/100g

g/100g

PAG 41 / SPECIALE BIANCO / C COME LATTE

g/100g

Lisozima mg/100g 40-500 0.013 325 0.03 — 79


c come ricette

FOTO E TESTO DI LORENZO PACE

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Il latte di pecora Già fra i secoli XVI e XII a.C. la pastorizia risultava ampiamente praticata dalle popolazioni insediate nell’area che oggi è quella abruzzese. Nella metà del 1500 in Abruzzo erano presenti circa 4 milioni e 500 mila capi ovini e all’inizio del 1900 venivano allevate circa 3 milioni e mezzo di pecore. Oggi in regione ci sono 309.194 pecore; di queste, solo 216.435 producono poco più di 2 milioni e 300 mila di litri di latte. Fino alla seconda metà del secolo scorso, quando gli abruzzesi parlavano di “lu cascje” (il formaggio) sottintendevano il formaggio pecorino, in quanto il latte di vacca era utilizzato per l’allattamento dei vitelli e per la vendita. Oggi il latte di pecora è impiegato quasi esclusivamente per la produzione di formaggi anche perché, avendo una quantità di grasso e di proteine più che doppia rispetto a quello di vacca e di capra, è più portato alla caseificazione. Proprio grazie a queste elevate componenti chimiche, il latte di pecora possiede un elevato potere energetico. Per diversi secoli l’Abruzzo è stata terra di pascoli e pastori e proprio dalla pastorizia e dalla transumanza traggono origine importanti piatti regionali che si basano sulle carni, sulle frattaglie e sui formaggi ovini. Dalle “mazarelle” a “lu cascje e ove”, da “la Pecora aju cutturo” alle “Pallotte cascje e ove”; per citare soltanto quelli più conosciuti. Nell’area Vestina, con il latte di pecora i contadini realizzavano un dolce chiamato “la Lattate”: una leccornia della tarda primavera quando i greggi si cibavano delle nuove erbe e gli agnelli venivano svezzati. Di seguito la propongo con l’aggiunta di una salsa e un biscotto, a ulteriore dimostrazione che attingendo della tradizione si possono realizzare piatti adeguati alle odierne tendenze gastronomiche.

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LA LATTATE Ingredienti per 4 persone: Per la lattate: 120 g di uova intere (n° 2), 200 g di latte di pecora, 70 g di zucchero semolato, 0,5 g di cannella. Per la salsa: 150 g di Centerba Toro, 20 g di zucchero semolato, 30 g d’acqua, 1 g di gelatina in fogli. Per il biscotto: 80 g di farina di grano tenero 00, 60 g di burro, 15 g di tuorlo d’uovo, 60 g di zucchero a velo, 10 g di cacao, 1,5 g di lievito chimico. Per la lattate: montare le uova con lo zucchero e la cannella e amalgamare con il latte. Dividere in 4 stampini monoporzione a forma di ciambella, cuocere in forno a vapore a 85° per 40’ e lasciarle raffreddare. Per la salsa: ammollare la gelatina in acqua. Dealcolizzare la Centerba, unire lo zucchero, l’acqua e sciogliere all’interno la gelatina. Lasciare gelatinare e frullare. Per il biscotto: miscelare la farina con il cacao e il lievito. Montare il burro, unire lo zucchero, continuare a montare, aggiungere il tuorlo e montare ancora. Versare le polveri, amalgamare bene, avvolgere il panetto nelle pellicola e lasciare in frigorifero per 2 ore. Spianare il panetto allo spessore di 3 mm, con un coppapasta del diametro degli stampini delle lattate realizzare 4 cerchi e cuocerli in forno a 170° per 15’. Mettere “la lattate” sui biscotti, sistemarli al centro dei piatti e colare nel foro la salsa di Centerba.

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c come storia

FOTO E TESTO DI ANGELO TARQUINIO

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Il cacio fiore aquilano Il brigante Colafella, con un “pizzino” di ricatto del 1862, pretende armi e viveri in maniera spavalda addirittura dalla Guardia Nazionale. In cima alla lista dei viveri c’è il “cascio” (formaggio di pecora) in quantità esorbitante: 300 rotoli (forme). Il brigante, prima dell’oro, chiede il formaggio che per lui è più prezioso del nobile metallo. I fuorilegge in fuga si muovono come camosci fra le rupi per sfuggire ai piemontesi. Accanto alla polvere da sparo e al piombo con cui difendono la loro vita, portano il cacio con cui si mantengono vivi e attivi. Un cibo molto calorico e proteico che occupa poco spazio e ammuffito è ancora più buono. Un grasso bottino disponibile fuori dalle potenti mura delle masserie e che i briganti possono prelevare a piacimento, senza grandi rischi dai carriaggi dei pastori transumanti. Il “Cacio” è il loro cibo preferito, l’alimento principale dei loro avi che hanno solcato i tratturi e che hanno trasformato, attraverso gli armenti, l’erba in formaggio. Il caglio animale mal si concilia con la vita grama e selvatica del tratturo e il pastore usa i fiori dei cardi per ottenere il solido alimento. In quest’ambiente nasce il cacio fiore aquilano. Sui pascoli, fra l’erba che alimenta la vita, nascono il carciofo selvatico (Cynara cardunculus) e la Carlina acaulis che, cagliando il latte appena munto, lo fanno diventare formaggio. Un formaggio che porta le caratteristiche organolettiche dei fiori che l’hanno generato.

Il mio viaggio lungo la via del cacio fiore mi porta a Campostosto (AQ), zona di eccellenza di questo delizioso prodotto, nei pascoli aquilani dove le greggi finivano la loro corsa iniziata in Puglia per riversarsi sulle montagne abruzzesi. Fra le microrealtà che lo producono la più rappresentativa è senz’altro l’azienda “La Mascionara”. Negli ultimi anni si è aggiudicata premi più importanti che l’Abruzzo ha istituito per valorizzare i suoi formaggi, come “Fonte Macina” di Castel del Monte (AQ) e “Buongusto” di Gessopalena (CH), dove nel 2009 ha vinto, appunto con il cacio fiore, la sezione dei formaggi fantasia di Buongusto votata direttamente dal pubblico. Dopo l’assaggio Rinaldo D’Alessio, il proprietario, mi aspetta in quello che io scherzosamente ho battezzato il suo showroom: la piccola baita prima del grande lago artificiale è strapiena di forme di formaggio di tutte le dimensioni su cui spiccano, come zolle verdi, le forme di cacio fiore avvolte nei loro bozzoli di felce (Polypodium spp.). Rinaldo è un uomo che ha i piedi nel passato e la testa nel futuro. Ha recuperato quest’antica ricetta casearia attraverso i racconti dei suoi nonni, pastori transumanti, e dopo anni di sperimentazione ha ottenuto quello che è uno dei vanti della sua azienda. «La felce che avvolge la forma di cacio tondeggiante ha lo scopo di regolare la temperatura e l’umidità e

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accompagnarla nella sua stagionatura… e ricordare il tratturo», spiega. Il processo di caseificazione con il caglio vegetale è un corso difficile e delicato: «Ogni tipo di latte ha il suo titolo di caglio e il casaro, oltre ad avvalersi dell’analisi bio-chimica con cui si supporta deve dar fondo a tutta la sua esperienza per ottenere un buon prodotto. Il cacio fiore è ottenuto da latte crudo che, dopo una lunga cagliata, è rotta e cotta dolcemente a bassa temperatura. Le forme, salate ed asciugate, vengono immesse sul mercato dopo un periodo non inferiore ai quattro mesi di stagionatura». Facciamo colazione con il cacio fiore. Ho l’onore di spogliare dalla felce la forma e di tagliarla. È vero, l’odore ed il colore dell’erba mi portano nel tratturo. La pasta compatta del formaggio ha un odore di nocciole e mandorle tostate. Al gusto si aggiunge un sapore di burro su cui scivolano note erbacee capitanate da un elegante sapore di carciofo, che con il suo sentore deciso armonizza e disciplina i sapori. La struttura friabile e solubile amalgama il tutto. È un formaggio elegante e superbo. A Castel del Monte mi aspetta Maddalena Aromatario, una pietra miliare della pastorizia abruzzese. La donna è una delle ultime discendenti di pastori che hanno dedicato la vita al tratturo. Insieme a suo fratello Mariano, che dirige la loro azienda zootecnica a cui ha dato il nome, compie ancora il rito magico della

transumanza, spostando piccole greggi dalle Puglie all’Abruzzo. «È un rituale che compiremo finché avremo forza – mi racconta con orgoglio – Il nostro papà scappava da casa e si univa ai pastori dall’età di cinque anni e nonna, molte volte, lo recuperava a decine di chilometri di distanza lungo il tratturo». Maddalena è una bella signora con tanto di laurea in materie umanistiche. Parliamo di briganti e di pastori. Di formaggio e tempo di coagulazione. Delle zone migliori per raccogliere il cardo e il Gallium (Gallium verum). Mi racconta delle reazioni del latte con il caglio vegetale e di tutte le sue sperimentazioni in materia. Mi offre in assaggio di cacio fiore ottenuto con latte crudo di capra. Ha il sapore del prato e dei suoi elementi. Nel palato è un susseguirsi e un alternarsi di odori di erbe e fiori. A tratti l’amaro delicato del cardo si lascia sovrastare da sentori floreali per poi riprendere il suo posto e scansarsi di nuovo per dare spazio libero a infinite combinazioni. È un formaggio semistagionato, ottenuto senza nessuna cottura. Il forte sentore che caratterizza il latte di capra sembra, in questo caso, sia stato scambiato e lasciato sul prato in cambio dei profumi del pascolo. Quello che mangio è un formaggio armonico e fresco: con la sua morbidezza mi riporta ai prati e agli infiniti tratturi dove è nato.

PAG 45 / SPECIALE BIANCO / C COME STORIA


SULLA PIZZA: ISTRUZIONI PER L’USO Va un po’ troppo di moda, da qualche anno, utilizzare la mozzarella di bufala in preparazioni da sottoporre ad alte temperature, come sulla pizza. Ricordiamoci invece che la mozzarella va gustata al meglio cruda ed a temperatura ambiente, per godere delle sue impagabili peculiarità organolettiche e nutrizionali: quando cotta, infatti, le sue molecole subiscono una mutazione, in particolare nella componente grassa che, degradandosi, rende inoltre difficoltosa la digestione d’ogni cibo. Il processo si vede ad occhio nudo: col calore si libera più liquido (siero) rispetto alla parente “povera” a latte vaccino. Se proprio si vuol cedere alla tentazione di consumarla sulla pizza, consigliamo di chiedere di aggiungerla all’uscita dal forno o verificare che sia tenuta sbriciolata a gocciolare su uno scolapasta, piuttosto che tagliata all’occorrenza. Oppure, meglio ancora, farla portare su un piattino a parte e centellinarla insieme ad una pizza di solo pomodoro. E se è una...bufala lo si capirà immediatamente (Monica Andreucci)

PAG 46 / SPECIALE BIANCO / C COME BUFALA


c come mozzarella FOTO_MODIV / ARCHIVIO ZUNICA / FRANCESCA MASSA

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A Paestum la bufala

sposa il vino abruzzese Campania chiama Abruzzo e Abruzzo risponde. Da un paio di anni, grazie all’interesse del giornalista enogastronomico de “Il Mattino” Luciano Pignataro, alcuni operatori del settore enogastronomico abruzzese vengono coinvolti attivamente nella manifestazione “Le Strade della Mozzarella”, realizzata a Paestum grazie al Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop. L’edizione 2013 “Le strade della mozzarella” si svolgerà dal 6 all’8 maggio. Ci è piaciuta sin dall’inizio l’idea di base sullo scambio che ha visto alcune eccellenze dell’Abruzzo interagire con questo prodotto campano. A Civitella del Tronto a febbraio si è svolto il “Bufala & Wine Wedding”, che si è posto come preludio all’edizione 2012, per stabilire quali vini locali sposassero meglio gli abbinamenti culinari con la mozzarella di bufala proposti dai cuochi under 30

abruzzesi (ricordiamo Arcangelo Tinari di Villa Majella, Vito Pepe e Gianluca Tarquini di Beccaceci, Sabatino Lattanzi e Luca Di Felice di Zunica Ristorante, Alessio Spadone de La Bandiera). L’evento si concluse con una cena gourmet organizzata presso Zunica, dal titolo “I sapori dell’inverno civitellese”, accompagnata dai vini dell’azienda campana Villa Matilde. A maggio sono stati i vini d’Abruzzo a salire sulla ribalta campana, con una degustazione dei Trebbiani Pepe, Valle Reale e Valentini e una cena preparata da Sabatino Lattanzi ed Elena Irina Rusu del ristorante Zunica. Il programma 2013 de “Le strade della mozzarella” è già sul sito, rinnovato, lestradedellamozzarella.it: dall’Abruzzo parteciperanno Niko Romito, i Tinari e Spadone junior e Nicola Fossaceca, neo-stellato Michelin.

PAG 47 / SPECIALE BIANCO / C COME BUFALA


«Questo riconoscimento dimostra che anche in un’annata difficile il produttore può, interpretando e prendendosi i suoi rischi, centrare un prodotto incredibile»


c come Trebbiano

DI ALESSANDRO BOCCHETTI, GIORNALISTA ENOGASTRONOMICO FOTO_MARIO SABATINI /MODIV

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Il più grande bianco italiano

Può essere un Trebbiano d’Abruzzo il miglior vino d’Italia? Questa è la domanda che risuona “di orecchia in orecchia” tra gli appassionati di vino: specie da quando la lista dei 50 migliori vini italiani, voluta da Luca Gardini e Andrea Grignaffini, ha incoronato il Trebbiano d’Abruzzo 2007 dell’azienda Valentini come il migliore italiano. Diamine! La cenerentola è diventata principessa. E che principessa. Lasciando tutti ad un palmo di distanza. Dai nobili barolo, ai borghesi brunello, dai potenti aglianico sino ai raffinati tagli bordolesi. Inconcepibile fino a pochi giorni fa: il miglior vino italiano è un bianco abruzzese, proveniente anche da quella che è comunemente pensata come annata “piccola”: la 2007 in Abruzzo è stato un millesimo terribile, segnato da caldo e siccità. PAG 49 / SPECIALE BIANCO / C COME TREBBIANO


Due sono le cose sancite dal risultato, importanti ad un’analisi più approfondita. La prima è subito chiara e scaccia in un colpo tutta la retorica naturalista italiana, che vuole il vino frutto unico della stagione e della congiuntura naturale. Francesco Paolo Valentini con questo strepitoso bianco ci dice che il “manico” conta eccome, e che anche in un’annata difficile il produttore può, interpretando e prendendosi i suoi rischi, centrare un prodotto incredibile. Altro che retorica delle annate minori, altro che impossibilità di fare grandi vini in annate difficili. Aprite una bottiglia di questo Trebbiano, versatela nel bicchiere, assaggiatela e mi direte se non si tratta di un vino eccezionale, capace di invecchiamenti stratosferici, ancora giovane ma già compiuto, pieno e succoso. Il produttore di vino ha un compito fondamentale: interpretare la vigna, ascoltarla e gestirla. Da questo rapporto intimo tra artefice e natura nasce il vino, soprattutto quello artigiano.

La seconda cosa che ci dice questo vino, e che a noi abruzzesi deve far riflettere, è la grandezza di un vitigno che troppo spesso abbiamo bistrattato e mal gestito, relegandolo al ruolo di vino da pesce, da pranzo in riva all’Adriatico. Quanti Trebbiano indecorosi mi è toccato assaggiare in questi anni? Sviliti da lieviti selezionati che segnano il vitigno poco aromatico in modo indelebile, da legni banali, da acidità verdi mal gestite. Vini banali e massificati che hanno relegato un grande vitigno a un ruolo marginale e mercantile. Si, perché il trebbiano è un grande vitigno se gestito bene, Valentini sta lì a dircelo da sempre. Il più grande vino bianco italiano: basta aprire certe meraviglie della cantina di Francesco Paolo degli anni ‘60 e ‘70 per capirlo senza alcun dubbio. Vini vivi, ancora integri, capaci di evoluzioni stupefacenti, segnati da un delizioso profumo di nocciola tostata che è il marcatore più straordinario

PAG 50 / SPECIALE BIANCO / C COME TREBBIANO


dei Trebbiano prodotti bene. Un vitigno dai profumi minimali, dritti, ma mai banali se non coperti da enologia soverchia. Per anni lo abbiamo dimenticato, tra vini banali da grigliata di mare e vini pomposi segnati da ingenue vaniglie di legno e dolcezze estrattive stucchevoli. Oggi forse ce ne ricordiamo e le molte Cantine che lavorano bene, in fermentazione spontanea e senza troppi belletti, ce lo dimostrano. Dietro Valentini, una nuova generazione di produttori si sta appassionando al Trebbiano lungo tutti i territori abruzzesi: penso a Valle Reale e ai suoi vini estremi scolpiti dal clima e dal territorio; all’irrequietezza di Giovanni Barba, sempre alla ricerca del Trebbiano

perfetto, tra fermentazioni in legno e anfora. Penso a Cirelli e all’efficacia dei suoi vini; a Gentile, ad Ofena; fino ad Ulisse a Crecchio con il coraggioso “Nativae” senza solfiti e in fermentazione spontanea. Poi i bianchi di Tiberio: Cristiana è sempre più una bianchista in evidenza. Questi sono i primi nomi che mi saltano in mente, insieme ad altri che sicuramente ho dimenticato o non ancora incontrato. Insomma penso alle molte Cantine che hanno intrapreso una strada coraggiosa di naturalezza e integrità, priva della retorica naturalista tanto di moda oggi, e spinti solo dalla ricerca del bianco perfetto. Ma il bianco perfetto già c’è a quanto pare: il Trebbiano!

A sinistra: Francesco Paolo Valentini. In alto: Antonio e Cristiana Tiberio

PAG 51 / SPECIALE BIANCO / C COME TREBBIANO


PAG 41 / SPECIALE ARROSTICINO / C COME ROSTELLO


c come recupero

DI LEONARDO SEGHETTI, ENOLOGO FOTO_GIANCARLO MORETTI / MARIO SABATINI

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La riscoperta del Montonico In una pubblicazione sul Montonico di circa 10 anni fa, gli autori esordiscono chiedendo: “Montonico, chi è costui?”, quasi a dire “chi lo conosce!”. Eppure questo vitigno ha una storia importante da raccontare, poiché legata all’evolversi della vitivinicoltura dell’Italia centrale. In passato il Montonico veniva spesso confuso con altri vitigni o indicato con altri nomi quali “Racciapolone” o “Ciapparone”, come descritto verso la fine del 1800 da illustri ricercatori quali De Bosis, Rovasenda ed altri. Tali nomi ci portano subito ad immaginare un grappolo grande, chiuso e con acini grossi: un vitigno con elevata produzione di uva, talvolta anche eccessiva, che gli ha permesso di varcare i territori d’origine soprattutto quando in viticoltura era ricercata una forte produttività. PAG 53 / SPECIALE BIANCO / C COME RECUPERO


Viste le suddette caratteristiche, in principio veniva esportato come uva da tavola; documenti storici risalenti al 1936 evidenziano una produzione di circa 30.000 quintali d’uva, prodotta principalmente nei Comuni di Bisenti e Cermignano, esportata quasi totalmente in Germania ed utilizzata, nella tradizione familiare, come uva “da appendere” (cioè da conservare) e consumare nel periodo invernale, soprattutto natalizio. Non di rado ancora oggi, nei luoghi di produzione originaria, è possibile, nel periodo indicato, assaggiare dell’uva di Montonico appassita come segno di ospitalità. Data la generosità di cui abbiamo parlato, il Montonico si diffuse in tutta la regione Abruzzo ed in quelle vicine, dove la viticoltura era costituita dalle alberate e dalla vite maritata a tutori viventi come piante di olmo o altre essenza vegetali. Con il passare degli anni ha dapprima perso valore commerciale come uva da tavola e successivamente, viste le mutate richieste enologiche volte verso gli aspetti qualitativi dei vini (più alte gradazioni e minore uva per ceppo), a ridurre la sua estensione, fino a tornare nella sua zona di produzione d’origine. Questo non significa che l’uva Montonico non possa produrre vino di qualità, anzi rafforza la tesi che la lega ancor di più al territorio montano, dove i terreni sono

poveri e la sua naturale benevolenza produttiva viene limitata dall’ambiente: in questi luoghi, infatti, la raccolta generalmente si effettua intorno alla metà di ottobre. Nel suo ambiente naturale, rappresentato dai colli bisentini e di Cermignano, il vitigno si avvale positivamente della notevole escursione termica giorno-notte che garantisce una produzione enoica di qualità tipica della montagna. Negli ultimi quarant’anni si è avuta una grande involuzione nella coltivazione del Montonico, tanto che nel suo habitat naturale è stato spesso sostituito con altri vitigni quali il Trebbiano e la Cococciola. Visto l’allarme, un cultore del vino Montonico, il compianto maestro Francesco Valente (Ciccillo), con un gruppo di amici tra i quali Lido Panzone ed il professor Notturno, inventarono la festa denominata “Revival dell’uva e vino Montonico” a Bisenti, che da oltre un trentennio (38° edizione nel 2012) si svolge la prima domenica di ottobre. La manifestazione richiama una grande folla ad assistere alla sfilata di carri allegorici allestiti nelle varie contrade e comuni limitrofi, dove l’uva e il vino Montonico la fanno da padrone. Lo stesso gruppo di amici gettò le basi per la nascita della struttura cooperativa di trasformazione dell’uva in vino. Dal punto di vista scientifico, il Montonico negli ultimi

CARATTERISTICHE VARIETALI Apice: piccolo a ventaglio, lanuginoso, di colore verde-giallo. Foglia: medio-piccola, pentagonale, quinquelobata, margini tormentati, seno peziolare semi-aperto o chiuso a lira, dentatura regolare di media grandezza, picciolo corto. Grappolo: grosso-lungo, cilindrico allungato, a volte con ala piccola, compatto. Acino: medio-grande, rotondo di colore verde-giallo, buccia spessa e consistente. Avversità: buona tolleranza nei confronti della botrite. Vino: giallo paglierino con riflessi verdognoli e profumo leggermente fruttato con sentore di erba fresca e fieno, fresco (acidulo), retrogusto amarognolo, buon corpo, persistente. La gradazione alcolica difficilmente supera i 12 gradi alcolometrici.

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quarant’anni è stato relegato solo ad un prodotto da catalogo fino a quando un bisentino doc, Noè D’Orazio, in una conviviale insistette talmente da far assaggiare ai convenuti diverse annate del vino da lui prodotto. Con stupore dei presenti si dovette ammettere che in quei vini, seppur di qualche anno e prodotti in modo artigianale, si evidenziavano una buona tenuta del colore e sensazioni olfattive-gustative nette e decise, con una buona struttura, tanto da renderli originali e dalle notevoli potenzialità come successivamente dimostrato da analisi di laboratorio e continue vinificazioni. La regione Abruzzo, attraverso l’ARSSA, credette a tali potenzialità ed insieme alla locale Comunità montana stimolò il reimpianto e la vinificazione in purezza delle uve di Montonico, tanto da arrivare negli ultimi anni alla produzione di un particolare spumante ottenuto secondo il metodo classico. Allo stato attuale, grazie a valenti tecnici dell’ARSSA Abruzzo, è stato individuato un clone denominato UBA-RA-MT32, localizzato nella zona d’origine. Sintomo del suo rilancio è il fenomeno di produzione di vino Montonico, da parte di alcune Cantine del Teramano, per arricchire la gamma di prodotti enoici con un vino ottenuto da un autoctono di montagna, ma è grazie ad un gruppo di giovani volenterosi, fortemente legati al proprio territorio, che oggi la produzione di uva Montonico continua fedele a se stessa, e dà origine sia vino fermo sia spumante elaborato con metodo classico. Da quanto brevemente detto ci auguriamo che la riscoperta del vitigno Montonico ed il suo vino non siano solo un sogno ma che la sua storia, come quella degli uomini che in silenzio ci hanno creduto e lo hanno salvato dall’estirpazione, continui con rinnovato vigore. BIBLIOGRAFIA: G. Moretti, L. Seghetti, B. Serra, A. Tarquini (2001)-Il Montonico: La riscoperta di un vitigno.Vignavini n. 1/2; 2001, 61-65. M. Odoardi, V. Novello, V. Savino, L. De Palma, P. F. La Notte. Nuove selezioni clonali di vitigni da vino abruzzesi. ARSSA. Si ringrazia Giancarlo Moretti, ricercatore dell’istituto sperimentale viticoltura di Conegliano (Tv)


Per la Rassegna dei Cuochi del Sangro ritornano a Villa Santa Maria tanti professionisti, più o meno giovani, che l’hanno lasciata per lavorare in ristoranti, hotel e altre strutture altamente qualificati in città d’Italia e del mondo In alto: uno scorcio della manifestazione del 2009. Al centro: da sinistra Claudio Pellegrini, associazione “Custode della tradizione”; Silvino D’Ercole, dirigente scolastico dell’Ipssar Marchitelli; Ermanno Di Paolo, associazione “Custode della tradizione”; Enrico Di Giuseppantonio, presidente della Provincia di Chieti. In basso: processione del 2000 (foto gentilmente concessa da Antonio Di Lello)


c come rassegna

DI ANTONELLA D’ORAZIO / FOTO_LUCIANO IEZZI

A confronto il vecchio e il nuovo

L’annuale appuntamento della Rassegna dei Cuochi del Sangro, giunta nel 2012 alla 34° edizione, è come sempre a Villa Santa Maria (Ch) un momento atteso e interessante per la gastronomia di eccellenza ma soprattutto per la maestria degli chef. La tradizione gastronomica locale definisce l’identità culturale dei luoghi, così come le rispettive cucine caratterizzano la cultura di un territorio. Questa manifestazione accresce la valorizzazione di una terra attraverso la promozione di uno degli aspetti più importanti che identifica, ma contestualmente differenzia, le diverse aree geografiche. Una grande festa in piazza per scoprire i sapori tipici ma anche

la storia e le curiosità della valle del Sangro. La due giorni del 2012 della Rassegna dei Cuochi del Sangro è stata organizzata dall’associazione Cuochi Valle del Sangro, presieduta da Domenico Di Nucci, ed ha racchiuso diversi appuntamenti: l’incontro con le associazioni culinarie regionali; il concorso dei giovani barman, il concorso “Il cuoco doc”, anche quest’anno sponsorizzato dalla De Cecco; gli intagliatori di frutta e verdura; il buffet di dolci, preparato interamente dalle signore del paese; gli assaggi guidati; lo shopping dei prodotti artigianali; e l’immancabile preparazione dei menù a tema proposti dai vari punti ristoro dislocati nel centro storico di Villa Santa Maria.

«Non esiste solo il cuoco famoso, star della televisione. Non bisogna cadere nella trappola del voler “apparire” a tutti i costi» PAG 57 / C COME RASSEGNA


L’occasione è davvero unica per chi cerca un appuntamento di convivialità. È interessantissimo camminare nelle stradine e nelle piazzette ed ascoltare tutti, principalmente i cuochi di varie generazioni, discutere sulla cucina e raccontare le loro affascinanti esperienze. Come afferma il ricercatore Antonio Di Lello nella sua ultima pubblicazione, «questa professione si trova a raccogliere delle vere e proprie dinastie di grandi cuochi che da Villa Santa Maria e dai paesi limitrofi si allargano a tutto il Paese, uscendo prepotentemente anche dai confini d’Italia per approdare in tutto il mondo e per anni, fino ai nostri giorni». È d’obbligo la visita al pregiatissimo istituto professionale di Stato per i servizi alberghieri e della ristorazione “Giovanni Marchitelli”, che ogni anno apre le porte in occasione della Rassegna e permette di essere visitato interamente. Il dirigente scolastico Silvino D’Ercole, da parte sua, commenta: «La Rassegna ha segnato sì la storia recente dei cuochi di Villa Santa

Maria, ma non è esagerato affermare che abbia fatto parte anche un po’ di quella dei cuochi d’Italia. Proprio nell’ambito delle rassegne, infatti, si è parlato per la prima volta di associazione professionale dei cuochi, e sono state affrontate problematiche riguardanti il ruolo sociale della categoria. Questa manifestazione, nata nel 1977, è stata sempre l’occasione di “ritrovarsi” per tanti professionisti più o meno giovani che, partendo da Villa, hanno poi trovato l’occupazione in ristoranti, hotel e altre strutture altamente qualificati in città d’Italia e del mondo. È stata ed è una festa che dà luogo al piacere di condividere esperienze e suggerimenti, con uno sguardo rivolto ai successivi impegni. Io resto colpito da questa voglia di essere a Villa che anima i cuochi che qui si sono formati, non solo quelli nativi di Villa Santa Maria e dintorni, ma anche provenienti da tante altre città e che frequentano la prestigiosa scuola alberghiera». Con il dirigente scolastico D’Ercole mi sono

IL CUOCO DOC

Nell’ambito della 34esima Rassegna si è svolto anche il 3° concorso gastronomico “Il cuoco doc” sul tema “I cereali e i legumi della montagna abruzzese”. La competizione era riservata alle associazioni abruzzesi della F.I.C., giudicati da una giuria presieduta dall’ideatore del concorso lo chef Antonio De Sanctis e composta dagli chef Giovanni Spaventa e Nicola Finamore. È stata vinta dall’associazione cuochi di Pescara, rappresentata dagli chef Silvestro Ruggieri e Enza Liberati. Hanno realizzato il piatto (nella foto) “Pane di granturco con lenticchie di Santo Stefano di Sessanio e gel di cipolla al Montepulciano. Rotolo di farina Solina con zafferano dop dell’Aquila farcito di ricotta e bietoline su composta di pomodoro fredda. Baccalà mantecato all’olio extravergine d’oliva in crosta di mandorle su crema di fagioli di Paganica.”

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soffermata a riflettere su come, nell’arco degli ultimi 30 anni, sia cambiata la figura professionale dello chef: «La professione di cuoco ha qualcosa di antico e di immutabile, ma al tempo stesso conosce sfaccettature importanti che evolvono nel tempo e che fanno la differenza. Certo è cambiata la formazione del cuoco. Oggi si punta non solo sulla pratica e la laboratorialità, che restano fondamentali, ma anche su una istruzione approfondita, fatta di saperi scientifici e linguistici. Da un bravo cuoco ci si aspetta di innalzare la cultura alimentare, la quale unisce principi della corretta alimentazione alla scoperta di sapori suggestivi che toccano in profondità. Non esiste solo il cuoco famoso, star della televisione, e non bisogna cadere nella trappola del voler “apparire” a tutti i costi; è importante, invece, il ruolo del cuoco capace

di curare e rispettare la sua clientela, di aggiornare costantemente la sua professionalità, di interpretare efficacemente le varie situazioni. Anche a lui, come a tutte le figure professionali, è oggi richiesta flessibilità, intesa come capacità di operare in contesti e generi disparati e difficili, come capacità di confrontarsi con culture nuove anche dal punto di vista alimentare. Non è possibile rinchiudersi nel recinto delle tradizioni ma bisogna accettare le sfide della modernità, partendo, questo sì, da una propria ben definita personalità». I grandi cuochi che hanno fatto, e che faranno, la storia dell’arte culinaria sono abili ad esaltare i prodotti naturali, valorizzare i sapori e gli aromi, che vengono fusi, per rinascere in nuovi prodotti e nuovi gusti. Sperimentare è la parola chiave, fare si che il modo di cucinare continui la sua lenta e graduale evoluzione.

Nella foto, da sinistra: Lorenzo Pace, presidente dell’associazione cuochi di Pescara; Nicola Finamore, Giovanni Spaventa e Antonio De Sanctis, della commissione giudicatrice “Il cuoco doc”; la squadra vincitrice composta da Silvestro Ruggieri ed Enza Liberati; il presidente dell’associazione Cuochi Val di Sangro Domenico Di Nucci.

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I luoghi di San Francesco Caracciolo

c come libro DI ANTONELLA D’ORAZIO

È sicuramente il desiderio di onorare la figura di San Francesco Caracciolo ad aver spinto i due autori, Antonio Di Lello e Antonio Stanziani, a scrivere con “La cucina dei luoghi di San Francesco Caracciolo” una nuova opera sulla vita del Santo villese, del loro bellissimo borgo e della loro passione: la cucina. Il libro ha trovato una vetrina interessante al decimo Festival delle Letterature dell’Adriatico di Pescara, nel novembre 2012, e racconta di come l’arte culinaria villese nasca ai tempi in cui Ascanio, futuro San Francesco, si intratteneva con i suoi coetanei nelle cucine del castello di proprietà della famiglia Caracciolo. Fu proprio in questo castello che molti villesi, per aiutare i domestici dei Principi Caracciolo, si improvvisavano cuochi e camerieri dimostrando una spiccata abilità per quell’arte. Questo fece nascere al principe, padre del Santo, l’idea di creare una Scuola di Cucina. Fu la fortuna di Villa Santa Maria e di tantissime talentuose persone, diventate famosissime in tutto il mondo. Nel bellissimo borgo non si è mai smesso di valorizzare e difendere le professioni del settore alberghiero: questo gli ha fatto guadagnare l’appellativo di “patria dei cuochi”. L’opera è divisa in tre parti principali: la prima parte è dedicata a cenni di Storia del paese e di San Francesco Caracciolo; la seconda parte è dedicata al famoso pranzo in onore di Ascanio realizzato in Casa Caracciolo in occasione del suo ventesimo compleanno; la terza parte al viaggio di San Francesco nelle città d’Italia e nella Spagna attraverso le ricette dei luoghi delle varie tappe. Molte pagine sono dedicate alle ricette e alla loro preparazione. Una dettagliatissima ricerca ha permesso agli autori sia di ritrovare ricette locali e regionali specifiche sia, con la maestria del cuoco Stanziani, il riadattamento ai giorni nostri.

A Villa Santa Maria non si è mai smesso di valorizzare e difendere le professioni del settore alberghiero: questo gli ha fatto guadagnare l’appellativo di “patria dei cuochi” PAG 61 / C COME LIBRO


c come news Cerulli Spinozzi “Sua eccellenza 2012”

La guida “Sua Eccellenza 2012”, pubblicata in ottobre 2012 da Il Gambero Rosso per il 25esimo compleanno del suo marchio, ha posto anche l’azienda agricola abruzzese “Cerulli Spinozzi” tra le migliori realtà dell’agroalimentare ‘made in Italy’, indicative “della straordinaria qualità del settore agroalimentare, enogastronomico e dell’ospitalità italiana”. L’azienda, quindi, ha preso parte all’evento organizzato presso la Città del Gusto a Roma nel fine settimana dell’Immacolata. «È stato un riconoscimento importante per noi e per il nostro lavoro – è il commento di Enrico Cerulli Irelli - Eravamo l’unica azienda abruzzese presente a produrre anche vini, e abbiamo portato tutto il nostro legame con il territorio, rappresentato in particolare dal Montepulciano Colline Teramane docg Torre Migliori 2007, il Montepulciano d’Abruzzo Cortalto 2011, il Pecorino Colli Aprutini igt 2011 e il Cerasuolo 2011». L’azienda ha colto l’occasione per presentare un progetto a cui ha aderito quest’anno, Mam’Art (www.mamaart. it), che vuole trovare risorse per e creare interesse intorno al tema del diritto all’emancipazione della donna in Africa, e lo fa tramite anche l’alimentazione.

Gran menzione al vino e tris di riconoscimenti all’etichetta: così l’ultimo Vinitaly ha salutato l’esordio della Cantina Ausonia di Atri (TE), condotta da Simone e Francesca Binelli, che ha visto la prima vinificazione nel 2011. Al 20esimo Concorso Enologico Internazionale interno al Vinitaly il Montepulciano d’Abruzzo doc “Apollo” 2011 ha ottenuto la “Gran menzione” nella categoria “Vini tranquilli a denominazione di origine e a indicazione geografica - vini rossi prodotti nelle ultime due vendemmie (2011 - 2010)” . Nello stesso concorso, la cooperativa Olearia Vinicola Orsogna (Chieti) è stata l’unica italiana a ricevere il Premio speciale “Vinitaly Nazione 2012”, e il Montepulciano d’Abruzzo Dop 2009 di Creavini di Castel Frentano (Chieti) è stato tra i premiati della categoria “Denominazione di origine 2012”. All’interno del Vinitaly si è svolto anche al 17esimo “International Packaging Competition”. Ritroviamo la Cantina Ausonia, che ha ricevuto: l’oro nella categoria vini bianchi fermi, con il Pecorino Machaon; l’oro nei rosati, con il Cerasuolo Apollo; e il bronzo nella sezione riservata ai rossi, Montepulciano Apollo, vincendo anche il Premio Speciale “Packaging”. La sua immagine è curata dallo Spazio Di Paolo, lo stesso che ha contribuito al restyling 2012 di C come magazine.

La prima stella di Fossaceca

Il Vinitaly che premia l’Abruzzo

La notizia ha fatto in un attimo il giro di tutti i social network e solo poi è stata ripresa dai giornali: la guida Michelin 2013 ha assegnato una stella al ristorante “Al metrò” di San Salvo marina (Ch). La

sua cucina di pesce, guidata da Nicola Fossaceca e spiegata in sala dal fratello Antonio, era sotto osservazione da alcuni anni, tanto da venire indicata come “promessa” Michelin a novembre 2011. Promessa mantenuta! Un bellissimo risultato per Nicola e soprattutto per l’Abruzzo, che nel giro di cinque anni si è visto piovere addosso ben sette stelle, tutte ancora valide: due al Reale di Rivisondoli e una a Villa Majella di Guardiagrele, La Bandiera di Civitella Casanova, Les Paillotes di Pescara, a Magione papale di L’Aquila e ora al Metrò di San Salvo. (Foto Lorenza Fumelli, dissapore.com)

Elodia ristorante dell’anno

Un piacevole autunno 2012 per i fratelli Antonello, Nadia e Vilma Moscardi del ristorante “Elodia nel parco” di Camarda, investiti da una serie entusiasmante di premi. A Roma, in occasione della presentazione della guida Bibenda 2013, il 24 novembre “Elodia” è stato proclamato ristorante dell’anno. Ad ottobre ha ricevuto dalla Cciaa di L’Aquila una medaglia d’oro per i suoi 38 anni di ininterrotta attività. A novembre il suo sommelier Gianluca Ciancone ha ricevuto il riconoscimento “Miglior sommelier nel ristorante” dal VII Pescara Abruzzo Wine, e Nadia Moscardi ha ricevuto a Giulianova il riconoscimento “Donna imprenditrice d’Abruzzo” per la qualificazione e valorizzazione del territorio e della produzione tipica locale, all’interno della prima edizione del Premio Impresa Rosa d’Abruzzo organizzato dalla L&L Comunicazione. Un buon auspicio per una ripresa scoppiettante, dopo il

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rallentamento dovuto alle conseguenze post-sisma.

Mauro Uliassi a Teramo

Il 18 dicembre 2012 il FAI Salotto ha chiuso gli appuntamenti del 2012 davanti ad una vasta platea che ha affollato la sala consiliare del Comune di Teramo: l’amico del FAI Mauro Uliassi ha raccontato i suoi segreti nell’incontro intitolato “Essere Chef”. Due stelle Michelin e tre forchette Gambero Rosso, il Maestro marchigiano della cucina d’autore ha raccontato tutti gli ingredienti della sua professione: amore, passione, creatività, tradizione e solidarietà. «Essere chef significa, per me, aver trovato il mio modo di essere attraverso il cibo. Il segreto più importante per “cucinare con amore”? La passione: è necessaria, perché ti dà entusiasmo in ciò che fai». A conclusione dell’incontro, Mauro Uliassi ha offerto una sorpresa a tutti i presenti: un panino con la porchetta rivisitato con una tecnica innovativa, a ricordo del piatto presentato a GusTè a Teramo nell’ottobre 2010.

L’Abruzzo a Milano

Ambra Romani e Francesca D’Orazio, chef professionista la prima e food

blogger abruzzese trapiantata a Milano la seconda, hanno fatto furore nel mese di dicembre a Milano nel temporary store “Fiocchi di zucchero”, dove hanno venduto i dolci abruzzesi e piemontesi della memoria, “quelli che difficilmente si trovano nei banchi di una pasticceria e che evocano tanti ricordi”. Parrozzo, “cilli” ripieni, taralli, bocconotti e calcionetti hanno retto benissimo la competizione con il pangiallo, i ricciarelli, la gubana o gli struffoli, insieme a tantissimi biscotti e dolcetti sfiziosi. Francesca D’Orazio porta avanti la tradizione abruzzese sul suo food blog, erbapepe.com, e con lezioni di cucina italiana nel mondo.

progetto “Cerere” fanno anche l’Università degli studi di Teramo, l’ente formativo Consorform, Confederazione italiana agricoltori e l’Istituto zooprofilattico di Teramo. Requisiti indispensabili per essere selezionati per la formazione è essere diplomati, residenti in Abruzzo e disoccupati: il gruppo sarà equamente ripartito tra uomini e donne. Le modalità di adesione saranno rese note all’inizio del 2013 attraverso i canali istituzionali della Regione.

Cene a tema

Due milioni di euro per l’alta formazione.

Saranno realizzati i due progetti capitanati dal Cescot e dalla “Niko Romito Formazione e consulenza” con i finanziamenti europei dall’assessorato regionale al Lavoro e alla formazione per il progetto speciale “Restaurare in Abruzzo (“RestAbruzzo”) – risorse enogastronomiche per lo sviluppo turistico d’Abruzzo”. Nel giro di 24 mesi queste due realtà formeranno un totale di 120 cuochi del nuovo millennio, 60 ciascuno. Il punto di forza del progetto “Cerere” del Cescot (ente formativo del sistema Confesercenti), presentato in conferenza stampa il 21 dicembre, è la rete fra almeno undici realtà attive e radicate nel territorio e il tirocinio retribuito di 6 mesi in quasi 30 ristoranti storici, tra cui molti appartenenti all’associazione Qualità Abruzzo e uno solo fuori regione, specializzato nel pesce d’acqua dolce (il bistellato Michelin “La Trota”). Parte del PAG 63 / C COME NEWS

Sono sempre più numerosi i ristoranti del territorio a chiamare in causa tutto il loro spirito d’inventiva e fidelizzare gli appassionati, migliorando l’offerta e rendendola costante nel tempo. È una mossa saggia per mettersi in discussione e dialogare con chi è pronto ad alzare le proprie aspettative. Ad esempio in provincia di Teramo, a Mosciano Sant’Angelo, “Borgo Spoltino Country House” (borgospoltino. it) ha organizzato un vero e proprio calendario jazz che dura fino ad aprile 2013, da ascoltare accompagnandosi alle formule di cena-aperitivo proposte per l’occasione. A Pescara il Café Les Paillotes (lidodellesirene.it) ha chiuso il 28 dicembre il calendario invernale di cene a tema, rinnovate periodicamente con estro e voglia di valorizzare la filiera corta, sotto la supervisione dello chef Davide Pezzuto, e siamo curiosi di vedere cosa inventeranno a primavera. Sono tantissimi i locali, di ogni portata e target, a proporre su Facebook i loro eventi e le loro proposte alternative, dalla musica live fino agli aperitivi “a rovescio”: un modo sempre più agguerrito e onesto di sfidare il mercato e sopravvivere alla crisi.


c come controeditoriale DI DANIELE DI VITTORIO

La nuova immagine del Montepulciano d’Abruzzo: e la multimedialità?

www.consorzio-viniabruzzo.it

Montepulciano d’Abruzzo D.O.C.

Realizzato con il contributo del F.E.A.S.R. - P.S.R. Abruzzo 2007-2013 - Misura 1.3.3

Grazie alla misura 1.3.3. del PSR 2007 - 2013, il dovrebbe essere multimediale, ma fino ad oggi di Consorzio di tutela dei vini d’Abruzzo, il Consorzio multimediale non si è visto granché. Sono state docg colline teramane ed il Consorzio della doc acquistate molte pagine pubblicitarie sulla stampa Tullum hanno potuto finanziare la campagna per tradizionale, sia su testate locali sia nazionali, ma di la nuova immagine del Montepulciano d’Abruzzo multimediale, di web 2.0, si è visto poco. Il sito del doc, coordinata dall’agenzia Pomilio Blumm. La Consorzio tutela vini d’Abruzzo è stato rinnovato, campagna si è avvalsa della collaborazione del esistono una pagina Facebook e un canale Youtube, sociologo prof. Renato Mannheimer: con ma nessun profilo Twitter, Instagram il suo Istituto per gli studi sulla pubblica o Google+, nessuna applicazione opinione (ISPO) ha effettuato uno studio per smartphone, e soprattutto poca su quanto sia conosciuto il nostro vino di interazione su quei canali social che, nel punta e su come sia percepito, di volta in presente, rappresentano uno strumento volta, dal campione preso in esame: per di comunicazione fondamentale. genere, età, area geografica di residenza. Il Montepulciano d’Abruzzo ha La nuova strategia multimediale e molto da dire, ma una comunicazione dell’immagine dei vini abruzzesi è stata passiva fatta di pubblicità tradizionale presentata presso il teatro Marrucino non rappresenta niente di innovativo di Chieti, il 29 ottobre 2012; la serata è rispetto a quello che si è fatto fino ad stata condotta da Fede e Tinto, popolari oggi. Si può prendere ad esempio conduttori di Decanter - Radio2quello che l’APT sta facendo con sei il Montepulciano, piacere d’Abruzzo. Rai e ha visto la partecipazione di siti web interattivi localizzati per il rappresentanti della stampa specializzata mercato internazionale con Paesi target come Tim Atkin (GB), Veronica Maria Crecelius come Gran Bretagna, Francia, Germania e Olanda (Germania), Thomas Ilkjaer (esperto area (a breve anche Svezia e Norvegia), la creazione scandinava) e Giorgio Dell’Orefice (il Sole 24 Ore). di canali “tourist friendly” sui principali social Il visual della campagna è sicuramente accattivante, network (Facebook, Pinterest, Twitter, Google+, anche se bisognerà verificarne l’efficacia all’estero, Instagram e Foursquare), un canale video ufficiale dove il Montepulciano d‘Abruzzo è meno su Youtube, un blog su Tumblr e tre applicazioni conosciuto. Il vino viene mostrato poco, c’è il rischio per smartphone. Per arrivare al proprio target, ma che il consumatore europeo non capisca di cosa soprattutto per creare un legame con il consumatore, la campagna tratti. Lo spot realizzato tuttavia è bisogna oggi interagire con lui e ci si riesce sono se molto bello, di sicuro impatto, con le parole narrate ci si muove bene attraverso le diverse piattaforme. dalla voce di Roberto Pedicini sulle note di Mario La strategia è appena partita e bisogna Biondi. Un peccato che su Youtube aveva, al 24 avere il tempo di attuarla: attendiamo dicembre 2012, poco più di 160 visualizzazioni. fiduciosi una decisiva svolta multimediale. Il punto critico è che la strategia di questa campagna .


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